Lui

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Gianfranco Bernes

Lui Romanzo

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Questo libro è un’opera di fantasia. Personaggi e luoghi citati sono invenzioni dell’autore e hanno lo scopo di conferire veridicità alla narrazione. Qualsiasi analogia con fatti, luoghi e persone, vive o defunte, è assolutamente casuale. © 2017 Segmenti Editore - Francavilla al Mare

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La violenza è l’ultimo rifugio degli incompetenti Asimov Bisogna trovare il coraggio, perché di coraggio si tratta L’unico modo di avere ciò che vuoi veramente è liberarti di ciò che non vuoi

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I

Raccontare la famiglia dovrebbe aprire il cuore, invece spesso lo chiude ermeticamente. Succede quando amore, rispetto e serenità non hanno accesso tra le mura domestiche perché esclusi da paura, odio e violenza, sentimenti ed emozioni morbose che assumono tonalità e intensità sempre più distruttive che portano al declino e alla distruzione. La famiglia dovrebbe essere una fucina dove germogliano e crescono tutte quelle emozioni e quei sentimenti atti ad infondere fiducia e forza. La famiglia dovrebbe costruire, dovrebbe rendere percorribile qualsiasi sentiero, anche quello più impervio. Dovrebbe essere un rifugio dove trovare calore e non gelo, dove dare e ricevere conforto e comprensione. Nella società contemporanea il sistema patriarcale è stato sostituito da un’equa distribuzione dei ruoli tra uomo e donna, marito e moglie, padre e madre. Esistono però ancora i pater familias che hanno perso o mai avuto il valore di guida e si propongono con le uniche modalità che conoscono basate sulla superiorità fisica che permette un potere impari. Ecco, quindi, che quella figura rigida e violenta si trasforma in mostro seminando terrore ed orrore ovunque, creando un clima di tensione e minaccia continue. Le per7 Segmenti Editore © 2017 - Riproduzione vietata


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secuzioni si fanno sempre più frequenti e pericolose e le vittime si accorgono di non poter uscire da quella spirale di violenza perché le grida d’aiuto non sono recepite nel giusto valore e si consumano in fragili e deboli lamenti che si perdono nei meandri della società i cui limiti impediscono di porre fine all’immenso male. La speranza è linfa di vita e permette di aggrapparsi a qualsiasi appiglio che dia certezza, a quei sentimenti che possano dare sostegno. Quando però è la disperazione a prendere il sopravvento non ci sono miraggi capaci di offrire un sostegno, allora si imbocca una via senza uscita, quella che porta alla fine. La cattiveria e il male sono alla base della violenza che molte volte si potrebbe evitare con la prevenzione e con le leggi, quelle che l’uomo dovrebbe conoscere prima di applicarle. I luoghi e i nomi delle persone citate sono immaginari. La città in cui è ambientata la storia non è stata citata ma, per alcuni spunti, è riconoscibile a chi l’ha vissuta o la vive.

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I

Temevo la notte. Non che il giorno fosse meglio, ma quando l’oscurità dominava e giungeva il momento di andare a letto tutto diventava difficile. Glielo avevo detto allo psichiatra e avevo cominciato la mia vita a ritroso. Anamnesi remota l’aveva chiamata. E così iniziai questo percorso dai ricordi più lontani, non sempre nitidi, anzi piuttosto offuscati. I primi passi nella mia memoria mi portarono in una piccola stanza, in un angolo con il viso rivolto al muro. “Perché rivolto al muro”, mi aveva chiesto il medico. “Perché non c’era spazio, non mi potevo muovere.” “Quanti anni aveva?” “Quattro o cinque, perché andavo all’asilo.” “Cosa ricorda?” “Ricordo rumori e voci che urlavano, come quando lui mi sgridava, chiamandomi non con il mio nome Lorenzo ma deficiente, scemo o idiota e non capivo il perché di tanto astio. Un giorno, mentre ero in cucina, rientrò e spinse con forza mia madre contro il muro alzando una mano come per colpirla. Mi misi a piangere e si fermò, mi guardò e mi disse di smetterla. Poi, sbattendo la porta, uscì di casa. Mia madre piangeva. 9 Segmenti Editore © 2017 - Riproduzione vietata


