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Enrico Magni
Incontro Romanzo
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Questo libro è un’opera di fantasia. Personaggi e luoghi citati sono invenzioni dell’autore e hanno lo scopo di conferire veridicità alla narrazione. Qualsiasi analogia con fatti, luoghi e persone, vive o defunte, è assolutamente casuale. © 2016 Segmenti Editore - Francavilla al Mare
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Per non dimenticare: a Olof Palme, Primo Ministro di Svezia, Presidente del Partito Socialdemocratico dal 1969 al 1986. Nato il 30 gennaio 1927 e assassinato, per motivi politici, il 28 febbraio 1986. Si oppose alla guerra del Vietnam, all’apartheid e alla proliferazione delle bombe atomiche.
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C
I
Camminava scalza sulla spiaggia deserta, assaporava il profumo di salgemma, le impronte lasciate dalla pianta del piede venivano cancellate con i ricordi e i pensieri trasformati in cristalli. L’acqua affogava tutto. La camminata lenta plasmava il movimento dei fianchi, l’umidità dell’aria liberava i capelli. Il sottile filo all’orizzonte e lo scivoloso pomeriggio d’autunno preannunciavano l’ombra precoce della memoria. Le barche dei pescatori stavano sdraiate sulla riva, in attesa di rituffarsi e prendere il largo per sfidare le insidie del mare. I gusci sparsi delle conchiglie ossificate nella sabbia evitavano di ferirla mentre percorreva il tratto insidioso. Era ritornata per riascoltare le voci e riavvolgere le sensazioni dell’infanzia, per staccarsi dalla realtà tumultuosa e contorta in cui era immersa. Era solita frequentare quella spiaggia con la chiusura delle scuole e passare l’estate con sua madre per lasciarla con la ripresa scolastica. Tutto scorreva con una certa ritualità, con una cadenza monotona, ma rassicurante e sicura. Sulla spiaggia ritrovava gli amici, i compagni dell’estate passata, rivedeva i soliti ombrelloni, le sorelle zitelle, incontrava l’amica per chiacchierare e scopriva qualche volto nuovo. La spiaggia 7 Segmenti Editore © 2016 - Riproduzione vietata
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era il salotto buono, piacevole per ritrovare certezze che aveva perso durante l’inverno. Sua madre amava trascorrere l’estate nella piccola casa che cascava sulla spiaggia della Bretagna. L’aveva ereditata dal fratello di suo padre. Aveva conosciuto lo zio da piccola, quando andava a trovarlo con i genitori per fare qualche settimana di mare. Era medico. Parlava poco. Fumava la pipa e occupava quasi tutta la giornata a visitare i suoi pazienti. Da giovane era stato un partigiano. Aveva combattuto i nazifascisti, aveva militato in un gruppo di partigiani. Era il medico di riferimento dei contadini della zona. Oltre a curare le ferite e la salute dei suoi compagni si prestava a soccorrere altri partigiani. Era il comandante dei partigiani di quella zona. Era il punto di riferimento degli inglesi, con il suo gruppo svolgeva delle ricognizioni, trasmetteva informazioni e smistava le armi e i viveri. Tutte le volte che rimetteva piede in quella casa sua madre le raccontava un frammento della storia partigiana, poi andavano nel piccolo cimitero che dà sul mare a trovarlo. Poco distante dalla tomba dello zio c’era una tomba con una foto di una bella giovane donna. Era la tomba della donna amata dallo zio. Si erano conosciuti da partigiani. Militavano nello stesso gruppo. Lei era una giovane professoressa di lettere. Era figlia di un ebreo. Era riuscita a sottrarsi alle persecuzione, agli accordi sottoscritti dal governo Pétain con Adolf Hitler nel 1940 a Montoire-sur-le-Loire. Era scappata dalla deportazione, si era rifugiata sulla costa nord della Francia, conosceva quella zona. L’aveva perlustrata prima della guerra per anni perché cercava di catalogare le opere d’arte presenti. Conosceva i luoghi e le persone. Il posto era tranquillo. Era ospite in una fattoria. I padroni di casa erano premurosi e contenti di accudire la 8 Segmenti Editore © 2016 - Riproduzione vietata
Incontro
