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Come funziona l’ATP SINTETASI? Il motore della vita. Il mitocondrio è la centrale energetica della cellula; in esso avvengono le reazioni di riossidazione dei coenzimi ridotti (NADH e FADH2) e il ciclo di Krebs. È composto da una matrice racchiusa da una membrana interna caratterizzata dalla presenza di varie creste. Questa è, a sua volta, contenuta in un’altra membrana detta membrana esterna. Lo spazio tra le due membrane è detto spazio intermembrana. Lungo tutta la membrana interna sono presenti vari complessi proteici e non, tramite i quali avviene la riossidazione dei coenzimi ridotti (NADH e FADH2) con produzione di ATP, alla fine della respirazione cellulare aerobia. Al termine dei quattro complessi è presente l’ATP-sintetasi. Esso è un enzima molto grande, chiamato complesso V, e rappresenta il vero motore energetico delle nostre cellule eucariote. • E’ composto di due componenti: Fo e F1. Sono entrambe proteine di cui la prima è una proteina integrale di membrana mentre la seconda è una proteina estrinseca. Struttura del complesso F1: contiene 3 sub-unità α e 3 subunità β insieme ad una centrale detta γ. Le sub-unità α3 e β3 formano un esamero formato da 3 dimeri αβ, che legano con diversa forza i nucleotidi. I siti catalitici si trovano sulle subunità β. La sub-unità γ insieme alla sub-unità ε costituisce lo stelo centrale. La sub-unità più piccola (ε) è un inibitore dell’attività catalitica e si pensa serva da valvola di controllo: impedisce in maniera assoluta il procedere della reazione + quando il gradiente di H è basso, evitando in tal modo lo svolgimento della reazione in senso inverso e quindi il consumo di ATP.

F1

Fo

Acido Aspartico

Acido Glutammico

Struttura del complesso Fo. Il settore Fo, oligomicina sensibile, è composto da 3 tipi di sub-unità altamente idrofobiche, che presentano come formula di struttura a1 b2 c10-12. Esso costituisce il canale che permette il passaggio dei protoni e non possiede attività catalitica. Il complesso Fo e F1 sono connessi tra loro tramite una sub-unità ε e una sub-unità γ. Le sub-unità c della componente Fo sono proteolipidi che formano il canale ionico: al loro interno ci sono residui di acido glutammico o di acido aspartico. La sub-unità a del complesso Fo è caratterizzata dalla presenza di due semicanali. Ciascun protone entra nel semicanale rivolto verso lo spazio intermembrana, segue una rotazione completa dell’anello c ed esce attraverso l’altro semicanale entrando nella matrice.


Un protone che proviene dallo spazio intermembrana entra nel semicanale che affaccia su di esso per neutralizzare la carica data da un residuo di aspartato in una sub-unità c. Quando questa carica è stata neutralizzata l’anello c inizia a ruotare in senso orario, trasferendo un residuo di acido aspartico lungo tutto il complesso fino a riversarlo nella matrice tramite il secondo semicanale, riconducendo il sistema al suo stato iniziale.

Il complesso F1 è composto da 3 siti di legame per nucletotidi adeninici non equivalenti, uno per ogni coppia di sub-unità α e β. In un dato momento uno di questi siti si trova nella conformazione β-ATP (1), cioè che lega fortemente ATP, un altro si trova nella conformazione βADP (2), ovvero che lega debolmente ADP, e un terzo si trova nella conformazione β-vuota (3), che risulta incapace di legare ATP. La forza motrice, data dal movimento dei protoni, provoca la rotazione dell’asse centrale, ovvero la sub-unità γ, che si interfaccia in successione con ciascuna coppia di sub-unità α-β. Questo produce una modificazione della conformazione dei siti, convertendo il sito β-ATP nella conformazione β-vuota, rilasciando l’ATP; invece il sito βADP viene trasformato e assume la conformazione β-ATP, che innesca la condensazione di ADP e Pi per la formazione di ATP; infine il sito β-vuoto viene convertito in un sito βADP tramite la formazione di un legame debole con l’ADP e il Pi, che provengono dal solvente. Il modello, basato su dimostrazioni sperimentali, prevede che almeno 2 dei 3 siti catalitici alternino la loro azione. Se l’ADP e il Pi non sono legati ad un substrato il sistema non può avviarsi e prevedere il rilascio di ATP.