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“Un’altra volta rientrò quando la mamma ed io avevamo già cenato. Lei disse qualcosa e lui le dette uno schiaffo. Io presi una spazzola, che era appoggiata sul tavolo, e la scagliai contro la credenza. Lui mi afferrò per un braccio e mi trascinò in quella piccola stanza, che poi non era una stanza ma un minuscolo ripostiglio, fatto a cuneo, pieno di cianfrusaglie e senza finestre. Chiuse la porta a chiave e mi lascio al buio. Avevo paura, non c’era luce e non potevo muovermi per mancanza di spazio. In quella situazione non c’era via di sbocco non potendo nemmeno mettere in atto la difesa più arcaica, quella della fuga. Mi misi a piangere. La mamma cercò di aprire la porta ma lui gridò ‘no, vattene altrimenti ti ammazzo’. Rimasi là non so quanto, fino a quando la mamma venne a prendermi perché era andato nuovamente via. “Queste situazioni si ripetevano spesso: urla, schiaffi e punizioni. Non volevo che rientrasse mai a casa perché avevo paura, anche la mamma era terrorizzata. Io e lei dormivamo assieme, con la luce accesa perché il buio m’impressionava. Con il passare del tempo tutto divenne più difficile. Lui si ubriacava, quando rientrava urlava contro mia madre offendendola. Io piangevo e così finivo in ripostiglio. La mamma mi spiegò che il motivo dei litigi erano i soldi che lui le chiedeva continuamente.” “Perché, non lavorava?” “Non aveva un lavoro fisso. Quando arrivavano delle navi al porto, lo chiamavano per partecipare alle operazioni di scarico ma non succedeva spesso. Qualche volta lavorava come manovale, comunque poca cosa. Era la mamma che sosteneva tutte le spese grazie anche ai nonni che, purtroppo, morirono a causa di un incidente stradale. La mamma era infermiera in ospedale e aveva dei turni, così quando lavorava di notte andavo a dormire dalla zia, una 10 Segmenti Editore © 2017 - Riproduzione vietata


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sua sorella, mentre il pomeriggio, allora andavo in quarta elementare, rimanevo solo a casa sino al suo rientro. Ciò, però, accadeva raramente perché spesso mi lasciava da una vicina che aveva un figlio poco più grande di me. Ed erano i momenti più belli. “La sua era una bella famiglia, i genitori erano simpatici e mi trattavano molto bene. Aveva molti giochi, mentre io avevo solamente un Pinocchio di legno, regalatomi dalla zia quando ero molto più piccolo e alcune auto, dono dei nonni. Ci divertivamo tantissimo, e io avevo cominciato a ridere, cosa ben difficile in altre occasioni. Così andò avanti per alcuni mesi, fino a quando i vicini cambiarono abitazione. “Una volta la mamma mi venne a prendere un po’ più tardi del solito. Quando rientrammo lui era già a casa. Cominciò a gettare a terra piatti e bicchieri e a chiedere a mia madre dove era stata, urlando che aveva un altro uomo. La spinse contro il muro, colpendola al viso e alla pancia. Mi misi in mezzo e con uno spintone mi gettò contro la tavola. Battei la testa e caddi svenuto. Fu un bene, perché così finì la baruffa. La mamma mi portò all’ospedale. Mi fecero una sutura e mi ricoverarono. “Il giorno dopo venne un poliziotto per chiedermi cosa fosse successo. Mi disse di non aver paura perché voleva solamente alcune informazioni riguardanti la mamma e il papà. Voleva sapere se c’erano spesso litigi in casa e se il padre era aggressivo e manesco con me. Dissi che alcune volte mi aveva punito e messo il quel ripostiglio buio e che poi la mamma mi veniva a prendere. Volle pure sapere se avevo visto picchiare la mamma e dissi di sì. Poi mi chiese della sera precedente, quando fui spinto contro la tavola per sapere cosa fosse successo. Così raccontai del nostro ritardo, dei bicchieri buttati a terra e dei pugni che aveva 11 Segmenti Editore © 2017 - Riproduzione vietata


