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di Sara Di Alessandro
DIPINGERSI CON LE PAROLE: UNA “GARA DI MORTE” DI J. ILMARI AUERBACH di Sara Di Alessandro
Una sorprendente scoperta: Johannes Ilmari Auerbach
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Durante la fase di stesura del mio Progetto di Ricerca, decisi di partire dalla Rote Kapelle, cerchia di protagonisti della Resistenza tedesca in opposizione alla dittatura nazionalsocialista, attorno a cui orbitava Dietrich Bonhoeffer, autore al centro del lavoro di Tesi Magistrale. Questa primissima pista risultò da subito un terreno d’indagine assai fecondo: al movimento afferirono scrittori e drammaturghi come Adam Kuckhoff e Günter Weisenborn, il regista e drammaturgo Falk Harnack – cugino di Bonhoeffer – e, infine, il pittore e scultore Joannes Ilmari Auerbach.
A catturare ulteriormente la mia attenzione nei confronti dell’autore fu, però, la sua unica novella, pubblicata nel 1921, una Novella che attraversa dunque i vissuti più irrappresentabili che la Grande Guerra abbia portato in Europa e nel mondo. In realtà, fu proprio il titolo squisitamente originale di quest’opera a spingermi a soffermarmi sul lavoro per farne il punto di partenza di una ricerca sul trans-generazionale e sulla trasmissione nella letteratura e nella cultura dei paesi di lingua tedesca. Del resto, una novella di ardua reperibilità, inedita in Italia e con un titolo come Der Selbstmörderwettbewerb, difficile non solo da pronunciare, ma anche da rendere con efficacia in italiano (una possibile resa è “Il Concorso dei Suicidi”), scritta da un personaggio che nella vita si era apparentemente occupato di tutt’altro, rappresenta una sfida genuina, accompagnata dalla sensazione che in tale opera davvero possa celarsi un “novum” letterario, una possibile risposta a quella promessa che sottende la definizione di “novella” e, con ciò stesso, la chiave di lettura di un’epoca segnata, senza precedenti, dalla barbarie e dalla tecnica.
La vita dell’autore è oggi accessibile grazie alla pubblicazione delle lettere, raccolte nel volume Johannes Ilmari Auerbach 1899-1950. Eine Autobiographie in Briefen, edito nel 1989.370 Desidero anzi sin da ora ringraziare i due curatori di questa preziosa raccolta, unica fonte biografica disponibile e, quindi, a mio parere imprescindibile per conoscere a fondo l’autore e saper leggere una novella che, non solo per lo stile innovativo e i contenuti a dir poco geniali, si qualifica come vera e propria cartina al tornasole di una società a tal punto alienata e alienante da cannibalizzare i deboli e gli infelici.
Johannes Ilmari Auerbach nasce il 24 maggio 1899 a Breslau, primo dei quattro figli dal matrimonio tra il celebre pianista Max Auerbach (1872-1965)371 e l’insegnante Käthe Reisner (1871-1940). Entrambi di origine ebrea, dopo il matrimonio decidono di conversi al cristianesimo, soprattutto per poter svolgere la propria professione in relativa tranquillità, tenuto conto dell’antisemitismo sempre più dilagante nella città di Breslau.372
Johannes cresce in un ambiente familiare affatto caratterizzato dalla devozione religiosa, bensì denso di stimoli artistici e assimilato alla cultura tedesca. Vivrà assieme alla sorella Cornelia e ai fratelli Klaus e Günter fino al 1906, anno della separazione dei genitori. La madre si trasferisce con i due fratelli a Jena, mentre Johannes e Cornelia – detta Cora – rimangono a Breslau.
Le prime lettere di Johannes Auerbach pubblicate nel volume sopracitato risalgono proprio a questo evento forte e traumatico, che si riverbera anche nei disegni che il piccolo Johannes Ilmari indirizza alla madre, sempre ed esclusivamente a lei, Käthe Reisner. Il giovane Auerbach manifesta
370 R. HEUER, F. KIND, Johannes Ilmari Auerbach 1899-1950. Eine Autobiographie in Briefen, Bad Soden, A & V Woywood, 1989. 371 Il fisico e matematico tedesco Max Born (1882-1970), vincitore del premio Nobel per la Fisica nel 1954, fu alunno di Max Auerbach, come racconta nella propria autobiografia My Life. Recollections of a Nobel Laureate, New York, Schribner 1978. 372 R. HEUER, F. KIND, op. cit., p. 14.
