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Evoluzione della NATO: dal 1949 verso il futuro
L’ Alleanza atlantica sta dimostrando una straordinaria resilienza, abbiamo quasi dimenticato che il suo Trattato istitutivo è sua immagine. Era diventata una Repubblica solo dal 1946 con una lieve maggioranza e rimaneva politicamente frammentato per la presenza di un importante stato firmato a Washington nell’aprile 1949, esatta- partito comunista. mente 72 anni fa. Allora i firmatari erano 12 inclusa In ogni caso si trattò di una decisione felice perché l’Italia. Per noi il ministro degli Esteri Carlo Sforza in- il paese entrava cosi a pieno titolo nel novero delle sieme all’ambasciatore Alberto Tarchiani. grandi democrazie occidentali. La classe politica al go-
Non si tratta di un volume complesso, ma di poche verno negli anni del dopoguerra fece la scelta di due pagine dove vengono ricordati in forma semplice i va- assi fondamentali di politica estera, vale a dire la coolori e gli interessi comuni e l’importanza della solida- perazione transatlantica e l’integrazione europea. rietà fra alleati, rappresentati in un Consiglio (North Non dimentichiamo poi che le nostre Forze armate Atlantic Council) con poteri di direzione. erano ridotte al minimo, male armate e addestrate.
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Eravamo ormai in piena Guerra Fredda e in quel- L’adesione all’Alleanza atlantica segnò una svolta l’epoca il timore era rappresentato da un’invasione del- radicale in questo settore, e soprattutto grazie all’aiuto l’Unione Sovietica verso l’Europa occidentale. Si degli Stati Uniti si andò verso un veloce ammodernaimmaginava che sarebbe avvenuto in Germania e ad- mento. L’interoperabilità con gli altri paesi alleati didirittura si prevedeva l’offensiva attraverso un territorio ventò una realtà visibile nella partecipazione, molto noto come Fulda gap. apprezzata, alle varie operazioni della NATO che si
Tutto questo non è avvenuto come ben sappiamo e pro- sono succedute. babilmente dobbiamo ringraziare l’Alleanza per questo. Le strutture diplomatico-militari vennero collocate
Un’altra cosa da non dimenticare è che la NATO ha a Parigi, dove rimasero fino alla fine degli anni Sescostituito per decenni un ombrello di protezione grazie santa, per poi trasferirsi a Bruxelles quando Manlio al quale l’Europa ha potuto risollevarsi dalle macerie Brosio era Segretario generale. di una guerra sanguinosa e devastante. Ne è seguito uno Nel giro di pochi anni l’Alleanza divenne l’organizsviluppo economico e sociale senza precedenti nella zazione di sicurezza di riferimento nel mondo, molto storia, che ha portato il nostro continente a essere il più prima che si pensasse a una dimensione di politica avanzato del mondo sotto tanti aspetti, tra cui la cura estera e di difesa dell’Unione europea. dei propri cittadini e i diritti umani.
L’espressione che caratterizzava quel periodo storico si chiamava «cortina di ferro» che divideva in due l’Europa. Un’espressione che viene da Winston Churchill in un suo storico discorso all’Università del Missouri.
Molto tempo è ormai passato, ma non bisogna tralasciare che il controllo sovietico si estendeva su diversi paesi dell’Europa centrale e orientale, dalla Germania dell’Est fino alla Bulgaria, passando per Polonia, Cecoslovacchia, Ungheria e Romania.
Un periodo storico di grande tensione dove l’Europa era in ginocchio per le conseguenze della devastante guerra mondiale e dove i partiti comunisti rimanevano forti anche in occidente.
L’Italia fece una scelta di campo difficile poiché era un paese uscito semi distrutto dalle ostilità, sconfitto e costretto a un cambio di alleanze che gravavano sulla
Manlio Brosio (Torino, 10 luglio 1897-Torino, 14 marzo 1980) è stato un politico e diplomatico italiano, segretario generale della NATO dal 1º agosto 1964 al 1º ottobre 1971 (wikipedia.it).