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dato alla mamma. “Il giorno seguente si presentò una signora che non avevo mai visto. Mi disse di essere una maestra che segue i bambini e che voleva conoscere cosa era accaduto ‘quella sera’. Raccontai nuovamente quello che avevo esposto al poliziotto, anche se il suo interesse era maggiormente rivolto ai genitori. Mi chiese se venivo picchiato e da chi. Dissi che la mamma più che altro mi sgridava, mentre lui mi prendeva a ceffoni e delle volte usava la sua cintola dei pantaloni per colpirmi, ciò succedeva alla sera quando rientrava ubriaco. “Dalla mamma seppi che quella signora era un’assistente sociale. Stava prendendo informazioni anche presso i nostri vicini di casa a seguito del mio ricovero e delle numerose liti in famiglia. Pure la mamma aveva sporto denuncia perché ormai le violenze erano quotidiane. Per lungo tempo lei aveva sopportato senza trovare la forza per distaccarsi da quell’essere violento. Penso che lo avesse fatto per non dare scandalo e, quindi, per vergogna. Forse pensava che un giorno sarebbe cambiato, ma credo che lei avesse anche paura di essere uccisa, visto che lui di minacce ne aveva fatte.” “Lei non lo chiama mai papà, dice sempre lui, oppure quell’essere.” “Non ho alcun ricordo piacevole per chiamarlo papà. Non siamo mai usciti assieme, non ho mai avuto un giocattolo, non si è mai soffermato con me, mai una sua parola se non urla e offese. Di lui rivedo violenza e punizioni, sono flashback continui. Molte volte ricordo solo parte dei veri eventi perché gli interi fatti sono troppo dolorosi per rievocarli. Spesso mi chiedo se tutto il mio vissuto sia veramente accaduto e quando mi dico sì è veramente successo piango per la disperazione e pure per la rabbia di non 12 Segmenti Editore © 2017 - Riproduzione vietata


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essere riuscito a fermare tale scempio. La nostra non era una famiglia ma una fabbrica dell’infelicità”. “Come lo avrebbe fermato?” “Non lo so. Ero piccolo e determinate soluzioni non potevo nemmeno fantasticarle. Però spesso, quando lo vedevo, lo volevo morto. Piansi per la dipartita dei nonni chiedendomi perché non fosse successo a lui. Fortunatamente dopo quell’episodio che mi portò all’ospedale e a seguito delle denunce a suo carico, l’assistente sociale stese un rapporto in cui rilevava la sua aggressività e la sua violenza nei confronti della mamma e miei. Ne seguì una sentenza con la quale gli veniva tolta la patria potestà, anche perché nel frattempo era stato arrestato per rissa e furto. Inoltre il giudice gli vietò l’avvicinamento alla casa dove abitavamo, negandogli anche un qualsiasi tipo di contatto.” “Suo padre, che lei ricordi, è stato seguito per problemi psichici?” “Qualcosa ci fu. Me lo raccontò la mamma, anche se evitava tali discorsi. Lo aveva conosciuto in ospedale, dove lei lavorava e lui era ricoverato, e così nacque la storia. La mamma, in un certo senso voleva aiutalo perché parlando le raccontò che aveva trascorso un’esistenza priva di legami familiari, senza rapporti affettivi con due genitori praticamente assenti. Della madre poteva dire soltanto il mestiere, faceva la domestica, e del padre non parlava: non emergeva nulla del loro carattere, dei rapporti tra loro e lui. Aveva abbandonato la scuola e dopo un corso di falegnameria, seguito verso i sedici anni, si era iscritto al collocamento, senza però inserirsi nel mondo del lavoro. Poi era entrato in una cooperativa di facchinaggio e lavorava al porto. All’inizio, mi disse, si dimostrava cortese e gentile, ma aveva sempre atteggiamenti strani.” 13 Segmenti Editore © 2017 - Riproduzione vietata


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“In che senso?” “Nel senso che aveva repentini sbalzi d’umore e certe paure, come per esempio di essere inseguito e controllato. La mamma mi raccontò che aveva allucinazioni sempre più marcate e che più volte aveva cercato di farlo visitare da qualche specialista. Lui però non voleva sentir ragione e rifiutava qualsiasi aiuto. Un giorno si sentì male sul lavoro e fu portato in ospedale, dapprima diagnosticarono psicosi, poi fu chiesta una consulenza psichiatrica e la diagnosi fu psicosi schizofrenica. Dopo un breve periodo di terapia sembrava che le cose andassero meglio, poi però smise di assumere regolarmente i farmaci e la situazione pian piano precipitò e ciò ebbe riflesso negativo anche sul lavoro e, così, iniziò a bere sempre più. Quelle poche volte che lo vedevo a casa lo sentivo farfugliare parole incomprensibili e fare gesti scoordinati e senza alcun senso.” “Il termine psicosi non è particolarmente utile poiché si riferisce a sintomi piuttosto che a una diagnosi specifica e include molte patologie che hanno poco in comune tra loro, come il disturbo bipolare, i disturbi schizoaffettivi, le boufée deliranti, la demenza e appunto la schizofrenia diagnosticata dai colleghi. Che lei sappia, oltre al bere, suo padre faceva uso di sostanze?” “Questo non lo so. Ricordo che lo vedevo spesso ubriaco perché puzzava di vino ed era traballante. Questi erano i momenti in cui si trasformava, diventando aggressivo e violento. Quando non era bevuto non parlava, stava seduto senza far nulla con un viso inespressivo, segnato solo da smorfie, e muovendosi continuamente sulla sedia, forse a causa della schizofrenia.” “Sono i sintomi negativi della schizofrenia, cui vanno associati i deliri e le allucinazioni, che sono i sintomi positivi” disse lo psichiatra illustrandomi i vari aspetti della 14 Segmenti Editore © 2017 - Riproduzione vietata


