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di Velania La Mendola

AVERE E NON AVERE HEMINGWAY: LE ORIGINI DELLA SFIDA TRA MONDADORI ED EINAUDI di Velania La Mendola

«Decidere negativamente»: Hemingway e la censura fascista

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A casa, Krebs [...] non sentì nessun desiderio di parlare di guerra. Più tardi sì, ma nessuno lo voleva star a sentire. La sua città aveva uditi già troppi racconti di atrocità per provare qualche desiderio di rabbrividire ancora. Allora Krebs trovò che se voleva esser ascoltato doveva raccontar delle fandonie, ma anche quando ne ebbe raccontate un paio, si sentì talmente disgustato, sentì un tale disgusto verso la guerra e il discorrer di guerra: proprio un disgusto per ogni cosa che gli era accaduta in guerra, a cagione delle fandonie che aveva raccontate.591

Scritto nella primavera del 1924 e pubblicato l’anno successivo a Parigi, Soldier’s Home592 racconta le vicende di un reduce della Prima guerra mondiale che torna a casa e fatica a riprendere un posto nella società, in famiglia, desiderando soltanto di vivere senza complicazioni, senza sentimenti. Hemingway vi narra in parte la sua storia, quella di un giovane ragazzo dell’Illinois che nel 1918 si arruola volontario e viene inviato al fronte italiano: lì è impiegato come autista della Croce Rossa Americana e l’8 luglio a Fossalta di Piave rimane ferito dallo scoppio di una granata; dopo la convalescenza a Milano, nell’ospedale americano in via Cantù, il 24 ottobre (il giorno in cui comincia la vittoriosa offensiva di Vittorio Veneto) torna al fronte da spettatore nel quartier generale della Croce Rossa, a Bassano del Grappa; nel 1919 viene congedato e, decorato per atti eroici, torna alla sua città natale, Oak Park, dove subisce in un primo tempo il disagio del ritorno alla normalità, che sfogherà nella scrittura.593 Il ritorno del soldato è anche il primo dei racconti di Hemingway pubblicati in Italia.594 Incluso nella raccolta Americana curata da Elio Vittorini, nella traduzione firmata da Carlo Linati, i lettori italiani possono leggerlo solo nel 1941, in una prima edizione che sarà censurata dal regime per riapparire l’anno dopo epurata dai corsivi di Vittorini, che scandivano i vari racconti, e con una prefazione dell’Accademico d’Italia Emilio Cecchi, che riconduce l’opera a ben altri canoni.595 Hemingway in Italia era di fatto proibito. Lo stesso Vittorini racconta che appena qualcuno osava nominarlo Mussolini gridava al malcapitato: «Zitto!».596 L’astio del duce nasceva dal fatto che lo

591 E. HEMINGWAY, Il ritorno del soldato Krebs, trad. di C. LINATI, in Americana, a cura di E. VITTORINI, Milano, Bompiani, 1941, vol. II, p. 793. 592 Pubblicato prima in Contact Collection of Contemporary Writers (Parigi, 1925), viene poi incluso da Hemingway nella raccolta In Our Time (New York, Boni and Liveright, 1925) che sarà a sua volta inserita nel volume The Fifth Column and the First Forty-nine (New York, Scribner’s, 1938). 593 Cfr., tra i contributi italiani sulla biografia dell’autore, Album Hemingway, a cura di E. ROMANO, con un saggio biografico di M. D’AMICO, Milano, Mondadori, 1988. 594 Insieme a questo racconto, la raccolta Americana comprendeva Monaca e Messicani, la radio e Vita felice di Francis Macomber, per poco tradotti da Elio Vittorini. 595 Cfr. L’America dopo Americana. Elio Vittorini consulente Mondadori, a cura di E. ESPOSITO, Milano, Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, 2008. Sulla introduzione di Cecchi Giaime Pintor ha scritto: «una prefazione [...] veramente amara per il suo rifiuto di ogni intesa con l’avversario. [...] le pagine che Vittorini ha dedicato ai diversi momenti della cultura americana rappresentano l’antitesi più netta alla formula di Cecchi, ne rovesciano il contenuto ideologico e il metodo critico», in G. PINTOR, La lotta contro gli idoli. Americana, in ID., Il sangue d’Europa, Torino, Einaudi, 1950, pp. 211-212. 596 E. VITTORINI, nota introduttiva a Ernest Hemingway: Per chi suonano le campane, «Politecnico», n. 1, 29 settembre 1945, p. 3.

