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Uomo o bestia? Al di là della sportività
from Cassandra 109
by cassandra
Uomo: essere cosciente e responsabile dei propri atti, capace di distaccarsi dal mondo organico oggettivandolo e servendosene per i propri fini. Bestia: qualsiasi animale, spesso (in quanto simbolo della violenza, dell’ignoranza, della stupidità) contrapposto all’uomo. Si parla spesso di come dietro all’immagine di uno sportivo si nasconda in realtà un essere crudele, quasi bestiale, che compie azioni a svantaggio di chi è più debole e indifeso rispetto a lui. Ma se “il più debole”, “il più indifeso”, in questo caso, fosse proprio l’atleta stesso spinto dalla voglia di superare se stesso e gli altri? In tutti gli sport agonistici è sempre presente un po’ di competitività che brama alla prestazione migliore di tutte. Spesso questa competitività viene sottovalutata dall’atleta che, messo sotto pressione, punta al massimo per dimostrare a tutti di non avere limiti. Questa frase, “non esistono limiti”, a volte porta a una mancata accettazione del proprio essere e alla paura di non riuscire, di essere superato. Ci sono e ci saranno sempre limiti nello sport (così come nella vita), ma ognuno può porsi l’obiettivo di raggiungerli e superarli. Questo, tuttavia, è un lungo percorso che molti spesso non hanno tempo e voglia di intraprendere: a volte si cerca di aumentare le proprie capacità utilizzando metodi artificiali non del tutto corretti. È questo il caso del doping, ossia l’assunzione illecita di sostanze che alterano le prestazioni fisiche. Capita appunto che gli sportivi ricorrano all’utilizzo di tali sostanze per dimostrare di non avere limiti. Ma un uomo dopato è davvero privo di limiti? Questa è la domanda che tutti si
pongono spesso quando si tratta di questo argomento. Altrettanto spesso, però, questo dubbio non colpisce un atleta che decide di assumere stimolanti. La risposta si può leggere tra le righe della storia di tanti sportivi che, spinti dalla voglia di dare di più, hanno rovinato la propria vita per sempre. I dopanti, scientificamente, sono in grado di migliorare le prestazioni e oltrepassare i limiti fisici, che ostacolano durante una gara, ma il loro effetto è di breve durata: e nella vita? No, nella vita no. I dopanti infatti sono droghe sotto tutti gli effetti e dopo un uso compulsivo sorge l’incertezza di non riuscire a competere in una gara senza di essi. Di frequente gli sportivi non si rendono conto che dopandosi buttano al vento tutti i loro sforzi e allontanano ancor di più la libertà tanto ambita dai limiti: infatti, la dipendenza è tutto il contrario di libertà; una dipendenza limita in tutto e per tutto. Non crea solo ostacoli concreti, ma anche psicologici. Questa pratica, nonostante ciò, è in atto fin dall’antichità. È difatti noto che nell’antica Grecia, prima di competizioni importanti, si bevessero infusi di erbe “speciali”, le quali consentivano di portare al massimo le abilità. Al giorno d’oggi qualsiasi forma di doping è punita, per il rispetto verso sé e il proprio avversario: prima di una qualsiasi competizione sportiva agonistica vige un controllo antidoping. Stando dunque alla definizione sopra riportata, possiamo ancora definire che un uomo resti tale dopo l’assunzione di “magiche sostanze”? Dal mio punto di vista, un uomo dopato non è più cosciente delle sue azioni né responsabile dei propri atti, non si rende appunto conto delle scelte che lo portano alla rovina. Un uomo dopato non può più essere considerato uomo, ma, al contrario, bestia. Gli animali non sono cattivi, bensì esseri senza il pieno controllo di sé e facilmente regolabili da un qualsiasi essere superiore per forza o intelligenza. Così agisce il doping, al pari di un essere superiore che controlla la vita dello sportivo e piano piano la spegne. Pertanto, come disse Usain Bolt, “Come atleta devi sapere quello che vuoi, quanto tempo ci puoi mettere per diventare il migliore. Anch’io ho avuto le mie sconfitte, ma questo non mi ha fatto cercare scorciatoie. Sono rimasto pulito. Ci vuole tempo, devi lavorare di più. Questo è il nostro lavoro.”
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