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SILENZIO ................................................................................. pag

SILENZIO

Oggi in un momento di tranquillità ho aperto a caso l’Imitazione di Cristo. La prima frase che mi è capitata sotto gli occhi mi ha scioccato e mi ha stordito: mi ha costretto a lasciarmi penetrare il cuore e a guardarmi dentro.

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Ecco la frase incriminata: «Ama nesciri et pro nihilo reputari» (libro I, cap. II).

“AMA”

L’amore è la forza della vita, è il motore di ogni attività. È ciò che rende bella la vita, indipendentemente dalle circostanze. Allora oso tradurre questa voce verbale così: sforzati di…; datti da fare per…; ricordati che la tua felicità sta in quello che ora ti propongo… Coraggio, non fermarti! Non si tratta quindi solo di cosa del cuore!

“NESCIRI”

È un infinito passivo e significa: essere sconosciuto, dimenticato, “scartato”; vivi come se nessuno ti conoscesse e si interessasse di te. Prova a vivere così! Ti senti non solo inutile, insignificante agli occhi degli altri; addirittura ti senti già “colui che fu”! È inevitabile: in questi momenti ti chiedi: È giusto? Dio mi chiede questo? Che cosa vale allora nella mia vita?

Scrive un certo Henri J. M. Nouwen, che ha voluto vivere per alcuni mesi l’esperienza di un monastero trappista: «Se corriamo alla cassetta delle lettere sperando che qualcuno… dall’altra parte ci ricordi; se ci chiediamo se e che cosa pensano di noi gli altri, se continuiamo a desiderare di nascosto di essere un tipo eccezionale nella comunità, se seguitiamo ad immaginare che gli ospiti facciano il nostro nome, se cerchiamo di ottenere attenzioni speciali da parte dell’Abate, o degli altri monaci, se seguitiamo a sperare di fare un lavoro più interessante o che accadano cose stimolanti – allora sappiamo di non avere neppure cominciato a creare nel cuore un piccolo spazio per Dio. Quando nessuno ci scrive più, quando quasi più nessuno ci pensa o si chiede come stiamo, quando siamo soltanto uno dei fratelli e facciamo quello che fanno gli altri, né meglio né peggio, quando la gente ci ha dimenticato – forse allora il cuore e la mente si sono svuotati abbastanza per concedere a

Dio una possibilità concreta di renderci nota la sua presenza» (H. J. M. Nouwen, Ho ascoltato il silenzio, Editrice Queriniana, p. 60).

“ET PRO NIHILO REPUTARI”

Tradotto in italiano mozza il fiato in gola! Significa letteralmente: essere ritenuto dagli altri un nulla, un incapace, un uomo insignificante, come se nemmeno esistessi… Umanamente è davvero troppo. E tutto questo in una società in cui vale solo l’apparire, l’essere invidiato e ammirato.

Questo vuol dire proprio essere fuori dal tempo! Non è umano un vivere così – si pensa comunemente! Eppure…

Scrive ancora il nostro trappista “a tempo determinato”: «Ho sempre nutrito lo strano desiderio di essere diverso dagli altri. Probabilmente è una cosa che accade a tutti. Ma se penso a questo desiderio e al modo in cui ha operato nella mia vita, capisco sempre meglio come, nel modo di vivere, io abbia partecipato all’ansia di “divismo” della nostra epoca. Voglio dire, scrivere o fare qualcosa di “diverso” e di “speciale” che fosse notato e di cui si parlasse. Per chi abbia un’immaginazione fertile ciò non è difficile e conduce agevolmente al “successo” desiderato. Si può insegnare in maniera diversa da quella tradizionale ed essere notati; si possono scrivere frasi, pagine e anche libri, considerati nuovi e originali; si può perfino predicare il Vangelo in modo tale da far credere alla gente che nessuno ci avrebbe mai pensato prima. Tutte queste esibizioni finiscono con l’applauso, perché si è fatto qualcosa di sensazionale, perché si è “diversi” (idem, p. 60). (…) So troppo bene quanto sia difficile vivere senza essere necessari, desiderati, richiesti, conosciuti, ammirati, encomiati. Solo pochi anni fa, in Olanda, avevo abbandonato l’insegnamento per un anno, andando a vivere in città, come studente, in una stanza d’affitto. Pensavo che sarei stato finalmente libero di studiare e di fare molte cose che non potevo fare quando ero tanto occupato e richiesto. Ma che cosa era accaduto? Senza lavoro, ero stato presto dimenticato. Le persone che credevo sarebbero venute a farmi visita non si erano fatte vive; gli amici che immaginavo mi avrebbero invitato erano rimasti zitti, i sacerdoti che credevo mi avrebbero chiesto di assisterli nella liturgia domenicale o di fare qualche predica non avevano avuto bisogno di me. L’ambiente circostante aveva reagito proprio come se io non esistessi più. Era grottesco che avevo sempre desiderato la solitudine per lavorare e proprio quando l’avevo ottenuta non vi riuscissi, diventando tetro, iracondo, acido, pieno di odio, amaro e lagnoso. (…) Adesso, a tre anni di distanza,