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nelle lettere un’acuta sensibilità artistica. Infatti, all’età di dodici anni, scrive: «Ich finde das Schwarze sehr estetisch!». 373
L’esperienza estetica più significativa riportata dall’autore risale al 10 agosto 1916, data che segna l’incontro del quindicenne Johannes Auerbach con il bello naturale. La bellezza della natura e del mondo circostante produce nel giovane una impressione, uno Ein-druck appunto, che, interiorizzata e rapportata al bello artistico, verrà rielaborata nella e con la scrittura, spazio dove tale impulso subisce un vero e proprio processo di metabolizzazione:
[…] Abends habe ich einen Spaziergang durch den Wald gemacht, und wie ich wieder zurückkam, hatte ich noch einen Eindruck, den ich sicher nie vergessen werde. Der Regen hatte aufgehört, und ein starker Wind hatte am Himmel Luft gemacht. Und wie ich den Himmel ansah, glaubte ich tatsächlich die Figuren aus der Sixtinischen Kapelle zu sehen. Du weißt schon, so ein plötzlicher, starker Eindruck, den man zunächst gar nicht erklären kann. Aber es sind zwei Gründe. Erstens waren die Wolken und der ganze Himmel genau so, wie sie Michelangelo dort gemalt hat, und zweitens hatten die Wolken eine außerordentliche Ähnlichkeit mit einigen von den Figuren, z. B. Gott, wie er Adam erschafft. Wie er Sonne und Mond erschafft. Es war nämlich so: Ganz hoch oben lagen fest dicke graublaue Wolken, aber nach Westen zu zerrissen und schließlich ganz aufgelöst, sodass der kristallklare grünblaue Himmel durchsah, der nach Westen zu ganz gelb wurde. Dann kam eine lange dunkle Wolkenbank gleich auf dem Horizont, und ihr oberer Rand war ein leuchtend glühender gelber Streifen. […] Ich fühle mich innerlich ganz außerordentlich reich und alles drängt nach außen und zum Schaffen.
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Un altro aspetto peculiare del Nostro è il legame con il mondo dei numeri, esasperato dalla scrittura criptata di sequenze numeriche, la cui decodificazione viene affidata alla figura materna. Inoltre, Auerbach descrive le proprie giornate sezionando e sequenziando il tempo con cura maniacale: egli non riporta gli avvenimenti abbinandoli a un’indicazione temporale approssimata all’unità di misura oraria, bensì riferisce anche le mezzore, riportandole sempre in forma frazionaria. Tale ossessione per i numeri e il tempo dell’orologio rimane una costante nella vita di Auerbach e confluirà appieno nella novella del 1921.
Altrettanto persistente è la riflessione nei confronti della morte: il primo “incontro” avviene il 5 marzo 1913, allorché muore un vicino di casa. Quest’esperienza viene definita da subito una «unheimliche Geschichte», 375 dove l’aggettivo «unheimlich» si compone del prefisso privativo «un» e del lessema «heimlich», derivato da «Heim», «casa», e indica ciò che è segreto, intimo, nascosto. Con l’importante lavoro di Sigmund Freud del 1919, l’aggettivo sostantivato «das Unheimliche» esprime una particolare declinazione del sentimento della paura, relativa a qualcosa che si avverte al contempo come estraneo e familiare, quindi quanto di più prossimo e intimo, che non deve dunque riaffiorare alla coscienza.376
373 «Trovo il (colore) nero molto estetico!». Ivi, p. 29. Qui e oltre la traduzione del testo in italiano è mia. 374 «Di sera ho fatto una passeggiata nel bosco e, quando sono tornato, avevo ancora un’impressione che non credo potrò mai dimenticare. Aveva smesso di piovere e un vento forte aveva arieggiato il cielo. E non appena ho guardato il cielo, ho davvero creduto di vedere le figure della Cappella Sistina. Tu lo sai già, una simile impressione, così improvvisa e forte, all’inizio non si riesce a spiegare. Per due motivi. Primo, le nuvole e tutto il cielo erano proprio così come Michelangelo li ha dipinti lì, e, in secondo luogo, le nuvole avevano una somiglianza straordinaria con quelle raffigurate, per esempio come quando Dio crea Adamo. Quando crea il sole e la luna. Infatti era proprio così: in alto c’erano nuvole spesse e plumbee, che però si stracciavano a occidente, fino a sciogliersi del tutto, cosicché s’intravedeva il cielo verde e blu, cristallino, che s’ingialliva a ovest. Poi un lungo banco di nubi s’interpose all’orizzonte, e il suo margine più alto era fatto di strisce gialle, brillanti e lucenti. […] Ora mi sento oltre modo ricco interiormente, ed è come se tutto spingesse verso l’esterno, verso l’impulso creativo». Ivi, p. 37. 375 «Una storia inquietante». Ivi, p. 37. 376 Si veda S. FREUD, Das Unheimliche, «Imago. Zeitschrift für Anwendung der Psychoanalyse auf die Geisteswissenschaften», V, 1919, pp. 297-324.
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Notiamo come nella definizione «Unheimliche Geschichte» si possa già presagire la Grande Guerra, un accadimento senza precedenti e che sconvolse e mutò per sempre da un punto di vista percettologico e neuronale la società europea e occidentale.
Col passare del tempo, inoltre, la figura materna acquisisce un ruolo sempre più centrale nella vita del giovane artista, soprattutto durante le vacanze estive degli anni 1911, 1912 e 1915, allorché la donna accompagna il figlio a visitare monumenti di rilievo e opere d’arte come l’altare di Isenheim del pittore tedesco Matthias Grünewald. 377 Questa esperienza s’imprime nella mente del giovane, sembra plasmarne il gusto per i cromatismi del giallo e del rosso, colori che torneranno, con prepotenza, anche nella novella del 1921.
