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Le due navi del Principe Filippo

Due nuove vicende del 1941 e del 1943

Enrico Cernuschi

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Laureato in giurisprudenza, vive e lavora a Pavia. Studioso di storia navale ha dato alle stampe, nel corso di venticinque anni, altrettanti volumi e oltre 500 articoli pubblicati in Italia, Gran Bretagna, Stati Uniti e Francia dalle più importanti riviste del settore. Tra i libri più recenti «Gran pavese» (Premio Marincovich 2012), «ULTRA - La fine di un mito», «Black Phoenix» (con Vincent P. O’Hara), «Navi e Quattrini» (2013), «Battaglie sconosciute» (2014), «Malta 1940-1943» (2015), «Quando tuonano i grossi calibri», «Gli italiani dell’Invincibile Armata» (2016), «L’ultimo sbarco in Inghilterra, 1547» (2018) e «Venezia contro l’Inghilterra, 1628-1649» (2020).

Allievo, guardiamarina ed STV

Proveniente da una famiglia regale, quella di Grecia (a sua volta di origine danese), e squattrinata in seguito all’avvento, nel 1922, della Repubblica ellenica, il giovane principe entrò, nel gennaio 1939, nell’Accademia navale della Royal Navy di Dartmouth. Non era, nonostante le nobili origini, un raccomandato, ma buona volontà e tenacia non gli fecero certo difetto, tanto da risultare, al termine del primo anno di un corso accelerato equivalente ai contemporanei PN (Preliminari Navali) della Regia Marina, primo assoluto in graduatoria, venendo nominato guardiamarina. La nuova guerra con la Germania accelerò, naturalmente, tutto, e già nel gennaio 1940 fu imbarcato sulla nave da battaglia Ramillies per poi servire, via via a bordo di due incrociatori pesanti, nell’oceano Indiano. Destinato alla fine dell’anno a bordo della nave da battaglia Valiant, a quel tempo di

base ad Alessandria, ebbe il battesimo del fuoco davanti a Bardia alle 8 del mattino del 3 gennaio 1941 in occasione di un bombardamento costiero contro quella piazzaforte assediata da quasi un mese. Come avrebbe ricordato lui stesso, molti anni dopo, rimase impressionato dal fragore dei cannoni di grosso calibro delle corazzate, dalle vampe, dalle vibrazioni e dal rollio. Subito dopo, come raccontò molti anni dopo il Principe, secondo il suo stile pungente, gli italiani ebbero la sfacciataggine («had the effrontery»,) (1) «di rispondere al nostro tiro; era piuttosto interessante sentire i proietti che fischiavano sopra e finivano in acqua sollevando grandi colonne». Si trattava dei quattro cannoni da 120/45 della batteria Euro, recuperati da un cacciatorpediniere italiano danneggiato da un aerosilurante l’anno precedente e tornato in Italia per le riparazioni dopo aver sbarcato i propri due impianti binati di quel calibro e la centrale di tiro, destinando il tutto alla difesa dal mare di quel sorgitore, rimasto fino a quel momento indifeso da quel lato, a parte alcune mitragliere antiaerei da 13,2 mm. Il bombardamento, effettuato contemporaneamente al grande attacco da terra che doveva conquistare quella piazzaforte, era stato affidato, a giorno fatto, alle navi da battaglia Warspite, Valiant e Barham al doppio scopo di permettere l’osservazione del tiro da terra e di assicurare la necessaria sicurezza alle unità attaccanti. Bardia era già stata bombardata, infatti, 8 volte, tra il 14 dicembre 1940 e il 2 gennaio 1941, e la batteria Euro aveva danneggiato, col proprio fuoco, il cacciatorpediniere australiano Voyager, la cannoniera Aphis (in due distinte occasioni) e la gemella Ladybird (2). Contrariamente alle previsioni, però, gli italiani avevano modificato, nel frattempo, l’alzo di quei quattro cannoni da 120 riuscendo, in tal

modo, ad avere a portata le navi di linea britanniche. La reazione da terra arrecò sin dai primi colpi alcuni danni minori alle corazzate Warspite e Barham e la squadra da battaglia della Mediterranean Fleet accostò in fuori, allontanandosi dopo pochi minuti (3). Le truppe australiane e inglesi impegnate nell’attacco contro la cinta

Sopra e accanto: SAR, il Principe Filippo (al centro e vestito in bianco) mentre gioca, con altri ufficiali, sulla coperta della nave da battaglia

RAMILLIES in navigazione, nel febbraio 1940, nell’oceano Indiano.

A giudicare dai calzettoni a righe di un altro giocatore lo stile, già a quell’epoca, non era acqua (g.c. collezione David Zambon).

Mitragliera binata da 37/54 a bordo dell’incrociatore ABRUZZI nel luglio

1940 (Foto Castegnaro, collezione Cernuschi).

fortificata della piazza rimasero così senza più l’appoggio, diretto da terra, dei grossi calibri e gli ultimi caposaldi italiani caddero, infine, appena il pomeriggio del 5 dopo quelle che i britannici chiamano «zuffe tra cani». Il grande momento di quel giovane ufficiale, promosso sottotenente di vascello il 1o febbraio 1941, arrivò il 28 marzo 1941 in occasione dell’azione notturna di Capo Matapan. Preposto alla manovra dei proiettori di sinistra, SAR (di Grecia e Danimarca) Philip Battemberg (come si chiamava allora) illuminò dapprima l’incrociatore pesante italiano Fiume e, dopo la prima fiancata che aveva devastato quella nave, lo Zara. Ed è a questo punto che le recenti rivelazioni inglesi confermano, a nostro parere, quanto già ipotizzato su queste stesse pagine nel marzo scorso sulla solida (ma a quel tempo non ancora spiegata) base di un documento riservato dell’Ammiragliato riprodotto in originale. Contrariamente alla versione propagandistica subito elaborata dal grande romanziere inglese Cecil Scott Forester, «padre» del celebre comandante Hornblower, e ripresa, in seguito, da tutti, le navi britanniche non avrebbero riportato né danni né perdite, in quanto le unità italiane non reagirono, eccezion fatta, alcuni minuti dopo, per il cacciatorpediniere Alfieri, il quale tirò due salve con l’impianto prodiero da 120 mm contro il cacciatorpediniere australiano Stuart, senza effetto al pari del lancio di due siluri. Risulta anche che la Commissione d’inchiesta italiana raccolse, dopo la guerra, alcune testimonianze fatte da superstiti dello Zara i quali affermarono che una mitragliera binata da 37 mm di quella nave, rimasta efficiente dopo la prima, terribile fiancata tirata dal Barham, reagì, ma in assenza di conferme inglesi (il rapporto ufficiale pubblicato sul London Gazette, il Battle Summary del 1941 e la Naval Staff History del 1957, per tacere delle memorie dell’ammiraglio Cunningham e di altri autori) (4) i componenti della Commissione si limitarono a prenderne nota. Questa stessa notizia fu poi pubblicata nel 1977 dall’oggi scomparso Franco Gay (5) ma della cosa non si parlò più fino al 2013, quando chi scrive pubblicò, sulla base del documento originale riservato inglese poi ripreso dalla Rivista Marittima nel marzo di quest’anno, di quella stessa, modesta vicenda (6).

Non conosceremo mai in tutti i dettagli cosa avvenne effettivamente, quella notte senza luna, a Capo Matapan da una parte e dall’altra.

Oggi in merito a quell’avvenimento è disponibile un ulteriore frammento del mosaico e sappiamo, sulla base di quanto pubblicato tra il 9 e il 16 aprile 2021 dalla stampa del Regno Unito in occasione della morte del Principe, che subito dopo aver illuminato lo Zara, già colpito, il Flag deck e il signalling bridge del Valiant furono colpiti da una raffica sparata da un’unità italiana (il puntatore mirava, evidentemente, ai proiettori) che mancò di poco (e ne siamo lieti!) il futuro consorte della Regina Elisabetta: «He survived unscathed amid his shattered lights as enemy cannon shell ripped into his position (… ) The Duke later spoke of how he coped when his shipmates died or were wounded. “It was part of the fortunes of war”, he said. “We didn’t have counsellors rushing around every time somebody let off a gun, you know asking “Are you all right – are you sure you don’t have a ghastly problem?” You just got on with it» (7), ovvero: «Sopravvisse illeso tra i suoi proiettori in pezzi mentre i proietti del nemico laceravano la plancia (…) il Duca disse in seguito di come fece fronte mentre i suoi compagni erano morti o feriti: “Sono le sorti della guerra. Non avevano psicoterapeuti che ci correvano intorno in ogni momento, mentre la gente cadeva, chiedendo: Va tutto bene? Siete sicuri di non avere un brutto problema? Si andava avanti e basta». Parole del tutto in linea con lo

in Gran Bretagna, per passare in Servizio Permanente Effettivo, nel gennaio 1942, al termine di un corso accelerato nel corso del quale si classificò, nuovamente, primo in 4 dei 5 esami della Scuola comando. Fu quindi destinato, quello stesso mese, a bordo di un vecchio cacciatorpediniere, il Wallace, varato durante la Grande guerra e utilizzato per la scorta convogli lungo le coste inglesi del Mare del Nord. Le avventure non mancarono, da una collisione il 22 febbraio 1942 a danni causati da aerei tedeschi il maggio 1942 che immobilizzarono quell’unità, rientrata fortunosamente a rimorchio in patria e rimasta ai lavori per due mesi e Il cacciatorpediniere inglese WALLACE nel 1942. Forse la nave più brutta, oltre che di precaria mezzo. Filippo, evidentemente, non efficienza, della Royal Navy. Filippo continuava a non essere un raccomandato. Nella pagina accanto: il tenente di vascello Philip of Battenberg nel 1943 (Wikipedia); in basso: un bombardiere era un imboscato. Promosso tenente italiano Cant Z 1007 Bis nella colorazione mimetizzata per il bombardamento notturno ( Cielo, vol. 5, Bizzarri, Roma 1973). Dimensione di vascello il 16 luglio 1942, divenne il secondo di quel caccia nell’ambito stile inconfondibile del personaggio. In buona sostanza, di una Royal Navy già da oltre un anno sempre più a e parere dello scrivente che, per quanto l’armamento corto di personale. Una nuova, mai rivelata prima, viprincipale da 203 mm degli incrociatori italiani andati cenda, lo aspettava, però, di nuovo nel Mediterraneo. perduti in quell’occasione fosse brandeggiato, in quel momento, per chiglia (non essendo previsto, al di là di Un tenente ricco di fantasia un recentissimo esperimento iniziale, avvenuto appena L’invasione angloamericana della Sicilia, operazione pochi giorni prima, il tiro notturno di quelle armi) è ormai confermatasi decisiva per le sorti politiche dell’Italia di evidente che gli altri sistemi d’arma (ovverosia le batterie quell’anno, comportò, sin dal principio della programsecondarie da 100 mm e le mitragliere) erano, viceversa, mazione, partita alla fine del gennaio 1943, l’accettazione in stato d’approntamento, come d’altronde previsto da di un insolito livello di rischio per gli Stati Uniti e la Gran sempre dalle Norme di guerra della Regia Marina e come Bretagna. Sullo sfondo si stagliava, infatti, il timore di è, tutto sommato, logico. Le unità italiane furono — que- una pace separata russo-tedesca che avrebbe comportato sto sì — colte di sorpresa, ma i sopravvissuti alla prima, la successiva fine della guerra anglosassone in Europa e, micidiale fiancata di grosso calibro britannica (tirata, trat- secondo l’opinione giapponese, anche in Estremo Oriente tandosi di 381 mm, a circa 3.500 m, ossia a bruciapelo) sulla base di un compromesso generale (8). reagirono, non essendo certo impreparati ad assolvere, La Gran Bretagna riuscì a concentrare nel Mediterraneo, ufficiali, sottufficiali, graduati e comuni, i propri compiti per il 23 giugno 1943, rastrellandole attraverso tutti i tranel corso di un combattimento notturno. dizionali «Sette mari»: 6 navi da battaglia e 2 portaerei di

Allo stesso modo, per aver assolto in maniera effi- squadra grazie al contemporaneo prestito, da parte statuciente, e senza mai perdere il controllo della situazione, nitense, di 2 moderne navi di linea e, in seguito, di una poril proprio dovere, quel giovane ufficiale fu, poco dopo, taerei, inviate a Scapa Flow, oltre al distacco in Atlantico «Menzionato nei dispacci» tornando, l’estate successiva, della vecchia e appena ammodernata corazzata Nevada.

Allo scopo di mettere insieme le unità di scorta necessarie per i convogli d’invasione fu necessario utilizzare persino una flottiglia di vecchi cacciatorpediniere delle classi «V» e «W» del precedente conflitto mondiale, tra le quali anche il Wallace, destinato a proteggere la prima ondata da sbarco canadese all’estremità meridionale della Sicilia tra Pachino e Pozzallo. La notta tra il 10 e l’11 luglio 1943, primo giorno dell’invasione, il Wallace, isolato a causa di uno dei suoi periodici problemi con le macchine, fu attaccato e danneggiato da un solitario bombardiere. Alcuni incendi divamparono a bordo della silurante a causa dei near miss («Wallace having sustained some damage and being set ablaze in places») mentre il velivolo si allontanava. Mentre il personale di bordo provvedeva a spegnere le fiamme, tutti erano certi che quel bombardiere sarebbe tornato indietro, come infatti fece nel giro di 5 minuti. In questo arco di tempo quel giovane tenente di vascello propose al comandante Duncan Carson di gettare a mare una zattera con due boe fumogene e un fuoco a bordo e di allontanarsi brevemente a tutta velocità per poi rimanere immobili. Poteva funzionare, oppure no. Il comandante accettò l’idea e SAR riuscì a combinare tutto in quattro e quattr’otto. L’aereo, puntualmente tornato in zona dopo il proprio giro, lanciò le proprie residue quattro bombe contro quel galleggiante e, in seguito, tornò la calma. Il Wallace diresse a lento moto per Malta, dove trascorse una settimana ai lavori per poi rimpatriare in agosto.

Anche questa vicenda è stata resa di dominio pubblico recentemente (9) e ancora una volta si tratta di una novità e pure in quest’occasione nulla era stato riportato in merito a questo danneggiamento. Persino l’HM Ships damaged or Sunk By EnemyAction 3rd Sept. 1939 to 2nd Sept. 1945, un dattiloscritto del 1952 redatto a solo uso interno dell’Ammiragliato (10) tace al proposito. La circostanza è tanto più curiosa in quanto il velivolo che attaccò quel caccia era un Cant Z 1007 bis del Raggruppamento Bombardieri di Perugia armato con 8 bombe da 100 kg lanciate in due riprese apprezzando di averne piazzate 3 su una nave avversaria. In quella stessa notte 48 Ju 88 tedeschi attaccarono, a loro volta, le navi nel tratto di mare tra Augusta e Avola affondando la regolarmente illuminata nave ospedale Talamba. I tedeschi attaccarono a ondate avvalendosi dell’uso dei bengala, artifizi di cui erano, viceversa, privi gli aerei italiani e che non furono osservati dall’equipaggio del Wallace (11).

Il seguito delle vicende del giovane tenente e principe, destinato, nel febbraio 1944, al nuovo cacciatorpediniere Whelp, in quel momento verso la fine dell’allestimento, e destinato, in seguito, nell’Artico e, infine, nel Pacifico, sono note in quanto ricordate dalla stampa e dalla televisione in questi giorni, per tacere del seguito della sua storia d’amore regale.

Conclusione

Non bisogna stupirsi delle tante omissioni, più o meno rilevanti, nel racconto della storia della guerra navale nel Mediterraneo. Si tratta, per gli storici, di un continuo percorso alla ricerca della verità. Personalmente ritengo che Sua Altezza Reale il Principe di Galles abbia voluto, da perfetto gentiluomo quale è sempre stato, onorare l’impegno, cui tutti i marinai britannici erano tenuti in tempo di guerra (e anche dopo) a non divulgare alcunché quando il silenzio sugli avvenimenti era disposto dall’Ammiragliato, provvedendo, altresì, a sequestrare le fotografie, soprattutto quelle scattate durante le azioni, come era prassi a quel tempo per intuibili motivi di segreto militare. Nel contempo ha provveduto ad assicurare, dopo la propria morte, un racconto completo delle proprie vicende in occasione della redazione dei propri «coccodrilli» (12) con la medesima cura con cui ha organizzato le proprie (come sempre) sobrie ed eleganti esequie.

Tutto ciò conferma, dunque, la natura, sconfinata come il mare, della storia e dell’insegnamento, tanto per fare un esempio, di un illustre autore come Franco Bandini, già ospite sulle pagine della Rivista Marittima, nel 1964, nel corso di un libero (come è nelle immutate e immutabili tradizioni del mensile dello Stato Maggiore della Marina), serrato e prolungato dibattito intrattenuto niente meno che con l’ammiraglio Romeo Bernotti, fondatore dell’IGM

Come in ogni favola che si rispetti il coraggioso marinaio ricco d’immaginazione sposa, alla fine, la principessa. La corrispondenza tra i due iniziò nel corso della Seconda guerra mondiale e le imprese e la dedizione al dovere di Filippo, pressoché non reclamizzate, furono apprezzate da Giorgio VI, ufficiale di Marina a tutto tondo diventato Re per forza. Per la

fine del 1943, dopo il fortunato salvataggio del WALLACE, la carriera di

quel tenente di vascello ebbe un corso, finalmente, normale senza più il

timore di accuse di favoritismo (Corriere della Sera).

(oggi Istituto di Studi militari marittimi). Le conclusioni di quello storico e giornalista di vaglia erano state: «Nulla deve essere mai dato per scontato», e questa lezione (che è poi la legge e lo scopo stesso della storiografia) deve essere sempre la regola per tutti. 8

NOTE

(1) https://www.forces.net/news/prince-philip-duke-edinburghs-active-service-career (17 aprile 2021). (2) https://www.navy.gov.au�HMASVampire (21 maggio 2021), A. Cecil Hampshire, Armed with Stings, New English Library, Londra 1976, p.112. (3) Come scrisse il marinaio del Warspite Bernard Hallas: «… splinters hit the Barham and our ship but no serious damage had been done». (http://www.bbc.co.uk/ww2peopleswar/stories/322a4134232.shtml) (21 maggio 2021). (4) Tutti i testi in questione sono, peraltro, perifrasi del modello originario del 1941. (5) Franco Gay, Incrociatori pesanti classe Zara, Ateneo e Bizzarri, Roma 1977, p.53. (6) Enrico Cernuschi, I sette dello Zara, Lega Navale, ottobre-novembre 2013. (7) https://www.dailymail.co.uk/news/article-9456333/Price-Philip-dies-Sea-Lord-pays-tribute-highlights-role-Battle-Cape-Matapan.html; https://www.standard.co. uk/news/uk/italian-greece-pacific-edinburgh-westminster-b928802.html; https://www.belfasttelegraph.co.uk/news/uk/philip-mentioned-in-despatches-for-role-in-battle-of-cape-matapan-40293302.html; https://www.shropshirestar.com/news/uk-news/2021/04/09/philip-mentioned-in-despatches-for-role-in-battle-of-cape-matapan (10 aprile 2021). (8) Enrico Cernuschi e Andrea Tirondola, Comando Centrale, USMM, Roma 2018. (9) https://www.bbc.com/news/uk-10266717; https://www.businessinsider.com/prince-philip-helped-sink-enemy-ships-during-world-war-ii-2021-4?IR=T; https://www. navy.gov.au/media-room/publications/semaphore-vale-hrh-duke-edinburgh (10 aprile 2021). (10) TNA (ex PRO), ADM 234/444. (11) Alcuni autori hanno scritto di danni inferti, quella notte tra il 10 e l’11 luglio 1943, dai bombardieri tedeschi al monitore inglese Erebus presso Capo Passero, ma si tratta di un banale errore tipografico in quanto quella nave fu inquadrata da alcune bombe cadute vicino, lamentando 6 morti e 26 feriti, la notte sul 20 luglio 1943 mentre si trovava ad Augusta. Ian Buxton, Big Gun Monitors, Seaforth, Barnsley 2016, p.197. (12) Questo è il nome che si dà, in gergo giornalistico, ai necrologi dei personaggi importanti, articoli che ogni giornale deve tenere sempre pronti e che una volta si preparavano spillando una sopra l’altra, a mo’ di scaglie — appunto — di coccodrillo, delle schedine in cartoncino che riportavano tutti gli aggiornamenti del caso in merito al futuro, illustre scomparso.

FOCUSDIPLOMATICO

Il Papa in Iraq

20%), raccoglie oltre trecento milioni di fedeli, è

Della visita di Papa Francesco in Iraq è stato maggioritaria in Iran, in Iraq, in Afghanistan e ormai scritto e detto molto. Al di là dell’evidente e potente in termini relativi anche in Libano, e ha forti presenze messaggio di pace, convivenza e fratellanza nell’am- in Pakistan e in India, che costituiscono la maggiobito di valori comuni rivolto ai musulmani, sciiti e ranza di quei trecento milioni, oltre che in diversi altri sunniti, ai cristiani e alle altre denominazioni reli- paesi del Golfo e del Levante e nella diaspora, sopratgiose, cercherò di cogliere brevemente alcuni ele- tutto negli Stati Uniti e in Europa. menti riferiti al contesto politico regionale e alle sue Diversamente dai sunniti, con le conseguenze che vi più ampie implicazioni a livello globale. sono nella frammentazione dei messaggi e dei compor-

Tra i messaggi, oltre a quello rivolto ai «fratelli tamenti, gli sciiti hanno una gerarchia i cui vertici intutti» nel ricordo delle sofferenze cui sono stati sotto- terpretano in modo vincolante la Sha’ria. La diarchia posti dalla violenza dell’Isis, vi è anche quello del ri- dei luoghi santi di preghiera e di studio di Najaf in Iraq, getto comune e corale del terrorismo lanciato come in ove sono custoditi i resti di Ali, capostipite degli sciiti, segno di vittoria oltre e di Qom in Iran, ha subito una frattura con lo sviluppo che da Baghdad e Ur e il perseguimento da parte proprio da Mosul, dell’Ayatollah Khamenei ove il sedicente della dottrina del «velayat al Stato islamico aveva faqi» ovvero del primato nel insediato la sua ca- governo della cosa pubblica pitale e minacciava dei giureconsulti, interpreti il prossimo arrivo a della legge coranica e teologi. Roma. A questo si Najaf non ha aderito a questa è accompagnata dottrina che è invece alla base l’acquisizione for- della rivoluzione iraniana e male del riconosci- del sistema istituzionale che mento da parte Immagini che ritraggono alcuni momenti del viaggio apostolico di Sua Santità ne è derivato. Secondo al-Sidelle massime au- Francesco in Iraq (5-8 marzo 2021) - (1. ansa.it; 2. rainews.it; 3. nytimes.com). stani, gli sciiti non devono ritorità religiose e nunciare a far valere i loro istituzionali del paese del persistente ruolo dei cristiani valori, ma nel rispetto degli ordinamenti istituzionali in Iraq e in tutto il Medio Oriente. nei quali essi operano, attualmente consistenti in Iraq

L’incontro con il Grande Ayatollah al-Sistani e le nel sistema costituitosi dopo la caduta di Saddam Huspoche parole che ne sono uscite hanno molteplici va- sein. Quindi assenso a partiti di ispirazione confessiolenze. Oltre al riconoscimento di cui sopra, innanzi nale, come quelli che attualmente dominano la scena tutto quella scontata di essere il primo incontro a que- politica irachena, in alcuni dei quali la leadership vede sto livello di chi dello sciismo è il massimo espo- anche la presenza di esponenti religiosi, ma no all’asnente, sia pure in una sostanziale diarchia sunzione diretta da parte dell’autorità religiosa del concompetitiva con l’Ayatollah Khamenei in Iran, di cui trollo dello Stato come avviene invece in Iran. Tutti i vedremo i contenuti. E questo dopo i numerosi in- partiti sciiti iracheni vogliono la benedizione di al-Sicontri di Francesco con esponenti sunniti e in parti- stani ma lui è parco nel fornirla. E soltanto quando lo colare con il Grande Imam di al-Azhar, al-Tayyib. ritiene indispensabile in momenti cruciali per le sorti

Il dialogo interreligioso con l’Islam non può evi- del paese fa filtrare messaggi di cui tutti, anche la dentemente prescindere dalla componente sciita che, grande maggioranza dei non sciiti, riconoscono l’autoseppure minoritaria nell’ambito dell’Umma (circa il revolezza e a essi in qualche modo si adeguano. Lo si

Focus diplomatico

è visto nel processo di ricostruzione dello Stato iracheno quando ha chiesto e ottenuto, in primo luogo dagli americani allora assolutamente dominanti nel paese, che i trasferimenti di potere agli iracheni avvenissero sulla base di una costituzione deliberata da una Assemblea costituente eletta e che un Parlamento ugualmente eletto vi avesse un ruolo di primo piano. Impose questo senza mai accettare di incontrare esponenti americani. I soli diplomatici che incontrò furono i Rappresentanti speciali delle Nazioni unite, Viera de Mello e poi Staffan De Mistura, marcando la sua fiducia in una entità almeno teoricamente imparziale ed espressione della legalità internazionale.

Si è visto poi il suo ruolo cruciale di fronte all’attacco dell’Isis che nella fase iniziale aveva travolto le Forze armate irachene, con l’eccezione dei peshmerga curdi; alSistani invitò la popolazione, e in particolare i giovani, sciiti e non, a organizzarsi per combattere il nemico comune. Le milizie così costituite hanno operato per la difesa delle popolazioni (ve ne sono state anche cristiane e yazidi) e collaborato con le varie coalizioni messe in campo dalla comunità internazionale e con le forze regolari irachene man mano che queste si ricostituivano. Una parte di tali milizie è stata però organizzata o infiltrata dall’Iran. E gli appelli dell’Ayatollah, a che confluissero nella polizia e nell’Esercito iracheno o si sciogliessero, non hanno avuto che un parziale successo per le resistenze sia dei miliziani, sia di chi doveva assorbirli.