Non si può certo riassumere la Guerra Fredda in poche righe perché si trattò di un periodo durato due generazioni che si chiuse con il dissolvimento dell’Unione Sovietica e del Patto di Varsavia agli inizi degli anni Novanta.
Si può dire che i due principi essenziali di quei 40 anni su cui si basò la NATO furono la dissuasione unita al dialogo.
Un momento considerato importante di quel periodo fu il rapporto Harmel, ministro degli Esteri del Belgio, approvato alla fine del 1967, che esplicitava l’opportunità di mostrare una grande determinazione verso l’Unione Sovietica, cercando di coinvolgerla nello stesso tempo in un processo di distensione.
Fu in questo quadro che nacque il «programma scientifico» coinvolgendo scienziati sovietici in programmi comuni.
A questo si accompagnava un dialogo sul controllo degli armamenti che si protrasse negli anni e che produsse un numero importante di accordi fra le due superpotenze.
Per fortuna la Guerra Fredda non si trasformò mai in conflitto. La presunta invasione sovietica non si è verificata e alla fine sappiamo come sia andata. Il muro di Berlino cadde; rivoluzioni pacifiche si verificarono un po’ dovunque nell’Europa dell’Est e la stessa Unione Sovietica si dissolse. Oggi, ben nove paesi che venivano da quell’orbita sono membri della NATO e dell’Unione europea.
«Out of area or out of business»: questa frase di Lord Robertson, Segretario generale all’inizio del secolo, significava che la NATO deve adeguarsi ai tempi, non limitandosi più a difendersi da un attacco esterno, ma dovrebbe occuparsi di gestire crisi internazionali al di fuori del suo perimetro se vi è il consenso politico degli alleati.
La prima applicazione di questo principio si è avuta nella ex Jugoslavia a partire dai primi anni Novanta e possiamo citare l’operazione SHARP GUARD condotta dalla NATO nel mar Adriatico.
La crisi bosniaca sembrava interminabile e tutti i tentativi delle Nazioni unite di porvi termine erano falliti.
A questo punto intervenne la NATO, per la prima volta con un’operazione armata e al di fuori del suo perimetro territoriale. L’ottima gestione basata sull’interoperabilità e la sua credibilità militare portarono a un congelamento del sanguinoso conflitto e poi alla sua conclusione con gli accordi di Dayton del novembre 1995, tuttora in vigore.
Il nostro paese vi partecipò attivamente con degli importanti contingenti e da ultimo anche un battaglione di carabinieri (Multinational Specialized Unit).
Il test successivo fu l’operazione in Kossovo nel 1999. Essa è dovuta alle attività repressive e di pulizia etnica da parte di Milosevic in una regione abitata dalla minoranza etnica albanese. Il governo di Belgrado, dopo due mesi, fu costretto a gettare le armi e il Kossovo venne occupato da forze della NATO. Un’operazione che dura tuttora.
Diviso in cinque zone, all’Italia venne data la responsabilità della parte nord con il suo centro a Pec.
L’impegno della NATO nei Balcani non finisce qui perché nel 2001 fu chiamata a evitare una guerra civile in Macedonia fra maggioranza slava e la minoranza albanese. Dopo molte esitazioni, l’Alleanza intervenne con l’operazione Essential Harvest che riuscì a evitare un vero conflitto, obbligando le parti a un patto costituzionale.
Il vertice di Washington, nel 1999, approvò un nuovo concetto strategico, innovativo, che guardava alle nuove minacce come il terrorismo internazionale e che
L’evoluzione della NATO nel dopo Guerra Fredda è stata fortemente influenzata dagli eventi nei Balcani. E benché in ogni sua successiva riunione al vertice l’Alleanza abbia esteso le aree di interesse strategico e di impegno, i Balcani rimangono una regione di speciale importanza per l’Organizzazione. Nell’immagine: KFOR (Kosovo Force) provvede al trasporto per via aerea di aiuti umanitari in Albania (© KFOR) - (nato.int).
stabiliva il principio che la competenza della NATO poteva oltrepassare i confini naturali dell’Europa.
