Il rischio sismico in Italia a cura di Giancarlo Sturloni
in questo fascicolo Schiacciata fra la placca africana e quella eurasiatica, la penisola italiana ha una lunga storia di terremoti. Tuttavia, gli eventi sismici sembrano coglierci ogni volta di sorpresa: ciò che manca è una cultura diffusa del rischio, capace di orientare i comportamenti individuali e collettivi a favore di una più adeguata gestione delle calamità naturali. Perché se è vero che i terremoti non si possono evitare e, in buona sostanza, nemmeno prevedere, è altrettanto vero che le conoscenze di cui oggi disponiamo permettono di mitigare il rischio con interventi di prevenzione efficaci. Questo fascicolo nasce con l’ambizione di favorire una maggiore consapevolezza del rischio sismico nella tua generazione, contribuendo a costruire una cittadinanza scientifica più informata, consapevole e attiva.
1 Il rischio sismico in Italia di Laura Pulici
Presente e passato Breve storia del rischio Infografica L’esposizione della popolazione al rischio sismico
2 Prevedere i terremoti di Giancarlo Sturloni Caso di studio
Aspettando il Big One di Tiziana Moriconi
2 5 6 7 10
3 La prevenzione del rischio sismico di Tiziana Moriconi 11 4 La gestione del rischio sismico di Giancarlo Sturloni 15 Caso di studio Scienziati alla sbarra
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5 Quando la terra trema di Giancarlo Sturloni
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Gestire la paura di Tiziana Moriconi Infografica Terremoto, istruzioni per l’uso di Laura Pulici
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Intervista
6 Imparare dai disastri di Giancarlo Sturloni Presente e passato
22 24
Di fronte alla catastrofe Infografica I terremoti più disastrosi della storia di Laura Pulici
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Investigare un sisma di Barbara Scapellato
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EAN 9788863641165
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Il rischio sismico in Italia
di Laura Pulici
L’Italia è un paese che trema spesso. Ogni giorno, in media, la Rete Sismica Nazionale registra 35 terremoti. Negli ultimi mille anni ci sono stati oltre 30 000 eventi sismici di media e forte intensità, di cui 220 disastrosi. Solo nell’ultimo secolo, più di 40 000 persone sono morte a causa di un terremoto. L’Italia è dunque un paese a rischio sismico. Inoltre, sebbene non
si siano mai registrati terremoti di estrema violenza, come quelli che periodicamente si abbattono sul Giappone o sulla California, il nostro è un territorio molto fragile, dove anche un sisma di media intensità può fare danni considerevoli a causa, soprattutto, dell’elevata densità di popolazione e dell’immenso patrimonio storico e artistico che caratterizzano l’Italia. Per tenere conto dei diversi fattori che contribuiscono a determinare le conseguenze di una calamità, l’Organizzazione delle Nazioni Unite ha proposto di definire il rischio (R) derivante da minacce naturali come il prodotto di tre fattori: pericolosità (P), vulnerabilità (V) e valore esposto (Ve):
R = P × V × Ve
La pericolosità indica la probabilità che, in un’area e in un intervallo di tempo stabiliti, si verifichi un evento calamitoso di una determinata intensità (per esempio, la probabilità che nei prossimi dieci anni Tokyo sia colpita da un terremoto di magnitudo 8). La vulnerabilità è una stima della predisposizione al danno e tiene conto della percentuale di edifici e infrastrutture che andranno distrutti. Il valore esposto valuta i danni sia in termini economici sia in termini di vite umane. Per approfondire questi aspetti e delineare un quadro del rischio sismico in Italia abbiamo parlato con Alessandro Amato, geologo e direttore del Centro Nazionale Terremoti dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV). Alessandro Amato, il centro da lei diretto si occupa di monitorare e registrare tutti i terremoti che avvengono in Italia. Per quale motivo il nostro paese trema così spesso? Il geologo Alessandro Amato.
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L’Italia trema perché è una terra geologicamente giovane situata tra la placca tettonica eurasiatica e quella africana, che si stanno lentamente scontrando fra
Il rischio sismico in Italia
loro. Se osserviamo gli spostamenti dei blocchi crostali dal satellite possiamo notare che la nostra penisola si allarga di alcuni millimetri all’anno dal Tirreno all’Adriatico. Purtroppo, questi scivolamenti non sono lenti e costanti, ma procedono a scatti, sottoponendo le rocce a deformazioni e spinte molto intense. Quando la resistenza di una certa porzione di crosta terrestre non riesce più a sostenere la pressione, la crosta si rompe generando un terremoto. Si tratta di piccoli movimenti rispetto a quelli subiti dalle grandi placche tettoniche del Pacifico e dell’America settentrionale e meridionale, che si spostano una rispetto all’altra di parecchi centimetri all’anno. Inoltre, i nostri terremoti sono quasi sempre superficiali e quindi sono più facilmente avvertiti dalla popolazione. Di solito avvengono in sequenze sismiche che durano molti giorni, spesso alcuni mesi e talvolta anni interi.
Le placche tettoniche nel bacino del Mediterraneo.
Quando si parla di rischio sismico in Italia, si fa riferimento alla mappa di pericolosità sismica prodotta dall’INGV: che cosa indica precisamente?
È una mappa che segnala in termini probabilistici in quali zone si potranno verificare scuotimenti dovuti a terremoti nei prossimi 50 anni. È costruita tenendo conto sia dei terremoti passati e recenti, sia delle caratteristiche geologiche del territorio. Quindi, in linea di massima, quanto più spesso una zona è stata interessata da terremoti di elevata intensità, tanto maggiore è la pericolosità sismica. Quindi se la pericolosità di un’area è elevata, vuol dire che il rischio sismico è alto?
Non sempre. Il rischio sismico è, infatti, il prodotto di tre fattori: pericolosità, vulnerabilità e valore esposto. Per esempio, una zona desertica potrebbe essere classificata ad alta pericolosità sismica, ma il rischio in questo caso è bassissimo perché nel deserto non ci sono case, industrie e persone. Al contrario, la Pianura Padana, pur essendo caratterizzata da bassi livelli di pericolosità, è a rischio sismico a causa dell’elevata densità abitativa e della concentrazione di attività produttive. A parità di sismicità, le conseguenze di un terremoto dipendono dalle caratteristiche di resistenza delle costruzioni e dalla presenza di beni e persone esposti al rischio. In ogni caso, in Italia il rischio zero non esiste. Se il rischio sismico è il prodotto di tre fattori, su quali si può intervenire per mitigarlo?
È evidente che non è possibile intervenire sulla pericolosità, in quanto è legata alla conformazione geologica. Al contrario, possiamo intervenire su vulnerabilità e valore esposto che dipendono strettamente dalle politiche di gestione del territorio. L’esposizione del nostro paese è altissima sia per la densità abitativa, sia per la presenza di un patrimonio storico-artistico tra i più importanti al mondo. Per abbassare il rischio, si può intervenire a livello di progettazione urbanistica. Anche la vulnerabilità è molto elevata: il patrimonio edilizio, industriale e infrastrutturale è assai fragile. Si deve quindi intervenire rinforzando gli edifici, a partire da quelli pubblici per arrivare a quelli privati. Subito dopo la tragedia del terremoto che colpì L’Aquila il 6 aprile del 2009, lo stato ha stanziato circa un miliardo di euro in sette anni per la riduzione del rischio sismico, promuovendo anche la verifica della vulnerabilità degli edifici pubblici. Qualcosa è stato fatto, tuttavia servirebbero programmi a più lunga scadenza e investimenti almeno cento volte superiori. In Turchia, dove i terremoti distruttivi sono frequenti, nell’ottobre del 2012 è stato avviato un piano antisismico che prevede l’abbattimento in vent’anni di 7 milioni di case, con una spesa di oltre 400 miliardi di dollari. Il rischio sismico in Italia
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A proposito di vulnerabilità degli edifici, esistono mappe o studi in grado di fotografare la situazione italiana?
Esistono, ma non sempre sono esaurienti. Tra le indagini più famose c’è il Rapporto Barberi, che ha censito nel biennio 1996-97 lo stato di vulnerabilità di oltre 40 000 edifici pubblici e strategici in Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia e Sicilia. Oggi manca però una valutazione edificio per edificio, a partire dalle zone dove la pericolosità sismica è maggiore. Spetterebbe alle amministrazioni locali effettuare le prime verifiche degli edifici pubblici e promuovere la microzonazione (studi mirati a definire in dettaglio le caratteristiche geologiche di ogni area e la loro risposta al terremoto) per orientare gli interventi antisismici, ma si tratta di un problema spesso poco sentito. Un edificio dovrebbe essere costruito in modo da non subire alcun danno in caso di terremoto di bassa intensità, non riportare danni strutturali per terremoti di media intensità e non crollare, pur potendo subire gravi danni, in occasione di forti terremoti. Purtroppo siamo in ritardo. Le nuove norme tecniche per le costruzioni, che vincolano la progettazione ai livelli di pericolosità sismica individuati dalla mappa dell’INGV, sono entrate in vigore in molte regioni solo dopo il terremoto aquilano. Ciò vuol dire che, ancora oggi, molte case in costruzione potrebbero non rispettare le nuova normativa antisismica perché il progetto è stato approvato prima del 2010. Pericolosità sismica, vulnerabilità ed esposizione: quali sono le città italiane più a rischio?
Le zone più a rischio si concentrano sulla dorsale appenninica fino ad arrivare alla Sicilia. Tra gli agglomerati urbani a maggior rischio ci sono capoluoghi di provincia popolosi come L’Aquila, Isernia, Campobasso, Benevento, Potenza, Cosenza, Catanzaro, Reggio Calabria, Messina e Catania. A questi si aggiungono i centri storici – circa la metà dei quali si trova nelle zone a più alto rischio – caratterizzati da numerosi edifici antichi di cui spesso non si conosce la resistenza dal punto di vista sismico. A parte la Sardegna, tutte le regioni italiane sono a rischio, perciò un terremoto non è un evento che dovrebbe sorprendere. Quali sono gli aspetti più importanti da tenere presenti nella gestione di un sisma?
Gli edifici dovrebbero resistere, magari danneggiarsi, ma non crollare, mentre le persone dovrebbero essere preparate ad affrontare il rischio. Occorre quindi promuovere una più attenta gestione del territorio, la messa in sicurezza degli edifici e una maggiore consapevolezza del rischio a livello della popolazione e delle autorità. Se conosco il pericolo, allora mi preparo ad affrontarlo. Per esempio, se so di vivere in una zona sismica, acquistando casa chiederò di conoscere se essa è stata costruita secondo le norme antisismiche. Le giovani generazioni possono avere un ruolo importante nello sviluppo di una maggiore consapevolezza del rischio sismico. Come si può agire nelle scuole per favorire questo percorso?
L’INGV organizza diverse iniziative con le scuole. Tutte le settimane classi di studenti visitano i nostri laboratori per capire che cosa facciamo e come si può “gestire” un terremoto. Nelle zone più a rischio, come la Basilicata o la Calabria, organizziamo iniziative mirate per far conoscere il problema, che si concludono con esercitazioni organizzate in collaborazione con la protezione civile. Questi eventi riscuotono sempre un buon successo. Il problema maggiore è far sì che le iniziative occasionali diventino continuative. È inoltre importante formare e aggiornare anche gli insegnanti, che potrebbero così insegnare insieme all’educazione civica anche l’educazione sismica. 4
Il rischio sismico in Italia
Ora tocca a te rivedi Quali sono le possibili cause dei terremoti? In che modo il modello del rimbalzo elastico formulato da Harry Fielding Reid spiega il meccanismo all’origine dei terremoti tettonici? rifletti Osserva la mappa a pag. 6: Sardegna e Sicilia presentano caratteristiche di esposizione al rischio completamente differenti. Prova a spiegarne la ragione in base alla carta di pag. 3, che mostra la posizione dell’Italia rispetto alla zona di convergenza tra la placca africana e quella eurasiatica. ricerca e condividi A che punto è lo studio di microzonazione sismica della tua città? Fai una ricerca in rete, o rivolgiti direttamente al centro di Protezione Civile locale, ed esponi i risultati alla classe, citando le fonti delle informazioni.