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scrittore americano aveva pubblicamente ridicolizzato la sua immagine in un articolo597 ed era inoltre un attivo sostenitore del fronte opposto al fascismo, che non avrebbe poi gradito neanche il giudizio sulla guerra italiana dato in A Farewell to Arms, il romanzo del 1929 in cui viene descritta la ritirata di Caporetto. Solo Leo Longanesi nel 1933 aveva osato pubblicare qualche pagina di Hemingway su «L’Italiano», il periodico della rivoluzione fascista (!): il racconto I sicarii tradotto da Moravia;598 ma del resto il motto dell’editore era la disubbidienza.599

Tuttavia, anche in Casa Mondadori, già prima della caduta del regime ci si era interessati alla pubblicazione di Hemingway, soprattutto per tramite di Vittorini che aveva segnalato To Have and To Have Not: «rilevo anzitutto che non presenta nulla di allarmante per la nostra censura. Non è impregnato di umore politico, e non svolge problemi sessuali». Il parere di lettura viene vergato prima da Enrico Piceni – responsabile dell’Ufficio Stampa –, che scrive: «Se la personalità dell’Autore non osta... parere favorevole», e poi da Luigi Rusca – condirettore della casa editrice –che non ritiene innocente il carattere del personaggio principale, Harry Morgan, contrabbandiere di alcool e trasportatore di immigrati clandestini, e scrive: «Decidere negativamente».600 Stessa sorte tocca a A Farewell to arms, sempre segnalato da Vittorini come il miglior romanzo dello scrittore americano.601 È lo stesso che Giaime Pintor indica con ammirazione e stupore quando scrive:

Vuoti e oscurità sono stati colmati nella nostra anima dalla presenza di questa America. [...] E dopo che la guerra del 1914 aveva confuso la nostra fantasia attraverso un’ambigua leggenda, prima che un’altra guerra tradisse il vero significato di quell’episodio da cui doveva scaturire la nostra maturità, Hemingway aveva scritto A Farewell to Arms [...] il primo sicuro esempio di come l’uomo solo possa ottenere la liberazione da un costume ormai scaduto.602

Così, mentre in America e in una parte di mondo Hemingway è già un mito dalla fine degli anni Trenta, per le vendite eccezionali dei suoi romanzi (Addio alle armi vende in poco tempo circa 70 mila copie) e per l’essere egli stesso una leggenda, in Italia fino alla caduta del fascismo è merce di contrabbando che arriva nelle mani dei lettori nelle edizioni francesi e, solo grazie all’impegno di alcuni intellettuali – soprattutto Vittorini, Pavese, Pintor – che avevano individuato nella letteratura americana una realtà in contrasto con la cultura ufficiale, attraverso qualche racconto. Oltre al divieto fascista pesa su Hemingway un pregiudizio dettato da critici come Mario Praz, che lo considera un incolto; Corrado Alvaro, che insiste sulla superiorità della letteratura europea; lo stesso Linati, suo primo traduttore, che pur riconoscendone l’originalità dello stile e l’effetto sorprendente dei suo scritti, parla di «brutale povertà di mezzi».603

Le prime edizioni italiane dei suoi romanzi facilitano l’incontro con i lettori, inaugurandone la fortuna anche nel nostro Paese. A permetterlo sono Giulio Einaudi e Arnoldo Mondadori, entrambi editori-protagonisti, entrambi coinvolti, ancor prima di conoscere personalmente Hemingway, in

597 E. HEMINGWAY, Mussolini, Europe’s Prize Bluffer, More Like Bottomley Than Napoleone, «Toronto Star», 27 gennaio 1923: «Mussolini è il più grande bluff d’Europa [...]. Il dittatore aveva annunciato una conferenza stampa. Ci ammassammo nella sala. Mussolini era alla scrivania immerso in un libro. Il volto era come al solito atteggiato nel suo famoso cipiglio. Rimase assorto nella lettura. [...] In punta di piedi mi portai alle sue spalle per vedere cosa stesse leggendo con tanto rapito interesse. Era un dizionario Francese-Inglese... capovolto», in Album Hemingway, cit., p. 93. 598 E. HEMINGWAY, I sicarii, trad. di A. MORAVIA, «L’Italiano», a. 8, agosto 1933, n. 21, pp. 228-235. Questa prima versione italiana di Hemingway è meno nota e non viene spesso riportata nelle bibliografie; ad esempio non compare nella bibliografia dei Meridiani dello scrittore americano a cura di Rosella Mamoli Zorzi. Ne dà notizia invece, in una nota, ma senza specificare che si tratti di un racconto, P. ALBONETTI nel volume da lui curato Non c’è tutto nei romanzi. Leggere romanzi stranieri in una casa editrice negli anni ’30, Milano, Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, 1994, p. 432. 599 Cfr. Il carattere di un italiano. Longanesi e il lavoro editoriale, Milano, Biblioteca di via Senato Edizioni, 2006. 600 Non c’è tutto nei romanzi cit., pp. 429-430. 601 E. DECLEVA, Arnoldo Mondadori, Milano, 2007, Mondadori, p. 227. 602 G. PINTOR, Americana, «Aretusa», marzo 1945, pp. 4-14. 603 Sulla fortuna critica di Hemingway in Italia cfr. A. PANDOLFI, La fortuna di Ernest Hemingway in Italia (19291961), «Studi americani», VIII, 1962, pp.151-199.