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malattia.“La parola schizofrenia è molto conosciuta, anche se usata a sproposito. Schizofrenico, nel linguaggio comune, significa una persona instabile, che modifica pensieri e atteggiamenti, come se fosse due persone diverse con sbalzi d’umore e capace di decisioni improvvise e impulsive. Nello schizofrenico l’emozione è appiattita, vi è un’ambivalenza affettiva in cui sono presenti, contemporaneamente, sentimenti e atteggiamenti di polarità opposta. La schizofrenia è una condizione che progredisce e negli anni pensieri e deliri si riducono in quantità e complessità per lasciar posto a una specie di vuoto psichico, indifferenza, apatia, alogia e abulia, cioè i sintomi negativi che denotano una maggiore gravità del disturbo.” Io lo seguivo pur percependo un’agitazione che via via andava aumentando. Mentre parlava avevo continui flash: vedevo mia madre colpita da lui che urlava, poi la vedevo piangere e nel contempo accarezzarmi. Scorgevo quel ghigno che mostrava ogni sera quando rientrava a casa, di solito ubriaco. Mi rivedevo in quell’odioso ripostiglio, fermo a guardare il muro perché non mi potevo muovere, tanto era angusto e tutto ciò mi procurava lo stesso dolore e la stessa paura di allora. Nell’ascoltare la descrizione dei sintomi della schizofrenia sentivo le sue urla e le sue confabulazioni dettate da deliri e allucinazioni. “Vuole che ci fermiamo”, disse lo psichiatra. “Denoto ora una comprensibile reazione emotiva, poiché questi ricordi la fanno ritornare indietro nel tempo a scavare in un passato segnato solamente da episodi incresciosi e da agiti che feriscono ancora e forse più di allora.” “Che cosa intende per agiti?” “Agito o acting out è un meccanismo di difesa disadattivo che porta il soggetto ad agire senza riflettere o senza preoccuparsi delle possibili conseguenze negative. In psi15 Segmenti Editore © 2017 - Riproduzione vietata


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coanalisi è considerato come una modalità non consona di scaricare una tensione emotiva.” “ Ho capito. Comunque preferisco continuare. I ricordi sono come tante pugnalate, però mi permettono di scaricare la frustrazione accumulata in tanti anni. Di questo mio vissuto non ho mai parlato con nessuno perché ogni rievocazione mi fa rivivere la paura, come se quei brutti momenti potessero ripresentarsi. “Dopo la sentenza del giudice, che gli aveva tolto la patria potestà e proibito di avvicinarsi a casa nostra, per un periodo abbastanza lungo la nostra vita si normalizzò, grazie anche alla zia che venne ad abitare con noi. Io frequentavo le scuole medie e quando la mamma era al lavoro restavo con lei, mi aiutava nei compiti, giocavamo oppure uscivamo per una passeggiata o per andare al cinema, cose queste un tempo inusuali.” “Perché per un periodo?” “Una sera la mamma rientrò dal lavoro agitata perché lui l’aveva avvicinata fuori del lavoro chiedendole soldi e al suo rifiuto l’aveva spinta e cercato di colpirla. Le sue grida fecero intervenire alcune persone e fortunatamente se ne andò. Questo era il preludio di un periodo che si annunciava nuovamente difficile e burrascoso. Non si avvicinava a casa, però sostava nei luoghi che la mamma era solita frequentare e ciò nonostante la sentenza di divorzio. Così al lavoro andava accompagnata da qualche collega e limitava al minimo le altre uscite, comunque sempre accompagnata. “Il telefono iniziò a squillare a tutte le ore, anche di notte. Inizialmente stava zitto, poi rispondeva solo alla mamma con parolacce e minacce di morte. Fu fatta allora un’ulteriore denuncia che non fu presa molto in considerazione perché continuò non solo a telefonare ma riprese 16 Segmenti Editore © 2017 - Riproduzione vietata