L’appello di Papa Francesco e al-Sistani, alla pace, era rivolto soprattutto a queste milizie, sostenute e usate dall’Iran quale mezzo di pressione sugli Stati Uniti e sul Governo iracheno che dal 2004 deve mantenere un delicato equilibrio tra americani e loro alleati occidentali da un lato e iraniani dall’altro. In questo quadro, ogni Primo ministro tra quelli che si sono succeduti, oltre al beneplacito diretto o indiretto di al-Sistani, ha dovuto avere di fatto il gradimento di Washington, il cui sostegno alle forze di sicurezza nella lotta all’Isis e non solo resta indispensabile, e di Teheran che, oltre alle milizie di cui ha il controllo, dispone nel governo e nel parlamento di personalità e gruppi a essa vicini spesso determinanti per le maggioranze necessarie alle decisioni da adottare.

Con il Papa, al-Sistani ha sottolineato, rendendolo noto, il valore dell’uguaglianza di tutti gli appartenenti alle diverse religioni quali titolari di una cittadinanza comune nell’ambito della Costituzione. Un richiamo quindi a un concetto fatto proprio da una Chiesa che, come disse Ratzinger, «è stata traversata dai lumi», con un implicito riconoscimento dei princìpi che sono alla base della laicità dello Stato. La visita di Francesco si è svolta mentre si stanno manifestando i segnali di una rinnovata politica mediorientale degli Stati Uniti. Il Primo capo di Governo arabo cui il presidente Biden ha telefonato è stato il Primo ministro iracheno Mustafa alKadhimi, a dimostrazione dell’importanza attribuita al paese e alla sua funzione in uno scacchiere nel quale è sentita l’esigenza di ricalibrare i rapporti con Arabia Saudita, Iran e Turchia.

Alla prima è stato indicato, con la pubblicazione del rapporto sull’assassinio di Khashsoggi e la sospensione delle forniture militari per la conduzione della guerra in Yemen, che l’alleanza non è senza condizioni. E all’Iran che, a ogni attacco da parte delle milizie sostenute da Teheran, sarà risposto in modo puntuale, ferma restando la disponibilità a ricomporre il JCPOA (Joint Comprehensive Plan Of Action) a certe condizioni.

Un aspetto centrale della visita di Francesco è stato

quello dell’unità tra le religioni abramitiche. Ma non può sfuggire il fatto che, nella celebrazione interreligiosa nella piana di Ur, non vi fosse alcun ebreo, sebbene il Papa abbia fatto riferimento a più riprese alla religione ebraica. Fino alla Seconda guerra mondiale, gli ebrei costituivano una parte consistente della popolazione irachena. Tra il 20 e il 30% a Baghdad, Mosul e Kirkuk. Il primo esodo vi fu durante il governo filoasse nel 1940-41, prima della ripresa del controllo di Baghdad da parte dei britannici e dei loro alleati iracheni. Altri esodi seguirono scanditi dalle successive guerre arabo-israeliane dopo la costituzione dello Stato di Israele, con una intensità crescente durante il regime baathista. Oggi sono rimasti pochi anziani individui dispersi. Non è stato evidentemente possibile far giungere esponenti religiosi ebrei da fuori. Non tra quelli legati a Israele e al sionismo, non tra quelli, poco più di una decina di migliaia, che in Iran hanno una rappresentanza nel parlamento, come una sorta di «specie protetta» da esibire, ma costretti a professioni di antisionismo e, durante la presidenza di Ahmadinejad, perfino di ridimensionamento se non di negazione dell’olocausto. Nel sorvolare Israele, Francesco ha inviato il consueto amichevole messaggio di saluto al capo dello Stato. Il presidente Rivlin gli ha risposto di essere commosso dalle parole di vicinanza del Papa a Israele, affermando di essere con lui «in stretto e caloroso contatto». È facile far incontrare ebrei e musulmani in Europa. Non lo è ancora in gran parte del Medio Oriente, anche se l’altro richiamo ad Abramo, quello degli accordi tra alcuni paesi arabi e Israele, può forse contribuire, se tali accordi fossero bene utilizzati, a riaprire una strada e far tornare lo spirito che prevaleva ormai quasi trent’anni fa dopo gli accordi di Oslo, poi andato perduto. La ferita della questione palestinese è ancora aperta per quanto la si voglia sottovalutare. È da sperare che l’amministrazione Biden e gli europei, con il concorso degli altri membri permanenti del Consiglio di sicurezza e il coinvolgimento dei paesi della regione, possano riavviare un processo al quale anche lo spirito con il quale si è svolto il pellegrinaggio di Francesco possa contribuire.

Dal lato iraniano l’unico commento che si è potuto finora trovare è quello di un portavoce del Parlamento secondo il quale se oggi il Papa ha potuto effettuare la sua visita pastorale in Iraq è grazie all’azione del generale Qasem Soleimani e delle unità di mobilitazione popolare irachene da lui sostenute per l’eliminazione dell’Isis.

Maurizio Melani, Circolo di Studi Diplomatici

L’ambasciatore Maurizio Melani è stato direttore generale per la Promozione del sistema paese del ministero degli Esteri, ambasciatore in Iraq, rappresentante italiano nel Comitato politico e di sicurezza dell’UE, direttore generale per l’Africa, ambasciatore in Etiopia, capo dell’Ufficio per i rapporti con il parlamento nel Gabinetto del ministro degli Esteri, capo della Segreteria del sottosegretario di Stato delegato alla cooperazione. Ha prestato servizio nella Rappresentanza permanente presso la CEE, nelle ambasciate ad Addis Abeba, Londra e Dar es Salaam e nelle Direzioni generali dell’Emigrazione, degli Affari politici e degli Affari economici. Docente di Relazioni internazionali e autore di libri, saggi e articoli su temi politici ed economici internazionali. Il Circolo di Studi Diplomatici è un’associazione fondata nel 1968 su iniziativa di un ristretto gruppo di ambasciatori con l’obiettivo di non disperdere le esperienze e le competenze dopo la cessazione dal servizio attivo. Il Circolo si è poi nel tempo rinnovato e ampliato attraverso la cooptazione di funzionari diplomatici giunti all’apice della carriera nello svolgimento di incarichi di alta responsabilità, a Roma e all’estero.

OSSERVATORIOINTERNAZIONALE

Stati Uniti: molte flotte, ma abbastanza navi?

L’evoluzione della situazione nelle regioni dell’Asia sta portando a importanti cambi nella struttura militare statunitense. Una di queste è l’ipotesi, discussa da diversi mesi, della riattivazione della 1st Fleet dell’US Navy. L’idea, lanciata dall’ex segretario alla Marina durante l’amministrazione Trump, Kenneth Braithwaite, è ancora allo studio, secondo l’ammiraglio John Aquilino, comandante della Pacific Fleet (che coordina la 3rd, 7th Fleet e i comandi navali del Giappone, Corea e Marianne), che sta studiando i pro e contro del ripristino della 1st Fleet, e l’ammiraglio Phil Davidson, il CinC dell’Indo-Pacific Command, lo ha confermato. La possibile riattivazione della flotta, che è stata disat-

tivata negli anni Settanta, era stata annunciata a novembre scorso da Braithwaite, con l’obiettivo di ridurre il gap geografico esistente tra la 5th e la 7th Fleet e rinforzare la presenza statunitense nel Mar Cinese Meridionale, dove si registrano crescenti attività militari cinesi, sempre più minacciose verso vecchi e nuovi amici di Washington, quali Filippine e Vietnam. I due ammiragli, Davidson e Aquilino, rispondevano ai deputati del Congresso che volevano ragionare sulle opportunità, costi, opzioni e vantaggi nello (ri)schierare la futura Prima flotta tra gli oceani Indiano e Pacifico. A prima vista, la costituzione della nuova flotta renderebbe meno pesante il carico operativo della 7th Fleet, che è la maggiore come dimensioni numeriche dell’US Navy e che copre un’area vastissima, dall’India alle Curili e con diversi punti di tensione, dalle isole Spratley allo stretto di Taiwan, alle isole contese tra Corea del Sud, Cina e Giappone; la prospettiva di incremento delle attività è oramai una realtà che deve essere affrontata. La 1st Fleet, che è stata operativa tra il 1943 e il 1973, potrebbe situare il suo comando a Singapore o in Australia settentrionale (un’ipotesi potrebbe essere Darwin). Ma il Pacifico non è il solo scacchiere che vede la ripresa delle attività dell’US Navy, testimoniata dalla recente riattivazione della 2nd Fleet, per fronteggiare l’insidiosa crescita della presenza della Marina russa che, sebbene non paragonabile in termini quantitativi a quella cinese, rappresenta un altro elemento di attenzione e vigilanza. Il problema vero, secondo molti analisti ed esperti militari o civili che siano, non è la ristrutturazione della rete dei comandi e la costituzione di nuove architetture operative, ma dotare queste nuove entità di risorse adeguate, quali portaerei, incrociatori, caccia, sottomarini e unità di supporto e sostegno.

L’ammiraglio John Aquilino, comandante della Pacific Fleet, che coordina la 3rd, 7th Fleet e i comandi navali del Giappone, Corea e Marianne (lefigaro.fr). L’Egitto guarda al Sahel e ribadisce il sostegno ai paesi del G5

Nel mese di marzo scorso l’Egitto ha partecipato alla seconda riunione ministeriale dell’Alleanza per il Sahel, che mira a sostenere i cinque paesi contro l’in-

Il vice ministro degli Esteri egiziano, con delega per gli affari africani, Hamdy Loza (sis.gov.eg).

sicurezza e l’estremismo crescente nella regione. Il vice ministro degli Esteri, con delega per gli affari africani, Hamdy Loza ha ribadito il sostegno dell’Egitto ai paesi del Sahel a livello bilaterale e regionale. Loza ha ricordato che le questioni relative al Sahel erano state affrontate durante una sessione al Forum di Assuan, che si è tenuta dal 1o al 5 marzo, affermando che le conclusioni e le raccomandazioni di questa sessione saranno fornite prossimamente al segretariato dell’Alleanza. La riunione ha adottato una roadmap per sostenere i cinque paesi — nella lotta al terrorismo — rafforzando le capacità militari degli eserciti nazionali e delle forze congiunte, nonché consolidando le agenzie statali locali. Il gruppo dei paesi del Sahel —

denominato G5 Sahel — comprende Mauritania, Mali, Burkina Faso, Niger e Ciad. È stato istituito dai cinque paesi a Nouakchott, in Mauritania, nel febbraio 2014 per promuovere lo sviluppo economico e la sicurezza nella regione, nonché per combattere la crescente minaccia del terrorismo. I cinque paesi stanno affrontando molte sfide, inclusa l’insicurezza, estremismo crescente e la mancanza di prospettive economiche. Nel 2017, Francia, Germania e Unione europea hanno annunciato il lancio della Sahel Alliance per sostenere i cinque paesi. Ma, perché il crescente interesse egiziano per il Sahel? Già il rafforzamento della partecipazione di militari del Cairo alla missione ONU in Mali, la MINUSMA, aveva fatto intuire un nuovo orientamento strategico del presidente-feldmaresciallo Al-Sisi; ora l’appoggio aperto al G5S conferma questa linea. L’Egitto vuole consolidare la sua presenza nel Sahel e tagliare la strada a ogni penetrazione turca nella regione, anticipando i tempi e presentarsi, già solidamente, ai deboli Stati locali. L’annunciata stabilizzazione libica sembra far emergere un ruolo piuttosto forte di Ankara in Africa settentrionale ed Erdogan vuole approfittare della sua presenza per proiettare ulteriormente i suoi progetti di espansione politica, economica e militare nel Sahel, e oltre. Quindi, visti i rapporti quanto meno freddi tra Turchia ed Egitto, Il Cairo cerca di anticipare i tempi e sigillare le spinte di Ankara. Al momento sembra che Il Cairo punti moltissimo sulla dimensione militare, mentre la Turchia punta anche alla dimensione economica e finanziaria, maggiore di quella egiziana. Al-Sisi vede con preoccupazione la prospettiva della riduzione del peso del generale Haftar nella nuova architettura libica e la possibilità del disarmo delle sue milizie (in realtà un vero e proprio esercito, dotato sia di forze aeree e navali e assistito da robusti nuclei di istruttori e consiglieri stranieri) significa che l’idea di Cirenaica «cuscinetto» è assai indebolita e il confine e gli interessi egiziani potrebbero vedersi sia esposti, sia minacciati. Inoltre, viste le difficili relazioni di Francia, Germania e UE con la Turchia, la presenza di un partner anti Ankara potrebbe essere guardata con interesse, anche perché Il Cairo è oramai diventato uno dei maggiori acquirenti di armamenti dell’intera regione e la sua presenza nel Sahel potrebbe esserne facilitata.

Il presidente egiziano Al-Sisi «vede con preoccupazione la prospettiva della riduzione del peso del generale Haftar nella nuova architettura libica e la possibilità del disarmo delle sue milizie (…)» (Fonte immagine:

neewsweek.com). Accanto: il logo della Sahel Alliance, una piattaforma di cooperazione internazionale per fare di più e meglio nella regione del Sahel . (alliance-sahel.org).

India e Stati Uniti rafforzano i legami di difesa

A fronte dell’attivismo cinese, gli Stati Uniti moltiplicano le interazioni con i potenziali avversari di Pechino, in primo luogo con l’altra potenza maggiore dell’Asia continentale, l’India. Funzionari del dipartimento della Difesa statunitense e del ministero della Difesa di New Delhi si sono riuniti nel mese di marzo

scorso per discutere come espandere il loro impegno militare, sottolineando il rafforzamento dei legami di difesa tra i due paesi, preoccupati per la crescente influenza della Cina nella regione indo-pacifica. Il segretario alla Difesa degli Stati Uniti, Lloyd Austin e il ministro della Difesa indiano Rajnath Singh si sono incontrati a Nuova Delhi e hanno deciso di approfondire la cooperazione in materia di difesa, la condivisione di informazioni e la logistica. «L’India è un partner sempre più importante nelle dinamiche internazionali in rapido mutamento. Riaffermo il nostro impegno per un partenariato globale per la difesa lungimirante con l’India come pilastro centrale del nostro approccio alla regione indo-pacifica», ha affermato Austin, che ha effettuato la prima visita in India di un membro di spicco dell’amministrazione Biden. La sua visita ha seguito un incontro tra i leader di Australia, India, Giappone e Stati Uniti, che insieme costituiscono le quattro nazioni indo-pa-

cifiche conosciute come QUAD. Il QUAD è visto come un contrappeso alla Cina, che secondo i critici sta mostrando la sua forza militare nel Mar Cinese Meridionale e Orientale, nello Stretto di Taiwan e lungo il confine settentrionale con l’India, senza contare le pressioni interne verso le popolazioni del Turkestan orientale, Tibet, Hong Kong e altre minoranze etnicoreligiose. La Cina ha definito il QUAD come un tentativo di contenere le sue legittime e pacifiche ambizioni e aspirazioni. La controparte indiana di Austin, Rajnath Singh, ha affermato che i colloqui si sono concentrati su come espandere l’impegno militare comune. Gli Stati Uniti apertamente considerano di espandere il QUAD con altri Stati che si sentono minacciati dalla pressione cinese, ma Pechino, come spesso accade, utilizza la dimensione economica per tacitare le preoccupazioni nel settore della sicurezza, e nuove adesioni al QUAD, se e quando avverranno, saranno il risultato dell’intenso lavoro diplomatico di Washington. Austin, a Nuova Delhi, ha incontrato anche il primo ministro Narendra Modi e il consigliere per la sicurezza nazio-

nale Ajit Doval. Secondo una dichiarazione dell’Ufficio del Primo ministro, Modi ha delineato la sua visione per il partenariato strategico tra i due paesi e ha sottolineato l’importante ruolo della cooperazione bilaterale di difesa tra India e Stati Uniti. Prima dei colloqui, Austin ha visitato il National War Memorial e gli è stata accordata una guardia d’onore cerimoniale, un importante cambio di stile verso diversi suoi predecessori, ricevuti sempre con una certa freddezza, da Nehru a seguire. La tempistica della visita di Austin, che segue i colloqui tra alti funzionari statunitensi e cinesi in Alaska con un duro scontro verbale, segnala l’importanza che Biden attribuisce a New Delhi come alleato per la sicurezza regionale e globale. Gli Stati Uniti e l’India hanno costantemente intensificato le loro relazioni mi-

«Il segretario alla Difesa degli Stati Uniti, Lloyd Austin e il ministro della Difesa indiano Rajnath Singh si sono incontrati a Nuova Delhi e hanno deciso di approfondire la cooperazione in materia di difesa, la condivisione di informazioni e la logistica» (Fonte immagini: washingtonpost.com; twitter.com).

litari negli ultimi anni e hanno firmato una serie di accordi di difesa che hanno approfondito la loro cooperazione militare. Nel 2019, le due parti hanno concluso accordi di difesa per un valore di oltre 3 miliardi di dollari. Il commercio bilaterale per la difesa è aumentato da quasi zero nel 2008 a 15 miliardi di dollari nel 2019. Il partenariato per la sicurezza Stati Uniti-India gode di un forte sostegno bipartisan a Washington ed è cresciuto in modo significativo dall’inizio degli anni Duemila, anche se gli accordi commerciali sono stati un punto critico. Ma negli ultimi anni le relazioni tra i paesi sono state guidate da una convergenza di interessi per contrastare la Cina. Occasionalmente Washington, più per ragioni commerciali, velatamente fa valere l’ipotesi di sospendere la fornitura di armi all’India, per spingere New Delhi ad acquistare più sistemi d’arma di produzione statunitense e diventarne il primo fornitore (viste le dimensioni dell’apparato militare indiano, una completa sostituzione dei sistemi d’arma di produzione russo/sovietica è un programma enorme e, al di la dei costi, a cui pure l’India potrebbe far fronte tranquillamente, richiederebbe molto tempo) Recentemente, l’India si è avvicinata agli Stati Uniti dopo il suo stallo militare durato mesi con la Cina lungo il confine conteso nel Ladakh orientale, dove l’anno scorso sono scoppiati scontri a fuoco fra truppe indiane e cinesi. Le tensioni tra i giganti asiatici dotati di armi nucleari si sono allentate dopo che i due paesi hanno ritirato le loro truppe dall’area contesa. Anche se le tensioni militari tra i due vicini in quel momento avevano alimentato i timori di un confronto più ampio, Austin in una conferenza stampa, tuttavia, affermava che gli Stati Uniti non hanno mai considerato che l’India e la Cina fossero sulla soglia della guerra.

Conflitto in Mozambico: nuove e vecchie presenze

Il verticale incremento degli attacchi dei militanti islamisti nella provincia settentrionale del Mozambico di Cabo Delgado ha costretto il governo di Maputo a rivalutare la sua strategia contro l’insurrezione armata, che ha mostrato tutti i suoi limiti. Sull’onda dell’emergenza, il governo mozambicano ha chiesto a Stati Uniti e Portogallo (ex potenza coloniale sino al 1975) l’invio urgente di consiglieri militari a sostenere le proprie Forze armate nel conflitto. L’accordo tra i governi di Mozambico, Portogallo e Stati Uniti prevede che i soldati portoghesi e americani addestrino le forze locali che combattono la milizia di Al-Shabaab. Chiaramente, gli Stati Uniti stanno cercando di estendere la loro influenza in una zona dove erano poco presenti, ma il conflitto, pur semplificato dalla presenza delle milizie islamiste, ha ragioni ben più antiche e profonde e che ripropone la debolezza di molti Stati africani che gestiscono penosamente l’ordinario e alla prima crisi collassano. La presenza delle milizie islamiste, largamente inquadrate da elementi degli Al-Shabaab somali e altri provenienti dalla galassia dell’IS, si aggiunge a un terreno reso fertile da un conflitto civile già in corso durante la guerra di indipendenza contro il Portogallo (la nota contrapposizione FRELIMO e RENAMO) e risolto solo in apparenza. Questa situazione, dove rivalità personali, differenze tribali e interessi economici e strategici esterni, unita a una governance a dir poco scadente da parte del governo mozambicano, hanno creato un groviglio difficile da districare e in cui la galassia islamica ha trovato spazio. Come accennato, anche il Portogallo, l’ex potenza coloniale del Mozambico, si è impegnato nell’addestramento del personale militare locale con l’invio di una cinquantina di istruttori per fucilieri di marina e commando. Sebbene il governo del Mozambico sia stato reticente a riconoscere la loro presenza, nella regione operavano contractor militari privati insieme alle sue forze di sicurezza. Inizialmente nel 2019, gli operatori del gruppo russo Wagner e più recentemente, il Dyck Advisory Group (DAG) sudafricano, entrambi con scarsi risultati. Inoltre, un recente rapporto di Amnesty International ha denunciato abusi dei diritti umani commessi a Cabo Delgado che avrebbero coinvolto gli operatori di questo gruppo e le forze governative nelle uccisioni illegali di civili. Cabo Delgado, nonostante sia una regione di grandi potenzialità economiche ha vissuto a lungo nell’instabilità, e la recente ondata di violenza legata agli islamisti è iniziata nel 2017. È una regione con alti livelli di povertà e ci sono rimostranze per l’accesso alla terra e al lavoro. Ma l’importanza di Cabo Delgado per il governo, ulteriore motivo di lamentela locale, risiede nelle ricche

riserve di gas naturale off-shore attualmente in fase di esplorazione in collaborazione con società energetiche multinazionali. Proprio questa situazione avrebbe facilitato il successo degli Al-Shabaab nel reclutare giovani desiderosi di unirsi a essi. Nel corso del 2020 sono stati registrati quasi 600 incidenti violenti (uccisioni, decapitazioni e rapimenti). Gruppi per i diritti umani hanno segnalato la vasta distruzione di edifici in tutto il Mozambico settentrionale da parte dei militanti. Secondo l’UN OCHA (Office for the Coordination of Humanitarian Affairs) l’instabilità legata a questa ondata di violenza ha portato quasi 700.000 persone a lasciare le proprie case nelle province di Cabo Delgado, Niassa e Nampula, solo nel 2020.

Congo-Ruanda: inizio di una storica intesa

Mentre gli Stati Uniti hanno incluso le Allied Democratic Forces (ADF), che operano nella Repubblica Democratica del Congo (RDC), come gruppo terroristico che ha giurato fedeltà allo Stato islamico (IS), il rapporto tra questo gruppo e l’IS stesso rimane poco chiaro. Dall’aprile 2019, l’organizzazione terroristica ha rivendicato la responsabilità di un numero crescente di attacchi nell’est del paese, aggiungendo con le sue feroci incursioni un altro elemento di instabilità in quelle disgraziate terre e per quei popoli in difficoltà. Ma, la realtà della sua relazione e del suo coinvolgimento a fianco delle ADF è oggetto di studi, analisi e dubbi. Secondo il dipartimento di Stato, operando principalmente nella regione di Beni (Nord Kivu), le ADF sarebbero responsabili di più morti civili (37%) rispetto a qualsiasi altro gruppo armato nella regione. Sebbene il presidente della RDC, Félix Tshisekedi, affermi che l’ADF aderisce all’ideologia terroristica sostenuta dallo Stato islamico, il gruppo di esperti delle Nazioni unite sul rapporto del dicembre 2020 della RDC afferma di non essere stato in grado di confermare alcun legame diretto tra le due organizzazioni, mentre è sicuro che si tratti di un gruppo armato che è coinvolto in altre attività illegali e terribili violenze contro le popolazioni civili. L’inclusione dell’ADF nella galassia islamista ha avuto come immediato risultato la crescita esponenziale degli aiuti militari statunitensi. Come accade spesso in questi scenari, la focalizzazione esclusivamente securitaria, indebolisce altri approcci che potrebbero semplificare situazioni in essere (e la RDC, ex Zaire, è in crisi profonda dagli inizi degli anni Novanta). Quindi, se si percepisce che

la minaccia provenga da un gruppo estremista islamista armato, è più probabile che si utilizzi un approccio puramente militare per risolvere il problema. Per esempio, sostenendo l’Esercito congolese, o accettando o addirittura incoraggiando la collaborazione con i vicini Uganda e Ruanda nelle operazioni militari. Nonostante la sua debolezza, lo Stato congolese è un attore chiave nella parte orientale del paese. Proprio la sua debolezza, e talvolta la complicità di suoi elementi con realtà illegali o ribelli, può esacerbare i conflitti locali. Più ci si affida esclusivamente a una risposta militare, più si rischia di minare la responsabilità dello Stato nei confronti dei propri cittadini. Lo stesso vale per il caso

Il presidente della Repubblica Democratica del Congo Félix Tshisekedi e, in basso, Paul Kagame, presidente ruandese. I due paesi, da diversi mesi, stanno adottando una strategia comune sulla questione della sicurezza, a cominciare dalla sorveglianza delle frontiere (Fonte immagini: bbc.com; twitter.com).

dell’Uganda, dove il presidente Museveni ha cercato a lungo di spazzare via le critiche al suo autoritarismo sostenendo le potenze occidentali nella loro lotta contro l’Islam radicale in Africa. Come spesso accade in Africa, le situazioni locali sono eredi non solo del colonialismo e neocolonialismo, ma anche di dinamiche ben più antiche, quali il tribalismo e ataviche rivalità. Ma la minaccia dell’ADF ha obbligato i due vicini, che per anni si sono mutualmente accusati di ogni nefandezza, come la RDC e il Ruanda, a sviluppare una strategia congiunta di fronte all’insicurezza nella RDC orientale. I responsabili delle forze di difesa e di sicurezza del Ruanda e della RDC si sono incontrati a Kinshasa. In questa occasione sono state prese diverse decisioni importanti. Durante questo incontro, che si è tenuto dal 15 al 19 marzo scorso, François Beya, il «Mr. Security» del presidente Tshisekedi e Jean Bosco Kazura, il Capo di Stato Maggiore delle Forze di difesa ruandesi (RDF), hanno sviluppato le decisioni prese durante la riunione precedente, tenutasi tra il 12 e il 14 febbraio a Kigali, con alti funzionari, per mettere a punto una strategia comune sulla questione della sicurezza dei loro due paesi, a cominciare dalla sorveglianza delle frontiere. Le due riunioni, epocali, per il vissuto dei due Stati vicini, rappresenta che a volte, minacce comuni possono essere l’avvio di un dialogo.