Testo: La Morte Giovanni, Sommaiola Simone Disegni e grafica: Tortorici Samuele, Pavone Giuseppe VA BIOTECNOLOGIE AMBIENTALI IISS “A.Pacinotti” Taranto

1 2

γ γ 3

2

3

1

3 2

1


Domande e risposte: La Cannabis. 1) Che cos’è la cannabis? La canapa è una pianta che presenta dei componenti detti cannabinoidi come il thc e il tetraidrocannabinolo, responsabilI degli effetti su alcune parti del sistema celebrale. Si divide in cannabis sativa e indica ciascuna con caratteristiche genetiche proprie; esse possono variare in base ai modelli di crescita, la qualità e gli effetti. 2) Come può essere adoperata la canapa, a scopo terapeutico? Questa pianta presenta numerose proprietà curative. Gli studi dimostrano che l’ assunzione di cannabis può essere considerata un rimedio per diverse patologie come la nausea provocata dalla chemioterapia nei malati di AIDS, e per patologie che affliggono persone che soffrono di spasticità muscolare. 3) Quale percentuale di persone fa uso di cannabis? Il 22 % della popolazione ha fatto uso di cannabis almeno una volta, il 5,2% l’ha usata nell’ultimo anno, il 3,0% l’ha usati nell’ ultimo mese. L’uso di cannabis risulta più diffuso tra i soggetti dai 15 ai 24 anni. Questi sono i dati riguardanti gli anni 20082010.

4) Quali sono i paesi che hanno approvato la legalizzazione della cannabis a scopo medico?


L’ Uruguay è stato il primo stato a legalizzare la cannabis. Negli Stati Uniti il primo paese ad adottare la completa legalizzazione della cannabis è stato il Colorado mentre in Europa nessun Paese ha legalizzato la Cannabis all’infuori dell’ Olanda che ha approvato la sua decriminalizzazione, ovvero, può essere venduta e consumata all’ interno dei cosiddetti coffee shop. In Canada è illegale, ma l’uso può essere autorizzato dal governo per scopi farmacologici industriali. 5) Che cos’è il tetraidrocannabinolo? E’ il capostipite della famiglia dei tetraidrocannabinoidi; la sua formula è C21H30O2. E’ presente, insieme al cannabinolo, 1 nella canapa, ed esistono molti suoi isomeri; quello più diffuso è Δ -THC, ed è la forma fisiologicamente più attiva.

6) Perché la cannabis non viene legalizzata in tutto il mondo? La cannabis non viene legalizzata perché apporta effetti negativi all’organismo: brucia i neuroni cerebrali, comporta un rilassamento tale da non prestare più attenzione, ed avendo come principio attivo il THC è una vera e propria droga naturale, perciò alcuni stati, come l’Italia, non vogliono legalizzarla. Altri paesi però la pensano diversamente: ovvero che non sia una droga vera e propria come ad esempio l’hashish ( per citare una droga leggere ) e che comporta effetti meno gravi all’organismo, diversamente dalle droghe sintetiche. 7) Siamo sicuri che la cannabis sia meglio di altre droghe leggere? Gli effetti della cannabis e dell’hashish sono simili, dipende però la quantità assunta: l’hashish preso in piccole dosi non ha effetti molto gravi istantaneamente, in quanto migliora la capacità visiva e uditiva, e stimola il cervello nella creatività; mentre la cannabis fa diminuire i riflessi e l’attenzione, che è causa di molti incidenti stradali e sul lavoro; si può dire che gli effetti della cannabis siano simili a quelli dell’alcol, quindi possono essere molto rischiosi. Per quanto riguarda il danno arrecato ai polmoni, lo “spinello” causa problemi molto più gravi ai polmoni rispetto a una sigaretta; questo è un altro motivo per cui la cannabis non viene legalizzata in determinati paesi. 8) Dove si coltiva la cannabis? Ogni anno vengono prodotte dalle 13.000 alle 22.000 tonnellate di cannabis, con uno spazio adibito alla coltivazione che arriva ai 600.000 ettari. La pianta viene coltivata in zone con un umidità che va dal 25% al 40%, ha bisogno di una buona quantità di acqua giornaliera, e preferisce un clima arido, con un terreno abbastanza sabbioso( 35% - 55%). Il paese che coltiva più cannabis è il Marocco, che vanta una superficie di 60.000 ettari adibita alla coltivazione, e produce quasi 44.000 tonnellate di cannabis ogni anno. Marangione Federico, Bolettieri Giuseppe, Schinaia Maurizio IV A BIOTECNOLOGIE AMBIENTALE IISS “A.PACINOTTI” TARANTO


