Bruno Mondadori_Arte bene comune_Storia dell'arte scuola secondaria di 2° grado

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L’arte etrusca e romana

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ARTE BENE COMUNE

# riconversione La Centrale Montemartini, primo impianto termoelettrico pubblico di Roma, è uno straordinario esempio di archeologia industriale di inizio Novecento riconvertito in sede museale per ospitare importanti opere romane di età repubblicana e imperiale, parte della collezione dei Musei Capitolini. Il complesso riunisce così arte romana e storia di Roma, archeologia industriale e archeologia classica.


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scenario Il Seicento, un secolo di crisi e trasformazioni Il Seicento fu un secolo drammatico e conflittuale: la guerra dei Trent’anni (1618-48) insanguinò il continente, accompagnata da una grande epidemia di peste; la crisi economica impoverì le popolazioni nella seconda metà del secolo; dappertutto dominavano conflitti religiosi, intolleranza e conformismo. Al contempo, maturarono importanti elementi di modernità: lo sviluppo dei commerci segnò l’ascesa di nuove potenze, come l’Olanda e l’Inghilterra; lo stato moderno si rafforzò; si manifestarono innovazioni culturali di enorme importanza, come la rivoluzione scientifica e le prime teorizzazioni del liberalismo. La fine delle guerre di religione  La guerra dei Trent’anni fu la più sanguinosa mai combattuta in Europa (solo la prima guerra mondiale farà più vittime). Fu un conflitto politico-religioso: ma la sua conclusione, con la pace di Westfalia, sancì l’equilibrio fra le grandi potenze e la divisione religiosa dell’Europa fra potenze cattoliche e protestanti, ponendo fine alle guerre di religione che avevano insanguinato il continente nell’ultimo secolo. Il declino italiano Per l’Italia, il Seicento fu un’epoca di complessivo declino, legato a diversi fattori: la determinante influenza di una potenza, la Spagna, anch’essa in declino; lo spostamento delle grandi correnti di traffico commerciale dal Mediterraneo all’Atlantico e all’Oceano Indiano; il declino dell’artigianato, con spostamento degli investimenti e degli interessi delle classi dirigenti verso le campagne (ruralizzazione); la tendenza nel sud del paese alla rifeudalizzazione, con la crescita dei poteri locali. Il tutto aggravato dalle epidemie di peste che colpirono la penisola nel 1629-31 e nel 1652-57, che intaccarono gravemente il patrimonio economico e demografico degli stati italiani. Lo stato assoluto Nel corso del secolo si affermarono in alcuni paesi grandi europei (come

la Spagna, la Francia, l’impero asburgico) monarchie assolute, in cui il potere del sovrano era considerato legibus solutus, cioè libero da vincoli di legge, e si esercitava attraverso un’estesa burocrazia. L’assolutismo fu una fase importante nell’evoluzione dello stato moderno e nell’affermazione del potere centrale sui poteri locali di origine feudale. La nascita del pensiero liberale  Una parte del pensiero politico seicentesco teorizzò l’assolutismo, ma un’altra parte lo contestò, affermando che il potere politico ha origine da un patto liberamente stretto fra i cittadini (contrattualismo) e che, quindi, lo stato non può mai violare le libertà e i diritti individuali. Questa posizione, che segnò la nascita della grande corrente politica del liberalismo, trovò realizzazione in Inghilterra, dove fallì il tentativo del sovrano di imporre l’assolutismo. Due rivoluzioni, negli anni quaranta e nel 1688, trasformarono l’Inghilterra in una monarchia costituzionale, in cui cioè il potere del sovrano è limitato da una costituzione. La repressione culturale  Una pesante cappa oscurantista gravò sulla cultura europea, soprattutto là dove la Chiesa cattolica impose con maggiore forza la repressione controriformista. Due eventi simboleggiarono questa condi-

◾ Dida em hilla di blabor sam ut ea nis moluptatiam imaions enietur audant alias doloreh endam, videbist, quam, tecatib usaperum non eturios.


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CRONOLOGIA

L’Europa dopo la pace di Westfalia Carelia Regno di Regno di Svezia Norvegia Cristiania Stoccolma Ingria mare Impero russo del Nord Livonia Regno Mosca di Danimarca Regno d’Inghilterra

mar Baltico

Pomerania o urg nd eb a r B Paesi Westfalia Berlino Bassi Sassonia Palatinato Lorena Praga Parigi Boemia Franca Vienna contea Conf. Regno Austria svizzera di Francia Milano Rep. di Venezia Ro ssig ne Stato li o della chiesa Londra

Province Unite

Prussia

Al

sa

zia

oceano Atlantico

Copenaghen

Regno di Portogallo Madrid Lisbona

Regno di Spagna

Napoli

Cagliari

Palermo

Varsavia Regno di Polonia-Lituania Moldavia Transilvania Valacchia mar Nero

Impero ottomano Istanbul

Regno di Napoli

mar Mediterraneo

Brandeburgo-Prussia Possedimenti svedesi Asburgo d’Austria Asburgo di Spagna Confini dell’Impero germanico dopo la pace di Westfalia

OSSERVA ▶ La Txtpace di Westfalia (1648), che conclude la sanguinosa guerra dei Trent’anni, stabilisce una situazione di equilibrio tra le maggiori potenze europee, che durerà fino alla fine del Settecento. L’Italia è soggetta al dominio spagnolo nella parte meridionale, mentre al centro domina lo stato della Chiesa e il settentrione è diviso fra stati regionali, come Venezia, Milano, il Piemonte sabaudo e altri minori.

zione: nel 1600, la condanna al rogo del filosofo Giordano Bruno, per le sue teorie cosmologiche considerate eretiche; nel 1632-33, il processo che costrinse lo scienziato Galileo Galilei ad abiurare il suo eliocentrismo. Razionalismo e rivoluzione scientifica Nonostante il pesante clima culturale, il Seicento vide lo sviluppo del razionalismo, una posizione filosofica fondata sul primato della ragione umana, e dell’empirismo, che poneva l’esperienza alla base di ogni conoscenza. Soprattutto, fu il secolo della rivoluzione scientifica, che inaugurò un nuovo modo di indagine della realtà basato sull’esperienza e su un rigoroso metodo scientifico. Due opere, il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo (1632) di Galileo e i Principi matematici della filosofia naturale (1687) di Isaac Newton, segnarono l’irreversibile affermazione della nuova scienza. Nel corso del secolo si affermarono in alcuni paesi grandi europei (come la Spagna, la Francia,

1629-31 Peste nell’Italia del Nord. 1647-48 La rivolta di Masaniello a Napoli costituisce l’apice del malcontento contro il malgoverno spagnolo. 1648 La pace di Westfalia mette fine alla guerra dei Trent’anni. 1648 Prima rivoluzione inglese. 1652-57 Peste nell’Italia del Centro-Sud. 1661-1715 Il lungo regno di Luigi XIV costituisce il massimo esempio di assolutismo moderno. 1683 Massima espansione europea dell’Impero ottomano, che arriva ad assediare Vienna (ma viene respinto). 1688 Glorious revolution in Inghilterra. 1689 Con la Dichiarazione dei diritti nasce la monarchia costituzionale inglese.

l’impero asburgico) monarchie assolute, in cui il potere del sovrano era considerato legibus solutus, cioè libero da vincoli di legge, e si esercitava attraverso un’estesa burocrazia. L’assolutismo fu una fase importante nell’evoluzione dello stato moderno e nell’affermazione del potere centrale sui poteri locali di origine feudale.

1701-14 Guerra di successione spagnola.

La nascita del pensiero liberale  Una parte del pensiero politico seicentesco teorizzò l’assolutismo, ma un’altra parte lo contestò, affermando che il potere politico ha origine da un patto liberamente stretto fra i cittadini (contrattualismo) e che, quindi, lo stato non può mai violare le libertà e i diritti individuali. Questa posizione, che segnò la nascita della grande corrente politica del liberalismo, trovò realizzazione in Inghilterra, dove fallì il tentativo del sovrano di imporre l’assolutismo. Due rivoluzioni, negli anni quaranta e nel 1688, trasformarono l’Inghilterra in una monarchia costituzionale, in cui cioè il potere

1632 Pubblicazione del Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, in cui Galilei afferma la validità del sistema copernicano; l’anno seguente è costretto ad abiurare dal tribunale dell’Inquisizione.

1733-38 Guerra di successione polacca. 1740-48 Guerra di successione austriaca.


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anteprima Il secolo del barocco ■ Il termine “barocco”  Il Seicento è usualmente considerato il secolo del barocco, termine con il quale si indica un linguaggio, uno stile, un gusto che accomunò in quest’epoca le arti figurative, la letteratura, il teatro, l’architettura. Il termine “barocco”, coniato alla fine del Settecento, deriva forse dal portoghese barroco, che designava una perla dalla forma irregolare, o forse dalla denominazione filosofica di un sillogismo valido all’apparenza, ma in realtà ingannevole. In entrambi i casi, il termine cela il giudizio negativo che a lungo pesò su questo linguaggio, considerato artificioso, illogico, bizzarro, privo di rigore razionale. Giudizio ormai completamente abbandonato, poiché si riconosce nel barocco uno stile dai caratteri propri e dotato di grande forza espressiva.

■ Caratteri essenziali del barocco  Elementi fondamentali del linguaggio barocco sono:

dinamismo  il dinamismo delle forme, che accomuna le tre arti maggiori: in architettura gli edifici abbandonano le piante tradizionali a favore di soluzioni complesse e sorprendenti, le superfici murarie si fanno mosse; in pittura e in scultura l’interesse degli artisti è catturato dai temi dell’azione colta nel suo divenire, del mutamento, della metamorfosi;

virtuosismo   il virtuosismo formale e tecnico, che raggiunge altissimi livelli in pittura e in scultura;

illusionismo  la ricerca di effetti illusionistici, soprattutto legati alla rappresentazione dello spazio, capaci di destare in chi vede un sentimento di “meraviglia” (vero termine-chiave dell’estetica barocca);

pathos   il gusto per gli effetti scenografici e teatrali; il pathos e la drammatizzazione degli stati d’animo;

bel composto   lo sforzo di fondere i linguaggi artistici – pittura, scultura, architettura – in una sintesi unitaria, definita bel composto.

allegoria   La metafora e l’allegoria divengono gli strumenti stilistici e linguistici per veicolare un messaggio complesso e insieme profondamente radicato nelle esigenze del tempo. In un’età in cui la Chiesa della Controriforma è impegnata in un’intensa opera di promozione del cattolicesimo, l’arte barocca mira a coinvolgere emotivamente il fedele-spettatore, a persuaderlo, ad ammaestrarlo. Non a caso, fu la Roma dei papi il grande centro propulsore del barocco, divenendo per tutto il secolo la vera capitale europea dell’arte. Ma un’analoga finalità celebrativa veniva perseguita anche da principi e sovrani che facevano costruire e decorare i loro palazzi e le loro regge come una esibizione del loro potere assoluto.

■ Complessità delle esperienze artistiche seicentesche  Il barocco spicca nel panorama artistico seicentesco in quanto grande linguaggio internazionale, capace di superare confini e steccati di un’Europa divisa da profondi conflitti politici e ideologici. Ma l’arte del Seicento non si esaurisce nel barocco, troviamo infatti in questo secolo: ▪▪ il classicismo di Poussin in Francia; ▪▪ le sperimentazioni di realismo dei Carracci; ▪▪ le straordinarie e drammatiche interpretazioni della luce di Caravaggio; ▪▪ la straordinaria fioritura della pittura olandese, che ha nel Seicento il suo “secolo d’oro” con artisti come Rembrandt e Vermeer; ▪▪ le testimonianze della pittura di genere, di derivazione nordica;


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# dinamismo In architettura il dinamismo caratteristico dell’arte barocca si traduce nel movimento ondulatorio delle superfici, nel ritmico alternarsi di forme concave e convesse, di vuoti e di volumi sporgenti, come testimonia, per esempio, la chiesa di San Carlo alle Quattro Fontane di Borromini. vedi p. XX 

# illusionismo Emblematico della volontà di stupire e confondere lo spettatore in un gioco tra realtà e illusione è il genere della pittura prospettica e di quadratura, che ha lo scopo di ampliare i limiti architettonici di uno spazio reale tramite tecniche illusionistiche basate sulla prospettiva geometrica e sullo scorcio, come testimonia la volta della Chiesa di Sant’Ignazio a Roma dipinta da Andrea Da pozzo.    vedi p. XX

# bel composto L’aspirazione dell’arte barocca a una sintesi delle arti è ben rappresentata dal monumento alla Beata Ludovica Albertoni realizzato da Gian Lorenzo Bernini (vedi p. XX): in questo caso i principi del bel composto sono evidenti nell’integrazione tra il monumento e lo spazio architettonico e negli spiccati caratteri pittorici della scultura – ottenuti accostando il blocco di diaspro su cui poggia il letto della beata, modellato come un drappeggio, al marmo bianco. vedi p. XX 

# allegoria

# pathos L’aspirazione dell’arte barocca a una sintesi delle arti è ben rappresentata dal monumento alla Beata Ludovica Albertoni realizzato da Gian Lorenzo Bernini (vedi p. XX): in questo caso i principi del bel composto sono evidenti nell’integrazione tra il monumento e lo spazio architettonico e negli spiccati caratteri pittorici della scultura – ottenuti accostando il blocco di diaspro su cui poggia il letto della beata, modellato come un drappeggio, al marmo bianco.   vedi p. XX

In architettura il dinamismo caratteristico dell’arte barocca si traduce nel movimento ondulatorio delle superfici, nel ritmico alternarsi di forme concave e convesse, di vuoti e di volumi sporgenti, come testimonia, per esempio, la chiesa di San Carlo alle Quattro Fontane di Borromini.    vedi p. XX

# virtuosismo Emblematico della volontà di stupire e confondere lo spettatore in un gioco tra realtà e illusione è il genere della pittura prospettica e di quadratura, che ha lo scopo di ampliare i limiti architettonici di uno spazio reale tramite tecniche illusionistiche basate sulla prospettiva geometrica e sullo scorcio, come testimonia la volta della Chiesa di Sant’Ignazio a Roma dipinta da Andrea Da pozzo.   vedi p. XX


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I Carracci e Caravaggio

◾ Caravaggio, Incredulità di San Tommaso, 1602 ca, olio su tela, 107 x 146 cm, Postdam, Castello di Sanssouci, Bildergalerie.