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a gironzolare nei pressi della nostra abitazione. Fortunatamente in quel periodo la mamma aveva trovato un altro appartamento dalla parte opposta della città. Era stata la psicologa che allora mi aveva in cura a consigliarlo poiché riteneva utile che io abbandonassi quell’appartamento che mi terrorizzava. Per il trasloco ci volevano ancora una quindicina di giorni: vale a dire ancora due settimane di paura. Una sera la zia lo trovò nell’atrio del portone; si mise a urlare correndo verso le scale e lui scappò. “La buona stella però ci dette una mano perché pochi giorni dopo fu arrestato in quanto in una rissa aveva accoltellato un uomo, dopo averlo rapinato. Fu condannato a tre anni di reclusione e la nostra vita riprese normalmente. Forse era questa l’unica strada per uscire da quell’inferno. Però un indulto dimezzò in sostanza la sua pena e subito si mise a cercarci e riuscì a trovarci. Ma questa è un’altra storia che ora non mi sento di rivivere anche perché fu un altro lungo periodo caratterizzato da persecuzioni e pesanti molestie. “Per molti anni non si seppe più nulla. Io facevo il primo anno di università, giocavo a pallacanestro e, quando serviva, lavoravo come cameriere nella trattoria di un vicino di casa, una persona disponibile che la mamma conosceva da ragazzo. Non lo facevo per i soldi, anche se fanno sempre comodo, poiché la società per cui giocavo mi dava un mensile e mi manteneva negli studi. Lo facevo perché mi piaceva l’ambiente, frequentato da giovani e persone per bene, e poi mi divertivo, era diventato una specie di hobby. “Una sera, poco prima della chiusura, lui entrò per bere, ma essendo già ubriaco il proprietario si rifiutò di servirlo. Si mise a urlare e io mi diressi verso la cucina. Però mi vide, mi raggiunse e mi afferrò per un braccio 17 Segmenti Editore © 2017 - Riproduzione vietata


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iniziando a offendere me e la mamma. Il padrone, che era un uomo alto e grosso, intervenne decisamente, lo afferrò per il collo e lo scaraventò fuori dalla porta. Naturalmente mi chiese chi fosse e io gli raccontai la triste storia. Poi mi riaccompagnò a casa. “Al rientro raccontai alla mamma ciò che era successo più che altro per metterla sulla difensiva, poiché credevo che prima o dopo si sarebbe fatto vivo con lei. Decidemmo, allora, di segnalare il fatto alla polizia sperando in un intervento. Non so se gli agenti si mossero e se sì lui però non ne tenne conto, perché una settimana dopo, alla fine del lavoro, me lo trovai davanti. Era quasi mezzanotte e quella sera uscii da solo perché il proprietario, che dopo quanto era successo mi accompagnava a casa, non era venuto al lavoro. “Mi aggredì come una furia gettandomi contro un muro e colpendomi con un pugno al viso. Mi spostai lateralmente, evitando un secondo colpo, ma lui si rifece sotto con in mano un coltello. Senza pensare due volte mi gettai con tutta la forza contro il suo corpo e lo feci cadere, poi mi misi a correre verso casa. Mi fermai nell’atrio del portone a prendere fiato sperando che ciò che era appena successo fosse un incubo, uno di quelli che mi perseguitavano la notte.” “In seguito ci furono altre aggressioni?” “Verbali sì ma non fisiche, però sentivo che prima o poi sarebbe successo di nuovo. Era inevitabile e nessuno sapeva come sarebbe finita.” Uscito dall’ambulatorio dello psichiatra mi sentivo stranamente vuoto a vagare nella mia mente come se stessi vivendo in un mondo immaginario. Con i ricordi avevo aperto dentro di me una porta che non avevo mai nemme18 Segmenti Editore © 2017 - Riproduzione vietata


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no schiuso ad alcuno, neppure a me stesso. Avevo parlato dei miei anni da bambino e da adolescente, trascorsi tra sofferenze e soprusi, mentre avrei voluto comunicare allo psichiatra le mie paure notturne, gli incubi che non sapevo più se fossero allucinazioni o deliri perché erano protagonisti sempre, non solo a letto durante il sonno. Il mattino spesso mi sentivo confuso, non nel senso di intontito bensì come disorientato. Quando ero più piccolo facevo pure fatica a svolgere regolarmente gli impegni poiché ero quasi sempre stanco, visto che i miei sonni erano continuamente agitati e io impegnato a cercare di scacciare le situazioni notturne, che durante il giorno costringevano la mente a un notevole sforzo per tentare di analizzare e capire il perché di tale disagio.

