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NO T I Z I A R IO

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DEL CIRCOLO ETRUSCO

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10 NOVEMBRE I R E T T I VO D E L C I R CO LO CO N T R A I S O C I TA R E L E AT T I V I TÀ S O C I A L E 2 0 1 7 / 1 8

Aperitivo d ’autunno

CO N A S S AG G I D I P O L E N TA , P R O D OT T I DA F O R N O, D O LC E T T I E V I N O D E L L A CA S A

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PER CONFERMARE LA PROPRIA PRESENZA 0 5 1 9 3 2 6 4 8 OPPURE 392 4368527

È GRADITA LA CONFERMA DELLA PRESENZA

I L N U OVO D E T R U S CO I N P E R P R E S E N D E L L’A N N O E P E R U N

ORE 18,30 in poi

INVITO APERTO A TUTTI I SOCI

dalle


CIRCOLO ETRUSCO

SAPERI e SAPORI CONOSCENZE, RICERCHE, LI RIFLESSIONI, PICCO SEGRETI, CULTURE, ESPLORAZIONI

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L’Etrusco periodico di informazione interna sull’attività sociale del Circolo Etrusco di Sperticano e su temi riguardanti ambiente, turismo, storia, arte, enogastronomia - diffusione libera e gratuita ai soci del Circolo Anno 1 - numero 1 - Ottobre 2017 Editore Circolo etrusca di Sperticano via Mozza 125/b - 40018 San Pietro in Casale (Bo) outline@outlineedizioni.it Direttore responsabile Roberto Roveri Progetto grafico e impaginazione Roberto Roveri Studio Contatti redazione @outlineedizioni.it Pubblicità Circolo etrusco L’editore è a disposizione degli eventuali aventi diritto che non è stato possibile contattare Le informazioni contenute negli articoli pubblicati sono puramente divulgative. Gli Autori e l’Editore non si assumono la responsabilità per eventuali effetti negativi causati dall’uso o dall’uso inappropriato delle informazioni qui contenute. Nel caso un articolo pubblicato fosse, a nostra insaputa, protetto da copyright, su segnalazione, provvederemo subito a rimuoverlo.


EDITORIALE L’ E T R U S CO

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FOCUS L’ E T R U S CO

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AMATE IL PANE cuore della casa profumo della mensa gioia dei focolari, RISPETTATE IL PANE sudore della fronte orgoglio del lavoro poema di sacrificio, ONORATE IL PANE gloria dei campi fragranza della terra festa della vita, NON SCIUPATE IL PANE ricchezza della patria il più soave dono di Dio il più sano premio della fatica umana

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di Silvia Nicoletti Silvia Nicoletti promuove con entusiasmo modus vivendi consapevoli da oltre 20 anni, grazie anche all’incontro nel cammino della sua vita con numerose persone “speciali”, o angeli guida come ama definirli con immensa gratitudine. Di anno in anno la cerchia di queste anime illuminate e illuminanti aumenta intorno a lei. Fa scoperte tutti i giorni. Ritiene “l’alimentazione sana” un ottimo e valido punto di partenza per vivere bene e più a contatto con sé stessi. Classe 1965, bolognese, negli ultimi sette anni si è appassionata e dedicata all’editing, in particolare alla realizzazione e divulgazione di progetti editoriali condivisi da più persone per il bene collettivo. Considera vitale il contatto con la Natura. silniceditor@gmail.com


Ho

trovato questo pezzo, manoscritto, risalente ai primissimi anni del Novecento, incorniciato e attaccato a una parete in un casale dell’Ottocento nella suggestiva campagna affacciata sul Mar Ionio in un luogo di Riserva Marina della Calabria più meridionale, dove mi trovavo di passaggio per qualche giorno durante l’estate, la stagione appena trascorsa. L’ho letto più volte... fino a decidermi di trascriverlo, e infine di... pubblicarlo. Come molti di voi, carissimi Lettori, durante la cosiddetta “pausa estiva” ormai alle spalle da un pezzo ahimè, ho avuto l’occasione di conoscere tante brave persone e visitare innumerevoli luoghi in lungo

e in largo per la nostra bella Italia. Città grandi e città più piccole, paesini e borghi antichi, fortezze e castelli, chiese, cattedrali, duomi, parchi naturali, campi coltivati e selvaggi, colline, monti, boschi, fiumi, ruscelli, cascate, grotte, musei, scavi archeologici, rovine, monumenti, coste marine di ciottoli, sabbia, argilla, scogli, e via dicendo. Luoghi addirittura divenuti patrimonio mondiale dell’UNESCO. Storia, tradizioni, culture, dialetti, riti, saggezze tramandate, arte, diversità, bellezza, fascino, e che mare! Quanta bellezza naturale e antropica. Ma cosa c’entra ‘il pane’, mi chiederete!? Bè, l’accalorata e appassionata esortazione -agli Italiani- ci riporta inevitabilmente alle nostre radici... Chi ci segue fin dall’inizio sa che, in questo metaforico “Bosco” ricco di

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FOCUS

sentieri, suoni, profumi e voci, si desidera proprio comunicare e trovare -in uno scambiomessaggi utili, interessanti e creativi partendo proprio “dal basso”, dai nostri reali ed essenziali valori di vita. Iniziando dalla Natura, fatta di acqua, aria, terra, luce, energia, il susseguirsi delle stagioni, il cielo con le sue stelle e i suoi pianeti, i cicli solari e lunari, gli animali, le piante e i fiori, i minerali. Alla quale dobbiamo porre attenzione, osservazione, rispetto, umiltà, gratitudine. Se non lo facciamo, non faremo altro che allontanarci da noi stessi, perdendo di vista la nostra sorgente. La nostra vera essenza. Le nostre radici. La nostra intimità. Viene da sé che ‘la qualità’ dell’aria che respiriamo, dell’acqua che beviamo e con cui ci laviamo, del cibo di cui ci alimentiamo e di tutto ciò che ingeriamo, dei pensieri che formuliamo, dei sentimenti che nutriamo, del lavoro che svolgiamo, delle emozioni che proviamo, dei vestiti e delle scarpe che indossiamo, delle cure che scegliamo, delle ore di sonno che ci riserviamo, delle case che abitiamo, dei luoghi in cui viviamo, e così via, fa una grande differenza nel renderci persone più responsabili, sane, ... Recuperiamo i valori della vita, ribelliamoci con forza e coraggio a tutto ciò che va e

che è contro-Natura, a tutto ciò che non ci suona bene, favorendo così il sacrosanto diritto al ben-vivere dell’intero Pianeta, di cui anche noi, donne e uomini coi nostri bambini, siamo gli abitanti, in simbiosi con tanti altri esseri viventi presenti. Ognuno di noi può contribuire, seppur nel suo piccolo, a cambiare molte cose in meglio, a conoscersi più in profondità, a fare nuove scoperte, ad avere intuizioni, a trovare tante verità nascoste, ad avere iniziative spontanee senza parole d’ordine, meglio ancora se collettive (l’unione fa la forza!)... Per il bene di tutti, a partire da noi stessi. Occupandoci delle cose (poche) che contano... Idealismo? Impossibile? Non credo... Si tratta piuttosto anche di un dovere. Fosse anche solo raccogliendo i copiosi mozziconi di sigarette gettati e abbandonati ovunque da fumatori indifferenti e incuranti, perfino tra gli scogli e sulle spiagge in riva e affacciati al bel mare che incornicia la nostra penisola; per non parlare anche dei relativi pacchetti vuoti di carta avvolti da plastica buttati per terra, anche dalle auto in corsa, sigh, con grande disinvoltura... Non rispettare l’ambiente che è di tutti significa fondamentalmente non amare gli altri ma


nemmeno se stessi... O fosse facendo sentire la nostra voce per la salvaguardia dei beni naturali e culturali spesso maltrattati, abbandonati e fatiscenti, o a favore di un decoroso, adeguato e funzionale arredo urbano, troppo spesso deturpato da esempi di pessima edificazione, se non addirittura assente... O fosse anche solo guardando meno la televisione. Tornando per esempio al pane (quello vero!), fosse anche pretendendo con fierezza di acquistare e consumare solo quello prodotto o autoprodotto seriamente con ingredienti sani, con farine non raffinate, proveniente da grani antichi e non modificati, coltivati in agricoltura biologica e biodinamica e non intensivamente, nel rispetto della terra e di chi la lavora, macinate a pietra naturale per mantenere le preziose caratteristiche organolettiche, impastato con acqua buona, sale marino integrale, lievito di pasta madre, cotto nel forno a legna ben selezionata, dal profumo e sapore antico, preparato con cura, passione e ardore. Da qualche parte bisogna pur cominciare. Volere è potere. Chi cerca, trova. Non facciamoci prendere in giro, nemmeno dalla pigrizia, e non troviamo

scuse, oh Italiani e non solo! Le stagioni stesse, in tutte le loro fasi, ci offrono generosamente di anno in anno atmosfere, spunti, colori, profumi, sapori, suoni, messaggi, frutti, ortaggi, e tradizioni, richiamando e attirando la nostra attenzione in tutti i modi di cui sono dotate: esse custodiscono tutti i segreti del ben-vivere, sta a noi coglierne il sapiente richiamo, la Voce Saggia. Non sarà certo frequentando sempre e solo i supermercati (dove si trova tutto per tutto l’anno), guardando troppa televisione, stare a testa in giù continuamente sui tablet, preferire sempre l’auto alla bicicletta o alle gambe, riempirci la testa di paure e preoccupazioni, o rimanere indifferenti a certi lassismi, che potremo ‘svuotarci’ dei bisogni indotti, delle cose inutili, e ritrovare così veri ‘occhi’ per vedere e vere ‘orecchie’ per sentire, del corpo e dell’anima, stagione dopo stagione, e poter di conseguenza agire e vivere con coscienza, recuperando la nostra dignità, col buon senso e la semplicità, facendo maggior conoscenza con... noi stessi e col mondo che ci circonda. Che sia per tutti un autunno edificante, di valori veri. AMATE IL PANE, ITALIANI!