UN’OPERA PER INIZIARE Caravaggio // Incredulità di San Tommaso ▶ ANALIZZARE UN’OPERA D’ARTE  ▶  APPRENDIMENTO COOPERATIVO

L’arte di Caravaggio costituisce un punto di svolta nell’arte di inizio Seicento per il suo naturalismo e l’originale interpretazione dei soggetti sacri, caratterizzata da un’intensa espressività e da un crudo realismo. In questo dipinto l’artista ritrae l’episodio evangelico in cui l’apostolo Tommaso, che dubita della resurrezione, segue l’invito di Gesù: “Avvicina la tua mano e mettila nel mio costato, e non essere incredulo, ma credente.” 1 Caravaggio ambienta spesso gli episodi di soggetto sacro in contesti umili e quotidiani, accentuando la dimensione umana e realistica dell’evento rappresentato. In questo modo l’artista rinnova profondamente l’iconografia tradizionale, traduce il messaggio religioso in un codice espressivo accessibile a tutti e rivela la sua personale.

a. Quali elementi suggeriscono l’estrazione popolare di Tommaso e degli altri due apostoli? b. Quali altri elementi realistici individui nell’opera? 2 Nello stile di Caravaggio riveste primaria importanza l’uso della luce, che produce effetti teatrali e assume chiari valori simbolici. a. Da dove proviene la luce e quale valore assume? b. L’uso della luce e il forte chiaroscuro come contribuiscono alla tonalità generale dell’opera? 3 Spesso, nelle opere dell’artista, la struttura compositiva è studiata per coinvolgere emotivamente il fedele e per accentuare la drammaticità della scena. a. Perché in questo caso l’inquadratura e il punto di vista ottengono l’effetto di rendere partecipe l’osservatore all’evento rappresentato?


capitolo

28 / 1 // Natura e ideale nell’arte dei Carracci

Fonti Paleotti, Il potere delle immagini

■ A scuola dal vero: l’Accademia bolognese   Alla fine del Cinquecento la cultura figurativa italiana, e in particolare quella romana, era dominata dalla pittura manierista, un’arte dallo stile colto, elitario, imperniato sulla ricerca di artifici virtuosistici. Essa contrastava da un lato con il fermento intellettuale degli anni di fine secolo – in cui andava diffondendosi un atteggiamento di curiosità scientifica nei confronti della natura –, dall’altro con le esigenze della chiesa post-tridentina, che intendeva le immagini sacre essenzialmente come uno strumento per alimentare la devozione popolare. Una delle ultime sessioni del concilio di Trento aveva infatti affermato con chiarezza l’importanza dell’arte come «libro degli ignoranti». Le teorie conciliari trovarono formulazione in diversi trattati, tra i quali spicca il Discorso intorno alle immagini sacre e profane (1582) pubblicato a Bologna dal cardinale Gabriele Paleotti: nell’opera si sottolineava l’importanza dell’ortodossia dei contenuti delle immagini sacre e si chiedeva agli artisti di adottare un linguaggio figurativo semplice e immediato, capace di persuadere i fedeli. Sempre nel 1582 un concittadino del cardinale, Ludovico Carracci, fondò con i cugini Agostino e Annibale un’accademia artistica destinata a imprimere una svolta alla pittura di fine secolo. Essa si prefiggeva di indirizzare gli allievi verso un nuovo stile basato – oltre che sullo studio delle opere dei maestri – sulla rappresentazione fedele della realtà e della

28 / I Carracci e Caravaggio

natura. Da qui il nome iniziale della scuola, Accademia del Naturale, o del Disegno, poi detta Accademia dei Desiderosi, per sottolineare la volontà di imparare che la animava. Nella scuola, un ruolo di primo piano era affidato al disegno dal vero, grazie al quale gli allievi imparavano a raffigurare gesti, panneggi, oggetti, scorci di paesaggio da inserire nelle composizioni: si trattava di una pratica innovativa, in quanto fino ad allora il disegno era stato utilizzato soprattutto, se non solo, per riprodurre e studiare le opere dei maestri. A differenza delle accademie pubbliche e ufficiali, potenti e vincolanti per i propri aderenti, quella dei Carracci era molto più libera, e soprattutto si configurava come una vera e propria scuola, capace di avviare gli alunni sul lungo percorso dell’arte: da qui il terzo, e ultimo, nome della scuola, che dal 1589 (o 1590) si chiamò Accademia degli Incamminati.

■ Ludovico: il linguaggio della devozione Negli ultimi decenni del Cinquecento i Carracci furono attivi soprattutto a Bologna, allora la seconda maggiore città dello Stato pontificio dopo Roma, eseguendo in importanti palazzi cittadini affreschi di soggetto storico, mitologico o letterario, nei quali non è agevole riconoscere le diverse mani, poiché i tre artisti lavoravano spesso insieme. In questa fase la figura centrale fu quella del maggiore dei tre, Ludovico (1555-1619), a lungo direttore dell’accademia.

1  Ludovico Carracci, Annunciazione, 1585 ca, olio su tela, 181 x 215 cm, Bologna, Pinacoteca nazionale, intero e particolari. DS112272

La colomba: lo Spirito Santo

2,8%

Le mani al petto: l’umiltà di Maria

Il giglio: la purezza della Vergine

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ArtLink Affreschi di Palazzo Fava

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11 / Il mondo come teatro: il Barocco

Egli propose una personale elaborazione delle dottrine del cardinale Paleotti, ponendo al centro del proprio mondo pittorico i concetti di decoro, semplicità compositiva e umana partecipazione, in netta polemica con le astratte raffinatezze tardomanieristiche. Annunciazione Incarna questi princìpi una delle sue opere più belle, l’Annunciazione [1], eseguita intorno al 1585. La composizione è estremamente sobria ed equilibrata, chiara nella sua semplice costruzione prospettica: l’evento sacro si compie in una stanza quasi priva di oggetti, in cui la fuga delle linee del pavimento conduce lo sguardo dello spettatore a una finestra sullo sfondo, decentrata; da essa filtra una luce, simbolo della grazia divina, cui allude anche la colomba dello Spirito Santo. L’iconografia si attiene al racconto evangelico e alla tradizione cattolica: Maria, poco più che bambina e in abiti modesti, riceve l’annuncio dell’arcangelo Gabriele che, in ginocchio, sul lato opposto della tela, le porge un giglio, simbolo di purezza e castità. L’atteggiamento di Maria, la posizione delle mani e la lettura delle Sacre scritture divengono modelli concreti di religiosità, mentre la semplicità dell’ambiente e il richiamo alla vita di tutti i giorni nel cesto da ricamo sembrano tradurre in pratica devota, intima e quotidiana, il mistero della fede.

■ L’arte colta e umana di Agostino Nell’ambito dell’accademia bolognese Agostino Carracci (1557-1602), cugino di Ludovico e fratello maggiore di Annibale, svolse il ruolo del teorico e del fervido insegnante e animatore di dibattiti. Grande incisore, con la sua attività grafica Agostino contribuì a divulgare, soprattutto nell’ambiente artistico della propria città, le opere di mae-stri della pittura cinquecentesca veneta, come Tiziano e Veronese, studiate durante due soggiorni a Venezia. Negli ultimi anni del secolo raggiunse il fratello Annibale a Roma per lavorare con lui alla sontuosa decorazione della Galleria Farnese (vedi p. 802), portando il contributo della propria vasta cultura figurativa. Comunione di san Gerolamo  Nella tela con la Comunione di san Gerolamo [2 ] (1591-97 circa), Agostino raffigura il momento in cui il vecchio santo ormai prossimo alla morte – cui allude il teschio ai suoi piedi – riceve per l’ultima volta il sacramento dell’eucaristia. Malgrado la figura emaciata e sofferente, esito della vita eremitica condotta nel deserto, il volto di Gerolamo esprime fino all’ultimo l’ardore della fede, così come il gesto delle mani incrociate sul petto. Attorno a lui, con felice soluzione narrativa, il pittore raffigura i confratelli in atteggiamenti vari: qualcuno scrive o riflette, altri osservano preoccupati il santo, mentre solo due frati sulla sinistra sembrano cogliere l’apparizione soprannaturale degli angeli, in alto. L’opera sembra tradurre la convinzione del Paleotti che le immagini possano colpire con più forza di quanto facciano le parole: a livello teologico riafferma il valore dell’eucaristia, su un piano più immediato invita i fedeli a partecipare all’emozione che anima i volti e le espressioni dei protagonisti. Ma Agostino è un pittore colto e molti indi-

2  Agostino Carracci, Comunione di san Gerolamo, 1591-97 ca, olio su tela, 376 x 224 cm, Bologna, Pinacoteca nazionale.

zi nella pala lo rivelano: l’ambientazione in una cornice clasDS112273 sicheggiante inquadrata da due colonne laterali con capitelli compositi e due archi in fuga, i colori del paesaggio che si 2% apre sullo sfondo, oltre gli archi (possibile allusione alla vita oltre la morte che attende il santo, e, più in generale, ogni uomo), che richiamano i modelli veneti del Cinquecento conosciuti e amati dall’artista. Si noti inoltre l’articolazione dello spazio: il gruppo di figure si dispone ai lati di un ideale asse centrale costituito dalla figura del vescovo officiante, sul cui volto si colloca anche il punto di fuga del dipinto.

■ Annibale e lo studio del «vivo» Fu però Annibale Carracci (1560-1609) l’artefice di un’autentica riforma del linguaggio pittorico. L’irrinunciabile punto di partenza di Annibale era il rigoroso studio del «vivo» – secondo l’espressione da lui usata – che lo portava a rifiutare i capisaldi della pittura manierista: al virtuosismo dell’invenzione originale occorreva sostituire la


115 GRAMMATICA DELL’ARTE Interpretare gli elementi iconografici

Gallerie La pittura di paesaggio

La nascita del paesaggio classico

L

e tele di Annibale Carracci per le lunette di Palazzo Aldobrandini a Roma sono considerate l’atto di nascita del paesaggio classico o ideale, che avrà grande fortuna nel Seicento grazie a pittori quali Albani, Domenichino, Poussin e Lorrain. Nelle lunette Annibale – che eseguì l’episodio con la Fuga in Egitto [ 5 ] (1603-04) e la Deposizione di Cristo, mentre per le altre

quattro fornì disegni ai suoi allievi – cala gli episodi in una natura serena e armonica, la cui perfezione formale, in realtà, non è affatto naturale ma ideale, frutto di una costruzione razionale. Il paesaggio classico risponde infatti alla convinzione per cui, come sosteneva il classicista seicentesco Giovan Pietro Bellori, «l’Idea costituisce il perfetto della bellezza naturale, ed unisce il

vero al verisimile delle cose sottoposte all’occhio, sempre aspirando all’ottimo e al meraviglioso»; in questo modo l’arte «non solo emula ma superiore fassi [si fa] alla natura, palesandoci l’opere sue eleganti e compite [compiute], quale essa [la natura] non è solita dimostrarci perfette in ogni parte». Collocandosi agli antipodi rispetto alla versione nordica del paesaggio, che già

Le architetture

L’atmosfera

L’ambientazione

Compaiono in genere sullo sfondo, come qui, oppure ai lati del dipinto e sono edifici di fantasia, ma di ordine classico; la loro presenza indica l’inserimento armonico dell’opera dell’uomo all’interno della natura.

Il paesaggio classico è idealizzato: nulla è fuori posto, nulla turba l’armonia tra l’uomo e la natura. La terra è dolce e rigogliosa, i cieli sereni.

In genere è la campagna romana, frequentata dagli artisti italiani e stranieri della capitale. Un’altra versione del paesaggio classico prevede scenari marini, come in alcuni dipinti del francese Claude Lorrain, anch’egli a lungo a Roma e di scuola classicista.

La costruzione dello spazio

Il soggetto

L’episodio è in genere inquadrato da elementi naturali, soprattutto alberi, che fanno da quinte laterali del dipinto; il paesaggio procede per piani digradanti che lo spettatore può percorrere con lo sguardo. In questo caso l’esplorazione è guidata dallo scorrere del fiume, che dal primo piano conduce allo sfondo.

Può essere un episodio della storia sacra (in questo caso, il viaggio di Maria e Giuseppe con il neonato Gesù, appena scesi da una barca con cui hanno traghettato il fiume), della mitologia o della storia (in tal caso si dice anche “eroico” perché celebra un’azione umana). Il soggetto occupa il primo piano, ma più che protagonista è spesso quasi un pretesto per la composizione.

5  Annibale Carracci, Fuga in Egitto, 1603-04, olio su tela, 122 x 230 cm, Roma, Galleria Doria Pamphilj.


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11 / Il mondo come teatro: il Barocco

4  Annibale Carracci, Un villano a tavola (Il mangiafagioli), 1583-84 ca, olio su tela, 57 x 68 cm, Roma, Galleria Colonna. DS107525

Gallerie La scena di genere

resa fedele del vero, al mito della velocità esecutiva, vantata da 8%Vasari, lo studio paziente della natura. Tale sensibilità si rivela innanzitutto nelle scene di genere, in cui Annibale si sofferma su temi e comportamenti quotidiani poi riproposti anche nelle opere maggiori. Il mangiafagioli  In questo filone spicca Il mangiafagioli [4 ] (1583-84 circa), opera giovanile vittima di un curioso pregiudizio. Per lungo tempo, infatti, la critica ritenne la tela una “bambocciata” e l’opera fu a lungo attribuita a Bartolomeo Passerotti, un pittore di genere di fine Cinquecento, in quanto il dipinto era difficilmente ascrivibile all’immagine austera e colta di Annibale creata da secoli di storiografia. In realtà sono proprio gli aspetti di immediatezza e realismo, rifiutati dai critici, a rendere l’opera di una modernità assoluta. Annibale ha ritratto qui un popolano intento a consumare il suo umile pasto: se anche, com’è stato suggerito, si trattasse di un personaggio della commedia dell’arte – lo Zanni, un servo vestito da villano, a tavola – appare assente ogni intento comico-grottesco o allegorico. È l’umile dignità del vero a catturare la curiosità del pittore: il cucchiaio colmo, da cui cola un po’ di minestra, la bocca che si spalanca per mangiare, la mano sporca che tiene stretto un tozzo di pane, come temendo che venga sottratto, i brani di natura morta sul tavolo. L’inquadratura è tanto ravvicinata che non si può cogliere null’altro, nella stanza, se non il tavolo e una finestra laterale. Madonna di san Ludovico  I dipinti sacri degli anni bolognesi testimoniano come anche l’approccio ai soggetti religiosi sia in Annibale fondato sulla verità e sulla concretezza di gesti e ambientazioni. Osservando la Madonna di san Ludovico [ 3 ] (1587-88) si percepisce come il pittore intenda rendere umana la storia sacra: i protagonisti sono rappresentati nella loro viva fisicità, la loro gestualità è immediata, i loro sentimenti sono espressi attraverso un realismo insieme mistico e affabile.

3  Annibale Carracci, Madonna di san Ludovico, 1587-88, olio su tela, 278 x 193 cm, Bologna, Pinacoteca nazionale, originale e schema della struttura compositiva. DS112272

Al centro del dipinto

2,8% Pur separati, il mondo terreno

e quello divino appaiono molto ravvicinati: i santi (a sinistra Ludovico, Chiara e Francesco, a destra Alessio, Caterina d’Alessandria e Giovanni Battista) si dispongono in un ideale semicerchio, quasi per far posto all’apparizione della Madonna. A lei, vero centro del dipinto, sono rivolti gli sguardi e i gesti di tutti: si crea così un dialogo tra i santi e la Vergine, al quale Caterina – l’unica che guardi verso chi osserva – invita anche il fedele a partecipare.

