Mio Padre

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Giorgio Carnevale

Mio Padre Romanzo

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Questo libro è un’opera di fantasia. Personaggi e luoghi citati sono invenzioni dell’autore e hanno lo scopo di conferire veridicità alla narrazione. Qualsiasi analogia con fatti, luoghi e persone, vive o defunte, è assolutamente casuale. © 2016 Segmenti Editore - Francavilla al Mare

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Padre, se anche tu non fossi il mio Padre, se anche fossi a me estraneo, per te stesso egualmente t’amerei Camillo Sbarbaro

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L’I

Tutto è iniziato quando avevo quindici anni. Fino a quel giorno la mia vita era felice, scorreva come un fiume tranquillo. Figlia unica di due genitori splendidi, impegnati in modo esemplare sia nel lavoro sia in famiglia, mi hanno sempre seguito nella mia crescita. Né troppo protettivi né troppo permissivi. Compiuti i quattordici anni, chiesi il motorino, allo scopo di semplificare gli spostamenti scolastici, e loro, un po’ intimoriti come tutti i genitori, mi comprarono il nuovissimo Scarabeo rosso, proprio quello che desideravo. Si raccomandavano ogni giorno che fossi prudente e io, un po’ per il mio temperamento tranquillo, un po’ per accogliere le loro preoccupazioni, lo utilizzavo il necessario. Già alle scuole medie mi avevano trovato un soprannome, la calma Gioia. Era un modo carino e spiritoso per associare il mio nome, che esprime felicità, al modo calmo e posato con cui affrontavo le difficoltà sia della scuola sia dell’adolescenza, che iniziava a imporsi con prepotenza. In quel periodo vedevo il mio corpo trasformarsi, modificarsi velocemente. Il seno s’imponeva sul mio corpo e le forme dei fianchi erano disegnate con molta dolcezza, ma nello 7 Segmenti Editore © 2016 - Riproduzione vietata


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stesso tempo con molta fermezza. Le mie amiche, Daniela su tutte, erano preoccupate per tutti questi cambiamenti. Daniela era spaventata del fatto che i ragazzi piantavano i loro sguardi sul suo sedere e spesso, molto spesso, anche uomini adulti, sposati, e perfino i nostri professori. Reagiva sempre in modo aggressivo, diceva che gli uomini sono tutti maiali, che non pensano ad altro. Quando qualche ragazzo le si avvicinava, si irrigidiva e diventava di un’antipatia unica. Io cercavo di rassicurarla, dicendole che se aveva quel sedere che sprigionava fantasie doveva adattarsi, perché non si poteva cambiare né il suo sedere né, tanto meno, il genere maschile. Ero posata, calma, giudiziosa, e spesso gli amici cercavano la calma Gioia per avere qualche parola di conforto, per avere consigli, per essere un po’ contagiati dalla mia serenità. Arrivò un giorno che tutto cambiò violentemente e da lì in poi la calma Gioia non è più esistita. Proprio il mio Scarabeo rosso mi ha tradita, gettando me e la mia famiglia in una tragedia senza fine. Un brutto incidente, un frontale con una macchina, mi ha completamente spappolato un rene. In ospedale hanno capito subito che l’unica soluzione era il trapianto. Hanno convocato i miei genitori chiedendogli, come il protocollo esige, la donazione di un loro rene. Fu in quell’occasione che scoprii di essere stata adottata all’età di due anni e questa scoperta ha cambiato totalmente la mia vita. Un ragazzo meno fortunato di me, ormai morto, mi donò il suo rene e il mio organismo lo accettò serenamente, nonostante la serenità fosse totalmente scomparsa dalla mia vita. Con il tempo le mie condizioni fisiche si stabilizzarono e io tornai normale. Ma questa normalità era solo 8 Segmenti Editore © 2016 - Riproduzione vietata


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fisica, nel senso che avevo due reni, due gambe e due braccia, ma dentro la mia testa c’era l’inferno. Miracolosamente mi sono salvata, ma quel clima equilibrato che regnava in famiglia non esisteva più. Quando timidi segnali annunciavano l’avvicinarsi della serenità, ero proprio io che in qualche modo facevo saltare tutto. Non mi sentivo più normale e detestavo qualsiasi tentativo di ritorno alla normalità che i miei genitori cercavano di riproporre. Ero molto dura con loro, li rimproveravo di non avermi mai detto nulla, di essersi interessati al mio benessere materiale ed estetico, ma di non essersi mai fatti un problema del fatto che io potessi venire a conoscenza della mia adozione. «E se non fosse successo l’incidente, me l’avreste detto? E quando? Quando mi sarei sposata? Oppure quando sarei rimasta incinta?» Con rabbia gli andavo sotto urlando e loro cercavano solo di calmarmi. «Gioia, non fare così, certo che te l’avremmo detto, magari arrivata alla maggiore età. E poi cosa cambia? Ti abbiamo sempre voluto un bene dell’anima, ti abbiamo sempre cresciuto come nostra figlia.» Era proprio questa la frase che mi faceva saltare i nervi, proprio questa. Era come se mi ribadissero che non ero la loro figlia e questo mi faceva diventare velenosa, con loro e con il mondo intero. Dentro la mia testa questa frase veniva tradotta in questo modo: non sei figlia di nessuno. Ricordo come se fosse ieri l’estate che andai a fare un corso di vela sperando che il mare, il vento e un pizzico di avventura mi avrebbero fatto bene. L’istruttore alla prima lezione ci spiegò i fondamentali del vento e delle andature della barca. «Quando la barca riceve il vento da dietro, dalla poppa, viene spinta dal vento stesso, che mette pressione alle vele facendola avanzare. Ma quando, invece, 9 Segmenti Editore © 2016 - Riproduzione vietata