Breve storia del rischio
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el linguaggio quotidiano la parola rischio indica una minaccia o un pericolo. A livello tecnico, esso misura la probabilità che si possa verificare un evento avverso, come un incidente o un terremoto, e il danno che questo può provocare. Ma non è sempre stato così. Nel corso dei secoli, infatti, il concetto di rischio è stato oggetto di profondi mutamenti. Comparso in epoca premoderna nell’ambito del gioco d’azzardo e delle imprese marittime, all’inizio il rischio identificava il destino, la sorte, designando situazioni in cui la responsabilità umana era piuttosto marginale. In ambito mercantile era associato ai pericoli cui erano esposte le imbarcazioni durante la navigazione, indicando la possibilità di subire un danno in situazioni incontrollabili, come una tempesta o un’epidemia a bordo. Il significato e l’uso del termine sono cambiati nel Seicento con l’affermarsi della prima industrializzazione e della scienza moderna. Sarà poi lo sviluppo delle compagnie di assicurazione, nel Settecento, a permettere di concepire il rischio in termini probabilistici. Non a caso Jacob Bernoulli (1654-1705), uno dei più grandi matematici d’Europa, tra i padri fondatori della teoria della probabilità, dedicò gli ultimi vent’anni della sua vita a studiare l’incidenza dei rischi su commissione della più grande compagnia assicurativa dei Paesi Bassi. Y
Il rischio nella modernità: le responsabilità umane A partire dall’Ottocento la nozione di rischio non è più limitata agli eventi di origine naturale, ma comprende anche le conseguenze dei comportamenti e delle scelte degli esseri umani. Nel Novecento l’analisi del rischio si afferma in ambito economico per stimare l’andamento degli investimenti finanziari ed è usata dagli ingegneri per valutare la sicurezza degli impianti industriali. Oggi il termine rischio, soprattutto in ambito scientifico e tecnologico, fa riferimento agli esiti negativi o indesiderabili, quasi mai a quelli positivi. Negli ultimi decenni del Novecento l’attenzione si è focalizzata su pericoli con caratteristiche di incertezza più che di rischio calcolabile, come nel caso degli effetti dei cambiamenti climatici o delle previsioni a breve termine dei terremoti. Inoltre, le riflessioni sul rischio oggi includono diversi aspetti politici e sociali legati alla distribuzione dei danni. Che sia di origine antropica o naturale, sempre più spesso il rischio è ricondotto a una responsabilità umana. Anche nel caso dei terremoti, una gestione irresponsabile del territorio e la mancanza di efficaci interventi di prevenzione (edifici antisismici, piani di
presente & passato
emergenza, campagne di sensibilizzazione ecc.) possono contribuire ad aggravare l’entità delle conseguenze; viceversa, la messa in atto di sistemi di allerta e prevenzione può salvare migliaia di vite umane. Le circa 316 000 vittime del terremoto che colpì Haiti il 12 gennaio 2010 non furono solo la conseguenza della violenza del sisma (magnitudo 7,0, ipocentro a soli 13 km di profondità), ma anche della povertà diffusa, della mancanza di edifici costruiti con criteri antisismici e dell’inefficienza organizzativa nei soccorsi. Nel caso dello tsunami che il 26 dicembre del 2004 devastò Sumatra e diversi paesi del sud-est asiatico, molti hanno sottolineato come la presenza di un sistema di allerta avrebbe consentito di avvisare la popolazione nelle ore intercorse tra l’evento sismico e l’abbattersi delle onde sui litorali più lontani dall’epicentro, risparmiando migliaia di vittime. Proprio per questo si è arrivati a una definizione di rischio che, oltre alla pericolosità legata alla probabilità di un evento catastrofico, considera la vulnerabilità e il valore esposto che caratterizzano un territorio. Y
Il rischio sismico in Italia
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infografica
L’esposizione della popolazione al rischio sismico A rischio sismico elevato* popolazione % territorio % abitazioni % altri edifici
Fonti per questo contributo
Lombardia 172.618
Le province a maggior rischio in Italia Mappa ragionata della pericolosità sismica* e della densità abitativa *dati relativi ai comuni classificati come zona sismica 1, 2, 2A e 2B
I terremoti più disastrosi nella storia per numero di vittime
Carinzia e Friuli, 25 gennaio 1348 6,7 M - 10.000 vittime
4 2 2
Avezzano, 13 gennaio 1915 7,0 M - 33.000 vittime
16 12 13
Molise e Sannio, 5 dicembre 1456 7,0 M - 30.000 vittime
Popolazione residente nelle aree a rischio elevato
69 54 60 E. Romagna 1.337.508 34 30 32
Irpinia, 8 settembre 1694 6,9 M - 6.000 vittime 23 novembre 1980 6,9 M - 2.914 vittime
oltre 1.000.000 750.000 - 1.000.000 500.000 - 750.000 250.000 - 500.000
Montemurro, 16 dicembre 1857 7,0 M - 12.000 vittime
fino a 250.000
Sono esposti a rischio sismico elevato
Toscana 598.947 30 16 17
44% del territorio
Umbria 791.154 81 87 89 Marche 1.474.169 97 94 94 Lazio 1.914.989 65 37 52
84 57 66
6
36% della popolazione
Lamezia Terme, 27 marzo 1638 7,0 M - 10.000 vittime 8 settembre 1905 7,1 M - 557 vittime
Ogni 100 anni si verificano in media Reggio C. e Messina, 5 febbraio 1783, 7,0 M - 50.000 vittime 28 dicembre 1908 7,3 M - 100.000 vittime
100 5-10
terremoti di magnitudo tra 5,0 e 6,0 Molise 266.328
Abruzzo 703.602
coste a rischio tsunami
Verona, 3 gennaio 1117 6,5 M - 30.000 vittime
Veneto 552.757
Friuli V.G. 653.263
per magnitudo
91 84 86
terremoti di magnitudo superiore a 6,0
Campania 5.326.593 91 91 92
Il rischio sismico in Italia
Val di Noto, 11 gennaio 1693 7,4 M - 60.000 vittime
Puglia 824.826 41 19 16
Basilicata 507.331 91 87 89
Catania, 4 febbraio 1169 6,6 M - 20.000 vittime
Calabria 2.011.395 100 100 100
Sicilia 4.672.253 89 91 91
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Prevedere i terremoti
2 di Giancarlo Sturloni
Nonostante la mole di conoscenze che la moderna sismologia ha acquisito nell’ultimo secolo su cause e dinamiche degli eventi sismici, i terremoti restano fenomeni naturali per lo più imprevedibili. Nessuno,
ancora oggi, è in grado di anticipare l’arrivo di una scossa violenta con un grado di affidabilità e precisione tale da giustificare la diffusione di un allarme. Ciò però non significa che gli studi di previsione sismica non forniscano ugualmente informazioni preziose per migliorare le nostre capacità di mitigare il rischio. Oggi esistono tre tipologie di previsione sismica: a breve, a medio e a lungo termine. Le previsioni a lungo termine sono basate sulle serie storiche dei terremoti più importanti che hanno colpito in passato le diverse regioni del pianeta e permettono di stimare, in termini probabilistici, in quali macroaree (dell’ordine di alcune migliaia di kilometri) possiamo aspettarci un sisma violento nell’arco dei prossimi secoli o decenni. Consentono inoltre di valutare con buona approssimazione la massima magnitudo attesa e, nel caso dei maremoti, l’altezza e la velocità delle onde che si abbatteranno sulle coste. Grazie a queste conoscenze è possibile disegnare le cosiddette mappe di pericolosità sismica, uno strumento molto importante per pianificare opere di prevenzione nelle zone più a rischio. Negli ultimi anni si è rafforzata anche la possibilità di fare previsioni a medio termine, che consentono di stimare dove potrà verificarsi il prossimo terremoto distruttivo con una precisione di mesi o anni e un’incertezza spaziale di centinaia di kilometri. Queste previsioni si basano sulle statistiche di distribuzione degli eventi sismici minori e sfruttano la potenza di calcolo dei computer per tracciare, con l’aiuto di alcuni complessi algoritmi, una mappa delle zone più a rischio. Le previsioni a medio termine sono salite alla ribalta delle cronache, non senza polemiche, nella primavera del 2012, quando un gruppo di ricercatori italiani affermò di aver “previsto” con questo metodo un sisma violento in un’ampia fascia della penisola italiana nella quale erano compresi gli epicentri dei terremoti che colpirono l’Emilia e la Lombardia il 20 e il 29 maggio. Le previsioni a medio termine sono molto promettenti ma – è bene sottolinearlo – ancora in corso di validazione. Inoltre, a causa dell’incertezza spaziale della previsione (mai inferiore a 200 kilometri: un’enormità in un territorio densamente popolato come l’Italia), al momento la loro utilità non può anIl rischio sismico in Italia
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dare oltre il fornire indicazioni, comunque preziose, sulle zone dove destinare gli interventi antisismici prioritari. Il grande sogno resta tuttavia quello delle previsioni a breve termine, capaci di indicare dove colpirà un terremoto con un’approssimazione di alcuni kilometri e con un anticipo di pochi giorni. Questo permetterebbe di lanciare un allarme e prendere provvedimenti cautelativi immediati, come l’evacuazione di una città. Affinché questo sogno possa un giorno avverarsi, da tempo si studiano i precursori sismici.
I precursori sismici Fin dall’antichità le civiltà umane hanno cercato nei segni della natura
qualche anomalia in grado di annunciare l’arrivo di un terremoto. Sono stati indagati le costellazioni e il comportamento degli animali, per esempio il volo degli uccelli che, secondo gli antichi greci, erano indotti dagli dei a compiere particolari evoluzioni per avvertire gli umani dell’arrivo di un sisma. Seguendo un antico rituale, i sacerdoti etruschi interrogavano le viscere degli animali: se queste erano schiumose, i sacerdoti invocavano una processione fuori dalle mura e tutta la popolazione lasciava la città, mettendosi al riparo dagli effetti più distruttivi dell’eventuale sisma in arrivo. Ancora oggi, in particolare, è largamente diffusa la credenza che gli animali percepiscano l’arrivo di un terremoto manifestando improvvisi segni di inquietudine. Nei giorni che precedettero il terremoto che colpì L’Aquila il 6 aprile del 2009, una biologa inglese che stava studiando il comportamento di una colonia di rospi nella zona del lago di San Ruffino, a una settantina di kilometri dalla città abruzzese, osservò che d’improvviso, e senza alcuna ragione apparente, tutti i rospi abbandonarono le pozze d’acqua. Lo studio, pubblicato sul “Journal of Zoology”, ipotizza che qualche mutamento nelle rocce della zona causato dall’imminente terremoto avesse alterato l’habitat delle pozze, mettendo in fuga i rospi. Variazioni nelle rocce o nell’acqua sorgiva sono, del resto, altri importanti precursori sismici. Prima di forti terremoti si sono più volte osservate variazioni significative nel livello dei pozzi, nella portata delle sorgenti, nella torbidità o nella composizione chimica dell’acqua. Il terreno può subire deformazioni e millimetriche fratturazioni che favoriscono il rilascio del radon, un gas nobile presente in molte rocce. I gas nobili (elio, neon, argon, cripton, xenon e radon) sono gas per lo più inerti che raramente si combinano con altri elementi; il radon è radioattivo e può essere rilevato con appositi strumenti. In alcuni casi – ma non sempre – l’emissione di radon precede o accompagna un forte terremoto, per questo le sue concentrazioni sono attentamente monitorate in diversi paesi. In Italia, l’utilizzo del radon come precursore sismico ha scatenato accese polemiche nelle settimane che precedettero il terremoto di L’Aquila, quando Giampaolo Giuliani, un tecnico di laboratorio, dichiarò di aver misurato variazioni significative di questo gas nobile, predicendo per il mese di marzo un terremoto nella vicina area di Sulmona, che tuttavia non si verificò. Circa la metà dei terremoti violenti è inoltre preceduta da sciami sismici, una serie di scosse di intensità media o bassa che possono durare diversi mesi. Accadde anche a L’Aquila, dove il terremoto fu preceduto da quattro mesi di scosse. Tuttavia, nella grande maggioranza dei casi, i tremori si esauriscono senza dare luogo a eventi violenti; d’altro canto, molti terremoti distruttivi non sono preceduti da alcuna scossa premonitrice. Tra i possibili precursori sismici si possono citare anche variazioni magnetiche nelle rocce o alcuni fenomeni di luminescenza dell’aria, come le luci telluriche osservate prima del terremoto del Friuli nel 1976, ma sono talmente numerosi che per descriverli tutti servirebbe un’enciclopedia. Il problema è che, finora, nessuno degli innumerevoli precursori presi in esame si è rivelato uno strumento affidabile per predire i terremoti. I comportamenti anomali degli animali, per esempio, possono avere molteplici ragioni, difficili da interpretare in modo obiettivo, e non si può certo immaginare di basarsi sulle bizzarrie di rospi o serpenti per ordinare di evacuare una città di decine di migliaia di abitanti. Le variazioni geofisiche del sottosuolo hanno il vantaggio di poter essere misurate oggettivamente, ma finora non 8
Il rischio sismico in Italia
è stato possibile dimostrare una relazione di causa-effetto statisticamente significativa tra l’osservazione dei fenomeni precursori e il verificarsi di un evento sismico importante: spesso le anomalie sono associate al terremoto solo a posteriori, altre volte non sono seguite da alcun terremoto. Il rischio di falsi allarmi è notevole e si può facilmente immaginare che a forza di gridare «al lupo al lupo», senza ragioni fondate, ben presto la fiducia nelle previsioni si ridurrebbe al lumicino e nessuno darebbe più credito alle indicazioni degli scienziati.