DS112241

Glossario Bambocciata: dipinto eseguito al modo delle scene di genere realizzate a cavallo del Seicento dal pittore olandese Pieter van Laer. Esse raffiguravano personaggi umili (contadini, popolani, viandanti) alle prese con attività quotidiane o all’interno di osterie.


capitolo

28 / I Carracci e Caravaggio

28 / 3 // La luce del vero: Caravaggio

Video Il mito di Caravaggio

■ Il fascino dell’artista “maledetto” Caravaggio è oggi uno dei nomi sacri dell’arte mondiale. Eppure non è sempre stato così. In vita e per molti anni dopo la morte, la sua arte fu spesso osteggiata: dai committenti, soprattutto religiosi, che non amavano la scandalosa verità delle sue opere; dai teorici della sua epoca, come Giovan Pietro Bellori, cui si devono controversi aneddoti sul pittore; dai critici neoclassici dei secoli seguenti, che gli contestavano la mancanza di una misura nell’arte e nella vita. La riscoperta di Caravaggio è un fenomeno relativamente recente, ed è una conseguenza della generale rivalutazione dell’arte del Seicento. Forse, tra le ragioni del successo che arride oggi all’artista non manca proprio un elemento legato all’alone di leggenda da cui è circondato: un mito che lo include nell’elenco degli artisti “maledetti”. ■ La formazione da Milano a Roma Nato probabilmente a Milano nel 1571, Michelangelo Merisi si trasferì presto a Caravaggio, la località bergamasca da cui prese il nome. Pur vivendo nel clima di crisi di fine Cinquecento, la famiglia dell’artista non era povera: piccolo proprietario terriero, il padre godeva anche di un reddito fisso come amministratore della casa di Francesco Sforza. La formazione del giovane Merisi avvenne a Milano: qui apprese il mestiere di pittore nella bottega del manierista Simone Peterzano, dove entrò nel 1584, restandovi quattro anni come apprendista. Poco si sa del periodo successivo, segnato da brevi soggiorni a Venezia e forse a Mantova, e probabilmente da un primo episodio cruento, che potrebbe aver influito sulla sua decisione di partire alla volta di Roma, dove arrivò, poco più che ventenne, nel 1592. La carriera di Caravaggio iniziò qui, presso la bottega del Cavalier d’Arpino, pittore tardomanierista che lo incaricò dell’esecuzione di nature morte di fiori e frutta, genere minore praticato soprattutto dai fiamminghi, ma ben noto in area lombarda grazie alle opere dei fratelli Campi da Cremona. Insofferente alla rigida ripetitività del mestiere, già l’anno dopo Caravaggio lasciò la bottega. Iniziarono così gli anni più duri della sua vita: poverissimo, viveva di carità e frequentava le vie più malfamate di Roma. Ragazzo morso da un ramarro  Fu proprio il mondo che frequentava a dare a Caravaggio il primo spunto per inventarsi un personale repertorio di immagini: i dipinti che raffigurano, con un taglio compositivo allora inedito – la figura a mezzo busto –, giovani popolani di statuaria bellezza “travestiti” all’antica e circondati da brani di natura morta, nella cui resa si colgono autentiche prove di bravura illusionistica. Nel Ragazzo morso da un ramarro [14 ] (1595 circa) è già decisiva l’attenzione all’uso pittorico del contrasto tra luce e ombra. La figura del giovane, forse un autoritratto in posizione qua-

Il morso del ramarro

Il riflesso della finestra

14  Caravaggio, Ragazzo morso da un ramarro, 1595 ca, olio su tela, 66 x 52,5 cm, Firenze, Fondazione di studi di storia dell’arte Roberto Longhi, intero e particolari. DS107525

si8% frontale, emerge da un fondo bruno in parte illuminato: il bagliore da sinistra rivela nettamente la mano, una spalla e il volto, la cui smorfia di dolore è resa attraverso repentini passaggi chiaroscurali tra zone in piena luce e altre lasciate in penombra. Il vaso in primo piano è un pretesto per esibire la resa illusionistica degli effetti di luce: dalla trasparenza dell’acqua nella boccia al vetro di cui è composta, che riflette l’immagine della finestra, fonte luminosa della scena. Controverso è il significato dell’opera: forse si tratta solo dello studio naturalistico di una reazione fisica, forse di un’alle-

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11 / Il mondo come teatro: il Barocco

15  Caravaggio, Canestra di frutta,
1596 ca, olio su tela, 31 x 47 cm, Milano, Pinacoteca ambrosiana, intero e schema della struttura compositiva.

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16  Caravaggio, Bacco, 1596-97,
olio su tela, 98x85cm, Firenze, Galleria degli Uffizi.

goria della vanità dei piaceri (le ciliegie che il giovane vuole afferrare) dietro cui è in agguato il dolore (il morso del ramarro) e della caducità della giovinezza destinata presto a sfiorire, cui alluderebbero la rosa nel vaso e quella recisa tra i capelli del ragazzo. Caravaggio sosteneva che la pittura consiste nell’«imitare bene le cose naturali», dichiarazione che potrebbe sembrare ovvia a noi oggi, ma che non lo era affatto in un’epoca che chiedeva una pittura nobile e devota, preziosa e di soggetto alto. Doveva quindi suonare decisamente provocatorio che l’artista dichiarasse che «tanta manifattura [arte] gli è [ci vuole] a fare un quadro buono di fiori, come [quanto] di figure»: qui va letta non solo una polemica con la tradizionale classificazione accademica in generi “alti” e generi “bassi”, ma anche una singolare sintonia con la nuova curiosità intellettuale che animava in quegli stessi anni le prime ricerche della scienza moderna. Come per Galilei, anche per Caravaggio «tra le sicure maniere per conseguire la verità è l’anteporre l’esperienza a qualsivoglia discorso [...] non sendo [essendo] possibile che una sensata esperienza sia contraria al vero». Canestra di frutta Questi concetti trovano mirabile espressione nella Canestra di frutta [15 ] (1596 circa), l’opera in cui forse per la prima volta in Italia la natura morta assurge

a piena dignità artistica e che già dall’inizio del Seicento apparteneva alle collezioni del cardinale Federico Borromeo. Il dipinto spicca per la fedeltà al dato di natura: a destra alcune foglie di vite iniziano ad avvizzirsi, altre sono bucherellate o maculate, una mela risulta tocca a , nei grappoli d’uva mancano alcuni acini. Ogni frutto è facilmente riconoscibile e reso nella sua unicità, al punto che pare possibile indicare il diverso livello di maturazione, per esempio, dei due grappoli


capitolo

28 / I Carracci e Caravaggio

La critica Longhi, La rivoluzione di Caravaggio

17  Caravaggio, DS107524

Riposo durante la fuga in Egitto, 1596-97, 3,3% olio su tela, 135,5 x 166,5 cm, Roma, Galleria Doria Pamphilj.

di uva bianca, oppure percepire la freschezza
della foglia ancora intrisa di rugiada al centro. Se ora però ci allontaniamo un po’ dal dettaglio percepiamo un altro
decisivo – e per certi versi opposto – aspetto del dipinto. Malgrado il soggetto sia umile e le dimensioni modeste, Caravaggio conferisce alla canestra la solida plasticità di un’opera d’arte “alta”. Ciò grazie a scelte compositive che le conferiscono una chiara saldezza volumetrica. La canestra è vista frontalmente, appena un poco dal basso
e scentrata verso sinistra,
ed è inscrivibile in un ideale semicerchio che ha per diametro il piano su cui appoggia b . A renderne la tridimensionalità concorrono il fondo chiaro, che “stacca” la cesta in modo netto, e il fatto che essa sporga leggermente dal piano, risultando così più vicina all’osservatore. n Come spesso le nature morte, anche la Canestra si presta
a suggerire significati simbolici. Alcuni storici dell’arte segnalano in particolare la presenza di simboli cristologici, come i fichi o l’uva scura, che rimanderebbero al sacrificio di Gesù. L’immagine di una canestra di frutta torna, anche se mai come opera autonoma, in numerosi quadri della produzione giovanile di Caravaggio, come in questo Bacco [16 ] del 1596-97.

◾ L’incontro con la pittura sacra Il successo delle prime opere romane – che possono essere lette come una sintesi originale tra il realismo lombardo, legato alla formazione (fondata sull’opera di Savoldo, Moretto, Moroni e dei leonardeschi), e il gusto classicista, con cui era venuto in contatto a Roma – consentì a Caravaggio di entrare stabilmente al palazzo del cardinale Del Monte, intorno alla metà degli anni novanta del Cinquecento. Questo evento

trasformò la vita del pittore, che entrò in contatto con molti dei suoi futuri committenti e protettori appartenenti alle grandi famiglie dell’aristocrazia romana. Riposo durante la fuga in Egitto  In questo contesto l’artista si avvicinò per la prima volta ai temi sacri, come nel Riposo durante la fuga in Egitto [17] (1596-97), opera in cui non esitò a rinnovare alla luce del realismo lombardo un soggetto di lunga tradizione iconografica. In un ameno paesaggio che sfuma verso l’orizzonte, la Sacra Famiglia si riposa all’ombra della vegetazione. La composizione è imperniata sull’asse visivo centrale costituito dalla figura statuaria dell’angelo in primo piano, di spalle, che suona un violino, quasi a cullare il sonno del Bambino; il candido velo che gli cinge i fianchi ricade al suolo in morbide pieghe. Il corpo dell’angelo e i volti della Vergine e di Gesù sono illuminati da una luce piena e calda, proveniente da una fonte non identificabile e ancora lontana dai violenti giochi di luce e ombra tipici dei dipinti successivi; san Giuseppe rimane nell’ombra, intento a reggere lo spartito, che riporta un inno alla bellezza della Madonna tratto dal Cantico dei Cantici. Sebbene le figure assumano un rilievo monumentale, Caravaggio vuole rendere l’intimità dell’episodio sacro e l’umanità dei personaggi coinvolti: se non fosse per il dettaglio delle ali grigie e piumate, nulla nell’angelo alluderebbe alla sua sacralità; la Madonna più che una creatura divina è soprattutto una madre che abbraccia teneramente il figlio, cedendo dolcemente al sonno; san Giuseppe è un anziano contadino impacciato. Il divino si rivela agli umili, come Caravaggio affermerà con forza nei dipinti successivi.

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11 / Il mondo come teatro: il Barocco

ANALISI D'OPERA

Caravaggio // Storie di San Matteo La manifestazione del sacro nell’umile quotidiano ◾ L’affermazione di Caravaggio Nel 1599, grazie alla mediazione del cardinale Del Monte, Caravaggio fu chiamato a realizzare due grandi tele destinate alle pareti laterali della cappella di famiglia del cardinale francese Mathieu Cointrel (Matteo Contarelli) in San Luigi dei Francesi [18 ]. Fin dal 1565 il cardinale aveva stabilito il programma iconografico del ciclo decorativo, che avrebbe dovuto celebrare il santo suo omonimo; alla sua morte (1585), i lavori non erano però ancora stati iniziati e solo dopo lunghe vicende Caravaggio ottenne l’incarico. Il successo delle due opere da lui eseguite, la Vocazione di san Matteo [19 ] e il suo Martirio, fu tale che all’artista fu affidata anche l’esecuzione della pala d’altare con San Matteo e l’angelo [ 20 ]. Malgrado della pala venisse rifiutata una prima versione, ritenuta inadeguata per l’eccessivo realismo, le tele della Cappella Contarelli segnarono la compiuta affermazione di Caravaggio.

1600-02 olio su tela Cappella Contarelli, Chiesa di San Luigi dei Francesi, Roma.

Quale importanza ebbe il ciclo della cappella nella carriera di Caravaggio?

◾ L’attualità del sacro  Sulla parete di sinistra della cappella è collocata la tela più celebre del ciclo, che raffigura il momento in cui Cristo sceglie Matteo quale suo apostolo. Matteo era un pubblicano e per questo Caravaggio lo raffigura mentre, insieme ad alcuni compagni, è intento a contare i denari della riscossione delle imposte ammucchiati sul tavolo. Caravaggio fissa il momento culminante del racconto evangelico: accompagnato da Pietro, Cristo sopraggiunge nella stanza in gran parte buia e con il braccio teso indica il futuro evangelista, che sbigottito sembra chiedersi se stia chiamando proprio lui. Il gesto di Cristo determina la reazione dei due uomini al centro, che si volgono verso i nuovi arrivati; all’estremità opposta della stanza, invece, il vecchio alla destra di Matteo e il giovane che continua imperterrito a contare le monete sembrano non accorgersi di quanto sta accadendo. Mentre Cristo e Pietro vestono all’antica, Matteo e gli altri gabellieri indossano eleganti abiti seicenteschi, scelta che rivela l’intenzione dell’artista di rendere davvero attuale l’evento sacro collocandolo non in un tempo indefinito, ma nella realtà contemporanea. L’ambiente spoglio e buio potrebbe essere allora quello di una bettola romana dell’epoca. Quale episodio evangelico è raffigurato nella tela principale del ciclo?

La critica Longhi, La rivoluzione di Caravaggio

◾ La luce costruisce il dipinto  Come spesso accade nelle opere del periodo romano di Caravaggio, protagonista assoluta del dipinto è la luce, che in questo caso proviene non dalla finestra chiusa sulla parete di fondo ma da una fonte

18  Cappella Contarelli, Roma, Chiesa di San Luigi dei Francesi.

19  Caravaggio, Vocazione di san Matteo, 1599-1600, olio su tela,322 x 340 cm, Roma, Chiesa di San Luigi dei Francesi, Cappella Contarelli.

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3,3% collocata sulla destra e non visibile, forse oltre la porta da cui Cristo e Pietro sono entrati. Alla luce è affidato il compito di costruire le dimensioni spaziali del dipinto e di rivelare a poco a poco, attraverso forti contrasti chiaroscurali, le diverse reazioni dei personaggi, gli uni riscattati dalla grazia, gli altri del tutto indifferenti e pertanto esclusi dalla salvezza. Il diffondersi della luminosità stabilisce inoltre una gerarchia visiva che rende univoca la lettura del dipinto: lo sguardo dello spettatore è infatti indotto a spostarsi da destra a sinistra, passando dal gesto di Cristo (ribadito da quello di Pietro), che Caravaggio riprese dal gesto di Adamo nella Creazione di Adamo. Qual è il ruolo della luce nel dipinto di Caravaggio?


capitolo

◾ La grazia che salva  Si rivela allora anche la natura simbolica di questa luce, che allude alla grazia divina, di cui viene ribadito il carattere universale e salvifico. La grazia con la sua luce illumina tutti gli uomini e spetta a ciascuno, come Matteo, rispondere o meno alla chiamata di Dio. Questa riaffermazione del libero arbitrio – contro la tesi protestante secondo cui era Dio a scegliere i predestinati alla salvezza, chiamando loro soli a seguirlo – non è casuale se consideriamo che la tela era stata dipinta per la chiesa francese di Roma e richiamava così la recente conversione del sovrano Enrico IV dalla fede ugonotta a quella cattolica. A sostenere questa lettura teologica è anche il fatto che le analisi radiografiche effettuate sulla tela hanno rivelato come Caravaggio abbia

28 / I Carracci e Caravaggio

inserito la figura di Pietro solo in un secondo tempo, forse per ribadire il profondo legame tra Cristo e la chiesa, di cui Pietro era stato il primo pontefice. Qual è la natura della luce nella Vocazione di san Matteo?

◾ Una scena più intima: l’incontro con l’angelo La pala d’altare, che doveva rappresentare Matteo intento a scrivere il Vangelo sotto la dettatura di un angelo, fu realizzata in due versioni. La prima stesura di San Matteo e l’angelo (1601), nella quale più evidente è il debito nei confronti della tradizione lombarda , fu infatti rifiutata per il crudo realismo e per l’ambientazione troppo intima e quotidiana, ritenuti ina-

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11 / Il mondo come teatro: il Barocco

20 Caravaggio, San Matteo DS107524

e l’angelo, seconda versione, 1602, olio su tela, 295 x 195 cm, Roma, Chiesa 3,3% di San Luigi dei Francesi, Cappella Contarelli.

21 Caravaggio, 
San Matteo e l’angelo, prima versione, 1601,
 olio su tela, 232 x 183 cm, già a Berlino, Kaiser-Friedrich-Museum, distrutta durante 
i bombardamenti
 del 1945.

deguati alla sacralità del soggetto: il santo aveva un aspetto troppo volgare e la sua posa – «con le gambe incavalcate e co’ piedi rozzamente esposti al popolo», come scrisse Giovan Pietro Bellori, massimo teorico del classicismo seicentesco – risultava poco adatta a una pala d’altare. Caravaggio propose allora una seconda versione: nel San Matteo e l’angelo (1602) ancora oggi nella cappella, il rozzo contadino della prima versione, cui l’angelo guidava la mano nella scrittura, ha lasciato il posto a un vecchio saggio, ora contrassegnato dall’aureola; l’angelo, abbandonate le ali piumate, non è più collocato sullo stesso piano di Matteo ma scende dall’alto per ispirare l’evangelista. Come cambia la seconda versione rispetto alla prima rifiutata?

