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FELICISSIMO .......................................................................... pag

FELICISSIMO

Sono solito firmare così le lettere che invio: don Luigi, prete felicissimo. Alcuni ridono, altri fanno qualche commento; eppure dico la verità, non per apparire originale, o esagerato.

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È la verità. E vi dico i motivi.

1. Perché sperimento che Gesù agisce nella mia vita, specialmente dopo la celebrazione della Messa. In quei momenti so che Gesù vive dentro di me nonostante le mie infedeltà. In quegli istanti eucaristici condivido quello che disse (anzi, quello che gridò) S. Paolo: «Ora non sono più io che vive, ma

Cristo vive in me» (Gal 2, 20).

Dio è vita, amore, gioia…; quindi… sì, nonostante le mie infedeltà. Per questo motivo tante volte non oso dire: «Per me vivere “è” Cristo» (Fil 1, 21), come fosse vera la mia corrispondenza; preferisco dire: “sia”, cioè, cerco di essere fedele, ma faccio fatica.

Però Gesù è certamente in me, vivo e operante!

Condivido pienamente quanto scrive il card Martini: «Gesù afferma: “Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena” Il Signore non parla di una gioia qualunque, di una letizia effimera, passeggera, legata a realtà che svaniscono. Egli la chiama la

“sua” gioia, quindi si tratta di qualcosa che gli appartiene profondamente (…). Questa gioia di cui Gesù dice “Sia in voi” non è un elemento supererogatorio della vita cristiana. È la gioia della perla preziosa, del tesoro nascosto; la gioia che dà vitalità alla Chiesa, che ci sostiene nella fatica quotidiana. Gesù non si accontenta che la gioia ci sia, ma aggiunge: “Perché la vostra gioia sia piena”, abbondante, sovrabbondante, traboccante».

2. Perché il sacerdote, ogni sacerdote, è – come si usava dire –

“alter Christus”, che significa. “è l’altro Cristo”, è il secondo dopo Gesù, non “un altro” generico: Gesù è il vero e unico sacerdote; tutti gli altri sacerdoti sono... “l’altro”, quasi la continuazione di Gesù sacerdote.

Che mistero ineffabile! Allora è vero che in me sacerdote è Gesù che agisce, che si offre al Padre, che amministra i sacramenti, che ama ogni fratello. Se è davvero così, come potrei non essere felice?

3. Perché ogni sacerdote è “l’uomo di Dio” – si usava dire un tempo. Oggi, forse, si preferisce considerare il sacerdote in azione, colui che… agisce, opera. È una visione piuttosto dinamica e, probabilmente, cerca di considerare il sacerdote soprattutto a servizio dei fratelli. L’espressione “uomo di Dio” vuol cogliere il sacerdote nel suo cuore, nel suo modo di essere, prima che nel suo operare. Vuol esprimere la vita interiore del sacerdote, non tanto considerarlo nelle varie forme del ministero proprie di ogni sacerdote. Il card. Martini affermò che

Gesù, dopo aver scelto i Dodici, prima di inviarli ad annunciare il Regno di Dio, li chiamò a Sé e volle che «stessero con

Lui». È necessario che il sacerdote viva una profonda, personale amicizia con Cristo. E aggiunge: «Chi può annunciare che

Dio è amore se non colui che ha fatto una personale, ineffabile esperienza di amicizia con Cristo?».

Ogni sacerdote è chiamato a vivere il desiderio della gloria di Dio. Questo significa provare un bisogno molto forte di far conoscere che Dio è amore. Così il ministero sacerdotale acquista una efficacia speciale.

Scrive R. Voillaume, dei Piccoli Fratelli di Gesù: «Ricordo ciò che mi diceva un vescovo quando venne a visitare la fraternità della sua città. Dopo aver parlato del disorientamento di molti preti e del piccolo numero di vocazioni nel suo seminario, aggiunse: “Non meraviglia; i preti non danno l’impressione di essere uomini felici!”. Purtroppo è vero in molti casi! È impossibile essere profondamente felici se si segue Gesù a metà. Non vi è felicità possibile a mezza strada tra il mondo o se stessi e il Cristo a cui si è dato tutto» (R. Voillaume, Lettere ai nostri fratelli, Morcelliana, p. 145).

Un altro spunto di riflessione: «Non vi è forza d’animo senza gioia, e la tristezza è sempre sintomo di un’anemia della vita secondo lo Spirito e la grazia. Possiate ottenere questa grazia della gioia interiore, che è veramente

una manifestazione della carità. Questa gioia è a vostra portata, ad ogni istante, qualunque siano le ragioni esterne di tristezza, come frutto istantaneo di uno sguardo di fede su Gesù accompagnato da uno sforzo di distacco che strappa dal nostro cuore le ardici della tristezza. Dio vuole la gioia nel cuore dell’uomo, ma solo quel tipo di gioia che la croce purifica senza distruggerla» (idem, p. 151).

Anch’io, con un grande maestro spirituale, oso pregare così:

Voglio gridarti, Signore, la mia felicità di trovarmi, malleabile, nelle tue mani e di essere tempio della tua gloria.

Ricordo che “malleabile” significa: disponibile alla volontà di Dio, perché è Lui che dà “forma”, valore alla mia vita.

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