Impareremo a prevedere i terremoti. O forse no. Nella storia moderna esiste un
USGS
unico caso in cui pare sia stato possibile prevedere con successo un terremoto. Accadde nel febbraio del 1975, quando gli abitanti della città di Haicheng, nel nord della Cina, furono evacuati in tutta fretta. In quel caso, i segnali premonitori erano stati numerosi: diverse sorgenti seccarono, si misurarono forti variazioni magnetiche nelle rocce, il terreno subì frane, fratture e sollevazioni, mentre i serpenti si svegliarono dal letargo e abbandonarono i nidi, per poi morire di freddo. Intanto gli strumenti registravano il progressivo accumularsi di migliaia di microscosse. Le autorità decisero allora di sgomberare una vasta area di Haicheng. Il giorno seguente, un terremoto di magnitudo 7,3 della scala Richter rase al suolo la città, abitata da un milione di persone. Si contarono ugualmente oltre mille morti, ma secondo alcune stime l’allarme permise di salvare 150 000 persone. L’illusione di aver finalmente trovato un modo di prevedere i terremoti si infranse però solo un anno dopo, quando il 28 luglio del 1976 un sisma devastante colpì senza preav- Un’immagine scattata viso la città industriale di Tangshan, nel nordest della Cina, provocando circa a Tangshan nel 1982, sei anni dopo 243 000 vittime. il devastante sisma I terremoti sono fenomeni complessi, causati da migliaia di fattori che in- del 28 luglio. teragiscono fra loro. Anche avendo a disposizione una completa conoscenza È ancora riconoscibile dei meccanismi con cui si formano, potremmo non essere mai in grado di fare la dislocazione del terreno. previsioni con la precisione necessaria a lanciare l’allarme. In altre parole, gli eventi Ora tocca a te simici potrebbero essere fenomeni caotici descrivibili rivedi Su quali elementi si basano in termini probabilistici, ma che sfuggono a qualsiasi la previsione deterministica e quella previsione deterministica. probabilistica? Quali sono i limiti atÈ presto per trarre una conclusione. La sismologia è tuali delle previsioni a medio e a breve una scienza giovane, e le sorprese non mancheranno. termine? Forse un giorno riusciremo a prevedere i terremoti anricerca e condividi Secondo alcuni che a breve termine, forse no. Fino ad allora, dovremo ricercatori cinesi, tra i precursori sismici accontentarci delle previsioni statistiche a medio-lundi scosse violente ci sarebbero anche go termine, proteggendoci con gli strumenti di prevenalcune nubi, chiamate earthquake clouds zione già a nostra disposizione. Senza dimenticare che, (nubi sismiche), che si formerebbero avendo a che fare con probabilità, e non con certezze, sopra la faglia che originerà il sisma. quando si dice che in un certo territorio un terremoto Quali caratteristiche avrebbero queste nubi? Come è stata accolta l’ipotesi nelè atteso nei prossimi dieci, cento o mille anni, nessuno la comunità scientifica? Fai una ricerca può escludere che si verifichi domani. in rete ed esponi i risultati alla classe, citando le fonti delle informazioni.
Il rischio sismico in Italia
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caso
di studio
di Tiziana Moriconi
Aspettando il Big One
ul sito dell’USGS (United States Geological Survey), nella pagina dedicata alla Bay Area di San Francisco, in California, si può leggere quanto segue: «La Bay Area è la tua casa. Ci sono molte faglie che produrranno sicuramente forti terremoti in futuro. Tutte le comunità della Bay Area sono a rischio – forti scosse, frane, liquefazione. Gli scienziati stimano che vi è oltre il 60% di probabilità che un grande terremoto interessi la regione entro i prossimi trent’anni». E ancora: «Ti colpiranno forti terremoti. Quello disastroso del 1980 di Loma Prieta, di magnitudo 6,9, non era il Big One! Se non ti prepari per il prossimo grande sisma, tu e la tua famiglia potreste restare senza casa, cibo, acqua, medicine e risorse economiche. COMINCIA A PREPARARTI ORA!». Seguono i consigli rivolti a tutti coloro che vivono lungo un tratto della famosa faglia di Sant’Andrea (in inglese, San Andreas Fault), in California. Si tratta di oltre 7 milioni di persone, una popolazione 25 volte più numerosa di quella che abitava a San Francisco il 18 aprile 1906, quando la città fu epicentro di una scossa che la rase al suolo quasi completamente. Y
Il terremoto del 1906 e la nascita della sismologia moderna A scoprire e a dare un nome alla profonda ferita nel sottosuolo (in realtà, un complesso sistema di faglie e fratture minori), lunga circa 1300 kilometri, che attraversa la California fu il geologo Andrew Cowper Lawson, nel 1895. Undici anni dopo, la parte settentrionale della faglia di Sant’Andrea si ruppe per 477 kilometri. La teoria della tettonica delle placche non era ancora stata formulata (arrivò più di cinquant’anni dopo), ma lo studio della faglia californiana prima e dopo il terremoto permise ugualmente al geofisico Harry Fielding Reid di formulare il suo modello del rimbalzo elastico, secondo il quale le rocce si comportano in maniera elastica e si deformano fino al limite di rottura. Insieme all’analisi di Lawson sugli effetti del terremoto, pubblicata nel 1908, questa teoria è alla base delle nostre conoscenze attuali sui terremoti e ci consente di sapere che in quest’area dobbiamo aspettarci un altro Big One. Si può dire che quel tragico 18 aprile nacque la sismologia moderna. Da allora la faglia di Sant’Andrea è l’area sismica più monitorata del mondo. Simulazioni al computer hanno ricostruito la dinamica del vecchio Big One, ed è attiva la ricerca sulle previsioni a medio termine mediante algoritmi di calcolo. A maggio del 2012 è stato pubblicato su “Science” uno studio del California Institute of Technology, dal significativo titolo Sotto il cofano della macchina
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Il rischio sismico in Italia
del terremoto: un nuovo modello ha permesso, per la prima volta, di riprodurre con buona approssimazione ciò che avviene in una zona della faglia di Sant’Andrea quando si genera un terremoto. In California, come in Giappone, la sismologia è scienza d’avanguardia. Nel 2004 è partito il progetto SAFOD (San Andreas Fault Observatory at Depth) che ha permesso di “toccare” la faglia, perforando la roccia fino a 5 kilometri di profondità per prelevare dei campioni da analizzare. Anche i cittadini partecipano a veri e propri progetti di ricerca, come il Quake Catcher Network: migliaia di sensori in grado di avvertire le scosse sono stati distribuiti in altrettante case e inviano i dati a un server centrale presso il centro di Berkeley. Il sistema prevede l’invio automatico di messaggi di allerta su smartphone e cellulari di chi si iscrive al programma: le informazioni su banda larga possono viaggiare con grande tempestività. Y
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La prevenzione del rischio sismico
3 di Tiziana Moriconi
Gli abitanti di San Giuliano di Puglia, in Molise, scoprirono di vivere in una zona fortemente sismica alle 11.32 del 31 ottobre 2002, quando la scuola elementare Francesco Jovine cedette a una scossa di magnitudo 5,7. Morirono 27 bambini e un’insegnante. Altri alunni si salvarono solo perché al momento del sisma
si trovavano all’esterno per le prove dello spettacolo di Halloween. In tre giorni, più di 150 scosse investirono 21 comuni e furono sfollate più di 5000 persone. Dieci anni dopo, anche la popolazione dell’Emilia ha scoperto di essere a rischio sismico. La mattina del 20 maggio 2012 un sisma di magnitudo 5,9 investe diversi comuni tra Modena e Ferrara. La Torre dell’Orologio di Finale Emilia, epicentro del terremoto, si spacca esattamente a metà. A buttarla giù del tutto sarà una seconda, forte scossa, appena nove giorni dopo. La terra si apre e, stando ai dati dal satellite, si solleva di circa 12 centimetri. Muoiono 27 persone, più di 13 000 vengono sfollate e i danni all’economia locale sono ancora oggi difficili da calcolare. Come è possibile che i cittadini dell’Emilia e del Molise non sapessero di vivere in un’area a rischio sismico? Esiste una mappatura della sismicità del territorio italiano? E, se esiste, è aggiornata e attendibile? In realtà, sia la comunità scientifica sia gli enti territoriali (regioni, province, comuni) sia la protezione civile erano a conoscenza della natura sismica delle due regioni colpite: l’Italia dispone di un ricco patrimonio di conoscenze storiche e scientifiche sui terremoti. L’informazione, però, non era arrivata ai cittadini. Dal 2004 possiamo contare inoltre su una mappa della pericolosità sismica dell’intero territorio nazionale, che a livello normativo ha sostituito le cosiddette mappe dei comuni. La mappa di pericolosità sismica è entrata in vigore nel 2006, ma la normativa per l’edilizia non si era ancora adeguata nel 2009, quando L’Aquila è stata rasa al suolo dal terremoto del 6 aprile. Si tratta di uno strumento abbastanza aggiornato e attendibile, basilare per pianificare ogni azione di prevenzione antisismica. Il rischio sismico in Italia
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Leggere la mappa di pericolosità sismica Per leggere la
0.050 - 0.075
0.075 - 0.100 mappa, liberamente consultabile online (http://zonesismiche. 0.100 - 0.125 0.125 - 0.150 mi.ingv.it), anche nella versione interattiva (http://esse1-gis. 0.150 - 0.175 mi.ingv.it), bisogna anzitutto ricordare che la pericolosità sismi0.175 - 0.200 0.200 - 0.225 0.225 - 0.250 ca non va confusa con il rischio sismico. La pericolosità è, in0.250 - 0.275 fatti, una caratteristica del territorio e indica la probabilità che 0.275 - 0.300 in una data area e in un certo intervallo di tempo si manifesti un terremoto che superi una determinata soglia di intensità. La pericolosità è espressa in termini di accelerazione orizzontale del suolo (ag, dove g è l’accelerazione di gravità, pari a circa 9,8 m/s2), cioè dell’intensità che potrebbe avere lo scuotimento (il parametro che più interessa architetti e ingegneri impegnati nell’edilizia antisismica). Se lo scuotimento è maggiore di 0,25 g, allora l’area è in fascia 1 (soggetta con maggiore probabilità a forti terremoti); tra 0,25 g e 0,15 g siamo in fascia 2, tra 0,15 e 0,05 in fascia 3 (scuotimenti modesti), inferiore a 0,05 in fascia 4. Si noti che nelle aree a più bassa pericolosità lo stesso scuotimento può La mappa di essere causato da un terremoto con epicentro prossimo o da un terremoto forte, pericolosità sismica (2004). ma con epicentro lontano. Guardando la mappa, si vede chiaramente che l’inte- dell’INGV In ogni luogo, il ro paese, fatta eccezione per la Sardegna, è soggetto a pericolosità sismica. valore dell’accelera «Attualmente la pericolosità sismica è stata stimata per 11 000 punti su tutto zione massima attesa il territorio italiano, con una distanza tra un punto e l’altro di 5 kilometri», spie- (riferita a suoli rigidi e pianeggianti) ga Carlo Meletti, ricercatore dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia potrebbe essere (INGV). «I valori di ciascun punto dipendono dalle caratteristiche geologiche superato in 10 casi profonde, come la presenza di faglie e il movimento delle placche. Il rischio ri- su 100 in un arco di guarda invece i potenziali danni a persone ed edifici che si avrebbero se il ter- tempo di 50 anni. remoto atteso si verificasse. Il terremoto atteso in una certa area non è il sisma più forte che si può verificare, né quello che di sicuro si verificherà, ma dà un’idea di cosa possiamo aspettarci e con quale frequenza. Per esempio, ci dice che in Italia i terremoti di magnitudo superiore a 7,2 sono rarissimi e attesi solo per determinate aree e su lunghi periodi di tempo». 0
Il monitoraggio sismico e l’aggiornamento della mappa Esiste anche un sistema
di monitoraggio continuo dell’attività sismica: la Rete Sismica Nazionale dell’INGV, con circa 300 stazioni che localizzano immediatamente ogni terremoto determinandone la magnitudo, e la Rete Accelerometrica Nazionale (RAN), con 464 stazioni digitali che registrano terremoti di media ed elevata intensità, gestite dal Dipartimento della Protezione Civile. A questi vanno aggiunti i dati raccolti tramite Gps che danno indicazioni sui movimenti reali (non stimati) del terreno e aiutano a individuare le zone attive dal punto di vista tettonico, cioè i punti di maggior tensione, dove l’energia si sta accumulando. Tutte queste informazioni vengono confrontate con la mappa esistente e saranno usate per i futuri aggiornamenti. La mappa attuale risale al 2004 e inizialmente era stato proposto che fosse obbligatoriamente aggiornata ogni 5 anni. Quest’obbligo, però, non riportato in Gazzetta Ufficiale, di fatto è venuto meno. «Il motivo è che 5 anni non sono sempre sufficienti affinché le normative tecniche si mettano in pari – spiega Meletti – e c’era il rischio che la mappa venisse modificata prima ancora che la precedente fosse stata recepita».