L’OPERA IN SINTESI Soggetto

• ciclo dedicato a san Matteo e composto dalla Vocazione, il Martirio e San Matteo e l’angelo • interpretazione attualizzante di un tema sacro (ambientazione quotidiana, personaggi con abiti dell’epoca) Stile

• tecnica esecutiva “alla veneta” • forte realismo di matrice lombarda Luce e colore

• uso drammatico del chiaroscuro • uso simbolico della luce, emblema della salvezza • i fasci di luce costruiscono lo spazio del dipinto


capitolo

28 / I Carracci e Caravaggio

L’incrocio delle diagonali

19 Caravaggio, Crocifissione DS107524 di san Pietro, 1600-01, olio su tela, 230 x 175 cm, Roma, 3,3%Chiesa di Santa Maria del Popolo, Cappella Cerasi, originale e schema della struttura compositiva.

◾ Una vicenda complessa: la Cappella Cerasi Tra il 1600 e il 1601 Caravaggio dipinse due grandi tele per la Cappella Cerasi in Santa Maria del Popolo: la Crocifissione di san Pietro e la Conversione di san Paolo. Per entrambi i soggetti esisteva un riferimento recente e imprescindibile per l’artista, cioè gli affreschi con gli stessi soggetti realizzati da Michelangelo nella Cappella Paolina all’interno dei Palazzi Vaticani. Crocifissione di san Pietro Nella Crocifissione di san Pietro [19 ] tre aguzzini stanno faticosamente sollevando il legno della croce cui è inchiodato, a testa in giù, il martire. La rappresentazione dello sforzo dei carnefici e la posizione di Pietro danno luogo a una costruzione imperniata su un incrocio di linee oblique che riprendono le diagonali della tela. Non si tratta però di una disposizione statica, in quanto un movimento di rotazione anima gli sforzi di tutti i personaggi, in particolare il tentativo di Pietro di sollevarsi dal legno. La novità della rappresentazione consiste soprattutto nel suo esasperato realismo: la morte del santo si consuma nella solitudine, nell’umiliazione del dolore, senza il conforto di alcuna presenza divina a sancirne il martirio. La luce che illumina Pietro ne rivela il corpo ancora vigoroso, quasi michelangiolesco, ma anche il volto canuto e sofferente, carico di rughe. L’impressione di dramma è accentuata dal fatto che le monumentali figure occupano quasi per intero lo spazio scuro della tela e sembrano addirittura rovesciarsi in avanti, addosso allo spettatore. Conversione di san Paolo  Caratteri simili presenta la Conversione di san Paolo [21] (1601), nella quale il futuro apostolo è illuminato da una luce di natura ultraterrena che, dopo averlo disarcionato e travolto, ne provoca la conversione. Si tratta dell’unica concessione al soprannaturale presente nel dipinto: l’evento sacro è vissuto tutto nell’interiorità dell’uomo colpito dalla grazia divina. Anche qui l’artista offre un’interpretazione dell’avvenimento sacro come episodio di umile quotidianità, concentrando la propria attenzione sulla verità delle figure, costruite plasticamente da una luce che le fa emergere dallo sfondo scuro; anche qui i personaggi occupano per intero lo spazio a disposizione. Queste scelte comuni si possono comprendere considerando forma e dimensioni della cappella cui erano destinati i di-

21 Caravaggio, Conversione di san Paolo, seconda versione, 1601, olio su tela, 230 x 175 cm, Roma, Chiesa di Santa Maria del Popolo, Cappella Cerasi. DS107524

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La luce e la scansione dello spazio

11 / Il mondo come teatro: il Barocco

pinti, che costringevano a una visione di scorcio e ponevano le tele in un ravvicinato e intimo dialogo. La vicenda decorativa della cappella fu in effetti complessa ed entrambe le opere furono eseguite due volte, forse perché – a prestar fede alla testimonianza di Giovanni Baglione, pittore avverso a Caravaggio – rifiutate dai committenti e acquisite dal cardinal Sannesio. Gli storici hanno provato a spiegare le ragioni del rifiuto confrontando le due versioni della Conversione (la prima della Crocifissione è andata perduta). I motivi sono stati individuati nell’eccessivo realismo con cui nella prima versione sarebbe stato reso l’episodio sacro, nella concitazione della scena ritenuta inadeguata al soggetto, nella presenza della reale figura di Cristo, nell’eccessiva vicinanza fisica tra la sfera umana e la sfera divina. In mancanza di fonti dell’epoca, nessuno di questi argomenti è dirimente e c’è chi invece individua la ragione della doppia versione nella morte di monsignor Cerasi. Le vicende testamentarie fecero sì che la cappella fosse ultimata solo nel 1605 e che cambiasse fisionomia, trasformandosi in uno spazio angusto, che impone-

ARTE

BENE COMUNE

della Vergine, 1604-06, olio su tela, 369 x 245 cm, Parigi, 3,3%Musée du Louvre, originale (pagina a fianco) e schema della struttura compositiva.

va un’osservazione ravvicinata: Caravaggio stesso potrebbe aver allora deciso di fare una nuova versione delle due opere più adeguata all’ambiente che le avrebbe accolte (per esempio riducendo il numero di figure) oppure più aggiornata al linguaggio che andava maturando in quegli anni.

Riconoscere il rapporto tra arte e pubblico

Perché le opere di Caravaggio furono spesso rifiutate?

L

a fama di pittore controcorrente di Caravaggio è accresciuta dalla serie di opere rifiutate che costellarono la sua carriera. Ma quali furono le ragioni di tali rifiuti? Innanzi tutto è significativo sottolineare che le opere oggetto di critica erano tutte di carattere sacro. In piena epoca controriformista, i dipinti a carattere religioso dovevano rispettare fedelmente le norme sulle raffigurazioni sacre stabilite dal Concilio di Trento. Tali opere infatti avevano destinazione pubblica e servivano a educare i fedeli: dovevano quindi rappresentare in modo semplice e inequivocabile i dogmi della dottrina cattolica. vedi 

23  Caravaggio, Morte DS107524

p. XXX

Ma la pittura di Caravaggio mal si sposava con questo obiettivo. Come detto, l’obiettivo principale del Merisi era la ricerca del vero, una ricerca cui si dovevano piegare anche gli ideali di bellezza e di forma. Caravaggio rappresentava così eventi e personaggi sacri inserendoli in una quotidianità umile e popolare, proponendo un’interpretazione del tema religioso vivida e attualizzante. A spingere il pittore verso tale scelta era probabilmente una profonda religiosità influenzata dalle tendenze pauperistiche presenti nel variegato mondo della chiesa controriformata: per Caravaggio il soggetto sacro era l’occasione per riflettere, con accenti cupi e pessimistici, sulla condizione umana, sul rapporto uomo-Dio, sul tema della grazia e del peccato. vedi 

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vedi 

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Ne derivavano opere di crudo realismo, in cui i personaggi somigliavano a popolani e l’accento era posto più sulla dimensione umana della vicenda rappresentata che sul suo valore sacro; le sue opere così non potevano che apparire scandalose e prive de “decoro”, lontane dai canoni imposti dalle norme tridentine. Caravaggio per di più non realizzava quasi mai disegni preparatori da far approvare al committente, cosa che favorì il rifiuto delle sue opere. Infine, se le opere del pittore divisero il mondo dei committenti, di certo non misero d’accordo i fedeli. Anche tra questi vi era chi, abituato alla tradizione, non riusciva ad accettare le novità caravaggesche: si racconta, per esempio, che la Madonna di Loreto «ritratta dal naturale

COMPETENTI

in arte

▶ IMPARARE AD IMPARARE ▶ INSERIRE L’OPERA NEL SUO CONTESTO

Ricerca su Internet delle informazioni sulla Madonna di Loreto, quindi scrivi un breve testo che analizzi i seguenti punti: • da chi fu commissionata? • perché fu rifiutata? • quali elementi destarono più scandalo? • concentrati in particolare sulla figura della Madonna: com’è raffigurata rispetto ai canoni della tradizione?


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Se ora però ci allontaniamo un po’ dal dettaglio percepiamo un altro
decisivo – e per certi versi opposto – aspetto del dipinto. Malgrado il soggetto sia umile e le dimensioni modeste, Caravaggio conferisce alla canestra la solida plasticità di un’opera d’arte “alta”. Ciò grazie a scelte compositive che le conferiscono una chiara saldezza volumetrica. La canestra è vista frontalmente, appena un poco dal basso
e scentrata verso sinistra,
ed è inscrivibile in un ideale semicerchio che ha per diametro il piano su cui appoggia b . A renderne la tridimensionalità concorrono il fondo chiaro, che “stacca” la cesta in modo netto, e il fatto che essa sporga leggermente dal piano, risultando così più vicina all’osservatore. n Come spesso le nature morte, anche la Canestra si presta
a suggerire significati simbolici. Alcuni storici dell’arte segnalano in particolare la presenza di simboli cristologici, come i fichi o l’uva scura, che rimanderebbero al sacrificio di Gesù. L’immagine di una canestra di frutta torna, anche se mai come opera autonoma, in numerosi quadri della produzione giovanile di Caravaggio, come in questo Bacco [16 ] del 1596-97.

◾ L’incontro con la pittura sacra Il successo delle prime opere romane – che possono essere lette come una sintesi originale tra il realismo lombardo, legato alla formazione (fondata sull’opera di Savoldo, Moretto, Moroni e dei leonardeschi), e il gusto classicista, con cui era venuto in contatto a Roma – consentì a Caravaggio di entrare stabilmente al palazzo del cardinale Del Monte, intorno

alla metà degli anni novanta del Cinquecento. Questo evento trasformò la vita del pittore, che entrò in contatto con molti dei suoi futuri committenti e protettori appartenenti alle grandi famiglie dell’aristocrazia romana. Riposo durante la fuga in Egitto  In questo contesto l’artista si avvicinò per la prima volta ai temi sacri, come nel Riposo durante la fuga in Egitto [17] (1596-97), opera in cui non esitò a rinnovare alla luce del realismo lombardo un soggetto di lunga tradizione iconografica. In un ameno paesaggio che sfuma verso l’orizzonte, la Sacra Famiglia si riposa all’ombra della vegetazione. La composizione è imperniata sull’asse visivo centrale costituito dalla figura statuaria dell’angelo in primo piano, di spalle, che suona un violino, quasi a cullare il sonno del Bambino; il candido velo che gli cinge i fianchi ricade al suolo in morbide pieghe. Il corpo dell’angelo e i volti della Vergine e di Gesù sono illuminati da una luce piena e calda, proveniente da una fonte non identificabile e ancora lontana dai violenti giochi di luce e ombra tipici dei dipinti successivi; san Giuseppe rimane nell’ombra, intento a reggere lo spartito, che riporta un inno alla bellezza della Madonna tratto dal Cantico dei Cantici. Sebbene le figure assumano un rilievo monumentale, Caravaggio vuole rendere l’intimità dell’episodio sacro e l’umanità dei personaggi coinvolti: se non fosse per il dettaglio delle ali grigie e piumate, nulla nell’angelo alluderebbe alla sua sacralità; la Madonna più che una creatura divina è soprat-

GRAMMATICA DELL’ARTE Conoscere le tecniche artistiche

La pittura a olio

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iene detta “pittura a olio” la tecnica pittorica che utilizza pigmenti in polvere sciolti in un olio vegetale (di lino, di papavero o di noce). La pasta ottenuta è diluita con essenze ricavate dalla lavanda, dal rosmarino e soprattutto dalle gemme del pino marittimo o di altre conifere (trementina). I colori a olio hanno una migliore stabilità nel tempo rispetto alla tempera e, seccandosi più lentamente, consentono all’artista una maggiore precisione nell’esecuzione dell’opera; inoltre sono più efficaci per la resa degli effetti di luce. Un ulteriore vantaggio è poi la possibilità di correggere gli errori, asportando la pittura con una piccola spatola, pulendo la zona con uno straccio imbevuto di trementina e ridipingendola. Già nota agli antichi romani, nel Medioevo la pittura a olio non era stata più praticata in Italia. Nelle sue Vite, Giorgio Vasari ne attribuisce l’invenzione a Hu-

bert e Jan van Eyck: al di là della paternità presunta, è vero che nella prima metà del Quattrocento a perfezionare questa tecnica furono proprio pittori fiamminghi poi chiamati alla corte di Urbino. In Italia i primi ad adottarla furono Piero della Francesca e Antonello da Messina.

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l modo di procedere nella pittura a olio era dipingere “grasso su magro”, ovvero stendere le prime pennellate di abbozzo con pigmenti più corposi, per poi passare a velature finali più diluite con l’olio, cioè pennellate più lievi e trasparenti. Le velature sortiscono l’effetto di mettere in relazione tutti gli strati di pittura: due colori sovrapposti creano un nuovo colore. La bravura dei grandi maestri consisteva nel saper padroneggiare questi esiti, anche perché i pigmenti in uso all’epoca erano più difficilmente miscelabili di quelli attuali. In tal modo era possibile rendere palpabili la luce e i suoi riflessi sugli oggetti o sui corpi e più evidenti i volumi.

Robert Campin, Annunciazione, 1425-28, olio su tavola,
New York, Metropolitan Museum of Art, dettaglio.


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◾ Una vicenda complessa: la Cappella Cerasi Tra il 1600 e il 1601 Caravaggio dipinse due grandi tele per la Cappella Cerasi in Santa Maria del Popolo: la Crocifissione di san Pietro e la Conversione di san Paolo. Per entrambi i soggetti esisteva un riferimento recente e imprescindibile per l’artista, cioè gli affreschi con gli stessi soggetti realizzati da Michelangelo nella Cappella Paolina all’interno dei Palazzi Vaticani. Crocifissione di san Pietro Nella Crocifissione di san Pietro [19 ] tre aguzzini stanno faticosamente sollevando il legno della croce cui è inchiodato, a testa in giù, il martire. La rappresentazione dello sforzo dei carnefici e la posizione di Pietro danno luogo a una costruzione imperniata su un incrocio di linee oblique che riprendono le diagonali della tela. Non si tratta però di una disposizione statica, in quanto un movimento di rotazione anima gli sforzi di tutti i personaggi, in particolare il tentativo di Pietro di sollevarsi dal legno.

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LETTURA GUIDATA

▶ ANALIZZARE UN’OPERA D’ARTE ▶ IMPARARE A IMPARARE

Caravaggio // Resurrezione di Lazzaro titololungo moltomolto lungo L’opera raffigura una Madonna col bambino che accoglie sull’uscio della propria abitazione due pellegrini. La tavola fu commissionata come pala d’altare per la cappella funeraria della nobile famiglia Cavalletti nella chiesa di Sant’Agostino, e realizzata da Caravaggio prima di essere costretto a lasciare Roma. Osserva 1 Descrivi la scena raffigurata, concentrandoti soprattutto sulla resa dei personaggi e mettendo in evidenza gli elementi di crudo realismo. • osserva le vesti dei pellegrini, ma anche della Madonna • osserva i piedi dei pellegrini e i loro tratti fisici • descrivi l’ambientazione in cui è inserita la scena Confronta 4 Annibale Carracci nella Traslazione della santa Casa di Loreto [vedi p. xxx] ha rappresentato la Madonna di Loreto rispettando gli attributi dell’iconografia tradizionale. Quali sono? Perché Caravaggio ha interpretato in modo differente il soggetto?

26  Caravaggio, Resurrezione di Lazzaro, 1608-09, olio su tela, 380 x 275 cm, Messina, Museo DS112272 regionale (dopo il restauro del 2012).

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26  Caravaggio, Resurrezione di Lazzaro, 1608-09, olio su tela, 380 x 275 cm, Messina, Museo regionale (dopo il restauro del 2012).