Non posso qui analizzare nel dettaglio la lingua dello scambio tra madre e figlio, ma sento di poter affermare che questo legame col grembo materno diverrà un solido appiglio a partire dal settembre 1917, quando, all’età di diciassette anni, Auerbach viene chiamato alle armi.
Dai compiti di scuola ai bollettini di guerra: l’esperienza sul fronte francese
A differenza di molti altri giovani, Auerbach non è spinto da motivazioni di natura patriottica o politica. Secondo l’autore, la leva militare costituisce una fase di apprendimento necessaria alla propria formazione, una sorta di fucina propedeutica alla futura carriera universitaria.378 Il primo periodo prevede l’istruzione teorica dei cadetti, che Auerbach acquisisce per otto mesi a Straßburg, presso la MG-Schützen, “compagnia mitraglieri”. Durante l’addestramento, l’artista manifesta una profonda sete di scoperta e di avventura, che si esplicita anche nel desiderio di ricerca e di studio del bello, in tutte le sue molteplici declinazioni cromatiche: «Ich werde Alles erleben», ovvero «Vivrò Tutto», scriverà alla madre nell’ottobre 1917. 379 Nel gennaio 1918 il Nostro si ammala di bronchite e viene quindi ricoverato in un Lazzaretto. Qui inizia a scontrarsi con la realtà più cruda dell’esperienza militare: siamo, infatti, nel pieno imperversare della Grande Guerra e il numero dei caduti sul campo, dei feriti e di coloro i quali vengono orrendamente mutilati aumenta di giorno in giorno.
La data del 14 gennaio 1918 segna per Johannes il primo vero incontro con la morte:
Am Sonnabend hatte ich einen schrecklichen Eindruck. Schrecklich ist übrigens ein falscher Ausdruck. Nur ganz rätselhaft und erschütternd. Im Nebenzimmer ist Einer gestorben. Du weißt, dass ich noch nie den Tod in der Nähe erlebt habe. Es ist merkwürdig zu sehen, wie nicht ein Mensch erst lebendig und dann tot daliegt, sondern an Stelle des Menschen ganz plötzlich etwas Fremdes, ein Leichnam da ist, und man weiß und versteht nicht, wo der Mensch geblieben ist.380
La guerra stravolge l’idealismo iniziale di Auerbach, che vedeva l’esperienza militare come momento in cui «der Körper auflebt und brauchbar wird». 381 Nel lazzaretto esperisce l’altra faccia del conflitto, ovvero quella legata alla morte e al senso di estraneità in essa implicato: restano solo corpi inanimati, eviscerati, non più «brauchbar», «utilizzabili, utili» ma «gebraucht», «usati». Il tema del “corpo usato” sarà, del resto, il perno centrale della novella del 1921.
Si delinea, quindi, una cesura ideologica, evidente nella lettera alla madre del 4 marzo 1918:
377 R. HEUER, F. KIND, op. cit., p. 19. 378 Ivi, p. 41. 379 Ivi, p. 43. 380 «Sabato ho avuto un’impressione tremenda. Dire “tremenda” è d’altronde un’espressione falsa. Solo misteriosa e sconvolgente. Nella stanza a fianco è morto qualcuno. Tu sai che con la morte non avevo ancora fatto un’esperienza così vicina. È singolare vedere come non è un uomo, che prima viveva, a giacere lì morto, bensì al posto dell’Uomo si sostituisce all’improvviso qualcosa di estraneo, un cadavere, e non si sa e non si capisce dove sia rimasto quell’Uomo». Ivi, p. 51. 381 «Il corpo rinasce e diventa utile». Ivi, p. 42.
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Neulich kam hier durch die Ziegelstraße eine Batterie, die ausrückte; ein langer Zug mit einer Menge Pferden, Wagen, Reitern, Geschützen und Mannschaften. Alle im Stahlhelm und mit Blumen überhäuft. Der Anblick war ergreifend und schön. Aber ich finde die Blumen den jetzigen Verhältnissen nicht mehr entsprechend. Im Anfang des Krieges war es wundervoll, wie früher bei den Griechen, bekränzt in den Kampf zu ziehen. Aber heut ist der Krieg eine ernste, schwere Arbeit, Leiden und Grauen und ein andrer Tod wie der, zu dem man leichtsinnig und blumengeschmückt hinauszog. Es wirkte dann, in Gedanken, abstoßend, fast wie ein Hohn.382
Le ghirlande di fiori non si addicono più alla guerra, stridono con le immagini di sofferenza e orrore che il giovane artista vive in prima persona. La morte non è più eroica come nel mondo classico, non è dunque un evento da encomiare e celebrare, men che meno la si può idealizzare. È solo «un’altra morte», uno spazio non più occupato, un’esistenza conclusa.