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una complessa ricerca di acquisizione dei diritti delle sue opere, sulla quale è possibile indagare attraverso i documenti custoditi dalla Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori e dall’Archivio Einaudi.604

«Caro Collega»: la disputa contrattuale nel dopoguerra

Le vicende contrattuali di Hemingway hanno inizio con la caduta del fascismo, che porta con sé quella del veto sulle sue opere. Dal 1944 cominciano i carteggi che vedono Einaudi e Mondadori contrapporsi nell’accaparrarsi i diritti sullo scrittore americano, in una corrispondenza che viaggia, intrecciandosi, tra Milano, Lugano, Torino, Londra e New York.

Arnoldo Mondadori, in esilio in Svizzera, chiede al suo agente di New York, Homer Edmiston, di contattare l’avvocato e agente di Hemingway, Maurice J. Speiser, proponendogli l’acquisto dei diritti di tutte le sue opere, da pubblicare non appena liberata l’Italia. Ma mentre Speiser non risponde alle richieste di Mondadori, negli Stati Uniti, sulle tracce di “Mister Papa” e di altri scrittori americani, c’è da tempo Mario Einaudi, fratello dell’editore torinese, il professore che per non giurare fedeltà al regime aveva abbandonato la sua carriera universitaria in Italia per stabilirsi alla Cornell University di Ithaca. In questa sua funzione di rappresentante della casa editrice è affiancato dall’agente letterario americano Sanford Greenburger.

Il 10 novembre 1944 Mario Einaudi scrive al fratello da Chappaqua, New York, con toni che restituiscono l’atmosfera tesa che si respirava in quegli anni tra le due case editrici che avevano avuto nei confronti del regime fascista atteggiamenti differenti:

Carissimo Giulio, [...] mi auguro tu possa lasciare la Svizzera al più presto […]. Il tuo nome è stato fatto ripetutamente nella stampa, le attività subdole di Mondadori sono state efficacemente controbattute (e in fine un suo avvocato ci ha minacciato di processo se non si finiva di chiamarlo fascista – minaccia naturalmente finita nel niente). Il risultato è che la tua casa editrice comincia ad essere nota come la più importante d’Italia e una delle due colle quali si possa trattare ad occhi chiusi politicamente. […] In trattative […] Hemingway in concorrenza con Mondadori: ho offerto 500 dollari per Farewell to Arms, e altre somme per altra sua roba, escluso For whom the bell tolls, già venduto da tempo a degli svizzeri […].

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Effettivamente la prima casa editrice a stipulare un contratto regolare con Hemingway, tramite Speiser, è la svizzera Humanitas Verlag & Steinberg di Simon Menzel, che firma anche per l’acquisizione dei diritti di traduzione in italiano, come risulta da un memorandum:

The translation and publication of the said book FOR WHOM THE BELL TOLLS shall be made and completed on or before the 1st day of January 1945 [la data è corretta a penna in

604 I documenti consultati sono custoditi dalla Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, nell’Archivio storico Arnoldo Mondadori editore (d’ora in poi FaamAsAme), sezioni Arnoldo (SezArM) e Alberto Mondadori (SezAlM), nella quale si trovano i carteggi dello scrittore con i due editori. I numeri delle tirature sono stati estratti dal database che raccoglie i dati raccolti dall’Ufficio Statistica, conservato sempre presso la Fondazione. È stato poi possibile compulsare, grazie alla cortese e generosa autorizzazione di Roberto Cerati, le carte dell’Archivio Einaudi (d’ora in poi AE) depositate presso l’Archivio di Stato di Torino: in particolare sono stati esaminati i fascicoli intestati a Ernest Hemingway (Corrispondenza con autori e enti stranieri, rapporti diretti con autori e collaboratori, cart. 8, 278 ff.) e a Mario Einaudi, (Corrispondenza con autori e collaboratori italiani, cart. 75, 233 ff.). Il presente contributo integra e approfondisce alcuni degli spunti pubblicati in «Crazy for you»: Hemingway e Mondadori, a cura di V. LA MENDOLA, «Q.B. on line», Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, n. 14, marzo 2011, http://www.fondazionemondadori.it/qb/index.php?issue_id=53, consultato il 1° marzo 2015. 605 AE, Mario Einaudi a Giulio Einaudi, Chappaqua (New York), 10 novembre 1944, dattiloscritta.

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September 1944], and the failure of the PUBLISHERS to do so shall be considered a breach of this agreement and all rights hereunder shall revert to the OWNER.606