Un nuovo strumento per l’UE

L’UE si è dotata di un nuovo strumento finanziario che dovrà coprire e sostenere tutte le sue azioni esterne che hanno implicazioni militari o di difesa nell’ambito della politica estera e di sicurezza comune (PESC). Il Consiglio europeo ha istituito l’European Peace Facility (EPF), un fondo fuori bilancio del valore di circa 5 miliardi di euro per il periodo 2021-27, da finanziare attraverso i contributi degli Stati membri dell’UE. L’obiettivo finale dell’EPF è migliorare la capacità dell’UE di prevenire i conflitti, preservare la pace e rafforzare la stabilità e la sicurezza internazionali. Lo farà consentendo all’Unione di aiutare meglio i paesi partner, sostenendo le loro operazioni di mantenimento della pace o contribuendo ad aumentare la capacità delle loro Forze armate di garantire la pace e la sicurezza sul loro territorio nazionale, nonché attraverso azioni più ampie di natura militare/di difesa a sostegno degli obiettivi della PESC. «Una pace duratura può essere costruita solo investendo nella stabilità e sicurezza internazionale. L’UE ha la volontà e, da oggi, i giusti strumenti finanziari per farlo. Il Fondo europeo per la pace ci consentirà di sostenere concretamente i nostri paesi partner nell’affrontare le sfide alla sicurezza», ha così affermato Augusto Santos Silva, ministro degli Affari esteri del Portogallo, presidente di turno del Consiglio. Lo strumento dovrà consentire all’UE, per la prima volta, di integrare le attività delle sue missioni e operazioni di politica di sicurezza e di difesa comune (PSDC) nei paesi ospitanti, con misure di assistenza. Queste misure possono comprendere la fornitura di attrezzature, infrastrutture o assistenza militare e di difesa, su richiesta di paesi terzi o organizzazioni regionali o internazionali. Le misure di assistenza saranno inserite in una strategia politica chiara e coerente e saranno accompagnate da valutazioni approfondite dei rischi e da solide salvaguardie. Il nuovo strumento fa parte dell’approccio globale dell’UE al finanziamento dell’azione esterna, che mira a dare forma a una politica di sicurezza europea coe-

rente, globale e a creare sinergie con altre politiche e strumenti, come lo strumento di vicinato, sviluppo e cooperazione internazionale, compresa la dimensione del rafforzamento delle capacità per la sicurezza. Dal 2004, il coinvolgimento dell’UE nelle missioni e operazioni militari PSDC è stato finanziato attraverso il meccanismo ATHENA. Questo meccanismo finanzia sei operazioni militari attive dell’Unione (EUFOR Althea (Bosnia-Erzegovina), EUNAVFOR Atalanta (Corno d’Africa), EUTM Somalia, EUTM Mali, EUTM RCA, EUNAV-

IRINI, operazione della forza navale dell’Unione europea nel Mediterraneo, lanciata il 31 marzo 2020 con l’obiettivo di far rispettare l’embargo sulle armi, da parte delle Nazioni unite, alla Libia, a causa della seconda guerra civile libica (operationirini.eu). Nella pagina precendente: il logo dell’EUNAVFOR Somalia - operazione Atalanta, missione diplomaticomilitare dell’Unione europea per prevenire e reprimere gli atti di pirateria marittima lungo le coste degli Stati del Corno d’Africa.

FOR MED Irini. La piattaforma ATHENA ha già permesso all’UE di condurre l’AMIS 2 (Sudan) (luglio 2005-dicembre 2007), EUFOR RDC (giugno 2006-novembre 2006), EUFOR TChad/RCA (gennaio 2008marzo 2009), EUFOR Libia (aprile 2011-novembre 2011), EUFOR RCA (febbraio 2014-marzo 2015), EUMAM RCA (gennaio 2015-luglio 2016), EUNAVFOR MED Sophia (15 maggio 2015-31 marzo 2020). Questa importante architettura sarà sostituita dall’EPF, la cui parte operativa rimarrà incorporata nel Consiglio. Fino a ora, il sostegno dell’UE poteva essere fornito solo alle operazioni di pace guidate dall’Africa, ovvero operazioni guidate dall’Unione africana o da organizzazioni regionali africane. Ciò è stato ottenuto attraverso l’African Peace Facility (AFP). L’EPF supererà questa lacuna e amplierà la portata geografica dell’intervento UE, poiché sarà ora in grado di contribuire al finanziamento di operazioni di sostegno militare alla pace e misure di assistenza per i nostri partner in qualsiasi parte del mondo.

Turchia-Cina: un’amicizia in pericolo, che forse non è mai esistita

Il 6 aprile scorso, la Turchia ha convocato l’ambasciatore cinese ad Ankara dopo che la sua ambasciata ha dichiarato di avere «il diritto di rispondere» ai leader dell’opposizione turca che hanno criticato il trattamento della Cina nei confronti dei musulmani uiguri quando hanno rilasciato dichiarazioni riferite alle violenze di trent’anni fa. I politici, il leader del partito IYI, Meral Aksener e il sindaco di Ankara, Mansur Yavas, della principale opposizione CHP, avevano celebrato quello che hanno definito il 31o anniversario di una breve rivolta degli uiguri contro il governo nell’estremo ovest della Cina. «Non rimarremo in silenzio sulla loro persecuzione» e sul martirio, ha twittato Aksener. Yavas aveva detto: «sentiamo ancora il dolore del massacro» del 1990. L’ambasciatore Liu Shaobin, come suaccennato, è stato convocato al ministero dopo che la sua ambasciata ha rilasciato una dichiarazione su Twitter in cui denunciava i commenti. «La parte cinese si oppone con determinazione aqualsiasi persona di potere che in qualche modo sfidi la sovranità e l’integrità territoriale della Cina e lo condanna fermamente», aggiungendo che «la parte cinese si riserva il diritto legittimo di rispondere». La vicenda rappresenta come il sogno panturanico della Turchia e delle buone relazioni con Pechino fossero ben poca cosa e che il presidente Erdogan, stia iniziando il riposizionamento filoccidentale a seguito del consolidamento della amministrazione Biden e delle sue sempre più dure posizioni antirusse e anticinesi. Il tema è comunque vedere come questo riposizionamento turco si collocherà con gli altri scenari, dove Ankara ha buoni rapporti politici, economici e militari sia con Mosca sia con Pechino, dalla Libia alla Siria, dall’Iran e il Golfo allo Yemen. Anche questo brusco scontro con Pechino non deve fare dimenticare che la strategia di Erdogan è di mantenere un solido controllo interno e la tutela delle popolazioni islamiche del Sinkiang/Turkhestan orientale (come gli indipendentisti locali chiamano quel territorio) è strumentale al tenere agganciati a sé i partiti della coalizione presidenziale che si richiamano ad antiche glorie che risalgono a tempi leggendari. Gli Stati Uniti hanno affermato a gennaio scorso che la Cina ha commesso «genocidio e crimini contro l’umanità» reprimendo gli uiguri. Molti dei 40.000 uiguri in Turchia hanno criticato l’approccio del governo turco con la Cina per aver approvato un trattato di estradizione a dicembre 2020, e temono che questo possa portarli a essere rimandati in Cina per affrontare il sistema giudiziario e penitenziario locale. Centinaia di persone hanno protestato mentre il ministro degli Esteri cinese ha visitato Ankara il mese scorso e i politici Aksener e Yavas sono visti come potenziali rivali del presidente Erdogan nelle prossime elezioni previste per il 2023.

Enrico Magnani

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MARINEMILITARI

ARGENTINA Consegnato il secondo OPV classe «Bouchard»

Con una cerimonia tenutasi il 14 aprile presso il porto di Concarneau, Naval Group quale capocommessa, ha consegnato alla Marina argentina il secondo pattugliatore d’altura tipo «OPV 87» che ha ricevuto il nome Piedrabuena (52). Si tratta della prima di tre unità la cui costruzione è stata assegnata da Naval Group, alla joint-venture Kership fra i cantieri Piriou e lo stesso gruppo cantieristico francese, dopo che quest’ultimo ha consegnato, nel dicembre 2019, l’unità capoclasse ex-L’Adroit ammodernata. Quest’ultima è stata in servizio con la Marina francese dal 2011 al 2018. Il pattugliatore Piedrabuena è stato realizzato dai cantieri Piriou di Concarneau e rappresenta il primo «OPV 87» di nuova produzione consegnato alla Marina argentina e basato sul progetto del capoclasse con specifiche adattate alle operazioni alle basse latitudini dell’Atlantico meridionale. Con un dislocamento a pieno carico di 1.650 t, una lunghezza e larghezza rispettivamente di 87 e 14 metri, l’«OPV 87» si caratterizza per un’estesa autonomia e buone capacità di tenuta al mare, una visibilità a 360° dalla plancia e un unico albero integrato che alloggia sotto un radome conico un radar da sorveglianza di superficie e aerea, una zona poppiera con due stazioni di lancio e recupero in tempi ridotti di altrettanti battelli veloci a chiglia rigida da 9 metri nonché un ponte di volo in grado di accogliere un elicottero da 10 t e un hangar per ricoverare un velivolo ad ala rotante da 5 t. Contraddistinto da una piattaforma con scafo rinforzato per operare nelle fredde acque caratterizzate da formazioni di ghiaccio dell’Atlantico meridionale e del Mar Antartico, un sistema di stabilizzazione attiva e un thruster prodiero, l’«OPV 87» dispone di un sistema propulsivo in grado di assicurare una velocità massima di oltre 20 nodi e un’autonomia di oltre 7.000 mn a velocità economiche nonché un’autonomia di missione di tre settimane. Con un equipaggio di circa 45 elementi e alloggi ulteriori per un totale di 59 persone, l’«OPV 87» dispone di sistema di comando e controllo rappresentato dalla suite «Polaris», fornita da Naval Group, che gestisce un pacchetto di sensori comprendente un radar da sorveglianza aeronavale «Scanter», radar di navigazione e sistemi per le comunicazioni nonché l’armamento rappresentato da un affusto a controllo remoto «Marlin WS» con cannone da 30 mm fornito da Leonardo. Le altre due unità realizzate presso i cantieri di Lanester vicino a Lorient dalla joint-venture Kership e in fase di allestimento presso i cantieri Piriou di Concarneau, sono destinate a essere consegnate alla Marina argentina nell’ottobre 2021 e aprile 2022.

Con una cerimonia tenutasi il 14 aprile presso il porto di Concarneau, Naval Group ha consegnato alla Marina argentina il secondo pattugliatore

d’altura tipo «OPV 87», che ha ricevuto il nome PIEDRABUENA (52)

(Naval Group).

Il primo dei pattugliatori della classe «Armidale» da 56,8 metri è stato ritirato dal servizio dalla Royal Australian Navy lo scorso 29 marzo. Si tratta dell’unità PIRIE (II) (P 87) - (Dipartimento della Difesa australiano).

AUSTRALIA Ritirato dal servizio il primo pattugliatore classe «Armidale»

Con una cerimonia tenutasi presso la base navale di Darwin lo scorso 29 marzo, il primo dei pattugliatori della classe «Armidale» da 56,8 metri è stato ritirato dal servizio. Si tratta dell’unità Pirie (II) (P 87), entrata in

linea nel 2006, che ha solcato i mari intorno all’Australia, totalizzando oltre 426.000 mn. Le unità delle classi «Armidale» e «Cape» sono destinate a essere rimpiazzate dalle nuove unità più grandi e capaci della classe «Arafura», che entreranno in servizio fra il 2022 e il 2030.

CANADA Sistemi Leonardo ed MBDA per le future fregate

A seguito della pubblicazione da parte del Dipartimento della Difesa (DoD) canadese di una scheda sulle future fregate multiruolo destinate a essere sviluppate nell’ambito del programma SCS (Canadian Surface Combatant), con cui la Royal Canadian Navy ha divulgato le prime informazioni sulle caratteristiche e capacità delle nuove unità, ulteriori contratti sono stati assegnati per completarne l’armamento. Al termine di un’agguerrita gara internazionale, Leonardo ha annunciato il 22 aprile di aver ricevuto un contratto dalla capocommessa Lockheed Martin Canada per la fornitura del sistema d’arma «OTO 127/64 LightWeight (LW) Vulcano» quale sistema cannoniero principale delle nuove unità. Secondo quanto annunciato, Leonardo fornirà una prima tranche di quattro sistemi completi di piattaforma automatica di alimentazione munizionamento, di cui tre destinati all’installazione sulle prime tre unità della classe e il rimanente per l’addestramento a terra. Si tratta di un primo lotto cui seguiranno altri per equipaggiare l’intera classe, assicurando al tempo stesso il coinvolgimento dell’industria locale della Difesa e della sua supply chain grazie alla Industrial and Technological Benefits (ITB) Policy della Difesa canadese. Quest’ultima richiede una serie di ritorni in termini di occupazione, innovazione, crescita economica nel paese a fronte di appalti vinti nello specifico settore. In questo contesto è prevista la partecipazione dello stabilimento di Leonardo DRS a Ottawa per la produzione di alcuni componenti dei sistemi. Leonardo investirà anche nello sviluppo delle piccole e medie imprese locali, coinvolgendo potenziali aziende partner presenti in Ontario e nelle province atlantiche. L’azienda sta inoltre lavorando alla definizione di collaborazioni con università e centri di ricerca, andando a creare una filiera che assicurerà il supporto in servizio e logistico nonché eventuali customizzazioni. Il sistema è stato concepito e sviluppato per l’impiego delle munizioni «Vulcano» da 127 mm di Leonardo, sia nella versione Guided Long Range (GLR) che in quella Ballistic Extended Range (BER). Queste ultime, unitamente alle munizioni convenzionali, possono essere gestite a bordo in modo completamente automatico senza l’intervento di operatori, grazie al sistema AAHS (Automatic Ammunition Handling System) di alimentazione automatica del sistema. Il Canada diventa quindi il settimo cliente del sistema, che risulta in servizio o acquistato da Algeria, Egitto, Germania, Olanda, Spagna e Italia. A distanza di poche settimane, il gruppo MBDA ha annunciato di aver ricevuto un contratto sempre da Lockheed Martin Canada per la fornitura del sistema missilistico «Sea Ceptor», di

cui il DoD canadese aveva già evidenziato la selezione con la pubblicazione della scheda sopra citata. Destinato a impiegare il sistema missilistico CAMM (Common AntiAir Modular Missile), il sistema «Sea Ceptor» è destinato ad assicurare la difesa ravvicinata (CIADS, Close-In Air Defence System) delle nuove fregate multiruolo. Caratterizzato da tempi di risposta estremamente contenuti e un’elevata cadenza di fuoco nonché soluzioni tecniche quali il sistema SVL (Soft Vertical Launch), il vettoriamento della spinta e sistema di guida radar attivo con data link per aggiornamento dati bersaglio in volo, che consentono una copertura a 360° ed elevate prestazioni a distanza ravvicinata, il sistema «Sea Ceptor» sarà integrato con il

Leonardo ha annunciato, il 22 aprile, di aver ricevuto un contratto dalla capocommessa Lockheed Martin Canada per la fornitura del sistema d’arma «OTO 127/64 LightWeight (LW) Vulcano» per le future fregate canadesi. Queste ultime utilizzeranno anche il sistema missilistico Sea Ceptor di MBDA, che ha annunciato l’assegnazione di un apposito contratto di fornitura (Leonardo).

«Combat Management System 330» («CMS 330») di Lockheed Martin Canada come parte di una capacità di difesa aerea multilivello. Secondo quanto dichiarato, le nuove unità non disporranno di lanciatori dedicati, ma i missili CAMM nel loro canister troveranno alloggio in numero di quattro esemplari nel lanciatore quadruplo ExLS (Extensible Launcher System) di Lockeed Martin, che fa parte della famiglia di sistemi di lancio verticali «Mk 41». Anche il contratto siglato da MBDA porterà in Canada investimenti significativi da parte del gruppo europeo, in particolare con il coinvolgimento locale in termini di ricerca e sviluppo su un’ampia gamma di tecnologie, come intelligenza artificiale, sicurezza informatica e materiali avanzati. Il programma CSC rafforzerà ulteriormente la partnership tra MBDA e Lockheed Martin Canada, che ha già visto il sistema «Sea Ceptor» integrato con il CMS 330 per le Marine neozelandese e cilena.

CINA Tre unità maggiori consegnate insieme

La consegna di tre unità maggiori alla Marina della Repubblica Popolare cinese con un’unica cerimonia in occasione del 72° anniversario della costituzione della PLAN (People’s Liberation Army Navy) è stata celebrata alla presenza del presidente Xi Jinping il 23 aprile presso la base navale di Sanya (isola di Hainan). Si tratta del caccia «Tipo 055» Dalian (105) o classe «Renhai» secondo la denominazione NATO, terzo della propria classe e seconda unità a essere consegnata quest’anno, dell’unità LHD capoclasse Hainan (31) del «Tipo 075» e del sottomarino lancia missili balistici a propulsione nucleare (SSBN) «Tipo 094» Changzheng (Long March) 18, che ha ricevuto il distintivo ottico «421».

Espansione cinese a Gibuti

La Cina sta espandendo ulteriormente il proprio potere politico-economico-militare sull’Africa e sui mari intorno a essa. Nel corso dell’audizione tenutasi il 20 aprile davanti all’Armed Services Committee della Camera dei Deputati del Congresso americano, il Comandante in capo dell’US Africa Command (AFRICOM), il generale Stephen Townsend, ha testimoniato che un’infrastruttura portuale recentemente completata presso la base navale cinese a Gibuti — ufficialmente la base di supporto dell’Esercito della Repubblica Popolare cinese — è abbastanza lungo da ospitare una portaerei. «La base cinese [a Gibuti] si sta trasformando in una piattaforma per proiettare potenza attraverso il continente e le sue acque» e che «la Cina sta cercando altre opportunità di basi [intorno all’Africa]», confermando le preoccupazioni del governo e del congresso americano per tali sviluppi. Per la Cina, Gibuti continuerà a fungere da importante porta d’accesso all’Africa orientale. Prima base militare all’estero cinese, l’infrastruttura militare di Gibuti è utilizzata dalla Marina della Repubblica Popolare cinese per condurre operazioni antipirateria nelle acque del Mar Rosso, il Golfo di Aden e lo stretto di Bab-el-Mandeb. Operativa dal 2017, la base cinese di Gibuti si trova nella stessa area del porto multiuso di Doraleh, finanziato, progettato e costruito dalla Cina con un investimento di 590 milioni di dollari, e a distanza di pochi chilometri delle basi dei paesi occidentali, come quella americana di Camp Lemonnier (a circa 7 km) ma anche l’aeroporto di Chabelly nonché la base italiana e francese. La base cinese di Gibuti nella sua forma attuale fornisce «rifornimenti, logistica e supporto dell’intelligence», piuttosto che ospitare capacità di combattimento reali ma, con le strutture che sono state costruite, la situazione potrebbe facilmente cambiare. Secondo quanto riportato dalla rivista Forbes nel maggio 2020, «i lavori principali su un molo di 341 metri sembrano essere stati completati alla fine dello scorso anno. Questo è sufficiente per ospitare le nuove portaerei cinesi, le portaerei d’assalto o altre grandi navi da guerra. Potrebbe facilmente ospitare quattro sottomarini d’attacco a propulsione nucleare della Cina, se necessario».

COREA DEL SUD Varo della quinta unità classe «Daegu»

Il gruppo cantieristico sudcoreano DSME (Daewoo Shipbuilding & Marine Engineering) ha ufficialmente varato la quinta unità della classe «Daegu tipo FFX Batch II» per la Marina della Corea del Sud. Si tratta dell’unità Daejeon (FFG 823) il cui varo è avvenuto presso i cantieri Okpo di DSME e la cui entrata in servizio è prevista per la fine del 2022. Un totale di otto unità è previsto per la classe «Incheon Batch II» o «FFG II», che vengono costruite presso i cantieri dei gruppi Hyun-

dai Heavy Industries e DSME. Finora sono entrate in servizio le unità Daegu (819) e Gyeongnam (820) della classe, rispettivamente nel marzo 2018 e gennaio di quest’anno, mentre la terza e la quarta, rispettivamente battezzate Seoul (821) e Donghae (822) sono state varate nel novembre 2019 e aprile 2020. Con un dislocamento di 3.593 t a p.c., una lunghezza e larghezza rispettivamente di 122 e 14 metri e un apparato propulsivo in configurazione CODLOG (Combined Diesel-Electric or Gas) con una turbina a gas Rolls-Royce «MT-30», quattro diesel generatori Rolls-Royce MTU «12V4000 M53B» e due motori elettrici a magneti permanenti Leonardo DRS montati sui due assi, il tutto gestito da un sistema di controllo Hanwha Systems/Fincantieri Seastema, in grado di assicurare una velocità massima di 30 nodi e un’autonomia di 4.500 mn a velocità di crociera. Queste unità dispongono di un ponte di volo e hangar in grado di accogliere un elicottero da 10 t, nel caso della Marina sudcoreana, un elicottero Leonardo «Super Lynx 300» e «AW-159 Wildcat» o «MH-60R» e «KAI KUH-1 Surion». Con un equipaggio di 140 elementi, il sistema di combattimento è incentrato sul sistema di comando e controllo Hanwha Systems «Naval Shield» ICMS (Integrated Combat Management System). La suite sensoristica e di gestione dell’armamento comprende un radar di sorveglianza aerea 3D «SPS-550K», una suite di controllo del fuoco con sistema radar «SPG540K», un sistema di sorveglianza elettro-ottica «SAQ540K» e IRST «SAQ-600K»; una suite EW integrata LIG Nex1 «SLQ-200(V)K Sonata» nonché sistemi per lancio inganni «MASS». La suite ASW comprende un radar a scafo «SQS-240K» e una cortina trainata «SQR250K», cui s’aggiunge un sistema anti-siluro «SLQ261K». L’armamento è incentrato su un complesso di lancio verticale a 16 celle «K-VLS» per missili superficie-aria «K-SAAM» (4 per lanciatore), missili superficie-superficie a lunga portata «Haeryong SSM-701 Sea Dragon VL-Tactical Land Attack Missile» e sistemi ASW «Hong Sang», nonché otto lanciatori per missili antinave «SSM-700K Haeseong» e due lanciatori trinati «K-745» per siluri leggeri «Blue Shark». L’armamento cannoniero comprende un sistema «Mk 45 Mod 4» da 127/62 mm e un sistema per la difesa ravvicinata «Phalanx Block 1B» da 20 mm.

EGITTO

Entra in servizio la fregata Bernees (FFG 1003)

Con una cerimonia tenutasi il 14 aprile presso la base navale di Alessandria d’Egitto, alla presenza delle massime autorità militari egiziane, compreso il Capo di Stato Maggiore della Marina egiziana, generale Ahmed Khaled, è stata ufficialmente immessa in servizio la fregata Bernees (FFG 1003). Si tratta della seconda delle due fregate classe «Bergamini» (ex-Emilio Bianchi) tipo FREMM trasferite al ministero della Difesa egiziano nell’ambito di un contratto di compravendita che ha ottenuto il via libera all’esportazione dal governo italiano nell’agosto 2020, consegnata alla Marina del paese del Medio Oriente lo scorso febbraio,

Con una cerimonia tenutasi il 14 aprile presso la base navale di Alessandria d’Egitto, alla presenza delle massime autorità militari egiziane, compreso il Capo di Stato Maggiore della Marina egiziana, generale Ahmed Khaled, è

stata ufficialmente immessa in servizio la fregata BERNEES (FFG 1003)

(Ministero della Difesa egiziano).

con una cerimonia riservata presso il cantiere navale del Muggiano di Fincantieri. Il passaggio di consegne è stato preceduto dalle attività di familiarizzazione/supporto del personale realizzato in Egitto e in Italia. L’arrivo e l’entrata in servizio sono stati celebrati da un’accoglienza resa da una piccola flotta di unità navali di ultima generazione e una cerimonia nel corso della quale il generale Khaled, ha dichiarato che «la nuova fregata amplierà la deterrenza egiziana, rafforzerà la sicurezza e la stabilità nella regione, proteggerà la pace, salvaguarderà le rotte di navigazione marittima alla luce delle ostilità e delle sfide che la regione sta affrontando».