Il 12 marzo 1918, dimesso da pochi giorni dall’ospedale militare, Auerbach viene inviato nell’unità militare M.G.K. 272. Pochi giorni prima di partire per il fronte francese, scrive alla madre:
Mutti, dass Otto Braun gefallen ist, finde ich schrecklich traurig. Die wenigen Menschen von früher, die noch am Leben waren, werden immer weiter weniger und weniger. Wer wird schließlich noch übrig bleiben?383
«Chi resterà?», si chiede il giovane Auerbach. La guerra, vera e propria “gara di morte”, e i nuovi metodi di combattimento fagocitano l’essere umano, parassitandone corpo e pensieri, cannibalizzando e divorando senza risparmio intere generazioni. Nelle lettere alla madre, il nostro autore ritrae la vita quotidiana sul campo di battaglia, in netto contrasto col bisogno, sempre più intenso, di ricorrere all’arte e alla lettura, lo spazio altro. Auerbach legge i grandi classici della letteratura, come il Faust di Goethe, le Novelle di E.A. Poe, Gli Elisir del Diavolo di T.A. Hoffman. È attratto dalla bellezza che si cela nelle parole, come quando scrive, a proposito di Goethe: «…jedes Wort darin ist ergreifend schön».384
Anche nell’imperversare di morte e miseria, lo slancio artistico resta una costante, come denuncia questa lettera, scritta il 5 luglio 1917:
Ich bin, als Gefreiter Richtschütze, d. h. ich würde das Gewehr bedienen, schießen.[…] Man braucht allerdings Ölfarben. Die Bilder stehen so unheimlich lebendig vor mir, dass ich sie greifen möchte!385
L’immaginario artistico si fa «unheimlich lebendig», tremendamente vivo, quasi un contrappeso al caos della guerra. Auerbach sembra volerci dire: «mi aggrappo ai colori e alle immagini, luoghi altri, luoghi dove riesco a collocare la vita!».
Nel luglio 1918 il giovane pittore si ammala ancora, come riferisce alla madre nella lettera datata 18.7.1918.386 Circa dieci giorni dopo, mentre ancora si trova nel lazzaretto, apprende che la
382 «L’altro giorno è passata dalla Ziegelstraße una batteria in marcia; una lunga colonna con una moltitudine di cavalli, carri, cavalieri, cannoni e squadroni. Tutti con l’elmo e sommersi di fiori. La vista era accattivante e bella. Tuttavia, penso che i fiori non s’addicano più alla situazione attuale. All’inizio della guerra era stupendo, così come ai tempi dei Greci, andare in battaglia con le ghirlande. Oggi, però, la guerra è un lavoro serio, pesante, è dolore e orrore, è una morte altra da quella a cui ci si accostava con leggerezza e ornamenti di fiori. Agisce in modo ripugnante sui pensieri, quasi con derisione». Ivi, p. 55. 383 «Mamma, trovo terribilmente triste che sia morto Otto Braun [un amico di famiglia, N.d.T.]. I pochi uomini che prima erano in vita diventeranno, via via, sempre di meno. Chi resterà in vita fino alla fine?». Ivi, p. 59. 384 «In esso, ogni parola è di una bellezza accattivante». Ivi, p. 48. 385 «Io, in qualità di puntatore di primo grado, dovrò quindi usare il fucile, dovrò sparare. […] È certo che qui si ha bisogno di colori a olio. Quadri viventi mi stanno davanti in modo inquietante, ché mi sembra quasi di poterli afferrare!». Ivi, p. 62.
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Compagnia militare di cui fa parte è stata sterminata. Auerbach è un sopravvissuto e ciò proprio grazie al fatto che si trovava ricoverato al lazzaretto, come comunica subito alla madre:
Du wirst im Heeresbericht gelesen haben, dass uns dieser Tage der Franzose die Stellung weggenommen hat. Nicht wissen wirst Du, dass unsre schöne M.G.K. aufgerieben ist, bis auf die Wenigen, die grade krank hinten waren, also auch ich, und Einige, die zurückgekommen sind.387
Questo evento, definito «Katastrophe» in un’altra lettera,388 segna ancora di più il senso di paradosso già avvertito nei confronti della morte.
Auerbach viene trasferito nel lazzaretto La Capelle, dove seppellire i morti diventerà per lui quasi un automatismo: «Dann haben wir vor drei Tagen und gestern noch einmal Begräbnis […] Gestern haben wir den Sarg auf den Schultern getragen und die Gruft gesenkt».389
La morte diviene quindi un vuoto persistente, un abisso che si ripropone ogni giorno. Questa esperienza estremamente drammatica segnerà l’approccio di Auerbach nei confronti della vita, sarà un vero e proprio crocevia di ogni suo futuro gesto artistico, come risulta evidente da quanto scrive alla madre nella lettera del 6 ottobre 1918: «Die Idee des Todes, der grauenhaft gespenstischen Leere nach unbarmherziger Zerstörung, durchdringt immer mehr das Geschehen und unser Bewusstsein».390
La distruzione («Zerstörung») arrecata dalla guerra viene definita «unbarmherzig», aggettivo in cui il prefisso privativo «un-» si associa a «barmherzig», calco letterale del latino «misericors».391 È quindi una devastazione che, parafrasando, silenzia le corde della com-passione: col sopraggiungere della morte, essa spoglia lo spazio fisico, non-luogo che diviene un foglio pallido, vuoto assoluto («Leere»), abitato da fantasmi, ovvero presenze nell’assenza, riflessi emaciati di vite sospese, interrotte nell’affacciarsi al mondo. La «Zerstörung» invade e pervade («durchdringt») il presente («das Geschehen», letteralmente «ciò che accade») e la coscienza («Bewusstsein»).