La data limite della pubblicazione, fissata per il 1° gennaio 1945, ha una certa importanza perché da una lettera indirizzata a Jonathan Cape, l’editore inglese di Hemingway, si apprende che l’autore in persona aveva già firmato un contratto per la stessa opera a Londra il 29 novembre 1944, ma con la Mondadori, tramite Lorenzo Montano607 il quale «avait payé l’avaloir fixé».608 Eppure il 13 dicembre dello stesso anno Giulio Einaudi sta ancora contrattando per i diritti di Hemingway, già venduti due volte, e scrive a Philip Hodge, capo della sezione Libri della United States Information Service,609 informandolo che «a mezzo della Società Editori Autori abbiamo avanzato la richiesta dei diritti per le seguenti opere delle quali è già pronta la traduzione italiana [tra queste …] From whom bell tolls [sic], NY Scribners».610 E ancora un mese dopo, ossia il 19 gennaio 1945 Mario Einaudi scrive al fratello:

come ti telegrafai un anno fa, i diritti per l’Italia di For whom the bell tolls sono stati venduti alla casa editrice Humanitas di Zurigo, la quale ha già preparato un’edizione italiana che sta per essere messa in vendita in Svizzera e che loro sperano di poter mandare in Italia al più presto. Questo è il punto di partenza. Cercando di rintracciare le ramificazioni americane di Humanitas, abbiamo scoperto qualche giorno fa uno dei padroni qui a New York, un certo Menzel, e da quel momento Greenburger ha condotto trattative ininterrotte per cercare di persuadere Menzel a raggiungere un accordo con te. Jeri sera mi dissero che Menzel acconsentirebbe ad una edizione italiana Einaudi-Humanitas, con divisione a metà dei profitti lordi (prezzo di copertina meno sconto librario, royalties e costo di produzione), e con anticipo immediato qui a New York di una quota profitti di almeno 1500 dollari.611

L’accordo di coedizione Einaudi-Humanitas sarebbe possibile perché: «La loro edizione italiana svizzera non entrerebbe in Italia». Mentre Einaudi valuta, il 13 febbraio la Mondadori, nella già citata lettera e indirizzata a Jonathan Cape, riassume la situazione contrattuale di Hemingway e, pur sottolineando la propria sorpresa nello scoprire che esiste un altro contratto con la Humanitas per lo stesso titolo, propone di risolvere la situazione rinunciando per prima a Per chi suona la campana, ma ottenendo in cambio i diritti di traduzione per A Farewell to Arms, Green hills of Africa, Death in the afternoon, Men without women, Sun also rises, ritornando così al progetto iniziale di Arnoldo di avere tutte le opere dello scrittore americano in catalogo.

La questione del duplice contratto è dovuta forse all’irreperibilità di Hemingway, sempre in viaggio per l’Europa e alle prese con la fine della guerra e la rottura del suo terzo matrimonio, e quindi all’oscuro del contratto già firmato da Speiser a suo nome a New York (sebbene non manchi, negli stessi anni, una fitta corrispondenza dell’autore con altri, ad esempio con l’editor Scribner). Un’altra possibile spiegazione, al limite del pettegolezzo, ma in linea con il personaggio, arriva da Mario Einaudi che nel marzo del 1945 scrive a Giulio:

606 FaamAsAme, SezAlM, fasc. Hemingway (I), Memorandum of agreement, 22 gennaio 1944, dattiloscritto. 607 Pseudonimo del veronese Danilo Lebrecht, tra i fondatori della «Ronda». In Casa Mondadori è noto come curatore dei “Libri gialli”, ma anche come agente editoriale a Londra, dove si recava spesso e per lunghi periodi, fino ad avere un vero e proprio ufficio di rappresentanza nella City (Cfr. E. DECLEVA, Arnoldo Mondadori, cit., pp. 288-289). 608 FaamAsAme, SezAlM, fasc. Hemingway (I), Mondadori a Jonathan Cape, Lugano, 13 febbraio 1945, dattiloscritta. 609 Formalmente istituita dagli Stati Uniti il 1° agosto 1953, la USIS (poi USIA, United States Information Agency) nacque all’indomani della Seconda guerra mondiale per organizzare attività di propaganda che contrastassero il potere sovietico e, secondo la nota ufficiale, per «presentare ai popoli degli altri Paesi le prove, tramite tecniche di comunicazione, che gli obiettivi e le politiche degli Stati Uniti favoriscono, e faranno avanzare, le loro legittime aspirazioni di libertà, progresso e pace». Cfr. A. MARINELLO, L’editoria e la United States Information Agency, «Fabbrica del Libro», XVII, 2011, n. 1, pp. 20-26. 610 AE, Giulio Einaudi a Philip Hodge, Roma, 13 dicembre 1944, dattiloscritta. 611 Ibi, Mario Einaudi a Giulio Einaudi, s.l., 19 gennaio 1945, dattiloscritta.