FRANCIA Consegnata la prima unità FREMM per la difesa aerea

Con una cerimonia tenutasi il 16 aprile presso la base navale di Tolone, alla presenza del ministro della Difesa francese Florence Parly, è stata celebrata la consegna della fregata Alsace (D 656), settima unità della classe «Aquitaine» tipo FREMM e prima con capacità di difesa aerea potenziate, denominata FREMM DA (Défense Aérienne). Sviluppata e costruita da Naval Group nell’ambito del programma congiunto italo-francese FREMM gestito dall’agenzia OCCAR (Organisation Conjointe de Coopèration en matière de programmes d’Armement) a nome e per conto delle Direzioni armamenti dei ministeri

della Difesa francese e italiana, la fregata Alsace è stata impostata nel febbraio 2018, varata nell’aprile 2019 e condotto le prime prove in mare soltanto nell’ottobre 2020 a causa della pandemia, ma grazie a un grande sforzo da parte dell’industria, della Difesa e di OCCAR è stata consegna nei termini contrattuali. Per portare a termine la sua principale missione AAW, oltre alle operazioni ASW e ASuW che rimarranno invariate rispetto alle fregate in versione ASW, le due unità FREMM DA si differenziano principalmente dalla precedente FREMM ASW per un sistema di gestione del combattimento più capace, un radar e sistema missilistico di difesa aerea potenziato, nonché un equipaggio adeguato alla nuova missione. Per difendere uno spazio aereo più ampio attorno ai gruppi navali protetti e basati su portaerei o portaelicotteri anfibie, il radar multifunzione Thales «Herakles», già installato sulla variante FREMM ASW, è stato potenziato per fornire maggiore potenza e distanze di sorveglianza e rilevamento maggiorate. Inoltre, l’albero delle comunicazioni è stato ridisegnato con un corpo centrale più piccolo per ottimizzare le prestazioni di rilevamento radar. La capacità di ingaggio del sistema missilistico di difesa aerea MBDA è stata migliorata con la combinazione di munizioni «Aster 15» e «Aster 30» e l’adozione di quattro VLS Naval Group «A 50» a 8 celle per un totale di 32 munizioni. Le piattaforme FREMM ASW sono equipaggiate con due «A 43» a 8 celle (Aquitaine, Provence, Languedoc e Auvergne) o «A50» (Bretagne e Normandie) per «Aster 15» e «Aster 30» (le ultime due FREMM ASW) e due «A70» VLS a 8 celle per l’MBDA MdCN (Missile de Croisière Naval). Questi ultimi non sono stati installati insieme ai lanciatori a bordo delle FREMM DA a causa della loro missione AAW primaria. A questi s’aggiunge una nuova direzione del tiro radar/elettrottica di ultima generazione Thales Nederland «STIR 1.2 EO Mk2» che andrà a rimpiazzare l’attuale elettrottica anche sulle unità già in servizio. Inoltre, grazie al concetto Veille Coopérative Navale (VCN), in fase di sviluppo per la Marina francese, analogamente alla US Cooperative Engagement Capability (CEC), le piattaforme potranno sparare su un bersaglio rilevato e tracciato da un’altra piattaforma, consentendo loro di far parte di una più ampia rete di difesa aerea e potenzialmente dell’architettura di difesa dai missili balistici (BMD). Una suite di comunicazioni migliorata fa anche parte dei nuovi requisiti della missione, per gestire meglio il traffico aereo e le risorse di difesa aerea. Inoltre, poiché il sistema di informazione e comando «SIC 21» della Marina francese sarà sostituito dal SIA (Système d’Information des Armées), la seconda FREMM DA sarà la prima nave a essere equipaggiata con la suite SATCOM «Syracuse IV» con diverse antenne e potenziata capacità che sostituiranno l’attuale «Syracuse III». Il tutto sarà gestito dal CMS SETIS modificato, fornito da Naval Group, che oltre alle funzionalità e al modulo di difesa aerea, vedrà un Centro Operativo di Comando (COC) riorga-

Alla presenza del Ministro della Difesa francese Florence Parly, presso la

base navale di Tolone è stata celebrata la consegna della fregata ALSACE

(D 656), settima unità della classe «Aquitaine» tipo FREMM e prima con

capacità di difesa aerea potenziate, denominata FREMM DA (Défense Aérienne) - (Naval Group).

nizzato per far fronte ai requisiti di gestione delle missioni di difesa aerea. Gli attuali due semicerchi con quindici consolle operatori verranno ampliati per introdurre tre ulteriori consolle, portando il numero complessivo delle consolle installate a bordo a 20 unità. Gli alloggi per il personale saliranno a 165, rispetto ai 145 della FREMM ASW, con 120 membri dell’equipaggio (vs 109) e il restante La DGA ha notificato alle società Naval Group ed Airbus Helicopters un contratto per la fornitura dedicato al distaccamento del volo (circa di un secondo prototipo di velivolo senza pilota a decollo ed atterraggio verticale «VSR 700» nell’ambito del programma SDAM (Système de Drone Aèrien pour la Marine) - (Airbus Helicopters). 15 persone) e altre operazioni (fanteria Nella pagina accanto: il quinto battello d’attacco a propulsione nucleare della classe «Astute», ANSON, è stato ufficialmente varato presso il cantiere di Barrow-in-Furness (Cumbria) di BAE navale, forze speciali, personale di ban- Systems, lo scorso aprile (BAE Systems). diera). Ciò ha richiesto di riorganizzare le aree di alloggio e di introdurre cabine a sei letti. 100 kg, con un’autonomia di 10 ore e di 185 km, lo SDAM è destinato, con i sensori ottici e radar imbarContratto per nuovo dimostratore SDAM cati, a individuare, identificare e classificare minacce

La DGA ha notificato alle società Naval Group e e comportamenti anomali, secondo quanto riportato Airbus Helicopters un contratto per la realizzazione dalla DGA. L’anticipazione dell’ordine per il see fornitura di un secondo prototipo di velivolo senza condo dimostratore SDAM consentirà di condurre pilota a decollo e atterraggio verticale (VTOL, Ver- una valutazione tecnico-operativo della durata di 18 tical Take-Off Landing) «VSR 700» nell’ambito del mesi a partire dal 2024, affinché il sistema possa ulprogramma SDAM (Système de Drone Aèrien pour teriormente maturare. Per questo contratto, Naval la Marine). Quest’ultimo è destinato allo sviluppo di Group e Airbus Helicopters si affidano a una parun sistema senza pilota VTOL devoluto ad affiancare tnership con la compagnia Guimbal Helicopters per le macchine pilotate ed equipaggiare le unità navali adattare il suo elicottero leggero biposto «Cabri G2» dotate di ponte di volo, con lo scopo di incrementare alle esigenze militari e all’ambiente marino. Secondo la loro efficienza operativa aumentando allo stesso quanto previsto dalla Legge di Programmazione mitempo la padronanza della situazione tattica. Nel litare francese, il ministero della Difesa intende ac2017, la DGA ha notificato un contratto ad Airbus quistare 15 sistemi SDAM con consegne a partire dal Helicopters e Naval Group per la realizzazione del 2028, per l’impiego da bordo delle nuove fregate primo prototipo con l’obiettivo di realizzare una FDI (Frégates de défense et d’intervention) e le atcampagna di test in mare su una FREMM nel 2022. tuali FREMM. Tale campagna è destinata a validare le capacità d’appontaggio e decollo in automatico del sistema GRAN BRETAGNA «VSR 700» che peserà tra i 700 e gli 800 kg. Se- Varo del quinto SSN classe «Astute» condo quanto riportato dalla DGA, lo SDAM avrà Il quinto battello d’attacco a propulsione nucleare una lunghezza e un rotore con un diametro rispetti- della classe «Astute» è stato ufficialmente varato vamente di 6,2 e 7,2 metri, nonché un’altezza di 2,3 presso il cantiere di Barrow-in-Furness (Cumbria) di m, e una capacità in termini di velocità di crociera BAE Systems lo scorso 21 aprile, con il trasferimento pari a 90 nodi e altitudine massima d’impiego di dal capannone di costruzione e assemblaggio alla piatquasi 5.000 m. Progettato per effettuare decolli e at- taforma Sincrolift e successivamente messo in acqua il terraggi in modalità automatica con mare forza 5 e 18 maggio. Battezzato lo scorso dicembre, l’Anson è trasportare due carichi utili per un totale massimo di destinato a effettuare le prime prove a mare nel 2022.

Il quinto battello d’attacco a propulsione nucleare della classe «Astute»,

ANSON, è stato ufficialmente varato presso il cantiere di Barrow-in-

Furness (Cumbria) di BAE Systems lo scorso aprile (BAE Systems).

L’UK Carrier Strike Group pronto per il primo dispiegamento

Lo scorso 26 aprile, il segretario di Stato britannico Ben Wallace ha annunciato che il nuovo Carrier Strike Group (CSG) incentrato sulla portaerei convenzionale per velivoli a decollo corto e atterraggio verticale Queen Elizabeth (R 08) e comprendente velivoli e unità navali dell’US Navy e della Marina olandese, partirà per fine maggio per un dispiegamento operativo della durata di 28 settimane in Estremo Oriente, dove visiterà oltre 40 nazioni fra cui India, Giappone, Corea del Sud e Singapore. Nel corso del dispiegamento condurrà attività con forze aeronavali della Repubblica di Singapore, sudcoreane, giapponesi e indiane nell’ambito del nuovo focus nazionale verso la regione Indo-Pacifica, come riportato nel documento Integrated Review per la policy estera, difesa, sicurezza e sviluppo, recentemente presentato in parlamento. Il nuovo focus verso questa regione porterà a stringere relazioni più strette con i paesi locali e assicurare una presenza più pregnante. È prevista la partecipazione del CSG alle esercitazioni Bersama Lima nel corso della quale verrà celebrato il 50° anniversario del Five Powers Defence Agreement fra Malesia, Singapore, Australia, Nuova Zelanda e UK. Nel transito attraverso il Mediterraneo, il CSG 21 svolgerà attività unitamente al gruppo aeronavale francese incentrato sulla portaerei Charles de Gaulle mentre opererà insieme a forze navali e aeree di Australia, Canada, Corea del Sud, Danimarca, Emirati Arabi Uniti, Giappone, Grecia, Israele, India, Italia, Nuova Zelanda, Oman e Turchia nel corso dell’intero dispiegamento. L’UK Carrier Strike Group comprende, in aggiunta alla portaerei Queen Elizabeth, i due caccia lanciamissili per la difesa antiaerea della Royal Navy, Diamond (D 34) Defender (D 36) della classe «Daring» nonché il caccia lanciamissili Sullivans (DDG 68) classe «Arleigh Burke» dell’US Navy, le fregate «Type 23» antisom Kent (F 78) e Richmond (F 239) classe «City» della RN ed Evertsen (F 805) classe «De Zeven Provincien» della Marina olandese, cui s’aggiungono le unità Tidespring (A 136) e Fort Victoria (A 387) della Royal Fleet Auxiliary che ne assicuravano il supporto e rifornimento. A ulteriore protezione e supporto del gruppo anche un SSN classe «Astute» equipaggiato con missili da crociera «Tomahawk». Il CSG 21 disporrà di un gruppo aereo imbarcato sulla portaerei Queen Elizabeth che comprende 8 «F-35B» del No. 617 Squadron «Dambusters» della Royal Air Force e 10 «F-35B» del Marine Fighter Attack Squadron (VFMA) 211 «Wake Islands Avengers» dell’USMC, cui s’aggiungono sette elicotteri «Merlin HMA.2» del 820 Naval Air Squadron (NAS) di cui tre in versione da scoperta aerea lontana (AEW, Airborne Early Warning) «Crowsnet» e quattro in versione antisom, unitamente a tre elicotteri «Merlin HC4/4A» in versione d’assalto anfibio, nonché quattro elicotteri navali d’attacco Leonardo «Wildcat HMA.2» imbarcati sulle unità di scorta — il più alto numero di macchine ad ala

Il nuovo Carrier Strike Group (CSG) incentrato sulla portaerei convenzio-

nale per velivoli STOVL QUEEN ELIZABETH (R 08) e comprendente velivoli

e unità navali dell’US Navy e della Marina olandese partirà per fine maggio per un dispiegamento operativo della durata di 28 settimane in Estremo Oriente (Royal Navy). In basso: le sezioni prodiera e poppiera della fregata

capoclasse «Type 26 GLASGOW» sono state trasferite fuori dai capannoni

del cantiere di Govan del gruppo BAE Systems e poste in posizione per procedere al loro congiungimento (BAE Systems).

rotante assegnato a un singolo Task Group britannico nell’ultimo decennio. Per la difesa ravvicinata e la sicurezza in porto, la portaerei imbarcherà anche un distaccamento del 42 Commando Royal Marines. Alla componente aerea britannica s’aggiungono i velivoli americani sopra citati ed elicotteri «MH-60R» ed «NFH-90» imbarcati rispettivam ente sul caccia Sullivans e sull’unità olandese. Un gruppo con nove unità (dieci conteggiando il sottomarino), 32 fra caccia ed elicotteri e circa 3.700 fra marinai e aviatori di tre nazioni, che in preparazione finale del dispiegamento, ha preso parte all’esercitazione Strike Warrior ed Ex Steadfast Defender.

Procede la costruzione della capoclasse «Type 26»

Le sezioni prodiera e poppiera della fregata capoclasse «Type 26 Glasgow» sono state trasferite fuori dai capannoni del cantiere di Govan del gruppo BAE Systems e poste in posizione per procedere al loro congiungimento. Nel frattempo, continua il lavoro sulla seconda unità, la fregata Cardiff mentre la terza (Belfast) inizierà la costruzione nel corso dell’anno.

INDONESIA Annuncio della perdita del sommergibile

Nanggala (402)

Nel corso di una conferenza stampa tenutasi il 24 aprile, il Capo di Stato Maggiore delle Forze armate indonesiane, il generale Hadi Tjahjanto ha annunciato il ritrovamento del relitto del sommergibile Nanggala (402) e la triste perdita di tutto l’equipaggio, pari a 53 persone. Dopo l’annuncio ufficiale, il 21 aprile, che l’equipaggio del battello non aveva condotto il previsto collegamento radio mentre era in operazioni e si erano persi i contatti con il medesimo, era scattata un’estesa operazione di ricerca e salvataggio internazionale che ha visto l’allerta e il coinvolgimento di unità e velivoli delle Marine indonesiana, australiana, americana e di Singapore. Nel corso delle attività di ricerca e scandaglio delle acque in cui si presumeva operare il sommergibile perduto, l’unità di ricerca idrografica Rigel (933) della Marina indonesiana ha evidenziato un ritrovamento che un veicolo subacqueo a pilotaggio remoto lanciato dall’unità per il soccorso di sommergibili sinistrati MV Swift Rescue della Marina della Repubblica di Singapore ha successivamente confermato trattarsi dei resti del sommergibile perduto.

ISOLE SALOMONE

Consegnato il pattugliatore Taro (06)

Con una cerimonia tenutasi presso i cantieri di Austal Australia a Henderson (Australia occidentale), rappresentanti del governo australiano hanno consegnato ad autorità del paese del Pacifico centrale il secondo pattugliatore classe «Guardian» da 39,5 metri. Si tratta dell’unità Taro (06), facente parte del programma di equipaggiamento navale denominato PPB-R (Pacific Patrol Boat Replacement) finanziato dal governo australiano nel 2016 per la costruzione e consegna di 21 unità da pattugliamento di ultima dotazione ai 12 paesi del Pacifico centrale.

ISRAELE Consegnata la seconda corvetta «Sa’ar 6»

Thyssenkrupp Marine Systems ha consegnato la seconda corvetta della classe «Sa’ar 6» alla Marina israeliana nel corso di una cerimonia tenutasi presso i cantieri del gruppo tedesco lo scorso 4 maggio. Prima della consegna, l’unità è stata battezzata con il nome Oz, fino a ora mai assegnato a un’unità della Marina israeliana. Il gruppo TKMS ha fornito anche dettagli in ordine al programma, evidenziando che le altre unità verranno consegnate entro il 2021.

ITALIA Il Corpo Sanitario della Marina compie 160 anni

Il 1° aprile 1861, il conte Camillo Benso di Cavour, presidente del Consiglio dei ministri e ministro della Marina, presentò a sua Maestà il Re un regolamento per dare un ordinamento unitario ai Corpi Sanitari delle flotte del Regno di Sardegna, delle Due Sicilie, Pontificio e del Gran Ducato di Toscana. A tale documento oggi ci si riferisce per l’istituzione dell’attuale Corpo Sanitario della Marina Militare, che con i propri medici, infermieri, farmacisti, odontoiatri, psicologi, biologi, veterinari e tecnici sanitari quotidianamente impegnati, specialmente in questo periodo di pandemia, per il raggiungimento della mission, mantengono in efficienza il sistema d’arma più importante della Forza armata, il personale. Da allora la

storia del Corpo Sanitario della Marina Militare si è progressivamente arricchita degli esempi di molti valorosissimi professionisti che hanno contribuito in maniera determinante oltre che a delineare la struttura della sanità come la conosciamo oggi, ma soprattutto a dare lustro e prestigio all’istituzione e alla nazione. Non possiamo non ricordare, in questa occasione, Raffaele Paolucci, Bruno Falcomatà e Giulio Venticinque, le cui eroiche imprese sono da La fregata multimissione LUIGI RIZZO (F 595) partecipa all’attività di sorveglianza e antipirateria nelle acque sempre fonte di ispirazione antistanti l’Africa centro-occidentale, in corrispondenza principalmente del Golfo di Guinea. Nella pagina accanto: la nave d’assalto anfibio SAN GIUSTO (L 9894), quale flagship dell’ATF 621 (Amphibious Task Force 621) e sede e faro per i più giovani. del Commander of the Amphibious Task Force (CATF) e del Commander of the Landing Force (CLF), ha preso parte all’esercitazione a team anfibio Phibex 21-1 nel Tirreno meridionale e Canale di Sicilia. Negli ultimi anni è continuato in maniera intensa l’apporto professionale che, al ordinated Maritime Presence, volta a supportare il c.d. di là delle routinarie attività di istituto volte a garantire il «Approccio Integrato» dell’Unione alla stabilità e svisupporto alle attività operative e addestrative della Ma- luppo dell’area del Golfo di Guinea, nave Rizzo ha conrina, hanno visto protagonista il Corpo Sanitario militare dotto pattugliamento congiunto insieme alle altre marittimo; dal supporto sanitario a seguito del naufragio Marine europee presenti in area. Allo scopo di affinare di nave Concordia del 2012 alle instancabili attività l’addestramento, l’interoperabilità e le capacità di indell’operazione Mare nostrum che, in 376 giorni di atti- tervento, le unità coinvolte hanno dato vita alla prima vità ha fornito assistenza a oltre 155.000 migranti. Dal esercitazione multinazionale europea nel Golfo di Guiprogetto «Un mare di sorrisi» svolto in collaborazione nea. Nello specifico, l’attività addestrativa, ha dato con i medici volontari della fondazione Operation Smile prova della professionalità del personale imbarcato Italia Onlus ai trattamenti di ossigeno terapia iperbarica proveniente dai diversi paesi del Vecchio Continente. che il centro ospedaliero di Taranto assicura dal 2014 Di concerto con le donne e gli uomini di nave Rizzo, il alla popolazione civile pugliese, senza dimenticare l’im- dispositivo navale ha visto il coinvolgimento degli pegno che vede tutti coinvolti nel supporto alle sanità re- equipaggi dei pattugliatori Furor (P-46) classe «Megionali per il contrasto alla pandemia Covid-19 che da teoro» della Marina spagnola e Setubal (P 363) classe oltre un anno ha radicalmente cambiato le nostre vite. «Viana do Castelo» della Marina portoghese, nonché della portaelicotteri d’assalto Dixmude (L 9015) della Nave Rizzo (F 595) partecipa all’esercitazione Marina francese. Si è trattato dunque di un evento adEMS 21… destrativo avanzato, esaltato dall’impiego di team spe-

Il 2 aprile scorso, si è conclusa a largo delle coste cialistici, dalle manovre cinematiche ravvicinate e dalle del Ghana, l’European Maritime Security 21, esercita- simulazioni di contrasto alle attività illecite in mare. zione marittima quadri-laterale che ha visto la parteci- L’obiettivo è di sviluppare un’operazione strutturata pazione delle Marine di Italia, Francia, Spagna e che preveda attività di presenza e sorveglianza maritPortogallo. Nel framework dell’iniziativa europea Co- tima nelle aree di interesse, attraverso l’incremento

delle attività di Capacity Building e di Security Force Assistance e con il coinvolgimento di partner multinazionali (NATO, UE, ONU e coalizioni multilaterali).

… e si addestra con la Marina togolese

Verso la fine del mese di aprile, nave Rizzo ha ultimato un’esercitazione congiunta di antipirateria con la Marina togolese, nelle acque antistanti alle coste del paese africano. Nel corso dell’esercitazione è stata simulata un’operazione congiunta di contrasto alla pirateria con l’intervento di unità navali della locale Marina e l’unità italiana. Innescata la catena d’allarme da parte della centrale operativa di Lomé, a seguito della segnalazione di un’imbarcazione pirata (simulata dal battello a chiglia rigida che costituisce la dotazione organica di nave Rizzo), sono intervenuti tempestivamente sul posto la fregata italiana, il pattugliatore Oti (P 764) e un mezzo minore tattico della Marina togolese. Manovre cinematiche ravvicinate e simulazioni di attacchi asimmetrici di superficie sono stati gli elementi chiave di questa realistica attività addestrativa di «joint vessel interdiction» che si è conclusa con la prima sosta dell’unità italiana presso la base navale e il porto di Lomé. Questa preziosa occasione addestrativa si colloca nel più ampio contesto di cooperazione tra la Marina Militare e le Marine dei paesi rivieraschi del Golfo di Guinea, nuovo hotspot della pirateria mondiale. A conferma di ciò, lo scorso 23 aprile, si è verificato un attacco ai danni della M/N Contship New battente bandiera cipriota. Scongiurata la presenza di pirati a bordo e di feriti tra i membri dell’equipaggio, nave Rizzo, che al momento dell’evento era in pattugliamento a circa 350 mn di distanza, ha diretto le operazioni di supporto e scorta al mercantile verso il porto di Lomé. Una volta giunta nelle acque territoriali togolesi, la nave portacontainer è stata assistita dalle autorità locali fino all’ormeggio in porto.

Conclusasi l’operazione Phibex 21-1

La Squadra navale ha condotto a termine, alla fine del mese di aprile, l’esercitazione a tema anfibio Phibex 21-1, che ha visto le unità della Squadra condurre attività con l’ATF 621 (Amphibious Task Force 621) per 15 giorni consecutivi nel mar Tirreno meridionale e nel canale di Sardegna, per il mantenimento della capacità di proiezione di forze e potenza dal mare. La Phibex 21-1 è un’esercitazione pianificata e condotta dalla Squadra navale con la partecipazione dello Standing NATO Maritime Group 2, composto per l’occasione dalla fregata spagnola Mendez Nunez (F 104) (flagship della SNMG2) e dalla fregata turca Kemalreis (F 247). In totale 1.000 marinai tra uomini e donne, una nave da assalto anfibio, nave San Giusto (L 9894) flagship del gruppo navale e sede del Commander of the Amphibious Task Force (CATF) e del Commander of the Landing Force (CLF), una nave di supporto logistico, nave Stromboli (A 5327), 3 unità di scorta rappresentate dalla fregata multiruolo Marceglia (F 597) e le già citate Mendez Nunez e Ke-

malreis, la Landing Force costituita da un Battaglione d’Assalto della Brigata Marina San Marco, e 5 elicotteri imbarcati di cui 2 in versione eli assalto per la proiezione di truppe a terra. In altri termini un unicum expeditionary di più componenti che hanno operato in maniera integrata, sinergica e flessibile e in grado di muoversi e operare dal mare per proiettare forze, supporto tecnico-logistico e sanitario e capacità di comando e controllo. L’esercitazione Phibex 21-1 ha costituito una preziosa opportunità per garantire la prontezza e l’efficacia degli assetti della Marina Militare e la loro integrazione nei dispositivi internazionali.

Nave Termoli (M 5555) partecipa all’esercita-

zione Ariadne 2021

Il cacciamine Termoli (M 5555) aggregato allo Standing NATO Mine CounterMeasure Group 2 (SNMCMG2), ha terminato l’esercitazione Ariadne 2021, svoltasi nelle acque antistanti al porto di Patrasso (Grecia), con l’obiettivo di addestrare e valutare l’interoperabilità tra le forze alleate in un ambiente multi-minaccia, con particolare attenzione al settore delle contromisure mine. Nel corso della medesima, nave Termoli è stata protagonista della localizzazione e identificazione di un residuato bellico della Seconda guerra mondiale rappresentato da una mina da fondo «Mk 25» successivamente fatta brillare in area non trafficata in acque greche da un cacciamine nazionale.

Si consolida la collaborazione idrografica fra Italia e Libano

Il giorno 28 aprile 2021 è stato firmato l’annesso tecnico per la co-produzione cartografica da parte del Capo di Stato Maggiore della Marina libanese, captaincommodore Haissam Dannaoui, e dal direttore dell’Istituto idrografico della Marina Militare, ammiraglio Massimiliano Nannini. L’accordo sancisce l’inizio della produzione del primo piano cartografico libanese e rafforza la storica cooperazione tra i due paesi, sugellata dalla firma, nel luglio 2020, del «Technical Arrangement tra i ministeri della Difesa italiano e libanese nel settore dell’idrografia, oceanografia e della cartografia nautica». Il Libano, entrato di recente quale membro dell’Organizzazione idrografica internazionale, non dispone ancora di una propria produzione di cartografia (cartacea e digitale). Le carte nautiche disponibili nell’area di pertinenza sono state sinora edite dagli enti cartografici di Francia e Regno Unito. Grazie al supporto dell’Istituto idrografico della Marina, il servizio idrografico libanese ha oggi predisposto la realizzazione del primo piano cartografico nazionale, che vedrà, come primo prodotto, la realizzazione delle carte «Port of Beirut» e «Approach to Beirut», indispensabili per l’avvicinamento e l’ingresso in sicurezza nel porto della capitale libanese. Tale importante risultato è stato possibile grazie anche al fatto che parte dei rilievi idrografici del fondale marino, impiegati per la produzione di queste due importanti carte nautiche, sono stati realizzati tra il 2018 e il 2019 da nave Magnaghi, unità maggiore idro-oceanografica della Marina Militare. Il consolidamento della neocostituita capacita di produzione cartografica libanese è stata resa più complessa a causa dalla deflagrazione dello scorso 4 agosto, che ha causato la distruzione di parte della strumentazione idrografica e cartografica già resa disponibile al servizio idrografico libanese. Nell’ambito dell’operazione Emergenza Cedri, a guida italiana, è stato inviato un team dell’Istituto idrografico della Marina Militare per supportare i colleghi libanesi a riacquisire la piena capacità idrografica e cartografica, consegnando parte della strumentazione andata distrutta ed effettuando una approfondita analisi dei danni ai locali dell’ente, attività portate a termine con la firma del 28 aprile.

La Marina partecipa all’operazione NATO «Steadfat Cobalt 2021»

Per tutto il mese di aprile, nella sede di Taranto, a bordo di nave Garibaldi, lo staff del Comando della Terza Divisione Navale (COMDINAV TRE), affiancato da un’aliquota di personale di nave Garibaldi (C 551), del Centro Periferico Telecomunicazioni ed Informatica di Taranto (MARITELE Taranto) e della Brigata Marina San Marco (BMSM), ha partecipato all’esercitazione NATO denominata «Steadfast Cobalt 2021». Organizzata annualmente dal Comando Supremo della NATO (SHAPE) e condotta dal NATO CIS Group (NCISG), si tratta della più grande esercitazione multinazionale di livello strategico, operativo e tattico nel settore delle telecomunicazioni e dell’Information Technology. L’edizione 2021 ha avuto lo scopo di valutare e validare l’interoperabilità dei servizi C4ISR (Command, Control, Communications, Computer, Intelligence, Surveillance, Reconnaissance) in supporto agli Headquarters NATO facenti parte della NATO Response Force (NRF) 202122. Il Comando indicato a ricoprire il ruolo di Commander Amphibious Task Force (CATF) è proprio quello di COMDINAV TRE che lo eserciterà da bordo di nave Garibaldi, designata quale unità navale sede di Comando per l’esigenza. L’attività addestrativa ha registrato lo svolgimento di una lunga e articolata serie di test tecnici di comunicazione e di impiego di software operativi (oltre 700 in totale) che consentono di verificare le effet-

tive capacità di supporto al Comando, CIS e di cyber defence del gruppo comando del CATF.