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FOCUS L’ E T R U S CO

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I pani dell’Etrusco

Lo spazio gastronomico all’interno del Circolo Etrusco, per il quale è stata mantenuta la denominazione di Antica Osteria, con la quale il luogo è meglio conosciuto, offre diverse eccellenze: in primo luogo i pani e le farine che vengono utilizzate per la loro produzione. E anche per la produzione della pasta rigorosamente ‘fatta in casa’, sia quella trafilata sia la sfoglia - e dei dolci. La scelta è stata quella di farne il primo ‘biglietto da visita’ per chi si siede ai tavoli: pani prodotti localmente, con materie prime che hanno un legame con il territorio, per origine o lavorazione, e, per quanto possibile, cotti nel forno a legna. Grani antichi, farro della Garfagnana, farine integrali, semintegrali, macinate a pietra o comunque prodotte con standard qualitativi alti. Nella lavorazione si privilegia l’uso di lievito madre. Così, quando il cesto del pane arriva in tavola, non è mai una presenza ‘banale’ ma un insieme di storie e profumi che raccontano il luogo e una cultura del pane di grande rispetto. E con con una particolare attenzione al benessere di chi lo consuma: un prodotto che cerca di essere naturalmente salutare.


Tra i nostri fornitori... Mulino del Dottore

Quando si arriva a Ca’ Bortolani, nel territorio di Savigno, prendendo via Rodiano, una strada in discesa un po’ nascosta, percorse poche centinaia di metri si raggiunge un’antica costruzione con una torre colombaia all’interno della quale si trova il mulino oggi denominato ‘Del dottore’. Anticamente, quando i briganti popolavano queste zone, i percorsi che valicavano l’Appennino per andare verso Roma si snodavano principalmente sui crinali, lungo i quali venivano costruite torri dette ‘colombaie’, annesse alle abitazioni, dalle quali si poteva controllare meglio il territorio circostante e meglio difendersi dalle incursioni nelle stalle e nei granai. Era facile che viaggiatori e pellegrini cercassero ristoro in questi luoghi che divennero così luoghi di sosta durante il viaggio. Quella che ospita il mulino è una di queste, eretta nel

Mulino del Rosso

Al numero 8 di via dei mulini a Castiglione dei Pepoli, si trova il Mulino del Rosso, un mulino ad acqua del 1870 gestito da 5 generazioni dalla stessa famiglia. Vi si macinano cereali, granturco e castagne. Al suo interno vi sono tre macine a pietra utilizzate per la molitura, solitamente fatta su ordinazione per poter fornire prodotti di recente macinazione.

‘600 e conservatasi nel tempo. Al suo interno ci sono quattro macine in pietra che vengono utilizzate per la macinazione di cereali e castagne. Il torrente Venola, che scorre vicino alla costruzione, fornisce l’acqua che muove le turbine che, a loro volta fanno girare le macine. La produzione è limitata sia dai tempi della macinazione a pietra, assai diversi da quella industriale sia dalla scelta di ricavare farine solamente da produzioni locali Il podere annesso, è coltivato principalmente a patate di ottima qualità “patate di Tolè”, oltre a grano, erba medica, orzo, nel rispetto dei ritmi della natura e della stagionalità. Annessa la mulino c’è una accogliente rivendita dove si possono acquistare le farine oltre ad altri prodotti quali biscotti, dolci vari e pane, e ortaggi e patate. Tutti di produzione locale.


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CENA SU PRENOTAZIONE

I R O P A S e I R E P SA d ’autunno

POSTI LIMITATI

19 NOVEMBRE ORE 20,00

poiché la cena è a numero chiuso si prega di non prenotare se non si ha la certezza di essere presenti, per non togliere il posto ad altri L’ E T R U S CO S E D E D E L C I R CO LO V I A S P E RT I CA N O 4 2


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LEZIONI DI SFOGLIA

XX NOVEMBRE ORE 20,30

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PER PRENOTARE 051 932648

poiché la cena è a numero chiuso si prega di non prenotare se non si ha la certezza di essere presenti, per non togliere il posto ad altri L’ E T R U S CO S E D E D E L C I R CO LO V I A S P E RT I CA N O 4 2


ECCELLENZE

“…molta copia di formaggi, pollami, ova, carni salate e prosciutti di montagna” Pier Antonio Guerrieri (1604 - 1676)

IlsaporeProsciutto d’altri tempi

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Lo spazio del cibo all’interno del Circolo Etrusco di Sperticano è il luogo dove trovano posto tradizioni e sapori che raccontano del nostro territorio, dell’Italia ma anche del mondo. In questa rubrica presenteremo, volta a volta uno o più prodotti dell’eccellenza enogastronomica che il lavoro di tanti artigiani e artisti del cibo mette a nostra disposizione. E che è possibile trovare nel nostro menù o nella nostra dispensa.

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poeta Tonino Guerra della terra di Carpegna dice: “È bello se puoi arrivare in un posto dove trovi te stesso.” È questo l’incantesimo della terra di Carpegna, una bellezza che da sempre avvince chi ha l’avventura di percorrerla. Luoghi circondati da una natura la cui bellezza pare avere ispirato nei secoli arte, architettura, lavoro dell’uomo. Così gli antichi borghi medievali, immoti nel tempo, catturano la vista ad ogni angolo con suggestioni e atmosfere d’altre epoche, autentiche, intatte, quasi che il tempo si fosse fermato. Intorno, un fiorire di castelli maestosi, palazzi nobiliari, chiese perfettamente conservate che raccontano fede e vita del medioevo e del rinascimento. E le fitte selve di querce che la ricoprono ben si acconciano alla tradizione di allevare suini, così ricche di alimento per le loro carni. Tradizione che si perde in tempi lontani. Prova ne è un’ordinanza che data 1407, nella quale si proibisce di vendere altrove ‘...porci e carni salate’ e che consente di datare già allora la tradizione di salare prosciutti e carni diverse, utilizzando quel sale da sempre estratto dalle saline di Cervia le quali si impegnavano a fornirlo di diritto a Carpegna e facendo di questa una delle patrie del Prosciutto. Un’artigianalità che parte quindi da lontano e ha tramandato di generazione in generazione l’antico sapere fino ai nostri giorni. Nulla ha potuto lo spopolamento dell’Appennino: la tradizione


di Carpegna che in effetti, ha rischiato di venire cancellata, più forte del rischio della dimenticanza oggi ha ripreso vigore in questo luogo unico e insostituibile. Così, se nei borghi di Frontino, Pennabilli, Pietrarubbia, Piandimeleto, Villagrande di Montecopiolo e nel territorio del Parco Naturale Sasso Simone e Simoncello, è possibile vivere una giornata, un weekend o una vacanza davvero indimenticabili tra escursioni a piedi, a cavallo o in mountain bike nelle vaste praterie del Monte Carpegna o nella grande cerreta del Simoncello, o dedicandosi alla pesca sportiva, sulle tavole di Carpegna possiamo ancora provare un piacere unico

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ECCELLENZE L’ E T R U S CO

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come assaporare una sottile e saporita fetta di storia che racconta secoli di lavoro e di sapienza nella lavorazione del Prosciutto.