giovane ed avvenente professoressa nei mesi estivi. Era raro allora vedere una giovane donna interessarsi di cose che fossero al di fuori della vita domestica. Aveva superato la diffidenza dei contadini stando attenta a rispettare le tradizioni del luogo. Evitava di aggirarsi con giovani uomini. Solo i suoi familiari potevano andare a trovarla. La casa era stata ricavata dal cascinale che componeva tutto il blocco della fattoria. Quando voleva incontrare gli amici della zona andava al bar del paese, così evitava di creare scompiglio. I padroni di casa l’accudivano come una figlia. Le portavano il latte fresco, le uova, i mirtilli, i funghi, la frutta, gli ortaggi, i formaggi freschi, il pane fatto in casa. Era servita e riverita. Si erano affezionati, da qualche anno l’aspettavano, evitavano di affittare ad altri la casetta. In quel periodo dell’anno la casa era della giovane professoressa. Erano contenti di accoglierla e di assecondarla. Il figlio della giovane coppia frequentava le scuole inferiori, aveva qualche difficoltà. Almeno due volte alla settimana la giovane professoressa si dedicava allo svogliato e intrepido ragazzetto. Lo sottoponeva a degli esercizi di grammatica, nel ripasso della storia, della geometria e della matematica, gli teneva un corso di recupero. L’intrepido si era affezionato, lei lo incoraggiava, evitava qualsiasi giudizio negativo, lo stimolava a frequentare il corso estivo di recupero, in quei due pomeriggi lui scansava il lavoro dei campi e stava lontano dalla stalla. Lei si era affezionata. Si fidava, si sentiva a casa. Tutti i sabati sera nell’unico locale del paese si ballava. Era l’occasione per lasciare la casa e incontrare altri giovani. Una piccola orchestra del paese suonava all’aperto, la gente ballava e si divertiva. Tutti i sabati si festeggiava, quasi tutte le persone del posto partecipavano, giovani, 9 Segmenti Editore © 2016 - Riproduzione vietata
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vecchi e ragazzi ballavano sulla piattaforma di legno. Le luci a gas illuminavano il prato e la pista da ballo. Fu proprio un sabato sera che conobbe suo zio. Era il giovane medico del posto. Avevano ballato, bevuto qualche bicchiere di vino, si erano scambiati delle confidenze, iniziarono ad incontrarsi tutti i sabati. Il ballo era l’occasione per parlare, erano incuriositi e attratti l’uno dell’altro ma preferivano mantenere un rapporto di conoscenza e di amicizia. Lo zio in quel periodo frequentava la maestra del paese e ne era innamorato. Però quella giovane professoressa lo stimolava, gli piaceva, gli richiamava la città, l’università. Si trovavano al sabato solo per passare una piacevole serata e godere della breve estate del posto. Il ballo li aveva uniti. Si erano scambiati sensazioni, impressioni, considerazioni sulla catastrofe che stava giungendo dopo gli accordi politici tra il governo francese e quello di Hitler. Le belle estati passate a ballare vennero cancellate dal calendario. Con l’occupazione delle forze tedesche, le lunghe pedalate e i luoghi della memoria furono estirpati. Nell’arco di un anno le condizioni tramutarono, prevalse l’ombra tenebrosa della distruzione delle cose e delle persone. Lo zio con l’occupazione tedesca si era subito impegnato a sostenere De Gaulle che si era ritirato in Inghilterra per preparare con gli alleati la controffensiva. Il suo impegno all’inizio consisteva nel raggruppare persone disponibili a delle operazioni di disturbo e a fare della controinformazione. La giovane maestra era stata costretta a sottoscrivere le condizioni di fedeltà per poter continuare ad insegnare e questo causò una spaccatura nella coppia. Decisero di lasciarsi, per evitare di compromettersi a vicenda. Lei così 10 Segmenti Editore © 2016 - Riproduzione vietata
Incontro
continuò ad insegnare. Lo zio iniziò a vivere nell’ambiguità continuando a fare il medico e ad organizzare la resistenza. Lo zio a causa di quella maledetta guerra, ritrovò la giovane professoressa per caso, in mano aveva un mitra, non il fonendoscopio per auscultare il cuore dei pazienti. Lei era riuscita a scappare alla deportazione, ma non volendo emigrare in America, si era aggregata alla resistenza francese. Lei era una buona ciclista e faceva la staffetta per tenere il collegamento tra i gruppi che erano sparsi e poco organizzati, si spostava da una zona all’altra. Aveva messo da parte gli studi storici, stava lottando per la libertà e per la sopravvivenza. Le condizioni erano difficili. I suoi genitori ebrei furono internati in un campo di concentramento, lei riuscì a fuggire in tempo, grazie al commesso che lavorava nel loro negozio di tessuti. Il commesso era fedele a suo padre, sapeva che era ebreo, però gli era riconoscente per avergli dato un’occupazione che gli permetteva di sostenere la famiglia e di non trovarsi in strada. Quando i tedeschi caricarono sul carro i suoi genitori, il commesso rispettando l’accordo preso con suo padre, inforcò la bicicletta, andò dalla figlia che stava insegnando avvisandola che i tedeschi la stavano cercando per portarla alla stazione e smistarla insieme agli altri. Lasciò subito Parigi, si nascose in una villetta in campagna di loro proprietà. Il padre, prevedendo che la situazione sarebbe peggiorata, intestò la villetta ad un amico francese non ebreo. La villetta era situata prima del paese, era sottratta allo sguardo indiscreto e pericoloso degli abitanti. Lei raggiunse la casa in bicicletta evitando di farsi riconoscere. Si sistemò in casa tenendo chiuse le porte e le imposte. Prima di lasciare Parigi aveva riempito lo zaino delle cose necessarie, nella villetta erano presenti delle 11 Segmenti Editore © 2016 - Riproduzione vietata