Oltre la mappa di pericolosità sismica: la microzonazione Anche la mappa ha
un limite. «I calcoli sono fatti rispetto al comportamento di un terreno ideale: pianeggiante, con una rigidezza standard. Sappiamo, invece, che gli ultimi 30-40 metri del suolo possono modificare in modo sostanziale le caratteristiche dell’onda sismica, in termini di frequenza e ampiezza», spiega Alberto Prestininzi, direttore del Centro di Ricerca CERI 12
Il rischio sismico in Italia
50 100 150 km
Stefano Pucci/INGV
Previsione Prevenzione e Controllo dei Rischi Geologici dell’Università Sapienza di Roma. «Bisogna stimare, quindi, gli effetti superficiali: per esempio, un terreno sabbioso ha un potenziale di liquefazione maggiore rispetto ai terreni argillosi, mentre i versanti appenninici possono essere soggetti a frane. In un’area con un livello di pericolosità ideale media potremmo scoprire piccole zone con pericolosità reale elevata». Questo tipo di studi si chiama microzonazione sismica e fornisce informazioni complementari alla mappa di pericolosità. «Sono ricerche di enorme importanza – continua Prestininzi – e ne abbiamo avuto prova in Emilia, dove il fenomeno della liquefazione non era stadella liquefato considerato». In Emilia, infatti, la terra non ha solo tremato, ma si è liquefatta. Effetti zione del suolo Sono comparsi dei piccoli coni allineati sul terreno, buchi da cui fuoriusciva una a S. Carlo, in provincia specie di limo, una sabbia fine e liquida non più in grado di sostenere gli edifici, di Modena. che avrebbero potuto sprofondare come accadde nel 1964 a Niigata, in Giappone, quando i palazzi caddero come tessere del domino. Il fenomeno della liquefazione, ben noto ai geologi, è causato dall’aumento della pressione dell’acqua sul terreno compresso dalle onde sismiche. Si verifica in caso di terremoti violenti, generalmente con una magnitudo superiore a 5, e interessa solo alcuni tipologie di suoli (cosiddetti incoerenti) costituiti da sabbie e argille, come quelli che si trovano nella Pianura Padana. Nell’area emiliana colpita dal terremoto è ora in corso un censimento delle zone a rischio liquefazione. «La vera prevenzione sismica si può fare solo comprendendo il reale comportamento del terreno, per erigere opere in grado di resistere», conclude Prestininzi.
L’edilizia antisismica Se è vero dunque che i terremoti non si possono evitare, è altrettanto vero
che è possibile intervenire nelle zone a maggior pericolosità sismica, oggi note, per contenere i danni attraverso opere di prevenzione. Il terremoto di L’Aquila ha risvegliato le coscienze e dal 1 luglio 2009 la normativa antisismica prevede che, per tutte le nuove costruzioni (o per gli interventi strutturali sulle costruzioni esistenti), ci si attenga alla mappa di pericolosità. Intanto, la ricerca nel campo dell’edilizia antisismica procede su più fronti. I modelli matematici dei sismi, che cercano di riprodurre l’evoluzione delle faglie, la reazione dei terreni e gli effetti sulle strutture esistenti, stanno facendo passi da gigante. L’obiettivo è sapere che cosa aspettarsi: non per costruire ovunque bunker indistruttibili – sarebbe economicamente insostenibile, nonché superfluo per la maggior parte delle aree sismiche – ma strutture che, in caso di terremoto, pur danneggiandosi, non mettano in pericolo le persone. La ricerca non si avvale solo di simulazioni virtuali: la National Science Foundation (NSF) statunitense, per esempio, ha creato un rete di laboratori chiamata NEES (Network for Earthquake Engineering Simulation) che permette ai ricercatori di diversi atenei di sperimentare gli effetti di un sisma su diverse strutture reali (grattacieli, ponti, centrali elettriche ecc.). Gli strumenti comprendono centrifughe e vasche per riprodurre gli tsunami, e i dati raccolti sono immediatamente condivisi tra tutti i centri di ricerca. Nel nostro paese, nel campo dell’ingegneria edile antisismica sono attivi ReLuis, la Rete dei Laboratori Universitari di Ingegneria Sismica nata nel 2003, insieme al Centro Europeo di Formazione e Ricerca in Ingegneria Sismica (Eucentre) di Pavia e all’Istituto Nazionale di Oceanografia e Geofisica Sperimentale (OGS) di Trieste. Oggi, in Italia, è possibile costruire edifici antisismici con costi superiori di appena il 3-10% rispetto agli edifici non sicuri. Si cominciano ad applicare tecniche di isolamento dal suolo sperimentate da oltre vent’anni in Giappone e negli Stati Uniti, e sistemi intelligenti, come contrappesi mobili in grado di avvertire le vibrazioni e opporsi alle oscillazioni in caso di terremoto. Altra questione è intervenire sul patrimonio edilizio esistente. Uno dei Il rischio sismico in Italia
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modi più efficaci, nonché a basso costo, per ridurre il rischio di crolli è l’impiego delle cosiddette catene: travi che tengono unite le pareti ed evitano che la struttura possa aprirsi. Le più comuni e resistenti sono in acciaio, anche se ultimamente vengono proposte catene in materiali plastici compositi. Per citare un esempio celebre, la tecnica dell’incatenamento è stata utilizzata nella Cupola di San Pietro a Roma.
Gli edifici scolastici in Italia La situazione dell’edilizia scolastica italiana merita una par-
ticolare attenzione. «In Italia ben 27 920 edifici scolastici sono in aree potenzialmente a elevato rischio sismico. Molte di queste scuole sono state costruite prima del 1974, anno in cui sono entrate in vigore le norme antisismiche (il 44% degli edifici è stato costruito tra il 1961 e il 1980, ndr) e addirittura alcuni edifici sono stati costruiti prima del 1900 (il 4% del totale, ndr). In alcuni casi abbiamo edifici che inizialmente erano nati come abitazioni o come caserme e quasi una scuola su due non ha il certificato di agibilità». Sono stralci di un comunicato stampa diramato all’inizio dell’anno scolastico 2012-2013 dal Consiglio Nazionale dei Geologi. Attraverso l’iniziativa #scuolesicure la rivista “Wired Italia” ha provato a creare una mappa del rischio degli edifici scolastici italiani. L’inchiesta si è conclusa il 9 novembre 2012 mostrando che delle oltre 20 000 scuole a rischio sismico (circa la metà delle 45 000 scuole italiane), meno di una su dieci è stata sottoposta a controlli, e solo per le scuole di Abruzzo e Lazio sono stati pubblicati i rispettivi indici di rischio. La mappa è stata disegnata incrociando i dati del Ministero dell’Istruzione e quelli forniti dagli enti locali, avvalendosi anche dell’aiuto dei lettori e dei cittadini che hanno aderito all’iniziativa.
Per una cultura del rischio «Per sapere cosa dobbiamo aspettarci dal futuro, dobbiamo
guardare al passato», dice Romano Camassi, sismologo dell’INGV, storico dei terremoti e tra i responsabili di Edurisk, un importante progetto di diffusione della cultura del rischio sismico rivolto alle scuole. Camassi è attivamente impegnato nell’aiutare le nuove generazioni a costruire una cultura del rischio sismico. Occorre recuperare la memoria e imparare a leggere i segni che un terremoto lascia, a cominciare da quelli presenti nel tessuto urbano. In Sicilia, per esempio, esistono interi paesi fantasma, abbandonati dopo un terremoto, che possono essere considerati dei musei a cielo aperto. Torniamo dunque al terremoto che ha colpito l’Emilia nel maggio del 2012. «Quella zona era in realtà molto conosciuta dal punto di vista tettonico e con eventi importanti, come il forte sisma del novembre 1570 di Ferrara, una sequenza di cui sappiamo molte cose e di cui abbiamo molte testimonianze». Nella Sala d’Ercole Farnese di Palazzo D’Accursio a Bologna, per esempio, c’è ancora Ora tocca a te oggi l’affresco dipinto da Francesco Francia nel 1505 della Madonna del Terremoto. rivedi Da quali fattori dipendono i danni agli edifi«Non è l’unica opera d’arte che ricorda agli ci e alle altre strutture causati dalle onde sismiche? emiliani la loro storia di terremotati. Quasi rifletti Secondo te è importante che ingegneri, ovunque possiamo creare dei percorsi cularchitetti, geologi e politici lavorino insieme per turali, iconografici e artistici – incluse crela prevenzione del rischio sismico, e in che modo? Che cosa si dovrebbe fare, a livello nazionale e denze popolari e tracce linguistiche – che locale, per promuovere una vera cultura del rischio riflettono la storia sismica dei luoghi». nel nostro paese? Proteggerci dai terremoti è dunque posricerca e condividi Nel 1985 in Messico, come sibile. Esistono le conoscenze storiche e pure nel 1964 in Giappone, gli effetti del sisma scientifiche. Esistono gli strumenti di preprodussero la liquefazione del suolo. Fai una ricerca venzione. Tuttavia, costruire una vera culonline e metti a confronto le caratteristiche tura del rischio sarà possibile solo favorendi questi eventi con quanto avvenuto in Emilia do la nascita di una cittadinanza scientifica nel maggio del 2012, individuando analogie e informata. differenze, poi presenta alla classe le tue considerazioni citando le fonti utilizzate.
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La gestione del rischio sismico
4 di Giancarlo Sturloni
L’Italia fondò un sistema di protezione civile nazionale dopo la tragica esperienza del terremoto che devastò l’Irpinia nel 1980, quando la mancanza di piani di emergenza aggiornati e imperdonabili ritardi nei soccorsi aggravarono una situazione già critica: sotto le macerie, alcuni sopravissuti attesero l’arrivo dei soccorsi per più di una settimana e il paese si accorse in modo drammatico di non avere risorse adeguate per affrontare un terremoto. Il governo nominò un
commissario straordinario per gestire l’emergenza, incarico assunto dal deputato Giuseppe Zamberletti, considerato il padre fondatore del moderno sistema di protezione civile nazionale. Nel 1982 furono quindi istituiti il Ministero della Protezione Civile e il suo braccio operativo, il Dipartimento della Protezione Civile. Nel 1992 nacque infine il Servizio Nazionale della Protezione Civile, che ha assunto le funzioni di coordinamento tra le diverse componenti deputate alla gestione delle emergenze: comuni, province, regioni, ministeri, oltre a diversi enti pubblici e privati, tra cui gli istituti scientifici, come l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV). Il Servizio Nazionale della Protezione Civile si avvale inoltre di numerose strutture operative: dai Vigili del Fuoco alla Croce Rossa, dalle Forze Armate alla Polizia, fino alle associazioni di volontariato presenti sul territorio. In caso di calamità con conseguenze limitate, il primo responsabile della protezione civile è il sindaco del comune colpito, che ha il compito di organizzare la macchina dei soccorsi mobilitando le risorse locali (evento di tipo a). Tuttavia, se queste non sono sufficienti a fronteggiare l’evento calamitoso, il sindaco può chiedere l’intervento della provincia e della regione (evento di tipo b). Nei casi più gravi, che impongono misure straordinarie, viene dichiarato lo stato di emergenza (evento di tipo c): la mobilitazione è nazionale e il coordinamento delle risorse è affidato al Dipartimento della Protezione Civile, che oggi fa capo al Ministero dell’Interno e alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. L’attività di protezione civile coinvolge dunque l’intera organizzazione dello stato, garantendo un alto grado di flessibilità operativa sul territorio. Il rischio sismico in Italia
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I piani di emergenza Il cuore di qualsiasi programma di protezione civile è il cosiddetto piano
di emergenza che stabilisce le procedure da seguire per prestare soccorso alle vittime e limitare i danni degli eventi calamitosi che possono interessare un’area specifica. Nel caso dei terremoti, ogni piano di emergenza che si rispetti nasce dall’attento studio di tre fattori: la pericolosità sismica del territorio, la sua vulnerabilità, le risorse che possono essere attivate per far fronte al disastro. In base a quest’analisi, un’apposita figura professionale, il disaster manager, ha il compito di delineare i possibili scenari di rischio e pianificare le contromisure più efficaci. Tuttavia, anche il piano più accurato può fallire di fronte all’imprevedibilità delle situazioni reali. Se ne ebbe un clamoroso esempio il 17 ottobre del 1989, quando un terremoto di magnitudo 6,9 si abbatté su San Francisco, in California, svelando le debolezze del celebre Earthquake General Plan, un piano di emergenza all’avanguardia costato cinque milioni di dollari e concepito per proteggere la costa occidentale degli Stati Uniti anche nel peggiore degli scenari. Nonostante il piano fosse stato collaudato con successo solo un mese prima del sisma, alla prova dei fatti le strutture della protezione civile californiana collassarono, mostrandosi incapaci di scambiarsi informazioni vitali e di coordinare gli interventi di soccorso. Alla fine si contarono 63 morti e migliaia di feriti, di cui 400 in gravi condizioni. Secondo gli analisti, oltre la metà delle vittime fu causata da ritardi e gravi inadempienze nella gestione dell’emergenza. In quello stesso anno, del resto, una ricerca internazionale aveva messo in luce i molti punti deboli dei piani di emergenza predisposti in diversi paesi, spesso basati su ineffabili capacità di coordinamento dei soccorritori destinate a fallire nella realtà, previsioni di risorse assenti, popolazioni non informate. Da allora, molte cose sono migliorate. Dieci anni più tardi, quando nell’ottobre del 1999 un terremoto di magnitudo 7,1 colpì Los Angeles, fu anche grazie a un piano di emergenza all’altezza delle aspettative che si contarono solo cinque feriti. Il fallimento dell’Earthquake General Plan insegnò che un buon piano di emergenza deve essere sufficientemente flessibile per far fronte anche agli scenari non previsti. Per questo motivo la pianificazione dell’emergenza della protezione civile italiana oggi si basa sul cosiddetto Metodo Augustus, che deve il nome a una celebre frase del primo imperatore romano, Ottaviano Augusto (63 a.C.-14 d.C.): «Il valore della pianificazione diminuisce all’aumentare della complessità dello stato delle cose». Piani troppo rigidi e complessi, per quanto accuratamente studiati, rischiano di fallire se non possono essere adattati in modo facile e rapido alla realtà, spesso imprevedibile, di un’emergenza reale; meglio allora puntare sulla semplicità e sulla flessibilità, come insegnava l’imperatore Augusto.
