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«Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro…?»

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(Gv 21, 15).

Gesù è già risorto; anche il rinnegamento di Pietro non c’è più. Pietro ha riconosciuto il suo peccato e lo ha pianto abbondantemente. Gesù gli ha perdonato tutto, e il rapporto con Gesù è ritornato intatto e bello come prima, come se nulla fosse successo. In questo momento non lo chiama “Pietro”, roccia, fondamento sicuro e stabile. Lo chiama invece con il suo nome… di famiglia, come tutti gli uomini, perché anche Pietro era un uomo …comune. Stavo per dire: Gesù lo chiama con il suo nome di battesimo. In questo momento Gli interessa Pietro nella sua umanità più vera, più genuina, più umile, cioè terra, terra. Gesù si rivolge a questo Pietro-Giovanni, il semplice uomo, senza alcuna aggiunta, senza il più piccolo motivo di eventuale orgoglio.

Penso a me sacerdote, ma penso a me prima di essere consacrato sacerdote, a me ragazzino o adolescente: penso a me… Luigino (così mi chiamavano a casa), con tutti i miei limiti, ed erano tanti. Risento l’invito di Gesù: «Fatti prete!» (allora lo sentii in dialetto brianzolo). Era un invito rivolto proprio a me, solo a me. Incredibile, eppure era vero. Ma, che cosa Gesù ha visto in me in quel momento? Proprio nulla, perché ero un ragazzino proprio normale, non eccellevo in niente. È stato solo un Suo atto di amore verso di me, un bambino troppo normale, troppo “comune”. Eppure… Gesù mi ha chiamato “liberamente” senza che io avessi fatto qualcosa di speciale. Ricordo che in quell’istante mi sentii “preso”, anche un po’ sconvolto, ma con qualcosa dentro di me che mi trascinò, mi “costrinse liberamente” a dirGli subito di sì. Ed è ancora oggi una certezza insopprimibile dentro di me. E mi rende ancora felice, anzi, felicissimo.

«Mi ami più di costoro?».

Di fronte a una proposta di amore non si può dire di no. Ma amare come vuole Gesù stravolge il modo comune di vivere.

Vuol dire non pensare più a se stesso, ai propri progetti e interessi, ma solo alla felicità dell’altro. Vuol dire mettere i progetti dell’altro al posto dei propri, anche a costo di rinunciare ai propri desideri; vuol dire “vedersi” nell’altra persona, ecc. Gesù va ancora più in là; dice: “più di costoro”! Chiede a Simone di Giovanni di esagerare nell’amore verso di Lui. Quindi l’amore per Gesù da parte di Pietro deve essere totalizzante, perfino: unico! Posso dire che questo è quello che ho provato in fondo al mio cuore. Adesso, una invocazione che mi sorge spesso nel mio cuore è: Gesù, aiutami ad essere tuo, solo tuo, totalmente tuo, per sempre tuo. Se poi penso che Gesù ha rivolto per ben tre volte una tale domanda a Simone di Giovanni, rimango senza parole, per lasciare spazio allo stupore. E chiede una risposta immediata per tre volte, subito, totale, senza dubbi né incertezze. Mi rendo conto che la stessa esperienza mozzafiato è richiesta a un vocato al sacerdozio.

Allora, il “più di costoro” non esprime superiorità verso nessuno. È solo una esigenza, anzi, una condizione necessaria, affinché Gesù possa, osi, chiedere a Simone: «Pasci le mie pecore». L’invito ripetuto tre volte esprime, non solo una proposta, ma una necessità secondo il cuore di Gesù. Per un sacerdote, che cosa comporta il pascere le pecore di Gesù? Vuol dire semplicemente spendersi, totalmente, sempre, per il popolo di Dio, ricordando che non esiste uno schema fisso di disponibilità; ma ciascun sacerdote è chiamato a servire la Chiesa secondo la propria personalità, ossia, secondo quanto Gesù richiede a lui personalmente.

È augurabile che un tale colloquio tra Gesù e Pietro si rinnovi nella vita dei singoli sacerdoti. Senz’altro la Chiesa avrebbe più sacerdoti autentici. Lo sperano anche tanti fedeli. Esprime adeguatamente questo desiderio un vero laico e pensatore profondo, Jean Guitton, il quale così si esprime in un colloquio con Paolo VI:

«Se (voi sacerdoti) volete gareggiare con noi o se pretendete di guidarci sul nostro terreno di laici, voi perderete. Ma vincerete sempre se vi fortificate con gioia, con energia e semplicità in quello che è il vostro terreno incomunicabile: il sacerdozio. Noi vi chiediamo innanzi tutto e soprattutto di darci Dio, soprattutto coi poteri che voi soli possedete, con l’assoluzione e la consacrazione. Vi chiediamo di essere gli “uomini di Dio”, i portatori della Parola atemporale, i distributori del Pane della vita, i rappresentanti dell’Eterno tra noi, gli ambasciatori

dell’Assoluto. Perché noi viviamo nel relativo, ma ci muoviamo, respiriamo, siamo nell’Assoluto (J. Guitton, Dialoghi con Paolo VI, p. 259).

Lo stesso S. Paolo VI afferma con convinzione e con particolare calore: «Il sacerdote è considerato come l’uomo di Dio. È un essere umano che fa sua vita dare culto a Dio, cercare Dio, inebriarsi di Dio, studiare Dio, parlare a Dio, parlare di Dio, servire Dio. È l’uomo religioso, è l’uomo sacro. È l’intermediario tra Dio e gli uomini, è il ponte; rappresenta Dio agli uomini e gli uomini a Dio» (P. Macchi, Paolo VI nella sua parola, p.48).

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