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scorte alimentari per l’evenienza. Un amico di Parigi, un professore di fede socialista, si era interessato alla sua situazione, avendo dei rapporti con la resistenza, le aveva dato uno scritto di presentazione che avrebbe dovuto consegnare al comandante dei partigiani. Le indicò il luogo e cosa doveva fare per mettersi in contatto. Prima di lasciare Parigi aveva avvisato il professore affinché si desse da fare per informare i partigiani di quella zona. Il professore garantiva per lei, si potevano fidare. Dopo qualche giorno che se ne stava nascosta, una mattina fuori dalla porta di casa della villetta trovò un cesto con del pane e sotto un messaggio che indicava l’ora e il luogo dell’incontro. Doveva stare attenta a non farsi vedere. L’incontro fu fissato per le due di notte in un casolare lontano un paio di miglia dalla villetta. Le si diceva anche di recarsi all’appuntamento, i partigiani avevano già pronto un compito per lei. Mise nel sacco solo dei vestiti, della biancheria intima e un paio di libri, Guerra e Pace e Don Chisciotte. Chiuse la casa, guardò attentamente che nessuno la vedesse e si recò al punto dell’incontro, come segno di riconoscimento c’era la bicicletta e la lettera del professore. I partigiani l’aspettavano dietro un muro in prossimità del bosco. Erano in quattro, giovani e armati di mitra. Nascosero la bicicletta in una pozza secca coperta da una legatura in legno e si avviarono nel bosco per raggiungere una cascina con una stalla con delle mucche che pascolavano. La stalla mimetizzava la situazione. I giovani partigiani si comportavano come se fossero degli allevatori, era anche un modo per avere del cibo fresco. Tutte le mattine un pastore partigiano scendeva in paese per le provviste ed a consegnare il latte alla latteria. Tutto doveva sembrare normale. 12 Segmenti Editore © 2016 - Riproduzione vietata
Incontro
Il giovane medico andava tutti i giorni a far visita ai pastori. Era stato avvisato che era arrivata una nuova recluta. Era all’oscuro che fosse lei, sapeva soltanto che veniva da Parigi e che era ebrea. Quando la vide fu colto da stupore, meraviglia, tristezza e contentezza. I partigiani rimasero stupiti che si conoscessero e subito colsero come ci fosse del tenero. Passarono tutta la giornata a parlare, a confidarsi. Lui le riferì che aveva rotto con la maestra e le rivelò quello che provava per lei, ora poteva esprimerlo. Anche lei si aprì e lasciò che parlassero le sensazioni che aveva sempre sentito per lui. Da quel giorno i due corpi si unirono in un abbraccio indivisibile. Non c’era tempo per dubbi o rancori, il tempo andava vissuto nell’immediato. La guerra, l’occupazione nazista derubavano la normalità. Si conoscevano, i feromoni si fecero sentire e stanarono l’amore. Quella stessa notte il dottore rimase con lei, informò gli altri del gruppo che la giovane professoressa era diventata la sua compagna di vita. Quelle parole bastarono, gli uomini capirono che dovevano assolutamente rispettarla. La loro storia fu accettata dal gruppo, nessuno si permise di mettere in discussione l’inopportunità della situazione. Lui durante il giorno continuò a svolgere la sua attività di medico in paese, alla sera ritornava in cascina. Sistemarono una stanza, lei poteva leggere i libri che si era portata e avere la sua intimità. Al campo non c’erano altre donne. Il comandante proibì ai suoi uomini di proferire parole in merito. Fu un ordine. La giovane professoressa era solo per tutti la nuova staffetta. La cosa doveva restare riservata per evitare gelosie che avrebbero potuto mettere a rischio la doppia vita del dottore. 13 Segmenti Editore © 2016 - Riproduzione vietata