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II

Quando avevo dieci anni il pediatra aveva detto che gli incubi sono molto frequenti nei bambini e che non rispecchiano necessariamente un disagio. Con il tempo, però, visto che erano ricorrenti, il medico ritenne opportuna un’indagine psicologica, cosa che la mamma accettò poiché mi vedeva privo di quell’energia tipica di qualsiasi bambino. Fu così che iniziai il viaggio nella mia psiche, un percorso cominciato da piccolo e mai più abbandonato. Saputa la situazione familiare e in particolare il comportamento paterno, la psicologa non ebbe esitazioni nell’associare gli incubi a un abuso, non nel senso sessuale ma fisico ed emozionale. I miei incubi non riguardavano mostri, cadute o aggressioni da parte di animali, il loro contenuto era sempre lo stesso. Lo dissi alla dottoressa. “Lo stanzino buio, lui che mi guarda con quel ghigno cercando di prendermi e io che non riesco a fuggire. Poi scappavo per ritrovarmi in luoghi bui e senza uscite. Mi svegliavo ed evitavo di dormire per paura di rifare l’incubo. Avevo paura della sua sola presenza. Quando se ne stava zitto, perché ubriaco, seduto sulla sedia con il gomito sulla tavola e la testa appoggiata alla mano, mi mettevo in un angolo, il più lontano possibile, ed evitavo di guardar21 Segmenti Editore © 2017 - Riproduzione vietata


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lo. Temevo che un mio sguardo verso di lui avrebbe scatenato la sua violenza, che per me voleva dire finire nello stanzino. Per me lo stanzino era la peggior punizione. Mi terrorizzava soprattutto il buio. Non chiedevo aiuto per il timore che lui aprisse la porta.” “Temevi di essere picchiato?” “Avevo terrore della sua vicinanza. Ricordo schiaffi e strattoni ma non so i perché di questi suoi comportamenti. Anche quando non era in casa sentivo la sua presenza e guardavo la porta con terrore. Avevo paura che si aprisse improvvisamente e che lui entrasse. Spesso avevo dei flashback e vedevo le sue mani su di me o la sua cintola che mi percuoteva, ma erano come buchi neri di ricordi perduti. Facevo di tutto per non pensare a quei brutti momenti.” La mamma aggiunse che nel sonno mi agitavo e qualche volta urlavo.“A causa di questo -continuò- durante il giorno aveva sonnolenza e, quindi, ridotta capacità di concentrazione. Di ciò si accorsero pure gli insegnanti perché improvvisamente i voti da buoni diventarono mediocri e in classe si mostrava irrequieto. Qualche volta la notte lo sentivo camminare e lo trovavo in cucina. Mi guardava e ritornava a letto e il mattino non ricordava nulla.” La psicologa disse che spesso accade che i bambini esprimano a scuola ciò che non possono dire a casa. Aggiunse che questo mio comportamento disorganizzato e agitato era il risultato di un’esposizione continua a un evento traumatizzante esterno, la cui minaccia era costante in me. Erano episodi di violenza quotidiana che si trasformavano in ricordi ricorrenti e intrusivi da me rivissuti persistentemente attraverso immagini, pensieri e percezioni. Da qui la difficoltà di un buon sonno, perché a letto rievocavo i ricordi del trauma. “È un bambino triste - disse la mamma - non è vivace 22 Segmenti Editore © 2017 - Riproduzione vietata