NIGERIA

Consegnata la nave idrografica Lana (A 499)

Il gruppo cantieristico OCEA ha consegnato la nave idrografica e da ricerca Lana alla Marina nigeriana nel corso di una cerimonia tenutasi presso i cantieri di Les Sables D’Olonne il 19 aprile scorso alla presenza del ministro della Difesa nigeriano, il generale (in pensione) Bashir Magashi e il Capo di Stato Maggiore della Marina del paese centro-africano, ammiraglio Awwal Gambo. L’unità, che raggiungerà la Nigeria ed entrerà in servizio nel mese di maggio è basata sulla piattaforma del progetto «OSV 190 SC-WB» ed è destinata a svolgere un’ampia gamma di missioni, dall’attività oceano/idrografica al pattugliamento e protezione della pesca, dall’assistenza ad altre imbarcazioni alla protezione della Zona Economica Esclusiva (ZEE). Con una lunghezza di 60,1 metri e un’autonomia di 4.400 mn a 12 nodi o 20 giorni d’impiego, è in grado di raggiungere una velocità massima di 14 nodi con un equipaggio e personale specialistico per un totale di 50 unità, nonché spazi e attrezzature comprendenti echo-sounder multi e single-beam, side scan sonar, laboratori per analisi delle acque, fauna ittica e sedimenti grazie all’impiego di un’imbarcazione idrografica da 8 metri.

PAKISTAN Taglio lamiera per la terza corvetta classe «Jinnah»

Con una cerimonia tenutasi il 6 maggio presso il cantiere INSY (Istanbul Naval Shipyard) a Istanbul in Turchia, è stata impostata la chiglia della terza corvetta classe «Jinnah». Si tratta del programma per quattro corvette tipo «MILGEM» customizzate secondo le richieste del ministero della Difesa pakistano e acquistate con il contratto siglato dal Pakistan National Defense Ministry Ammunition Production e il cantiere di Karachi con la società pubblica turca ASFAT nel luglio 2018. Il contratto prevede che due unità vengano realizzate presso il cantiere Karachi Shipyard & Engineering Works (KS&EW) pakistano e altre due da INSY in Turchia.

RUSSIA Varo del sesto cacciamine classe «Alexandrit»

Il cantiere Sredne-Nevsky ha varato l’unità Petr Ilyichev (543), sesto cacciamine della classe «Alexandrit Progetto 1270», il 16 aprile scorso, alla presenza del Capo di Stato Maggiore della Marina della Federazione Russa, ammiraglio Nikolay Evmenov. Dopo il completamento dell’allestimento e delle prove in banchina e a mare, la consegna è prevista per fine 2021.

Consegnato l’SSGN Kazan (K 561)

La componente subacquea della Marina della Federazione Russa compie un altro salto tecnologico e potenzia le proprie capacità con l’introduzione in servizio del primo battello «Progetto 08851 Yasen-M» (classe «Graney» secondo la nomenclatura NATO). Si tratta del Kazan (K 561), consegnato dai cantieri Sevmash alla Marina russa nel corso di una cerimonia tenutasi presso il cantiere di Severodvinsk, alla presenza del Capo di Stato Maggiore della Marina, ammiraglio Nikolai Evmenov e del Comandante in capo della Flotta del Nord, ammiraglio Alexander Moiseev. A seguito dell’adozione della nuova classe di battelli nucleari lanciamissili balistici (SSBN) «Progetto 995/995A» («Borei/Borei A») anche la componente di battelli nucleari lanciamissili da crociera (SSGN) è stata rivoluzionata con l’adozione delle piattaforme «Progetto 885/08851» («Yasen/Yasen M»). Sviluppato dal bureau di design navale Malakhit, il «Progetto 885» prende avvio nel 1997, con la costruzione del battello capoclasse nel dicembre 1993 ma, causa mancanza di fondi e altre priorità fra cui i battelli «Progetto 995» classe «Borei», il nuovo SSGN viene varato soltanto nel giugno 2010 e consegnato nel dicembre 2013. Si tratta di una classe di battelli rivoluzionaria rispetto al passato, tanto che nell’agosto 2009, il report sullo stato della Flotta della Marina russa pubblicato dall’US Office of Naval Intelligence, stima che il progetto sia il più silenzioso o meno rilevabile dei contemporanei battelli cinesi e russi, ma non abbastanza per raggiungere il livello dei battelli nucleari americani dello stesso periodo, classe «Seawolf» e «Virginia». Con un dislocamento in superficie e in immersione pari a, rispettivamente, 8.600 e 13.800 tonnellate, una lunghezza e larghezza rispettivamente di 139,2 e 13 metri,

la piattaforma del «Progetto 885» si caratterizza per l’adozione di un scafo unico resistente almeno per la parte prodiera e centrale dello scafo, un impianto propulsivo basato su di un reattore di quarta generazione «OK-650KPM» che avrebbe una vita pari a 25-30 anni, corrispondente a quella dello stesso sottomarino, nonché altri accorgimenti legati al sistema propulsivo atti a ridurre la segnatura acustica. A questi s’aggiungono una nuova suite elettro-acustica con un sonar prodiero sferico «MGK-600 Irtysh-Amfora» e un «array» laterale verticale di grandi dimensioni posto su entrambi i lati del battello subito dietro il sonar prodiero che porta a sistemare i dieci tubi lanciasiluri (cinque per lato) in forma più arretrata rispetto a quella tradizionale prodiera, all’altezza della zona prodiera della falsatorre, quest’ultima di significative dimensioni, come tutti i battelli russi. I tubi lanciasiluri da 533 mm sono anche posizionati per lanciare le armi di taglio rispetto alla prora del battello. La falsatorre comprende inoltre una sezione che si sgancia dal battello e funge da mezzo di salvataggio per l’intero equipaggio, direttamente integrata nelle forme esterne dell’isola e quindi senza limitazioni idrodinamiche della medesima. L’armamento missilistico è installato in 8 sistemi di lancio verticale o VLS in grado ciascuno di accogliere quattro missili antinave supersonici «3K55 Onyx», «P 160» («3M55») o «Kalibr» nelle versioni antinave e «land strike» per un totale di 32 missili, mentre i 10 tubi lanciasiluri hanno un magazzino per 30 armi, compreso siluri pesanti «UGST» e missili antinave. In aggiunta al sistema sonar «Irtysh-Amfora», la suite elettro-acustica comprende anche «array» laterali, verticali e orizzontali lungo lo scafo e una cortina trainata, mentre la nuova centrale di comando, controllo e comunicazioni dispone di un sistema di nuova generazione C2 e tiro «3Ts-30.0 Banknot» che consente, unitamente a una diffusa automazione dei sistemi di bordo, d’imbarcare un equipaggio pari a 84 elementi, secondo fonti russe. I lunghi tempi di gestazione del battello capoclasse Severodvinsk (K 560) hanno portato alla progettazione e costruzione di una versione migliorata denominata «Progetto 08851» («Yansen M»), dalla cui analisi del battello capoclasse Kazan, secondo quanto riportato dalla rivista russa Izvestia Daily a sua volta citata dall’agenzia russa TASS, presenterebbe una lunghezza ridotta di circa 10 metri, un sistema propulsivo ulteriormente migliorato e una segnatura acustica complessiva ulteriormente ridotta. La sezione prodiera risulterebbe più affusolata e il sistema sonar non comprenderebbe più l’«array» verticale e la suite prodiera sferica, ma quest’ultima risulterebbe rimpiazzata da un complesso a «U» sempre prodiero che potrebbe derivare da quello installato sui nuovi battelli convenzionali russi. Il numero dei tubi lanciasiluri sarebbe diminuito a otto, posizionati leggermente più avanti rispetto alla falsatorre. Il complesso dei timoni poppieri presenta dimensioni maggiorate, così come la falsatorre presenta un pod di salvataggio di nuovo design che consentirebbe una sezione complessiva inferiore a quella della falsatorre del «Progetto 0885». A questi s’aggiungerebbe una suite di comando, controllo e comunicazioni ulteriormente migliorata, unitamente a sensori anch’essi nuovi o migliorati come nel caso della suite dei periscopi/mast d’osservazione/attacco e sistema per la sorveglianza elettronica, mentre l’automazione complessiva consentirebbe di ridurre l’equipaggio a 64 elementi, significativamente inferiore rispetto agli standard occidentali. La componente armamenti s’arricchirebbe del nuovo missile ipersonico «3K22 Zirkon» («3M22») che potenzierà ulteriormente le capacità dei nuovi SSGN, in attesa di nuove informazioni che consentano di verificare i dati finora emersi.

La componente subacquea della Marina della Federazione Russa compie un altro salto tecnologico e potenzia le proprie capacità con l’introduzione

in servizio del primo SSGN «Progetto 08851 Yasen-M» KAZAN (K 561)

(Malakhit).

STATI UNITI

La portaerei Gerald R. Ford (CVN 78) completa

il PDT&T

La nuova portaerei capoclasse Gerald R. Ford (CVN 78) ha completato il periodo di test e verifiche post-consegna o PDT&T (Post-Delivery Test & Trails) di 18 mesi, culminato positivamente con le prove di qualificazione dei sistemi di combattimento della nave (CSSQT, Combat Systems Ship’s Qualifications Trials) a metà aprile. Dall’inizio del periodo PDT&T nell’ottobre 2019, la nave ha completato tutti i test richiesti, ha certificato il ponte di volo, ha imbarcato il gruppo di volo, ha portato a termine il lavoro prima del previsto e ha migliorato l’affidabilità del sistema grazie alle nuove tecnologie, operando allo stesso tempo come la principale piattaforma di qualificazione per aviatori navali della costa orientale. L’equipaggio della portaerei ha completato con successo le prove di qualificazione dei sistemi di combattimento o CSSQT, ingaggiando bersagli aerei, simulanti razzi e bersagli di superficie manovrieri ad alta velocità rispettivamente con missili superficie-aria «RAM», «ESSM» e il sistema per la difesa ravvicinata «Mk15 Phalanx». Nei 18 mesi del PDT&T, nel corso dei quali la portaerei di nuova generazione e il suo equipaggio sono stati sottoposti a test e valutazioni per la prima volta, la nave ha fornito una significativa prontezza operativa alla flotta, qualificando o riqualificando più di 439 aviatori navali. L’ammiraglio James P. Downey, responsabile esecutivo del programma per le portaerei, vede gli straordinari progressi del programma e l’accelerato stato di prontezza operativa come il prodotto di anni di pianificazione e collaborazione tra l’equipaggio della nave, gli uffici del programma della Marina e l’industria. «Quando la portaerei Ford ha avviato il PDT&T nell’ottobre 2019, quest’ultima aveva effettuato soltanto circa 800 lanci e recuperi. Sfruttando le 23 nuove tecnologie introdotte nel progetto della nave, in particolare l’EMALS (Electromagnetic Aircraft Launch System) e l’AAG (Advanced Arresting Gear), a distanza di soli 18 mesi, la portaerei ha completato più di 8.100 lanci e recuperi, con più di 7.300 soltanto durante il PDT&T». Un’attività in continua crescita sia per quanto riguarda l’integrazione del Carrier Strike Group sia per quanto riguarda le attività di volo e di comando e controllo a bordo della portaerei. A maggio

La nuova portaerei capoclasse GERALD R. FORD (CVN 78) ha completato

con successo il periodo di test e verifiche post-consegna o PDT&T

(Post-Delivery Test & Trails) di 18 mesi, svoltosi a partire dall’ottobre 2019

(US Navy/US DoD DVIDS).

del 2020 quest’ultima ha imbarcato il Carrier Air Wing 8 (CVW-8), che inizialmente ha avuto una componente ridotta a 35 macchine. Quest’ultima ha visto uno sviluppo delle attività di volo tanto che nel dicembre 2020, nel corso di una decina di giornate, l’equipaggio della Gerald R. Ford ha completato più di 840 lanci e arresti, qualificando 58 nuovi piloti. L’equipaggio ha sostenuto un nuovo record giornaliero di 170 lanci e 175 recuperi in un periodo di 8,5 ore. Sono state corrette la quasi totalità delle problematiche riscontrate e sempre secondo quanto riportato, i primi sette degli undici elevatori funzionanti per le munizioni, oggetto di importanti problematiche in precedenza, hanno effettuato più di 14.200 cicli di funzionamento, con quasi la metà di tali cicli in mare. Con la certificazione di ogni ulteriore elevatore, l’equipaggio ha aumentato la velocità delle operazioni e dei test del sistema di combattimento, dimostrando nel contempo la resilienza del sistema. «Quando cammini sul ponte di volo e vedi gli elementi di design unici per la classe “Ford”, come il posizionamento dell’isola, le capacità dei sistemi EMALS e AAG o le modifiche al sistema di rifornimento degli aerei sul ponte, ti rendi conto come la nuova tecnologia è il “game changer” per l’aviazione di Marina». L’onorevole James F. Geurts, che svolge le funzioni di sottosegretario della Marina, è profondamente consapevole delle capacità evolutive del programma «CVN 78», avendo servito in precedenza come assistente segretario

della Marina per la ricerca, lo sviluppo e l’acquisizione. Nel corso del PDT&T, l’equipaggio della nave e gli squadroni imbarcati hanno convalidato e perfezionato innovazioni tecnologiche mai viste prima su un’unità di questo tipo, il tutto mentre l’equipaggio lavorava affrontando le sfide di mitigazione contro il Covid-19.

Impostazione del futuro caccia Harvey C. Barnum (DDG 124)

Con una cerimonia tenutasi presso i cantieri Bath Iron Works (BIW) di Bath (Maine) del gruppo General Dynamics, il 6 aprile è stato impostato il caccia lanciamissili Harvey C. Barnum (DDG 124) alla presenza dell’omonimo colonnello dell’USMC in pensione, Harvey «Barney» Barnum junior, con il cui nome è stata battezzata la nuova unità. Appartenente alla classe «Arleigh Burke Flight IIA», il nuovo caccia sarà equipaggiato con il sistema «AEGIS Baseline 9», che fornisce capacità di difesa aerea e missilistica integrate migliorate, con maggiore potenza di calcolo e aggiornamenti al sistema radar che ne migliorano la portata e il tempo di reazione contro le nuove minacce aeree e missilistiche comprese quelle balistica. BIW ha anche in produzione i futuri caccia classe «Arleigh Burke Flight IIA» Carl M. Levin (DDG 120), John Basilone (DDG 122), Patrick Gallagher (DDG 127) e le nuove unità della medesima classe «Flight III», Louis H. Wilson, Jr. (DDG 126), e William Charette (DDG 130), così come il caccia Lyndon B. Johnson (DDG 1002), classe «Zumwalt».

Consegnato l’FRC Glen Harris (1144)

I cantieri Bollinger hanno consegnato alla US Coast Guard l’FRC (Fast

Response Cutter) GLEN HARRIS (1144). Si tratta del terzo di sei cutter

destinati a essere basati presso Manama, nel Bahrein, nell’ambito della PATFORSWA (Patrol Forces Southwest Asia (Bollinger).

I cantieri Bollinger hanno consegnato all’US Coast Guard l’FRC (Fast Response Cutter) Glen Harris (1144). Si tratta della 167a unità consegnata all’US Coast Guard in un periodo di 35 anni e il 44o FRC della classe secondo l’attuale programma. L’FRC Glen Harris è il terzo di sei cutter destinati al rimpiazzo degli anziani pattugliatori classe «Island» basati presso Manama, nel Bahrein, nell’ambito della PATFORSWA (Patrol Forces Southwest Asia), la più grande presenza avanzata dell’US Coast Guard fuori dagli Stati Uniti.

Radiata la Bonhomme Richard (LHD 6)

Con una cerimonia tenutasi presso la base navale di San Diego è stata ritirata dal servizio, il 14 aprile scorso, l’unità d’assalto anfibio Bonhomme Richard. Come è noto, quest’ultima è stata oggetto di un grave ed esteso incendio a bordo che ha causato ingenti danni tali da non considerare costo-efficacia i lavori di ripristino delle strutture, equipaggiamenti ed efficienza nave.

Battezzato il caccia Lenah Sutcliffe Higbee

(DDG 123)

Con una cerimonia tenutasi presso i cantieri di Pascagoula (Mississippi) del gruppo Huntington Ingalls Industries (HII) è stato battezzato il 73o caccia lanciamissili classe «Arleigh Burke». Appartenente al «Flight IIA», quest’ultimo ha ricevuto il nome Lenah Sutcliffe Higbee, in ricordo del Secondo sovraintendente del Corpo infermieristico dell’US Navy nel 1911, che ha fatto parte delle prime 20 donne a entrare nel Corpo e la prima a ricevere la Navy Cross, seconda massima onorificenza dell’US Navy e del Corpo dei Marine, ancora in vita.

Consegnata l’LCS Oakland (LCS 24)

Con una cerimonia tenutasi presso il porto di Oakland (California) è entrata in servizio l’LCS Oakland, 12a unità della classe «Independence» a essere costruita dai cantieri Austal USA del gruppo General Dynamics ed entrare in linea con l’US Navy (immagine nella pagina accanto).

I caccia classe «Zumwalt» saranno i primi con armi ipersoniche

La prima piattaforma che l’US Navy equipaggerà con missili ipersonici nel 2025 sarà un caccia classe «Zum-

Con una cerimonia tenutasi presso il porto di Oakland (California) è entrata in servizio l’omonima LCS OAKLAND, 12a unità della classe «Indepen-

dence» a essere costruita dai cantieri Austal USA (General Dynamics) per l’US Navy (US Navy/US DoD).

walt». Lo ha dichiarato il Chief of Naval Operations (CNO), ammiraglio Mike Gilday nel corso di un evento sponsorizzato dal Center for Strategic and Budgetary Assessments. Questa decisione rappresenta un cambiamento rispetto a quanto precedentemente pianificato, in cui si prevedeva di equipaggiare con missili ipersonici quale prima piattaforma un SSGN classe «Ohio». Nel 2017, l’US Navy ha annunciato la conversione dei tre caccia della classe «Zumwalt», e in particolare le unità Zumwalt (DDG 1000), Michael Monsoor (DDG 1001) e Lyndon B. Johnson (DDG 1002) da piattaforme per l’impiego in contesti littoral e supporto alle operazioni anfibie e terrestri con il munizionamento guidato sparato dai due sistemi d’arma da 155 mm a unità d’attacco per operazioni in alto mare. Il CNO non ha specificato con quali armi intenda equipaggiare i caccia della classe «Zumwalt» ma è noto che si tratti del C-HGB (Common-Hypersonic Glide Body) sviluppato per l’US Army, USAF e US Navy. Il sistema d’arma viene sviluppato nell’ambito del programma CPS (Conventional Prompt Strike) con il quale le Forze armate americane intendono mettere in servizio un’arma con capacità di strike convenzionale in grado di colpire un bersaglio ovunque nel mondo con un breve preavviso. Nel marzo di quest’anno, il Navy Strategic Systems Programs ovverosia l’Ufficio di programma per i sistemi strategici dell’US Navy, ha emesso una richiesta d’informazioni all’industria per soddisfare i requisiti posti dal Fiscal Year 21 National Defense Authorization Act (NDAA) per l’integrazione delle tecnologie e dei sistemi ipersonici sui caccia classe «Zumwalt». In particolare, la richiesta d’informazioni era indirizzata a soggetti industriali capaci di fornire supporto per il coordinamento, aspetti ingegneristici e l’integrazione di sistemi d’arma CPS sui caccia classe «Zumwalt». Fra le diverse richieste, anche quella legata alla produzione di sistemi d’arma con un grande diametro, superiore ai 76 cm, che comprendano il Common Hypersonic Glide Body e il sistema missilistico grazie al quale viene lanciato quest’ultimo, creando quello che viene definito come AUR (All Up Round) unitamente al relativo canister per l’impiego dai menzionati caccia e future piattaforme dell’US Army. A questi s’aggiunge anche la produzione dell’APM (Advanced Payload Module) ovverosia il modulo in grado di accogliere il carico rappresentato dagli AUR in una configurazione con pacchetto a tre, oltre ai sistemi connessi per l’integrazione con la piattaforma e il sistema di combattimento dei caccia. Nel passato, l’US Navy ha studiato l’integrazione di tre missili balistici a corto raggio in un MAC (Multiple All-up-round Canister), ovverosia un modulo cilindrico sviluppato per accogliere sette missili da crociera Tomahawk nello stesso spazio dei lanciatori per i missili balistici con testate nucleari «Trident II D5», per l’installazione a bordo degli SSGN classe «Ohio» modificati. Oggi i risultati di tale attività verrebbero utilizzati per l’impiego dei MAC quale modulo per i sistemi d’arma ipersonici. Questi ultimi sarebbero installati al posto di almeno uno dei due cannoni da 155 mm ma non si conoscono ulteriori dettagli, in particolare quanti MAC potrebbero essere installati con la rimozione di un sistema da 155 mm. Affinché si possa avere una piattaforma modificata per i nuovi sistemi d’arma e disponibile nel 2025, è necessario che i fondi vengano assegnati al programma al più presto possibile con il budget presidenziale del FY22. Il CNO dell’US Navy ha anche dichiarato in tale sede che gli sforzi in termini di ricerca e sviluppo nel settore ipersonico sono indirizzati a fornire tale capacità a un’unità di superficie e successivamente a bordo degli SSN classe «Virginia». Nel novembre del 2020, il responsabile dei Strategic Systems Programs dell’US Navy, ammiraglio Johnny Wolfe, aveva dichiarato che una capacità operativa iniziale con sistemi d’arma ipersonici si sarebbe raggiunta nel 2025 a bordo di unità tipo SSGN e non SSN classe «Virginia». Un cambiamento di programmi che potrà essere confermato con l’imminente emissione del budget presidenziale per l’anno fiscale 2022.

Luca Peruzzi

SCIENZAE TECNICA

I grandi tecnici della Marina Militare: il generale Gioacchino Russo

In questa rubrica, negli ultimi anni, abbiamo dedicato una serie di articoli ai grandi tecnici e scienziati della Marina Militare, esaminando in particolare le figure di Benedetto Brin, Giancarlo Vallauri, Giuseppe Rota, Domenico Chiodo, Umberto Pugliese, Vittorio Cuniberti, Edoardo Masdea, Ugo Tiberio, Gian Battista Magnaghi, Umberto Cagni e Angelo Scribanti. Tratteremo ora del generale del Genio Navale Gioacchino Russo, brillante ingegnere navale che, oltre a partecipare alla progettazione delle prime corazzate monocalibro italiane, si dedicò a studi sul moto di rollio, inventando un meccanismo chiamato «navipendolo», oltre a vari altri apparati, oggetto di brevetto in vari paesi. Dopo la fine della Grande guerra intraprese una carriera politica che lo vide deputato, senatore e dal 1929 al 1933 sottosegretario di Stato alla Marina.

Immagine d’epoca del generale del Genio Navale Gioacchino Russo (Catania 1865Catania 1953) - (wikipedia.it).

Nato a Catania l’8 settembre 1865, figlio di Vincenzo, un notaio che risedeva a Paternò, e di Maria Consoli, il 1° ottobre 1887 si laureò ingegnere civile nella Regia Scuola di applicazione di Torino. Nel dicembre 1887 accedette tramite concorso al corpo del Genio Navale della Regia Marina e venne nominato ingegnere di seconda classe; dal gennaio 1888 fu destinato alla frequenza dei corsi della Regia Scuola superiore navale di Genova, dove si laureò ingegnere navale e meccanico nell’aprile 1889, venendo poi destinato al Secondo dipartimento marittimo di Napoli, molto probabilmente al cantiere di Castellammare di Stabia.

Nell’ottobre 1890 partecipò a un’uscita in mare sulla torpediniera 112S, e nel novembre 1890 venne nominato ingegnere di prima classe. Nel 1891-92 effettuò varie uscite in mare con l’incrociatore torpediniere Euridice, costruito tra il 1889 e il 1891 nel cantiere di Castellammare di Stabia (1). Tra il 1892 e il 1895 imbarcò in varie occasioni, partecipando a diverse uscite in mare, sulla corazzata Re Umberto, progettata da Benedetto Brin, costruita anch’essa nel cantiere di Castellammare di Stabia e consegnata alla Regia Marina nel febbraio 1893, dopo un lungo periodo di costruzione iniziato nel 1884.

Nel 1894 pubblicò un lungo articolo sulla Rivista Marittima, dedicato all’affondamento della corazzata britannica Victoria, avvenuto nel giugno 1893 al largo di Tripoli (Libano), a seguito di una collisione con la corazzata Camperdown. Russo, esaminati i risultati delle diverse inchieste effettuate dalla Royal Navy, si chiese se avesse senso continuare a costruire navi con compartimenti stagni collegati da porte stagne anche al di sotto del galleggiamento; porte che, come capitato nel caso della Victoria, possono essere aperte nel momento in cui per qualunque motivo si crea una falla, consentendo quindi la rapida propagazione dell’allagamento. Russo suggerisce di prevedere, per ogni compartimento (con l’eccezione dei compartimenti caldaie e macchine), solo comunicazioni verticali con il ponte di corridoio (posto al di sopra del galleggiamento), soluzione oggi normale sulle navi combattenti. Altri punti che il Russo trattò nel suo articolo sono l’efficacia della corazza nei confronti dello speronamento, il bordo libero, le condizioni di stabilità, la vulnerabilità delle navi rispetto alle varie offese (cannone, rostro, siluro e mina) e la convenienza di avere grandi navi oppure un numero maggiore di navi più piccole.

Dal 1895 al 1898 venne destinato presso l’Accademia navale di Livorno, come insegnante di macchine a

vapore; nell’agosto del 1898 venne destinato a Roma, presso il ministero della Marina. L’11 febbraio 1899 si sposò con la signora Amalia Elvezia Morosoli, dalla quale ebbe sei figli: Vincenzo, Francesco, Angelo, Luigia, Maria e Clementina.

Attorno al 1899-1900 venne realizzato, presso le officine Galileo di Firenze e installato presso la vasca navale della Spezia, dopo un periodo iniziale presso il ministero a Roma e dopo essere stato esposto a congressi di architettura navale a Londra e Parigi, il «navipendolo Russo» per effettuare esperienze di rollio in mare ondoso, con onde trocoidali regolari aventi lunghezza, altezza e periodo voluti. Nel navipendolo, la più famosa delle invenzioni di Gioacchino Russo, la nave è rappresentata da un pendolo doppio, con un momento d’inerzia (variabile modificando la posizione dei pesi lungo l’asta) corrispondente, in similitudine meccanica, a quello della nave, pendolo che oscilla attorno ai punti di tangenza di una camma a coltelli (camma solidale con il pendolo e avente per sezione retta la proiezione della curva dei centri di carena della nave in

La corazzata RE UMBERTO, progettata da Benedetto Brin, realizzata nel

cantiere di Castellammare di Stabia e consegnata alla Regia Marina nel febbraio 1893, dopo un lungo periodo di costruzione iniziato nel 1884. Alle prove in mare partecipò Gioacchino Russo (USMM). In alto: l’incrociatore

torpediniere EURIDICE, costruito tra il 1889 e il 1891 nel cantiere di

Castellammare di Stabia, alle cui prove in mare partecipò il giovane ingegnere di 1a classe Gioacchino Russo (US Navy). In basso: vista

laterale e dall’alto della corazzata RE UMBERTO (disegno d’epoca, Almanacco Brasseys del 1896).