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Le donne dei partigiani erano all’oscuro di tutto. La storia restò segreta per un certo periodo. Si venne a sapere quando il medico dovette lasciare l’attività in paese perché fu denunciato di essere partigiano, la cosa cadde come neve al sole, ma il tempo per gelosie e per le invidie fu rimosso. Altre erano le preoccupazioni. La precarietà della situazione obbligava a guardare in faccia il rischio, il pericolo. Il nemico poteva sbucare da tutte le parti. Il dottore e la professoressa lo sapevano. Si strinsero in un intimo e discreto profondo rapporto sentimentale che lasciò un’impronta indelebile nell’uomo. L’ amore si alimentò e s’ingrossò sul filo di lama, durò per una ventina di mesi, lei morì prima che la guerra finisse. Venne uccisa in un’imboscata da un gruppo di ricognizione composto da nazionalisti e da tedeschi. Furono vani i tentativi del povero dottore di salvarla. La pallottola le passò accanto al cuore, si era incastrata nella costola impedendone l’uscita. Gli strumenti chirurgici limitati e la situazione imposta impedì di togliere quel maledetto proiettile. Le condizioni lo costrinsero ad accettare l’inevitabile, morì dopo qualche giorno, nell’accampamento cadde un’atmosfera più cupa del solito. Lei gli aveva detto, come se lo sentisse, che avrebbe preferito morire in battaglia piuttosto di finire torturata e bruciata in qualche campo di sterminio. Appena seppellita, trasferì il bivacco, lui fece in tempo a fuggire da una ricognizione dell’esercito tedesco. Terminata la guerra, il corpo della giovane fu riesumato e sepolto nel piccolo cimitero. Diventò la meta quotidiana dello zio. Le cronache del paese raccontano che il bel dottore non si accompagnò più con una donna. Infatti, la casa era arredata solo per lui e fungeva da ambulatorio medico. Teneva una camera libera per gli ospiti, era quella che in 14 Segmenti Editore © 2016 - Riproduzione vietata
Incontro
estate li alloggiava e per l’occasione faceva preparare anche la piccola mansarda. Lo zio morì ancora giovane. La guerra e la morte di lei incisero sul suo corpo. Le angosce, l’assenza, la perdita di quel fresco e giovane amore interrotto da una pallottola nazista conficcatosi nella costola si conficcò anche nel suo corpo e non riuscì a estirparla. I riconoscimenti, le feste per la libertà riconquistata, l’affetto dei suoi pazienti non riuscirono a placare quell’assenza. Rifiutò di trasferirsi in città, di candidarsi alle elezioni per un seggio di deputato. Desiderava soltanto starsene in quella terra a curare i suoi pazienti e passare del tempo con lei accanto alla tomba. Solo nelle festività lo si vedeva all’osteria a conversare ma non a ballare, era come se fosse perennemente in lutto. La gestione della casa e dell’ambulatorio era nelle mani di una donna molto attenta e discreta che era stata partigiana. Conosceva l’uomo, aveva visto sul suo volto la sofferenza trasfigurarsi in rabbia e disperazione. Dopo la morte della giovane professoressa si era fatta carico dei suoi bisogni, lei continuò ad occuparsi del dottore anche dopo la guerra, dopo essersi sposata. Era stata la giovane professoressa a chiedere all’amica partigiana se le fosse successo qualcosa di farsi carico di lui, di accudirlo nelle cose materiali. Lei mantenne la promessa. Pur occupandosi della casa e dei figli, il dottore era al primo posto. Il dottore aveva fatto molto durante la guerra, si era impegnato a curare gli abitanti affrontando pericoli e rischi. La gente del luogo riponeva una grossa riconoscenza in quell’uomo. Tutti sapevano di quella storia d’amore, nessuno si permetteva di commentarla, di aggiungere qualche piccola malizia. Quando andava al cimitero, lo lasciavano in pace, nessuno, prima del calare della 15 Segmenti Editore © 2016 - Riproduzione vietata
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sera, andava a disturbalo. Il cimitero era sempre aperto ed era immerso nel verde. Lo zio morì giovane a causa di un infarto. Lei con i suoi genitori aveva assistito alla cerimonia funebre. Il giorno dopo, il notaio del posto li aveva incontrati per dare esecuzione al testamento. Lo zio aveva lasciato proprio a lei quella casa, con l’impegno che ci sarebbe andata tutte le estati almeno per una settimana. Al fratello lasciò dei ricordi di famiglia. I pochi soldi che aveva messo da parte andarono al piccolo ospedale del paese. In una busta, con una lettera scritta di suo pugno, riservata all’amica partigiana, c’era un assegno consistente ma sobrio. Il notaio, nel consegnarle la busta alla partigiana, lesse un breve scritto in cui la invitava a tenere segreto il contenuto di quella lettera. Mai nessuno scoprì cosa fosse scritto. Si seppe