Informazioni nutrizionali Pensare che il Prosciutto di Carpegna sia “solo” un prelibato piatto da servire come antipasto o un ingrediente da inserire in primi e secondi piatti è un errore: le sue particolarità nutrizionali possono, a pieno titolo, qualificarlo come pasto completo, leggero e sano. Innanzitutto va rilevata l’assenza di additivi e alterazioni operate nel corso della lavorazione delle cosce fresche. Poi, la fase di stagionatura, grazie all’attività enzimatica che trasforma in aminoacidi le molecole proteiche, lo rende facilmente digeribile, con un contenuto di colesterolo paragonabile alle carni bianche, adatto a bambini e anziani, a sportivi e a tutti coloro che hanno problematiche digestive. La parte lipidica invece, presenta un’alta percentuale di acidi grassi insaturi, quelli, per intenderci, presenti nell’extravergine d’oliva, derivanti dalla trasformazione dei grassi contenuti nella carne cruda durante la stagionatura. A tutto questo si deve aggiungere che il Carpegna apporta all’organismo dei consumatori vitamine del gruppo B e D oltre a un buon contenuto di minerali.


Informazioni tecniche Il disciplinare della DOP Prosciutto di Carpegna prevede che le cosce utilizzate nella produzione provengano solo da suini nati ed allevati nelle Marche, Emilia Romagna e Lombardia di età non inferiore ai dieci mesi. Dopo un rigido controllo tecnico da parte del personale specializzato le cosce vengono timbrate a fuoco con giorno, mese e anno, certificando così la data di inizio della stagionatura che durerà oltre quattordici mesi. Sul prosciutto sono inoltre presenti 11 marchi DOP impressi sempre a fuoco.

Caratteristiche Il Prosciutto di Carpegna è adatto ad essere degustato da solo. Tagliato a mano offre un sapore intenso mentre affettato sottilmente a macchina è delicato e soffice. Dal colore leggermente ambrato, è un crudo profumato, che si distingue per le note aromatiche e si abbina bene a vini bianchi secchi, corposi, morbidi e dall’intenso bouquet. Il peso delle cosce stagionate oscilla tra i 9 e i 10 chilogrammi che, una volta disossate, passa a 6,5 e 7,5.

Conservazione La temperatura consigliata per la conservazione del prosciutto con osso è inferiore ai 18 °C. Mentre il prodotto disossato deve essere conservato al di sotto dei 10°C. Dopo l’apertura della confezione la temperatura di conservazione scende tra 0°C e +4°C .

Indirizzi utili A.P.T. Pro Loco Carpegna piazza Conti, snc - 61021 Carpegna PU +39 0722 77326 +39 377 128 1203 info@prolococarpegna.it dal 12 giugno al 11 settembre, dalle 9.30 alle 12.30 e dalle 15.30 alle 18.30

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VENERDI 22 NOVEMBRE ORE 19,00

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ORE 19.00 DEGUSTAZIONE DI

PRODOTTI ARTIGIANALI SICILIANI

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CENA CON PIATTI TIPICI DELLA TRADIZIONE SICILIANA

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SAPORI D’ITALIA

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«La cucina siciliana - scrive Martino Ragusa - è una cucina funambolica, in bilico tra passato e futuro, opulenza e povertà, aristocrazia e popo lo, tradizione e innovazione. La Sicilia si trova al centro di quel Medit erraneo a cui tutto il mondo orma i guarda come fonte di cibi e di sa peri capaci di regalare al tempo ste sso salute, tradizione e gusto.

«Pasta, olio d’oliva, verdure e pesce azzurro sono i quattro punti cardinali gastr onomici validi ovunque. Camb ia qualche ingrediente, qualche nome, ma i piatti restano quelli. Tutto questo ha determinato un’un itarietà gastronomica che as sieme ad altre caratteristiche, come l’abbondanza di piatti, la loro rilev anza storica, l’unicità e la forte pe rsonalità che li rende ovunque ric onoscibili, impone l’idea di un a vera “Cucina Nazionale”. «La Sicilia è anche un luogo dove la gente è rimasta leg ata ai sapori naturali del mare e della terra, dove non si sono co nsumati quei tradimenti di stile ali mentare che sono ormai consueti in tante altre parti d’Italia”.


Sperticano 30 NOVEMBRE E 14 DICEMBRE ORE 21 2 SERATE DI JAZZ ALL’OMBRA DELLA TORRE DI SPERTICANO

n i z z a J tower Per gli amanti del jazz, Sperticano si veste di musica. Due serate all’insegna di questo genere musicale per ...

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GIOVEDÌ IN MUSICA

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di Laura Dell’Aquila

Laura Dell’Aquila è titolare della fattoria didattica Il Giardino di Pimpinella, in via Medelana 23 a Luminasio nel Comune di Marzabotto (Bologna), dove vive da quasi venti anni. È biologa, specializzata in geobotanica, diplomata in Erboristeria e Guida Ambientale Escursionistica. Opera da più di vent’anni nell’educazione, interpretazione ambientale e nella divulgazione naturalistica. È autrice di varie pubblicazioni. Laura è stata docente dal 2007 al 2012 presso l’Università di Bologna in Botanica Sistematica Farmaceutica per la Facoltà di Tecniche Erboristiche, e in Scienze della Formazione Primaria per i laboratori di Educazione ambientale. Insegna Fitoterapia nella scuola di Naturopatia di Riza Psicosomatica presso l’Università Primo Levi di Bologna, e presso diversi enti e strutture. Per saperne di più potete visitare il sito www.pimpinella.it

Riacquistare concentrazione e tono nell’autunno post vacanze estive e... per tutto l’anno

Rosmarino alleato prezioso Il

Rosmarino (Rosmarinus officinalis) è originario dell’Europa, Asia e Africa, ma cresce spontaneo nell’area mediterranea, nelle zone litoranee, e sui dirupi sassosi e assolati dell’entroterra, dal livello del mare fino alla zona collinare. Pianta tenace e resistente, così forte da abitare indomito ambienti aridi e assolati, come scogli battuti dal vento e dal sole, sopportando spesso la salsedine del mare, siccità ed estremo calore. Le sue foglioline aghiformi raccontano la sua strategia di sopravvivenza, adatta a risparmiare al massimo la perdita dell’acqua resistendo ai disagi dei climi secchi e assolati. L’aroma che emana aiuta a comprendere ancora meglio il suo carattere, forte, vigoroso, tenace e intenso. Quando si copre dei suoi fiori dal colore del cielo prima di un temporale, compare un ulteriore aspetto di questa pianta, etereo, delicato, elegante e spirituale. Il suo uso come erba medicinale risale a epoche antiche, e già Greci ed Egizi ne apprezzavano le virtù considerandolo sacro. Durante il Medioevo, invece, il Rosmarino aveva fama di erba prodigiosa per la salute, particolarmente sacra e propiziatoria, tanto che Carlo Magno emanò un editto in cui obbligava i cittadini del Sacro Romano Impero a coltivarne una pianta in ogni orto. Attualmente il Rosmarino è presente in tutte le cucine, e, se non abbiamo la fortuna di averlo in giardino o in vaso, di certo è nei vasetti delle spezie essicate usate nelle nostre case per insaporire e rendere più appetitosi i piatti. Della sua ricchezza di proprietà officinali ormai è rimasta traccia solo nel


suo uso come spezia alimentare. Tutti sappiamo quanto diventino appetitose le patate al forno quando aggiungiamo qualche foglia di rosmarino, come pure gli arrosti o le schiacciate e pizze. Il suo uso in cucina, oltre ad arrotondare e dare senso a tanti piatti, li rende digeribili e diminuisce l’insorgere di eventuali gonfiori. Inoltre, basta annusare il suo profumo per stimolare i succhi gastrici, favorendo l’insorgere di un senso di appetito. Tra le proprietà del Rosmarino, infatti, spicca la capacità di favorire l’attività digestiva e il lavoro del fegato e della vescicola biliare rendendo più digeribili i grassi e contribuendo ad abbassare il colesterolo nel sangue. Ci viene in aiuto anche quando siamo in preda alla sonnolenza post prandiale, spesso dovuta a un fegato stanco e appesantito. Grazie alla sua attività a livello epatico e all’insieme dei principi attivi che formano il suo ricco fito-complesso, il Rosmarino esplica una generale attività tonica e stimolante, di cui beneficiamo sia assumendolo in infuso, sia fatto macerare in acqua fredda per circa

30 minuti, o ancora assunto in gocce come tintura madre, o come macerato glicerico delle gemme, o infine semplicemente diffuso nell’aria che respiriamo come olio essenziale. In tutti i modi, fra tanti effetti che induce, spicca la sua capacità tonificante, stimolante a livello generale, e in particolar modo mentale. Ci viene in aiuto quindi quando ci sentiamo stanchi, quando facciamo fatica a concentrarci e a studiare, quando siamo assonnati ed esauriti. Ma la generosità di questa pianta si esplica ancora grazie alle sue proprietà antibatteriche, antibiotiche e balsamiche dovute all’olio essenziale. Per questo possiamo assumere il Rosmarino anche in caso di malattie da