LA SFIDA: ALZHEIMER L’Alzheimer è una forma di demenza degenerativa che si manifesta in età presenile in genere dall’età di 65 anni, tuttavia, essa può manifestarsi in anticipo in seguito a eventi spiacevoli. I sintomi principali del morbo di Alzheimer sono: afasia, disorientamento, perdita della memoria a breve termine e disturbi cognitivi. La malattia non è normalmente ereditaria; indipendentemente dalla familiarità, tutti si possono ammalare in un momento della vita. Da poco si è scoperta l'esistenza di un gene che può influenzare il rischio di ammalarsi di questa malattia. Il gene si trova nel cromosoma 19, ed è responsabile della produzione di una proteina chiamata apolipoproteinaE. Esistono tre tipi principali di tale proteina, uno dei quali aumenta la probabilità di insorgenza della malattia della quale si iniziano a vedere i primi segni in età compresa tra i 35 e i 65 anni. Per questa malattia non sono ancora state scoperte cure efficaci ma ci sono delle cure sperimentali che sembra stiano dando dei segnali di incoraggiamento. Una terapia in fase di studio che sta già dando buoni frutti è la musicoterapia; questa consiste nel far ascoltare al malato una serie di canzoni che riescono a creare un collegamento con lo stato emozionale del paziente. La musicoterapia aiuta il malato a non sentirsi a disagio con se stesso. Durante la terapia si svolgono attività in cui il malato balla e canta canzoni popolari. Per lo svolgersi di queste attività sono anche necessari strumenti come: maracas, triangoli, tamburi, piattini, xilofono, fisarmonica, pianoforte, chitarra e strumenti a fiato. La terapia in questo modo aiuta a inibire l’ira e la forte agitazione del malato. Gli effetti benefici che si riscontrano sul malato sono delle modificazioni della sfera emotiva e dell’umore la persona che riesce a dare vita a dei momenti di benessere e divertimento. Uno degli scopi della musicoterapia è quello di far recuperare al malato la memoria musicale ed emozionale. Gli effetti benefici della musicoterapia sui malati sono molteplici: Si hanno buoni effetti sui comportamenti sociali; Si riscontrano alcune modifiche positive dell’umore del malato; Questi incontri non sono basati esclusivamente sul passato ma si fa esercitare anche la capacità creativa del malato; Si provano le competenze musicali dei pazienti; Grazie alla musicoterapia si crea un dialogo sonoro fra il musicoterapeuta e il malato. Con la musicoterapia si devono raggiungere determinati obbiettivi: La socializzazione; Una modifica dell’umore del malato; Aiutare il malato a distogliere la sua attenzione dai disturbi somatici; Aumentare l’autostima del malato; Far acquisire al malato un comportamento musicale attivo;