soltanto che la donna per alcuni giorni lasciò il paese e vi ritornò senza più l’assegno. Era l’ultima missione che il partigiano le aveva assegnato. I soldi non li intascò la fedele partigiana. Lei conservò il segreto. Pare che quei soldi servissero per aiutare un vecchio compagno partigiano rimasto cieco che lo aveva salvato da una granata tedesca. Nessuno disse mai niente. Erano passati anni dalla sua morte. In paese lo ricordavano ancora e si interrogavano sulla missione. Lei aveva preso l’abitudine di andare almeno una settimana all’anno nella casa dello zio partigiano, i primi anni con sua madre, poi da sola. Suo padre andava solo per qualche giorno per recarsi sulla tomba del fratello. I ricordi, la guerra, la morte precoce e tormentosa del fratello lo rattristavano. Suo padre era innamorato del luogo, ma il ricordo amaro del fratello, della professoressa che non aveva conosciuto, lo immalinconivano. 16 Segmenti Editore © 2016 - Riproduzione vietata
Incontro
Non sopportava la perdita, non si dava ragione di quel destino amaro e ingiusto. Faceva il solito giro, andava in rosticceria, passava una serata all’osteria del paese a salutare gli amici del fratello, si recava più volte al cimitero, camminava sulla spiaggia per un pomeriggio intero, andava a salutare la vecchia partigiana e poi se ne ripartiva. Fu un rito che compì fino alla morte. Anche lui, come il fratello, fu colto abbastanza giovane da un infarto. Il dolore e la tragedia di una vita si erano sedimentate, non bastavano la bella figlia, la moglie a far accendere sul volto di suo padre la serenità. Troppi drammi lo avevano accompagnato. Sua madre, a differenza di suo padre, amava trascorrere le estati in quel paese per qualche settimana. Si era innamorata della casa che guardava sul mare. Aveva passato con lei tutte le estati dell’infanzia e dell’adolescenza, poi per qualche anno aveva smesso di andarci. La casa, che restava vuota per undici mesi all’anno, veniva controllata dalla vecchia partigiana che la teneva sempre in ordine e pulita. La casa non era mai sola. Ogni giorno con la sua bicicletta la vecchia partigiana andava a controllare se tutto era posto. Non c’erano stagioni belle o brutte che le impedissero di badare alla casa del dottore partigiano. Capitava che ospitasse nella casa del dottore dei parenti o degli amici. Sua madre e lei le avevano dato carta bianca. Quella casa era anche dell’amica partigiana. Mai si sarebbero permesse di obiettare qualcosa in merito all’uso che ne faceva. Era una casa carica di ricordi, di emozioni, quelle pareti avevano sentito e udito cose impensabili. Gli intonaci di quella casa custodivano segreti, silenzi, parole leggere e pesanti. Lei aveva smesso di andarci negli anni dell’università perché era impegnata negli studi e col movimento. Era 17 Segmenti Editore © 2016 - Riproduzione vietata
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da ‘borghesi’ stare nella casa estiva con mamma e papà. Tutti i giorni era in facoltà, la sua vita era fatta di lezioni, assemblee, riunioni e manifestazioni. Non aveva tempo di passare le vacanze in quella terra lontana. Era affascinata da quel posto, quando sua madre rientrava dalle vacanze trascorreva tutta la giornata con lei per farsi raccontare cosa fosse successo, come erano state le giornate al mare e in paese. La casa, la sua casa, la casa dello zio le mancava, ma era troppo impegnata. Nessuno degli amici, delle amiche di facoltà sapevano di quel posto. Era il suo luogo segreto, la sua favola e voleva preservarla dalla presenza di persone estranee. Era il suo rifugio, il luogo della sua intimità, desiderava che così restasse. La casa dello zio era avvolta da una tranquillità melanconica carica di forze che risentivano del dramma della seconda guerra mondiale, necessitava di essere protetta dal turbinio delle discussioni effervescenti. Era tentata di invitare i suoi compagni a fare una gita in quella terra e di far conoscere quella casa carica di storia. In quel paese lei era considerata la nipote del dottore e tutti la rispettavano e le volevano bene. La trattavano con riguardo, si sentiva una piccola principessa. Solo crescendo aveva preso consapevolezza della sua condizione particolare. A causa di queste emozioni preferiva evitare di invitare i compagni nella casa della storia. Con i compagni di scuola preferiva trascorrere le vacanze con il sacco a pelo, visitare città storiche, dormire in spiagge libere oppure in qualche campeggio spontaneo. Si spostava facendo l’autostop e in situazioni estreme con i mezzi pubblici.