Tavola 1 dell’articolo Alcune considerazioni sulla perdita della Victoria, firmato dall’ingegnere di 1a classe

Gioacchino Russo, Rivista Marittima, 1894 (disegno d’epoca). Immagine d’epoca del cantiere navale di Castellammare di Stabia in occasione del

varo della corazzata ITALIA nel gennaio 1880;

Gioacchino Russo prestò servizio a Castellammare nel 1889-95 e nel 1910-11 (wikipedia.it).

esame sul piano d’inclinazione trasversale) con una lastra piana (pianerottolo), che rappresenta un elemento di superficie dell’onda. Questo pianerottolo può stare fermo (caso di oscillazione della nave in acqua calma) o muoversi, per effetto di un congegno cinematico comprendente un motorino elettrico con resistenza variabile e una serie di ruotismi, secondo una trocoide, simulando quindi il moto della nave con onde regolari. Il navipendolo è munito di un apparato registratore, che segna le ampiezze delle oscillazioni di rullio assoluto della nave e le oscillazioni della normale all’onda, in funzione del tempo. Si possono così, mediante una serie di esperienze, tracciare le curve delle ampiezze massime di rullio assoluto in funzione del periodo dell’onda e per diverse

condizioni di carico, nonché per la nave munita o non di alette o di altri mezzi per aumentare la rapidità di estinzione del rullio. Si possono variare le caratteristiche dell’onda con opportuni spostamenti di bracci di manovella; variando invece la posizione dei pesi, e quindi del centro di gravità dell’asta, si possono studiare i moti della nave in diverse condizioni di carico. Gioacchino Russo si reca in missione di servizio a Londra nel 1900, 1902 e 1903 e a Parigi nel 1902, per presentare, presso congressi della britannica «Institution of Naval Architects» (INA) e della francese «Association de Technique Maritime», i suoi studi sul rollio e in particolare il navipendolo, riscuotendo grande interesse; nel 1903 l’INA gli assegna una medaglia d’oro. Sull’argomento del navipendolo scrive due articoli per la Rivista Marittima, Esperienze navipendulari sul rollio delle navi in moto ondoso nel 1900 e Il metodo degli esperimenti navipendulari appli-

Tavola 2 dell’articolo Alcune considerazioni sulla perdita della Victoria, firmato dall’ingegnere di 1a classe

Gioacchino Russo, Rivista Marittima, 1894 (disegno d’epoca).

Immagine d’epoca dell’esplora-

tore QUARTO, qui ripreso in

navigazione nel 1925, venne costruito dal Regio Arsenale di Venezia nel 1909-12; a sinistra, immagine d’epoca del sommergi-

bile NEREIDE, assieme al gemello NAUTILUS, venne

costruito dal Regio Arsenale di Venezia nel 1911-13 (entrambi costruiti quando il colonnello del Genio Navale Gioacchino Russo era Direttore delle Costruzioni navali e meccaniche). In basso: immagine d’epoca della coraz-

zata DANTE ALIGHIERI, prima

corazzata monocalibro italiana, progettata da Edoardo Masdea con il contributo di Gioacchino Russo (wikipedia.it).

cato a navi da guerra nel 1902. Il primo articolo è dedicato principalmente alla descrizione dell’apparato e al suo principio di funzionamento, il secondo riporta, oltre al principio di funzionamento del navipendolo, alcune considerazioni teoriche sul moto di rollio, all’epoca oggetto di studi da parte degli architetti navali di tutto il mondo, e i risultati delle esperienze eseguite con il navipendolo per tre diversi tipi di unità: le corazzate italiane Re Umberto e Regina Margherita e la corazzata inglese Revenge. Viene in particolare affrontato l’argomento dell’efficacia delle alette antirollio, che può essere valutata con il navipendolo.

Nel marzo 1903 Russo venne promosso ingegnere capo di seconda classe, grado che nel marzo 1904 venne ridenominato maggiore del genio navale. Nell’agosto del 1904 ricevette dal governo italiano la «medaglia d’oro di prima classe pei benemeriti delle scienze navali». Nel 1905 ricevette un encomio e un premio per le caratteristiche tecniche e la genialità delle sistemazioni di un progetto da lui presentato a un concorso indetto tra gli ufficiali superiori del Genio Navale per un progetto di nave da battaglia di prima classe, che si classificò primo, a parimerito con altri due. Ricordiamo che quelli erano gli anni nei quali furono concepite le prime corazzate monocalibro. Sempre nel 1905 pubblicò presso la casa editrice Roux & Viarengo di Torino il Manuale di architettura navale ad uso degliufficiali di Marina, che aveva steso nel periodo in cui aveva insegnato la materia in Accademia navale. Il Diagramma Russo, molto adoperato nella Regia Marina, consente di rilevare il volume e la posizione della spinta per qualsiasi carena inclinata longitudinalmente e la posizione del metacentro trasversale di tale carena, quali che siano le sue immersioni di prora e di poppa.

Nel 1906 si svolge l’Esposizione Internazionale di Milano, avente come tema centrale quello dei trasporti. La Regia Marina partecipa in forze, presentando in particolare un modello in scala della vasca navale della Spezia e il navipendolo del Russo. Nel 1907 pubblicò sulla Rivista Marittima l’articolo Il congresso internazionale di architettura navale nel quale riferiva sul congresso svoltosi a Bordeaux nel giugno 1907. Gli argomenti di attualità includevano l’impiego della turbina a vapore, le lezioni apprese dalla guerra russogiapponese, le corazzate monocalibro e i sottomarini. Tenente colonnello, nel settembre del 1907, diresse un reparto tecnico del ministero della Marina e collaborò con il generale Eduardo Masdea (prematuramente scomparso nel maggio 1910), presidente del Comitato per i progetti di navi, lavorando alla redazione dei disegni delle prime dreadnoughts (dal nome della prima corazzata monocalibro costruita, l’inglese HMS Dread-

Due immagini del «navipendolo» progettato da Gioacchino Russo e costruito dalle Officine Galileo di Firenze (Esperienze navipendolari sul rollio delle navi in moto ondoso, Gioacchino Russo, Rivista Marittima, aprile 1900). In alto: a sinistra, profilo e pianta della corazzata DANTE ALIGHIERI (immagine d’epoca); a destra, profilo e pianta della corazzata CONTE DI CAVOUR, ultima unità navale progettata da Edoardo Masdea con il contributo di Gioacchino

Russo (immagine d’epoca).

Il doppio pendolo su cui è basato il navipendolo del Russo. Il rotolamento della camma F (che riproduce la curva dei centri di carena della nave in esame) sul piano L, simula il moto di rollio della nave. Accanto: in alto, disegno in vista laterale del «navipendolo» progettato da Gioacchino Russo; in basso, disegno in vista frontale del «navipendolo» progettato

da Gioacchino Russo (Esperienze navipendolari sul rollio delle navi in moto ondoso, Gioacchino Russo, Rivista Marittima, aprile 1900).

Disegno in vista dall’alto del «navipendolo» progettato da Gioacchino Russo. In basso: un esempio dei grafici del rollio di una nave che si ottenevano dal «navipendolo»

progettato da Gioacchino Russo (Esperienze navipendolari sul rollio delle navi in moto ondoso, Gioacchino

Russo, Rivista Marittima, aprile 1900).

nought) italiane, la Dante Alighieri e la classe «Conte di Cavour» (2) per passare, nell’agosto del 1910, al cantiere di Castellammare di Stabia come vicedirettore delle costruzioni navali. A Castellammare era in costruzione proprio la prima corazzata monocalibro italiana, la Dante Alighieri (impostata nel giugno 1909, varata nell’agosto 1910 e consegnata nel gennaio 1913). Presentò anche un progetto al concorso indetto dalla Regia Marina nel 1911 per la progettazione di una nave da battaglia del tipo «super-dreadnought». Gli altri progetti furono presentati dai maggiori generali del Genio Navale Edgardo Ferrati e Agostino Carpi e dal colonnello G.N. Giuseppe Rota; per lo sviluppo del progetto preliminare di quelle che saranno le corazzate classe «Caracciolo», nessuna delle quali fu completata, venne incaricato il maggiore generale Ferrati, che doveva lavorare tenendo presente anche le altre soluzioni presentate.

Il navipendolo è oggi in carico al Museo tecnico navale della Marina Militare della Spezia, ed è custodito all’aperto in una zona prospiciente la Direzione arsenale (autore). In basso: un’immagine d’epoca del sommer-

gibile DELFINO, costruito nel 1892 e modificato nel 1900, a bordo del quale

fu installato un prototipo del cleptoscopio, apparato ottico antesignano del periscopio inventato da Gioacchino Russo e dall’ingegner Cesare Laurenti (wikipedia.it).

Nel marzo del 1911 fu promosso colonnello e dall’agosto seguente fino all’ottobre del 1913 fu a Venezia come direttore delle costruzioni navali del 3° Dipartimento. Ricordiamo che all’interno dell’Arsenale di Venezia nel 1912-13, quando era Direttore generale l’ammiraglio Umberto Cagni, venne creato un reparto speciale destinato alla progettazione, alla costruzione e al collaudo dei primi idrovolanti usati dalla Regia Marina. Tra il 1909 e il 1913 nell’Arsenale di Venezia venne costruito l’esploratore Quarto; tra il 1911 e il 1913 i sommergibili Nautilus e Nereide (3).

Nel 1913 vennero pubblicati negli Annali della Vasca navale della Spezia i risultati delle prove effettuate sulla carena E54, relativa all’esploratore Quarto; oltre alle prove di rimorchio furono effettuate esperienze di oscillazione ed esperienze con il «navipendolo» per verificare l’efficacia delle «casse antirollanti Frahm» (4) e delle alette di rollio; questo argomento fu oggetto di articoli e memoria, in particolare da parte di Nino Pecoraro, all’epoca direttore della vasca.

Rientrato poi al ministero della Marina, per tutta la guerra operò presso la Direzione generale delle costruzioni navali a Roma. Venne autorizzato a fregiarsi della medaglia commemorativa della guerra 1915-18, in particolare per le campagne degli anni 1915, 1916 e 1917. Il 3 novembre 1918 fu nominato brigadiere generale — dizione convertita l’anno seguente in maggiore generale — grado con cui il 16 marzo 1919 fu collocato in ausiliaria e iscritto nella riserva navale, in applicazione dell’articolo 2 della legge 472 del 26 maggio 1911 (5).

Nel 1916 pubblicò sulla Rivista Marittima l’articolo Il moto ondoso del mare riprodotto artificialmente in una vasca sperimentale, nel quale, partendo dai risultati ottenuti con il navipendolo e dalla notizia che, negli Stati Uniti, David Taylor stava costruendo la prima vasca navale attrezzata per effettuare prove su modelli in moto ondoso, presentava una vasca a pareti deformabili, collegate a organi meccanici mobili tali da generare, nel liquido contenuto nella vasca, un moto ondoso regolare simile a quello del mare (onde trocoidali); della vasca era già stato costruito, da parte della società Ansaldo di Cornigliano Ligure, un prototipo di piccole dimensioni (120x100x50 cm) con pareti in gomma, sperimentato con successo. Nel dicembre 1923 Russo venne nominato generale vice ispettore della riserva navale, e nel novembre 1926 tenente generale; nello stesso anno cessò di appartenere alla riserva navale permanendo nella posizione di ausiliaria, e nel marzo 1927 venne collocato a riposo, venendo quindi iscritto nuovamente nella riserva navale; successivamente, ad agosto, venne nominato generale ispettore, permanendo nella riserva navale. Nel 1919 venne eletto deputato per la 25a legislatura del Regno d’Italia nel

Il Telops, apparato per consentire ai sommergibili immersi di vedere sopra la superficie del mare (oggi chiamato periscopio), brevettato da Paolo Triulzi nel 1901, quasi contemporaneamente al brevetto del cleptoscopio da parte di Gioacchino Russo e Cesare Laurenti. (immagine d’epoca, archivio Museo della scienza e della tecnica di Milano). A finaco: il sistema per il collegamento delle piastre di corazza con lo scafo di una nave corazzata, brevettato da Gioacchino Russo negli Stati Uniti nel 1911. Legenda delle figure 1 e 2: a. corazza, b. legno, c. scafo, d. vite filettata a entrambe le estremità, e. molla metallica a forma di coppa; le figure 3, 4 e 5 rappresentano varianti (patents.google.com).

collegio di Catania; aderì al «gruppo del rinnovamento», un movimento di ex combattenti inizialmente su posizioni nazionaliste, ma democratiche, cui aderì per un certo periodo anche Gaetano Salvemini; la 25a legislatura ebbe termine nel 1921. Gioacchino Russo fu rieletto nel 1924, nel collegio unico nazionale (Sicilia), per la 27a legislatura, che ebbe termine nel 1929; in quello stesso anno fu nominato senatore del Regno d’Italia, nella categoria 3, che comprendeva: «I deputati dopo tre legislature o sei anni di esercizio». Relatore della nomina, il senatore Carlo Petitti di Roreto, generale torinese distintosi durante la Grande guerra. Ricordiamo che anche il generale ispettore del Genio Navale Giuseppe Rota, già primo Direttore della Vasca Navale della Spezia, venne nominato senatore del Regno nel dicembre 1928. Lo stesso Giuseppe Rota fu il primo Presidente dell’Ente «Vasca Nazionale per le Esperienze di Architettura Navale» di Roma, il cui statuto, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 1928, prevedeva, tra le esperienze cui l’Ente stesso era dedicato, le «prove di oscillazione a mezzo del navipendolo “Russo” per lo studio del rollio in mareondoso». Gioacchino Russo si occupò anche di aerodinamica e in occasione della XII Riunione della Società italiana per il progresso delle scienze, che si tenne a Catania dal 5 all’11 aprile 1923, con la presenza del ministro della Pubblica istruzione, Giovanni Gentile, lesse la relazione La resistenza dell’aria ai corpi in moto accelerato.

1

2 3

Primo, secondo e terzo disegno relativo all’apparato ottico per riprodurre gli oggetti con i loro colori naturali, progettato da Gioacchino Russo (patents.google.com).

Nel settembre del 1929 Benito Mussolini decise di lasciare sette degli otto ministeri la cui titolarità aveva accentrato su di sé, tra cui in particolare il ministero della Marina, nominando ministro l’ammiraglio Giuseppe Sirianni, fino ad allora sottosegretario della Marina; Gioacchino Russo fu nominato sottosegretario e durante il periodo trascorso al ministero collaborò con l’ammiraglio Sirianni all’ammodernamento della flotta, sulla base del piano quinquennale approvato nel dicembre del 1928. Il 26 febbraio 1929 Russo si iscrisse al PNF (Partito nazionale fascista) di Catania e in quello stesso anno all’Unione Nazionale fascista del Senato. Il 6 novembre 1933 Mussolini riassunse il portafoglio della Marina e Russo fu

sostituito come sottosegretario dall’ammiraglio Domenico Cavagnari. Nel 1934 fece parte della Commissione per il piano regolatore di Catania. Fu anche membro della Commissione per l’esame dei disegni di legge per la conversione dei decreti-legge (1° maggio 1934-2 marzo 1939), membro della Commissione per il giudizio dell’Alta Corte di giustizia (1° maggio 1934-2 marzo 1939 e 17 aprile 1939-5 agosto 1943) e membro della Commissione delle Forze armate (17 aprile 1939-5 agosto 1943).

Nel 1937 pronunciò a Genova l’orazione funebre per il professor Angelo Scribanti, già direttore della Regia Scuola navale superiore di Genova, a più di 10 anni dalla morte avvenuta nel 1926, intervenendo anche nel dibattito, all’epoca in corso, sull’eventuale trasformazione della scuola in politecnico. Nel maggio 1939 presentò un discorso al Senato sulle norme per la requisizione del naviglio mercantile, nel settembre 1940 uno sull’estensione al personale militare dell’Aeronautica del regolamento di disciplina militare, e nell’aprile 1941 uno sullo stato previsionale della spesa del ministero per l’Africa italiana per l’esercizio 1941-42.

Nell’agosto del 1944 fu deferito all’Alta Corte di giustizia per le sanzioni contro il fascismo (ACGSF) con l’imputazione di essere stato membro del Governo dopo il 3 gennaio 1925, ma in novembre, la Corte respinse la richiesta di decadenza dal Senato di Russo.

Gioacchino Russo morì a Catania il 7 maggio 1953. Gli è stato dedicato l’Istituto tecnico economico statale di Paternò, ubicato in Via Parini, oltre a una via a Catania, una a Capizzi (ME) e una a Roma.

Nel 1897 fu nominato cavaliere della Corona d’Italia, nel 1909 cavaliere dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro (ordine mauriziano), nel 1911 commendatore della Corona d’Italia, nel 1913 ufficiale dell’Ordine mauriziano, nel 1919 commendatore dell’Ordine mauriziano, nel 1929 gran cordone della Corona d’Italia e nel 1931 grand’ufficiale dell’Ordine mauriziano.

Giacchino Russo fu anche consigliere d’amministrazione della società Salmoiraghi, e membro del CNR e di altri istituti di ricerca.

In conclusione, Gioacchino Russo fu un brillante e versatile ingegnere navale, autore di varie invenzioni in diversi settori, dall’architettura navale (e in

Principio di funzionamento della vasca a pareti deformabili, progettata da Gioacchino Russo per riprodurre in scala l’effetto del moto ondoso su di una nave. In alto, fotografie del prototipo in piccola scala di vasca a pareti deformabili, progettata da Gioacchino Russo e realizzata dalla ditta

Ansaldo (Il moto ondoso del mare riprodotto artificialmente in una vasca sperimentale, Rivista Marittima, 1916).

particolare lo studio del rollio) all’ottica e ai sistemi costruttivi; dopo una brillante carriera come ufficiale del Genio Navale, nel corso della quale collaborò anche alla progettazione delle corazzate monocalibro classe «Conte di Cavour», si dedicò all’attività politica, venendo eletto deputato e poi nominato senatore, ricoprendo quindi l’incarico di sottosegretario alla Marina. Egli fu, come Rota, Masdea, Pugliese, Cuniberti, Scribanti, Laurenti, Rotundi, Bonfiglietti e diversi altri, uno dei progettisti navali del Corpo del Genio Navale, formatosi nello stimolante ambiente del Comitato per i progetti delle navi fondato da Benedetto Brin, entrati nella storia della Marina Militare italiana e della nazione per l’importanza e l’originalità delle loro opere.

Claudio Boccalatte

NOTE

(1) L’Euridice era uno degli «incrociatori torpedinieri » costruiti in Italia sulla base delle teorie della Jeune école francese, secondo cui era più efficace disporre di una gran numero di unità di piccole dimensioni, in particolare se veloci e armate con siluri, invece che di una flotta di tradizionali, grandi e costose navi da battaglia. (2) Le tre navi della classe furono ordinate rispettivamente il 31 luglio 1908 (Conte di Cavour, presso il Regio Arsenale della Spezia), il 10 settembre 1910 (Giulio Cesare, presso il cantiere Ansaldo di Sestri Ponente) e il 7 settembre 1910 (Leonardo da Vinci, presso il cantiere Odero di Genova). La Conte di Cavour fu la prima a essere varata, il 10 agosto 1911, e l’ultima a entrare in servizio, il 1º aprile 1915. Leonardo da Vinci e Giulio Cesare furono varate rispettivamente il 14 e il 15 ottobre 1911 ed entrarono in servizio il 17 e 14 maggio 1914. (3) All’inizio del 1900 l’Arsenale di Venezia fu incaricato di costruire i primi battelli subacquei della Regia Marina. Tra il 1905 e il 1909 vennero così realizzati cinque sommergibili, cui seguirono Nautilus e Nereide nel 1911-13. (4) Casse per lo smorzamento del rollio a «U» proposte dal tedesco Frahm pochi anni prima. (5) Legge 26 maggio 1911, n. 472 che apporta modificazioni e aggiunte alle leggi sulla posizione ausiliaria e sull’avanzamento degli ufficiali della R. Marina (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 130 del 3 giugno 1911), articolo 2: «Il R. Governo ha facoltà di provvedere di autorità al collocamento in posizione di servizio ausiliario degli ufficiali che si trovano nelle condizioni considerate dall’articolo precedente, quand’anche non abbiano raggiunto i limiti di età stabiliti per il loro grado. L’attuazione di questo provvedimento è subordinata alle seguenti condizioni: una deliberazione del Consiglio dei ministri, se si tratta di vice ammiraglio o gradi corrispondenti; il parere favorevole della Commissione suprema di avanzamento stabilita dall’art. 28 della legge 6 marzo 1898, n. 59, se si tratta di contrammiragli, capitani di vascello, capitani di fregata o ufficiali di grado corrispondente; il parere del Consiglio superiore di Marina, costituito in Commissione di avanzamento, se si tratta di ufficiali di qualunque altro grado». (6) Cesare Laurenti (Terracina, 15 luglio 1865-Roma, 29 marzo 1921) è stato un ufficiale del Genio Navale. Laureatosi in Ingegneria navale e meccanica presso la Regia Scuola superiore navale di Genova il 7 giugno 1892, nel 1903 venne destinato al Regio Arsenale di Venezia per la costruzione di sommergibili (suo è il progetto del Glauco del 1903). Nel 1905 si dimette per assumere l’incarico di Direttore tecnico al cantiere navale del Muggiano (La Spezia), dove nel 1907 viene impostato il sommergibile Foca, di concezione totalmente innovativa. I sommergibili progettati da Laurenti, realizzati con criteri totalmente originali, furono molti e venduti a diverse Marine. Le loro caratteristiche principali erano un doppio scafo resistente e un’elevata riserva di spinta; inoltre erano provvisti di compartimenti interni. (7) Il sommergibile Delfino, progettato dal generale del Genio Navale Giacinto Pullino, fu la prima unità subacquea italiana; venne costruito nel 1889-92 presso il Regio Arsenale della Spezia e modificato nel 1900.

BIBLIOGRAFIA

I grandi tecnici della Marina Militare: il generale Benedetto Brin di C. Boccalatte, Rivista Marittima, settembre 2015, rubrica Scienza e Tecnica. I grandi tecnici della Marina Militare: l’ammiraglio Giancarlo Vallauri di C. Boccalatte, Rivista Marittima, dicembre 2015, rubrica Scienza e Tecnica. I grandi tecnici della Marina Militare: il generale Giuseppe Rota di C. Boccalatte, Rivista Marittima, febbraio 2016, rubrica Scienza e Tecnica. I grandi tecnici della Marina Militare: il generale Domenico Chiodo di C. Boccalatte, Rivista Marittima, marzo 2016, rubrica Scienza e Tecnica. I grandi tecnici della Marina Militare: il generale Umberto Pugliese di C. Boccalatte, Rivista Marittima, maggio 2016, rubrica Scienza e Tecnica. I grandi tecnici della Marina Militare: il generale Vittorio Cuniberti di C. Boccalatte, Rivista Marittima, novembre 2016, rubrica Scienza e Tecnica. I grandi tecnici della Marina Militare: il generale Edoardo Masdea di C. Boccalatte, Rivista Marittima, febbraio 2017, rubrica Scienza e Tecnica. I grandi tecnici della Marina Militare: il professor Ugo Tiberio, ideatore del radar italiano di C. Boccalatte, Rivista Marittima, maggio 2017, rubrica Scienza e Tecnica. I grandi tecnici della Marina Militare: l’ammiraglio Gian Battista Magnaghi, artefice dell’Istituto idrografico di Genova di C. Boccalatte, Rivista Marittima, novembre 2017, rubrica Scienza e Tecnica. I grandi tecnici della Marina Militare: l’ammiraglio Umberto Cagni di C. Boccalatte, Rivista Marittima, gennaio 2019, rubrica Scienza e Tecnica. I grandi tecnici della Marina Militare: il professor Angelo Scribanti di C. Boccalatte, Rivista Marittima, aprile 2019, rubrica Scienza e Tecnica. La vasca navale della Spezia e la nascita della moderna architettura navale in Italia di C. Boccalatte, Bollettino d’archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare; settembre 2013. USMM, Uomini della Marina 1861-1946. https://patents.google.com/?inventor=Gioacchino+Russo. http://www.aetnanet.org/scuola-news-2477352.html. https://www.lavocedelmarinaio.com/2014/07/gioacchino-russo-il-cleptoscopio-il-navipendolo. https://www.treccani.it/enciclopedia/gioacchino-russo_%28Dizionario-Biografico%29/ https://www.treccani.it/enciclopedia/nave_%28Enciclopedia-Italiana%29. La Regia Marina italiana all’esposizione di Milano 1906, file word disponibile al sito internet http://www.digitami.it/risorsa.srv?docId=162. https://www.iterusso.edu.it/pvw/app/CTIT0021/pvw_sito.php?sede_codice=CTIT0021&page=902300. https://storia.camera.it/deputato/gioacchino-russo-18650908. http://notes9.senato.it/web/senregno.nsf/4038162380009750c125703d004eed42/1609cdebdc52c65b4125646f005f396d?OpenDocument. http://notes9.senato.it/web/senregno.nsf/All/1609CDEBDC52C65B4125646F005F396D/$FILE/1961%20Russo%20Gioacchino.pdf (fascicolo personale del generale Russo). Statuto dell’Ente «Vasca Nazionale per le Esperienze di Architettura Navale», in Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia, numero 100, 28 aprile 1928. Alcune considerazioni sulla perdita della “Victoria” dell’ingegnere di 1a classe Gioacchino Russo, Rivista Marittima, 1894. Esperienze navipendolari sul rollio delle navi in moto ondoso di Gioacchino Russo, Rivista Marittima, aprile 1900. Il metodo degli esperimenti navipendulari applicato a navi da guerra di Gioacchino Russo, Rivista Marittima, 1902. Il congresso internazionale di architettura navale di Gioacchino Russo, Rivista Marittima, 1907. Annale 79. Direzione delle Costruzioni navali del Primo Dipartimento Marittimo, Annali dell’Officina per le esperienze di Architettura Navale, 1913 - fascicolo II, Esperienze di rimorchio, di oscillazione e navipendolari compiute col modello della carena ‘E54’ (R.N. Quarto), La Spezia 1914. Il moto ondoso del mare riprodotto artificialmente in una vasca sperimentale di Giacchino Russo, Rivista marittima 1916. Regia Università di Genova - Commemorazione del professor Angelo Scribanti, Genova 1937, https://unire.unige.it/handle/10621/740.