Questa crisi lacera e coinvolge l’intero sistema dei valori, scardina lo statuto di progresso e di fiducia nell’Uomo con cui si era da poco inaugurato il nuovo secolo:
Die Geschichte scheint doch ernstlich auf eine völlige Auflösung der europäischen Kultur und Menschheit hinauszulaufen. Oder, sollte es durch ein Wunder doch noch anders werden? Es ist doch, vernunftgemäß, kaum anzunehmen: die Besten sind und werden noch immer vernichtet. Die jetzige Jugend ist geistig und körperlich unterernährt und verwildert. Die zukünftige Generation soll aus denen entsprießen, die nicht K.v., also krank und verkrüppelt sind. Das ist nur das in die Augen fallendste von der “Menschheit” selbst, von der “Kultur” will ich lieber nicht reden.392
386 Ivi, p. 63. 387 «Avrai letto, nei bollettini di guerra, che in questi giorni i Francesi ci hanno sottratto una postazione. Non saprai, però, che la nostra bella M.G.K. è stata massacrata, tranne i pochi che erano lontani perché malati, quindi anche io, e alcuni, che sono tornati indietro». Ivi, p. 64. 388 Ivi, p. 65. 389 «Anche ieri, come tre giorni fa, abbiamo avuto un funerale. […] Ieri abbiamo portato la bara sulle spalle e l’abbiamo calata nella tomba». Ivi, p. 69. 390 «L’idea della morte, del vuoto orribile e spettrale che segue alla distruzione spietata, impregna sempre di più ogni avvenimento e la nostra coscienza». Ivi, p. 70. 391 S. BOSCO COLETSOS, Storia della lingua tedesca, Torino, Rosenberg & Sellier, 2003, p. 93. 392 «La storia sembra correre davvero verso una piena rottura della cultura europea e dell’umanità. Oppure, come per miracolo, dovrebbe diventare qualcos’altro? A rigor di logica, è quindi difficile da accettare: i migliori sono e vengono ancora e sempre sterminati. La gioventù di oggi è spiritualmente e corporalmente sottonutrita e imbarbarita. La generazione futura deve nascere poggiando su quelli che non sono m.s., ovvero malati e storpi. Questo è quello che salta agli occhi della stessa “umanità”, della “cultura” preferisco non parlarne». R. HEUER, F. KIND, op. cit. p. 67.
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Occorre qui soffermarci su due termini davvero significativi. Auerbach, nel 1918, parla di «Auflösung der europäischen Kultur und Menschheit». Il sostantivo «Auflösung», derivato dal verbo «lösen», «sciogliere», sembra già presagire il baratro in cui giacerà l’umanità vent’anni dopo, con la «Endlösung der Judenfrage». Questa espressione eufemistica viene utilizzata da Hitler a partire dal 1940 per designare il progetto, a suo parere risolutivo, della questione ebraica: una soluzione finale che vede la pianificazione di uno sterminio di massa come apice di ogni esclusione.393 Un altro lessema, che ritornerà nella novella del 1921, è «vernichtet», dal verbo «vernichten», che significa «annientare, distruggere, sterminare» ed è costituito dal prefisso intensivo «ver-» e da «nichten», a sua volta derivato dall’avverbio negativo «nicht». 394 Anche questo termine diverrà centrale nella propaganda antisemita del regime nazionalsocialista.395
La fine delle ostilità si avvicina, eppure Auerbach pare intuire che i fantasmi e gli orrori appena vissuti torneranno ai vivi, in una forma ancora più disumana:
[…] ich würde ganz gern noch einmal die Front sehen. Aber es wird wohl vorher zuende gehen. “Es” – das heißt der Krieg in Feindesland […] scheint es mir nun doch wahrscheinlich, dass es zur Revolution, vielleicht wirklich zu Bürgerkrieg und Terror kommen wird.396
In queste parole del nostro giovane autore, indirizzate alla madre il 10 novembre 1918, si riverbera il senso di allarme con cui egli guarda alla storia. Torna quindi, ancora una volta, quella «unheimliche Geschichte», non più come ricordo legato all’infanzia, bensì come spettro che minaccia il futuro. Auerbach legge gli avvenimenti legati alla Grande Guerra recuperando il termine Terrore, esito della Rivoluzione Francese, fase storica che si prospettava quale promessa di un radicale mutamento sociale, politico e culturale. Annullando ogni distanza temporale, tale richiamo si configura quale vero e proprio anacronismo, che potremmo allora definire “futuribile”: la Grande Guerra letta come Grande Révolution, i cui eccessi nelle carneficine e nelle uccisioni di massa preludono ai totalitarismi del Novecento.