La gestione del rischio in “tempo di pace” La gestione del rischio sismico è un’attività
complessa che non può essere ridotta solo alla fase di emergenza, ma che, al contrario, per essere efficace deve essere svolta anche in “tempo di pace”, cioè nelle fasi che precedono e seguono un terremoto. Se agli esordi della protezione civile l’attenzione era per lo più focalizzata sul soccorso e sull’assistenza alle popolazioni, oggi si ritiene che una parte rilevante delle risorse debba essere destinata alle attività di previsione e prevenzione del rischio. Queste comprendono gli studi sulla sismicità territoriale, gli interventi di mitigazione, la formazione degli operatori professionisti e volontari, anche attraverso esercitazioni periodiche, l’informazione alla popolazione, la pianificazione delle misure da attuare in caso di calamità. Inoltre, come è noto, il sostegno alle comunità colpite da un terremoto deve continuare anche dopo l’emergenza, per facilitare la ricostruzione e il ripristino della normalità. È infine importante preservare la memoria storica del rischio sismico, perché in Italia i terremoti distruttivi non sono così frequenti e possono colpire la stessa area anche a distanza di diverse generazioni, impedendo che il ricordo mantenga viva la consapevolezza di risiedere in un territorio vulnerabile. 16
Il rischio sismico in Italia
Su questa base, oggi il Servizio Nazionale della Protezione Civile opera secondo quattro fondamentali direttrici d’azione: previsione, prevenzione, soccorso e ripristino. La moderna gestione del rischio sismico, inoltre, prevede un ruolo attivo dei cittadini che non possono limitarsi ad aspettare passivamente l’arrivo dei soccorsi, ma devono essere messi in grado di attuare azioni efficaci di autoprotezione. Naturalmente, perché ciò sia possibile, i cittadini devono essere informati sui rischi cui sono esposti e sapere che cosa fare per mettersi in salvo. Compito delle istituzioni è quindi fornire queste informazioni attraverso un’efficace attività di comunicazione del rischio. L’immagine dei bambini giapponesi coinvolti nelle frequenti esercitazioni antisismiche che, senza bisogno di attendere istruzioni, al segnale di allarme si rifugiano sotto i banchi indossando i caschetti di protezione è emblematica del ruolo positivo che può svolgere l’educazione al rischio. Per affrontare l’emergenza senza farsi prendere dal panico è necessario sapere già cosa fare, e questo tipo di preparazione si ottiene solo con l’informazione e l’addestramento. Sono questi i presupposti per costruire una cultura del rischio che ci renda cittadini consapevoli sia dei pericoli a cui siamo esposti, sia dei possibili rimedi.
Gestire l’incertezza La necessità di informare e coinvolgere attivamente i cittadini per affron-
tare un’emergenza è rafforzata dal fatto che la gestione del rischio sismico è caratterizzata da un elevato grado di incertezza. Un tipico esempio è l’esito incerto di uno sciame sismico che, nella maggior parte dei casi, si esaurisce senza conseguenze di rilievo, mentre solo in rare occasioni anticipa una scossa violenta. Pur con probabilità diverse, possono verificarsi entrambi gli scenari e non c’è alcun modo di sapere in anticipo che cosa accadrà. Di conseguenza, prendere qualsiasi decisione non è semplice. Ordinare l’evacuazione di una città è un’operazione costosa e non priva di rischi, ma non adottare alcuna precauzione potrebbe mettere a repentaglio molte vite umane. I terremoti che hanno colpito la nostra penisola negli ultimi anni hanno messo esperti e istituzioni deputate alla gestione del rischio di fronte alle difficoltà di comunicare l’incertezza ai cittadini. Nel caso del terremoto che ha colpito l’Abruzzo il 6 aprile del 2009, il maldestro tentativo di tranquillizzare la popolazione ha avuto importanti ripercussioni giudiziarie. caso di studio pag . 18 Nel 2012, dopo le scosse del 20 e 29 maggio in Emilia e in Lombardia, i responsabili della protezione civile hanno fatto la scelta opposta, enfatizzando la possibilità imminente di una nuova forte scossa, finendo per creare molto allarme in una popolazione per lo più impreparata ad affrontare un evento sismico. Trovare un equilibrio fra rassicurazione e allarmismo non è facile, e la gestione del rischio in situazioni di incertezza è una delle sfide più impegnative per le istituzioni coinvolte nella protezione civile. Secondo molti esperti di comunicazione del rischio, l’unica soluzione praticabile è condividere con i cittadini le informazioni disponibili, ammettendo le incertezze e lasciando a ciascuno la libertà di decidere quali precauzioni adottare: se dormire in casa o all’aperto, se lasciare la città o restare. Più in generale, oggi si ritiene che la necessità di prendere decisioni urgenti in condizioni di incertezza imponga alle istituzioni di condividere la responsabilità delle scelte con l’intera società. Ancora una volta, dunque, ai cittadini è richiesto di Ora tocca a te svolgere un ruolo attivo, partecipando alle decisioni ricerca e condividi Documentati ed esercitando a pieno titolo il proprio diritto di cittadisulla struttura del Dipartimento della nanza nella gestione dei rischi. Naturalmente, affinché Protezione Civile (in particolare, su ciò possa accadere, esperti e istituzioni devono assicome è costituita l’Unità di crisi locale curare alla popolazione un’informazione tempestiva della tua città), realizzando una mappa e trasparente, capace di favorire scelte consapevoli. concettuale. Come si fa a diventare Perché quando la terra trema, conoscere il rischio e ciò volontario di protezione civile? che possiamo fare per proteggerci può fare davvero la Qual è il ruolo dei volontari durante differenza. un’emergenza? Il rischio sismico in Italia
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caso
di studio
Scienziati alla sbarra
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l 21 ottobre 2012 il tribunale di L’Aquila ha condannato in primo grado un alto funzionario del Dipartimento della Protezione Civile e sei importanti scienziati della Commissione Nazionale dei Grandi Rischi a sei anni di reclusione per omicidio colposo plurimo. Secondo il giudice, gli imputati non avevano informato correttamente la popolazione aquilana sui rischi dello sciame sismico che precedette il terremoto del 6 aprile 2009, in cui morirono 309 persone. La Commissione – un organo di consulenza tecnico-scientifica della protezione civile – si era riunita a L’Aquila il 31 marzo del 2009 su richiesta di Guido Bertolaso, ex capo del Dipartimento della Protezione Civile. Da mesi il territorio aquilano era scosso da un intenso sciame sismico che allarmava la popolazione. Alla riunione erano presenti sei importanti scienziati italiani, tra cui l’allora direttore dell’INGV Enzo Boschi, e Bernardo De Bernardinis, braccio destro di Bertolaso. Al termine dell’incontro De Bernardinis tenne una conferenza stampa per rassicurare gli aquilani e, davanti alle telecamere, lasciò intendere che non c’era pericolo perché lo sciame sismico stava dissipando energia, facendo così diminuire le probabilità di una scossa distruttiva. Una settimana dopo, invece, una scossa di magnitudo 6,3 colpì L’Aquila provocando la morte di 309 persone. Secondo l’accusa, 29 di loro si sarebbero potute salvare, dormendo fuori casa o trasferendosi temporaneamente altrove, se non fossero state impropriamente rassicurate. La sentenza ha suscitato molto scalpore nella comunità scientifica, sia in Italia che all’estero. Da alcuni è stata interpretata come un’ingiusta condanna alla scienza per non aver saputo prevedere il terremoto, cosa notoriamente impossibile. In realtà, il processo era basato sull’accusa di aver fornito alla popolazione «informazioni inesatte, incomplete e contraddittorie». Y
Gestire il rischio: l’importanza della comunicazione Secondo le attuali conoscenze, uno sciame sismico come quello in corso a L’Aquila in quei mesi solo raramente prelude a un terremoto di forte intensità. In altre parole, la probabilità che allo sciame sismico potesse seguire una scossa distruttiva era bassa, ma non del tutto trascurabile. Ciò era ovviamente ben noto agli scienziati della Commissione, ma, nel tentativo di placare i timori della popolazione, l’incertezza finì per essere tradotta in un messaggio ottimistico – non ci saranno scosse più intense – e la bassa probabilità in un rischio inesistente. Secondo l’accusa che ha portato alla sentenza, si
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Il rischio sismico in Italia
è trattato di un grave errore che ha indotto alcune vittime a non adottare alcuni degli ormai abituali comportamenti di autoprotezione, come passare la notte all’aperto, che avrebbero potuto salvare loro la vita. Poiché la giurisprudenza italiana prevede diversi gradi di giudizio, per la sentenza definitiva occorrerà attendere che la giustizia faccia il suo corso. Si tratta in ogni caso di una vicenda destinata ad aprire un’importante discussione sulle procedure di gestione del rischio sismico. Sul banco degli imputati, infatti, è finita soprattutto l’incapacità degli scienziati di comunicare in modo corretto il rischio sismico. Del resto, alla riunione non era presente alcun esperto di comunicazione del rischio; lo stesso organico del Dipartimento di Protezione Civile non prevede figure professionali con questo genere di competenze che, tuttavia, appaiono sempre più importanti per assolvere il delicato compito di informare correttamente i cittadini di fronte a un’emergenza. Y
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Quando la terra trema
5 di Giancarlo Sturloni
Quando la terra trema, ogni nostra certezza vacilla e restare paralizzati dalla paura mentre intorno il mondo crolla è un’esperienza drammatica che accomuna molti sopravvissuti ai terremoti. Tuttavia,
se è vero che i terremoti non si possono evitare né prevedere, e che di fronte alle forze della natura è facile provare un sentimento di impotenza, è altrettanto vero che dagli effetti delle scosse oggi possiamo difenderci. Con la conoscenza del territorio, anzitutto, per non farci trovare impreparati. Con la prevenzione antisismica, costruendo edifici più sicuri. E con l’informazione e l’addestramento, per affrontare l’emergenza adottando comportamenti adeguati. Perché quando la terra trema c’è una sola salvezza: sapere già che cosa fare. Più saremo preparati, più speranze avremo di salvarci. Sui siti della Protezione Civile, dell’INGV e dell’iniziativa Terremoto – Io non rischio (www.iononrischio.it) è possibile trovare diversi materiali informativi che insegnano a difendersi dai terremoti. Ecco i consigli degli esperti; alle pp. 22-23 li proponiamo in una sintesi visiva.