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raffreddamento e nelle affezioni alle vie respiratorie. In questo caso possiamo curarci con un infuso delle sue foglie o ancora inalando il suo olio essenziale diffuso in ambiente o in fumigazioni. Il calore raccolto e immagazzinato dal Rosmarino nel suo ambiente di crescita naturale lo ritroviamo nelle sue parti eteriche e ci viene in aiuto sciogliendo muchi ostinati in sinusiti, catarri e raffreddori; lo stesso calore, caldo e secco della pianta, potrà anche aiutarci a sciogliere contratture muscolari e dolori articolari: in questo caso possiamo preparare un olio da massaggio in cui sciogliamo qualche goccia di olio essenziale di Rosmarino, o, ancor meglio, un oleolito, ottenuto facendo macerare la pianta in olio extravergine d’oliva o in olio di sesamo. Ben conosceva queste virtù la Regina di Ungheria, che visse verso la fine del 1300, la quale ormai anziana e malata, impiegò quest’acqua come tonico e ricostituente e ne trasse talmente beneficio da

essere chiesta sposa da un re venticinquenne. Lei stessa così scrisse: “Io, Elisabetta, regina dell’Ungheria, essendo molto inferma e colpita dalla gotta durante il settantaduesimo anno di età, ho usato per un anno questa ricetta datami da un vecchio eremita che non avevo mai visto prima né più da allora. Non solo sono guarita, ma ho recuperato la mia forza e salute e era così manifesto a tutti che il re di Polonia mi ha chiesto in sposa, lui che è un vedovo e io una vedova. Io ho tuttavia rifiutato per amore del mio signore Gesù Cristo, dai cui angeli credo di aver ricevuto il rimedio. La ricetta è la seguente: acqua distillata quattro volte, tre parti, le parti superiori e fiori di rosmarino, due parti. Unire in un vaso, lasciar bollire a fuoco delicato per cinquanta ore e poi distillarlo in un alambicco. Prendere un sorso del preparato alla mattina ogni settimana, nei cibi e nelle bevande, e ogni mattina lavare con esso la faccia e il membro malato”. Il Rosmarino può davvero


essere impiegato in tanti modi: i suoi fiori dall’aroma balsamico e dolce possono essere raccolti, essiccati e uniti allo zucchero biologico integrale o grezzo (semi raffinato) o al sale integrale; particolarmente piacevoli sono in accompagnamento al miele di acacia, che una volta fatto riposare il composto per circa 3 settimane, lo si usa per aromatizzare tisane e piatti vari, o preso a cucchiaini per le proprietà antibiotiche e curative in caso di problemi respiratori. Gli stessi fiori freschi possono essere messi a macerare per circa 3 settimane anche in buon aceto di mele (meglio se biodinamico e non pastorizzato): una volta filtrati conferiscono un piacevole aroma all’aceto, adatto non solo per aromatizzare le nostre pietanze, ma anche come tonico da applicare su pelli grasse. L’oleolito porterà beneficio anche quando abbiamo rigidità articolari, se siamo stanchi, e dopo sforzo fisico o contratture e in caso di dolori reumatici e articolari, quindi in questo caso raccogliamo le cime di Rosmarino, meglio se in una giornata calda e assolata. Una volte mondate da eventuali parti vecchie e da insetti, senza lavarle, le pestiamo nel mortaio per poi metterle in un barattolo di vetro fino a riempirne un 20% in volume; copriamo poi con un buon olio extravergine di oliva fino a raggiungere ¾ del volume del barattolo. Chiudiamo e rivestiamo il barattolo per permettergli di scaldarsi senza ossidarsi con la luce del sole (... evitiamo l’uso di pellicola di alluminio... : si possono usare

per tale scopo barattoli di vetro scuro, ad esempio). Quindi, mettiamo il barattolo al sole e lo lasciamo per circa un mese, avendo cura ogni giorno di aprirlo e di asciugare l’eventuale umidità che si forma all’interno, e una volta richiuso, lo agitiamo bene. Terminata la macerazione, filtriamo e imbottigliamo in bottigliette scure. Se l’oleolito è stato ben fatto, avrà un piacevole aroma di Rosmarino e un colore tendente al verde oliva. Oltre che impiegarlo per massaggi, lo potremo anche usare in cucina per aromatizzare i nostri piatti. Il nostro protagonista è una pianta facile da coltivare, perché non ha particolari esigenze: ha bisogno di luce e di essere riparato dai venti freddi e dalle gelate: nelle campagne, infatti, viene sempre messo vicino ai muri delle case, avendo cura di esporlo a Sud e di ripararlo a Nord. Non necessita di essere annaffiato, anzi a volte si ammala di micosi a seguito di annaffiature troppo premurose, a meno che non sia in vaso e allora ogni tanto bisogna incrementare le riserve d’acqua. A volte capita di trovare, specialmente nei vivai, rosmarini con differenti aromi: si tratta di chemotipi differenti, cioè di varietà di Rosmarino caratterizzate da una composizione diversa dei principi attivi che compongono il fito-complesso. A seconda della composizione possono essere: canfora, caratterizzato da una predominanza canforata; cineolo dalle note balsamiche; verbenone dall’aroma fresco e mentato. Ideale il suo uso dall’autunno, ma a dire il vero... tutto l’anno!

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dell’etrusco

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NOVEMBRE

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HISTORIE

A margine della mostra ai Fienili del Campiaro aperta fino al 5 novembre riscopriamo uno scritto giovanile di Francesco Arcangeli

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Giorgio Morandi Bologna 1890 - 1964 Le tre case del Campiaro a Grizzana, 1929

Arcangeli intimo È ancora possibile visitare l’interessante mostra ‘Grizzana, Morandi, Arcangeli cinquant’anni dopo’ Arte in Appennino da Lorenzo Monaco a Luigi Ontani, curata da Angelo Mazza e Anna Stanzani, che ha come cornice i Fienili del Campiaro a Grizzana Morandi. Sfogliando un volume de Il Carrobbio, abbiamo ritrovato alcuni scritti inediti di Francesco e Gaetano Arcangeli, messi a disposizione dalla sorella Biancarosa. Il collegamento è stato immediato e abbiamo deciso di condividere uno di questi testi, come contributo di conoscenza e approfondimento a disposizione dei Soci del Circolo Etrusco e di quanti avranno occasione di sfogliare questa pubblicazione. Un testo estremamente piacevole e che rivela tratti intimi della personalità di questo importante studioso dell’arte, ma anche amante e osservatore della sua città che possono ancor meglio inquadrarne la personalità. E per chi ha avuto la fortuna di conoscerlo alimentare un ricordo incancellabile.

Tra le molte pagine inedite di mio fratello scelgo queste perché mi paiono rispondenti alla richiesta di una ambientazione bolognese. [...] Mi pare che in queste pagine giovanili di Francesco si possa riconoscere il germe della sua concezione arte-vita, di quella radice, di quel «tramando» che troverà la sua ultima risoluzione nella mostra del 1970 «Natura ed espressione nell’arte bologneseemiliana». [...] Bianca Arcangeli dalla presentazione degli scritti di Francesco e Gaetano Arcangeli pubblicati su Il Carrobbio - anno 1, 1975, edizioni Luigi Parma, Bologna


Questa sera l’aria è densa, le stelle si confondono lievemente, si spremono sul cielo in cui una tenebra lattiginosa si è dilatata. Oltre i muri delle caserme sona lento il silenzio, e le note antiche passano sul fiato già sonnolento dei soldati. Un’altra estate è incominciata. Ricordo una nobile stagione, un’estate sospesa in un sudario di nubi pallide, dorate: banchi di cielo che parevano fermare le speranze e le fantasie ai loro confini. Pareva di ricevere l’anima sugli occhi, incantati a guardare quel velo fresco che metteva un umidore marino nell’aria di agosto. Ero solo nella mia città, e tentavo talvolta di trascrivere per i miei fratelli, che stavano al mare, qualche cosa di quel tempo amoroso. Molto non ne passava; per me era dolce anche il chiuso delle biblioteche dove andavo per studiare; dalle sale di lettura, chino sui banchi offuscati, sulla polvere erudita, ascoltavo piogge benigne. All’uscita, quasi sempre un sole tardo

FRANCESCO ARCANGELI nacque a Bologna, il lO luglio 1915. Si laureò in Storia dell’Arte nel 1937, sostenendo la tesi su Jacopo di Paolo con Roberto Longhi, del quale fu poi per anni assistente. Dal 1943 al ‘45 fu ispettore incaricato presso la Sovrintendenza alle Gallerie di Bologna, Ferrara, Forlì Ravenna contribuendo al salvataggio del patrimonio artistico di quelle province dai rischi bellici. Dal 1958 diresse la Galleria d’Arte Moderna del Comune di Bologna, che riordinò e accrebbe con acquisti lungimiranti. Dal 1967 fu docente di Storia dell’Arte medioevale e moderna alla Università di Bologna e direttore di quell’Istituto. Studioso d’arte antica e moderna, oltreché critico attivamente militante, ebbe un ruolo di rilievo nella organizzazione di molte fra le grandi mostre antiche e moderne della regione, illustrandole con penetranti saggi critici. Di un suo primo avviamento alle lettere son rimaste parecchie prose pubblicate su «La Ruota», «Meridiani », «Il Costume», «Il Caffè», e una raccolta di versi «Polvere del tempo» (Vallecchi 1943), che fu segnalata al Premio Libera Stampa nel 1947, e qualche traccia forse rimane nel suo lavoro di storico e critico d’arte. I suoi interessi storico artistici si volsero soprattutto all’indagine delle correnti naturalistiche e «informali» dell’arte moderna e all’approfondimento di problemi particolarmente dell’arte antica bolognese del ‘300 e del ‘600. Nel 1948 ottenne il premio della critica della Biennale di Venezia, con il saggio «Gli impressionisti a Venezia ». Il saggio critico che prelude alla Mostra «Natura ed espressione nell’arte bolognese- emiliana », che egli stesso curò nel 1970, rappresenta il punto di arrivo del suo cammino sentimentale e critico. Il 14 febbraio 1974 un infarto chiuse la sua esistenza.