CARATTERISTICHE DELLE PRINCIPALI UNITÀ NAVALI AL CUI PROGETTO PARTECIPÒ GIOACCHINO RUSSO

Nave da battaglia Dante Alighieri: dislocamento di pieno carico circa 21.800 tonnellate, lunghezza tra le perpendicolari 158,40 metri, potenza 32.200 HP, velocità 23 nodi, protezione massima 280 mm, armamento principale 12 pezzi da 305/46 mm, 20 da 120/50 mm, 12 da 76/40 mm, 2 da 40/39 mm, 3 tubi lanciasiluri, equipaggio 970 effettivi. Navi da battaglia classe «Conte di Cavour» (3 unità): dislocamento di pieno carico circa 25.100 tonnellate, lunghezza tra le perpendicolari 169 metri, potenza 31.000 HP, velocità 21,5 nodi, protezione massima 280 mm, armamento principale 13 pezzi da 305/46 mm, 18 da 120/50 mm, 16 da 76/50 mm, 6 da 76/40 mm, 3 tubi lanciasiluri, equipaggio 1.000 effettivi.

I BREVETTI DI GIOACCHINO RUSSO

Giacchino Russo presentò diverse richieste di brevetto, sia in Italia sia all’estero. Per quanto riguarda, in particolare, il navipendolo, il 16 ottobre 1898 ottenne in Italia una «privativa» per tre anni (n. brevetto 99118) prolungata poi per altri tre, con richiesta del 3 settembre 1902. Il giorno 2 febbraio 1899 presenta in Gran Bretagna la richiesta di brevetto GB189902387A, accolta in data 2 marzo 1900. Sempre in Gran Bretagna depositò, il 27 gennaio 1902, assieme a Cesare Laurenti (6), la richiesta di brevetto GB190202165A relativa al cleptoscopio. Il brevetto fu concesso il 27 febbraio 1903. In Italia il brevetto era stato depositato il 28 luglio 1901 e perfezionato il 4 settembre 1901. In quello stesso anno Paolo Triulzi depositò un brevetto per un apparecchio simile, chiamato «Telops Triulzi», brevetto concesso il 14 settembre, mentre all’estero anche sir Howard Grubb ottenne un brevetto per un apparato tipo periscopio (patente inglese 10373 del 18 maggio 1901); si trattò di tre invenzioni quasi contemporanee, che differivano nei principi costruttivi, ma non nello scopo, che era quello di dotare i sommergibili di uno strumento per poter vedere quanto accadeva al di sopra della superficie stando in immersione, in particolare con campo di vista sufficientemente ampio (quello del cleptoscopio secondo articoli di stampa era di 60° circa). Il cleptoscopio venne installato sul sommergibile Delfino nel 1901 (7). Secondo alcune fonti, Paolo Triulzi (che aveva interessi nelle Officine Galileo di Firenze) contestò inizialmente l’originalità del brevetto del cleptoscopio, che sarebbe stato una copia del Telops, per poi ritirare le accuse in cambio di ordini della Regia Marina alle Officine Galileo; mentre del Telops sono disponibili (nell’archivio del Museo della scienza e della tecnica di Milano) una descrizione particolareggiata e dei disegni, nulla è stato trovato dall’autore per il cleptoscopio, per cui non è possibile pronunciarsi sulla fondatezza dell’accusa, rivolta in particolare a Cesare Laurenti, che avrebbe avuto la possibilità di visionare un prototipo del Telops, chiedendo a Triulzi di ritardare, per motivi di segreto militare, il deposito del relativo brevetto, per poi depositare invece, congiuntamente con Gioacchino Russo, il brevetto del cleptoscopio. Negli Stati Uniti, Gioacchino Russo presentò, il 15 febbraio 1909, la richiesta di brevetto US993276A, concessa il 23 maggio 1911, relativa a un nuovo sistema per fissare le piastre di corazza allo scafo di una nave. Il sistema comprende una particolare vite filettata a entrambe le estremità, una delle quali si collega a un foro filettato nella corazza, l’altra a un particolare bullone metallico che svolge anche le funzioni di molla; la scelta dei passi delle filettature e la particolare forma del bullone consentono di evitare la rottura del collegamento e la proiezione di frammenti all’interno della nave nel caso la piastra di corazza sia colpita da un colpo avversario. Lo stesso brevetto fu presentato in Gran Bretagna (brevetto GB190903688A richiesto il 15 febbraio 1909 e concesso il 15 febbraio 1910) e in Francia (brevetto FR399633A richiesto il 19 febbraio 1909 concesso il 2 luglio 1909). Sempre negli Stati Uniti Russo presentò, nel 1921, la richiesta di brevetto US1629974A per un apparato ottico per riprodurre gli oggetti con i loro colori naturali; la richiesta venne accolta solo il 24 maggio 1927, probabilmente per l’opposizione di qualche altro inventore; si trattava, in pratica, di un apparato antesignano della fotografia a colori. Il principio di funzionamento dell’apparato è la scomposizione, per mezzo di sistemi ottici, dell’immagine in una pluralità di immagini (Russo prevede varie varianti dell’apparato, con 3, 4, o 7 diverse immagini), ognuna delle quali rappresenta la componente dell’immagine relativa a un singolo colore elementare. Tutte queste immagini si formano in corrispondenza di un unico piano sul quale è posta una lastra o un film sensibile a tutti i colori (pancromatica). È poi possibile impiegare la stessa macchina dotata di vetri interni colorati, per vedere una singola immagine a colori, a partire da una lastra o film che rappresenta il «positivo » della lastra (negativo) impressionata con le diverse immagini relative ai singoli colori elementari; è anche possibile proiettare mediante una variante dell’apparato, un’immagine colorata, o una serie di immagini per ottenere una proiezione cinematografica a colori. La stessa richiesta di brevetto venne depositata in Austria (brevetto AT96931B concesso il 10 maggio 1924), in Francia (brevetto FR539600A concesso il 28 giugno 1922) e in Svizzera (brevetto CH105013A richiesto nel 1922).

CHECOSASCRIVONOGLIALTRI

«Per i 160 anni dell’Unità d’Italia»

ROBINSON, N.223 E IL GIORNALE, 13 MARZO 2021

Il 17 marzo 1861, con la proclamazione del Regno d’Italia da parte del primo parlamento italiano riunito a Torino, nasceva l’Italia unita, dopo quei tredici secoli dalla caduta dell’impero romano che avevano portato invasioni, dominazioni straniere e frammentazione politica, tanto che il cancelliere austriaco Metternich, durante il Congresso di Vienna del 1815, ebbe a definire l’Italia come una «mera espressione geografica». L’Italia unita, nata dalla fusione di ben sei Stati preunitari (Regno di Sardegna, Ducati di Parma-Piacenza e Modena-Reggio, Granducato di Toscana, una gran parte dello Stato della Chiesa, tranne il Lazio, e il Regno delle Due Sicilie), «rappresenta oggi — scriveva Garibaldi a Cavour il 18 maggio 1861 — le aspirazioni della nazionalità nel mondo!». In tale data, nella quale si festeggia dal 2012 la «Giornata dell’Unità Nazionale, della Costituzione, dell’Inno e della Bandiera», il presidente Mattarella nel suo messaggio per l’occasione ha voluto ricordare come «il coronamento del sogno risorgimentale ha suggellato l’identità di nazione, che trae origine dalla nostra storia più antica e dalla nostra cultura. Le generazioni che ci hanno preceduto, superando insieme i momenti difficili, ci hanno donato unpaese libero, prospero e unito. Rivolgo un deferente pensiero e l’omaggio di tutto il popolo italiano ai cittadini che hanno contribuito a costruire il nostro paese». Il mondo della carta stampata ovviamente non ha mancato di ricordare l’evento, come ci dimostra lo Speciale de La Repubblica con un articolo di apertura di Ezio Mauro che rievoca, dopo il giuramento dei membri del nuovo parlamento «italiano» non più sabaudo, il discorso della Corona di Vittorio Emanuele in cui, figuratamente parlando, si rivolge direttamente all’Italia «libera e unita quasi tutta, per mirabile aiuto della Divina Provvidenza, per la concorde volontà dei popoli eper lo splendido valore degli eserciti, pronta a tornare a essere una guarentigia di pace e un efficace strumento di libertà universale». Seguono quindi nove articoli, brevi ma molto densi, di altrettanti autori che pongono in risalto, con rapide pennellate, le figure più (o meno) note del Risorgimento nazionale. Da Cavour, il vero «tessitore» e artefice di quel capolavoro diplomatico che fu l’Italia unita, giocando in maniera spregiudicata sui diversi tavoli della politica interna e internazionale (illuminanti al riguardo, ricordiamo, sotto il profilo navale i Diari dell’ammiraglio Persano e di quello inglese Mundy), a Vittorio Emanuele (che più che «primo» re d’Italia, volle restare «secondo», in ossequio alla tradizione dinastica sabauda, come avrebbe voluto fare nel 1878 anche il suo successore Umberto, che si voleva denominare per le stesse ragioni «ottavo», prima che lo convincesse ad appellarsi «primo»!). Da Garibaldi («un messia laico, troppo ingombrante per essere fermato, troppo indipendente per essere arruolato» che riuscì nell’impresa della liberazione di quel Regno delle Due Sicilie, che si estendeva «tra l’acqua salata e l’acqua benedetta», dove erano falliti nel 1844 i fratelli Bandiera e nel 1857 la spedizione di Pisacane, a Mazzini («profeta di una generazione di giovani e riformatore, che dopo l’Unità sotto lo scettro dei Savoia ebbe a dire amaramente: “Questa è solo l’ombra dell’Italia”»). Oltre alle numerose protagoniste femminili come Cristina di Belgiojoso, la contessa di Castiglione e Rosalia Montmasson, l’unica donna della spedizione dei Mille. Il vero problema della storiografia risorgimentale semmai (di cui peraltro Così la copertina della Domenica del esistono numerose catte- Corriere ha celebrato il Centenario dell’Unità d’Italia nel 1961. dre nelle università ita-

liane) è costituito dal fatto che, a 160 anni dall’Unità d’Italia, è ancora complesso fare un ragionamento oggettivo e condiviso sugli eventi che portarono alla nascita del nostro paese. Nell’analisi critica, infatti, si è sempre oscillato «tra la narrazione “oleografica” che fa del Risorgimento un’epoca romantica popolata da un’accolita di eroi, tutti patria e coraggio e quella “revisionista” che trasforma i Savoia in feroci colonialisti a danno del Sud», come ben ha fatto rilevare Matteo Sacchi sulle colonne de Il Giornale, recensendo il libro edito e distribuito proprio dal quotidiano ambrosiano dal titolo 1861. La storia del Risorgimento che non c’è sui libri di storia (pp.273), di Giovanni Fasanella e Antonella Grippo. Libro che del Risorgimento si è proposto, senza paludamenti accademici, di indagare «la storia nascosta, poco raccontata perché sottovalutata o, peggio, ignorata di proposito», riuscendo pienamente nell’intento di offrire una lettura antiretorica della nostra vicenda unitaria.

«Focus Mediterraneo allargato» e «L’Italia alla guida della missione NATO in Iraq»

OSSERVATORIO DI POLITICA INTERNAZIONALE, N.15, FEBBRAIO 2021 - AFFARINTERNAZIONALI, 26 MARZO 2021

L’Osservatorio in parola, frutto del progetto di collaborazione tra Senato, Camera e ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, a cura dell’Istituto per gli studi di politica internazionale, in dodici contributi critici spalmati in 87 pagine, ci offre, esaminando i singoli casi-paese della vasta aera in questione, un quadro aggiornato delle problematiche geostrategiche e geopolitiche del Mediterraneo allargato che invero, negli ultimi mesi, «ha continuato a essere teatro di instabilità tra conflitti irrisolti, emergenza pandemica e crisi economica». Anche se «sul fronte dei conflitti, vi sono stati alcuni segnali di dialogo, che uniti all’insediamento di Joe Biden alla Casa Bianca e all’avvio di un nuovo approccio diplomatico nei confronti delle questioni della regione del Medio Oriente e Nord Africa (MENA), sembrano aprire qualche spiraglio di cambiamento». Segnali che provengono innanzitutto dalla Libia, dove la tregua raggiunta fra Tripoli e Bengasi lo scorso ottobre rimane in vigore e dove il nuovo esecutivo presieduto da Abdel Hadim Dbeibah (www.ispionline.it/documenti/Libia-la-voltabuona?) si avvia, dopo anni di instabilità e di guerra civile, a traghettare il paese al prossimo appuntamento elettorale di dicembre, auspicabile preludio a una Libia unificata con un governo regolarmente eletto dal popolo come previsto dal piano delle Nazioni unite. Anche se il ritiro dal paese delle forze «straniere» entro gennaio, previsto dall’accordo per il cessate-il-fuoco, non sia stato sinora rispettato. Sul piano interno, la popolazione civile continua a soffrire gli effetti di un paese instabile e diviso, aggravati dalla corruzione e dal Covid-19 — leggiamo nell’Executive Summary. I civili continuano a essere le principali vittime anche in Siria e nello Yemen, teatri dove le ostilità permangono, sebbene con diversi gradi di intensità. La Siria rimane divisa in tre aree di influenza, e la presenza di potenze esterne (Turchia, Iran e Russia) non contribuisce certo a una soluzione definitiva di un conflitto infinito (che è costato sinora 388.000 vittime e 13 milioni di profughi). In Yemen la formazione di un governo unitario lo scorso dicembre non cambia affatto la tragicità dell’emergenza umanitaria. Soffermiamoci in particolare sulla situazione irachena — di cui ci parla in dettaglio Francesco Schiavi — che, agli inizi del 2021, si trova ancora a fare i conti con le sue fragilità economiche e securitarie, aggravate nell’ultimo anno dalla pandemia da Covid-19 e dai pericoli di recrudescenza dello Stato islamico (IS). L’attuale governo ad interim del primo ministro incaricato Mustafa al-Kadhimi — come viene sottolineato — fatica ad avviare le riforme da tempo richieste dai movimenti di piazza e a rispettare le promesse elettorali. Incognite interne alle quali si sommano quelle relative all’approccio che la nuova presidenza Biden adotterà nei confronti dell’Iraq. Un Iraq dunque che oggi continua, meglio che per i fatti

del suo recente passato, a essere agli onori della cronaca sia per il viaggio apostolico di Papa Francesco sia per il rafforzamento della NATO Mission Iraq (passata da 400 a ben 5.000 unità), di cui l’Italia ha assunto il comando, come deciso durante l’ultima riunione ministeriale NATO dello scorso febbraio, mantenendo nel contempo la guida della missione ONU in Libano (UNIFIL), di quella NATO in Kosovo (KFOR) e dell’operazione EUNAV FOR IRINI della forza navale dell’Unione europea nel Mediterraneo lanciata, ricordiamo, dal Consiglio dell’UE con la decisione PESC 2020/472) del 31 marzo 2020 con l’obiettivo di far rispettare l’embargo sulle armi delle Nazioni unite alla Libia.Una notizia importante che possiamo seguire nel commento di Ottavia Credi, ricercatrice dello IAI sul numero di AI in epigrafe citato, che ne ripercorre tutti i precedenti impegni italiani. Infatti, «l’Italia è presente sul territorio iracheno da quasi vent’anni, a fasi alterne in linea con l’orientamento dei maggiori alleati. Tra il 2003 e il 2006, le truppe italiane furono drammaticamente impegnate nella missione Antica Babilonia, mirata al supporto degli Stati Uniti nella stabilizzazione dell’Iraq a seguito del rovesciamento del regime di Saddam Hussein, e segnata dalla strage di Nassiriya. L’Italia fu poi parte attiva della prima NATO Training Mission Iraq, in corso tra il 2004 e il 2011 — sebbene la formazione degli ufficiali iracheni avvenisse principalmente fuori dal paese — ed entrò nuovamente in forze in Iraq nel 2014 con l’operazione Prima Parthica, nell’ambito della missione internazionale Inherent Resolve, avviata dalla coalizione globale contro il sedicente Stato islamico». Molteplici sono gli obiettivi che si prefigge la missione. In primo luogo, il contingente dispiegato sul territorio (al momento consistente in circa 1.100 militari, 270 mezzi terrestri e 12 aerei, schierati tra la base di Erbil nel Kurdistan iracheno e quella di Baghdad), sarà incaricato di addestrare le forze locali e fornire loro supporto nella lotta all’ISIS, che continua ad affliggere la popolazione irachena nonostante il gruppo terroristico abbia, di fatto, perso il controllo della regione. Inoltre, la missione — la cui presenza territoriale sarà allargata oltre l’area di Baghdad — è preposta al rafforzamento della «sicurezza dei confini» del paese e al ripristino della sovranità dello Stato iracheno. Tra le implicazioni del maggiore impegno italiano nella missione NATO — sottolinea l’Autrice — vi è il rischio di un possibile inasprimento delle tensioni con la Turchia, che ha più volte criticato l’Alleanza atlantica, di cui pur fa parte dal 1952, per la sua collaborazione con i curdi iracheni. Al tempo stesso però, la mancanza di un veto turco al potenziamento della presenza NATO in Iraq potrebbe suggerire un’apertura verso un approccio condiviso alla stabilizzazione del paese stesso.

«Archeologia e Nazionalismi»

ARCHEO. ATTUALIT¤DEL PASSATO, ANNO XXV, N.432,

FEBBRAIO 2021

In un palinsesto estremamente ricco e variegato, che spazia dai fasti della Babilonia del VII-VI sec. a.C., una città «tra cielo e terra», grande venti volte l’Atene di Pericle, lettura ideale per i nostri soldati in Iraq, al celebre e discusso disco «celeste» di Nebra, portato alla luce da scavi clandestini nel 1999 e databile a un periodo intorno al 1600 a. C., un vero e proprio strumento astronomico con la sua raffigurazione della volta celeste, in particolare richiamiamo l’attenzione del lettore sull’ampio articolo di Umberto Livadiotti intitolato Tutte le Piccole Patrie. Un articolo in cui si pone l’accento sul fatto che l’Europa pullula di gruppi etnici, demograficamente esigui che, in nome della storia e dell’archeologia, rivendicano per sé, sia pur in diversa misura, lo status di nazione con il diritto di essere riconosciuti come entità statali, riaccendendo così, sull’onda di istanze politiche contingenti e spesso effimere, sopite «passioni archeologiche» che l’Autore passa rapidamente in rassegna. Negli ultimi decenni, infatti, dopo il collasso dell’Unione Sovietica e l’implosione della Yugoslavia, sloveni, croati, serbi, bosniaci, macedoni, albanesi, ungheresi e bulgari hanno insistito in particolare nella

ricerca delle proprie «radici storiche», riscrivendo il proprio pedigree al fine di dotarsi dell’antichità necessaria intesa a legittimare l’esistenza di una propria entità statale. Come era già successo, nel caso della Bulgaria nella seconda metà dell’Ottocento, dove i nazionalisti avevano scoperto la propria ascendenza slava e poi, nella prima metà del Novecento, le radici «proto-bulgare», stabilendo infine un proprio collegamento nientemeno che con la civiltà dei «Traci», con l’intento di meglio garantire alla nazione autoctonia e originalità. E altrettanto imprevista è stata la riscoperta dei Macedoni «antichi» (Filippo e Alessandro Magno, per intenderci) da parte di quelli «contemporanei», inventando un’identità nazionale da contrapporre alle pretese bulgare, greche e albanesi sul territorio di quella che oggi conosciamo come «Macedonia del Nord». Una penisola balcanica nella quale il più celebre mito nazionalista è stato costituito dall’illirismo, cioè spiega l’Autore, ricostruendone poi in dettaglio la storia, il ricollegamento a una serie di tribù presenti sulla costa adriatica e nell’immediato retroterra (grosso modo dall’Erzegovina all’Albania) almeno dall’inizio dell’Età del Ferro, popolazioni invero misteriose di cui abbiamo descrizioni incerte e lacunose, dovute agli scrittori classici che li consideravano sic et simpliciter «barbari». Il caso più eclatante, peraltro ancora in piena Guerra Fredda, è stato il regime nazionalcomunista di Enver Hoxa per il quale, come se non avesse avuto niente di meglio da pensare e da fare, «la teoria della filiazione illirica degli Albanesi» divenne una «verità assiomatica», ribadita con tutti i mezzi della propaganda ufficiale in funzione di rivendicazioni etnico-territoriali. Il tutto per significare, ancora una volta, come la storia non sia solo una materia polverosa da studiosi da tavolino ma, in un’epoca di rinascita di nazionalismi e sovranismi, col suo uso (e spesso abuso) politico possa pericolosamente far da volano a inquietanti svolte indipendentiste locali con tanto di petizioni di principio territoriali, fondate peraltro su narrative difficilmente verificabili in sede scientifica.

Ezio Ferrante

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RECENSIONIESEGNALAZIONI

(a cura di) Marco Cuzzi Naufragi

Storia dÊItalia sul fondo del mare

Ed. Il Saggiatore Milano 2017 pp. 206 Euro 22,00

«Ci sono due modi per raccontare una tragedia del mare. Il primo è quello delle bettole e delle osterie disseminati lungo i porti.[…] L’altro modo è quello basato su resoconti, inchieste e memorie». Così Marco Cuzzi, professore di Storia contemporanea all’università di Milano, introduce questo saggio, da lui curato e nato grazie al contributo di diversi scrittori e giornalisti. Un secolo di tragedie del mare, quello racchiuso in questo libro, che inizia nel 1912 con il Titanic e finisce, nel 2012, con e che comprende undici storie più o meno note, che sono storie di navi, ma soprattutto di uomini. Nella sventura del naufragio con alcuni il fato è stato comunque benevolo, con molti altri purtroppo no. Fato avverso o colpa dell’uomo? «Forse in ogni naufragio si ha il combinato di questi fattori: antiche maledizioni, fatalità, imperizia, negligenza». Partita il 10 aprile 1912 da Southampton con destinazione New York, la RMS Titanic, la nuova ammiraglia della compagnia inglese White Star Line, al comando del capitano Edward John Smith, prevede cabine di prima, seconda e terza classe e può accogliere 3.547 persone tra equipaggio e passeggeri. «Molti passeggeri di terza sono emigranti che lasciano per la prima volta la loro patria e vanno a cercare fortuna nel nuovo mondo».In prima classe invece ci sono i più importanti esponenti dell’alta società americana. Per evitare una commistione tra passeggeri di prima e di terza classe, «i passaggi tra i vari ponti vengono bloccati con grate di ferro, chiuse da catene e lucchetti».La sera del 14 aprile il Titanic viaggia alla massima velocità, superando perfino i 22 nodi. La comunicazione ricevuta dalla nave Baltic, relativa agli iceberg presenti lungo la rotta, non viene considerata dal comandante talmente grave da indurlo a ridurre la velocità. Un altro messaggio, arrivato via radio dalla nave Californian, sulla presenza di iceberg non viene preso in considerazione. Perché tanta superficialità? A generarla probabilmente è il clima che si è creato sul Titanic. «Tali e tanti sono i giudizi lusinghieri di quelli che vedevano la nave come inaffondabile, che alla fine tutti si sono convinti che lo sia davvero». Alle 23:40 le due vedette urlano nell’interfono: «Iceberg! Dritto di prua!». L’iceberg ferisce il Titanic di striscio. Il capitano Smith incarica il progettista Thomas Andrews di verificare la situazione. «Quando il progettista ritorna porta con sé una condanna a morte: il Titanic è destinato ad affondare nel giro di un’ora e mezzo, al massimo due». Il Capitano ordina l’abbandono nave. Tutte le scialuppe e i canotti vengono messi a mare, ma nonostante i 1.178 posti disponibili, imbarcano meno di settecento persone. «Dopo centosessanta minuti dalla collisione, si trovano ancora a bordo del Titanic più di millecinquecento persone.[…] Gli otto orchestrali vanno avanti a suonare fino a circa l’una e quaranta». Alle 2:20 del 15 aprile 1912 il Titanic è affondato. «Nessuno può dire con certezza quanti furono i morti complessivi: i numeri più affidabili parlano di 705 superstiti e 1.518 deceduti». Quindici anni dopo, nel quello che l’autore definisce l’anno della velocità — sarà, infatti, l’anno di Francesco De Pinedo, di Umberto Nobile e dell’inaugurazione delle prime linee aeree civili — ci sarà un altro disastro: questa volta toccherà al piroscafo Principessa Mafalda di Savoia, varato nel 1903 dal cantiere della Foce di Genova per volere dell’armatore Erasmo Piaggio. Il Mafalda è una nave elegante, dove viaggiano personaggi del jet set italiano ed europeo dell’epoca: da Luigi Pirandello a Carlo Emilio Gadda, da Arturo Toscanini a Carlos Gardel. L’11 ottobre 1927 il Mafalda, con a bordo 1.257 persone (tra cui Ruggero Bauli, un pasticcere veronese che si sta recando in Argentina per aprire un’attività) parte da Genova per il suo ultimo viaggio verso il Brasile e il Rio de «Ma il transatlantico è ormai un’anziana signora del mare, elegante e raffinata, ma con le ossa fragili, il cuore meccanico malmesso, la circolazione di lubri-

Recensioni e segnalazioni

ficante compromessa. Se ne accorge il nuovo comandante, Simone Gulì». Alle 17:25 (ora locale) del 25 ottobre, a da Porto Seguro, presso Bahia, la nave perde l’albero dell’elica di sinistra e inizia a imbarcare acqua. Dieci minuti dopo la mezzanotte del 26 ottobre il Mafalda affonda. Muoiono almeno 314 persone, compreso il comandante che, alle 23:20 lancia «il si salvi chi può, liberando anche l’equipaggio dai suoi obblighi. Getta il sigaro, mette in bocca il fischietto con il quale ha fino a quel momento impartito gli ordini ed emette due suoni lunghi e penetranti. L’ultimo saluto». Questo mentre l’orchestra intona reale. Una morte eroica, insieme a quella del suo vice Francesco Moresco, del direttore di macchina Silvio Scarabicchi e dei due marconisti, Boldracchi e Reschia, rimasti al loro posto fino all’ultimo. Nel 1956 è invece l’anno nefasto dell’Andrea Doria — ammiraglia della società Italia — varata il 16 giugno 1951 dai cantieri Ansaldo di Genova Sestri. Il 25 luglio «in rotta da Gibilterra a New York, a a ponente di Nantucket, […] alle 23:10, in condizioni atmosferiche di nebbia fitta, l’Andrea Doria viene speronata sulla dritta dalla motonave svedese Stockholm. […] Con la collisione muoiono quarantasei tra passeggeri e membri dell’equipaggio». Al comando c’è il genovese Pietro Calamai. Sarà l’ultimo a lasciare, contro voglia, la nave. Prima però, Raoul de Beaudeàn, il comandante dell’Ile de France, una delle navi giunte in soccorso, «ordina un giro attorno al Doria ferito a morte, con suoni di sirena e bandiera e mezz’asta». Poi la nave italiana s’inabissa andandosi ad adagiare sul fondale a poco più di settanta metri. Il diavolo sale a bordo del mercantile inglese London Valour, alla fonda nella rada di Genova, il 9 aprile del 1970. Colpita da un improvviso vento forte, la nave naufraga, nel pomeriggio, sugli scogli della città, sotto gli occhi di centinaia di genovesi. Nonostante il comportamento eroico dei soccorritori, alla fine si contano venti morti tra i quarantasei membri dell’equipaggio, compresi il comandante Donald Marchbank Muir e sua moglie. La sera del 10 aprile 1991, alle 22:30, , un traghetto diretto in Sardegna, mezz’ora dopo aver mollato gli ormeggi dal porto di Livorno, si scontra con la petroliera Agip Abruzzo — alla fonda nella rada della città toscana — sfondando la cisterna di gasolio trasportata da quest’ultima: «duemilasettecento tonnellate che prendono immediatamente fuoco provocando un gigantesco incendio e una spessa coltre fumogena». Delle 141 persone imbarcate sulla Moby Prince, se ne salverà solo una. Ancora oggi permane il mistero di Theresa, una nave la cui presenza in rada, quel giorno, risulta solo da una comunicazione radio e che, abbandonato il porto di Livorno nei momenti della tragedia, fa perdere le sue tracce. Il 13 gennaio 2012, la nave Concordia, il rito dell’inchino all’isola del Giglio, l’urto contro una roccia sommersa allo Scoglio delle Scole, i trentadue morti, sono cronaca recente. Baron Gautsch, Luisa, Acnil130, Angel, TitoCampanella sono le protagoniste delle altre storie di questo saggio, storie comunque tragiche ma che, in alcuni casi, hanno consegnato ai posteri la memoria di veri e propri eroi.

