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ARDORE ................................................................................... pag

ARDORE

Come vivi? Ti muove ad agire la mente, l’interesse personale, l’istinto o quale altro motivo? Quando agisci, ci metti anche il cuore, o no? Ti soddisfa e ti dà gioia quello che stai facendo, oppure lavori con fatica, mosso solo dalla volontà, perché “devi” farlo?

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Sono soltanto inviti per aiutarti a renderti conto del come vivi. C’è modo e modo di vivere, di agire, di compiere un’azione o un lavoro qualsiasi. C’è un modo distaccato, che non ti coinvolge, anche interiormente. Se manca l’ardore in quello che fai, finisci per vivere una vita trascinata, faticosamente “vivacchiata”, quasi sopportata, o almeno annoiata. Che peso vivere così! L’ardore è una qualità interiore che risiede nel cuore, ma che si manifesta nelle opere e dà bellezza, vivacità e dona efficacia a tutto quello che fai.

L’ardore ha un’importanza ancora maggiore quando si tratta di annunciare e testimoniare il Vangelo.

Scrive il card. Martini: «(L’ardore) è una caratteristica importante del ministero del Vangelo, soprattutto oggi, in cui il “pluralismo” – quando diventa pluralismo filosofico, culturale, religioso – sembra in qualche modo togliere l’ardore di predicare il Vangelo della pace. Qualcuno vorrebbe addirittura sostituire e correggere l’imperativo di Matteo “Andate e predicate a tutte le genti” (Mt 28, 19) con l’esortazione “Andate e imparate da tutte le genti”, perché ci sono valori ovunque e, si dice, non conta tanto portare il messaggio quanto ascoltare umilmente ciò che gli altri hanno da dirci. E si rischia di perdere l’ansia di predicare il Vangelo della pace. (…) Conciliare l’ardore del Vangelo con la stima dei valori altrui è l’opera mirabile a cui è chiamata la Chiesa di oggi, se vuole conservare il suo slancio missionario» (C. M. Martini, L’itinerario spirituale dei Dodici, Borla, p. 108).

“Ardore” richiama il fuoco, quindi il calore, la luce. L’ardore fa uscire dal proprio torpore, dalla pesantezza, anzi, dalla sopportazione della vita. Nella Messa della festa del Sacro Cuore di Gesù c’è una orazione, che sembra un inno all’ardore di una vita cristiana, perciò missionaria.

Ecco il testo: «Lo Spirito Santo, o Padre, ci infiammi di quel fuoco che il Signore nostro Gesù Cristo ha riversato in terra dall’intimo del suo cuore e ha voluto che in noi divampasse per attrarci a lui che vive e regna nei secoli dei secoli» (Orazione a conclusione della liturgia della Parola). L’orazione contiene quattro verbi tutti “esagerati”, che esprimono la domanda di una forza speciale, di entusiasmo, non una domanda… sottovoce, quasi timida: mentre pronuncio questa preghiera pare che anche il mio cuore si infiammi di zelo per opera dell’azione dello Spirito dentro di me.

Allora, l’ardore non me lo do io, non è un frutto mio, del mio cuore e della mia volontà. È un dono dello Spirito Santo. È Lui che mi infiamma il cuore e mi rende splendente la vita.

La vita vissuta con ardore è anche fonte (direi, è… parente stretto) della gioia di vivere come Gesù mi chiede.

Lo testimonia Santa Madre Teresa di Calcutta: «La gioia è preghiera – la gioia è forza – la gioia è amore – la gioia è una rete di amore con cui potete catturare le anime. Dio ama il datore gioioso. Dà di più chi dà con gioia. Il modo migliore di mostrare la nostra gratitudine a Dio e alla gente è quello di accettare ogni cosa con gioia. Un cuore gioioso è il risultato inevitabile di un cuore ardente di amore. Non permettete che niente vi riempia di tristezza, fino al punto di farvi dimenticare la gioia di Cristo risorto. Aspiriamo tutti ardentemente al cielo, dove c’è Dio, ma possiamo essere in paradiso con Lui già in questo stesso momento. Ma essere felici con Lui già ora significa: amare come Lui ama, aiutare come Lui aiuta, dare come Lui dà, servire come Lui serve, redimere come Lui redime, essere con Lui ventiquattro ore su ventiquattro, restare con Lui nei suoi umili travestimenti» (Madre Teresa di Calcutta, Sorridere a Dio, Edizioni Paoline, p. 91).

I quattro verbi “esagerati” che ho richiamato sopra ci insegnano che non si può essere cristiani a metà. Occorre esserlo fino in fondo, totalmente cristiani: è necessario perfino esagerare! Ce lo insegna “Sant’Esagerato”. È un racconto brioso che ho trovato in un libro originale, sempre piacevole, di Mons. Alessandro Pronzato. Mi limito a qualche parte perché il racconto è lungo.

«Se tu fossi predicatore?... – Mi sentirei più confortato da uno che scuote la testa, stringe i pugni, borbotta “cose dell’altro mondo…”, piuttosto che da un atteggiamento di… docile indolenza. – Adesso che ti sei sfogato contro la nostra impassibilità, riferisci piuttosto la tua reazione al “… ma io vi dico”.

– Mi sono sentito disturbato. Chiamato in causa. Ho mostrato insofferenza verso quel discorso impossibile ma necessario. – … E ti sei fatto avanti. – Sì. Mi rendevo conto che Cristo intendeva reclutare coloro che sono sensibili al “fattore s”. – Che sarebbe? – Lo straordinario. “… E se date il vostro saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario?”. La vocazione del cristiano è una vocazione allo straordinario, ossia a ciò che è insolito, niente affatto normale, non va da sé, non è naturale, non segue l’andazzo comune. È ciò che supera abbondantemente le misure del buonsenso, del calcolo giudizioso. Il cristiano si rende visibile solo con lo straordinario. – Ci è sempre stato insegnato che la virtù sta nel mezzo. – Nel mezzo ci sta chi coltiva l’aspirazione di farsi appiattire dal rullo compressore dell’uniformità. – Qual è la tentazione peggiore contro la santità? – L’accontentarsi. Il non desiderare altro. – Ci sono delle norme oggettive da osservare? – Il santo non ubbidisce a un copione fissato una volta per sempre. Lui presta attenzione a un’altra voce, che diventa “ispiratrice”, di volta in volta, di comportamenti inattesi, inediti, audaci, eccessivi, per nulla scontati, perfino scandalosi. Il terreno, ovviamente, non è quello arido di un codice, ma quello fertile della vita» (A. Pronzato, …Ma come avete fatto?, Ed. Gribaudi, pp. 172 ss. passim).

Auguro a me e a voi di vivere con ardore nella gioia.

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