Queste decisioni anticiparono la reazione dell’Alleanza all’11 Settembre e all’attentato delle due torri di New York. Una volta accertato che al-Qaida, in altre parole il terrorismo internazionale, era autore dell’attacco, poté dichiarare formalmente che gli Stati Uniti erano attaccati dall’esterno e quindi scattava la clausola di solidarietà prevista dall’articolo 5 del Trattato di Washington.
Una dichiarazione storica e non senza conseguenze pratiche che prefigurava l’intervento della NATO in Afghanistan come anche l’operazione aeronavale ACTIVE ENDEAVOUR nel Mediterraneo in chiave antiterroristica. In Afghanistan, l’operazione iniziò l’11 agosto del 2003 per chiudersi il 31 dicembre 2014. Essa fu seguita dall’operazione Resolute Support dedicata esclusivamente all’addestramento e all’assistenza alle Forze armate afghane. Dopo molte riflessioni e pur consci dell’incertezza che circonda ancora il futuro del paese, il presidente Biden ha deciso il ritiro di tutte le forze americane entro l’11 settembre, a vent’anni esatti dall’attentato alle due torri.
Una decisione cui fa inevitabilmente seguito il ritiro degli altri contingenti alleati, tra cui quello italiano, basato a Herat e con la responsabilità di una vasta parte del paese verso i confini con l’Iran. L’aeronautica ha gestito per molti anni una base ad Abu Dhabi, essenziale per convogliare verso l’Afghanistan i mezzi provenienti dall’Italia.
L’Afghanistan fa quindi parte a pieno titolo della storia dell’Alleanza atlantica che si è confrontata con una missione difficilissima e molto costosa a migliaia di chilometri dall’Europa, con sfide nuove ed effettivi ridotti. Il bilancio complessivo è comunque positivo poiché sia la NATO sia l’Italia hanno svolto i propri compiti in maniera ammirevole.
Va ricordato che la responsabilità, sostenuta in modo eccellente, non riguardava la politica interna afghana e la guida del paese, ma la realizzazione di una «cintura di sicurezza» al cui interno potesse svilupparsi la ripartenza della società civile dell’Afghanistan, vittima di decenni di violenze di ogni genere.
Possiamo citare poi l’operazione OCEAN SHIELD che ha rappresentato il contributo internazionale della NATO nel combattere il fenomeno della pirateria, al largo delle coste del Corno d’Africa, tra l’agosto del 2009 e il dicembre del 2016.
Abbiamo detto che il trattato di Washington fu firmato il 4 aprile 1949 da 12 paesi e che attualmente il numero dei membri è salito a 30, il risultato di una politica denominata «open door policy».
Dopo la caduta del comunismo vi fu una vera corsa per aderire alla NATO. Si discusse a lungo anche al Congresso americano se fosse opportuno allargare l’Alleanza a paesi che non avrebbero dato contributi significativi dal punto di vista militare e si decise che le valutazioni di opportunità politica dovessero avere il sopravvento.
Anche i paesi dei Balcani che facevano parte della ex Jugoslavia entrarono gradualmente nell’Alleanza.
Nell’ordine vi hanno aderito Slovenia, Croazia, Albania, Montenegro, Macedonia del Nord. Nel frattempo si sono molto sviluppati i partenariati, a cominciare dalla «Partnership for Peace» che comprende vari paesi europei come Austria, Finlandia, Svezia e Svizzera.
Nella regione araba si sono sviluppati il «Mediterranean Dialogue» e la «Istanbul Cooperation Initiative». Questi partenariati hanno un potenziale per sviluppare positivamente istituzioni di difesa moderne in paesi alla ricerca di stabilità e spesso minacciati dal terrorismo.
Vediamo in conclusione che la NATO, che sembrava sul punto di sciogliersi alla fine della guerra fredda, viene ancora considerata lo strumento internazionale più efficiente nella gestione delle crisi.
A questo punto è necessario riflettere sulle nuove priorità. Il quadro di riferimento internazionale è sempre più complesso, si affacciano all’orizzonte nuove potenze e sfide tecnologiche verso cui bisogna prepararsi.