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130 GRAMMATICA DELL’ARTE Analizzare stili e linguaggi

Gallerie La pittura di paesaggio

Una sintesi dello stile di Caravaggio

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ipinta nel 1601, all’epoca delle grandi tele per la Cappella Cerasi, questa Cena in Emmaus [28 ]appartiene a una fase di transizione nell’arte di Caravaggio, che dopo gli esordi segnati dal prevalere dell’interesse naturalistico approda alla pittura sacra. Malgrado si tratti ancora di un quadro da camera e non da altare (lo rivelano le dimensioni contenute), emergono con evidenza alcuni caratteri dello stile maturo dell’artista nel periodo romano. L’attualizzazione del sacro

L’uso espressivo di luce e ombra

Se Cristo è vestito all’antica, i due apostoli e l’oste sono uomini poveri – lo rivelano le fisionomie popolane – e contemporanei, come attestano le vesti seicentesche (il vecchio sulla destra ha anche la conchiglia dei pellegrini di Santiago): nelle opere di Caravaggio il sacro irrompe nella sfera del quotidiano.

L’uso espressivo del contrasto tra luce e ombra è forse il carattere più riconoscibile dello stile di Caravaggio. La luce proviene sempre da un direzione individuabile (in questo caso dall’alto a sinistra) ed è una luce insieme fisica, che costruisce la scena, e simbolica, in quanto allude alla grazia divina che si rivela all’umanità.

Le iconografie controverse Gesù risorto ha l’apparenza di un giovane imberbe, scelta inusuale che forse si richiama alla tradizione paleocristiana. Più volte nelle opere dell’artista compaiono iconografie discusse che, insieme all’eccessiva disinvoltura stilistica, suscitarono polemiche o addirittura portarono al rifiuto da parte dei committenti di opere oggi ritenute capolavori.

28  Caravaggio, Cena in Emmaus, 1601, olio su tela con interventi
 a tempera, 141 x 196 cm, Londra, National Gallery.

Una spazialità rigorosa

Il naturalismo

La teatralità delle pose

Nei dipinti di Caravaggio la luce definisce lo spazio staccando i personaggi dallo sfondo. Tuttavia anche la presenza di elementi scenografici, come il tavolo in primo piano ricoperto da una morbida tovaglia attorno a cui si dispongono Gesù, gli apostoli e l’oste, permette al pittore di costruire lo spazio e di “mettere in scena” le proprie rappresentazioni.

In primo piano compare una cesta di frutta che ricorda da vicino la Canestra dipinta pochi anni prima. La fedeltà al dato naturale, fin nelle sue forme più umili, viene a Caravaggio dalla sua formazione lombarda; secondo la tradizione del genere, nelle nature morte è possibile ipotizzare significati simbolici.

Caravaggio rappresenta in genere il momento di maggiore intensità emotiva degli episodi. In questo caso il gesto di Cristo che benedice il pane provoca la viva reazione dei due apostoli, che in quel momento lo riconoscono: uno si appoggia alla sedia come per alzarsi di scatto, l’altro allarga le braccia in segno di stupore o forse in un gesto che allude alla croce.


capitolo

◾ La scandalosa trasformazione di un evento sacro in dramma umano Obisciae ped quos quas maio qui dem ium esedior reium ut re odit exceprem id untibus, suntem. Urenitam a nusam et quasperit omnita volorumet ilibeatatus maiossi magnim eume volupta quoditio elent quae quam labo. Da est facea aut dolupiscilit lignien duntet aut ium, cum sequae. Morte della Vergine Sicuramente rifiutata fu la Morte della Vergine [23 ], dipinta tra il 1604 e il 1606 per una cappella funeraria nella Chiesa carmelitana di Santa Maria della Scala e subito rimossa dall’altare. Ciò non impedì a Rubens, il grande pittore fiammingo, di rimanerne tanto impressionato da acquistare il dipinto per conto del duca di Mantova già nel 1607; prima che l’opera fosse portata nella città ducale, i pittori romani ottennero però che venisse esposta una settimana in modo da poterla vedere, tanto era il clamore e tanta la curiosità che aveva suscitato. La grande tela risulta divisa piuttosto nettamente in due livelli. Nella parte inferiore va in scena il dramma della morte, cui partecipano gli apostoli e la Maddalena, accovacciata in primo piano con la testa china sulle ginocchia a piangere. Lo spazio risulta molto affollato e le figure si dispongono in maniera disordinata attorno al corpo della Vergine, sdraiata di

28 / I Carracci e Caravaggio

sbieco, posizione attraverso cui l’artista riesce a suggerire la profondità della stanza. I personaggi sembrano appartenere tutti a un ambito popolare, come rivelano i piedi scalzi, le fisionomie, i gesti immediati e spontanei, gli abiti semplici. La parte superiore è invece dominata da un grande telo rosso, dal tessuto umile ma molto scenografico – un espediente che ricorre più volte nei dipinti di Caravaggio –, che un apostolo in secondo piano a destra sta probabilmente tirando così da consentire alla luce – la consueta luce caravaggesca che allude alla grazia divina – di penetrare nella stanza, illuminando la scena. Per quali ragioni l’opera fu rifiutata? Con «la morte e il transito della Beata Maria Vergine», come dichiarava l’impegno preso con il committente, Caravaggio si trovava ad affrontare un tema complesso: le Scritture non parlano di questo episodio e all’epoca ci si interrogava sul fatto che Maria fosse davvero morta e che potesse essere stata o meno assunta in cielo «in anima e corpo», rivelando così a pieno la sua natura divina (solo alla metà del Novecento la chiesa si sarebbe pronunciata definitivamente in tal senso). Anziché sull’aspetto teologico Caravaggio si concentra però, come suo solito, sull’aspetto umano del dramma. Maria è qui una donna del popolo, più giovane rispetto all’età che

26  Caravaggio, Resurrezione di Lazzaro, 1608-09, olio su tela, 380 x 275 cm, Messina, Museo regionale (dopo il restauro del 2012). DS112272

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L’opera raffigura una Madonna col bambino che accoglie sull’uscio della propria abitazione due pellegrini. La tavola fu commissionata come pala d’altare per la cappella funeraria della nobile famiglia Cavalletti nella chiesa di Sant’Agostino, e realizzata da Caravaggio prima di essere costretto a lasciare Roma.

Osserva 1 Descrivi la scena raffigurata, concentrandoti soprattutto sulla resa dei personaggi e mettendo in evidenza gli elementi di crudo realismo. • osserva le vesti dei pellegrini, ma anche della Madonna • osserva i piedi dei pellegrini e i loro tratti fisici • descrivi l’ambientazione in cui è inserita la scena 2 Descrivi la struttura compositiva dell’opera. • individua la direttrice principale lungo la quale è costruita l’opera 3 Quale ruolo svolge la luce nel dipinto? • osserva in che rapporto si pone la luce rispetto alla composizione dell’opera • rifletti sulla natura della luce (simbolica/realistica) Confronta 4 Annibale Carracci nella Traslazione della santa Casa di Loreto [vedi p. xxx] ha rappresentato la Madonna di Loreto rispettando gli attributi dell’iconografia tradizionale. Quali sono? Perché Caravaggio ha interpretato in modo differente il soggetto?

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28 // sintesi

I Carracci e Caravaggio 1 Natura e ideale nell’arte dei Carracci

3 La luce del vero Caravaggio

Ludovico, Agostino e Annibale Carracci sviluppano un percorso umano e professionale che li porta a operare prima a Bologna e poi a Roma, dove diffondono una pittura di matrice classicista. Fondano a Bologna l’Accademia degli incamminati, basata sull’imitazione della natura e ulla conoscenza di Correggio e dei grandi pittori veneziani del Cinquecento; i tre cugini decorano insieme Palazzo Magnani e altre dimore bolognesi.

2 La linea del classicismo carraccesco Alcuni dei pittori attivi nel Seicento a Roma esprimono una tendenza alla classicità anche più accentuata dell’equilibrio raggiunto dai Carracci. Guido Reni, grazie alla sua eccezionale capacità, realizza opere caratterizzate da classicità ed equilibrio, che richiamano l’eredità di Raffaello. Domenichino si sposta da Bologna a Roma e a Napoli, esprimendo nei propri dipinti l’idea del Bello teorizzata da Giovanni Battista Agucchi. Con Poussin la figura del pittore assume una dignità e una saggezza paragonabili a quelle di storici e filosofi.

Caravaggio si forma a Milano. Le sue prime opere, eseguite a Roma per committenti privati, trattano in prevalenza oggetti profani e uniscono il realismo della tradizione lombarda al classicismo dell’ambiente romano. Attorno al 1600 esegue le prime opere a destinazione pubblica e a carattere monumentale, le tele con Storie di san Matteo della Cappella Contarelli in San Luigi dei Francesi, con forti contrasti di luce e ombra; spazi, costumi e personaggi corrispondono alla vita romana dell’epoca. Lo stesso naturalismo e il sistema di luci e ombre dall’apparenza artificiale si ritrovano nelle opere della Cappella Cerasi e negli altri capolavori degli ultimi anni trascorsi a Roma. Costretto a fuggire da Roma Caravaggio giunge prima a Napoli (1606) e poi a Malta (1608) per tornare l’anno dopo a Napoli (1609)

4 L’eredità della pittura di Caravaggio Molti pittori del primo Seicento si ispirano alla realtà e formano vivaci contrasti tra luce e ombra, seguendo l’esempio di Caravaggio: per questo sono definiti caravaggeschi. Tra i maggiori caravaggeschi si possono citare: Bartolomeo Manfredi, Orazio Gentileschi e la

La rivoluzione di Caravaggio CARAVAGGIO (1571-1610) sviluppa uno stile pittorico caratterizzato da uso espressivo della luce basato su forti contrasti tra luce e ombra

naturalismo evidente in

rinnovamento dell’iconografia religiosa attraverso

nature morte e soggetti di genere

soggetti umili e popolari

attualizzazione del sacro

progressiva accentuazione dei toni drammatici e violenti


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29 //

L’età del Barocco in Italia

UN’OPERA PER INIZIARE Caravaggio // Incredulità di San Tommaso ▶ ANALIZZARE UN’OPERA D’ARTE ▶  APPRENDIMENTO COOPERATIVO

L’arte di Caravaggio costituisce un punto di svolta nell’arte di inizio Seicento per il suo naturalismo e l’originale interpretazione dei soggetti sacri, caratterizzata da un’intensa espressività e da un crudo realismo. In questo dipinto l’artista ritrae l’episodio evangelico in cui l’apostolo Tommaso, che dubita della resurrezione, segue l’invito di Gesù: “Avvicina la tua mano e mettila nel mio costato, e non essere incredulo, ma credente.” 1 Caravaggio ambienta spesso gli episodi di soggetto sacro in contesti umili e quotidiani, accentuando la dimensione umana e realistica dell’evento rappresentato. In questo modo l’artista rinnova profondamente l’iconografia tradizionale, traduce il messaggio religioso in un codice espressivo accessibile a tutti e rivela la sua personale. a. Quali elementi suggeriscono l’estrazione popolare di Tommaso e degli altri due apostoli? b. Quali altri elementi realistici individui nell’opera?

◾ Caravaggio, Incredulità di San Tommaso, 1602 ca, olio su tela, 107 x 146 cm, Postdam, Castello di Sanssouci, Bildergalerie.

2 Nello stile di Caravaggio riveste primaria importanza l’uso della luce, che produce effetti teatrali e assume chiari valori simbolici. a. Da dove proviene la luce e quale valore assume? b. L’uso della luce e il forte chiaroscuro come contribuiscono alla tonalità generale dell’opera? 3 Spesso, nelle opere dell’artista, la struttura compositiva è studiata per coinvolgere emotivamente il fedele e per accentuare la drammaticità della scena. a. Perché in questo caso l’inquadratura e il punto di vista ottengono l’effetto di rendere partecipe l’osservatore all’evento rappresentato?


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11 / Il mondo come teatro: il Barocco

29 / 1 // Il marmo prende vita: Gian Lorenzo Bernini ◾ L’interprete di un’epoca Pochi artisti sono legati alla propria epoca quanto Gian Lorenzo Bernini. Egli contribuì così tanto a determinarne i caratteri che, semplificando, si potrebbe dire che ricostruire le origini del Barocco significa ripercorrere la storia personale dell’artista. Per circa sei decenni la sua figura dominò la scena romana, oscurando la fama di colleghi come Borromini o Pietro da Cortona e dando vita a uno stile che avrebbe condizionato l’arte italiana ed europea delle generazioni a venire. La vicenda umana di Bernini fu relativamente povera di eventi se paragonata, per esempio, a quella burrascosa di Caravaggio. Nato a Napoli nel 1598 dallo scultore fiorentino Pietro Bernini, Gian Lorenzo si trasferì presto a Roma con il padre, probabilmente già nel 1606, lo stesso anno in cui il Merisi, accusato di omicidio, fuggì dalla città. Fatta eccezione per un breve soggiorno in Francia nel 1665, non avrebbe più lasciato la capitale, dove morì nel 1680; nessun altro luogo, del resto, sarebbe stato più adatto a esaltare la sua arte. ◾ A lezione dall’antico: i gruppi scultorei per il cardinale Borghese A Roma, il giovane Bernini ebbe occasione di conoscere le opere dei maestri del Rinascimento e di aggiornarsi sulle novità in ambito pittorico introdotte in quegli anni da Annibale Carracci e da Caravaggio. Come per i Carracci, anche per Bernini la pratica artistica non poteva prescindere dallo studio dell’arte antica: le sue prime prove, di soggetto mitologico, testimoniano già un’alta qualità tecnica, ma soprattutto la capacità di guardare alla lezione dell’antico (in particolare alla stagione ellenistica) rivitalizzandola attraverso un’originale interpretazione. Questa peculiarità dovette colpire Scipione Borghese, spregiudicato nipote di papa Paolo V e grande collezionista di antichità, che tra il 1618 e il 1625 commissionò al giovane artista alcuni gruppi statuari per le sale della propria villa suburbana. In essi Bernini seppe dare espressione a una nuova concezione della scultura, caratterizzata da un forte dinamismo delle forme e dalla spettacolarità teatrale delle pose. David Ecco allora che nel David [1] (1623-24) l’artista sceglie di rappresentare il momento di massima tensione dell’episodio biblico: il gesto audace con cui il giovane eroe – abbandonati a terra la corazza che lo impaccia e la cetra con cui comporrà i Salmi in lode a Dio – sta per scagliare con una fionda un sasso contro il gigante Golia. Si tratta di una scelta innovativa, segnalata dalla formula «David che sta in atto di tirare» con cui l’opera era censita nella collezione Borghese: in precedenza, nelle sculture di età rinascimentale, l’eroe era stato raffigurato o dopo aver già decapitato il nemico (Verrocchio e Donatello) o nella concentrazione che precede la battaglia (Michelangelo). Benché si tratti di un episodio biblico, nulla qui sembra ri-

1 Gian Lorenzo Bernini, David, 1623-24, marmo, h 170 cm, Roma, Galleria Borghese.

2 Annibale Carracci, Polifemo (e Aci), 1597-1600 ca, affresco, Roma, Palazzo Farnese, particolare della volta della Galleria Farnese.