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La situazione Hemingway continua sempre più complicata. L’ultima notizia è che Hemingway, ubriaco a Londra, ha venduto contro 500 dollari in contanti ad un agente di Mondadori For whom the bell tolls, già venduto, come sai, ad Humanitas di Zurigo un anno fa. Il suo agente di New York per evitare scandalo e tacitare Mondadori, vendette a Mondadori Farewell to arms (già promesso a noi salvo approvazione di Hem.) Il quale pazzo è di ritorno in America fra giorni, e si vedrà il da fare. Intanto la vendita di Farewell è soggetta a licenza del Federal Reserve Board, ed io ho avuto cura di far loro conoscere i fatti su Mondadori. L’OWI612 qui mi ripete che Mondadori non è sull’“approving list”. Ma che cosa ciò voglia dire in pratica non è chiaro.613

Non sappiamo quanto abbia pesato l’essere o meno sull’“approving list” del governo statunitense, resta il fatto che mentre Mondadori riesce a raggiungere un accordo solo con Speiser, ottenendo la pubblicazione di Addio alle armi, Einaudi conquista i diritti su tutte le altre opere, eccetto Per chi suona la campana, che rimane all’Humanitas.614 A sorpresa però, tra la fine del 1944 e il 1945 escono delle edizioni pirata, tradotte dal francese, pubblicate dalla Jandi Sapi (il primo titolo è E il sole sorge ancora), «una misteriosa casa sorta in periodo neo-fascista a Varese», scrive Giulio Einaudi al fratello, preoccupato soprattutto di abbattere i costi di un libro già diffuso:

The Sun also Rises è stato pubblicato abusivamente [...]. Ci siamo interessati perché fermassero la vendita di questo libro: comunque ritengo che la prima edizione di parecchie migliaia di copie sia ormai distribuita ai librai e da questi venduta sottobanco. Il libro io lo farò lo stesso, ma sarebbe opportuno che tu riuscissi ad ottenere una diminuzione del compenso.615

La questione economica è uno dei freni della casa editrice torinese, che non dispone di mezzi di pagamento adeguati a coprire tutte le spese, anche per i blocchi sui conti all’estero, tanto che Mario Einaudi scrive: «occorrono dollari. E io non ne ho più»,616 ottenendo però dal fratello solo una parca rassicurazione: «cercherò di farti avere qualche dollaro se si presenta un’occasione favorevole». Giulio Einaudi, infatti, per battere la concorrenza punta più sulla capacità di avanscoperta, tendenza intellettuale e innovazione, che sulle proprie finanze:

Per la narrativa americana, che è quella che anche per il futuro si presume possa suscitare il maggior interesse nel pubblico italiano, la nostra Casa avrà la concorrenza spietata di Mondadori e di Bompiani. Essi sono attaccatissimi ad autori già noti, mentre noi talvolta ti chiederemo romanzi di autori ancora poco conosciuti almeno qui in Europa. Per questa maggiore capacità di individuare i nuovi valori noi riusciremo a battere la concorrenza. [...] la faccenda più spinosa sta [...] nel pagamento, ma c’è da augurarsi che anche gli altri presto prosciughino i loro fondi all’estero.617

Nel frattempo Arnoldo Mondadori, per la prima volta, nel novembre del 1945, si rivolge direttamente all’autore, per sollecitare la restituzione del contratto firmato per Addio alle armi e per informarlo sulle traduzioni non autorizzate:

612 L’Office of War Information, un ente governativo statunitense creato durante la Seconda guerra mondiale per consolidare i servizi di informazione esistenti. 613 AE, Mario Einaudi a Giulio Einaudi, s.l., marzo 1945, dattiloscritta. 614 Il 17 maggio 1945 Giulio Einaudi comunica al fratello di accettare le condizioni indicate per i diritti di Hemingway (la contrattazione era stata diretta da Greenburger) e di impegnarsi a pubblicare un volume ogni tre mesi. Il 15 giugno Mario Einudi conferma la conclusione del contratto per tutto Hemingway eccetto Farewell to arms e When the bell tolls (AE). 615 AE, Giulio Einaudi a Mario Einaudi, Milano, 25 agosto 1945, dattiloscritta. 616 Ibi, Mario Einaudi a Giulio Einaudi, s.l., 25 luglio 1945, dattiloscritta. 617 Ibi, Giulio Einaudi a Mario Einaudi, Milano, 25 agosto 1945, dattiloscritta.

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Caro signor Hemingway, […] da molto tempo desideravo riallacciare i rapporti con Lei ma ne fui impedito dapprima dalle draconiane proibizioni fasciste e poi per il tragico svolgersi degli eventi dopo l’8 settembre 1943. Ma questo non mi ha impedito di chiedere [...] i diritti di pubblicazione di tutte le sue opere al suo agente Mr. Speiser, proponendomi di pubblicarli non appena liberata l’Italia e di diffondere il suo nome, ancora sconosciuto al pubblico italiano, il più largamente possibile [...]. Ma, mentre Lei si trovava fra le forze francesi combattenti, sdegnando il pericolo […] il Suo agente non rispondeva alle mie ripetute richieste. […] L’esasperante lentezza delle trattative fra noi e il Suo editore presenta il pericolo di veder uscire, sempre in pessime traduzioni, altri suoi libri presso editori improvvisati e poco scrupolosi, con grave danno per […] il Suo lavoro.618