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dobbiamo navigare in direzione opposta al vento, cambia tutto. Il vento non ci spinge, perché l’abbiamo di fronte e una barca non va controvento, lo risale. Quest’andatura si chiama bolina. Immaginate un punto da raggiungere, esattamente davanti a noi, con il vento che ci soffia in faccia. Dobbiamo bordeggiare percorrendo continue ipotenuse, verso destra e verso sinistra, per raggiungere il nostro punto d’arrivo. La bolina è dura, ragazzi, è fatta di schizzi in faccia, di onde che s’infrangono contro di noi. È dura perché dobbiamo tenere noi la barca dritta, altrimenti si capovolge. Di bolina il vento non è solo un amico, ma anche un nemico, perché se sbagliamo una manovra, ci ribaltiamo. Siamo contro tutto, vento e onde.» Proprio così mi sentivo: contro tutto e tutti. Navigavo la vita perennemente di bolina, facendo una fatica enorme. Chi mi conosceva da tempo non ritrovava i tratti calmi e collaborativi del mio temperamento. Di nuove amicizie non se ne parlava, ero ossessivamente selettiva, talmente tanto che nessuno riusciva indenne da questa spietata selezione. Nonostante questo, la mia vita riprese il suo corso, ma tutto era molto più accelerato di prima. Mi osservavo attentamente, cercavo di capire cosa mi stesse succedendo e cosa potessi fare per uscire da quella gabbia in cui mi sentivo rinchiusa. Capii che il mio cervello si era diviso in tre parti, ognuna completamente autonoma rispetto alle altre. La prima era quella di sempre, con la differenza che qualsiasi cosa potesse riportarmi al clima di serenità precedente mi faceva diventare insopportabile. Questa parte del cervello era velocissima, calcolatrice, cercava qualsiasi cosa potesse trasmettere un segnale di tranquillità e immediatamente mi faceva scattare per distruggere tutto quel 10 Segmenti Editore © 2016 - Riproduzione vietata


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che sembrava normale. La seconda parte era il mio dolore, il vuoto. Domande ossessivamente predeterminate su chi fossi, chi ero stata, chi era mia madre, chi era mio padre. Questa parte del cervello mi ripeteva lentamente queste domande con una ciclicità impressionante, distillando ogni singola parola. Uno stillicidio! Infine la terza parte, ancora dolore. Dolore per quel ragazzo che non c’era più e che mi aveva donato un pezzo di sé, che ormai viveva dentro di me e per il quale avvertivo forte e chiaro la responsabilità di proteggerlo. Ma io non mi sentivo in grado di proteggere niente e nessuno, così come non riuscivo a proteggere me stessa. L’anno successivo all’incidente, i suoi genitori vennero a trovarci per conoscere la persona a cui aveva donato il rene. «Tesoro», mi disse la mamma di Flavio, «il nostro dolore è enorme, non sai quante lacrime versiamo ogni giorno per Flavio ma sapere che una bella ragazza come te, figlia di genitori così splendidi, ospita una parte di Flavio, ci dà quella piccola speranza che lui sia ancora vivo.» L’ascoltai silenziosa, con la testa bassa, ma quando cominciò a parlare della famiglia, dei miei genitori, ribollii. Aspettai che finisse il rituale e, senza distogliere lo sguardo dal bordo sbeccato di una mattonella, con voce forzatamente calma, dissi: «Signora, ho scoperto con questo incidente di essere stata adottata. Quelli che vede qui non sono i miei genitori naturali. Non so dove, ma ho un’altra madre e un altro padre. Spero che il rene di Flavio mi dia la forza di affrontare tutto questo, mi aiuti a combattere, mi aiuti a capire e non mi abbandoni mai.» Scappai in camera a piangere. Anche in quell’occasione non riuscii a trattenermi e trasformai quell’incontro d’amore in un casino. 11 Segmenti Editore © 2016 - Riproduzione vietata


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Crescevo in fretta, studiavo tantissimo e superavo le difficoltà scolastiche e poi universitarie come una macchina da guerra affronta l’esercito nemico. Finita l’Università, vinsi una borsa di studio per un dottorato ad Harvard e dopo tre anni mi ritrovai in uno studio tutto mio, come responsabile di un talk show di un’importante televisione USA. Tutto ciò in un tempo che se l’avessi misurato col mio orologio interiore avrei detto due o tre giorni, mentre invece erano trascorsi anni. Il fatto di lavorare regolarmente, con ritmi stressanti ma sempre uguali, amplificò enormemente la seconda parte del mio cervello, quella delle domande ossessive. Ma non erano più solo domande esistenziali vuote, si erano modificate. «Chissà com’era mia madre. E se la incontrassi al supermercato, la riconoscerei? Ma se non l’ho mai vista, come farei a riconoscerla? E mio padre? Com’era?» Passavo ore a guardarmi allo specchio, osservavo i miei lineamenti fin nei piccoli dettagli. Ero molto brava al computer e in modo particolare con i programmi di grafica. Prendevo qualche foto con un mio primo piano e lo modificavo, cercando di dare un volto a mio padre e a mia madre. Stampavo tutto quello che mi appariva convincente e poi lo appendevo in una parete della sala. Più investivo tempo in queste attività sul mio corpo, alla ricerca di somiglianze, e più la seconda parte diventava forte, s’imponeva su tutto e le domande ossessive si trasformavano in strategie ossessive. Non so perché, ma questa parte non era operativa, nel senso che non mi spingeva a fare ricerche o cose simili, muoveva solo grandi quantità di energie per capire e conoscere quello che per me era ignoto. Per fortuna, in quel periodo così frenetico e colmo di solitudine, avevo sempre vicino a me il mio angelo cu12 Segmenti Editore © 2016 - Riproduzione vietata


