FONTI E TRASFORMAZIONI DELL’IMMAGINE DELLA TURCHIA IN ITALIA NEGLI ANNI DELLA GRANDE GUERRA di Roberto De Simone Introduzione Al momento di entrare nel primo conflitto mondiale, il nostro Paese doveva affrontare tre nemici, la Germania, l’Austria-Ungheria e l’Impero Ottomano; eppure nella percezione comune il terzo non era quasi tenuto in conto, perché non era considerato una vera minaccia. Su cosa si basava tale sottovalutazione? Per scoprirlo, questo excursus si concentra su qualcosa di molto sfuggente: l’immagine dell’Impero Ottomano in Italia tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo. I piani da analizzare sono molteplici e intersecati tra loro, dovendo stimare cambiamenti politici, sociali, culturali, economici, punti di vista, fonti di tipologie estremamente diverse. Un ambito interessante sul quale concentrarsi è la letteratura. Essa esercita spesso un’influenza importante sull’immaginario e sulla pubblica opinione di una comunità, facendo da potente cassa di risonanza delle idee e rielaborando continuamente le esperienze individuali e collettive di un’epoca. L’obiettivo del presente intervento è dunque mostrare una selezione di opere che ha contribuito alla diffusione e al rafforzamento in Italia della rappresentazione della realtà ottomana come debole, povera, arretrata, incivile e irreversibilmente in declino. D’altro canto ciò era dovuto al fatto che gli italiani erano partecipi della visione culturale occidentale, che poneva le nazioni europee all’avanguardia e i paesi extraeuropei a un livello inferiore. Secondo Edward W. Said, l’orientalismo rappresenta un fenomeno culturale che riflette un senso di superiorità, originato dalle seguenti cause: un crescente squilibrio di forze tra europei e non europei; la percezione di una prossimità spaziale e non solo, derivante dal contatto vieppiù intenso con l’Asia; il bisogno di affermare il proprio dominio su realtà viste come in competizione con la propria.342 Nel caso italiano, esso è in larga parte mutuato, specialmente dall’esperienza anglo-francese. Questo perché l’Italia, arrivata tardi e con difficoltà alla corsa alle colonie, soffriva di gravi lacune di conoscenze sulla complessa situazione ottomana e sull’Islam in generale, persino nelle alte sfere.343 Le parole pronunciate al riguardo dall’orientalista e parlamentare Leone Caetani rimangono una vivida testimonianza, o meglio un’aperta denuncia che mette il dito nella piaga dell’impreparazione del personale diplomatico a relazionarsi con gli ottomani: […] il rappresentante straniero è in continuo contatto con la popolazione. Nell’anticamera di lui si affollano gl’indigeni a portare informazioni ed a chiederle. Il rappresentante di queste nazioni molte volte è uomo di larga cultura e di viva intelligenza, il quale ha fatto studi speciali per servire il suo paese in quella regione […]. Ma perché mai queste nazioni hanno questo prezioso privilegio sulle nostre? Per la semplice ragione che le loro autorità hanno richiesto ai propri rappresentanti diplomatici e consolari una speciale e raffinata cultura […] Essi hanno fondato scuole speciali, garantendo l’avvenire di quelli che ne escono dopo le debite prove di esame arruolandoli al servizio dei Consolati […]. Noi, onorevole ministro, nulla abbiamo fatto in questo senso. Avevamo a Napoli un istituto di fondazione privata, che […] già da tempo lo si sarebbe potuto trasformare in un vera fucina dei nostri giovani per il servizio in Oriente. Ma in quarant’anni nulla abbiamo fatto.344
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E.W. SAID, Orientalismo: l’immagine europea dell’Oriente, Milano, Giangiacomo Feltrinelli Editore, 2007, p. 21 (corsivo dell’autore). 343 V. IANARI, Lo stivale nel mare. Italia, Mediterraneo, Islam: alle origini di una politica, Milano, Guerini, 2006, pp. 167, 171. 344 Ivi, pp. 171-172.
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