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mandare alla sfera del sacro, ma anzi attinge alla sfera delle passioni, quella vissuta dal protagonista e quelle degli spettatori. L’interesse dell’artista è tutto rivolto alla resa dell’azione, a ottenere effetti di stupore e di meraviglia, e perfino di paura, in chi si trova di fronte all’opera: secondo Bernini, infatti, la sfida dell’arte «sta in far che il tutto sia finto e paia vero». Per rendere più efficace il dinamismo del David egli guardò probabilmente a una statua di età ellenistica rinvenuta ad Anzio pochi anni prima e presente nella collezione del cardinale, nota come il Gladiatore Borghese [ 3 ] (ora al Louvre). Non è un caso: in età antica, l’arte ellenistica era quella che più aveva cercato di trasmettere effetti di dinamismo e pathos. Per la torsione del busto, invece, un punto di riferimento fu probabilmente il Polifemo [ 2 ] colto nell’atto di lanciare un masso, dipinto da Annibale Carracci sulla volta della Galleria Farnese. Apollo e Dafne In Apollo e Dafne [4 ] (1622-25), Bernini traduce nel marmo una favola mitologica tratta dalle Metamorfosi di Ovidio (I secolo d.C.) in cui si narra la storia della ninfa Dafne che, per sfuggire all’amore del dio Apollo, chiede aiuto al padre, il dio fluviale Peneo, il quale, per accontentarla, la trasforma in una pianta di alloro. Ancora una volta lo scultore sceglie il momento di massimo pathos del racconto, cioè l’istante in cui le morbide membra della fanciulla iniziano a tramutarsi in fronde leggere e in dura corteccia d’albero.

29 / L’età del Barocco in Italia

Si trattava di una sfida quasi impossibile: piegare il marmo a esprimere il movimento e il suo stato più dinamico ed effimero, la metamorfosi. È alla diversa qualità delle superfici che Bernini affida tale compito: si noti, in particolare, il contrasto tra la pelle dei due giovani, levigata e luminosa, e la ruvida e scabra corteccia che avvolge le gambe della ragazza, ma anche il progressivo assottigliarsi del marmo, che emula la leggerezza dei capelli trasformati in fronde. Quarant’anni dopo, raccontando la sua Dafne a re Luigi XIV, Bernini avrebbe ricordato con orgoglio come «non era facile dare ai capelli la loro naturale leggerezza»: per riuscirci «bisognava lottare contro la materia», fino a conferire al marmo una trasparenza simile a quella dell’alabastro. Insieme all’azione era necessario raffigurare i sentimenti dei protagonisti: il terrore di Dafne al contatto con la mano del dio che, raggiungendola, la afferra per il fianco sinistro; il suo orrore nel percepire la trasformazione del proprio corpo in pianta; lo stupore di Apollo (per il cui volto Bernini si ispirò all’Apollo del Belvedere), evidente nello sguardo con cui scopre l’orribile metamorfosi dell’amata e nella posizione della mano destra, che si abbandona come a rivelare il suo stato di turbamento. Anche in questo caso Bernini indicò esattamente il punto di 4. Gian Lorenzo Bernini, Apollo e Dafne, 1622-25, marmo, h 243 cm, Roma, Galleria Borghese.

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11 / Il mondo come teatro: il Barocco

ANALISI D'OPERA

Gian Lorenzo Bernini // Cappella Cornaro La fusione delle arti ◾ Una prestigiosa commissione privata La relativa inattività a livello di incarichi pubblici cui Bernini fu costretto nei primi anni del papato di Innocenzo X gli consentì di assecondare le richieste di una committenza privata prestigiosa, composta da ordini religiosi e nobili famiglie, romane e non, come quella di Federico Cornaro, cardinale veneziano residente da qualche anno in città. Questi, nel 1647, chiese a Bernini di ricavare una cappella funebre per la propria famiglia nel transetto sinistro della Chiesa di Santa Maria della Vittoria, chiesa appartenente all’Ordine dei carmelitani scalzi.

1647-52 marmi policromi, stucco e bronzo Chiesa di Santa Maria della Vittoria, Roma

Wittkower L’estetica barocca della meraviglia

◾ Il «bel composto»  Nella Cappella Cornaro [13 ] Bernini consegue forse il più compiuto esito del suo tentativo di creare una fusione tra le arti, in cui architettura, scultura, pittura, teatro concorrano insieme a produrre un effetto spettacolare e illusionistico, secondo la predilezione barocca per la meraviglia. Già Filippo Baldinucci, primo biografo dell’artista, sottolineò come in quest’opera – che «il Bernino medesimo era solito dire […] esser stata la più bella opera che uscisse dalla sua mano» – egli «sia stato il primo ch’abbia tentato di unire l’architettura colla scultura e la pittura, di modo che di tutte si facesse un bel composto», creando una sublime e illusoria scenografia per l’evento sacro. Per perseguire tale effetto, Bernini realizzò una sorta di boccascena teatrale di grande preziosità combinando in un felice connubio cromatico materiali diversi: dai marmi policromi, di diciassette qualità differenti e in gran parte recuperati da rovine antiche, a quello candido delle figure, agli stucchi bianchi, al bronzo dorato su fondo blu nel bassorilievo dell’Ultima cena che decora l’altare della cappella. Nell’arco di ingresso e lungo la cornice superiore delle pareti della cappella, angioletti in stucco reggono festoni di fiori e frutta. La luce unifica l’insieme infondendo alle diverse parti, architettoniche e scultoree, spiccate qualità pittoriche.

16  Gian Lorenzo Bernini, Estasi di santa Teresa d’Avila. 13  Gian Lorenzo Bernini, Cappella Cornaro, 1647-52, marmi policromi, stucco e bronzo, Roma, Chiesa di Santa Maria della Vittoria, intero e schema dei materiali.

I materiali della cappella

◾ Un tema barocco  In questa preziosa cornice va in scena l’episodio al centro della cappella, l’Estasi di santa Teresa d’Avila [16 ], la donna che aveva rifondato l’Ordine dei carmelitani scalzi. Quello dell’esperienza estatica era un tema di notevole fortuna nel Seicento, anche grazie alla diffusione di correnti mistiche in seno alla chiesa controriformata. Glossario Boccascena: lo spazio che, nel teatro, delimita il palcoscenico rispetto alla platea. Santa Teresa d’Avila: mistica spagnola (1515-82) che ripristinò la regola originaria per l’Ordine delle carmelitane; la riforma si estese poi anche al ramo maschile della congregazione.

marmi policromi marmo bianco

decorazioni in stucco bronzo dorato


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29 / L’età del Barocco in Italia

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11 / Il mondo come teatro: il Barocco

15  Gian Lorenzo Bernini, Membri della famiglia Cornaro. 14  Gian Lorenzo Bernini, Cappella Cornaro, particolare del pavimento.

La stessa Teresa aveva raccontato in un testo autobiografico e dal linguaggio fortemente passionale, il Castello interiore (1577), la propria estasi, presentandola come uno stato mistico di intima comunione con il divino raggiunto grazie all’intercessione di una creatura angelica. A esso Bernini si attiene fedelmente dal punto di vista iconografico: la santa, in uno stato di deliquio, è come abbandonata su una nuvola sospesa a mezz’aria, mentre un angelo dalla chioma ricciuta («non alto, ma basso, e bellissimo», secondo le parole della santa) si appresta a trafiggerle il petto con una freccia dorata: da qui anche il nome di “transverberazione” (cioè l’atto del trapassare da parte a parte) con cui l’episodio è noto.

Analisi L’estasi di Santa Teresa

◾ L’estasi mistica come evento scenografico Bernini decide innanzitutto di ampliare illusionisticamente lo spazio ristretto a disposizione, creando un’edicola convessa avanzata rispetto alla parete di fondo; al suo interno l’Estasi è posta su una monumentale ancona marmorea, come sospesa a mezz’aria. L’avanzamento ottiene l’effetto di portare l’evento sacro più vicino allo spettatore e soprattutto di far sì che esso sia illuminato da una calda luce naturale proveniente dall’alto, da una finestra dai vetri gialli sopra l’altare, nascosta alla vista. La luce inonda i finti raggi in bronzo dorato, che rappresentano la grazia divina che investe la santa. Sulle pareti laterali della cappella si aprono due palchetti, simili a quelli di un teatro; al loro interno lo stucco finge arGlossario Deliquio: svenimento, mancamento; nel caso di santa Teresa è dovuto all’estasi mistica.

chitetture in prospettiva, convergenti verso l’altare, mentre dalla balaustra pende un giallo drappo marmoreo. Dai palchetti i membri della famiglia Cornaro [15 ] (sette cardinali e un doge, vissuti in epoche diverse) si affacciano colpiti dalla straordinaria esperienza che si svolge sotto i loro occhi. I personaggi sembrano davvero dialogare animatamente tra loro, in un clima di partecipazione che invita anche lo spettatore a volgere lo sguardo in direzione della santa.

◾ La tecnica di Bernini  Concorre all’effetto scenografico la perfezione formale dell’esecuzione. Santa Teresa, l’angelo e la nuvola sono scolpiti in un unico blocco di marmo di Carrara; le loro vesti sono autentici saggi di maestria tecnica: l’angelo è in parte coperto da un leggero drappo svolazzante, che infonde dinamismo al suo gesto; il corpo della santa è invece infagottato nell’ampia e umile veste, che sembra trascinarla, col proprio peso, verso il basso. Tuttavia, l’aspetto più strabiliante è la resa dei volti: quello estatico della santa, con il capo riverso, gli occhi chiusi e le labbra semiaperte; quello serafico dell’angelo; quelli dei personaggi della famiglia Cornaro, vivaci e segnati da un realiL’OPERA IN SINTESI Concetti

• bel composto: integrazione dei diversi linguaggi artistici (architettura, pittura, scultura) • pittoricismo della scultura • accentuazione degli elementi patetici dell’evento mistico • impostazione scenografica e teatrale della composizione


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17  Gian Lorenzo Bernini, Piazza San Pietro, dal 1656.

29 / L’età del Barocco in Italia

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GRAMMATICA DELL’ARCHITETTURA

Gli interventi in San Pietro

Virtual tour Piazza San Pietro

◾ Alessandro VII e le opere della maturità Nel 1655, con l’ascesa al soglio pontificio di Alessandro VII, appartenente alla famiglia senese dei Chigi, riprese vigore la tradizionale politica di mecenatismo papale e la riqualificazione artistica della città, in parte rallentata sotto Innocenzo X, che vide di nuovo in Bernini uno dei suoi protagonisti principali. L’artista fu reintegrato nella funzione di primo architetto della fabbrica di San Pietro e si dedicò all’ultimo suo intervento per la basilica, quello per la piazza antistante l’edificio, nel quale tradusse in forme monumentali la sua concezione estetica di spazio urbano. Il colonnato di San Pietro  L’intervento chiesto a Bernini nasceva da una precisa esigenza liturgica: accogliere i fedeli convenuti in Vaticano per ricevere la benedizione papale, indirizzando la loro attenzione verso la Loggia delle Benedizioni che si apre nella facciata in posizione centrale sopra l’ingresso. Altro intento di Bernini era restituire visibilità alla cupola di Michelangelo, che risultava poco percepibile in quanto era stata “allontanata” dalla facciata dalla successiva adozione della pianta longitudinale. La soluzione adottata da Bernini prevede il succedersi di due spazi contigui: un sagrato trapezoidale delimitato da due corpi di fabbrica bassi e divergenti, che conducono alla facciata e che grazie all’effetto prospettico la fanno apparire più alta e stretta, e una piazza più esterna [17] di forma ellittica. Al centro di quest’ultima, la cui decorazione pavimentale traccia una rosa dei venti, si erge l’Obelisco vaticano, portato a Roma nel 37 d.C. da Alessandria d’Egitto, mentre nei due

Intervento di Michelangelo Michelangelo lavorò alla basilica dal 1546 e si occupò in particolare della zona absidale, con pavimento murario movimentato da paraste giganti oltre a realizzare la grandiosa cupola.

Intervento di Maderno Il corpo longitudinale corrispondente a tutta la lunghezza della primitiva basilica e la facciata, caratterizzata da immense semicolonne, fu realizzata a partire dal 1607 da Carlo Maderno.

Intervento di Bernini La soluzione di bernini utilizza due spazi contigui: una piazza di forma ellittica e un sagrato trapezioidale Corpi di fabbrica divergenti studiati da Bernini per avvicinare, attraverso un effetto prospettico, la facciata alla piazza. Porticati composti da 284 colonne e 88 pilastri disposti su 4 file (162 colonne tuscaniche a quattro file. I due bracci del colonnato mimano l’abbraccio della chiesa ai fedeli.

Obelisco del circo di Nerone, portato a Roma da Alessandria d’Egitto nel 37 d.C., posto al centro della piazza nel 1586 per volere di Sisto V.


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ARTE

BENE COMUNE

Capire una società attraverso un’opera

Gallerie La pittura di paesaggio

Gentildonne alla moda I

ritratti femminili raccontano come, fin dall’antichità, abiti alla moda, gioielli e particolari acconciature siano simboli di appartenenza a una élite sociale. Nel Quattrocento, sia nelle Fiandre che nel centro Italia, il crescente potere della borghesia contribuisce alla diffusione del ritratto come manifestazione del proprio censo. Mercanti e commercianti sono, infatti, i principali committenti di opere destinate a celebrare ricchezza ed eleganza.

Nei ritratti delle gentildonne, il gioiello è al contempo accessorio estetico, segnale di appartenenza a una classe sociale e simbolo di condotta virtuosa. Il ritratto di Maddalena Strozzi, realizzato da Raffaello, offre un ottimo esempio di questa volontà di manifestazione di potere. Maddalena indossa pochi gioielli ma assai vistosi. Alle mani la donna porta anelli in tutte le falangi (secondo una consuetudine che risale all’epoca romana); al collo, invece, ha una splendida collana. Il pendente, che spicca sulla carnagione chiara della gentildonna, è composto da un rubino, simbolo di carità, da uno smeraldo, considerato la pietra cara a Venere, dea della bellezza, e da uno zaffiro, che rappresenta la fede. Un piccolo unicorno fuso a cera persa ricorda, invece, la purezza. La perla, infine, evoca la castità.

Hans Memling, Ritratto di Maria Maddalena Portinari, 1470 ca, New York, Metropolitan Museum Un altro splendido esempio del valore simbolico assunto dalla collana nell’arte rinascimentale è offerto dal ritratto di Maddalena Portinari, dipinto dal pittore fiammingo Hans Memling intorno al 1470. Moglie di Tommaso Portinari, fiorentino impiegato alla Banca dei Medici poi trasferitosi a Bruges, Maddalena indossa un sobrio abito nero e un copricapo, secondo la moda nordica dell’epoca, ma al suo collo spicca un vistoso collier con decori a fiori smaltati con rubini, diamanti e perle. La scelta delle pietre è di nuovo simbolica, tesa a ricordare le virtù della gentildonna: carità, amore e castità. L’anello all’anulare ricorda il suo

Raffaello, Maddalena Strozzi, 1505, Firenze, Palazzo Pitti

Lorenzo Lotto, Ritratto di Lucina Brembati 1518 circa, Bergamo, Accademia Carrara

Il monile, dunque, cela anche un significato simbolico, ostentando non solo la ricchezza ma anche le virtù personali delle donne ritratte. L’attribuzione di particolari valenze allegoriche ai gioielli presenti nei dipinti ha talvolta perfino tratto in inganno gli studiosi. Noto è il caso del ritratto di Lucina Brembati di Lorenzo Lotto, artista notoriamente incline all’impiego di simbologie nascoste. Lotto gioca con la committente ricordando il suo nome in un rebus contenuto sullo sfondo: la luna con al centro le lettere CI rimanda, infatti, al nome della donna ritratta. Ma l’attenzione degli iconografi si è rivolta anche ai gioielli. Le perle al collo e intorno al capo richiamano, in questo caso, la luna e di conseguenza il nome della gentildonna. Gli anelli, soprattutto quello con lo stemma araldico della famiglia Brembati, ricordano il suo stato coniugale. Ma l’elemento più curioso è certamente il

COMPETENTI

in arte

▶ ANALIZZARE UN’OPERA ▶  IMPARARE A IMPARARE

Fai una ricerca sui valori simbolici dei monili raffigurati nella Dama con l’ermellino di Leonardo (vedi p. XX) e in un breve testo riassumi i risultati della ricerca, mettendo in evidenza le analogie con le opere proposte in questa scheda.