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stode. Nonostante la lontananza e il tanto tempo trascorso negli USA, Daniela non mi aveva mai abbandonata. Ci sentivamo praticamente tutti i giorni, chiacchieravamo del più e del meno, ma spesso si ritornava sull’argomento. Lei me lo ripeteva sempre: «prima o poi vorrai sapere». Un fatto cambiò questo precario e penoso equilibro. Frequentavo Paolo, un ragazzo conosciuto durante una trasferta di lavoro. Non eravamo ufficialmente fidanzati, ma spesso andavamo insieme da qualche parte e ogni tanto facevamo sesso. Un giorno successe che si ruppe il preservativo e io andai nel panico più totale. Non mi angosciava tanto l’idea di essere rimasta incinta, ma il fatto che sarei potuta diventare madre prima ancora di sapere chi fossi. Per fortuna non rimasi incinta, ma dentro di me tutto cambiò. Da quel momento, le tre parti del mio cervello non erano più separate, ma agivano e reagivano insieme. Si erano riunite per conquistare la mia identità, e molto velocemente questa nuova dimensione mi spinse con forza verso la scoperta e quindi, a quel punto, avevo una missione da compiere: conoscere mio padre e mia madre. Daniela si era sempre resa disponibile e con molta discrezione, in uno dei nostri calorosi abbracci, mi sussurrò all’orecchio: «Ti sarò sempre vicina, anche se te ne vai. Se avrai bisogno di me come amica, o come avvocato, dovrai solo alzare il telefono. Io ci sarò!» Parlai con Daniela della mia missione e lei non si scompose minimamente, sapeva già tutto e non me lo aveva mai nascosto. Aveva aspettato pazientemente quel giorno e voleva stare lì, vicino a me. Lei si attivò subito, e dopo vari problemi legati alla burocrazia del nostro paese e di quello colombiano, cominciarono ad arrivare le prime informazioni: Griselda Come13 Segmenti Editore © 2016 - Riproduzione vietata


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saña era mia madre e Ermanno Perez mio padre. Quando Daniela inviò il loro nome, mi provocò un’emozione fortissima, come se ormai avessero un volto, come se la loro esistenza non fosse solo una rappresentazione astratta, ma fossero diventate due persone reali. Ma la cosa si sgonfiò velocemente, poiché non sapevo altro che i loro nomi e quindi non potevo svolgere nessuna ricerca sul campo. Daniela m’invitava alla pazienza, dicendomi che presto avremmo avuto un posto, un luogo da dove partire. Un giorno mi parlò di una struttura che sarebbe stata la mia prima vera tappa. Ma ottenere le varie autorizzazioni necessarie era difficilissimo. Mi ripeteva in continuazione che se da noi c’è una corruzione vergognosa, da loro è la normalità. E la distanza, ovviamente, complicava tutto.

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L’A

Un bel giorno Daniela mi chiamò e con voce squillante mi disse: «Ciao Gioia, mettiti comoda, prendi un pezzo di carta e una penna perché ho una notiziona per te.» Sapevo che quello che mi stava per dire sarebbe stato il mio trampolino di lancio, ma avevo paura di non farcela, di non avere le forze necessarie per affrontare tutto. Forse quel trampolino era troppo alto per me. «Scrivi, dai! Orfanotrofio Vivir la Vida, è in una piccola città che si chiama Florencia.» Sarei voluta partire in un lampo, ma dovevo restare calma e organizzare ogni cosa nei minimi particolari. Nel mio cervello rimbalzavano quelle parole in continuazione: Griselda Comesaña, Ermanno Perez, Orfanotrofio Vivir la Vida Florencia. Da quel momento, la mia vita diventò solo questo. Dentro e fuori la mia testa esisteva solo la ricerca dei miei genitori. La settimana successiva alzai i tacchi e da quel momento iniziò la mia tormentata avventura. Dopo un viaggio dove imparai cosa sono gli imprevisti, arrivai all’orfanotrofio e lì ricevetti informazioni molto precise ma nello 15 Segmenti Editore © 2016 - Riproduzione vietata


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stesso tempo drammatiche. Mia madre era morta durante il parto, alla mia nascita, mentre su mio padre le informazioni erano piuttosto vaghe. Mi dissero solo che, pochi mesi dopo la mia nascita, era stato ricoverato in una clinica psichiatrica nelle vicinanze. Ma di lui non sapevano altro. Passai il resto del pomeriggio sotto un albero, chattando con Daniela e informandola dettagliatamente di quello che stavo vivendo. Lei era il mio unico riferimento. Da sempre, ogni volta che mi fermavo a riflettere, ogni volta che la mia sofferenza prendeva forme e strade diverse, lei era la mia unica interlocutrice. «Daniela, ci sei?» «Eccomi. Sì, ci sono. Qui è notte fonda.» «Scusami, scusami, ma avevo bisogno di raccontarti una cosa.» «Certo, non preoccuparti. Hai scoperto qualcosa?» «Sì, ho scoperto troppo e tutto insieme.» «Oddio, Gioia! E come stai?» «Non lo so, non so come sto. Ho scoperto che mia madre è morta durante il parto, per farmi nascere.» «Oddio, che brutta storia! Vuoi che ti raggiunga, Gioia? Vorrei essere lì con te e... ho paura per te.» «No, non è necessario. Posso farcela, lo sai. Sono partita con l’idea di trovarmi di fronte a una catastrofe e quindi sono pronta a tutto.» «No, Gioia, a queste cose non si è mai pronti.» «Hai ragione, è vero, ma devo andare avanti. Sai, da quel giorno ho deciso di sapere, la mia vita deve passare da qui per proseguire. Non è una questione di volontà, ma di pura sopravvivenza.» «Lo so, ne abbiamo parlato tanto e ho capito bene. Ma vorrei abbracciarti, poterti accompagnare nella tua scoperta.» 16 Segmenti Editore © 2016 - Riproduzione vietata