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per uno della sua età. È come fosse sempre stanco, senza alcun interesse. Non gioca, esce poco anzi niente, non socializza con i coetanei. Vorrei portarlo al cinema ma non gli interessa. Siamo andati in una palestra, lui è un ragazzino sviluppato fisicamente e volevo facesse basket o pallavolo. È andato due o tre volte ma svogliatamente. Alla fine ha detto basta.” La psicologa scosse la testa. “Visto che questo problema si prolunga ormai da tempo direi si tratta di un disturbo post traumatico da stress, da inquadrare non tra i disturbi d’ansia ma come stato di dissociazione. Quando un bambino vede il genitore, in questo caso il padre, non come fonte di protezione ma fonte di allarme e pericolo si determina una situazione di paura senza sbocco. Rimane prigioniero dell’orrore cui è sottoposto, tanto da far fatica a concentrarsi nel presente, appare scioccato, confuso e spaventato. La dissociazione allora ha una funzione adattiva, in quanto consente a una persona di non essere sopraffatta nell’impatto con il trauma e di risolvere conflitti inconciliabili, di sfuggire dalle costrizioni della realtà e di isolarsi da esperienze catastrofiche, quelle che nei bambini sono definite il dolore degli impotenti.” Per me erano paroloni incomprensibili, però avevo capito che stavo male. Non avevo dolori alla pancia o alla testa, avevo qualcosa di oscuro e minaccioso. Pensavo che avrei dovuto assumere farmaci, invece la psicologa disse che ci saremmo incontrati per un periodo, una volta la settimana. “Perché devo vedermi con lei ogni settimana?” chiesi alla mamma una volta a casa. “Vuole parlare con te per capire tante cose. Desidera aiutarti capendo i tuoi, anzi i nostri, problemi e cercare una soluzione per farti stare sereno e tranquillo. Pure io andrò 23 Segmenti Editore © 2017 - Riproduzione vietata


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da lei poiché vuole sapere tante cose. Aveva chiesto anche che venisse tuo padre, ma come si fa? Le ho spiegato qual è la situazione e, quindi, lui non verrà.” “Ha parlato di stress, che cosa è lo stress?” “È un insieme di cose che ti fanno preoccupare. Per esempio quando assisti a qualcosa di brutto e di violento ti agiti e poi ci pensi continuamente tanto che subentrano timore e paura che poi ti fanno star male.” “Come quando lui urla e rompe tutto e mi mette nello stanzino?” La mamma fece un cenno di sì, mi prese la mano e ci avviammo verso casa.

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III

La serenità e la tranquillità non abitavano in casa nostra. Calma e pace esistevano solamente quando lui non c’era e per fortuna la sua lontananza si protraeva per tutta la giornata. Spesso non lavorava e dove andasse tutto il giorno non lo so, probabilmente a bere visto che la sera, quando rientrava, era quasi sempre ubriaco. A questo punto generalmente iniziavano i dolori. Non gli andava mai bene nulla, chiedeva sempre soldi alla mamma e le parole che diceva erano offese e bestemmie. Dopo la prima visita con la psicologa rientrammo a casa e lo incontrammo davanti al portone. Era paonazzo e si sosteneva al muro. Mia madre mi prese per mano e di corsa salimmo in casa. Dopo poco arrivò. Voleva mangiare ma la cena non era pronta. “Te ne vai in giro con questo deficiente invece di preparare quello schifo di cibo che sai fare.” “Eravamo dal medico perché Lorenzo non sta bene.” “Brava, va a buttare i soldi con i dottori. Lui non ha nulla è solamente un incapace.” “Non sono soldi tuoi. Tu li usi per bere e basta. Fosse per te moriremmo di fame e senza una casa.” La mamma quasi sempre lo contrastava e ciò lo faceva 25 Segmenti Editore © 2017 - Riproduzione vietata


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letteralmente imbestialire. Mi dette uno spintone e si avvicinò minaccioso a lei. La prese per le braccia, stringendola e strattonandola fortemente. “Fermati” gridai. “Cosa hai detto piccolo deficiente? Cosa hai detto?” Lasciò la mamma, si avvicino a me e mi colpì con uno schiaffo. “Non toccarlo” urlò la mamma. Non rispose, mi prese stretto per un braccio, mi fece cadere e mi trascinò a forza nello stanzino nonostante l’intervento della mamma. Chiuse la porta a chiave e si mise a camminare in corridoio. Udivo i suoi passi pesanti e temevo che entrasse nello sgabuzzino. Sbuffava come un animale. Lo sentivo borbottare parole incomprensibili intercalate da qualche urlo, pure quello disumano, e da parolacce rivolte a mia madre e a me. Sentii dei colpi, erano pedate o pugni contro una porta, poi il rumore di un oggetto sbattuto a terra forse il vaso che la mamma teneva su un mobiletto in corridoio. Faceva sempre danni, rompendo piatti e bicchieri gettandoli contro il muro della cucina. Un giorno prese una sedia alzandola sulla testa e andando verso mia madre. Credevo volesse colpirla, invece la sbatte con forza contro una porta frantumando il vetro. Inorridito osservavo la scena ringraziando l’Angelo, sicuramente lo stesso che più volte impedì il peggio. Finalmente andò in cucina. Lo sentii ancora urlare offese. “In questa casa non c’è mai del vino, non c’è mai niente. Ci siete solo voi due esseri inutili. Dammi dei soldi che esco, altrimenti ti ammazzo.” La mamma non gli rispose, lui dette un calcio a una sedia e dalla borsa della mamma prese il portafogli. Se ne andò sbattendo la porta e io fui subito liberato da quella tortura che era lo stanzino. Uscii piangendo e terrorizzato. 26 Segmenti Editore © 2017 - Riproduzione vietata