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Francesco Arcangeli in una foto del 1941

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mi accoglieva; l’aria s’arrossava appena, ma senza il fuoco delle estati più torride, e le rondini svegliavano un’eco di primavera fra le torri di Bologna. Sotto un cielo sonoro, pieno di voci che parlavano al cuore, nasceva la mia solitaria felicità. Era un tempo che avevo molto da ricordare e una candida incertezza da conservare per il futuro. Avevo i miei luoghi preferiti, le mie stazioni a cui vincolavo naturalmente il senso libero di quella estate. Un legame confidenziale mi attirava qualche volta davanti al San Rocco di Lodovico Carracci, in San Giacomo. Allora il martire gigante intavolava per me la sua orazione meditativa, malinconica, e alzava con lentezza gli occhi. Mostrava la piaga sulla coscia enorme, fuor del mantello di un viola spento, notturno; con i suoi ricci nobilmente selvatici macchiava il cielo molle e addensato di nubi, su cui la sua grande mano buttava l’ombra. Gli stava accucciato accanto un cane pezzato di bianco e di nero, placido come un bove. L’orazione si alzava contro un paese su cui il velo d’uno scirocco tempestoso lasciava un brandello appassionato di luce agli orli. Di un altro quadro amavo solo un brano: andavo a San Domenico, a guardare la pala del Tìarini con il miracolo del bambino. Non mi fermavo a considerare quella triste guarigione, cui partecipavano, sotto un nudo colonnato dorico, involte in panni spessi, figure dagli occhi grossi, di febbricitanti. Amavo soltanto lo squarcio di cielo che appariva tra le case di un colore bruciato: era azzurro, di un’opaca beatitudine serale, senza un riflesso di giorno, senza un presentimento di notte. Un cielo da ‘sabato del villaggio’. Sotto immaginavo il suono velato dell’ultimo gioco di bimbi, nella piazzetta

monacale del primo seicento. In una stagione così soavemente estenuata quei segni gravi del passato mi davano confidenza col tempo. Rialzando gli occhi all’immagine vera di Bologna non ero più solo. Perfino il ricordo di una ragazza amata si allontanava con una lentezza angelica e familiare: mi figuravo di tessere sul suo volto che i giorni cominciavano a cancellare una ghirlanda fatta di quei ricordi; di quel viola notturno, di quell’azzurro opaco, di quell’oro migrante di nubi. A Bologna c’è una strada gitana; una lunga strada ciottolosa che soffoca contro la collina verde cupa. A guardarla da monte si va spianando come un torrente, inalveata fra una grande muraglia e una fila oscillante di case irregolari, zingaresche. Io la frequentavo a tarda sera e nelle prime ore di notte. A sera, un po’ prima di cena, cadeva in una strana pace. Le osterie numerose non vociavano più, brusivano appena: sotto il portico ondeggiante non c’era quasi più nessuno e, se passavi, da finestre aperte ma come strozzate, dietro tende grosse e bianche, impermeabili ai sudori dell’estate, i suoni degli interni eran tranquilli, impassibili. Avevano in sè l’indifferenza non misurabile di una vita che non spera e non teme più nulla: persone che parevan conoscere troppo bene sè e gli altri. Il dialetto era come il segno d’una saggezza suprema: il disamore rasserenato suonava nelle voci logore. In quella strada, per un pezzo non vidi ragazze; qualcuna soltanto ne ascoltai parlare negli anditi opachi. Mentre la vita s’aggrappava sommessamente alle case, come a un alveare, la strada rimaneva deserta.


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Lodovico Carracci - San Rocco (Bologna, S. Giacomo Maggiore) A monte borbottava una fontanella, e la si sentiva dall’altro capo della via. La grande muraglia, allora, cresceva di statura, diventava una parete di monte; ma, così enorme, era come offesa e intristita da una vita che non era quella della natura. Una lebbra solenne, di umanità sfinita, la macchiava. I fori che la percorrevano diventavan parlanti come sfiatatoi di celle segrete, e gli infissi scuri vi si annerivano come per una impiccagione. Sotto, nella strada, finivano tristemente i resti della vita d’ogni giorno: qualche seggiola impagliata agonizzava sui ciottoli, là dove le vecchie, onnipresenti e signore della contrada, avevano consumato tranquillamente,

lavorando e parlando, un’altra misura del cammino che le portava alla morte. Allora, contro le prime stelle, si udiva nel silenzio incupito, come in un gorgo remoto, lo strido altissimo, immobile delle rondini di luglio. Ripassavo alla prima notte. Era l’ora viva del portico; l’ora delle osterie. Il caldo era cresciuto e spremeva il sudore dai corpi. Buttavo la giacca attraversata sulla spalla, facevo il passo pesante, e qualche volta mi provavo a fischiare le vecchie canzoni della malavita bolognese; ma nessuno rispondeva. Le fioriture malate e grandiose d’un canto di amore non trovavano eco.


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Del resto, il portico mi era ostile. Non ho mai pensato ad entrare in alcuna di quelle osterie, dove gli uomini giocavano la partita ed erano spalleggiati da donne, vecchie o anziane, dalle voci roche. Se qualcuno era seduto su di una seggiola, accanto ai pilastri bassi, mi guardava con sospetto; e, nei tratti bui, la vita del portico si gonfiava come di punte molli e cieche. Ogni andito era in agguato, e mi spiava. Il mio amore oscuro cedeva, dopo un tratto, alla delusione, rinnovata ogni notte. Allora cercavo uno scampo verso i viali della circonvallazione che non erano molto lontani. Alla luce polverosa dei fanali, sotto i platani che incanutivano al riverbero, sulle panchine povere, incontravo, confuso e rilassato dalla stagione, un popolo meno segreto, più dolce e abbandonato. Intorno ai chioschetti delle bibite c’era sempre folla. Gli uomini assorbivano bevande cupe e dolciastre; i gelati ruotavano dentro ai tamarindi neri; spumava bianca la magnesia, la regina popolare dei dissetanti. E poi, a tratti, dal folto si staccava qualche ragazza appoggiata alla madre. Io le guardavo, e cercavo il senso della loro vita. Erano brune, avevano l’occhio febbricitante e deluso: se non la mente, il loro sangue sentiva l’angustia del vivere. Si appoggiavano alle madri; si fermavano davanti agli assiti che portavano le fotografie