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«Il fatto di sapere che posso in qualsiasi momento contattarti, raccontarti quello che sto facendo, quello che ho scoperto, è una cosa importantissima per me. Sei il mio angelo custode, Daniela. E per me è tantissimo.» «E adesso dove andrai, dove stai andando?» «Sono stata tutto il pomeriggio su una panchina nel giardino dell’orfanotrofio a guardare la foto di mia madre che mi hanno dato. Ho pianto tutte le mie lacrime, Daniela, forse tu mi puoi capire.» «Credo di sì...» «Mi fa male! Mi fa male pensare che lei è morta per mettermi al mondo. Tutta questa morte che mi ritrovo dentro non è sopportabile. Il rene di Flavio, mia madre...» «Capisco, è una cosa terribile. Ma... tu che colpa ne hai?» «Nessuna, lo so, ma è straziante. È come se queste persone fossero morte per dare la vita a me. È troppo, Daniela. È veramente troppo! » «Sì... lo capisco.» «Ora ti lascio. Sei un tesoro, Daniela, senza il tuo aiuto sarei persa.» «Aspetta! E... di tuo padre?» «Mi hanno detto che poco dopo la mia nascita è stato ricoverato in una clinica qui vicino. Non mi aspetto niente di buono.» «Hai ragione, nella situazione in cui ti trovi anch’io avrei perso la speranza.» «Adesso torno in albergo. Domani andrò alla ricerca della clinica dov’è stato mio padre. Dopo trent’anni, chissà che fine avrà fatto.» «Gioia, fammi sapere, mi raccomando. Fammi sapere subito appena sai qualcosa.» «Certo, non preoccuparti. Lo farò!» 17 Segmenti Editore © 2016 - Riproduzione vietata


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La sera mi addormentai presto, e al mio fianco, sul comodino, c’era il foglietto con l’indirizzo. La mattina mi presentai in clinica sul presto. Non sembrava una clinica, nemmeno un ospedale, ma una specie di vecchio albergo fatiscente utilizzato come ricovero per barboni e persone in difficoltà. Entrai e notai una donna alla reception che lavorava ai ferri. Mi rivolsi a lei con tono dimesso. «Hola, esta es la clínica Patarroyo?» «Sí, está escrito fuera!» «Yo tendría que tener información sobre mi padre, hospitalizado aquí hace muchos años.» «¿Quién es usted?» «Yo soy la hija, mi nombre es Gioia Vitti.» «Y tu padre, ¿cómo se llamaba?» «Ermanno Perez.» «No es tu padre, usted no tiene su nombre!» «Sí, es mi padre! Yo fui adoptado por una familia italiana, cuando tenía dos años.» «Esto te lo dice.» «Sin duda, se lo aseguro, porque lo hice hacer una investigación de mi abogado. Usted ve, en esta hoja son los nombres de mi padre y de mi madre.» «Este folleto en nuestro país no vale nada.» «¡Por supuesto! Tiene validez internacional, es el sello de su embajada en Italia.» «Mire, yo no te voy a dar ninguna información. Si desea llamar a la policía, ya verás que confirman lo que te dije.»1 1 - Salve, questa è la clinica Patarroyo? - Sì, è scritto fuori! - Avrei bisogno di avere informazioni su mio padre, ricoverato qui

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Me ne andai piuttosto interdetta e incavolata. Appena fuori, ricontattai subito Daniela in chat. «Ci sei?» «Ciao! Novità?» «Sono nera. Ho trovato la clinica, ma non vogliono darmi informazioni su mio padre. Dicono che il foglio che ho qui non vale.» «Sì che vale, Gioia, quando abbiamo ritirato il certificato dal Tribunale abbiamo fatto mettere il visto dell’ambasciata colombiana, ricordi?» «Certo che ricordo! E gliel’ho anche fatto vedere. Ma questa niente, non ne ha voluto sapere. Mi ha anche detto di andare alla Polizia, che a lei non importava niente.» «Vuole soldi!» «Cosa?» «Sì, vuole soldi, lì funziona così! E ti consiglio di non mettere in mezzo altre persone, poliziotti o quant’altro. Più persone metti in mezzo e più persone dovrai pagare.» «Bel posto di merda.» molti anni fa. - Tu chi sei? - Sono la figlia, mi chiamo Gioia Vitti. - E tuo padre come si chiamava? - Ermanno Perez. - Non è tuo padre, non porti il suo nome. - Sì, è mio padre. Sono stata adottata da una famiglia italiana quando avevo due anni. - Questo lo dici tu. - Sì, certo, lo dico io perché ho fatto fare delle ricerche dal mio avvocato. Vede, su questo foglio ci sono i nomi dei miei genitori. - Questo foglio nel nostro paese non ha nessun valore. - Come no! Ha validità internazionale, porta anche il visto della vostra ambasciata in Italia. - Guarda, io non ti darò nessuna informazione. Se vuoi, vai pure dalla Polizia, vedrai che ti confermeranno quello che ti ho detto.

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«Sì, è vero, ma non è che da noi, alla fine, sia molto diverso!» «E quindi? Cosa mi consigli di fare?» «Domani torna lì e chiedile quanto vuole. Lei ti dirà una cifra e tu mettile in mano la metà, in contanti. Non metterti a contrattare, dalle sull’unghia la metà di ciò che ti chiede.» «Va bene.» «Gioia, a parte questo... tu come stai? Sei riuscita a riposare stanotte?» «Sì, quello che basta. Domani ti farò sapere in caso di novità.» Cercai d’immaginarmi la scena. Io che mi presentavo dalla tizia della clinica chiedendole quanto volesse. Lei che mi diceva cento e io che le davo cinquanta. Mi addormentai con questo pensiero e con il dubbio se mai sarei stata capace di fare una cosa del genere. La mattina mi svegliai come uno straccio, con i chiari ricordi di un sogno terribile, accompagnati da una fastidiosissima nausea. Volavo a bassa quota come un uccello e come un uccello avevo le ali; ma erano artificiali, me le aveva regalate Daniela prima di partire. Ero terrorizzata dalla velocità che riuscivo a raggiungere e dall’abilità con cui schivavo alberi, pali della luce e tutto quello che incontravo in volo. Era come se dentro di me ci fosse un sesto senso in grado di guidarmi. Ogni tanto, però, perdevo improvvisamente quota e, come succede sulle montagne russe, avvertivo un senso di vuoto che mi dava nausea. Poi, non so come riuscivo a riconquistare quota, ma dopo un po’ la riperdevo. Ancora vuoto e nausea. Una specie di volo infinito disturbato da questi vuoti a cui non riuscivo ad abituarmi. Ogni volta che provavo questa sgradevole 20 Segmenti Editore © 2016 - Riproduzione vietata


