Possiamo ancora educare a sguardi lunghi, oltre la superficie delle cose, del già visto e del già detto? Possiamo ancora affidarci agli intellettuali, allenatori del futuro, e alle aule scolastiche e universitarie per questo addestramento? O siamo già fuori dal tempo consentito? La questione, su scala più grande, è se questa capacità predittiva
e desiderante dell’óssestai sia passata nelle mani di quei guardiani delle speranze che sono gli intellettuali, abituati a lasciare i loro messaggi in bottiglie affidate ai mari e alle maree. Su questa figura sociale, in bilico tra ascetismo e acrobatica – per dirla con Sloterdijk –, i discorsi si riaprono in continuazione, soprattutto quando le piazze prendono coscienza dei conflitti di valore in cui siamo immersi e delle passioni (tristi) che ci agitano, e torna ogni volta la domanda sul come siamo divenuti ciò che siamo.