mi trovo nelle stesse condizioni. Ogni volta che vado alla cassetta delle lettere e la trovo vuota, alcuni degli stati d’animo sperimentati in Olanda minacciano di riaffiorare. Anche in questo luogo protettivo, circondato da persone buone, temo di essere dimenticato, abbandonato» (idem, p. 63-64).

La mia riflessione ha toccato il fondo quando ho considerato queste proposte in senso riflessivo; ossia quando io stesso mi impegno a non cercare la mia soddisfazione compiaciuta e il bisogno di farmi valere di fronte agli altri perché ho costatato che ciò non mi dà felicità. Io stesso non mi ritengo riuscito e non cerco, anzi, non voglio la notorietà. Ti assicuro che un tale comportamento non vuol dire annullarmi, tanto meno vuol dire uccidermi come uomo. Credimi: quanto più ti liberi da te stesso, dal bisogno di apparire e di essere apprezzato secondo i tuoi desideri e amato passionalmente, tanto più ti sentirai libero dalle tue “scorie”, ed emergerà finalmente il valore autentico e inconfondibile della tua persona, unica, irripetibile, creata per amore da Dio e chiamata “per nome” (!) da Dio stesso. E godrai in te una gioia e pace nel contemplare la tua bellezza, perché ti vedrai come Dio ti ha pensato e creato.

È impegnativo, talvolta difficile vivere così: eppure è la strada maestra della libertà da ogni impaccio e proverai la gioia di “volare alto”. Occorre però vivere quotidianamente il SILENZIO da se stesso, quello che io chiamo: silenzio dalla (sì, “dalla”, non “della”) mia “carnalità”. È chiaro: non parlo del silenzio fisico, ma di un silenzio dalla agitazione e delle pretese del mio io passionale. Finalmente il mio “io” sarà libero di vivere autenticamente, come Dio mi ha amato e creato.

Ascoltami: se desideri riflettere in particolare sul valore del silenzio della parola, ti propongo un’altra riflessione del nostro “monaco a tempo determinato”.

«Silenzio. Il silenzio per me è proprio importantissimo. La settimana scorsa, con il viaggio a New Haven, fitto di discussioni e di scambi verbali, di telefonate apparentemente necessarie e di discorsi con i monaci, il silenzio è stato sempre meno presente nella mia vita. Con il diminuire del silenzio è nato un senso interiore di contaminazione. In principio non sapevo perché mi sentissi come sporco, impolverato, impuro, ma poi mi è venuta l’idea che la

mancanza di silenzio potesse essere la causa principale. Mi rendo sempre più conto che insieme alle parole entrano nella mia vita dei sentimenti ambigui. Sembra quasi impossibile parlare e non peccare. Anche nelle discussioni più elevate entra qualcosa che pare contamini l’atmosfera. Stranamente, il parlare mi rende meno agile, meno aperto, più accentrato in me stesso. Domenica scorsa, dopo aver parlato con i miei allievi, non solo ero stanco e teso, ma mi sembrava anche di aver toccato qualcosa che non avrei dovuto, come se, solo parlando avessi distorto qualcosa, come se avessi cercato di afferrare una goccia di rugiada. Poi sono rimasto inquieto e non ho potuto dormire. (…) Quando tornerò alla scuola, il silenzio dovrà diventare una parte vera della mia esistenza. “Nel molto parlare non manca la colpa” (Prv 10, 19). Molti mi chiedono di parlare, ma nessuno mi ha mai invitato a tacere. Eppure sono sicuro che più parlerò, più avrò bisogno di silenzio, per rimanere fedele a ciò che dico. La gente si aspetta troppe parole e troppo poco silenzio. (…) Se le parole debbono nascere dal silenzio, avrò bisogno di molto silenzio per impedire alle parole di uscire piatte e superficiali» (idem, p. 131 s).