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sensazione, era come se fosse la prima volta. Dopo un faticoso risveglio, lentamente mi preparai, uscii e mi presentai alla clinica, pronta ad affrontare una giornata importante. Senza fare preamboli, chiesi bruscamente: «¿Cuánto quieres darme información acerca de mi padre?» «Buenos días. Yo sabía que volverías. ¿Quieres hacer una pequeña donación a la clínica ?» Mi limitai a fare sì con la testa. «Bueno, muchas gracias. ¿Cómo es tu nombre?» «Gioia!» «¡Qué hermoso nombre que tiene. Yo Ana. Si desea hacer una donación que usted pueda dejarme cien dólares.»2 Ero talmente eccitata, e al contempo incazzata, che presi i cento dollari e li posai bruscamente sul bancone. La strega, con un gesto assolutamente normale, prese dalla sua scrivania un faldone e me lo mise davanti. «Bueno, aquí está toda la información que busca. Puede sentarse en esa habitación.»3 Mentre mi dirigevo verso la stanza che mi aveva indicato, pensai. Quella stronza sapeva già che sarei tornata, aveva già preparato tutto. Mi rinchiusi nel bugigattolo polveroso con un forte 2 - Buongiorno. Quanto vuoi per darmi informazioni su mio padre? - Buongiorno. Sapevo che saresti tornata. Vuoi fare una piccola donazione alla clinica? Mi limitai a fare sì con la testa. - Bene, grazie. Qual è il tuo nome? - Gioia. - Che bel nome che hai. Io Ana. Se vuoi fare la donazione puoi lasciarmi cento dollari.

3 - Ecco, qui ci sono tutte le informazioni che cerchi. Puoi accomodarti in quella stanza. 21 Segmenti Editore © 2016 - Riproduzione vietata


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odore di muffa, aprii il faldone e rimasi allibita. Una quantità di fogli e foglietti, ammucchiati, stropicciati e ingialliti. Non sapevo da dove cominciare. La cosa più razionale era dividere i documenti secondo la data che riportavano. Sapevo che dopo la mia nascita mio padre era stato portato qui, quindi cominciai dal 1982 e andai oltre. Non leggevo cosa ci fosse scritto sulle varie carte, mi limitavo a metterle in ordine. Dopo un paio d’ore ebbi finito. Sobbalzai quando mi accorsi che l’ultimo foglio riportava la data di due giorni prima. Ma allora lui è qui. Dio mio, è ancora qui. Trent’anni qua dentro? Oddio! «Daniela, ci sei?» «Sì, ci sono.» «Ho scoperto una cosa terribile! Aiutami!» «Cos... cos’è successo?» «Mio padre è ancora qui!» «Qui dove?» «È ancora ricoverato in questa clinica!» «E... come fai a saperlo?» «Ho esaminato i documenti che mi ha fornito la stronza, l’ultimo è di due giorni fa. Ce l’ho in mano. È la somministrazione di un farmaco.» «Oddio! Mi stai dicendo che sono trentun anni che sta lì?» «Sì, proprio così. E ora cosa faccio?» «Chiedi conferma di questa cosa, chiedile se è ancora lì.» «Daniela... e se quella mi dice di sì, che faccio?» «Torni in albergo, ti fai una bella doccia e ci sentiamo su Skype. Non prendere decisioni affrettate, ok?» «Sì, sì, va bene. Sono terrorizzata, Daniela. Probabil22 Segmenti Editore © 2016 - Riproduzione vietata


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mente dietro questa parete c’è mio padre!» «Fa’ come t’ho detto!» Uscii dallo stanzino e mi diressi barcollando verso la signora. «Señora, mi padre todavía está aquí, ¿no?» «Ciertamente.»4 Mi voltai e me ne andai barcollando più di prima. Ero sconvolta, e l’unica cosa che potevo fare era seguire il consiglio di Daniela. Entrai in camera e mi buttai sul letto, singhiozzando. Aprii gli occhi dopo due ore di sonno in cui ero sprofondata. Mi sentivo uno straccio, ero come posseduta da due forze contrarie, una che mi diceva vai da lui e l’altra che mi diceva vattene via di qui. Mi ricordai di avere appuntamento su Skype con Daniela e lo accesi di corsa. «Gioia, mi stavo preoccupando. Che fine hai fatto?» «Mi ero addormentata, scusami, ma ero distrutta.» «Allora? Lui è lì? È ancora ricoverato?» «Sì, è ancora là. Ti rendi conto? Sono trentun anni che sta lì dentro. E ora che faccio?» «Non c’è molto da fare. O, meglio, c’è una sola cosa da fare.» «Sì, certo, ma non so se ci riuscirò.» «Ascoltami, capisco che tu abbia una paura fottuta, è normale. Ti conosco bene e so che per te è vitale quest’incontro. Ora più che mai.» «Sì, ma ho paura. Non so neanche di cosa, ma ho paura.» «Lo capisco. Prenditi un paio di giorni, poi vedrai che troverai la forza per andare da lui.» 4 - Signora, ma mio Padre è ancora qui, vero? - Certamente. 23 Segmenti Editore © 2016 - Riproduzione vietata


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«Un paio di giorni? Sei matta? Sono venuta in questo posto di merda per scoprire tutto e voglio farlo nel più breve tempo possibile. Domani andrò e basta.» «Fai quello che senti, ma non fare passi più lunghi delle tue gambe.» «Grazie del consiglio, ma non sono nemmeno più in grado di sapere quanto sono lunghe le mie gambe. In questo momento vedo tutto nero, schifosamente nero.» «Rifletti bene, Gioia. Quando hai preso questa decisione non pensavi di certo che sarebbe stata una gita di piacere. Sapevamo che ti avviavi verso una situazione piena d’imprevisti. Il fatto che sia ancora vivo mi pare una buona notizia.» «Se tu avessi visto quel posto, ti renderesti conto che trentun anni là dentro sono peggio della morte. Vabbè, dai, lasciamo stare. Stasera sono insopportabile. Sentiamoci domani.» «Va bene, cerca di riposare. Ciao.»