Durante il terremoto Non sono le scosse in sé a minacciare la nostra incolumità (all’aperto
rischiamo al più di perdere l’equilibrio), ma il crollo delle costruzioni che ci circondano. Il pericolo maggiore riguarda dunque chi si trova all’interno di un edificio. Se le scosse vi sorprendono mentre siete a scuola o a casa, la prima raccomandazione è di cercare riparo sotto il banco o un tavolo robusto, adottando la cosiddetta posizione a goccia: accucciati sulle ginocchia, con le braccia a protezione della testa e del collo. In alternativa, potete riparavi sotto il vano di una porta, sotto una trave, o addossarvi a un muro portante (quelli più spessi, quindi più solidi). È molto importante evitare di restare al centro della stanza, perché il soffitto o il lampadario potrebbero crollare, e allontanarsi dalle finestre: il telaio potrebbe deformarsi facendo esplodere i vetri verso l’interno. Un altro pericolo molto serio viene dai mobili pesanti, come le librerie, che possono rovesciarsi. All’aperto dovrete allontanarvi da tutto ciò che può cadervi addosso, cercando rifugio in uno spazio libero da costruzioni, come un prato o una piazza; se siete su un marciapiede, cercate riparo nel vano di un portone. Se state guidando l’auto o il motorino, accostate in attesa che le scosse finiscano, ma lontano da ponti, sottopassi e terreni franosi. Il rischio sismico in Italia
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Dopo il terremoto Una scossa di terremoto dura sempre meno di un minuto. Sono attimi terri-
bili, che sembrano non finire mai. Quando la terra cessa di tremare, il peggio è passato, ma occorre fare ancora molta attenzione. Per prima cosa, assicuratevi che le persone intorno a voi stiano bene e, se necessario, prestate i primi soccorsi. Se siete in casa, chiudete i rubinetti di acqua e gas per evitare rischi di allagamento o di incendio, dato che le tubature potrebbero essersi danneggiate. Indossate scarpe robuste, meglio se a suola alta, perché le strade potrebbero essere ingombre di vetri e detriti. Quindi uscite con prudenza, evitando l’ascensore e verificando l’integrità delle scale. Se siete in riva a un lago o al mare, allontanatevi dalla spiaggia cercando riparo in un posto elevato per evitare il rischio di essere travolti da onde di tsunami. In città, raggiungete le aree di attesa previste dal piano di emergenza comunale. L’uso di automobili e telefoni dovrebbe essere limitato a seri motivi di necessità, per evitare di intralciare i soccorsi. Durante l’emergenza, anche i social network possono aiutarvi a capire velocemente che cosa sta succedendo. Naturalmente, occorre evitare di intasare la rete con commenti inutili, lasciando spazio ai messaggi di servizio. In tutti i casi, come dicono gli americani: «prima scappa, poi twitta»!
Prima del terremoto Che cosa fareste se un terremoto colpisse la vostra città? Sareste pronti?
Prepararsi a fronteggiare un terremoto significa innanzitutto informarsi se si vive in una zona a rischio, se gli edifici in cui passiamo la maggior parte del nostro tempo (casa, scuola ecc.) sono antisismici, se esiste un piano di emergenza in caso di calamità. Nella maggior parte delle nostre abitazioni, il pericolo maggiore deriva dalla caduta di oggetti: una buona prevenzione, dunque, comincia con piccoli ma importanti accorgimenti, come riporre gli oggetti pesanti sugli scaffali più bassi, fissare al muro le librerie, non appendere quadri e specchi sopra letti o divani. Gli esperti consigliano anche di tenere a portata di mano un kit d’emergenza. La protezione civile invita anche a esercitarsi a casa e a scuola, immaginando che cosa fareste per proteggervi da un terremoto improvviso. Per esempio, individuate un riparo sicuro in ogni stanza in cui potreste trovarvi e chiedetevi che cosa fareste subito dopo. Dove sono i rubinetti di acqua e gas? Quali oggetti importanti (cellulare, occhiali, chiavi) dovrete prendere prima di uscire? Sapere in anticipo che cosa fare vi aiuterà a gestire la paura e a non restare in balia degli eventi.
Prima di ogni altra cosa: l’informazione Tilly Smith aveva solo 10 anni quando, il 26 di-
cembre 2004, un terremoto di magnitudo 9,1 sconvolse le coste dell’Oceano Indiano. Quel giorno Tilly si trovava in vacanza su una spiaggia di Phuket, in Thailandia. D’improvviso, vide il mare ritirarsi. Molti turisti, incuriositi da quello strano fenomeno, si avvicinarono al bagnasciuga, che ora si allungava a perdita d’occhio verso l’orizzonte. Tilly invece gridava a squarciagola. Sapeva che cosa sarebbe successo: a scuola, la settimana precedente, l’insegnante di geografia aveva spiegato come si forma uno tsunami. Prima il mare si ritira, anche per centinaia di metri; poi si gonfia e con una Ora tocca a te forza immensa si riversa sulle coste, distruggendo ogni cosa. Tilly riuscì a convincere un centinaio di ricerca e condividi Segui le indicazioni persone ad abbandonare la spiaggia e a rifugiarsi riportate in questo contributo per prepasul tetto dell’hotel. Appena in tempo: sotto di loro, rarti ad affrontare un’emergenza a casa, a un muro d’acqua si abbatté sul litorale facendo a scuola, negli altri luoghi che frequenti di più. Cerca sul sito del Dipartimento della pezzi ogni cosa. Se Tilly non avesse saputo riconoProtezione Civile o del comune della tua scere i segni premonitori dello tsunami, e non avescittà dove si trovano le aree di attesa se saputo cosa fare, su quella spiaggia sarebbero previste dal piano di emergenza e condimorti tutti. Il maremoto dell’Oceano Indiano, uno vidi le informazioni raccolte con la classe, dei più catastrofici della storia, uccise circa 228 000 organizzando insieme una simulazione. persone. 20
Il rischio sismico in Italia
D
Gestire la paura
a qualche anno a questa parte, nei luoghi colpiti dai terremoti intervengono “squadre speciali” di operatori che aiutano le persone ad affrontare le paure scaturite dal trauma appena vissuto. Ne parliamo con Antonio Zuliani, delegato nazionale del servizio psicosociale della Croce Rossa Italiana, esperto in psicologia dell’emergenza. Dottor Zuliani, che cosa si prova dopo un forte sisma? Quasi subito si è colti da tre grandi ansie. La prima è data dalla necessità di sapere esattamente che cosa sta accadendo. La seconda riguarda la valutazione del proprio stato fisico: le persone si rendono conto che sono salve e si chiedono se stanno bene. Può sembrare banale, ma è una constatazione che abbiamo bisogno di fare dopo aver vissuto un trauma. La terza preoccupazione riguarda familiari e amici. In questo caso, le informazioni possono non arrivare per diverse ore o anche per giorni, come è accaduto a L’Aquila. È un problema con cui occorre fare i conti: se il sisma si verifica quando gli studenti sono a scuola, per esempio, questa ansia, se non gestita, spinge le famiglie a recarsi in luoghi pericolosi e a intasare le strade ostacolando i soccorsi. Come si possono gestire le paure dei sopravvissuti? Spesso chi interviene subito dopo l’evento non ha ancora le risposte alle domande che gli vengono rivolte. L’importante è ascoltare le persone, aiutarle nella ricerca di informazioni, mostrando che c’è chi si occupa di loro e dello loro ansie. È inoltre fondamentale farsi carico dei piccoli bisogni, perché possono diventare dei problemi enormi e creare un forte disagio emotivo. Non ci si pensa, ma le persone anziane possono aver lasciato a casa il bastone per camminare o la dentiera, altri possono aver perso gli occhiali e le donne possono avere bisogno immediato di assorbenti. Senza questi oggetti quotidiani, ci si sente invalidi. Come li aiutate, invece, nei giorni che seguono il terremoto? È il gruppo, non il singolo, che ha le risorse per il post-terremoto. Quello che possiamo
inter vista
di Tiziana Moriconi
fare, quindi, è rafforzare la coesione sociale. La prima regola è evitare l’isolamento delle persone, la seconda è dare loro un compito, un ruolo attivo. Questo le colloca in una posizione diversa: non della vittima in balia dell’evento, ma del sopravvissuto che sta reagendo. È importante anche non interrompere le routine. Personalmente ritengo sbagliato allontanare bambini e anziani dal luogo del terremoto. E se le scuole vengono chiuse, è necessario trovare una routine alternativa. Come assistete il personale delle amministrazioni locali? Nel terremoto dell’Emilia, per la prima volta abbiamo lavorato al fianco dei sindaci, degli assessori e del personale di due comuni, per sostenere chi deve aiutare gli altri, affinché l’organizzazione continui a funzionare. Queste persone, infatti, sono in prima linea durante l’emergenza e restano dei punti di riferimento per la popolazione, ma al contempo sono anche terremotate. Come si interviene nei mesi successivi? Ci sono sofferenze che l’evento può aver fatto emergere e che hanno bisogno dell’intervento di uno psicologo specializzato. Il nostro compito è di raccogliere queste necessità e affidarle alle strutture presenti sul territorio. Ricominciare a programmare il futuro è sempre importante ed è una cosa su cui le amministrazioni dovrebbero riflettere: la ricostruzione partecipata di un tessuto sociale e urbano è una grande medicina per chi ha vissuto una catastrofe. Non è semplice, ma c’è tutto il tempo, in realtà, per promuovere dei progetti partecipati. Y Il rischio sismico in Italia
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Informati sulla classificazione sismica del tuo comune
asa c In
Riparati sotto un tavolo
Abbassati! Riparati! Reggiti!
Non precipitarti verso le scale e non usare l’ascensore
Individua dove si trovano e come si chiudono i rubinetti di gas e acqua
Stai lontano da cornicioni, grondaie e balconi Cerca riparo nel vano di un portone
In a
Evita di tenere gli oggetti pesanti su mensole e scaffali alti
A scuola !
Informati se è stato predisposto un piano di emergenza
o ut Non sostare in prossimità di ponti, terreni franosi o spiagge
Prepara il kit di emergenza - cassetta di primo soccorso - torcia elettrica - radio a pile - coperta di alluminio - bottiglia d’acqua - biscotti o cioccolato - estintore
Ricorda Usa il telefono solo per chiamate di emergenza
PRIMA 22
Il rischio sismico in Italia
tà t i c
Se sei in un edificio pubblico, individua l’uscita di sicurezza più vicina ed esci con calma
In
In casa
DURANTE LE SCOSSE
PRIMA
Terremoto, istruzioni per l’uso
Fu o
DOPO
Assicurati dello stato di salute delle persone attorno a te Non cercare di spostare i feriti gravi: potresti peggiorare le loro condizioni
Allontanati da alberi, linee elettriche e impianti industriali
Chiudi i rubinetti di acqua e gas
Stai lontano dalle rive dei laghi e dalle spiagge marine
Cerca di evitare strade strette o ostruite, mantenendoti a distanza da cornicioni e balconi Raggiungi uno spazio aperto o le aree di attesa segnalate dal tuo comune Collabora con le autorità preposte ai soccorsi
Chiamate di emergenza
112
113
Carabinieri
Polizia
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Vigili Pronto del fuoco soccorso
no
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In città il rischio è maggiore di giorno
DOPO
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13.000
Usa i social network solo per comunicazioni utili e di servizio
DURANTE LE SCOSSE
3.000
Simulazioni al computer hanno calcolato che un terremoto di magnitudo 8,0 a San Francisco causerebbe un numero di vittime diverso a seconda dell’orario Il rischio sismico in Italia
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Fonti per questo contributo
Esci con prudenza, evitando gli ascensori e indossando scarpe pesanti
infografica
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à citt
Bettmann/CORBIS
6 di Giancarlo Sturloni
Imparare dai disastri La mattina del 1 novembre 1755, intorno alle 9.30, Lisbona è scossa da tre violentissime scosse sismiche che, nel giro di pochi minuti, sbriciolano le antiche chiese e i palazzi in muratura. Le case di legno
risparmiate dal terremoto sono divorate dagli incendi che scoppiano uno dopo l’altro dai focolari lasciati incustoditi, provocando un rogo colossale. Gli abitanti sopravvissuti ai crolli cercano scampo nello spazio aperto che si affaccia alla foce del fiume Tago, che proprio di fronte a Lisbona si getta nell’Atlantico. Coloro che trovano rifugio sulle banchine si accorgono però che il fiume è scomparso. Le sue acque si sono ritirate verso l’oceano per centinaia di metri, lasciando scoperto il letto del fiume. Un’ora e mezza dopo la prima scossa, le acque tornano indietro formando onde alte 15 metri che si abbattono con violenza inaudita su Lisbona, ingoiando e distruggendo ogni cosa. Si stima che nella sola capitale portoghese le vittime siano state almeno 60 000, forse addirittura 90 000. Nell’incendio della città, che imperversò per tre giorni, andarono distrutti molti tesori accumulati nel corso dei secoli dall’impero portoghese, tra cui alcuni preziosissimi documenti delle imprese di Cristoforo Colombo e Vasco De Gama. Secondo gli storici, il terremoto di Lisbona compromise drasticamente le ambizioni coloniali del Portogallo. Ma le conseguenze di quel terribile terremoto, con epicentro nell’oceano Atlantico e magnitudo stimata 8,7 sulla scala Richter, andarono ben oltre i confini portoghesi, estendendosi alle coste della penisola iberica e all’Africa nordoccidentale: Algeri fu distrutta, in Marocco si contarono 10 000 morti, in Spagna altri 5000. Il terremoto di Lisbona ebbe un impatto enorme sugli intellettuali dell’Età dei Lumi: fu un’occasione per riflettere su questioni cruciali della modernità, a partire dal rapporto fra ambiente e attività umane, suggerendo che dalle catastrofi si può imparare e favorendo la nascita della sismologia moderna. presente e passato pag . 27
Mentre in Italia… Nel 1783, neanche trent’anni dopo il terremoto di Lisbona, anche il nostro
paese subì gli effetti di un sisma disastroso che colpì una delle regioni a più alto rischio, la Calabria, una terra anticamente indicata come Enotria, dall’ebraico nother, termine che significa letteralmente “terra tremante”. Tra l’inizio di febbraio e la fine di aprile, una 24
Il rischio sismico in Italia
prolungata crisi sismica investì l’intero meridione, con diverse decine di terremoti molto gravi, e almeno tre catastrofici. Gli effetti sul territorio calabrese furono così profondi da stravolgere il paesaggio, fino al punto di renderlo irriconoscibile a chi vi era nato e vissuto. I paesi scomparvero, i fiumi cambiarono corso, intere colline vennero appianate ed emersero laghi di acqua torbida, mentre i maremoti flagellavano le coste. Il sisma del 1783 non fu che uno degli oltre 200 terremoti disastrosi verificatisi nel nostro paese negli ultimi 1000 anni. Quello più catastrofico in assoluto colpì Messina e Reggio Calabria nel 1908. I morti furono 100 000. A Reggio Calabria, su 3600 abitazioni, ne rimasero in piedi solo 176, mentre lo Stretto di Messina fu devastato da onde alte fino a 9 metri. Solo due anni prima, nel 1906, un terremoto altrettanto distruttivo aveva quasi raso al suolo San Francisco, negli Stati Uniti, favorendo un ampio dibattito pubblico sul rischio sismico che aprì la strada allo studio sistematico delle cause dei terremoti e delle tecnologie per mitigarne i danni. L’Italia perse invece un’occasione preziosa: nel nostro paese i tempi non erano ancora maturi per prendere coscienza dell’estrema vulnerabilità sismica del territorio. Quando il 13 gennaio 1915 un altro terremoto devastante si abbatté su Avezzano, in provincia di L’Aquila, uccidendo circa 30 000 persone, la sismologia italiana era ancora ignara delle nuove teorie sull’origine e la propagazione dei terremoti che si andavano formando all’estero. E, nel frattempo, anche le prime disposizioni antisismiche adottate in seguito al terremoto del 1908, come il divieto di costruire edifici alti più di dieci metri e strade non più strette della stessa misura per evitare che i palazzi crollassero l’uno sull’altro, si erano ormai perse in una selva di deroghe che, di fatto, ne compromisero ogni efficacia. Per un’effettiva presa di coscienza, scientifica e civile, dell’elevato rischio sismico a cui è soggetto il nostro paese fu necessaria la dolorosa esperienza dei terremoti che colpirono il Friuli il 6 maggio 1976 (989 vittime) e l’Irpinia il 23 novembre 1980 (2914 vittime). In seguito a questi eventi la sismologia italiana fece enormi progressi sul piano scientifico e della prevenzione, mentre a livello governativo si comprese la necessità di allestire un sistema di protezione civile adeguatamente attrezzato per intervenire in tempi rapidi su un territorio complesso come il nostro. In Irpinia la maggior parte delle vittime era ancora viva sei ore dopo il sisma, mentre il bilancio più contenuto del terremoto friulano si deve anche al tempestivo intervento dei soccorritori, soprattutto militari, già presenti in forze in quella zona.