Può sembrare strano, eppure è vero: c’è qualcuno che ha paura del silenzio, perché nel silenzio normalmente emergono alcuni stati d’animo che vorremmo tener nascosti dentro di noi, e non permettere a nessuno di scrutare nel profondo del cuore.

Scrive il card. Martini: «L’uomo che ha estromesso dai suoi pensieri, secondo i dettami della cultura dominante, il Dio vivo che di sé riempie ogni spazio, non può sopportare il silenzio. Per lui, che ritiene di vivere ai margini del nulla, il silenzio è il segno terrificante del vuoto. Ogni rumore, per quanto tormentoso e ossessivo, gli riesce più gradito; ogni parola, anche la più insipida, è liberatrice da un incubo; tutto è preferibile all’essere posti implacabilmente, quando ogni cosa tace, davanti all’orrore del niente» (C. M. Martini, Aprirsi, Piero Gribaudi editore, p. 32).

Chi vuol continuare a riflettere sul valore del silenzio, legga anche quanto scrive Sergio Deison: «Il silenzio – il silenzio che pensa, ascolta, accoglie, si lascia animare – è condizione indispensabile perché la parola possa non solo nascere e risuonare, ma essere davvero evocativa, autorevole, incontrare e scendere in profondità. È il silenzio che dà pienezza, intensità, luce, calore alla parola. Se la parola non è carica di silenzio, risulta vuota, anzi è un rumore, un suono disarticolato e superficiale, che ha perduto il suo contatto con la profondità dell’essere. È il silenzio che rende bella la parola.

La rende viva, toccante, penetrante, capace di comunicare la vita, di far sì che due persone si incontrino a una tale profondità da sentirsi uno» (S. Deison, Il canto del silenzio, Paoline, p. 77).

Per chi vuol… vivere un po’ di silenzio aggiungo qualche spunto “sussurrato”.

«Il silenzio/ è un filtro/ attraverso cui/ ogni suono/ ogni parola/ ogni rumore di cose,/ ogni grido di uomo/ viene accolto, purificato, immerso/ nell’infinità di Dio:/ diventa preghiera» (Sr. Emanuela).

«Il silenzio/ non è un’evasione,/ ma il raccogliersi/ di noi stessi/ Nelle mani di Dio» (M. Delbrel).

«Darsi, consegnarsi, affidarsi/ totalmente al silenzio/ di un vasto paesaggio/ di boschi e colline,/ o mare o deserto./ star fermi, mentre il sole/ sale sulla terra e ne colma di luce i silenzi…/ Pochi sono disposti a immergersi/ completamente in tale silenzio,/ a lasciare che se ne impregnino/ le loro ossa, a respirare il loro silenzio,/ a nutrirsi di silenzio e a mutare/ la sostanza della loro vita/ in un silenzio vivo e vigile» (T. Merton).

«I monasteri,/ dove il silenzio ha il ritmo dell’eterno,/ sono una vera capitale/ di umanità./ Il monaco/ è una benedizione per tutti./ Provatevi ad avvicinarlo:/ vi troverete più ricchi/ più veri,/ più autentici,/ perché avete incontrato/ chi vive in dimestichezza/ con le realtà più alte/ che si assimilano solo/ nel grande silenzio della cella» (G. Pellegrino).

«Il silenzio di se stessi,/ del proprio essere / che approda in Dio:/ questo è preghiera!/ nel deserto si incontra/ il Dio silente/ che parla con quella/ che noi chiamiamo assenza./ È presente in questo modo/ perché così l’uomo diventa/ un’attesa, una capacità di Dio,/ uno spazio libero/ in cui si può compiere/ l’evento della salvezza./ Il silenzio non è per un vuoto,/ per una chiusura,/ ma per un fluire del Verbo,/ un aprirsi all’eterno,/ un fare spazio all’ascolto/ di Colui che ci abita». (S. Deison, Il canto del silenzio, Paoline, p.146-152-158-170-174)

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