di qualche cinema. Si accontentavano di sognare senza mostrarlo. Io, dal mio canto, mi accontentavo di adorarle in silenzio. Non le ho mai cercate; sapevo che non avrei portato felicità, e che non mi appartenevano. Io non ero più popolo, e non potevo che guardarle. Non le avrei mai contese ai loro uguali in oscuri scontenti: agli operai, ai meccanici in tuta, dai capelli lisci sotto la striscia tesa di latta. Ma la loro bellezza! Chi ne saprà dire qualche cosa, veramente? Tante erano e sono, di traccia così antica, che le facili qualifiche di piacevolezza, di procacità, di eleganza vistosa non le sfiorano nemmeno: quelle che toccano, di solito, alle donne della mia città. Vadano per le piccole bolognesi che verso sera affollano le passeggiate del centro: forse appartengono a un altro sangue, mescolato, facile a confondersi con la bellezza mutevole delle borghesi. Ma quelle delle strade che amo! Se avrete l’animo di soffermarvi alla soglia di certe osterie, potrete veder conversare lentamente, con i suoi compari, qualche dea famigliare e accogliente in veste di ostessa. Brune e altere, ma dolcemente, di pelle pallida e talvolta perlata, di corpi grandi e gravi, ma senza peso, le potrete aureolare, attribuirle di sfondi di nubi dorate e argentine, e torneranno senza fatica ai loro empirei da cui i secoli le hanno distaccate giorno per giorno: Immacolate di Guido, Annunciate dell’Albani. Guardano fermamente e poi si volgono, appena arrossite. Non presumono troppo, né troppo poco, di sé e dei loro corpi. (Una volta, ma fu eccezione sublime, vidi la Muta di Raffaello rinata sotto i panni di una fantesca malinconica). Mi hanno insegnato, anche, qualche cosa della vita. Una di loro, in una notte greve d’agosto, sulle panche ancor umide di pioggia recente di un cinema all’aperto, teneva in braccio il suo bambino. Non volse mai gli occhi allo schermo: era venuta lì come a un prato di periferia; guardava e baciava soltanto il suo bambino. Negli occhi aveva come un dolce stupore, quasi una sacra avidità per il respiro della sua creatura: i capelli neri, pesanti e raccolti le chiudevano il volto; antico, anche questo, come una remota immagine della maternità. Adoravo la loro vita, senza saperne nulla. Talvolta andavo a stendermi su un grande spazio erboso, dove avrebbero costruito, a una porta della città. Là, nella notte estiva, famiglie e coppie bivaccavano: non ascoltavo le loro parole, ma tendevo l’orecchio e l’animo al rumore della loro esistenza. Il terreno screpolava sotto il calore arido. Il vento faceva impazzire le cartacce abbandonate e infuriava nei capelli. Era un vento africano, e al fiato fitto e grave le stelle si alonavano enormi, si fondevano coi lumi delle ville assiepate sui colli. Le lampade dei viali si mettevano a ballare come pendoli

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Sperticano SABATO 3 DICEMBRE ORE 17 SALA INCONTRI

CIRCOLO ETRUSCO VIA SPERTICANO 42

MATTEO PREMI

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INCONTRI CON L’AUTORE

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Aveva fretta di vedere cosa c’era ad aspettarlo e dopo sole 25 settimane di gestazione ha provato a scappar fuori... ma si sà, non è così semplice ed è stato dichiarato morto tre volte. Ma sempre ce l’ha fatta... non è uno che si arrende facilmente! Così è arrivato alla maturità classica, poi alla facoltà di Scienze della cultura senza dimenticare, nel frattempo, di disputare anche match di hockey. Nonostante la grave tetraparesi spastica, Matteo Premi 22 anni, da Castelfranco, è un vincente che ha affidato la sua autobiografia, scritta a quattro mani con Maria Chiara Oltolini, a un volume che già nel titolo la dice lunga: “Sulle ruote me la rido” (ed. San Paolo). Un libro a pieno titolo didattico, perché Matteo è stato in grado di insegnare l’amore per la vita ai compagni di classe “abili” che, insieme a lui, hanno formato una squadra di hockey su sedia a rotelle. ‘La nostra famiglia ha dovuto affrontare molte difficoltà – dice Silvia, mamma di Matteo – non per questo, però ci arrendiamo. E molte volte ci ha aiutato uno sguardo ironico nell’affrontare i problemi, il medesimo che attraversa molta parte del libro’. I problemi di motricità limitano la possibilità di parola di Matteo ma non significa che non sappia esprimersi tanto da aver fatto capire agli insegnanti che riusciva a studiare, fino a diplomarsi al liceo classico. Adesso è arrivato all’Università dove mantiene un buon rullino di marcia nel dare esami. E intanto continua a giocare a hockey su sedie a rotelle. La sua naturale capacità di coinvolgere gli altri ha portato il migliore amico di Matteo a chiedersi, un giorno, se fosse stato possibile che i suoi compgni potessero giocare al suo sport preferito con le sue stesse modalità. Ovvero, perché non sedersi sulla sedia a rotelle e giocare come Matteo. Così, grazie all’impegno di una docente è stato possibile dare vita a una squadra di hockey a rotelle... quelle delle sedie. Con la partnership di Ottobock e sono state disputate partite di hockey con ragazzi “abili” seduti come Matteo. Matteo presenterà il libro sabato 28 ottobre alle ore 18 al Circolo etrusco, in via Sperticano 42.


dissennati. Presto, sembrava d’essere ubbriachi. Allora, una ragazzina confidava la sua vita alle parole e ai motivi usati d’una canzone di moda: la voce era dolente, e turbava. Il fiato di Bologna, nella notte tarda di luglio, sotto la minaccia di un bombardamento, è solenne e come corrotto. Un libeccio fermo, gravissimo, soffoca. La luna intristisce sulle masse tacite dei palazzi, accanto alle loro ombre sfuocate dal calore. Qualche viaggiatore perduto si interna, e passa nero; ma i passi sono svogliati, come se si portasse nella valigia un pronto disperato destino. Qui nei pressi della stazione gli asfalti sono morti e densi, e qualche rado bivacco, qualche gruppetto rompe il silenzio, talvolta, al riso pesante d’una prostituta. Anch’io cammino, stanco, verso la mia casa. Quando la luna si libera, le ombre si fanno più nere, le architetture si disegnano più nette. Nell’ora di notte anche questa parte nuova, o appena invecchiata della mia città si fa antica c venerabile. I palazzi che di giorno l’occhio ha logorati con l’abitudine, accettandone con indifferenza la mancanza di carattere; questo gotico, questo rinascimento, questa controriforma fiaccamente procurati dagli architetti scorati di pochi decenni or sono, adesso son poetici come mai. La traccia usata commuove come la prova originaria; è la testimonianza di una civiltà che accetta di agonizzare lentamente, timorosa di tradirsi. Anch’io, forse, sono un po’ come queste case: pieno d’incultura, ma nutrito di storia. Non si può essere del tutto nuovi, qui. L’ombra d’un portico di via Galliera, d’una casa che conosco, mi turba soltanto perchè ricordo il colore rosso stinto, sotto il sole, dell’intonaco che fu recente ai tempi della dominazione pontificia. Un nobile colore che può trasfigurare anche la piccola storia dell’800 papale. Sulla terrazza di questa casa ho giocato a lungo, bambino, con i figli di una famiglia borghese; borghesia maturata, universitaria, con qualche tradizione. lo non ho tradizioni. I miei nonni non

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CENA CONCERTO

POSTI LIMITATI

7/10 DICEMBRE ORE 20,00

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PER PRENOTARE 051 932648

poiché la cena è a numero chiuso si prega di non prenotare se non si ha la certezza di essere presenti, per non togliere il posto ad altri L’ E T R U S CO S E D E D E L C I R CO LO V I A S P E RT I CA N O 4 2


so più chi erano, se non a fatica, per qualche ricordo imprestato. Ma, fin dai primi anni di ragione, ho incontrato sulla mia strada la storia d’Italia; non la conosco che malamente, ma sento, so che cos’è. Me ne sono abbeverato a tratti irregolari, quasi di malavoglia, ma inevitabilmente. Sono della parrocchia di cui fu cavaliere Vitale da Bologna, dove nacque Lodovico Carracci. Eppure, è una storia che ho conosciuta inevitabilmente, ma anche spontaneamente; non è un legame di sangue, è un legame della mia mente. Forse, per me è amaro; ma agli altri non cercherò mai di darne l’amarezza; soltanto quello che di vivo porta in sè. Credo, anche, che questo amore non sia provincia. So commuovermi anche ai fatti diversi e sublimi, e può essere che li comprenda. Ma non rinnegherò mai, neppure, il senso della mia città: qui sento battere i ‘menomi polsi’ della civiltà del mondo. Ora, pare che tutto questo possa finire. La vita del mondo cammina implacabilmente, e distrugge. Forse stanno nascendo, o sono già nati, o vivono, i giovani che avranno pensieri terribilmente nuovi. Queste possibilità previste mi interessano, enormemente, ma non mi toccano. Ho i miei maestri, morti e vivi: non li ho sempre seguiti con entusiasmo, ma non ho mai pensato di tradirli; e non li tradirò. Sembra una cosegna, ma è una scelta: è il mio modo lento, irregolare di scegliere; ma è umano, appartiene alla vita. La luna splende ancora e il fiato di Bologna è sempre più grave. Cammino fra queste case che conosco, fra queste pietre che ho popolato con le larve della mia fantasia, a cui ho appoggiato i miei ricordi. Tra le seggiole di vimini accatastate davanti ai caffè qualcuno parla tranquillo; attraversati sulle porte, i custodi degli alberghi dormono rovesciati sulle poltrone. Una coppia è ferma in una grande piazza, fuori dai baraccamenti di un luna-park assopito. Queste inutili sentinelle incoraggiano a continuare. Entro nella mia casa come in una tomba. È calda, chiusa, solitaria. Sono stanco, ma ben deciso. Francesco Arcangeli - luglio 1943 Tratto da Il Carrobbio - anno 1, 1975, edizioni Luigi Parma, Bologna