Sempre più vulnerabili? In tutto il mondo, il costo delle calamità naturali, in termini di vite
umane e di danni materiali, è in costante aumento. Non è colpa del fatto che si registrano più terremoti, o di magnitudo maggiore. Il problema è la crescente vulnerabilità dei grandi insediamenti urbani, soprattutto nei paesi in via di sviluppo: sempre più densamente popolati e spesso costruiti in zone a rischio senza alcun criterio antisismico. I maremoti (o tsunami), per esempio, in passato provocavano meno vittime di oggi perché la maggior parte delle persone viveva nell’entroterra, o sulle alture, mentre i litorali erano per lo più disabitati. L’enorme numero di vittime, quasi 228 000, causato dal terremoto che ha colpito Sumatra (Indonesia) nel dicembre 2004 si deve soprattutto all’edificazione delle spiagge, diventate luoghi turistici nel corso dell’ultimo secolo, e alla compromissione dell’habitat naturale di mangrovie e barriere coralline che avrebbero potuto agire da dighe naturali, attenuando la forza distruttiva dello tsunami, se non fossero state erose dall’incuria o, in alcuni casi, persino fatte esplodere con la dinamite per favorire il transito marittimo.
Il caso del Giappone Dal 1980 a oggi, l’anno peggiore per le catastrofi naturali in termini economici è stato il 2011, quando i danni hanno raggiunto la stratosferica cifra di 380 miliardi di dollari. A pesare di più sono stati due terremoti: quello che ha colpito la Nuova Zelanda il 22 febbraio, e quello che si è abbattuto sulle coste nordorientali del Giappone l’11 marzo. Il sisma giapponese, in particolare, è il più costoso disastro di ogni tempo, valutato in 210 miliardi di dollari (anche senza contare i danni alla centrale nucleare di Fukushima). Il rischio sismico in Italia
25
AFP/Getty Images
Nell’arcipelago del Giappone, in un territorio grande circa come l’Italia, si scarica il 15% dell’energia sismica dell’intero pianeta, un potenziale capace di dare vita ad alcuni dei terremoti più violenti del mondo, talvolta seguiti da catastrofici tsunami. In passato il paese del Sol Levante si era difeso adottando un’edilizia basata per lo più su materiali leggeri, come il legno e la carta, che avevano tuttavia lo svantaggio di cadere facilmente preda degli incendi, come avvenne nel terremoto di Kanto del 1923, quando si contarono quasi 143 000 vittime e Tokyo fu rasa al suolo. Dopo la seconda guerra mondiale il Giappone è diventato una delle principali potenze industriali del pianeta e per proteggersi dai terremoti si è affidato alle più moderne tecnologie antisismiche. Inoltre, grazie alla proverbiale capacità organizzativa del popolo giapponese, può contare su un sistema di protezione civile molto efficiente. Il Giappone, sotto molti punti di vista, è il paese più preparato del mondo per affrontare una catastrofe sismica. Senza dubbio, se un terremoto come quello del marzo 2011 (il più potente mai registrato in Giappone e in assoluto il settimo a livello mondiale) avesse colpito un paese meno preparato, il bilancio finale delle vittime sarebbe stato assai più grave. Ma anche il Giappone ha dovuto contare più di 15 000 morti, 4600 dispersi e danni materiali capaci di mettere in ginocchio la terza economia del pianeta. La Tokyo Tower, inclinata dal sisma, è diventata il simbolo dell’illusione che la ricchezza e la tecnologia possano mettere al riparo dalle catastrofi.
Gran parte delle vittime e dei danni legati al sisma che ha colpito il Giappone nel 2011 è stata causata dal successivo tsunami, che si è abbattuto sulle coste della regione di Tohoku travolgendo automobili, edifici, navi e infrastrutture.
Imparare dalle catastrofi Oggi sappiamo molte cose sui terremoti. Sappiamo che dove la
terra ha già tremato, molto probabilmente, in un futuro più o meno lontano, tornerà a tremare. Abbiamo imparato a costruire abitazioni più sicure, e piani di emergenza più efficaci. E che, nonostante tutto questo, niente può metterci al riparo da un “cigno nero”, uno di quegli eventi rari ma potenzialmente catastrofici che da sempre accompagnano la storia umana. Uno studio recente ha mostrato che durante il sisma giapponese del marzo 2011 moltissime persone morirono perché Ora tocca a te non si allontanarono dalle coste, fiduciose che le barriere antitsunami avrebbero retto rivedi Che cos’è uno tsunami e in quali condizioni all’impatto. Furono invece spazzate via in può formarsi? Quali sistemi di allerta sono oggi un istante, soverchiate da onde alte fino a attivi nel mondo? 40 metri. «Dobbiamo imparare a immagirifletti L’immagine in apertura, a pag. 24, è tratnare i disastri», ha detto Kimuro Meguro, ta dal volume Volcanoes and Earthquakes. A Popular Description of the Movements in the Earth’s Crust, di direttore del Centro internazionale per la Georg Ludwig Hartwig (1887); illustra la sponda sicurezza di Tokyo. del fiume Tago durante il terremoto di Lisbona La parola apocalisse, con cui spesso si del 1755. Quali effetti del sisma ha enfatizzato designano le grandi catastrofi naturali, del’artista? Come facciamo a sapere che l’epicentro riva dal greco apokàlypsis che significa “scosi trovava nell’Oceano Atlantico? prire, svelare”. I disastri sono dunque anche ricerca e condividi Ricostruisci gli eventi sismiun’occasione di rivelazione. Di fronte a una ci citati nel testo relativi al nostro paese: Calabria catastrofe, l’uomo riscopre la vulnerabilità (1783), Messina e Reggio Calabria (1908), Avezzano del mondo che ha costruito. Dai disastri (1915), Friuli (1976) e Irpinia (1980). Recupera in possiamo imparare ancora molte cose. rete dati e immagini, quindi presenta i risultati alla classe, citando le fonti.
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Il rischio sismico in Italia
N
Di fronte alla catastrofe
el 63 d.C. Seneca annota sconsolato tra le pagine del Naturales quaestiones: «Quale appiglio ci resta se a produrre rovine è quella stessa terra che credevamo essere fondamento del mondo». Il 5 febbraio di quell’anno la Campania fu devastata da un grande terremoto che in pochi secondi uccise migliaia di persone. L’Impero romano fu travolto da sentimenti di rabbia e incredulità. Gli antichi romani si consideravano il popolo più potente e tecnologicamente avanzato del mondo, capace di trasformare a piacimento l’ambiente con ponti, acquedotti e strade. Come potevano essere vittime impotenti dei capricci della natura? Da sempre le catastrofi non sconvolgono solo città e paesaggi, ma scuotono anche l’animo umano, demolendo certezze e ribaltando d’improvviso l’illusorio rapporto di forza fra l’uomo e la natura. Un sentimento espresso anche da Platone nel mito di Atlantide, in cui il filosofo greco racconta di un’avanzatissima civiltà che, al culmine della sua potenza, fu distrutta da «terremoti e cataclismi straordinari» nel volgere di un giorno e di una notte, forse la trasposizione di quanto avvenne realmente nel 1627 a.C., quando l’esplosione dell’isola vulcanica di Thera (l’odierna Santorini, in Grecia) provocò un gigantesco maremoto che inghiottì la ricca civiltà minoica. Seneca cercò di consolare i suoi contemporanei ricordando che, per quanto evoluta si creda una civiltà, i disastri naturali saranno sempre in grado di minacciarne la stabilità. Occorre riconoscere che, nonostante ogni progresso, le opere umane sono vulnerabili alle forze della natura e che, con umiltà, dobbiamo imparare a convivere con i terremoti, perché «non esiste al mondo un luogo sicuro, esente da pericoli: la natura non ha creato nulla di immutabile». Y
La disputa filosofica fra Voltaire e Rousseau sul terremoto di Lisbona Nel XVIII secolo, l’Europa era pervasa da un diffuso ottimismo sulle capacità dell’uomo moderno di soggiogare la natura al proprio volere, grazie al dominio incontrastato dell’intelletto razionale e delle conoscenze scientifiche e tecnologiche che avevano permesso il rapido sviluppo sociale ed economico associato alla prima rivoluzione industriale. La vulnerabilità della ricca e potente Lisbona, ridotta in macerie nel giro di pochi minuti dal terremoto del 1755, fu un duro colpo per gli intellettuali dell’Età dei Lumi. Nel Candido, il filosofo francese Voltaire, tra i più importanti esponenti dell’Illuminismo, scrisse con sgomento di uomini impotenti in totale balia degli eventi, mentre nel Poème sur le désastre de Lisbonne accusò apertamente la natura per le sofferenze causate a tutte le creature che ne fanno parte. Il filosofo svizzero Jean-Jacques Rousseau, in una lettera del 18 agosto 1756, accusò Voltaire di irriconoscenza verso quella stessa natura che ogni giorno dona agli uomini tanti benefici. Rousseau attribuì alle scelte umane
presente & passato
le morti del terremoto di Lisbona, come la decisione di costruire palazzi sempre più alti che, scossi da un sisma, cadono loro addosso. E non mancò di sottolineare come molti abitanti della capitale portoghese, anziché pensare a salvarsi, avessero perso tempo prezioso nel tentativo di mettere in salvo i loro beni materiali, finendo vittime della propria avidità. Anche il filosofo tedesco Immanuel Kant si interessò al terremoto di Lisbona, anteponendo alle spiegazioni di carattere morale e alla ricerca di una colpa un approccio empirico con cui indagare le cause fisiche all’origine del sisma. Per spiegare l’origine dei terremoti Kant propose una teoria basata sul collasso delle cavità sotterranee. Sebbene l’ipotesi di Kant non si sia rivelata corretta, l’approccio scientifico proposto dal filosofo tedesco ebbe il merito di aprire la strada alle idee su cui sarà fondata la sismologia moderna. Y
Il rischio sismico in Italia
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I terremoti più disastrosi della storia Per danni economici
La classifica dei terremoti più costosi dal 1900 al 2012 7 Italia, Irpinia - 1980
50.000
(mld di dollari)
3
vittime
10
Americhe
101
5
500
6
26
Africa 13
magnitudo 6,5
7,0
7,5
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8,5
OR E
7,
60 .00 0
20 16
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17
Oceania 4
7,9
62
ote PERÙ, Chimb
Europa 9
100
70.000
535
7
1970
Asia
2
5.000
03
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1
8
10.000
9,0
7,3
00 77.0
15
Eventi sismici di magnitudo pari o superiore a 6,0 della scala Richter registrati nel mondo dal 2000 al 2011 e relativo numero di vittime
2 17 2 briz , Ta IRAN
In questo secolo
0 .0 0 80
67 16 IA AS UC CA
231
21.357
1.685
6.605
712
161
137
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155
157
151
153
196
180
161
174
205
2000
2001
2002
2003
2004
2005
2006
2007
2008
2009
2010
2011
28
33.819 228.802 88.003
Il rischio sismico in Italia
4
19
7,7
Danni complessivi per continente
100.000
1.000
2.400
00
19
14
.0 50
18
6,6
90
0
40
10 Taiwan - 1999
19
7,4
28
6,6
181
60.0 0
15
8,7
8,8
6 Giappone, Niigata - 2004
7,9
7,6
9 Nuova Zelanda - 2011
550
30
17.100
AN IR
3
20
169
6,9
37.600
6,7
5 Cile -2010
3 Cina, Sichuan - 2008
85
8 Turchia - 1999
70.000
5.500
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2 Giappone, Kobe - 1995
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4 Stati Uniti -1994
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magnitudo
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Paese - data sisma
PORTOGALLO , Li
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86 20
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Fonti per questo contributo
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Terremoti e tsunami
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DANNI PER 320 MILIARDI DI $ Il rischio sismico in Italia
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di Barbara Scapellato
Shutterstock
Schede di lavoro
Investigare un sisma A conclusione di questo breve itinerario formativo, ti proponiamo un percorso didattico da svolgere in classe, in più momenti, per approfondire il tema del rischio sismico con un approccio investigativo (in inglese, inquiry based). Il percorso è sviluppato secondo il modello delle 5E, dove ciascuna “E” descrive una fase di apprendimento: Engage, Explore, Explain, Elaborate, Evaluate. Le attività proposte possono prendere spunto da diversi scenari (casi di studio, simulazioni) o da specifici documenti di riferimento. Di seguito trovi la traccia del percorso, mentre le schede di lavoro, complete di riferimenti e documentazione, sono disponibili in formato PDF.
