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Minotauro di F. Durrenmatt
from Cassandra 109
by cassandra
Il minotauro si sveglia, il minotauro si guarda intorno e vede una miriade di altri minotauri che lo guardano. Non ha la cognizione di ‘specchio’, ma la esperisce rapidamente. Lo colse una grande felicità per il suo isolamento forzato, che di isolato non aveva ormai nulla. In una comunità di suoi simili, è il DIO dei suoi simili, che, quasi non fossero specchi, sembra appaiano risentiti nel dover replicare esattamente le movenze dell’originale. Il minotauro danza per la gioia e a poco a poco comincia a gioire per la danza, e con lui tutti gli altri minotauri negli specchi. Si placa solo quando scorge una ragazza. Di colpo capì che esisteva qualcosa d’altro oltre ai minotauri. Il suo mondo si era raddoppiato. L’esperienza dell’alterità è analizzata in una prospettiva embriologica. La singola cellula dell’io ha cominciato a sdoppiarsi, appena il mondo conoscitivo del minotauro si è allargato. Quale destino per questa ingenua e trepidante morula, catapultata in un ostile utero di specchi destinato a essere per lei luogo di distruzione anziché di costruzione, di artificio anziché di natura, di morte anziché di vita, eppure, per lei, casa? Ed è forse proprio per fare gli onori all’ospite appena scorta, o per un’insaziabile curiosità infantile che il minotauro si lancia all’inseguimento della ragazza. Raggiuntala, ne saggia la carne, un’altra carne e comincia a danzare con lei. La potenza dell’immagine seguente mozza il fiato. Lui danzò la sua mostruosità, lei danzò la sua bellezza, lui danzò la sua gioia di averla trovata, lei danzò la sua paura d’essere stata trovata, lui danzò la sua redenzione, lei danzò il suo destino, lui danzò la sua cupidità, lei danzò la sua curiosità, lui danzò la sua attrazione, lei danzò la sua repulsione, lui danzò il suo penetrare, lei danzò il suo abbrancare. La dionisiaca forsennatezza della danza, sottolineata dall’accumulazione esasperata, si coniuga transitivamente con un oggetto definito come proprio (danzò il suo-la sua = tanzte seine), che il soggetto sublima attraverso la catarsi del movimento artistico. Dal punto di vista straniato del minotauro, si tratta veramente di fare l’amore, e chi legge ci crede. Ma lui non poteva capire che l’uccideva, perché non sapeva
cos’è vita e cos’è morte. Sembra intuirlo solo quando solleva al cielo il corpo inerte della ragazza, dopo averlo rivoltato invano, prorompendo in un dilaniante muggito cosmico, una specie di correlativo oggettivo del πάθει μάθος eschileo. Ho sofferto, quindi so(no). Viene Teseo, un essere che assomigliava alla ragazza ma la ragazza non era, constata deluso il minotauro, che comunque gli si fa incontro con benevolenza. Quando il ragazzo lo colpisce, il minotauro estrae la spada dal proprio petto stupito. Non possiede ancora la ‘categoria’ dell’odio. Era smarrito. Intuì soltanto che l’altro essere, quello che gli era balzato addosso e gli aveva ficcato qualcosa nel corpo, non lo amava, mentre prima tutti lo avevano amato, la ragazza, le ragazze, i minotauri, e allora divenne sospettoso. Ancora una volta, l’intuizione della conoscenza viene solo dopo che è troppo tardi. Il sospetto si tramuta rapido in odio, l’odio primigenio che cova in ogni animale contro l’uomo che lo sevizia. Schiumante dalle fauci, si accascia a terra: ora sono i ragazzi e le ragazze inviati come sacrificio a danzare attorno a lui, sempre più dissennati, ostruendogli la visuale degli specchi. Il minotauro è solo, abbandonato anche da quelli che crede amici, le migliaia di riflessi di minotauri sulle pareti. Si alza ed è una furia, le sue corna si macchiano di sangue nero e penetrano in un morbido mucchio di corpi bianchi. Gravemente ferito, prende a tirare spasmodici pugni contro uno specchio, colpevole di tradimento. Questi risponde con altrettanta foga, fino a che non va in frantumi. Ricoperto di sangue e pezzi di vetro, il minotauro a poco a poco comprese che si trovava davanti a se stesso. Grazie al suo intuire senza intendimento, un pensare da minotauro, percepisce però che non esistevano molti minotauri, ma un minotauro solo, nessuno prima di lui, nessuno dopo di lui e che il labirinto esisteva solo per una creatura come lui, che non sarebbe dovuta esistere. Crollato a terra, sviene per il troppo dolore. Destatosi, si accorge della presenza di un altro minotauro. Vero, questa volta, perché i gesti dei due non sono in perfetta e speculare sincronia. Mentre danzano l’amicizia fra minotauri, però, colui che si rivela essere Teseo si toglie la maschera da toro e pugnala alle spalle l’unico autentico minotauro, lasciandolo nella polvere, cadavere scuro. La storia del minotauro ripercorre tappe successive spesso battute dall’umanità: amore, odio, abbandono, solitudine, tradimento, morte. Il protagonista sembra tuttavia approcciarsi a ciascuna di esse, fase dopo fase, con un una prospettiva di gioiosa speranza nel prossimo ogni volta rinnovata, per quanto l’esperienza precedente lo possa aver dissuaso dal fidarsi. Si tratta di una vera e propria palingenesi dell’ingenuità, coerente con la sua condizione di infante, che però non lo salva dall’indifferenza e malvagità di un’umanità incapace di accoglierlo. Il bene, se c’è, siamo noi a soffocarlo: ed ecco che l’istinto vitale più genuino affoga in un mare di fioca cupezza.
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