Questa circostanza nasce in un clima delicatissimo per l’editoria italiana, in cui da un lato gli editori più importanti devono fare i conti con il comportamento tenuto durante il fascismo, dall’altro decine di nuovi editori cominciano a pubblicare senza preoccuparsi dei diritti o altro. Nel caso di Hemingway si arriverà a una battaglia legale rilevante per tutto il panorama editoriale del nostro Paese. La Jandi Sapi sarà infatti denunciata da Mondadori619 alla fine del ’46 e pochi mesi dopo la situazione verrà risolta ufficialmente, come viene annunciato a Speiser: «La Magistratura Italiana ha riconosciuto la tutela in Italia delle opere di scrittori americani. Vi sarei grato se credeste parteciparlo al grande autore americano, rassicurandolo che, come è ormai lecito sperare, le sue opere non correranno più il rischio di essere pirateggiate e, soprattutto, deturpate da parte di improvvisati editori».620

Nonostante le incursioni delle edizioni pirata, Mondadori prosegue con le trattative per i diritti di traduzione dei romanzi di Hemingway e si accorda direttamente con la casa editrice svizzera sulla pubblicazione di Per chi suona la campana, decidendosi per una coedizione. Una proposta che era già stata rivolta a Einaudi da Menzel ma che, forse per l’ingente somma richiesta, era stata lasciata cadere nel vuoto. Einaudi chiederà a Mondadori di pubblicare a puntate sul «Politecnico», ancora prima dell’edizione in volume, il romanzo hemingwayano, così che sul primo numero del 29 settembre 1945 troviamo la traduzione del primo capitolo di Per chi suonano le campane, dall’errata trascrizione della frase di John Donne ad apertura del volume riportata sulla rivista.621 Nell’introduzione di Vittorini si legge:

Era il 1942 quando riuscii ad avere, via Svizzera, una copia di For Whous The Bells Tolls, il romanzo di Hemingway che qui presento tradotto. Cominciai allora lo stesso a tradurlo, sapevo che presto non ci sarebbe più stato Mussolini ad impedire di pubblicarlo. Ma, poco tempo dopo, venni arrestato e la mia traduzione andò perduta col testo. Non ebbi più modo di ricominciare, ci fu l’occupazione tedesca, ci fu la lotta clandestina d’ogni giorno, e pubblico qui questo libro per me così caro nella traduzione di due amici, Foà e Zevi.

618 FaamAsAme, SezArM, fasc. Hemingway, Arnoldo Mondadori a Ernest Hemingway (c/o Jonathan Cape), s.l., 13 novembre 1945, dattiloscritta. 619 Cfr. FaamAsAme, SezAlM, fasc. Hemingway (I), Alberto Mondadori a Jan Van Loewen, Milano, 5 dicembre 1946, dattiloscritta. Anche la casa editrice torinese ricorse alle vie legali nel 1945, ma, come riferisce Luisa Mangoni, la causa non ebbe esito positivo perché la legge sul diritto d’autore si ebbe solo nel 1946. cfr. AE, Giulio Einaudi a Mario Einaudi, Milano, 25 agosto 1945 e Ibi, Milano, 21 giugno 1946; cfr. inoltre L. MANGONI, Pensare i libri. La casa editrice Einaudi dagli anni trenta agli anni sessanta, Torino, Bollati Boringhieri, 1999, p. 192, nota 100. 620 FaamAsAme, SezAlM, fasc. Hemingway (I), Alberto Mondadori a Maurice J. Speiser, Milano, 25 marzo 1947, dattiloscritta. 621 Se ne lamenta Massimo Mila in una lettera a Elio Vittorini del 2 ottobre 1945: «Ci sono troppi errori di stampa e quello nel titolo inglese del romanzo di Hemingway è particolarmente scocciante. Inoltre leggi cosa c’è scritto sotto il ritratto di Hemingway (e pare una didascalia all’illustrazione»): “vile, è stato in Cina”. Sono sciocchezze, ma i maligni come me ci badano». L’ironia di Mila gioca sulla frase che è il continuo della colonna precedente: «è stato in Spagna durante la guerra ci-». In M. MILA, Lettere editoriali, a cura di T. MUNARI, Torino, Einaudi, 2010, p. 65.

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Finalmente nel dicembre 1945 esce in brossura,622 con una prima tiratura di 5000 copie (a giugno del 1947 uscirà la settima edizione), Per chi suona la campana, il n. 166 della collana “La Medusa”, nella traduzione di Maria Napolitano Martone: «il successo sarebbe stato ancora migliore se avessimo avuto più carta e se avessimo potuto fare un prezzo più accessibile [...]. Il prezzo di pubblicazione di Lire 320 dovette essere aumentato alla settima edizione fin a Lire 480, cifra quasi proibitiva per la media dei nostri lettori, che devono affrontare il ben più difficile problema del vitto!».623 Il contratto definitivo per Addio alle armi, che sostituisce quello firmato a Londra dall’autore, viene invece stipulato il 5 aprile 1946.624 In giugno il volume arriva in libreria, con una tiratura di 5934 copie, nella elegante collana “Il Ponte” (il prezzo di copertina è di 500 lire) «a new collection […] which collects the best names in the international literary field».625 La traduzione è stata preparata «con devozione» da Giansiro Ferrata, Puccio Russo e Dante Isella a Friburgo, nel periodo dell’internamento in Svizzera626 e le illustrazioni sono di Renato Guttuso. «Il Politecnico» di Vittorini, sul primo numero mensile (1° maggio 1946) dedica un articolo proprio a queste illustrazioni e al lancio del volume mondadoriano scrivendo:

