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VOCAZIONE ........................................................................... pag

VOCAZIONE

Oggi è un termine molto usato, perfino abusato. È vero: c’è una vocazione fondamentale derivante dal battesimo. Essere cristiano è una vocazione universale, perché il battesimo è uno solo, uguale per tutti. Pare che ci sia timore a usare la parola vocazione nel significato di speciale consacrazione a Dio. Io, qui, lo uso con questo significato specifico. Nel battesimo, ricevuto di solito da piccolini, il bambino non compie nessuna scelta, nessun atto di volontà e non ha ancora sperimentato la molla dell’amore. Nella vocazione, nel significato tradizionale, entrano sempre due attori… liberi: Gesù e il chiamato, o la ragazza chiamata. L’iniziativa è sempre di Gesù, è un atto liberissimo suo! Egli non obbliga mai: invita, trascina, talvolta infiamma il cuore, ma l’uomo (o la donna) rimane sempre libero. la vocazione è sempre questione di amore! È uno speciale atto di amore, libero, proprio perché si tratta di amore. Inoltre è sempre per la gloria di Dio; non è mai una scelta a proprio vantaggio. Da parte del chiamato è indispensabile l’attenzione a Dio! Talvolta non c’è all’inizio, ma quando uno si accorge che Gesù lo invita, allora, sì! L’attenzione a Dio richiede la piena libertà da sé e dai vari attaccamenti come la fonte della propria felicità. Inoltre, dall’attenzione a Dio nasce un vero dialogo con Lui, un dialogo vivo, coinvolgente, che possiamo riassumere in due parole: Eccomi, vengo.

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Con chiarezza scrive il card. Ballestrero: «(Gesù dice): “Chi vuol venire dietro di me”: subentra qui il senso della nostra responsabilità. L’abnegazione subìta non fa il cristiano, bensì quella voluta, quella rinuncia cioè che è la reciproca di una scelta... Chi rinuncia a un amore senza sceglierne un altro non è un uomo, è un mostro; ma chi sceglie un amore rinuncia a tutti gli altri. Così è l’uomo. (…) Scelgo Cristo rinunciando a me stesso, perché mi voglio bene, e il mio miglior bene, Signore, sei Tu. (…) La sequela totale di Cristo è l’abbandono di tutto. Gesù su questo punto è intransigente: chi non abbandona tutto non è degno di me. Non fa commenti, non dà spiegazioni. Egli non accetta di essere in concorrenza con nessuno. O Lui o gli altri. Un giorno ha detto: “Nessuno può servire a due padroni” (Mt 6, 24).

La vita, Gesù la vuole tutta; non vuole le cose dell’uomo, ma l’uomo; e sa che non può prenderlo a pezzi, perché la persona umana è indivisibile: o la prende tutta o non prende niente; o la creatura si dà tutta o non si dà per niente» (A. Ballestrero, A immagine di Dio, p. 135 s).

Nei vari esempi di vocazioni presenti nei Vangeli mi fa riflettere sempre l’avverbio subito. Penso all’invito di Gesù rivolto ai primi discepoli; penso a Zaccheo, e a tanti altri. Quel subito dice: senza ripensamenti, senza condizionamenti di nessun genere. In una parola dice: libertà! È facile a dirsi, ma quanto costa! Quando un/a giovane afferma. “vengo, Gesù”, fisicamente comporta lo staccarsi dalla propria… sedia, dalle proprie comodità, dalle proprie idee fisse e spostarsi continuamente (nel cuore, nella mente e nella volontà), anche nella vita verso Gesù in persona. Questo significa di fatto staccarsi da se stessi e dai vari… orpelli. Vocazione non è aderire a un ideale, ma è solo percepire un fascino irresistibile verso Gesù, incontrato di persona, e seguirLo: questo comporta stare con Lui.

Mi pare opportuno riportare due testimonianze, l’una di una adolescente, l’altra di una giovane.