Notiamo come la guerra venga desoggettivata e riassunta nel soggetto impersonale «es», scelta linguistica che ancora ci rimanda all’azione cancrenante della «Leere», il non-luogo, quindi l’a-topia, ove l’umanità implode coi propri valori.
Questa esperienza del caos sarà quindi il perno centrale della novella del 1921, unitamente a quella vissuta nell’immediato dopoguerra, l’Experiment Lindenhof.
La novella del 1921: “Cara mamma, ti racconto io la vera storia”
Con la fine della guerra, il giovane Ilmari si iscrive alla Scuola d’Arte di Weimar, che frequenta a partire dal gennaio 1919. Tra i suoi insegnanti troviamo Walter Gropius, uno dei fondatori dello Staatliches Bauhaus, scuola di architettura, arte e design della Germania degli anni 1919-1925,397 che influenzerà notevolmente la produzione artistica del nostro Ilmari.
Di fronte alla crescente instabilità politica, marcata dalle tendenze rivoluzionarie e restaurative, e alle ingenti difficoltà economiche, Auerbach si getta a capofitto nello studio, migliorando le proprie abilità artistiche. Conosce Dörte Helm, sua compagna di studi, che frequenta con assiduità e spesso ritrae nei suoi lavori. Alla fine del semestre estivo, intraprende con Dörte e
393 S. BOSCO COLETSOS, Le parole del tedesco. Incontro di lingue e culture, Torino, Rosenberg & Sellier, 2009, p. 120. 394 Etymologisches Wörterbuch des Deutschen, http://www.dwds.de/?view=1&qu=vernichten, consultato il 15 gennaio 2015. 395 T. EITZ, G. STÖTZEL, Wörterbuch der “Vergangenheitsbewältigung”, Hildsheim, Georg Holms Verlag, 2007, p. 318. 396 «Vorrei rivedere ancora una volta il fronte. Ma è probabile che finisca prima. Es / “Quella cosa” – ovverosia la guerra in territorio nemico […] adesso mi sembra verisimile che giunga alla rivoluzione, forse davvero alla guerra civile e al terrore». R. HEUER, F. KIND, op. cit., p. 73. 397 K. HÜTER, Das Bauhaus in Weimar, Berlino, Akadamie Verlag, 1982.
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con l’amico Kurt Walther un viaggio in Italia: soggiornano a Firenze, per poi recarsi a piedi a Roma, con il progetto di estendere il pellegrinaggio verso altre città d’arte. Questo obiettivo viene però disatteso, allorché il 24 dicembre 1919 i tre amici fanno ritorno in Germania. Auerbach torna a vivere a Jena, con un nuovo progetto in tasca, che definisce come «feinen Plan», un piano preciso,398 nato dal confronto con un amico d’infanzia, Hugo Hertwig, attivo promotore di un comunismo pratico, ovvero volto alla fondazione di una comunità agricola a gestione collettiva quale esempio di rinascita dalle macerie della Grande Guerra.
Tale visione utopica di Hertwig, ispirata al pensiero dei filosofi Landauer, Kropotkin e Marx, viene realizzata grazie al coinvolgimento entusiasta di diversi amici, fra cui il pittore Max SchulzeSölde, proprietario di una fattoria in rovina nell’Holstein, dove, a partire dall’aprile 1920, si realizza il sopracitato Experiment Lindenhof,399 una comunità fondata su principî collettivistici e antiborghesi, volta all’autosostentamento.
Auerbach partecipa alla fondazione di questa comune con fervore, descrivendo nelle lettere alla madre e alla sorella Cora tutti i preparativi e il denaro investito, allegando schizzi precisi delle planimetrie degli edifici restaurati e costruiti ex-novo nonché degli allevamenti e degli orti da coltivare, invitandole costantemente a raggiungerlo quanto prima. Il progetto del locus amoenus, fondato sulla concordia e mutua assistenza, sul ritorno alle origini, lontano dalla vita borghese, inizia presto a sgretolarsi: nel giro di pochi mesi, man mano che nuove persone si aggiungono all’Experiment, sorgono problemi di convivenza e la situazione finanziaria si fa sempre più precaria.
Verso la fine del settembre 1920, Auerbach si ritrova a Lindenhof solo, in bancarotta, abbandonato dagli amici più cari. Dilaniato dalla delusione per il fallimento di quel «piano preciso» con cui aveva fatto ritorno in Germania l’anno prima, il 21 settembre 1920 tenta il suicidio.