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II
Dopo la laurea si era dedicata all’arte ed era diventata una donna affascinante. Aveva ripreso a frequentare con assiduità quei luoghi, le consentivano di rilassarsi e assaporare soltanto il rumore del mare e del vento. Come con sua madre camminava scalza nei tardi pomeriggi lungo la spiaggia, ripercorreva gli stessi passi, ricalcava la stessa sabbia, lasciava le stesse impronte mentre il mare le cancellava. Era divertita, voltandosi, di vedere le impronte che venivano risucchiate dall’onda e scomparivano. Sua madre, terminata la passeggiata, rientrava a casa, si faceva la doccia, beveva una tazza di tè e si sedeva in poltrona accanto alla grande finestra che dava sull’infinito mare. Avvolta nell’accappatoio aspettava che i capelli si asciugassero. Lei accendeva il camino, che era già stato preparato dalla vecchia partigiana, si scaldava accanto al fuoco ascoltando il volatilizzarsi dei cristalli di sale che si erano depositati sulla pelle e lo scoppiettio della legna. Le giornate passavano con un ritmo lento e piacevole, quasi monotono che veniva rotto soltanto dal rumore di fondo di una radio sempre accesa. 19 Segmenti Editore © 2016 - Riproduzione vietata
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Di buon mattino, dopo una tazza di caffè, sua madre faceva lunghe pedalate lungo la costa tra l’intenso verde e i ruderi dei castelli medioevali. Alcune volte trascorreva la giornata in chateau medioevali che visitava e annotava su un quaderno. Scriveva ogni particolare, con la sua macchina fotografica Fujica ST-90 fotografava ogni oggetto. La Fujica ST-90 era di dimensioni compatte, aveva un esposimetro basato su due cellule al silicio, il diaframma era manuale o automatico, per i tempi l’otturatore era controllato elettronicamente. Sua madre non se ne staccava mai, la usava in continuazione. Quando usciva di casa metteva nel cestello della bicicletta la Fujica ST-90, la borsa e il quaderno degli appunti. Fotografava tutto. Con il passare degli anni aveva costruito uno schedario ben dettagliato dei vari castelli. Nell’angolo del finestrone che dava sul mare, aveva messo un raccoglitore che chiudeva a chiave quando lasciava la casa. Il raccoglitore era precluso a tutti, anche alla fedele e inseparabile amica dello zio. Lo riapriva appena vi rimetteva piede, controllava la documentazione e se le fotografie fossero in ordine, poi lo lasciava aperto. Nessuno si permetteva di toccarlo. Quando era di buon umore o dopo avere trovato qualcosa che riteneva interessante, mostrava le foto e raccontava, spiegava i particolari degli oggetti. Questo lavoro certosino l’accompagnò e le fece compagnia per almeno un decennio. Il materiale accumulato era diventato prezioso. Decise di trasferirlo nella sua casa a Londra, per evitare che venisse esposto a qualche disastro. Un amico la sollecitò a scrivere un testo con tutto il materiale fotografico conservato, mettendo in risalto i vari oggetti, l’arredo, le ceramiche, i costumi ritrovati nei vari castelli. Ricostruì la storia di ogni castello, il casato e ri20 Segmenti Editore © 2016 - Riproduzione vietata
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portò gli stuzzicanti racconti degli amori dei vari conti e contesse che i locali tramandavano da una generazione all’altra. Lo scopo della pubblicazione era di far conoscere ad un pubblico più ampio quei luoghi. Per sua madre era anche un modo per ricordare il cognato ed il marito. L’ultimo capitolo del testo lo dedicò alla resistenza dove narrava le vicende del cognato e della giovane professoressa ebrea morta per difendere quei luoghi dalla barbarie nazista. Lo aveva concepito come un testo divulgativo. L’amico si incaricò di farlo leggere ad un editore interessato all’arte e al paesaggio. All’editore piacque, lo pubblicò. Fu contenta, ma si riaccese in lei una certa tristezza, si accorse che era rimasta sola a condividere quell’avventura. Il marito e il cognato erano morti, la figlia era lontana. Il