Dal punto di vista italiano possiamo essere soddisfatti del bilancio nazionale. Il nostro paese ha partecipato in modo significativo a tutte le operazioni condotte finora e ha dimostrato di essere perfettamente interoperabile con i maggiori paesi. Possiamo citare in primo luogo la Bosnia, il Kossovo e l’Afghanistan, dove l’Italia ha avuto la responsabilità di parti sostanziali del territorio dei paesi in questione. Durante le operazioni nei Balcani ciò ha avuto un parallelo poli-
tico entrando a far parte della consultazione ristretta del «Quint». Vale a dire insieme a Stati Uniti, Francia, Germania, Regno Unito.
Manlio Brosio è stato Segretario generale molto apprezzato per 7 anni fino al 1971, guidando la transizione dell’Alleanza da Parigi a Bruxelles. Va segnalato al riguardo che la Francia, che era uscita dalla dimensione militare con il generale De Gaulle, vi è rientrata nel 2009.
Nel corso degli anni abbiamo avuto diversi segretari generali delegati. Si tratta dell’unico ruolo che si alterna con il segretario generale alla presidenza degli organi dell’Alleanza. Chi scrive, per esempio, è stato incaricato di varie funzioni dalla riforma interna dell’Organizzazione alla razionalizzazione delle agenzie, di aprire e poi sostenere i partenariati con i paesi del Mediterraneo, del Golfo e con Israele. Da non dimenticare che la presidenza del Comitato Militare, prestigioso vertice di rappresentanza militare della NATO, è stata ricoperta due volte, prima dall’ammiraglio Venturoni e poi dall’ammiraglio Di Paola.
Un motivo di soddisfazione è la presenza a Roma del NATO Defense College, l’unica istituzione accademica e di alta formazione della NATO. Al College si sono avvicendati nel corso del tempo migliaia di ufficiali e di civili di alto livello. Nel 2011 è anche nata la sua Fondazione (Nato Defense College Foundation).
Il ministero della Difesa e lo Stato Maggiore gli hanno sempre assicurato il sostegno opportuno. Quest’anno il College compie 70 anni dalla sua istituzione e la significativa celebrazione della ricorrenza avverrà nel mese di novembre in modo ufficiale.
Possiamo quindi ripercorrere questi decenni con la soddisfazione di un lavoro ben svolto, quello di una grande democrazia che svolge con responsabilità il suo ruolo, che è un «fornitore di sicurezza» per la pace e la cooperazione internazionale.
Si apre ora una fase nuova, con un’amministrazione americana che vuole riprendere la cooperazione transatlantica e che crede nel valore delle alleanze ponendo di nuovo la NATO al primo posto.
La prima rappresentazione concreta di questo cambiamento è il vertice di Bruxelles, previsto per il 14 giugno di quest’anno, dove saranno poste le basi per un rinnovo dell’Alleanza nel suo funzionamento e si guarderà allo scenario strategico del futuro. Dove ormai è evidente che la regione dell’IndoPacifico assume un’importanza primaria e che la Cina pone una serie di interrogativi con la sua crescita economica, tecnologica e militare.
Nel 2020 è stato avviato un processo di riforma che si preannuncia molto ambizioso e di cui non possiamo ancora conoscere il punto di arrivo. Il Vertice di Londra del dicembre 2019 aveva accettato la proposta della Germania di creare un gruppo di riflessione ad alto livello con il compito primario di restituire all’Alleanza quella dimensione politica di ampio respiro che era andata gradualmente a perdersi con gli anni.
Vi è un generale consenso che la dimensione militare sia adeguata e che nel corso degli anni vari adattamenti abbiano consentito alla NATO di rimanere al passo coi tempi. Le operazioni che si sono succedute hanno mostrato efficienza e capacità di fare fronte a gravosi compiti intorno al mondo.