Fase 1 | Engage (Che cosa ne pensi?)
Fase 2 | EXPLORE (Investigare) Attività 1: quanto è stato forte il terremoto?
Scenario Rileggi con attenzione il contributo 6 Imparare dai disastri, a pag. 24 di questo fascicolo.
Su quali osservazioni ci si può basare per “misurare” l’entità di un terremoto? Quali osservazioni ti interesserebbero di più se fossi un sismologo? Se fossi un urbanista? O il semplice proprietario di una casa? Che cosa ne pensi? Nelle attività che seguono ordinerai gli effetti dei terremoti secondo la gravità, creerai una mappa delle intensità del sisma e la interpreterai per individuare la probabile posizione dell’epicentro. In un momento successivo, esplorerai in che modo viene determinata la magnitudo di un terremoto e confronterai le scale di intensità e di magnitudo. Inquadrerai, infine, tutto il lavoro svolto alla luce delle conoscenze attuali della comunità scientifica sulla pericolosità sismica nel nostro paese.
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Il rischio sismico in Italia
Scenario Leggi con attenzione quanto segue.
Il 29 maggio del 2012 alle ore 09:00:03 del mattino in Emilia si verifica un forte terremoto, avvertito in molte città dell’Italia settentrionale. Durante una trasmissione radiofonica di una nota rete nazionale, il conduttore interrompe il suo discorso sulle ultime novità discografiche: «Interrompiamo la trasmissione per riportarvi una notizia che ci è appena giunta. Pochi minuti fa l’Emilia ha tremato per un forte terremoto. Per aiutarci a capire cosa sta succedendo vi invitiamo a chiamare il numero verde e fornire nome, luogo da cui state effettuando la chiamata e una breve descrizione di ciò che è successo durante la scossa. Restate sintonizzati, vi forniremo informazioni più precise nel corso della mattinata. Ecco, abbiamo la prima chiamata in linea». Ascoltatore 1 «Buongiorno, mi chiamo Roberto e chiamo da Bologna. Io ero a tavola, stavo facendo colazione, quando improvvisamente il lampadario della cucina ha oscillato, gli sportelli della cucina si sono aperti e alcuni piatti sono caduti e si sono rotti». Ascoltatore 2 «Ciao a tutti, mi chiamo Carmen e chiamo da Carpi, in provincia di Modena. Qui a casa mia, quando si è sentita la scossa, i quadri si sono spostati, dalle mensole sono caduti alcuni soprammobili di ceramica e si sono rotti». Ascoltatore 3 «Ciao, sono Silvia e chiamo da Faenza. Qui la scossa è stata leggera. Ero seduta alla scrivania e ho sentito il pavimento vibrare, ma non
ho visto nessun oggetto oscillare. Solo quando ho ricevuto una telefonata ho capito che c’era stato il terremoto». Ascoltatore 4 «Salve, mi chiamo Susanna e chiamo da Mirandola, un paesino in provincia di Modena. Qui il terremoto si è sentito davvero forte! La campane della chiesa suonavano da sole! Ci sono molte case danneggiate, soprattutto gli edifici storici, tra cui il palazzo del Municipio». Ascoltatore 5 «Ciao a tutti, mi chiamo Giovanni e chiamo da Modena. Io ero a scuola e mi sono davvero spaventato. Per fortuna pochi danni all’edificio, ma sono caduti alcuni calcinacci dal soffitto. Ero in piedi alla lavagna e mi è sembrato di non riuscire a stare in piedi. Ora siamo fuori e per fortuna stiamo tutti bene». Ascoltatore 6 «Ciao, sono Debora e chiamo da Mantova. Ero già al parco con il mio bambino quando ho sentito la scossa. I rami degli alberi e dei cespugli hanno oscillato come se ci fosse il vento. Mio marito, invece, era in macchina, fermo al semaforo, e mi ha detto che l’auto ha cominciato a muoversi avanti e indietro». Ascoltatore 7 «Salve, mi chiamo Fernando, lavoro in una casa di riposo di Ferrara. La maggior parte dei nostri ospiti si è davvero spaventata. Sono caduti oggetti dagli scaffali e alcuni quadri dalle pareti. Per fortuna, però, nessun ferito». Ascoltatore 8 «Salve, io sono Carlo, chiamo da Finale Emilia in provincia di Modena. È stato difficile prendere la linea! Qui la situazione è drammatica. Per fortuna io ho avuto danni lievi perché abito in una casa nuova, ma ho visto molte case, più vecchie della mia, seriamente danneggiate. Anche il nostro castello è crollato. Purtroppo ci sono state anche delle vittime». Ascoltatore 9 «Buongiorno, mi chiamo Giuseppe e chiamo da Piacenza. Io a quell’ora stavo andando al lavoro a piedi e quando sono arrivato in ufficio alcuni colleghi mi hanno riferito della scossa. Per fortuna non ho sentito nulla!». Ascoltatore 10 «Buongiorno, sono Gianluca e chiamo da Parma. Io ero in casa, abito al primo piano. Non ho avuto danni ma la scossa l’ho sentita proprio bene! In realtà qui in città l’hanno sentita tutti». Ascoltatore 11 «Ciao, io sono Antonio e chiamo da Verona. Per fortuna qui la scossa è stata lieve. All’inizio ho creduto si trattasse di un’auto che passava a velocità elevata. Poi ho ricevuto la telefonata di mia madre e ho capito che si era trattato di una scossa di terremoto». Ascoltatore 12 «Ciao sono Francesca e chiamo da Rovigo. Io lavoro in un negozio di articoli per la casa e mi sono accorta della scossa perché i bicchieri nei ripiani hanno tintinnato. Per fortuna, però, non è stata una scossa molto forte!».
1 In piccoli gruppi, analizzate attentamente gli effetti del sisma descritti dagli ascoltatori radiofonici, raggruppate le descrizioni che secondo voi si riferiscono a intensità simili e ordinate tali raggruppamenti secondo intensità crescente, assegnando a ciascuno un valore numerico. 2 Utilizzate questa classificazione per creare una mappa delle intensità degli effetti del sisma su una carta dell’Italia settentrionale. Per fare ciò: a. tracciate sulla carta delle linee curve che congiungano luoghi in cui il terremoto è stato percepito con la stessa intensità; b. indicate per ciascuna linea il valore numerico di intensità che rappresenta. 3 Utilizzando la mappa che avete realizzato, rispondete alle seguenti domande. a. Riuscite a identificare uno schema nella disposizione delle linee tracciate? b. Che cosa potete dedurre sulla probabile posizione dell’epicentro del terremoto? 4 Condividete i vostri risultati con l’intera classe e rispondete. a. Le classificazioni delle intensità del sisma fatte dai compagni corrispondono alla vostra? b. La stima della posizione dell’epicentro del sisma corrisponde a quella dei compagni? c. Quali problemi avete incontrato nel localizzare l’epicentro? d. Quali altre informazioni vi sarebbero state utili per localizzare l’epicentro con maggiore accuratezza? e. Secondo voi, la scala che avete realizzato è di tipo quantitativo o qualitativo? f. Quale/i proprietà del terremoto avete misurato? Spiegate la risposta. Attività 2: m isurare l’ampiezza delle onde di un terremoto Scenario Il sito web Virtual Earthquake della California State University consente di simulare eventi sismici e analizzarne le caratteristiche. Collegati al sito e simula un nuovo terremoto, quindi segui le indicazioni per calcolare la magnitudo del terremoto.
Rispondi alle seguenti domande. 1 In che modo l’altezza (ampiezza) di un’onda sismica si modifica quando cambia l’entità di un terremoto? 2 Secondo te, che cosa accade all’ampiezza registrata dai sismografi mano a mano che ci si allontana dall’epicentro?
Il rischio sismico in Italia
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Fase 3 | EXPLAIN (Comprendere)
Fase 4 | ELABORATE (Applicare quanto hai imparato)
riferimenti Con l’aiuto del libro di testo e la consulenza dell’insegnante, analizza le scale di intensità e di magnitudo utilizzate dalla comunità scientifica per misurare e comunicare l’entità di un terremoto. Rileggi con attenzione il contributo 3 La prevenzione del rischio sismico, a pag. 11 di questo fascicolo.
riferimenti Individua nel tuo libro di testo la tabella che riporta la scala Mercalli-Cancani-Sieberg (MCS). Trova nel sito dell’INGV le coordinate dell’epicentro strumentale del sisma emiliano del 29 maggio 2012.
Rispondi alle seguenti domande. 1 Qual è la differenza tra intensità e magnitudo di un terremoto? 2 In che modo le caratteristiche geologiche locali di una determinata area influenzano l’intensità di un terremoto e l’entità dei danni? 3 Il valore di intensità massima di un sisma si trova sempre in prossimità dell’epicentro?
1 Facendo riferimento alla scala MCS, assegna un valore di intensità a ogni descrizione del sisma dell’Emilia riportata nell’Attività 1 (Fase 2) e traccia una mappa di intensità tracciando le isosisme (linee che congiungono i punti con la stessa intensità sismica) corrispondenti. Confronta questa mappa con quella realizzata nella Fase 2. Corrispondono? Siete riusciti a identificare l’intensità massima del terremoto? Dove si colloca l’epicentro strumentale? 2 La magnitudo accertata di questo sisma è di 5,8. C’è una correlazione perfetta tra la magnitudo e l’intensità? Perché? riferimenti Rileggi con attenzione il contributo 1 Il rischio sismico in Italia, a pag. 2 di questo fascicolo; analizza la mappa L’esposizione della popolazione al rischio sismico, a pag. 6 e la mappa di pericolosità sismica dell’Italia (INGV), a pag. 12.
3 Con riferimento ai documenti citati, rispondi alle seguenti domande. a. Qual è la pericolosità sismica dell’Emilia Romagna? b. Qual è il rischio sismico della regione? c. Perché la popolazione emiliana è stata colta alla sprovvista? 4 Hai mai sentito il terremoto? Se volessi essere d’aiuto ai sismologi per determinare l’intensità di un sisma che hai percepito, sai dire quali osservazioni dovresti fare e annotare? Fai una ricerca online e analizza il questionario macrosismico disponibile sul sito dell’INGV.
Fase 5 | EVALUATE (Valutare che cosa hai imparato) Immagina di dover preparare un articolo per il giornale della scuola che spieghi in che modo i sismologi raccolgono informazioni sugli eventi sismici e come ne misurano l’entità. Scrivi un breve testo che contenga una spiegazione semplice, ma accurata, dei metodi utilizzati, specificando i vantaggi e i limiti di ciascuno. Il testo deve essere chiaro e comprensibile anche da chi non ha ancora affrontato lo studio dei terremoti.
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Il rischio sismico in Italia