Il giorno dopo scrive alla madre dall’ospedale di Wilster, per tranquillizzarla su quanto è accaduto:
Meine liebe Mutti, hoffentlich hat Dich das Telegramm und der Brief von diesem saudummen Rosam, den ich überhaupt nicht leiden kann, nicht zu sehr erschreckt – Du siehst ja, ich kann tadellos schreiben, habe nicht einmal Fieber. Ich habe Malheur gehabt mit der Pistole, allerdings nur eine leichte Verletzung, bin aber, weil ich allein auf dem Lindenhof war, lieber hierher ins Krankenhaus gegangen. Und wie das Rosam erfuhr, hat er gleich alle möglichen blödsinniger Geschichten angestellt und mich wahnsinnig aufgeregt –na bald komme ich ja mal nach Jena, da erzähle ich Dir die Geschichte genau – sie ist nämlich sehr lustig. 400
Il signor Rosam, probabilmente un conoscente, ha avvisato la famiglia del tentativo di suicidio del giovane Ilmari. Notiamo come Auerbach definisca l’accaduto con il termine francese «malheur», prestito linguistico che vuole semplificare la faccenda, quasi banalizzarla, e ottiene, di fatto, l’effetto contrario. Questo «malore con la pistola», che gli ha procurato solo una ferita superficiale, resta un evento da chiarire, diviene una «storia» («Geschichte») da raccontare alla madre di persona, una storia «molto divertente» («sehr lustig»).
Il ricovero ospedaliero a Wilster si protrae per diversi mesi e nel dicembre 1920 il precario stato di salute rende subito necessario un’ulteriore degenza in una clinica privata a Berlino. Il
398 Ivi, p. 116. 399 Per ulteriori informazioni sul fenomeno delle comuni nella Germania del primo Dopoguerra, si veda G. HEINEKE, Frühe Kommunen in Deutschland. Versuche neuen Zusammenbelens. Jugendbewegungn und Novemberrevolution 1919-1924, Herford, Zündhölzchen,1978. 400 «Mia cara madre, speriamo che il telegramma e la lettera di quel bontempone di nome Rosam, che non riesco proprio a soffrire, non ti abbiano spaventato troppo – Come vedi, riesco a scrivere in modo impeccabile, e non ho nemmeno un po’ di febbre. Ho avuto un malheur con la pistola, tuttavia mi sono ferito leggermente e, siccome ero da solo a Lindenhof, ho preferito andare nell’ospedale qui vicino. E come Rosam ha saputo del fatto, si è subito messo a raccontare ogni possibile storia da idiota, allarmandomi alla follia – ora, non appena torno a Jena, ti racconto io la storia esatta – che è anche molto divertente». R. HEUER, F. KIND, op. cit., p. 140.
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giovane artista è preoccupato per la costante debolezza fisica, che gli impedisce di tornare a dipingere, nonché deluso per il fallimento dello Experiment Lindenhof.
Decide, quindi, di aggrapparsi alla scrittura per raccontarsi e rielaborare il proprio vissuto. In poco tempo compone la novella Der Selbstmörderwettbewerb, pubblicata l’anno seguente, suo unico testo edito. Auerbach rimaneggia inoltre le proprie memorie sul viaggio a Roma, che intitola RomWanderung, e lavora a una seconda novella, rimasta inedita, Das Kaleidoskop. Scrive anche alcuni articoli per la Deutsche Allgemeine Zeitung, racimolando così qualche soldo per non gravare economicamente sui suoi cari.401
In questo periodo, il giovane Ilmari riallaccia i contatti con un altro amico dei tempi di Weimar, il tipografo e illustratore Marcus Behmer, che sarà l’autore delle incisioni all’acqua forte dell’edizione del 1921 della novella grottesca, definita dallo stesso Auerbach «pazza» («verrückt»).402 Seguirà una seconda edizione nel 1927, poco rielaborata, corredata di cinque disegni a penna dell’illustratore e scrittore austriaco Alfred Kubin, disegni che verranno poi riproposti nella ristampa del 1995, edizione limitata di sole 350 copie numerate per la casa editrice berlinese Sirene. La Novella, scritta con uno stile manierista, ipotattico, altamente iconografico, si apre con l’incipit del narratore esterno, che presenta subito il tema centrale della narrazione: condannato in Europa, celebrato in Giappone, il suicidio è il protagonista di una competizione avvenuta in una città occidentale non specificata. All’incipit segue un articolo di giornale, che riporta il testo del bando di questo “Concorso dei suicidi” e la cronaca del giornalista.
Il milionario signor K. ha indetto, nella Sala del Tribunale della città, il giorno 21.VIII.19…, una gara tra dodici persone candidate a suicidarsi pubblicamente, davanti a un pubblico composto da parenti, amici, cittadini curiosi. In palio 50 milioni, da destinare in parte a un magnifico monumento funebre, in parte ai parenti rimasti in vita.
I candidati hanno a disposizione quindici minuti ciascuno per suicidarsi davanti a una giuria composta da due psichiatri, un notaio, un artista, un dottore e un giapponese, esperto in materia di suicidio. Il bando prevede anche la presenza di due boia, al fine di tramortire eventuali impostori o scongiurare tentativi malriusciti. Ogni candidato può portarsi un’arma da casa o scegliere tra quelle messe a disposizione dal signor K., ovvero il pugnale, che assicura il massimo punteggio, la corda o la pistola. Un ulteriore parametro di valutazione sarà l’attitudine del candidato, che non dovrà sfociare né nella totale apatia, né nell’esaltazione euforica, bensì essere votata alla calma, alla consapevolezza dell’azione intrapresa. È previsto, inoltre, un pranzo, ove candidati e giuria sono invitati a banchettare amabilmente mentre, per estrazione di numeri, si assegna l’ordine di esecuzione. Dopo la performance dei suicidi la giuria ha due ore di tempo per stabilire il vincitore e quindi procedere con la premiazione, la cremazione dei cadaveri e la truce esecuzione capitale degli impostori. A scanso di futuri equivoci, l’intero concorso viene filmato: siamo quindi in presenza dell’antenato più macabro di ogni futuro reality show, narrato o trasmesso.