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I P

I

La mattina seguente mi svegliai alle cinque, era ancora buio. La camera d’albergo era piuttosto modesta, ma avevo la fortuna di una terrazza molto gradevole, dove c’erano alcune sdraio, vecchie ma funzionanti. Ne presi una e mi ci rannicchiai, rivolgendomi verso l’orizzonte, dove sarebbe sorto il sole. Lentamente, dietro la collina, la luce diventava sempre più intensa e io seguendo il tempo dell’alba pensavo al mio tempo. Pensavo ai miei trentun anni vissuti e alla doppia dimensione temporale della mia vita. Prima dell’incidente i miei ricordi erano dilatati, lunghi, lenti e morbidi, accompagnati da un sapore di serenità e d’equilibrio. Dopo, tutto è iniziato a correre. Anche i miei ricordi sono diventati veloci, spigolosi, un tempo bruciato che sembra un attimo. Cos’è il tempo? Esiste un tempo uguale per tutti? No, ognuno ha il suo tempo e nessuno può pensare che il proprio sia più giusto ed equilibrato di quello altrui. Il tempo di mio padre, che ha vissuto trentun anni lì dentro, non potrà mai essere come il mio. E avere una percezione differente del tempo significa avere una percezione differente di tutto ciò che ci gira attorno. Per me il tempo come concetto universale non esiste, e non ha neanche senso par25 Segmenti Editore © 2016 - Riproduzione vietata


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larne. Mentre riflettevo sul tempo, il sole, assolutamente inconsapevole dei miei pensieri, venne fuori dalla collina e iniziò il giorno più lungo della mia vita. Alle otto in punto mi presentai alla clinica e la signora Ana mi accolse con un sorriso pieno di denti storti. «Buenos días, me gustaría conocer a mi padre. ¿Cuál es el procedimiento?» «Hola Gioia, ¿Has dormiste bien?» «Digamos que me dormí. ¿Cuál es el procedimiento para conocer a mi padre?» «Si es urgente, no podemos seguir el procedimiento de la clínica. En nuestro País hay tanta burocrazia.»5 Mi ero già preparata cento dollari nella tasca dei pantaloni, avevo capito che ogni volta che andavo lì per chiedere qualcosa avrei dovuto pagare. Li presi e li posai sul bancone, senza commentare. «Gioia, en aproximadamente una hora el médico llega. Ya he hablado con él sobre el asunto. A las diez, se encontrará con su padre. ¿Es usted feliz?»6 Voltai le spalle e andandomene le dissi che sarei tornata alle dieci in punto, e che avrei aspettato nel giardino. Come mi ripresentai alla signora, era già tutto pronto. Chiamò il medico, che mi accompagnò in un lunghissimo corridoio. Sembrava infinito e un senso di trascuratezza misto a lerciume aumentava, insieme alla profondità del 5 - Buongiorno, vorrei incontrare mio padre. Qual è la procedura? - Buongiorno Gioia, hai dormito bene? - Diciamo che ho dormito. Qual è la procedura per vedere mio padre ? - Se è urgente, non possiamo seguire la procedura della clinica. Nel nostro Paese c’è molta burocrazia.

6 - Gioia, tra un’ora circa arriva il medico. Ho già parlato con lui della questione. Alle dieci potrai incontrare tuo padre. Sei contenta?

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corridoio. Il medico indicò una porta di legno e se ne andò. Tremavo, mi tremavano le mani che sudate assorbivano quel lerciume, mi tremavano le gambe, ma entrai. Davanti a una finestra, su una sedia a rotelle, c’era lui: mio padre. Chiusi la porta dietro di me e mi ci appoggiai subito contro. Lui guardava fuori, ed era come se non si fosse accorto della mia presenza. «Ciao.» Non rispose. «Ciao, io sono Gioia.» Non rispose. Continuava a guardare fuori ma non capivo cosa stesse guardando. Lentamente, mi spostai dietro di lui afferrando le maniglie della sedia cercando di capire cosa e dove stesse guardando. Non c’era assolutamente niente, solo una collina spelacchiata priva di qualsiasi forma di vita. Girai la sedia sperando in una sua reazione, ma mi resi conto che la sua testa era come incastrata nel corpo, come se non avesse mobilità. Il suo sguardo si spostò verso il muro. L’unico segno di vita era determinato dalla sua tenue respirazione. Potevo osservare soltanto la sua parte esterna, il suo corpo, non potevo minimamente avere un contatto con lui. Era completamente isolato da tutto e da tutti, scollegato dal mondo che gli stava intorno. Avvertivo un’angoscia insopportabile che mi diceva di andarmene via, e mentre le mie gambe mi portavano verso l’uscita mi voltai per guardare il suo volto perso nel nulla. Osservai attentamente i suoi occhi, il naso, la bocca, e mi accorsi che, contrariamente all’immagine che mi ero fatta di lui, era molto più giovane. Pensai che avesse all’incirca cinquant’anni. Mi precipitai dalla signora Ana. «Señora, que era de él, que lo vi. Pero es consciente?» 27 Segmenti Editore © 2016 - Riproduzione vietata