Gianlorenzo Capano

Giuseppe Sfacteria Dardanelli!

Racconto

Libertà Edizioni Lucca 2020 pp. 144 Euro 14,00

Il capitano di vascello Giuseppe Sfacteria, ufficiale in servizio del Corpo di Commissariato Militare Marittimo, già nel 2016 aveva dato prova delle proprie doti letterarie con il romanzo Di mare e di guerra, dedicato alla figura del suo conterraneo Giuseppe Aonzo, tra i protagonisti dell’impresa del 10 giugno 1918 conclusasi con l’affondamento della corazzata austro-ungarica Szent István.

In quel libro l’autore dava corpo a un gradevole racconto, dichiaratamente di fantasia, che lungi dal voler riscrivere gli eventi storici, pur esattamente descritti, da essi prendeva le mosse per dipanarsi lungo rivoli che lambivano altri episodi e personaggi collegati alla Regia Marina.

Nel medesimo stile il comandante Sfacteria ha ora dato alle stampe la sua seconda opera, Dardanelli!, an-

ch’essa in forma di romanzo breve. Lo spunto è, come in precedenza, un personaggio realmente esistito, nonno di un compaesano dell’autore, il marinaio scelto Pietro Accame da Pietra Ligure, che a bordo della Regia Torpediniera Climene prese parte all’impresa del 18-19 luglio 1912 da cui il libro prende il titolo. L’impresa dei Dardanelli e alcuni suoi retroscena divengono il pretesto, o meglio il filo conduttore, di una vicenda che inizia nel 1937 e trova il protagonista nel giovane Carlo, orfano di un marinaio che aveva preso parte a quei fatti. Milite volontario nella guerra civile spagnola, cresciuto come un’intera generazione nei miti del regime, Carlo sarà l’unico sopravvissuto di un’imboscata repubblicana grazie all’intervento di un misterioso personaggio, vero deus ex machina del racconto.

Inviato in convalescenza (non a caso) a Pietra Ligure nella colonia climatica allora aperta da poco, Carlo avrà modo di incontrare l’ormai maturo marinaio Accame, che gli parlerà del padre e delle vicende da loro vissute sul Climene; e allo stesso tempo inizierà a riflettere sull’ideologia in cui è stato allevato e sulla loro reale portata. Solo negli anni a venire, dopo molto tempo, sopite passioni e disillusioni il protagonista verrà a conoscenza dei diversi tasselli di tutta la sua vicenda che finalmente potrà ricomporre in serenità.

Il racconto, che — come si è detto — è un esplicito esercizio di fantasia, non manca tuttavia di descrizioni estremamente realistiche di luoghi e circostanze: non solo di quelle dell’azione marinaresca da cui il libro trae il titolo, ma anche da altre legate alla professione dell’autore. È il caso, in particolare, della veritiera descrizione della vita a bordo di un incrociatore pesante classe «Zara», a bordo del quale il protagonista, ospite per lo più tollerato con sufficienza a causa della sua appartenenza alle camicie nere, compie il viaggio di rientro dalla Spagna a Genova. Il mondo della nave da guerra si svela così all’occasionale passeggero, ignaro della vita di bordo come la stragrande maggioranza dei suoi connazionali di ieri e di oggi, il quale si rende conto di come quell’incrociatore non sia solo una caserma galleggiante ma una piccola città, persino dotata di ospedale e banca, come egli stesso avrà modo di scoprire data la sua pur breve frequentazione coi servizi sanitario e di commissariato.

Merita poi una citazione, l’accurato affresco con cui il comandante Sfacteria, orgogliosamente attaccato alla sua terra (stretta tra mare e montagna ma nondimeno tenace), riporta in vita la Pietra Ligure degli anni Trenta, con personaggi, luoghi e modi di dire evidentemente tratti dalla realtà, in una ideale Spoon River del Ponente.

C’è da augurarsi che questo divertissement, privo di pretese letterarie e forse proprio per questo più godibile di paludati e seriosi romanzi, sia solo il secondo di una lunga serie. Vicende e uomini di mare da far rivivere non mancano, come la fantasia dell’autore.

Andrea Tirondola

Padre Giuseppe Franceschi SI (a cura di) Giuseppe Biagi Jr., Francesco Luigi Clemente, P. Federico Lombardi SI Diario verso il Polo Nord

Sandit Libri Editore Albino (BG) 2020 pp. 232 Euro 14,90

Il libro Diario verso il Polo Nord ha un intento commemorativo nel 145° anno dalla nascita del Padre gesuita Giuseppe Gianfranceschi SI (Societas Iesu) nato nel 1875 e morto nel 1934. Gianfranceschi, come ricorda Padre Federico Lombardi SI nella prefazione, fu un eminente studioso di fisica, presidente dell’Accademia Pontificia delle Scienze (dal 1921), rettore della Pontificia Università Gregoriana (dal 1926 al 1930) e primo direttore della Radio Vaticana (dal 1930).

La ricorrenza ha dato spunto a Giuseppe Biagi Jr, nipote omonimo del radiotelegrafista della «Tenda Rossa», e al giornalista Francesco Luigi Clemente di pubblicare una loro (1) trascrizione in caratteri in chiaro del già noto diario manoscritto che Padre Gianfranceschi tenne durante la sua partecipazione, in qualità di cappellano, alla tragica spedizione artica del dirigibile Italia (2).

Interessi convergenti unirono i destini del generale del genio aeronautico Umberto Nobile a quello di Padre Gianfranceschi in una spedizione che fin dall’inizio ebbe bisogno di raccogliere consensi e protezione vista la ferma opposizione del ministero dell’Aeronau-

tica che, lo ricordiamo, era proprietario dell’aeronave. La Chiesa di Achille Ratti - PIO XI era molto impegnata nell’opera missionaria svolta particolarmente dai gesuiti e accolse con favore la partecipazione a una impresa alle estremità polari sulla quale porre il sigillo papale. L’intento fu esplicitato nella ricostruzione dei fatti apparsa sul Bollettino Le Missioni della Compagnia di Gesù del 3 agosto 1928. Allo stesso modo di quanto fatto alla partenza del Norge, il Papa fece dono a Nobile di una immagine della Madonna di Loreto, Patrona degli aviatori, alla quale aggiunse una robusta croce di legno, alta quanto un uomo, da fissare al Polo. «Ma il pio esploratore — scrive il Bollettino — aveva chiesto al Sommo Pontefice anche un Sacerdote, perché alla difficile impresa non mancasse il conforto e l’aiuto dell’assistenza religiosa, nell’affrontare i più arrischiati pericoli. La scelta cadde sul P. Giuseppe Gianfranceschi S.I. […] Lo chiesi con qualche trepidazione al Santo Padre — disse lo stesso Nobile — e il Pontefice accondiscese amabilmente. Ora, dico il vero, mi sento più sicuro» (3).

Tuttavia, dal diario pubblicato emerge che l’esperienza polare fu particolarmente sofferta da Padre Gianfranceschi perché egli vi svolse, contrariamente alle sue aspettative, un ruolo assai marginale. Nobile, infatti, lo sottrasse ai compiti scientifici relegandolo alle funzioni religiose sulla nave appoggio Città di Milano che interpretò quasi sempre da solo, rifiutandogli anche l’onore di salire a bordo del dirigibile.

Padre Gianfranceschi ammise di non aver potuto svolgere ricerche specifiche in una relazione inviata al Pontificio Collegio Americano di Roma il 18 marzo 1930. Nel documento si legge: «…non intendo qui fare una relazione scientifica della spedizione lasciando che per il primo il generale Nobile pubblichi i risultati ottenuti e salvati nella grande spedizione. Tanto più che, come è noto, per ragioni indipendenti dalla mia volontà non ho preso parte ai voli dell’“Italia” e restai sulla nave base. Mi limiterò quindi ad alcune osservazioni di carattere generale» (4).

Ridotto al ruolo di una comparsa, Padre Gianfranceschi non godette di quella considerazione che gli sarebbe stata dovuta quale rappresentante dell’autorità vaticana (vedi per esempio pp. 67-68 del Diario). Chiuso nella sua cabina a recitare preghiere, appena tollerato tanto da proporre di spostarsi in un «buchetto» (p. 68 del Diario), chiedeva umilmente e ansiosamente notizie e ne riceveva poche e frammentarie.

Il 28 giugno 1928 scrisse molto amareggiato, rimpiangendo di non essere rimasto a Roma ad attendere ai suoi impegni di Rettore: «Sono qui da due mesi su questa nave, senza fare niente … Qui si è isolati come in una missione … Col personale qui non è possibile nessun affiatamento, tutto ciò che si riesce a fare è celebrare la S. Messa la domenica con un piccolo gruppo di marinai… Che effetto ha avuto la mia presenza? Sarà molto se non diranno che il disastro è avvenuto per la presenza del prete…Quando tornerò in Europa e in Italia cercherò di non farmi vedere da nessuno» (pp. 97-98 del Diario).

D’altronde il ruolo propiziatorio e propagandistico della fede era stato affidato alla grande e pesante croce in quercia dono del Papa e Nobile gli negò anche la soddisfazione di officiare la cerimonia del suo lancio sul vertice polare (pp. 34-36 del Diario) (5).

Testimonianza dei rifiuti e delle amare rinunce subite, gli appunti di Padre Gianfranceschi non dicono nulla di significativo per la cronaca dei quasi quattro mesi della spedizione a cui partecipò e tantomeno per il chiarimento di quelle zone d’ombra che la storiografia non è ancora riuscita a fare. Ne sono consapevoli, e lo riconoscono, i curatori della trascrizione (p. 25 del libro), il prof. Antonio Ventre, direttore del Museo Nobile di Lauro (p. 9) e il Padre Lombardi (p. 12).

Carla Schettino Nobile (nipote del generale), nella sua premessa al libro, esprime il desiderio di conoscere «la posizione di Gianfranceschi nei mesi della commissione d’inchiesta», nella convinzione che il gesuita stesse «dalla parte di Nobile» (p. 7). Abbiamo potuto soddisfare la richiesta consultando l’interrogatorio al quale Gianfranceschi si sottopose l’11 febbraio del 1929. In quell’occasione, l’ammiraglio Umberto Cagni, presidente della commissione, insistette nel voler conoscere le notizie apprese al momento del rientro degli ufficiali di Marina Adalberto Mariano e Filippo Zappi; ciò al fine di vagliare le accuse di antropofagia che la stampa avversa aveva rivolto loro a proposito della morte del meteorologo svedese Finn Malmgren. Il gesuita, che aveva ascol-

tato le confessioni dei due naufraghi, oppose un rifiuto «…fra le cose che sono a mia conoscenza — dichiarò — ve ne sono alcune che io non posso dire, perché riguardano il mio Ministero» (6). Contrariamente alle nostre attese, il Diario (pp. 119-120) dice ancor meno su questo punto lasciando al lettore la delusione di non aver fatto alcuna scoperta storica. Gianfranceschi si espresse invece in sentiti e vivi apprezzamenti per la moralità dei due ufficiali a sostegno della loro credibilità (7); cosa che dovette contribuire all’esito punitivo dell’inchiesta nei confronti di Nobile, visto che le accuse rivoltegli poggiarono proprio sulle deposizioni di Mariano e di Zappi.

Al posto di Padre Gianfranceschi la storia ricorda la croce di legno il cui peso incise sulla decisione di Nobile di rinunciare al secondo radiotelegrafista, Ettore Pedretti. Forse questi avrebbe potuto lanciare l’SOS in un momento più efficace dalla potente stazione radio di bordo, quando il suo collega, Giuseppe Biagi, abbandonati il tasto e la cuffia della radio, era intento ad alleggerire di zavorra l’aeronave nei preziosi minuti prima di cadere (8). Come è noto, le trasmissioni avvennero con grande difficoltà, solo dopo la caduta del dirigibile con l’aiuto di una debole e precaria radio da campo.

La croce attirò il sarcasmo dei commentatori sovietici che erano a bordo del rompighiaccio Krassin, da sempre ostili, come l’opinione pubblica ufficiale sovietica, all’impresa italiana.

Il giornalista della TASS, Nicholaevich Shpanov scrisse poco dopo il disastro: «Questa famigerata croce di quercia, consegnata a Nobile dal Vicario di Pietro da issare al Polo, è stata essenzialmente la vera colpevole dell’incidente dell’Italia, costringendo l’aeronave a perdere un’ora e mezza preziosa per l’operazione di far scendere la croce al Polo» (9).

Durante i lunghi anni che seguirono la catastrofe, Nobile non entrò in contrasto con il fascismo; ma allo stesso tempo durante la sua permanenza in Unione Sovietica si disinteressò delle violenze della rivoluzione bolscevica, magnificando ben oltre i loro effettivi meriti l’opera del radioamatore sovietico Nicolaj Schmidt e quella del Krassin.

Per il Vaticano di Papa PIO XI (morto nel 1939), in un’epoca di particolari sinergie con il regime fascista che portarono ai Patti Lateranensi del 1929 e all’inaugurazione della Radio Vaticana nel 1931, prevalse l’apprezzamento per lo spirito di solidarietà manifestato dai sovietici rispetto alle loro politiche anticlericali e iconoclaste.

Così Nobile godette dell’appoggio papale per tutti gli anni del periodo fascista. Con il supporto di Padre Gianfranceschi fece carriera, come ricorda Padre Lombardi nella prefazione (pp. 15-16), fino a diventare «Accademico pontificio» nel 1936 al suo rientro da Mosca, due anni dopo la morte del gesuita. Nel 1939 PIO XI riuscì a trovargli un posto di lavoro negli Stati Uniti presso una scuola di ingegneria aeronautica, dove rimase fino al 1942, quando rientrò in Italia per sfuggire alle conseguenze dell’entrata in guerra degli americani.

Con la caduta del fascismo e la conversione di Nobile all’antifascismo e al comunismo di Palmiro Togliatti nel 1946, l’idillio con il Vaticano cessò (10). Papa Eugenio Pacelli - PIO XII, impegnato a fronteggiare le aggressioni comuniste dopo la guerra, costrinse Nobile alle dimissioni forzate dall’Accademia Pontificia attraverso il mons. Giovanni Montini (futuro Papa Paolo VI), dimissioni che ricordano quelle volontarie del generale dall’Aeronautica del 1929.

In questo quadro, l’attaccamento religioso di Nobile («uomo di profonda fede religiosa», scrive il prof. Ventre a p. 9) e la sua devozione alla Madonna di Loreto, ampiamente conclamati nel libro, meriterebbero una lettura meno retorica di come è espressa dai suoi curatori e si spiegherebbe così la disinvoltura con la quale il generale tenne distante Gianfranceschi da una concreta partecipazione alla spedizione polare.

Gli autori della trascrizione non si limitano a proporre il testo del Diario, ma aggiungono nella parte finale una narrazione della spedizione del dirigibile Italia che risulta rituale e sostanzialmente autoreferenziale (pp. 194-211).

Ciò non è inusuale perché larga parte della letteratura divulgativa, anche quella che propone documentazione o studi di rilevanza storica, ha invece prodotto racconti e ricostruzioni legati più alle esperienze e ai sentimenti personali degli autori che a una vera e propria indagine storiografica.

Claudio Sicolo

NOTE

(1) Il diario di Gianfranceschi è stato digitalizzato a cura dell’Archivio della Pontificia Università Gregoriana (APUG) ed è liberamente consultabile all’indirizzo https://gate.unigre.it/mediawiki/index.php/Index:APUG _2300_B2.djvu. Presso l’APUG esiste un’altra trascrizione insieme a una proposta di pubblicazione del diario a cura di Cosimo Calcatelli di Arcevia in APUG 2271-2. La trascrizione di Biagi-Clemente non risulta validata dall’APUG al momento della pubblicazione del libro. (2) Il diario è già conosciuto dagli studiosi, vedi per esempio F. Bea, A. De Carolis, Ottant’anni della radio del Papa, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2011, Vol. I, p. 28; Mario Sica, Buona strada, padre Giafranceschi, L’ASCI e la partenza del padre Gianfranceschi per la spedizione polare, in Esperienze e progetti, n. 212, 2016. Lo stesso Gianfranceschi aveva pubblicato alcuni estratti del suo diario nell’articolo La mia missione al Polo pubblicato su L’illustrazione vaticana del 1933, vedi APUG 2271-1 fogli 18-48. (3) Le Missioni della Compagnia di Gesù, 3 agosto 1928, p. 345, Archivio privato del cap. Ugo Baccarani custodito da Valerio Russo. Il 7 aprile il Papa affidò a Padre Gianfranceschi anche una statuetta in legno della Madonna di Loreto, vedi il quotidiano La Tribuna-L’idea nazionale, del 10 aprile 1928 p. 5. La statuetta, che è conservata al Museo dell’Aeronautica Militare di Vigna di Valle, fu ritrovata dal giornalista sovietico Nicholaevich Shpanov il 12 luglio 1928, vedi C. Sicolo, Umberto Nobile e l’Italia al Polo Nord, Aracne, Canterano, 2020, pp. 260-261. (4) APUG 2271 – I foglio 7. (5) Padre Gianfranceschi aveva preparato il testo delle preghiere da recitare durante la cerimonia della discesa della croce sul polo, ma ciò non fu possibile, vedi APUG 2270-III foglio 222. (6) Interrogatorio di Padre Giuseppe Gianfranceschi in Atti della commissione d’indagini sulla spedizione polare dell’aeronave Italia, Archivio di Base dell’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare, cartella 2447. (7) Gianfranceschi li definì «due forti galantuomini, pieni di forza morale, non ordinaria», p. 5 dell’interrogatorio citato. (8) Sulla rinuncia di Nobile a portare Pedretti nell’ultimo volo, vedi C. Sicolo, Le onde smarrite della Tenda Rossa – Storie, leggende e verità della radio nella spedizione del dirigibile Italia al Polo Nord, Sandit, Albino (BG), 2017, pp. 200-201. Sul mancato invio dell’SOS dal dirigibile, ibidem, pp. 207-208. (9) Citazione in C. Sicolo, Umberto Nobile e l’Italia al Polo Nord, op. cit., p. 261. (10) Per approfondimenti sul contegno politico di Nobile, vedi il primo capitolo del libro di C. Sicolo, Umberto Nobile e l’Italiaal Polo Nord, op. cit., In particolare pp. 80-110 per la fase del dopoguerra.

Domenico Carro

Orbis Maritimus

La geografia imperiale e la grande strategia di Roma

Ed. ACIES Milano 2019 pp. 320 S.I.P.

Mi accingo con vivo piacere a recensire il presente volume dell’ammiraglio Carro che — lo premetto subito — colma un settore della storia della geostrategia con particolare riferimento alla civiltà romana.

Tutti ricordano, certamente, il libro di Edward Luttwak (in edizione italiana: La grande strategia dell’Impero Romano, Rizzoli 2013), con cui si pose sul tappeto il problema appunto della visione della geostrategia dell’Antica Roma. Ritengo dunque che la monografia di Carro si ponga nel solco di questo filone di studi — che oltre oceano vede insigni studiosi come per esempio M.R. Sheldon — e che qui in terra d’Italia sta scorgendo un rinnovato interesse e fermento. Il volume è in realtà un vero e proprio trattato sul tema. Al fine di dare contezza al lettore ne indico volentieri la struttura come segue. In nove capitoli l’A. riesce a tratteggiare, con grande chiarezza espositiva e con attenzione alle fonti, il quadro della proiezione strategica marittima di Roma nell’età del principato. Dopo un primo capitolo, direi introduttivo, dedicato alla Pax Augustea e costruzione dell’Impero (pp.5-23), l’A. pone un interessante e utile capitolo secondo su Conoscenze geografiche, cartografia e documenti nautici (pp.2540) ricordando così, de facto, al lettore il binomio imprescindibile tra cartografia e geopolitica e quindi geostrategia. Quindi, il volume prosegue in altri capitoli come segue: cap. III - Presenza navale nel Mediterraneo e ruolo strategico delle flotte imperiali (pp.41-70); cap. IV - Presenza navale nell’oceano Atlantico e proiezioni verso le isole (pp.71-94); cap. V - Presenza navale nel Mare del Nord e proiezioni nell’oceano Settentrionale (pp.95-112); cap. VI Presenza navale nel Mar Nero e proiezioni verso il mar Caspio (pp.113-136); cap. VII - Presenza navale nel Mar Rosso e nel Golfo Persico (pp.137178); cap. VIII - Proiezioni verso l’oceano Meridionale (pp.179-208); cap. IX - Proiezioni nell’oceano Indiano e nel Mar Cinese Meridionale (pp.209-266); e infine un ultimo capitolo, il X - Strategia marittima dell’alto Impero (pp.267-289). Conclude il volume una lista delle abbreviazioni (pp.290-292) a cui segue un elenco delle fonti antiche citate (pp.293-297) e infine una corposa e ben fatta bibliografia (pp.298-315) nonché un elenco delle illustrazioni (pp.315-320). Decisamente un’opera ben fatta, particolarmente interessante sia

per il lettore nonché per il ricercatore che ha così la possibilità anche di avere sotto mano le fonti antiche, presentandosi così come una monografia veramente ricca di dati utili. Ciò che emerge dalla lettura del volume è che Roma ha posseduto una percezione chiara della propria potenza marittima e navale e parimenti si mostra come antesignana, in molti casi, della geostrategia moderna. Infatti, l’A. afferma che: «(…) emerge piuttosto nettamente la capacità dei Romani di condurre delle oculate analisi geopolitiche e geostrategiche e di saper individuare, su quelle basi, delle strategie marittime rispondenti e di lunga durata, vista la contestuale stabilità degli scopi perseguiti dal potere imperiale sotto il principato dei vari Cesari» (p.287). Aggiungo che tale capacità era del tutto empirica e de facto in quanto — come ben noto — la geopolitica è una disciplina tutto sommato alquanto recente. Tuttavia appare chiaro che Roma abbia posseduto una chiara percezione geopolitica e geostrategica e che la storia dell’Impero Romano d’Occidente, prima e d’Oriente poi, testimoni ciò.

Il risultato del volume dell’ammiraglio Carro è dunque quello di un vero e proprio manuale, che risulta così essere decisamente vantaggioso per tutti ma anche per i settori scientifico-disciplinari di storia romana e di diritto romano poiché — come cerco di affermare da tempo — la visione giuridica spesso si accavalla, anche in età antica, con quella che oggi noi denominano sic et simpliciter geopolitica.

Nel formulare vivi rallegramenti all’ammiraglio Carro, mi sento di caldeggiare particolarmente tale volume per il lettore della Rivista Marittima. Danilo Ceccarelli Morolli

Eugenio Sirolli Pionieri abruzzesi dellÊaerosilurante

Gabriele DÊAnnunzio Eugenio Sirolli. Storia del ÿSiluro AlatoŸ

Edizioni LoGisma Firenze 2021 pp. 224 Euro 22,00

Il Siluro Alato, un’arma che ha un nome dal sapore mitologico. Dalla definizione di Gabriele D’Annunzio si è sviluppata un’arma vincente per l’Aeronautica italiana e per la specialità che ne derivò, quella degli aerosiluranti. A quest’arma aerea si legano due nomi abruzzesi: Gabriele d’annunzio ed Eugenio Sirolli, il poeta aviatore e il pilota che volò al fianco di Carlo Emanuele Buscaglia, da annoverare fra i pionieri della specialità. Il libro ripercorre la storia del nuovo sistema d’arma applicato all’Aeronautica e i primi veri successi degli aerosiluranti, nel contempo ci fa scoprire una pagina poco nota di D’Annunzio, ideatore della prima Squadriglia di aerosiluranti, del quale pubblichiamo interessanti lettere e considerazioni. Questo libro vuole anche essere una celebrazione delle capacità umane portate agli estremi. Negli eventi descritti si esprimono l’intelligenza, la forza, la tenacia ma, soprattutto, il coraggio di questi uomini che hanno aperto nuove strade.

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