La dimensione politica ha aspetti molto importanti che vanno dal processo di decisione, al rapporto con il mondo esterno, alla creazione del consenso. È chiaro che l’ampliamento dell’Alleanza ha reso più difficile individuare priorità comuni e avere obiettivi condivisi da tutti. Anche la percezione delle minacce e della loro provenienza dipende in gran parte dalla
Il NATO Defense College (NDC) è una scuola militare internazionale della NATO, presso la città militare della Cecchignola a Roma. Dal 16 luglio 2019 il comandante dell’Istituto è il tenente generale Olivier Rittimann dell’Esercito francese (reportdifesa.it).
posizione geografica e dalla storia recente di ogni e si comporta sempre di più come una superpotenza. paese. Il rafforzamento della coesione interna è Una popolazione di un miliardo e mezzo di persone, quindi significativo e benvenuto. una crescita economica impetuosa, un livello di inve-
Il Gruppo ha consegnato il 25 novembre del 2020 il stimenti eccezionale nelle alte tecnologie, una dimensuo rapporto al segretario generale Jens Stoltenberg. sione militare in continua crescita, la rendono il primo Titolo Nato 2030: United for a new era. competitore al mondo per le democrazie occidentali.
Si tratta di un corposo documento che contiene una Quale strategia adottare? Non è chiaro quale sia la serie di utili riflessioni, che però devono essere distil- via migliore, e gli stessi paesi europei appaiono sorlate e trasformarsi in proposte operative. La procedura presi dalla velocità di questi sviluppi. Si sta svolgendo prevede che Stoltenberg prenda l’iniziativa per pro- in questi mesi una riflesporre un circostanziato processo di riforma al prossimo sione sull’atvertice dell’Alleanza, previsto il 14 giugno. teggiamento
Non sappiamo se la tempistica verrà rispettata poiché da tenere il processo appare molto verso Pecomplesso, con molte inco- chino. Verso gnite, che implicitamente ri- cui elementi chiede un processo di concreti di disconsultazione preventivo senso sono rappresentati per assicurare che l’eserci- dal trattamento di alcune zio abbia successo. minoranze, la violazione
Teniamo conto del fatto dello statuto di Hong-Kong che il Segretario generale e in generale il poco riha un ruolo centrale e che spetto di diritti umani. il suo attuale mandato Una possibilità cui si scade nel settembre del pensa è di stabilire dei par2022. Viene quindi natu- Report dell’Expert Group selezionato dal Segretario generale NATO volto a rafforzare la dimensione politica dell’Alleanza Atlantica (nato-int). tenariati con paesi dell’area rale pensare alla sua suc- come il Giappone, la cessione, una fase che ancora non si è aperta. Corea, l’Australia e la Nuova Zelanda. Comunque si
Chi scrive ritiene che sia giunto il momento di proporre tratta di una questione che è solo all’inizio e che si un segretario generale italiano. Manlio Brosio ha chiuso potrà sviluppare secondo linee diverse comprendendo il suo mandato oltre 50 anni fa e il nostro paese, membro aspetti complessi di diversa natura. fondatore dell’Alleanza ha tutti i titoli per pensare a un Concludendo, la storia riserva sempre sorprese e nome che possa rivestire la carica di numero uno. non finisce qui. Quello che possiamo osservare è cha
Come si è detto, le procedure interne rappresentano la NATO ha dimostrato un’inaspettata capacità di solo una parte della prospettiva futura. Esistono anche cambiamento e una notevole resilienza. Più volte, numerosi partner in varie parti del mondo, ormai una nella lunga storia dei suoi 72 anni, è sembrata sul quarantina, chiaramente con intensità ed enfasi diversi, punto di divenire inutile e poi ha mostrato di saper a seconda dei casi. Abbiamo citato il «Mediterranean cambiare volto e adeguarsi alle necessità. Uno dei Dialogue», la «Istanbul Cooperation Initiative», la detti correnti fra gli esperti della materia è che la vec«Partnership for Peace». chia Alleanza è guidata dalle necessità, dalle circo-
La dimensione nuova che sta emergendo è rappre- stanze, e non da un «disegno». sentata dall’Indo-Pacifico, regione in cui la NATO Essa rimane ancora oggi il maggiore contributore non si è mai affacciata, però diventata rilevante a alla sicurezza internazionale e, in questo senso, uno causa della Cina. In questi ultimi anni la Cina appare strumento molto utile al servizio del nostro paese. 8