Giorgio Carnevale

«Gioia, su padre estaba muy enfermo. Terapias para evitar lo peor le llevó a casi vegetativo.» «Para evitar lo peor? Peor que eso?» «La muerte, Gioia. La muerte.» «Que podría conseguir su archivo? Quiero ir por encima de su hospitalización.»7 Mi rinchiusi un’altra volta nel bugigattolo e iniziò la mia ricerca. Riempii il mio cellulare di foto, ricette, trattamenti terapeutici e quant’altro. Inviai tutto a Daniela, riconsegnai il fascicolo alla signora e l’avvisai che l’indomani sarei tornata. Rientrai in albergo avvilita. Qualche ora dopo comparve su Skype Daniela, insieme a un suo amico. «Ciao Gioia. Questo è Ettore, è un medico. Ha letto la documentazione che mi hai mandato e ti vuole parlare.» «Sei un tesoro, Daniela. Buonasera Ettore, e grazie per la disponibilità.» «Ciao Gioia, ho letto la documentazione che hai mandato. Allora... Alcune ricette e trattamenti sono incomprensibili, ma da quello che ho capito, tuo padre è stato ricoverato trentun anni fa per una forma di schizofrenia che inizialmente è stata trattata con elettroshock e poi con farmaci.» «Oggi l’ho visto, è completamente assente, come se tutto ciò che sta intorno a lui non esistesse. Non parla e non sente, credo.» «Assume farmaci molto forti, Gioia, e i dosaggi sono 7 - Signora, sono stata da lui, l’ho visto. Ma è cosciente? - Gioia, tuo padre è stato molto male. Le terapie per evitare il peggio lo hanno portato a uno stato quasi vegetativo. - Per evitare il peggio? Peggio di così? - La morte, Gioia. La morte. - Potrei riavere il suo fascicolo? Voglio ripercorrere il suo ricovero. 28 Segmenti Editore © 2016 - Riproduzione vietata


Mio Padre

alti. Il problema è che li prende da troppo tempo e questo potrebbe aver compromesso alcune funzioni cerebrali.» «E... quindi? Cosa posso fare?» «Prima di tutto bisognerebbe convincere i medici a diminuire i dosaggi, altrimenti non sarà mai in grado di fare nulla. Ho pensato di inviarti, tramite il fax della clinica, una mia ricetta, accompagnata da una nota, da sottoporre al medico che lo segue. Poi vedremo.» «Ti ringrazio, Ettore!»

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I S

I

L’indomani mattina mi svegliai completamente rincoglionita. La mia testa era stata bombardata da un sogno. Sono stesa sul letto. Vengo svegliata da rumori nel mio appartamento, come se ci fossero dei ladri. Non riesco a muovermi, non riesco a parlare, come se avessero spruzzato nella mia camera una sostanza paralizzante che non mi permette di fare niente. Posso soltanto sentire. Ascolto in lontananza passi, cassetti che si aprono, porte che sbattono. Sono terrorizzata dalla mia passività, dal non riuscire a urlare, a chiamare aiuto. Penso che i ladri si introdurranno da un momento all’altro nella mia camera e mi picchieranno, mi stupreranno, mi uccideranno. Per un tempo infinito, vinta dall’angoscia, rimasi immobile sul letto, cercando di percepire anche il più piccolo rumore.. Poco dopo saltai giù dal letto, ma ci misi un po’ a capire che era solo un sogno. Mi sentivo la testa pesante e gonfia. Mi buttai sotto la doccia sperando che l’acqua avrebbe lavato anche i brutti pensieri. Scorreva calda sul mio corpo e capii che non c’era cosa al mondo che potesse portarli via. Una doccia, non poteva lavarli, tutta quella robaccia che affollava la mia testa sarebbe rimasta. 31 Segmenti Editore © 2016 - Riproduzione vietata


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Alle dieci mi presentai dalla signora Ana, sperando che i fax di Ettore fossero arrivati e che i medici si fossero attivati. «Hola, Gioia. ¿cómo estás?» « Bueno, gracias. Llegaron el fax de Italia? » « No, no tiene nada.» «¿Estás seguro? Ayer hablé con un amigo médico en Italia que me dijo que iba a enviar un fax a la clínica aquí.» «No que yo sepa, Gioia. No he sido capaz de mover de aquí esta mañana, así que no sé, tal vez llegado, pero no me puedo mover.»8 Guardai la signora Ana dritta negli occhi come guarderei il mio stupratore. Tirai fuori cento dollari, ne feci una pallina di carta e gliele lanciai. La signora non si scompose minimamente. Raccolse la pallina, se la mise in tasca, entrò nella stanza e riuscì con due fogli di carta. « Estas hojas les deben dar al médico. ¿Lo entiendes?» «Los llevo de inmediato.» «Quiero ver a mi padre.» «Tu padre ya está en la habitación. Puede ir solo.»9 8 - Buongiorno Gioia. Come stai? - Bene, grazie. Sono arrivati i fax dall’Italia? - No, non è arrivato niente. - Sicura? Ieri ho parlato con un amico medico in Italia che mi ha detto che avrebbe inviato un fax qui alla clinica. - Che io sappia no, Gioia. Io non mi sono potuta muovere da qui stamattina, quindi non so, magari sono arrivati, ma io non posso muovermi. 9 - Questi fogli li deve dare al medico. Capito? - Li porto subito.. - Voglio vedere mio padre. - Tuo padre è già nella stanza. Puoi andare da sola. 32 Segmenti Editore © 2016 - Riproduzione vietata