145 GRAMMATICA DELL’ARCHITETTURA Riconoscere gli elementi del linguaggio architettonico

Gallerie La pittura di paesaggio

Villa Savoye: quasi un manifesto I punti di una nuova architettura

La terrazza

Villa Savoye illustra quasi programmaticamente i punti della nuova architettura di Le Corbusier. I pilotis sollevano la costruzione da terra, isolandola e consentendo di creare un portico percorribile. Grazie a essi la facciata, rigorosamente intonacata di bianco, non ha funzione portante, ma è libera.

La terrazza è l’ambiente intorno a cui ruota l’intera costruzione: essa permette di illuminare le stanze con luce naturale attraverso grandi finestre scorrevoli. La soglia tra interno ed esterno è eliminata per favorire un’osmosi tra le due parti della casa, la “scatola” architettonica è scardinata.

24  Le Corbusier, Villa Savoye, 1928-31, Poissy (Parigi), terrazza-giardino.

I pilotis Le finestre a nastro continue Il tetto giardino La facciata libera Le finestre a nastro continue Il tetto giardino

lotis facciata libera

a

b

c

25  Pianta di Villa Savoye:
a. Piano terreno; b. Primo piano; c. Secondo piano. 26  Le Corbusier, Villa Savoye, 1928-31, Poissy (Parigi), scala a chiocciola e particolare della rampa interna.

La pianta libera La villa, a pianta quadrata, si sviluppa su due piani. La novità principale consiste nel fatto che gli ambienti sono disposti liberamente, senza vincoli, in quanto la funzione portante è assolta non dalle pareti, ma da sottili pilastri. Il piano dell’ingresso [a] è occupato da un vasto portico, un garage, una piccola abitazione per l’autista e i locali di servizio. Da qui si sale al primo piano [b], dove gli ambienti principali della casa sono disposti liberamente intorno a una terrazza con giardino pensile. Il livello più alto [c] è occupato da

un tetto-giardino con solarium, uno spazio privilegiato in pieno contatto con la natura, con una sorta di finestra intagliata nel muro che richiama le finestre continue orizzontali presenti su tutti i lati della casa.

La scala e la promenade architecturale Una scala a chiocciola e una rampa attraversano l’edificio dal basso all’alto. Quest’ultima, in particolare, consente di percorrere lentamente lo spazio, creando una promenade architecturale (“passeggiata architettonica”) che unifica i diversi ambienti.


146

ARTE

BENE COMUNE

Comprendere il significato storico e culturale dell’arte

Un’icona del movimento operaio: Il quarto stato Finalità ideologiche e scelte stilistiche Pellizza era mosso dal chiaro intento di realizzare una «pittura sociale»: la finalità ideologica della grande tela (285x543 cm) è evidente fin dal titolo che allude alla nuova classe rivoluzionaria del proletariato. Il dipinto ritrae una manifestazione di braccianti nella piazza di Volpedo, il paese natale di Pellizza. Il corteo è guidato da tre figure in primo piano: un personaggio maschile al centro, affiancato da un uomo più anziano e da una donna con in braccio un bambino. Sullo sfondo, la massa dei lavoratori si muove compatta e solidale. Per comprendere la forza comunicativa e la grandezza del dipinto è di fondamentale importanza l’analisi delle scelte linguistiche e stilistiche di Pellizza. L’incedere del popolo, lento ma implacabile («fatale», come ha detto l’autore stesso), è reso disponendo orizzontalmente le figure, come nei fregi dell’arte classica. La posa statuaria dei personaggi, chiaramente ispirata a modelli classici e rina-

scimentali, rimanda esplicitamente alla Scuola d’Atene di Raffaello. La contrapposizione fra un fondo scuro indistinto e la radiosità del primo piano allude a un percorso che porta verso un futuro di giustizia, illuminato dal “sol dell’avvenire”. E soprattutto si deve prestare attenzione all’uso rigoroso e impeccabile, raramente così perfetto, della tecnica divisionista, che attraverso piccole pennellate filamentose amplifica la luminosità dell’opera.

◾ Annibale Carracci, Il quarto stato, 1603-04, olio su tela, 122 x 230 cm, Roma, Galleria Doria Pamphilj.

Perché è un’icona   Respinto inizialmente dalla critica, il Quarto stato diviene in breve tempo un simbolo del movimento operaio e più in generale del progresso sociale. I socialisti ne fecero fino agli anni Venti una bandiera, riprodotta incessantemente in giornali, riviste, manifesti e volantini. Sepolto in età fascista in uno scantinato del Castello Sforzesco di Milano, il quadro viene riportato nel dopoguerra nella sala della giunta del municipio milanese: oggi ha una sala tutta per sé all’ingresso del Museo del

 Il diritto a un buon espresso Se Il quarto stato è stato scelto anche come “testimonial” pubblicitario è perché la sua immagine ha travalicato i confini della storia dell’arte: non è più appannaggio unicamente di appassionati e addetti ai lavori, ma è ormai riconoscibile da persone appartenenti a ogni strato sociale. Se così non fosse, non avrebbe potuto “rappresentare” un prodotto di largo consumo come il caffè. Nel costruire il messaggio pubblicitario, la nota azienda italiana ha ironicamente giocato con il significato originario del

 Un corteo di mostri Anche la cultura di massa si è appropriata de Il quarto stato. Il capolavoro di Pellizza ha trovato spazio perfino nelle pagine di un prodotto di intrattenimento come il fumetto. Dylan Dog, pubblicato da oltre trent’anni, è il protagonista di una delle serie a fumetti più vendute e apprezzate in Italia. Il quadro, utilizzato come fonte di ispirazione per il frontespizio di una delle serie di albi, è stato parafrasato e l’indagatore dell’incubo guida la marcia di una schiera di mostri e di creature soprannaturali. È possibile che qualcuno tra i lettori più giovani non colga la pur chiarissima citazione, ma gli autori, sicuramente divertiti dall’operazione, devono aver pensato che la forza dell’immagine.

Gallerie La pittura di paesaggio


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 Una ripresa nell’arte

contemporanea

Lo status di icona e la capacità di colpire l’immaginario collettivo del Quarto Stato ha influenzato e richiamato l’attenzione di pubblicitari, fumettisti, comunicatori e movimenti politici, ma non ha lasciato indifferenti intellettuali e artisti, a testimonianza di come la sovraesposizione mediatica non abbia svilito il valore dell’immagine di Pellizza. L’artista tedesco Joseph Beuys, padre dell’arte concettuale e dei linguaggi performativi, lo ha citato in una sua opera, La rivoluzione siamo Noi, sostituendo il proprio autoritratto al personaggio centrale del dipinto. Beuys è sostenitore di un’idea di arte impegnata, che parli al pubblico, lo provochi e lo spinga a chiedere un cambiamento nella società. Diceva commentando la sua opera: «La rivoluzione è dentro di noi: nelle nostre idee risiede l’unica rivoluzione possibile». Nella foto l’artista avanza invitando il pubblico a seguirlo.

Novecento. Ma se Il quarto stato è divenuto una vera e propria icona, oggetto di una serie infinita di riprese e rielaborazioni nei più diversi contesti (anche pubblicitari), dipende non solo dalla sua storia, ma anche e soprattutto dalla capacità di Pellizza di trasfigurare un fatto di cronaca in celebrazione ideale.

COMPETENTI

in arte

▶ PENSIERO CRITICO

www.pellizza.it è un sito curato dall’Associazione “Pellizza da Volpedo” onlus, che si occupa della valorizzazione del patrimonio culturale legato alla figura e all’opera dell’artista piemontese. Nella sezione “Fortuna” del Quarto stato del sito sono raccolte tutte le citazioni del quadro di Pellizza. Scegli quella che ti sembra più significativa e spiega brevemente qual è il senso della ripresa del Quarto stato.


148 Riconoscere il valore del patrimonio artistico

ARTE

BENE COMUNE

Distruggere l’arte per cancellare una civiltà Un “patrimonio” è una ricchezza che si possiede in modo stabile e continuativo, e il patrimonio artistico è una delle principali ricchezze culturali di un popolo. Proprio per questo è capitato e capita che esso venga aggredito e distrutto. E proprio per questo occorre invece difenderlo e valorizzarlo.

Perché si colpisce l’arte? Nel 480 a.C., quando i persiani invasero Atene, devastarono l’acropoli, simbolo della città. Centocinquant’anni dopo Alessandro Magno, alla testa di un esercito greco-macedone, restituì la “cortesia”, devastando la splendida reggia del re Dario a Persepoli. «Spezzavano con le asce vasi di fattura raffinata – racconta una fonte dell’epoca -, nulla restava intatto e intero di quel che si portava via; c’era chi si trascinava dietro membra infrante di statue così come le aveva strappate». Così il grande Alessandro, allievo di Aristotele, simboleggiava a colpi di piccone l’abbattimento della potenza persiana. Mentre i cristiani che, nel V secolo, ormai trionfanti nel morente impero romano, scalpellavano le metope del Partenone per cancellarne i soggetti, intendevano con ciò cancellare la memoria di un mondo pagano. Sono solo alcuni esempi di come l’arte, nella storia, sia divenuta bersaglio di

Gallerie La pittura di paesaggio

violenze e devastazioni, di una furia distruttrice che è l’esatto contrario dell’essenza stessa dell’erta, che è creazione e costruzione. Ma ciò non per caso: colpendo l’arte si vuole colpire la rappresentazione stessa, la manifestazione.

colpendo l’arte si vuole colpire la rappresentazione stessa, la manifestazione parlante di una cultura e di un’identità «Le pietre – ha scritto il giornalista e inviato di guerra in Siria Domenico Quirico –, le statue, i templi parlano. Tutti li possono leggere. Parlano più dei sermoni e dei discorsi: sono lì, esistono per smentire chi vuole semplificare, annullare, maledire [...]. Allora bisogna ucciderle, quelle pietre, polverizzarle, per affermare che la Storia è stata scritta di nuovo e definitivamente.»


Un patrimonio a rischio

1940

una città tanto bella che già nell’antichità mercanti e viaggiatori la chiamavano “la Sposa del deserto”

Dida Ipsum explabo. Tet latem etum eum as re cuscidi dolende liaeperes pliqui vendanda di quam qui doluptaecum qui dicab idunt volore,

Dall’Afghanistan al dramma di Palmira Questa chiave di lettura ci aiuta comprendere le ragioni del terribile attacco al patrimonio culturale e artistico messo in atto fra il 2011 e il 2015 da movimenti fondamentalisti islamici. La distruzione, ordinata dai talebani afghani, delle due colossali statue di Buddha scolpite nella roccia nella valle di Bamiyan, in Afghanistan, testimonianza eccezionale dell’incontro fra la tradizione asiatica (il Buddha) e l’arte ellenistica della provincia di Gandhara; la distruzione, a opera dei militanti dello Stato islamico (Isis), di parte delle antichissime mura di Ninive, capitale dell’impero assiro dei reperti archeologici e delle statue conservate nel vicino museo di Mosul, dei resti di un’altra importante città assira, Nimrud, delle imponenti rovine del centro partico di Hatra (Iraq).  Questa impressionante escalation di violenza contro i monumenti delle civiltà pre-islamiche raggiunge il suo apice tra l’estate e l’autunno del 2015, quando i miliziani dell’Isis distruggono i monumenti-simbolo dell’antica città carovaniera di Palmira, in Siria. Una città tanto bella che già nell’antichità mercanti e viaggiatori la chiamavano “la Sposa del deserto” e che dal 1980 era entrata a far parte dei siti archeologici dichiarati Patrimonio mondiale dell’umanità e protetti dall’Unesco. Sotto l’onda della violenza di quei mesi, Palmira ha quasi interamente perso il suo volto storico, nato dalla fusione di elementi persiani, ellenistici, romani.

Sono stati distrutti, in gran parte con cariche di esplosivo, il grandioso Tempio di Bel (I-II secolo d.C.), quello di Baalshamin (II secolo d.C.), l’Arco di trionfo romano, posto al termine della solenne via colonnata monumentalizzata dai romani, alcune tombe romane a torre, ricchissime di stucchi dipinti, e persino parte della fortezza araba, che domina dall’alto l’antico abitato. Palmira è stata anche il luogo dell’eroico sacrificio di Khaled al-Assad, l’archeologo e studioso che dal 1963 era stato – per oltre quarant’anni – direttore del museo e del sito archeologico della città. Rapito e torturato dai membri dello Stato islamico, che volevano estorcergli informazioni su dove fossero nascoste antiche opere d’arte, lo studioso ha pagato con la vita il suo rifiuto di farsi strumento di distruzione di quella bellezza al cui recupero e valorizzazione aveva dedicato l’intera esistenza.

La seconda guerra mondiale e i monuments men  Ipsum explabo. Tet latem

etum eum as re cuscidi dolende liaeperes pliqui vendanda di quam qui doluptaecum qui dica volupta tendund istibea ilique denti untores

1945 Il salvataggio del Cenacolo

volore, od explabo. Itat volupta tendund istibea ilique denti untores sitatur, con cone moluptatem reiur, ommolor latem etum eum as re cuscidi dolende liaeperes

2010

Distruggere e ricostruire Perché questo feroce accanimento contro capolavori artistici e aree archeologiche? Nel caso dello Stato islamico, la motivazione “ufficiale” è che si tratta di monumenti creati prima dell’avvento dell’Islam, e dunque espressioni di una fede impura, da estirpare. La religione islamica, peraltro, vieta ogni forma di rappresentazione umana e animale e questo spiega la furia che ha ridotto in briciole tante opere d’arte pagane o cristiane.

COMPETENTI

in arte

La cancellazione dei Buddha  simenimus,

sernam nulparu ntiatem voluptat odi optum harupta quistiuscide pedis re non parcias moluptaspit fugiam re voluptate voloriatio.

2015

▶ RICONOSCERE IL VALORE DEL PATRIMONIO ARTISTICO ▶ COMUNICARE NELLA LINGUA DI APPARTENENZA

Dividetevi in gruppi; ogni gruppo scelga uno dei principali monumenti del sito archeologico di Palmira (il Tempio di Baal, il Tempio di Baalshamin, il teatro romano, l’arco di Settimio Severo) e svolga una breve ricerca sulla sua storia e sulle sue caratteristiche stilistiche. Infine ogni gruppo illustri i risultati della ricerca al resto della classe attraverso una presentazione in PPT.

La distruzione di Nimrud  simenimus,

sernam nulparu ntiatem voluptat odi optum harupta quistiuscide pedis re non parcias moluptaspit fugiam re voluptate tassimo luptat magnatem et la dolent


150 GRAMMATICA DELL’ARTE Istituire confronti tra opere

Gallerie La pittura di paesaggio

Velázquez e Picasso: una versione cubista de Las Meninas

Diego Velázquez, Famiglia di Filippo IV (Las meninas), 1656, olio su tela, 318 x 276 cm, Madrid, Museo del Prado.

Pablo Picasso, Las Meninas d’après Velázquez, 1957, olio su tela, cm 194x260, Barcellona, Museo Picasso.