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Uno straordinario gruppo di protagonisti della cultura italiana: Francesco Arcangeli, al centro alle spalle del poeta Attilio Bertolucci (seduto), e da sinistra Maurizio Calvesi, storico dell’arte, critico d’arte e saggista, lo scrittore e critico d’arte Roberto Tassi, il giovane Bernardo Bertolucci (futuro registasceneggiatore-produttore) e il regista-scenografo Giuseppe Bertolucci nel pressi di Modena, 1962. Foto dell’Archivio Calvesi-Monferini, Roma


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È GRADITA LA PRENOTAZIONE

TUTTI I VENERDÌ

PER PRENOTARE 051 932648

poiché la cena è a numero chiuso si prega di non prenotare se non si ha la certezza di essere presenti, per non togliere il posto ad altri L’ E T R U S CO S E D E D E L C I R CO LO V I A S P E RT I CA N O 4 2


Rotolini di zucchine al paté di melanzane e salsa di fichi d’india •  2 belle zucchine verdi di tipo scuro •  2 belle melanzane globose (quelle rotonde) •  1 avocado •  2 fichi d’India maturi •  qualche foglia di basilico •  un paio di foglioline di menta •  10 cucchiai di olio extra vergine di oliva •  1 cucchiaio di aceto balsamico •  1 cucchiaino di senape classica •  1 cucchiaio di salsa di soia (o shoyu) •  sale fino marino integrale q.b. •  la buccia grattugiata di un limone •  il succo di 1/2 limone •  1 cucchiaino di zenzero tritato fresco

Ingredienti per 5 persone

Procedimento Affettare le zucchine molto sottili nel senso della lunghezza e porle in una teglia sopra la carta da forno, a gruppi di 3 fette, sistemandole parallele e sovrapponendo il bordo di ogni fetta con quello della fetta accanto, formando delle ‘sfogliette’ di zucchine. Cuocerle in forno già caldo a 170° per 5 minuti circa. Poi, estrarle e farle raffreddare. Tagliare a metà le melanzane e praticare dei tagli nella polpa, condirle con un po’ di sale e olio, metterle in una terrina e cuocerle in forno già caldo a 180° per almeno 35 minuti. Appena pronte, togliere la polpa, metterla in una terrina, unirvi la polpa tritata di un avocado, bagnare con il succo del limone; condire con sale fino, olio, basilico e menta tritata. Amalgamare bene il tutto. Farcire le ‘sfoglie’ di zucchine con la farcia di melanzane e avocado, arrotolarle e sistemare i rotoli su un piatto di portata. Sbucciare i fichi d’India e passare la polpa con un setaccio fine (o un colino) per eliminare i semi rimasti; condire la polpa con olio, aceto balsamico, salsa di soia, senape, zenzero e buccia grattugiata di limone. Servire i rotoli di zucchine, accompagnati dalla salsa di fichi d’India.

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UNA INTERA GIORNATA DEDICATA A QUESTO PROTAGONISTA DELLA TAVOLA

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Dal volume ‘Alta e Media Valle del Reno - Itinerari nell’Appennino bolognese’ una proposta di percorso e un invito alla visita per i Soci del Circolo Etrusco e per tutti

Le colline degli Etruschi

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Marzabotto

Là dove inizia la media valle, un itinerario sul versante sinistro del Reno, fra panorami, borghi medievali e piccoli castelli testimoni di un passato di ribellione, quando, per oltre cinquant’anni i conti di Panico tennero testa all’espansione di Bologna. Antiche chiese, piccoli oratori, borgate ormai quasi abbandonate a beneficio del piano fluviale, dove anche gli etruschi fondarono la fiorente città di Misa, di cui rimangono straordinarie testimonianze nell’area archeologica e nel Museo Aria. La storia recente rende invece omaggio alle sue vittime nel Sacrario di Marzabotto, comune martire del secondo conflitto mondiale.

L’itinerario prevede due varianti: – PERCORSO SU STRADA – PERCORSO MISTO per camminatori in 3 tappe Per i Soci del Circolo Etrusco è possibile pernottare presso gli spazi a disposizione usufruendo anche del servizio di trasporto da e per i punti di arrivo e partenza delle 3 tappe per camminatori


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PERCORSO SU STRADA Da Luminasio a Medelana Provenendo da Bologna sulla statale 64 Porrettana, in prossimità dell‘abitato della Lama di Reno, si entra nel territorio comunale di Marzabotto, un’area dove vive e intense sono le memorie storiche sia antiche che recenti. Poco prima di giungere al capoluogo, in prossimità della zona industriale posta sulla sinistra, a destra s’imbocca la panoramica via Medelana, lungo la quale si può in breve raggiungere Luminasio, toccando interessanti borghi medievali ben conservati, quali Ca’ Zanetti, Rio (con una

bella torre cinquecentesca), La Costa e Frascarolo. Proseguendo da Luminasio si giunge a Medelana, ed in particolare al cosiddetto Casamento, un nucleo di case con torre di origine cinquecentesca ma ampliato e molto rimaneggiato a fine Ottocento.

In alto Luminasio, iscrizione sulla porta di Cà de’ Zanetti (1971) foto Fantini da Sotto Luminasio, antico borghetto di Frascarolo (7 marzo 1950) foto Fantini da

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Marzabotto e la città etrusca Riguadagnata la Porrettana, ben presto appaiono le case del capoluogo di Marzabotto, adagiato ai lati della strada. Comune recente (fu istituito solo nel 1882), risentì delle distruzioni della Seconda guerra mondiale (è decorato di Medaglia d’oro al Valor militare), come nel caso della parrocchiale dei Santi Giuseppe e Carlo, ricostruita nel dopoguerra e che ospita nella cripta il Sacrario di Marzabotto, il tempio-ossario dove riposano le vittime della guerra e dell‘eccidio di Monte Sole, inaugurato nel 1961 e accessibile dalla piazza principale del paese (visite tutti i giorni, escluso lunedì). Di forme moderne è anche il Municipio che vede, nella piazza antistante, il Monumento alla Resistenza di Nicola Zamboni. MIRABILI TESTIMONIANZE Inaugurato nel 1949, ampliato nel ‘58 e poi ancora nel 79, il Museo aie etrusco “Pompeo Aria” (intitolato al conte che fu il primo organizzatore della collezione) ha sede presso l’area archeologica del Pian di Misano e raccoglie i materiali rinvenuti nelle varie campagne di scavo susseguitesi dall’Ottocento in poi. Una ricca ed efficace esposizione permette di farsi un’idea della città etrusca e delle attività che vi si svolgevano, sia economiche che religiose. Sono esposti numerosi reperti, dalla celebre testa di “kouros” ai ricchi corredi delle necropoli, dalle statuette votive alle terrecotte architettoniche fino agli utensili di uso quotidiano. tel. 051.932353 - lunedì chiusura totale visite: martedì, mercoledì, giovedì 9-16; venerdì, sabato e domenica 10,30 -17,30)


A monte del capoluogo, ben presto si giunge al luogo dove, tra il VI e il V secolo a.c., abitarono gli etruschi, in una florida e importante città di 4.000 abitanti posta in un’area di 18 ettari sul Pian di Misano, da cui deriva il nome convenzionale di “Misa”. Una città produttiva a vocazione metallurgica, che si usa considerare come collegamento tra il porto commerciale di Spina, Felsina (l‘attuale Bologna) e l’Etruria tirrenica. Oggi, di tutto ciò rimangono mirabili testimonianze (scoperte a partire dal 1831) nell’area archeologica distribuita a destra e a sinistra della statale, una delle più belle e straordinarie della civiltà etrusca. A occidente l’acropoli (all’interno del parco della seicentesca Villa Aria), costituita da quattro edifici sacri, a oriente l’insediamento abitativo vero e proprio con un reticolo di strade che disegna un impianto urbanistico ancora oggi ben leggibile, con abitazioni, botteghe artigiane e, alle estremità est e nord, due grandi sepolcreti. Tutti i preziosi reperti rinvenuti nelle campagne di scavo sono conservati all’interno del Museo nazionale Etrusco “Pompeo Aria” ospitato presso la stessa area archeologica (vedi box).

INDOMABILI GHIBELLINI Per tre secoli i Panico furono i più potenti feudatari dell’Appennino bolognese, nemici giurati di Bologna, in particolare da quando il libero Comune cacciò i nobili reggenti la città e cominciò ad espandersi verso la montagna. Nel XIV secolo i conti di Panico coagularono attorno a sé le forze della nobiltà montana ghibellina che si contrapponevano alle forze popolari guelfe di Bologna. Dai Panico fu condotto un aspro conflitto che vide spesso episodi sanguinosi, come nel 1306, quando il loro castello, posto sulla riva sinistra del Reno, fu completamente distrutto. Solo sul finire del secolo, dopo oltre cinquant’anni di lotte, i Panico furono definitivamente sconfitti con la decapitazione a Bologna nel 1389, del conte Ugolino, reo di aver fatto parte di una congiura per impadronirsi della città.

