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FIDUCIA .................................................................................... pag

FIDUCIA

Almeno qualche volta anche noi, probabilmente, siamo sbottati dicendo: «Non ce la faccio più!». Penso a qualche sacerdote sotto il peso dell’impegno “per sempre”; oppure quando la fatica di alcune rinunce importanti fa perdere l’entusiasmo del ministero sacerdotale. Penso a non poche coppie di sposi che, di fronte a grossi (!) imprevisti della vita di coppia, al pensiero del “per sempre” non ce la fanno più, nonostante il sacramento e il giuramento di fedeltà in ogni situazione. Il “per sempre” mozza il fiato, con tutte le conseguenze che ne derivano. Non si ha più fiducia nel coniuge e neppure nell’aiuto sicuro di Dio. Penso che sia ancor più drammatica la situazione di un consacrato che a un certo punto della vita si sente “solo”, abbandonato anche da Dio, oltre che dalla fraternità sacerdotale. È la storia di Mosè! Quanti ripensamenti di un certo “Sì”, promesso a Dio e giurato una volta nel sacramento dell’Ordine. E che paura del domani, dei giorni che passano sempre uguali! Non c’è più olio per alimentare la lampada della propria vocazione.

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Mi affido ancora alla penna del card. Martini: «Dobbiamo sapere entrare nella turbolenza della paura; dobbiamo sapere che giunge il momento in cui guardo alle mie forze e capisco di non farcela. Il dire “non ce la faccio con le mie forze” è un atteggiamento molto più grave di quanto non sembri, tanto più grave in quanto sembra corretto. Se mi fermo e torno a casa, sono già caduto. Se dimentico la fiducia fatta a Gesù, se dimentico la misteriosa attrattiva che mi ha portato a scegliere un impegno, una persona, un’amicizia, che mi ha motivato per una promessa, se dimentico che la vita si gioca nel fidarsi, sono finito. Paura e fiducia non stanno insieme» (C. M. Martini, Aprirsi. Massime spirituali, Piero Gribaudi editore, p. 21).

Ancora una volta mi si presenta l’esempio inequivocabile di Abramo. Dio gli fa ripetutamente delle promesse positive, ma nello stesso tempo gli chiede inesorabilmente un impegno faticoso e di volta in volta maggiore, sempre fidandosi di Dio. I risultati li conosciamo: contro ogni aspettativa “umana”, ogni promessa di Dio si realizza puntualmente. Così Abramo cresce progressivamente come vero uomo di Dio. Ed è felice!

Se poi penso all’“Eccomi” di Maria SS. nel momento dell’Annunciazione, rimango senza parole. Il “Sì” di Maria è il trionfo della fiducia in Dio.

La fiducia in Dio richiede, almeno certe volte, il consegnarsi, innanzi tutto a Dio, ma anche a qualcun altro, capace e pronto ad aiutarti.

Voglio riportare la testimonianza personale di un mio amico sacerdote che ha subito un grave intervento chirurgico.

Scrive questo mio amico: «Entrare in ospedale per un intervento significa consegnarsi nelle mani di altre persone: i medici, gli infermieri. Non è facile questo gesto, tanto meno scontato: quel corpo che è tuo con la sua storia, la sua intimità, la sua vita devi consegnarlo ad altri. Impari pian piano a lasciarti pulire, lavare, vestire…, e inoltre devi sottoporti a tutti i vari trattamenti clinici… (…) Quando ricevi una notizia come quella di un carcinoma, tutto ti crolla addosso, ti senti destabilizzato. Sono un prete, cosa sarà di me? È finita! Progetti, sogni, programmi pastorali… Tutto finisce o sembra finire di fronte a quello che devi affrontare. Mi devo misurare con quella fede sulla quale ho fondato la mia vita fino ad ora. Ma quale fede? Quando splende il sole, è bello vivere di fede, ma quando c’è il temporale o la tempesta, la fede viene messa alla prova. Non ho detto a Dio: “Sia fatta la tua volontà”, non sono stato capace, non ho avuto la forza e il coraggio per dire queste parole forse ripetute tantissime volte con superficialità. Una preghiera però è emersa dal profondo del mio cuore: “Signore, se hai permesso tutto questo, stammi vicino, fammi sentire la tua presenza in questo momento particolare della mia vita”. La certezza di questa presenza mi ha dato forza per affrontare sia l’intervento sia la degenza postoperatoria. Al mattino presto veniva a trovarmi la carissima Suor Maurizia con la quale iniziavo la giornata pregando. Mi ricordo che una mattina ha voluto ripetermi quella frase di S. Paolo che dice: “Quello che manca alla passione di Cristo per il bene della Chiesa”. Questa parola mi ha fatto riflettere molto. Cosa può mancare alla passione di Cristo quando nel momento della morte Gesù grida: “Tutto è compiuto”? Il cristiano partecipa alla passione di Cristo in quanto discepolo e seguace del Crocifisso: per questo, oltre a partecipare alla sua missione partecipa anche ai suoi dolori. (…) Non mi sono sentito degno di offrire la mia sofferenza, ma ho pregato per la mia comunità pastorale perché attraverso il mio dolore essa sia capace di quella testimonianza di unità, segno della vittoria pasquale di Cristo» (A. Longoni, Di fronte al carcinoma, Mimep-Docete, p. 45 s).

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