Chi e quando Pablo Picasso (1881-1973) è noto soprattutto per essere il padre del cubismo, l’avanguardia novecentesca che ha sconvolto i tradizionali canoni di rappresentazione della realtà, abolendo l’uso della prospettiva in favore di scomposizioni e ricomposizioni delle immagini che moltiplicano i punti di vista. Ma tra la fine degli anni quaranta e i primi anni sessanta si è assiduamente dedicato a ridipingere e reinterpretare celebri capolavori del passato, dalle Donne di Algeri di Delacroix alla Colazione sull’erba di Manet, passando per opere di Lucas Cranach, El Greco, Nicolas Poussin, Rembrandt e Gustave Courbet. In questo singolare e personale percorso attraverso la storia dell’arte Picasso non avrebbe potuto non rendere omaggio al quadro più impressionante del suo maestro d’elezione, Velázquez, che ha sempre considerato il più grande pittore spagnolo di tutti i tempi. E infatti, tra

la metà di agosto e il 30 dicembre 1957, dedicandosi assiduamente ed esclusivamente a questo progetto, realizza ben cinquantotto versioni di Las Meninas, oggi tutte conservate al Museo Picasso di Barcellona.  Il confronto   La tela più grande del ciclo, iniziata il 17 agosto 1957, riproduce Las Meninas nell'insieme ed è rigorosamente monocroma, con toni che spaziano dal bianco al grigio scuro. Ogni elemento dell'originale è chiaramente riconoscibile, ma Picasso trasforma gli oggetti realisticamente descritti da Velázquez in volumi geometrici e i suoi vividi ritratti in volti grotteschi e deformi. Infatti il gioco di sguardi tra i vari personaggi, che nella tela seicentesca conferisce tensione drammatica e mette in scena le dinamiche umane che legano i protagonisti del quadro, è sostituito da una scomposizione delle forme che porta a una visione dei visi simultaneamen-

te frontale e di profilo. Anche la perfetta scatola prospettica nella quale si muovono le figure di Velázquez viene smantellata nella reinterpretazione novecentesca, dove i diversi piani si schiacciano, si sovrappongono e si intersecano. Ma la trasformazione più curiosa è quella del mastino castigliano, placidamente accucciato in primo piano, che assume le fattezze del cane di Picasso. Prima ancora di iniziare a lavorare a Las Meninas, Picasso aveva profeticamente immaginato cosa sarebbe accaduto e aveva scritto: “Se mi mettessi di buona lena a copiare Las Meninas, a un certo punto arriverei a un’interpretazione personale, dimenticando l’opera di Velázquez. Sicuramente modificherei o cambierei la luce, spostando dei personaggi. Così, poco a poco, le damigelle d’onore non sarebbero più le figure viste sulla tela di Velázquez: sarebbero solo le ‘mie’ Meninas”.


151 GRAMMATICA DELL’ARTE Interpretare gli elementi iconografici

Gallerie La pittura di paesaggio

Velázquez e Picasso: una versione cubista de Las Meninas Chi e quando Pablo Picasso (1881-1973) è noto soprattutto per essere il padre del cubismo, l’avanguardia novecentesca che ha sconvolto i tradizionali canoni di rappresentazione della realtà, abolendo l’uso della prospettiva in favore di scomposizioni e ricomposizioni delle immagini che moltiplicano i punti di vista. Ma tra la fine degli anni quaranta e i primi anni sessanta si è assiduamente dedicato a ridipingere e reinterpretare celebri capolavori del passato, dalle Donne di Algeri di Delacroix alla Colazione sull’erba di Manet, passando per opere di Lucas Cranach, El Greco, Nicolas Poussin, Rembrandt e Gustave Courbet. In questo singolare e personale percorso attraverso la storia dell’arte Picasso non avrebbe potuto non rendere omaggio al quadro più impressionante del suo maestro d’elezione, Velázquez, che ha sempre considerato il più grande pittore spagnolo di tutti i tempi. E infatti, tra la metà di agosto e il 30 dicembre 1957, dedicandosi assiduamente ed esclusivamente a questo progetto, realizza ben cinquantotto versioni di Las Meninas, oggi tutte conservate al Museo Picasso di Barcellona.  Il confronto   La tela più grande del ciclo, iniziata il 17 agosto 1957, riproduce Las Meninas nell’insieme ed è rigorosamente monocroma, con toni che spaziano dal bianco al grigio scuro. Ogni elemento dell’originale è chiaramente riconoscibile, ma Picasso trasforma gli oggetti realisticamente descritti da Velázquez in volumi geometrici e i suoi vividi ritratti in volti grotteschi e deformi. Infatti il gioco di sguardi tra i vari personaggi, che nella tela seicentesca conferisce tensione drammatica e mette in scena le dinamiche umane che legano i protagonisti del quadro, è sostituito da una scomposizione delle forme che porta a una visione dei visi simultaneamente frontale e di profilo. Anche la perfetta scatola prospettica nella quale si muovono le figure di Velázquez viene smantellata nella reinterpretazione novecentesca, dove i diversi piani si schiacciano, si

Pablo Picasso, Las Meninas d’après Velázquez, 1957, olio su tela, cm 194x260, Barcellona, Museo Picasso.

Diego Velázquez, Famiglia di Filippo IV (Las meninas), 1656, olio su tela, 318 x 276 cm, Madrid, Museo del Prado.

sovrappongono e si intersecano. Ma la trasformazione più curiosa è quella del mastino castigliano, placidamente accucciato in primo piano, che assume le fattezze del cane di Picasso. Prima ancora di iniziare a lavorare a Las Meninas, Picasso aveva profeticamente immaginato cosa sarebbe accaduto e aveva scritto: “Se mi mettessi di buona

lena a copiare Las Meninas, a un certo punto arriverei a un’interpretazione personale, dimenticando l’opera di Velázquez. Sicuramente modificherei o cambierei la luce, spostando dei personaggi. Così, poco a poco, le damigelle d’onore non sarebbero più le figure viste sulla tela di Velázquez: sarebbero solo le ‘mie’ Meninas”.


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capitolo 28 // I Carracci e Caravaggio

Laboratorio delle competenze Collocare l’arte nel suo contesto

Conoscere le tecniche artistiche

1 Il Gotico in Italia  Il Gotico in Italia si manifesta con caratteristiche diverse rispetto a quello d’Oltralpe, sia per la presenza di una diversa tradizione culturale, sia per il radicamento, ancora forte nel Duecento, del linguaggio romanico. a. Per quali aspetti principali l’architettura gotica italiana si differenzia da quella d’Oltralpe? b. In quali città troviamo i più importanti esempi di architettura gotica? 3 Le capitali dell’arte Tra la fine del Duecento e la prima metà del Trecento il panorama politico e culturale delle città italiane è piuttosto variegato. Alcun centri emergono in questo periodo e altri invece vivono una fase di declino. a. Quali sono le “capitali artistiche” nell'Italia del Trecento? b. Quale centro non italiano svolge un ruolo decisivo nella vita politica e artistica del XIV secolo? Per quale motivo? Sai indicare almeno un celebre artista attivo in quella città?

6 Qual è il procedimento di fabbricazione di una vetrata? 7 Il mosaico a. Su quale supporto veniva applicato il mosaico? A quali ambienti era destinato? b. Quali nuovi materiali vennero usati dall’epoca paleocristiana in poi? Con quali effetti cromatici? c. Osserva lo sfondo di questo mosaico e indica con quale materiale è realizzato. Quale significato simbolico assume se riferito a soggetti e contesti religiosi? 10. Cupoletta della Genesi, particolare, 1220 ca, mosaico, Venezia, Basilica di San Marco.

Usare il lessico artistico 4 Che cosa indica il termine hanchement nell’ambito della scultura gotica? 5 Quale tipo di edificio viene indicato con il nome di broletto? Qual è il significato originario di questo termine?

Riconoscere generi, tipologie, iconografie 8 L’iconografia di Cristo e dell’imperatore a. Osserva le tre immagini e indica quali sono gli elementi di regalità che contraddistinguono i soggetti rappresentati. b. Fai attenzione alla posizione, alla postura e allo sguardo: che tipo di immagine ne deriva?

3. Cristo in trono, 526-570 ca., mosaico, Ravenna, Basilica di Sant’Apollinare Nuovo, particolare della decorazione della fascia inferiore del lato destro.

c. Trovi che l’iconografia di Cristo si avvicini a quella dell’imperatore? d. Pensa al periodo storico in cui questo tipo di immagini era particolarmente diffuso: quale messaggio sul potere dell’imperatore si voleva comunicare?

4. L’imperatore Ottone II omaggiato dalle province dell’impero, miniatura su pergamena, Chantilly, Musée Condé.

5. Cristo in Maestà, 1072-78, Capua (Caserta), Chiesa di Sant’Angelo in Formis, affresco del catino absidale.


capitolo

Riconoscere i caratteri distintivi 9 Simone Martini ad Assisi Con la sua straordinaria abilità tecnica e il suo linguaggio aristocratico, prezioso e raffinato Simone Martini è l’artista che meglio rappresenta la scuola pittorica senese. La sua arte tuttavia non è del tutto refrattaria alle novità giottesche, come è dimostrato dagli affreschi che egli dipinge fra il 1316 e il 1318 per la Cappella di San Martino, nella chiesa inferiore della Basilica di San Francesco ad Assisi. Osserva questa scena, tratta dalle Storie di san Martino [1] dipinte da Simone ad Assisi e rispondi alle seguenti domande. a. In che cosa è evidente il richiamo al linguaggio giottesco? b. In che cosa invece si evidenzia tutta la preziosità e l’aristocratica raffinatezza dell’arte di Simone? 10 Ambrogio Lorenzetti  Nel 1330 Ambrogio Lorenzetti dipinge una Maestà [2] per il Palazzo comunale di Massa Marittima. L’opera presenta un gran numero di personaggi (patriarchi e 1 (a sinistra) Simone Martini, Storie di san Martino, particolare: Funerali di san Martino, 1316-18 ca, affresco, 265 x 200 cm, Assisi (Perugia), Basilica di San Francesco, chiesa inferiore, Cappella di San Martino.

28 / I Carracci e Caravaggio // Laboratorio

profeti dell’Antico Testamento, apostoli e santi, di cui quelli in primo piano contemporanei e legati alla venerazione locale) e una complessa costruzione nella parte centrale. Erede della tradizione senese, Ambrogio risente qui decisamente anche della pittura di Giotto. Individua quali aspetti dell’opera possono essere riferiti alla tradizione senese e quali alla lezione giottesca, rispondendo alle seguenti domande. a. A quale scuola pittorica Ambrogio deve il raffinato linearismo e il gusto per colori delicati e preziosi? b. Notevole è il senso dello spazio, soprattutto nella parte centrale, con il trono visto frontalmente ma costruito in modo prospetticamente convincente e con un'insolita e imponente pedana semicircolare. In questa costruzione dello spazio qual è il modello di riferimento per Ambrogio? c. Come sono resi i personaggi e quali sono in questo caso i modelli di Ambrogio? d. La folla di santi che fiancheggia il trono, pur discendendo dal repertorio figurativo di Duccio, presenta alcune novità: quali? e. Ai piedi del trono ci sono le personificazioni delle tre virtù

2 Ambrogio Lorenzetti, Maestà, 1330 ca, tempera e oro su tavola, 155 x 206 cm, Massa Marittima (Grosseto), Palazzo comunale.

11 Le varianti regionali dell’architettura romanica Pur essendo influenzato da culture e modelli profondamente diversi, il Romanico presenta alcune caratteristiche stilistiche e architettoniche che lo rendono riconoscibile. a. Elenca i principali elementi strutturali che caratterizzano l’architettura romanica. b. Indica poi quali elementi riconosci nelle immagini qui riportate.

1. Basilica di San Marco a Venezia, XI-XIII secolo, interno. 2. Basilica di Sant’Ambrogio a Milano, 1080 ca-XII secolo, interno.

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unità

11 / Il mondo come teatro: il Barocco

CONFRONTARE STILI E LINGUAGGI

Titolotitolotitolo titolotitolo

12 Architettura paleocristiana e architettura romanica Osserva le immagini e opera un confronto a. Considera le tipologie di pianta utilizzate e individua gli spazi che riconosci. b. Quali elementi strutturali vengono utilizzati per l’organizzazione dello spazio interno? Da dove affluisce la luce? Con quale effetto?

c. Osserva la struttura esterna: dove l’edificio appare più semplice e le pareti continue? Dove, invece, prevale una costruzione per incastri di volumi? d. Quale effetto spaziale complessivo, sia all’interno sia all’esterno, si vuole ottenere in ciascun monumento?

13. Basilica di Sant’Apollinare Nuovo a Ravenna, 526-570 ca, pianta, interno ed esterno.

14. Cattedrale di Durham (Regno Unito), 1093-1128, pianta, interno ed esterno.

DS887268

112


capitolo

ARTE

BENE COMUNE Conoscere il nostro patrimonio artistico

28 / I Carracci e Caravaggio // Laboratorio

▶ COMPETENZE DIGITALI ▶ APPRENDIMENTO COOPERATIVO

1 Scegli un’opera situata nella tua area tra quelle indicate e 2 Dividetevi in gruppi e fate una ricerca in rete per individuare analizzala, indicando: il maggior numero possibile di monumenti gotici presenti nella tua regione. a. Collocazione, committenza, artista b. Data c. Caratteristiche stilistiche Basilica di Sant’Apollinare Nuovo a Ravenna Basilica di Sant’Apollinare Nuovo a Ravenna Basilica di Sant’Apollinare Nuovo a Ravenna Basilica di Sant’Apollinare Nuovo a Ravenna Basilica di Sant’Apollinare Nuovo a Ravenna

Basilica di Sant’Apollinare Nuovo a Ravenna Basilica di Sant’Apollinare Nuovo a Ravenna

Basilica di Sant’Apollinare Nuovo a Ravenna

Basilica di Sant’Apollinare Nuovo a Ravenna

Basilica di Sant’Apollinare Nuovo a Ravenna

Basilica di Sant’Apollinare Nuovo a Ravenna Basilica di Sant’Apollinare Nuovo a Ravenna Basilica di Sant’Apollinare Nuovo a Ravenna

Basilica di Sant’Apollinare Nuovo a Ravenna Basilica di Sant’Apollinare Nuovo a Ravenna

Basilica di Sant’Apollinare Nuovo a Ravenna

WEBQUEST // Viaggio nel gotico francese

H

endis cus praturis ipsante mporpor estiur rernatem repeditectas nis maximus atem facipsamus eum quunt, auda doloriam aciaes non es ped ma quis num, enist maio doloreste optatior rempos porit videndae molorit iusdaest, veror atus qui dolupti veligen dellique cus doloreptat autem harcitempero bla nobitasperum verferiatur, comnimincto intur sitat. Obis acerspi dempore veliatem quam qui blacepe as eos doluptatur? Quiam iure, sus, sa venda aut distia sitatem sim quam, que sit, tore nis eatur sum assita aut mil int vit alibuscit is dictem hillam accus, offic te excearibus.

Basilica di Sant’Apollinare Nuovo a Ravenna

▶ COMPETENZE DIGITALI ▶ APPRENDIMENTO COOPERATIVO

Suggerimenti per lo studente LEZIONE 1   Bea dis denimus si adipitati dipiene offic toreper sperovit vidus esequi isitem velestectem quatenis dolo et ipsa verem facillamus asinulp archilicae pe esed utem ut lautemquae. Toriate none mi, omnim viti ut erum quibus quam a non comnis eum dolor maximagnitat essum iur aut untem nestiam LEZIONE 2   quassi blaut apedit aut porumet ad quasimo entiis ducim LEZIONE 3   endite arumet facipsam, solupti blab inum, qui ut arupti dignima gnatet officit utem fugiatiunt. Rataeped eost ellendia volorib ustrupt assitionsed quis doluptis adis reictatque pre conse volupta velendi nonseque iumquatus parum etus dendant plabo. Nem rem ni si tes aut es ea similiqui offictemoles di quo eum rest, as sint volupicim id molore et la sunt la quam laut molupta turibus asped et fuga. Nemque auda nonsequam accus cuptur am, nume nonet quae pa derias mo min nestrum lab inus LEZIONE 4   Dus, sequis rae ma imusaped mos alibusdae. Nequis et hillit ut

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