L’ E T R U S CO In alto Luminasio, iscrizione sulla porta di Cà de’ Zanetti (1971) foto Fantini da Sotto Luminasio, antico borghetto di Frascarolo (7 marzo 1950) foto Fantini da

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PERCORSI

Da Montasico a Malfolle Proseguendo sulla statale, poco più avanti è l’abitato di Pian di Venola, da cui, imboccando a destra la provinciale del torrente Venola, si può raggiungere Montasico, col suo pregevole castello restaurato, ancora testimone della potenza dei signori di Panico (vedi box), e la chiesa di San Michele, del XVI-XVII secolo. Da qui, volendo percorrere la stradina comunale che conduce a Venola, nella località detta il Caricatore, è il piccolo oratorio di S. Lucia. Avanti ancora sulla Porrettana si tocca Sibano, da cui si può deviare a destra verso il borgo di Malfolle, con belle testimonianze medievali quali la Torre delle Lame, la trecentesca chiesa parrocchiale dedicata a S. Maria Assunta, Ca’ Bruni e l’oratorio di San Nicolò di Bezzano, con interessanti affreschi quattrocenteschi. Da segnalare il fatto che da quassù si gode uno dei più bei panorami della vallata, con vista su Monte Sole e su tutto il versante destro del Reno, tutelato come area protetta.

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Sopra Montasico, il portale d’ingresso al castello con la caratteristica soprastante bertesca (giugno 1966) foto Fantini, cit. A sinistra Malfolle, abside dell’oratorio di S. Nicolò di Bezzano (1950) foto Fantini, cit.


PERCORSO MISTO per camminatori In 3 tappe

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1A - Medelana e Luminasio

CAI 144 che, salendo nel bosco verso Poggio Calvane, incrocia diversi sentieri fatti dagli animali e bisogna Dalla stazione ferroviaria di quindi fare attenzione a non Lama di Reno si raggiunge confondersi. Giunti al Poggio e si attraversa la Porrettana per trovare i segnavia bianco- si segue il sentiero a sinistra per Medelana e Luminasio, rossi del sentiero CAI 144 che apre vasti panorami per Monazzo, Ca’ Nova e sul crinale delle Lagune. Iano. Percorsa la via fra le S’incontrano poi castagneti case si segue la rotabile che recintati e qui teniamo la sale ripida a sinistra. Dopo sinistra costeggiando la due tornanti si abbandona recinzione in località Poggio. la strada per il sentiero che I! castello di Medelana appare sale in un bosco termofilo in lontananza e merita lasciare costeggiato da alti cipressi. momentaneamente il sentiero Giunti ad un naso di roccia per visitare il borgo medievale si segue il sentiero a sinistra. ed il Castello ottocentesco. In prossimità del crinale si aprono panorami sul territorio Ritornati sul sentiero (con tratti asfaltati), lo si percorre di Luminasio, riconoscibile in discesa passando in dalla chiesa rossastra che prossimità dei Campedelli. spicca sui calanchi. Monazzo Il sentiero si immette poi a appare circondato da un sinistra in uno più stretto e in boschetto di conifere, si costeggia l’abitazione a sinistra più punti poco riconoscibile. In breve si giunge a superare continuando a salire fino un fosso e qui si ricomincia a al deposito, dove si gira a salire alla volta di Luminasio, sinistra in una ripida rotabile malmessa. Poco oltre gli alberi borgo di origine medievale con belle costruzioni che costeggiano il sentiero ristrutturate. Giunti alla chiesa a destra, s’intravvedono le si segue la rotabile a destra belle costruzioni in pietra di Cerre. Qui il sentiero prosegue contrassegnata dal segnavia CAI 140A. Dolcemente la a sinistra in piano, poi una strada conduce all’antico ripida rampa conduce alla abitato di Ca’ degli Amadesi, Ca’ Nova. Prima dell’abitato, una bellissima costruzione a sinistra s’interseca il posta in luogo panoramico. sentiero CAI 144A; superate Il sentiero comincia a salire e le belle case si oltrepassa una dopo Casetto piega a sinistra catena e si segue il sentiero per discendere dopo poco

Sopra Luminasio, la torre con feritoie del borghetto ‘Il Rio’ (18 agosto 1940) foto Fantini da Sotto, Il castello di Medelana


verso il Molino Mazzagatti. Da qui si risale fino all’incrocio con il sentiero CAI 142 che noi seguiremo a sinistra, incrociando il percorso lB, a cui rimandiamo per una descrizione più dettagliata. Si passa dall’antico borgo del Caricatore, per raggiungere la vetta panoramica del monte d’Avigo, da cui si scende fra strade bianche e sentieri toccando Campo del Melo, Belvedere e Miana, fino a ritrovare la Porrettana all’ingresso dell’abitato di Marzabotto.

1B - MarzabottoMontasico-Pioppe Il sentiero s’imbocca all’ingresso di Marzabotto sul CAI 142 e si percorre una strada a faltata in forte salita verso la lottizzazione di Miana. Dopo averla attraversata tutta, si oltrepassa una strada bianca e si prosegue in salita a costeggiare un grande campo con tre ripetitori e un alto traliccio più avanti. Si giunge al Belvedere, graziosa casupola sopra a un cocuzzolo, dov’è d’obbligo fermarsi ad ammirare il panorama davvero unico: l’ansa del fiume Reno che ospitava la grande città etrusca, il moderno abitato di Marzabotto, la storica Villa Aria da una visuale inedita e, sullo sfondo, i calanchi e i monti Venere, Caprara e Sole, tristemente famosi per gli eccidi compiuti nel 1944. Si prosegue su una strada bianca per 5 minuti e poi si prende a destra. Dopo 200 metri, in prossimità di un deposito dell’acqua, si sale ancora a destra in maniera decisa fino a incontrare un bivio. Da qui si prosegue verso sinistra fino a trovare la strada asfaltata. Ancora a destra su strada bianca, fino a superare la località di Campo del Melo. Poco oltre, un altro dell’acqua ci segnala che siamo sul monte

Sotto, Luminasio, Càde’ Zanetti, particolare di una torretta (1950), foto Fantini, cit.

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Sotto, ontano, carpine e acero

1C -Da Pioppe al monte Radicchio L’avvio del percorso è dalla statale Porrettana a Pioppe, da cui si intraprende il sentiero CAI 138 (fino al borgo di Trebbo il percorso ricalca il precedente lB). Si percorrono circa 300 metri su trada asfaltata in direzione di Malfolle e si entra nel bosco a sinistra su una mulattiera e poi subito a destra. Poco dopo si giunge a Blagna, da cui si può ammirare il borgo di Sanguineda in lontananza. Incontriamo di nuovo la strada asfaltata e la attraversiamo, inoltrandoci prima in un campo e poi nel bosco, che percorriamo per circa 400 metri fino ad incrociare ancora l’asfalto in località Cavara. Da qui si prende a sinistra in direzione di Malfolle, ma

appena arrivati a Trebbo si svolta a destra su strada bianca. La campagna è gradevole e ricca di alberi da frutto e, volgendo lo sguardo a destra, si può ammirare la valle del torrente Venola. Dopo 400 metri si devia a sinistra e qui comincia il sentiero CAI 134A che si inerpica fra ontani, carpini e aceri. Qui siamo nell’area della Linea Gotica, fortificata dai tedeschi nel 1944 per fronteggiare l’avanzata alleata in Italia, e si notano piccoli anfratti usati come rifugi in quei mesi. Il sentiero è molto bello e ogni tanto sbuca dalle fronde il panorama della valle del Reno. Incrociamo poi il sentiero CAI 134 che ci accompagnerà fino all’arrivo. Ancora l0 minuti e siamo al cospetto del monte Radicchio: lo scenario è

suggestivo e isolato, e per questo sicuramente poco conosciuto. Ammiriamo un roccioso anfiteatro naturale, dove spuntano qua e là arbusti di vario colore. Il sentiero rimane in quota descrivendo questo semicerchio che percorriamo per circa un’ora, fino a quando si trasforma in strada bianca. Dopo circa l chilometro troviamo un campo e il sentiero sulla sinistra. Lo imbocchiamo e incominciamo gradatamente a scendere al bivio di Buda. Ci immettiamo nella strada bianca che ci accompagnerà fino alla Tabina, lungo la quale incontriamo i piccoli insediamenti di Buda di Sopra, Buda di Sotto, Rede e La Lastra. Altri 45 minuti di discesa e concludiamo il percorso, ritrovando la statale alla Tabina.


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