esistono due buoni modi di illustrare un libro: corrispondere al suo linguaggio, al suo stile, o interpretare il fondo con un istinto da rabdomante che trova ciò che lo scrittore stesso non poteva sapere di aver detto. Nell’illustrare Addio alle armi di Hemingway, Renato Guttuso ha seguito questo secondo modo e il risultato ci sembra bellissimo. […] Hemingway appare più che mai […] uno spirito pagano che è condotto suo malgrado a una sensibilità «cristiana». Guttuso ha colto e portato alla superficie questa sensibilità, l’angoscia che l’accompagna, e qualche volta il reciproco tormento degli elementi che costituiscono il romanzo: ha dato così in questi disegni preparati per l’edizione italiana (Mondadori, imminente) una loro ricostruzione, un nuovo Addio alle armi che tuttavia risponde intimamente alla verità del romanzo.

Nel corso del 1946 Mondadori non rinuncia tuttavia ad avere «tutto Hemingway» e scrive a Giulio Einaudi chiedendo, in restituzione di un accordo precedente, di poter pubblicare nella collana “Medusa” To Have and to Have not, in un’edizione limitata di 10 mila copie. Così risponde l’editore dello Struzzo:

Caro Collega, la Sua gentile lettera […] mi ha profondamente toccato per la sua cordialità e franchezza con cui Ella ha posto la questione Hemingway […]. Io non ho, come Lei, l’ambizione di fare tutto uno scrittore, perché la mia Casa tende piuttosto a presentare agli italiani quelle opere di taluni scrittori significativi che possono ridestare le coscienze verso valori per tanto tempo soffocati. Hemingway è uno di questi scrittori […].627

È l’inizio di una sottile schermaglia dove in filigrana si leggono i commenti delle precedenti lettere tra Mario e Giulio, nelle quali si parla di Mondadori (ma anche di Bompiani) in toni tutt’altro che

622 Sul retrofrontespizio si legge che è in coedizione con la Steinberg di Zurigo. 623 FaamAsAme, SezAlM, fasc. Hemingway (I), Alberto Mondadori a Maurice J. Speiser, 2 settembre 1947, dattiloscritta. 624 Nel contratto del ’44 però la Mondadori compariva come Helicon e dev’essere quindi effettuata la sostituzione; come spiega l’editore: «La società Hélicon fu costituita da amici svizzeri, quando ebbi a rifugiarmi in tale Paese data l’occupazione nazifascista dei nostri stabilimenti e della mia Azienda, e ciò per facilitare l’acquisto dei diritti di autori anglo-americani per la traduzione in lingua italiana. Dopo il mio rientro in Italia non vi è più ragione alcuna che la Hélicon debba interferire nei miei rapporti che desidero intrattenere direttamente con autori, agenti ed editori esteri». In FaamAsAme, SezAlM, fasc. Hemingway (I) [Arnoldo Mondadori] a Maurice J. Speiser, Milano, 5 aprile 1946, dattiloscritta con note manoscritte. 625 Ibi, Alberto Mondadori a Ernest Hemingway, Milano, 14 giugno 1946, dattiloscritta. 626 E. DECLEVA, Arnoldo Mondadori, cit., p. 339. 627 FaamAsAme, SezArM, fasc. Einaudi, Giulio Einaudi ad Arnoldo Mondadori, 23 febbraio 1946.

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benevoli, soprattutto per i rapporti intrattenuti con il fascismo.628 Quel riferimento ai «valori da tempo soffocati», per i quali Hemingway è chiamato a testimone, sono uno sfumato ma chiaro richiamo alla ferita che il regime aveva lasciato alla cultura italiana; una ferita di cui Mondadori, secondo Einaudi, era stato complice. Tornano in mente le parole di Alberto Mondadori rivolte al padre nel difficile momento dell’esilio, ma alla vigilia della Liberazione:

Che tu lo voglia o no, papà, una Casa editrice è un organismo politico, e se tu vuoi lealmente [...] continuare nella linea del dopo 25 luglio e del dopo 8 settembre devi prendere risolutamente un atteggiamento antifascista [...]. Perché noi dobbiamo essere più estremisti di un Rizzoli o di un Bompiani per la semplice ragione che passavamo per essere più fascisti di loro, e il gioco fatale delle azioni e delle reazioni, il gioco ineluttabile della dialettica porta a questa semplice e tranquilla constatazione: per farsi perdonare il molto bisogna fare il moltissimo contrario.629

Di quel “moltissimo” fa parte la ricostruzione del catalogo, che punta soprattutto sulla narrativa straniera, e la volontà di comunicare al pubblico il ritorno della rinnovata casa editrice. Nelle 24 pagine d’inserto nel «Giornale della Libreria», il grande lancio pubblicitario del settembre 1945, un’intera pagina è dedicata alla presentazione di Addio alle armi: «tutti noi, dinnanzi alla rappresentazione di Hemingway del carattere italiano possiamo avere una reazione salutare, una spinta all’esame di coscienza o alla riaffermazione delle nostre qualità». Le stesse pagine censurate dal fascismo diventano così lo slogan della nuova Mondadori.