libro risvegliò in lei un sentimento di mancanza, di perdita per la scomparsa prematura del marito, del cognato partigiano e della giovane professoressa. A posteriori, dopo la pubblicazione del libro, si accorse che quelle pagine raccontavano una storia privata carica di affetti, di un destino crudele e di cose mancanti. Era riuscita ad accatastare e catalogare con minuzia le foglie cadute della vita. Con la sua bicicletta aveva percorso chilometri di strade, conosciuto persone, oggetti, accarezzato volti. Dietro a quegli incontri c’era sempre lo sguardo del cognato partigiano, della professoressa uccisa e del marito morto. La gente del luogo fu informata della pubblicazione di quel libro, la prima cosa che le chiesero, quando ritornò in estate, fu di presentarlo presso il castello medioevale del paese. Lei voleva evitare di esporsi, desiderava soltanto starsene in quel luogo in silenzio come aveva fatto per tanti anni. Ma la gente insistette. Per la prima volta l’amica 21 Segmenti Editore © 2016 - Riproduzione vietata
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partigiana le chiese con forza di farle conoscere quella storia, diceva che avevano diritto di saper cosa avesse scritto, anche perché l’ultimo capitolo era dedicato alla lotta partigiana. Lei non era un fantasma, un personaggio della storia, lei era viva e voleva capire, lei aveva dato molto. La vecchia partigiana leggendo il nome del dottore alzò subito le antenne. Era preoccupata che il suo segreto, riguardante l’ultimo desiderio dell’amico partigiano, fosse stato scoperto e messo in piazza. Preoccupata, senza dire niente alla cognata del medico, chiese ad un nipote, che studiava in Inghilterra, di tradurle l’ultimo capitolo. La cognata del medico anche se avesse saputo il contenuto di quella lettera non lo avrebbe mai rivelato. La vecchia partigiana a causa della guerra aveva ereditato una certa diffidenza nei confronti delle persone. La sfiducia era nata proprio durante la resistenza. La segnò per sempre. Era gentile, affabile, disponibile e piacevole ma non si fidava degli altri. Il suo compagno di lotta, che militava con lei nella stessa brigata, per un certo periodo fece il doppio gioco. Era un compagno affidabile, era stato uno dei primi a far parte del gruppo. Una spia del paese, che faceva affari con i tedeschi, lo denunciò. I tedeschi gli fecero sapere, sempre attraverso questa spia del posto, che i suoi genitori e sua sorella se non avesse collaborato sarebbero stati presi e mandati al campo. Il compagno partigiano dovette subire il ricatto e, per salvare i suoi cari, fece passare delle informazioni che determinarono il fallimento di alcune azioni e la morte di un giovane partigiano. Il medico si insospettì, capì che qualcuno del gruppo era stato costretto a fare il doppio gioco. Si confidò con la sua amica partigiana. Di lei si fidava, si era sempre fidato, avevano fatto le scuole primarie insieme, avevano passato 22 Segmenti Editore © 2016 - Riproduzione vietata
Incontro
la loro infanzia a correre tra castagni e i prati. La compagna partigiana si prese l’incarico di indagare, di seguirli quando si staccavano dalla fattoria e andavano in paese. Del suo compagno si fidava ciecamente, per dovere e per essere fedele alla parola data, lo seguì e scoprì che si incontrava con la spia del paese. Ci rimase male, avvisò il medico comandante. Nessuno seppe della scoperta. Il medico continuò le indagini. Il rischio per il giovane partigiano era quello di essere messo al muro dai suoi stessi amici. Parlò con l’interessato e lo sollecitò a ritornare in paese a stare con i suoi. Il giorno dopo il giovane partigiano fu trovato morto al centro del paese. I tedeschi l’avevano preso e fucilato. Si era rifiutato di collaborare. La giovane partigiana non solo perse il suo compagno ma dovette nascondere la sua sofferenza e caricarsi sulle spalle quel segreto che condivideva solo con il compagno medico. La cosa non venne mai saputa. Ma il segreto scavò in lei un profondo sentimento di sfiducia