In Italia le strutture sanitarie di musicoterapia le troviamo in: Lombardia, Lazio, Campania, Sicilia, Veneto, Piemonte, EmilaRomagna, Puglia, Toscana, Calabria, Sardegna, Liguria, Marche, Abruzzo, Friuli-Venezia Giulia, Trentino- Alto Adige, Umbria, Basilicata, Molise, Valle d’Aosta. Un importante problema che si riscontra è il costo che il malato e la sua famiglia devono sostenere per le terapie specifiche, che spesso sono realizzate in cliniche per malati di Alzheimer; spesso i costi elevati mettono in condizione i familiari di seguire i pazienti a casa e non sapendo come affrontare questa sfida non sanno come operare. I familiari nella maggior parte dei casi si sentono impotenti e hanno anche un grande difficoltà a conciliare i loro impegni per assistere il malato. E’ importante avere un rapporto continuativo con la struttura clinica che ha in cura il malato in modo da confrontarsi con il medico curante. Questo collegamento risulta molto importante anche per i familiari nei momenti di frustrazione in modo da riuscire a superare le difficoltà quotidiane.


Amandonico Matteo, Filippelli Ylenia IVA BIOTECNOLOGIE AMBIENTALI IISS “A.PACINOTTI” TARANTO


IL CONFRONTO

I vaccini, è ormai risaputo, sono composti da microrganismi con lo scopo di stimolare, nel corpo del paziente a cui sono stati somministrati, la risposta immunitaria. La loro scoperta è stata di fondamentale importanza nella storia dell’uomo, oseremo dire una delle più rivoluzionarie. Nonostante siano passati anni dalla loro rivelazione nel campo scientifico, molti sono ancora i dubbi che affliggono la gente e tanti sono i falsi miti che circolano sul web. Uno di questi vuole che i vaccini provochino l’autismo. Il dottor Andrew Wakefield, nel 1998, sulla nota rivista medica Lancet, pubblicò un articolo sulla corrispondenza tra i vaccini MRV e l’autismo, rimasto in discussione 12 anni prima di essere smentito dalla comunità scientifica. Ciò comportò, comunque, una diminuzione delle vaccinazioni con, ovviamente, un aumento delle malattie. Proveremo dunque, a rispondere a queste domande con il classico sistema dei pro e dei contro.

Vaccino? Sì, grazie! Innanzitutto i vaccini, con il passare del tempo, hanno contribuito a una progressiva riduzione (addirittura estinzione) di alcune malattie infettive e alla diminuzione della mortalità infantile. Gli scienziati di certo non si mettono a giocare, infatti, i vaccini prima di essere messi in commercio devono prima superare molti controlli di qualità, usando,quasi sempre, dei virus inattivi per evitare che, una volta dentro il corpo, questi possano attivarsi provocando dei problemi all’organismo. Spezzando una lancia in loro favore si può dire che, nel caso dei vaccini antinfluenzali, la copertura inizia già dopo due settimane e si prolunga per sei-otto mesi; si evitano molte scocciature, non trovate, soprattutto nei soggetti a rischio!

Sì ma… Uno dei problemi che può presentarsi con i vaccini, soprattutto per quelle malattie sviluppatesi molto rapidamente (vedi l’ebola), è la possibile insorgenza di effetti collaterali che non sono stati messi in evidenza dato il breve periodo di tempo in cui sono stati testati. Prima abbiamo citato i vaccini con virus inattivi ma, sebbene un buon 90% dei vaccini sono fatti con questa tipologia, esiste quel


10% in cui si usano determinate parti del microrganismo che possono provocare complicazioni simili alle infezioni naturali, aggredendo l’organismo in forma virulenta. C’è da aggiungere anche che i vaccini possono contenere sostanze tossiche, come l’alluminio, il mercurio, formaldeidi e sostanze allergiche come l’uovo.

È bene ricordare che la maggior parte della vaccinazione non è obbligatoria e che, comunque sia, ove questa fosse obbligatoria, pagando una multa ci si esonera. Ma se la ricerca scientifica è a favore, non potremmo semplicemente fidarci? Oltretutto è grazie alla scienza se oggi molte malattie sono state eliminate. Serra Ilaria, Errico Sara IVA BIOTECNOLOGIE AMBIENTALI IISS “A.PACINOTTI” TARANTO


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