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Temevo che improvvisamente rientrasse e desse nuovamente sfogo ai suoi insani impulsi. “Perché è sempre così cattivo? Non è mai stato buono con noi” dissi. “Inizialmente non era così, ma durò poco.” “Gli hai dato soldi?” “No, se gli è presi da solo. Fa sempre così.” “Perché non va via di casa e ci lascia in pace?” “E dove va! Non ha nessuno che io sappia. Non ha fratelli e la madre è morta poco prima che tu nascessi. Un tempo si vedeva con un cugino, poi hanno litigato. Si sono presi a pugni e non so il perché, forse per soldi.” “E suo padre dov’è?” “Se ne andò di casa quando era piccolo. Picchiava lui e la madre.” “Quello che sta facendo ora con noi. Cos’è un modo di vendicarsi? E di chi? Quando sarò grande lo ucciderò.” “Queste cose non devi dirle e nemmeno pensarle. Non è uccidendo le persone che si risolvono i problemi.” “Però lui è sempre violento non ci dà nulla, solo botte. Merita di essere ammazzato” “Basta con queste idiozie.” “Tu lo hai mai pensato?” “Cosa?” “Di ucciderlo.” Io avrei voluto avere un padre come quasi tutti ce l’hanno. Vedevo i miei compagni uscire con i genitori, andare al cinema, a mangiare una pizza, andare al mare, magari solo a fare una passeggiata. Io questo con lui non l’ho mai fatto. Molte volte mi domandavo il perché. Mi chiedevo se fosse colpa mia, perché taciturno e schivo da tutto e da tutti, oppure se era lui a essere diverso. Taciturno lo ero 27 Segmenti Editore © 2017 - Riproduzione vietata


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perché in sua presenza non parlavo mai. Temevo che una mia qualsiasi parola potesse essere sbagliata o interpretata male, allora era meglio tacere. Mi domandavo perché l’uomo, che detiene il potere in famiglia, ha bisogno di imporre il suo dominio con la violenza. Con la mamma era tutto diverso. Con lei parlavo, anche se non troppo, e alcune volte mi faceva pure divertire nonostante fosse quasi sempre triste. Non ricordo punizioni o botte da parte sua. Qualche volta si irritava, quasi sempre per la scuola, ma non urlava, mi riprendeva facendomi capire dove avevo sbagliato e cosa dovevo fare. La fonte di pericolo in casa era lui, per me e per mia madre, in verità più per lei perché era a lei che chiedeva continuamente soldi, arrabbiandosi, urlando e menando. Molte scene di violenza le ricordavo vagamente perché quando se la prendeva con la mamma chiudevo gli occhi o mi voltavo verso il muro. Non vedevo ma udivo. Pure certi maltrattamenti rivolti a me erano vaghi: alcune scene le ricordavo, altre, quasi tutte, erano finite nel dimenticatoio della mente e mi comparivano offuscate come se non mi appartenessero.

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Prima Edizione: 2017 ISBN 9788899713065 © 2017 Segmenti Editore - Francavilla al Mare Psiconline® Srl - 66023 Francavilla al Mare (CH) - Via Nazionale Adriatica 7/A

Sito web: www.segmentieditore.it e-mail: redazione@segmentieditore.it I diritti di riproduzione, memorizzazione elettronica e pubblicazione con qualsiasi mezzo analogico o digitale (comprese le copie fotostatiche e l’inserimento in banche dati) e i diritti di traduzione e di adattamento totale o parziale sono riservati per tutti i paesi.

Finito di stampare nel mese di Marzo 2017 in Italia da Universal Book - Rende (CS) per conto di Segmenti Editore (Marchio Editoriale di Psiconline® Srl)

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