Einaudi, nonostante un carteggio intenso, che alterna toni aspri e concilianti,630 non concederà i diritti di pubblicazione per Avere e non avere e pubblicherà l’opera nel 1946 nella collana “Narratori contemporanei”, insieme a Fiesta; nello stesso anno La quinta colonna uscirà nella collana “Politecnico Biblioteca”. Nel 1947 I quarantanove racconti inaugurano “I millenni” di Pavese e Morte nel pomeriggio viene inserito nei “Saggi”. Nel 1948, infine, Einaudi pubblica Verdi colline d’Africa nei “Coralli”. Mondadori, come abbiamo visto, si aggiudica solo due romanzi (sebbene quelli di maggior successo), ma la questione dei contratti verrà definitivamente conclusa a suo favore nel 1948, l’anno della venuta di Hemingway in Italia.631 Questa volta Einaudi sarà battuto dall’«illustrious father», Arnoldo, grazie alla generosa accoglienza in villa Meina e alla complicità che Hemingway instaurerà da subito con Alberto, «the bad boy». In particolare con quest’ultimo il dialogo epistolare inaugurato nell’ottobre del 1948632 continuerà fino alla morte dello scrittore tra alti e bassi, lettere affettuose e anche qualche rimprovero, segno di un legame tra i due che, a dispetto delle difficoltà linguistiche – Alberto non conosceva l’inglese e faceva tradurre le sue lettere –, andava oltre quello degli “affari”: «I wished [...] to be a friend and not alone a business man for you».633 Hemingway sarà da allora uno degli scrittori di punta della rinascita di

628 «Spero di ricevere […] notizie sui concorrenti (specialmente se vanno in malora o in prigione)». Cfr. AE, fasc. Mario Einaudi e L. MANGONI, Pensare i libri cit., pp. 191-192. 629 E. DECLEVA, Arnoldo Mondadori, cit., p. 311. 630 Cfr. V. LA MENDOLA, Per una storia della “Medusa”: contrabbando, consacrazione e declino, in Libri e scrittori da collezione. Casi editoriali in un secolo di Mondadori, a cura di R. CICALA e M. VILLANO, Milano, ISU Università Cattolica, 2007, in particolare pp. 148-151. Sul rapporto tra i due editori si veda anche «L’unità di intenti»: Einaudi e Mondadori, a cura di M. VILLANO, «Q.B. on line», Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, n. 13, s.d., http://www.fondazionemondadori.it/qb/index.php?issue_id=52, consultato il 1° marzo 2015. 631 Sull’accoglienza riservata da Mondadori a Hemingway si veda la gustosa testimonianza di G. LOPEZ, I verdi, i viola e gli arancioni, Milano, Mondadori, 1972, pp. 65-77. 632 Alberto Mondadori conosce Hemingway personalmente nel settembre 1948, perché al suo arrivo in Italia lo scrittore era stato intercettato da Mondadori padre e accolto nella villa di Meina. 633 FaamAsAme, SezAlM, fasc. Hemingway (I), Alberto Mondadori a Ernest Hemingway, Milano, 5 novembre 1948, dattiloscritta. Alcune lettere particolarmente significative del carteggio con Alberto Mondadori sono già state pubblicate nel volume Lettere di una vita (A. MONDADORI, a cura e con un saggio introduttivo di G. FERRETTI, Milano, Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, 1996) e recentemente se ne sono aggiunte un paio in Ho sognato il vostro tempo. Il mestiere dell’editore (cfr. A. MONDADORI, a cura di D. SCARAMELLA, introduzione di L. FORMENTON, Milano, il Saggiatore, Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, 2014); altre sono state citate sporadicamente in

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Mondadori, con numeri di vendite sorprendenti: non è un caso che ancora nell’aprile 1965 Addio alle armi avvierà il successo degli “Oscar” in edicola.634

quotidiani e riviste, ma l’epistolario completo di Hemingway a cura di Carlos Baker, pubblicato negli Stati Uniti nel 1981 e che comprende parte del carteggio con Scribner, Cape e Rowohlt (rispettivamente l’editore americano, inglese e tedesco), non riporta nessun documento della corrispondenza con gli editori italiani (E. HEMINGWAY, Selected Letters 1917-1961, edited by C. BAKER, New York, Charles Scribner’s Sons, 1981). 634 Il n. 1 degli “Oscar” Addio alle armi viene stampato in aprile con una tiratura di 23040 copie. Il successo è tale che a maggio la tiratura viene più che raddoppiata con 52327 copie.

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