La adolescente scrive a proposito della vocazione:

«La vocazione è innanzitutto scoperta del mistero di Gesù. Incontro, “dimora” con Lui. L’adolescenza è forse il momento più felice per questo incontro. Di colpo, intuisci che lui è – può essere – tutto per te. E lo cerchi in maniera appassionata. E cogli in questa amicizia con lui vivo la pienezza delle tue possibilità di espansione. E lui prende posto nella tua vita. Tutto il posto. Incontrare Gesù vuol dire fare una scelta di vita precisa, vuol dire giocare su di lui tutta la tua esistenza. Vuol dire deciderti per lui. Non si diventa “chiamati”, se non si fa questo primo passo. All’origine di ogni vocazione ci sta una parola dura, sferzante: “Lascia lì, abbi il coraggio di venir fuori, abbandona, deciditi per questo, e solo per questo, perché tutto il resto è secondario, è periferico, lo puoi anche perdere”…. Se si dovesse definire la vocazione con delle preposizioni, forse si potrebbero usare queste tre: in, da, per. La vocazione è: rimanere in Gesù, distacco da, disponibilità per…. Dio, quando interviene, provoca sempre una partenza, una “missione”…. L’incontro tra noi due – lui e me – non si ferma lì: noi due e basta. Ma si allarga, si spalanca. Sento il bisogno di andare dagli altri e di dire loro: “Ho trovato! Vieni

anche tu! Prova anche tu! Non posso rinunciare a spendermi, a disfarmi per loro”» (Prigionieri della speranza, Editrice Ancora, p. 30 s)

La seconda testimonianza è quella di una donna vissuta nel secolo XX, nel mondo – diremmo noi – tra i “disperati” della vita, ma amati da lei con totalità d’animo, perché a un certo punto della vita e per un caso particolare ha incontrato Dio. Parlo di Madeleine Delbrèl (1904-1964). Scrive p. Antonio Sicari (Ritratti di Santi, vol. 6) in un breve profilo di questa donna tutta d’un pezzo, tutta o bianco o nero! Per lei non esistono altri colori:

«Madeleine Delbrèl era una adolescente molto inquieta; non solo atea convinta, ma addirittura atea “arrabbiata” contro preti e Chiesa. Viveva una partecipazione interiore e pratica con gli operai, sfruttati, mal trattati, e sempre anticlericali. Naturalmente finì per accogliere il loro pensiero ateo senza discussione, forse senza un esame critico. E si buttò a condividere i loro disagi. A un certo punto, a 18 anni, incontrò un giovane molto dotato, oltre che bello. Se ne innamorò e ammirava totalmente questo giovane: rappresentava, incarnava secondo lei il suo ideale. Improvvisamente il ragazzo (Jean) scompare: sconvolta, Madeleine viene a sapere che Jean è entrato nel noviziato dei domenicani, ed è una separazione assoluta, cioè totale e definitiva. Non capisce. Il suo anticlericalismo si riaccende violento. “In quel momento, confessa, avrei dato tutto l’universo, pur di sapere che cosa ci facevo dentro!”. A questo punto le si pone il problema della fede, ma non come consolazione. A perseguitarla è il ricordo della bella umanità di Jean e di altri suoi amici conosciuti in quel momento felice. Queste frequentazioni la… costringono a pensare e a capovolgere la domanda di quand’era adolescente; allora si chiedeva. “Come si conferma l’inesistenza di Dio?”. Adesso si domanda: “Dio potrebbe forse esistere?”. Da ultimo ricorda che un giorno, in occasione di un incontro in cui vi era un baccano notevole era stata ricordata Teresa d’Avila che consigliava di pensare in silenzio a Dio cinque minuti al giorno. Da quel giorno divenne credente, praticante (attirata dall’Eucaristia) e missionaria. Arrivò fino al punto, senza abbandonare gli operai, di fondare una comunità femminile di persone consacrate e viventi nel mondo a condividere la sorte dei più trascurati».

Invito a leggere per intero il profilo che traccia di lei p. Antonio Sicari.

N.B. È proprio ineffabile lo stile che usa Gesù per invitare qualcuno a seguirlo totalmente. E non si ripete mai!

Pro manuscripto

Finito di stampare nell’ottobre 2021

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