La cronaca del Concorso è in prima persona: il reporter riferisce la propria inquietudine mista a curiosità nel presenziare a un simile evento, che descrive con dovizia di particolari. La Sala del Tribunale è afosa e gremita, illuminata da migliaia di riflettori, tutti puntati sull’arena al centro, arredata da uno spesso tappeto nero, delimitato da ringhiere in metallo, entro le quali si esegue il suicidio. Accanto a questo ring è preposto un tavolo rivestito di porpora, che offre una vasta scelta di pistole, corde, pugnali. Sullo sfondo, un enorme orologio scandisce le fasi del concorso, descritte nel bando in modo quasi maniacale, con le ripartizioni orarie riportate in forma frazionaria, proprio come Auerbach è solito fare nelle sue lettere.
Lo svolgimento del concorso, per quanto descritto con la rapidità di una macchina da presa, è ricco di colpi di scena, messe a fuoco, cambi di inquadratura. Il reporter – narratore interno – riporta la performance di ciascuno dei dodici candidati, fra cui una giovane fanciulla, d’eccezionale
401 Ivi, p. 151. 402 Ivi, p. 158.
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bellezza, un uomo in uniforme da marinaio, un giovane pallido, dallo sguardo fanatico, artisti decaduti, rivoluzionari falliti, manovali.403
Notiamo come anche il tema dell’artista decaduto e del fallimento siano un chiaro riferimento alla vita di Auerbach, dove si evidenzia, alla luce dei suoi carteggi, un alternarsi continuo di successi artistici e di momenti di crisi, trasferimenti e migrazioni.
Infatti, dopo la prima commissione importante a Merano, dove nel 1921 realizza il monumento funebre in onore del mecenate Karl Ernst Osthaus, fondatore del Folkwangmuseums di Essen, il nostro artista si sposterà a Kranichstein, vicino a Darmstadt. Qui, dall’ottobre 1922 al luglio 1925, vivrà assieme alla prima moglie Ingeborg Harnack, amica di gioventù, conosciuta dall’età di dieci anni, unione da cui nascono due figli, Wulf (1925) e Klaus (1926) Auerbach.
Ancora una volta gravato dai debiti, Ilmari è costretto a salutare moglie e figli per trasferirsi a Parigi, dove lavora per lo più come scultore per conto del mecenate Franz Pariser.404 Nel 1932, un anno dopo il fallimento del matrimonio con Inge, Auerbach rischia di rimanere coinvolto in un regolamento di conti, ed è quindi costretto a scappare da Parigi. Si reca a piedi ad Hamburg, dove si rende subito conto del clima di preparazione alla Machtergreifung da parte delle forze nazionalsocialiste. Gli amici che lo ospitano, oppositori antifascisti, hanno già iniziato a imbastire una prima rete di Resistenza, a cui subito aderisce anche Ilmari. Proprio perché agli esordi, questo gruppo di Resistenti è ancora disorganico, scompaginato. Il 10 luglio 1934 Auerbach viene arrestato e tradotto per la quarta volta nel campo di concentramento di Fuhlsbüttel, a nord di Hamburg. L’ultimo arresto avviene nel 1935 e l’anno seguente – sempre più preoccupato dal crescente clima antisemita – Auerbach decide di scappare all’estero assieme alla seconda moglie Ingeborg Fraenckel, storica dell’arte e futura psicoterapeuta. I due coniugi in esilio, dopo aver fatto tappa in Italia e a Cipro, raggiungono Londra nel 1938. Qui, con lo pseudonimo di John Allenby, il nostro artista collabora con il War Office fino al 1946, quando ottiene la cittadinanza inglese. Lavora come artista e scultore e insegna alla Oxford School of Arts fino al 1950, anno in cui muore d’infarto nella notte tra il 7 e l’8 febbraio.405 La scrittura, esplicitata nelle lettere alla madre e alla sorella Cora, sarà sempre una risorsa costante.
Desideriamo qui concludere riprendendo alcune parole di Johannes Ilmari Auerbach, che allora possiamo definire un attivo protagonista del Novecento proprio alla luce di questa vita così avventurosa e densa di colpi di scena, una vita vissuta appieno, nonostante il dolore, con l’arte e la scrittura quali sostegni imprescindibili, una vita che è l’effettiva risposta a quella promessa fatta a diciassette anni: «Ich werde Alles erleben».
403 J. I. AUERBACH, Der Selbstmörderwettbewerb, Berlino, Otto v. Holten Verlag, 1921, p. 4. 404 R. HEUER, F. KIND, op. cit., p. 228. 405 R. HEUER, F. KIND, op. cit., pp. 292-293.
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