nei confronti degli amici e degli altri. Fece tradurre l’ultimo capitolo, dei castelli e delle storie degli amanti non le fregava niente. Il libro venne presentato in una sala medioevale con colonne gotiche, arcate a ogiva, c’erano tutti quelli del paese, molti visitatori e turisti. Gli abitanti del posto l’ascoltarono con attenzione. La voce lieve ed emozionante ondeggiò nella sala. La partigiana era in prima fila, di fronte, la guardava e la incoraggiava. Mentre la cognata del medico partigiano presentava il libro, lei risentiva il suono della mitragliatrice, gli spari dei fucili, le urla dei morti, gli incendi, le urla dei cadaveri straziati, le divise dei tedeschi nei boschi, i bulldozer sulla strada che spianavano il passaggio delle 23 Segmenti Editore © 2016 - Riproduzione vietata
Enrico Magni
truppe. Il suo primo amore con il giovane partigiano ucciso dai tedeschi. Il suono delle mitraglie, le urla anche dopo anni si ripresentavano nei sogni. Si svegliava e di scatto si girava sul lato destro del letto per prendere con la mano destra il mitra. Si svegliava, in assoluto silenzio lasciava che delle lacrime scorressero sul volto. Finita la guerra dopo anni si sposò con un uomo ormai maturo che aveva perso a causa di un’infezione la prima moglie durante la guerra. Era rimasto vedovo. Faceva l’allevatore, era una brava persona e aveva aiutato, a rischio della sua vita, i partigiani. Lei quando andava a fare ricognizione trovava rifugio in quella fattoria. Conosceva la moglie e i bambini. Era considerata una di casa. L’amico dottore, quando la guerra finì e gli animi si erano rasserenati, le suggerì di assecondare la proposta dell’amico. Il medico e la partigiana sapevano che quello sarebbe stato un matrimonio di comodo. Lei era ancora innamorata del suo giovane partigiano morto, il vedovo della prima moglie ma tutte e due avevano bisogno di continuare a vivere. Si conoscevano, si piacevano e avevano una certa confidenza. Non fu un grande amore ma impararono a dare un ordine alle loro vite distrutte dalla guerra. I nazisti oltre ad avere seminato distruzione e morte avevano minato il futuro dei sopravvissuti. La richiesta dei partecipanti fu quella di poter leggere il testo in lingua madre, sollecitarono la traduzione. Lei pensava che ci sarebbero state delle difficoltà a trovare un editore francese disposto a comprare i diritti d’autore e stamparlo. Tra gli uditori c’era un editore locale che pubblicava materiale turistico. Si era messo subito a disposizione, la gente del luogo non voleva essere espropriata di ciò che le apparteneva. Era convinta che la cosa si sarebbe risolta 24 Segmenti Editore © 2016 - Riproduzione vietata
Incontro
nel più breve tempo possibile, il libro stampato in francese andò subito a ruba nella zona, ogni casa ne possedeva almeno una copia. Era il libro della cognata del dottore partigiano. Sua madre, anche dopo la pubblicazione del testo, continuò tutte le mattine a pedalare, a visitare i ruderi appuntandosi note. Si stava interessando alle ville del luogo, i proprietari l’accompagnavano e le raccontavano la storia della villa, della casa. Sua madre di pomeriggio camminava sulla spiaggia lasciandosi scaldare dal tiepido sole. Sul tardo pomeriggio, dopo il bagno, risistemava gli appunti e scaldava la cena che l’amica partigiana le aveva preparato. Alla sera usciva solo una volta alla settimana, andava alla vecchia taverna, come allora, trovava gli amici del dottore e del suo uomo. Inevitabilmente i ricordi riemergevano si impossessavano della serata, mentre i giovani ballavano. Si sforzava di parlare delle nuove scoperte architettoniche e paesaggistiche evitando di cadere in depressione. Preferiva trascorrere le serate nella sua casa in compagnia dei suoi fantasmi. Ma le era impossibile sottrarsi dalle persone del paese che avevano amato il cognato e suo marito. La storia l’accompagnava come un’ombra in quel luogo tormentato dalle fasi lunari, era impossibile cancellarla.
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