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Percorsi nuovamente il corridoio e mi accorsi che era come se si fosse accorciato. Mi ritrovai in un attimo davanti alla porta, poggiai la mano sulla maniglia e mi tornarono in mente i pensieri del giorno prima sul tempo. Ieri il corridoio mi era sembrato infinito, oggi è stato un attimo. Stesso percorso, stessa andatura. Il tempo è una cosa fluida, i fisici dicono tutte cazzate. Aprii la porta con decisione. Lui era stato sistemato esattamente come il giorno prima. Non so come, ma il fatto di aver mandato a quel paese il tempo assoluto e Newton mi diede una forza inaspettata. Con decisione, come se sapessi esattamente cosa stessi facendo, ruotai la sua poltrona verso la porta, presi una sedia e mi misi davanti a lui. Iniziai a parlare, non preoccupandomi se lui sentisse o meno. «Ciao, mi chiamo Gioia. Sono venuta a trovarti da lontano, dall’Italia. Sono qui perché vorrei conoscerti. Sei stato una persona molto importante per me. In Italia ho una cara amica, Daniela, che mi ha aiutato a trovarti. Lei è un avvocato e quindi è riuscita a farmi avere i permessi per arrivare da te. Ho spedito a un suo amico medico la tua cartella clinica affinché possa rivedere la terapia. Lui dice che la cura che ti danno è troppo forte e che non riesci a parlare per questo motivo. Forse non riesci neppure a sentirmi, ma voglio comunque raccontarti il sogno che ho fatto stanotte...» Mi alzai lentamente avvicinandomi a lui e con timore gli diedi un timido bacio sulla guancia. Anche la sua pelle molle che aveva appena ricevuto un bacio dolce e delicato, sembrava non si fosse accorta di nulla, come fosse insensibile. Uscii dalla stanza, socchiusi la porta e mi fermai. Pen33 Segmenti Editore © 2016 - Riproduzione vietata


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sai a quello che gli avevo raccontato. Forse aveva provato le stesse sensazioni provate nel sogno. Come una ladra mi ero intrufolata con prepotenza nel suo mondo vomitandogli addosso cose che non voleva sentire. Non potendo muoversi e parlare, aveva subito tutto questo! Pensai di aver commesso una crudeltà, aggiungendomi alla lunga lista di cose e persone che nel tempo gli avevano provocato dolore. Mi accasciai strusciando la schiena sul muro, mi rannicchiai e iniziai a piangere. Si avvicinò il medico, facendomi cenno di seguirlo. Si fermò davanti a una porta. Lo raggiunsi, mi fece entrare e la richiuse. «Es s fax desde Italia. Voy a cambiar el tratamiento , pero usted tiene que firmar este documento.. »10 Avevo gli occhi gonfi di pianto, tramortita dai sensi di colpa. Firmai senza sapere cosa stessi firmando, poi me ne andai. Durante il tragitto di ritorno all’albergo, sentivo una sensazione positiva. Però non capivo. Di positivo o rassicurante non c’era proprio nulla, ma il mio cuore mi stava dicendo qualcosa. Mi sdraiai sul letto a pensare, tentai di ripercorrere ogni momento passato con mio padre per comprendere cosa poteva avermi lasciato quella sensazione piacevole che lentamente stava emergendo. Andai in bagno, mi posizionai davanti allo specchio e guardandomi negli occhi dissi: Sei una testa di cazzo. Hai una sensazione piacevole? Ti sembra di stare un po’ meglio? Pensi che qualcosa stia andando per il verso giusto? 10 E’ arrivato il fax dall’Italia. Cambierò la terapia, ma devi firmare questo documento. 34 Segmenti Editore © 2016 - Riproduzione vietata


Mio Padre

Bene! Allora che cazzo stai a massacrarti il cervello per capire cosa e perché. Goditi il momento e non rompere i coglioni. Daniela comparve su Skype e subito volle essere aggiornata. Durante i miei racconti, m’interruppe con decisione. «Gioia, oggi ti sento diversa.» «In che senso?» «Ti sento più serena, più che altro ottimista.» «Sì, è vero. L’ho notato anch’io, ma non so perché.» «Evidentemente le cose stanno andando meglio.» «Non so.» Dopo la chiacchierata con Daniela, andai a dormire. Appena chiusi gli occhi, nella mia mente si compose una sequenza d’immagini, come se stessi rivedendo un film fotogramma per fotogramma. Erano le immagini di quando mi ero chinata a dargli il bacio. Rividi le mie labbra protese verso la sua guancia che con delicatezza si appoggiavano sulle rughe, e poi la pelle che accoglieva il mio bacio come se fosse gradito. Come un registratore, riavvolsi il nastro e rividi dentro di me quelle immagini utilizzando una specie di lente d’ingrandimento mentale che mi permetteva di osservare piccolissimi dettagli. Sono diventata pazza, pensai. Era solo un montaggio meccanico, un artificio per trasformare qualcosa di assolutamente insignificante, in qualcosa di gradevole. Una specie d’intervento estetico, come quelle donne che rifacendosi le tette pensano finalmente di poter piacere. Ma se sei brutta dentro nessuno si fermerà oltre uno sguardo. Sapevo di essere una bella donna, in tanti me l’avevano detto, da sempre. Ma nella realtà facevo semplicemente schifo. I miei rancori verso la vita costituivano un odore 35 Segmenti Editore © 2016 - Riproduzione vietata


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talmente sgradevole da non far avvicinare nessuno, figuriamoci un uomo. Ritornai davanti allo specchio e mi guardai di nuovo dritta negli occhi. Più di prima, più di sempre. Gioia, qualsiasi cosa può aver portato serenità dentro di te non puoi annegarla nella rabbia, nei tuoi rancori. Se pensi che nel tuo cuore scorre solo veleno, sei una stupida. Nel tuo sangue c’è tutto! C’è il veleno di quello che ti è capitato, sicuramente, ma c’è anche amore. L’amore per Flavio che non c’è più e che per una piccola parte vive con te. C’è tutto, cara Gioia, e se vuoi incontrare tuo padre, capire e sentire, non puoi pensare che il tuo sangue sia veleno. Adesso va’ a dormire con questa nuova e piacevole sensazione. Domani sarà un altro giorno, ma ti presenterai da lui con qualcosa che oggi hai scoperto di avere e che sarà al tuo fianco in questo tortuoso cammino.

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Prima Edizione: 2016 ISBN 9788899713003 © 2016 Segmenti Editore - Francavilla al Mare Psiconline® Srl - 66023 Francavilla al Mare (CH) - Via Nazionale Adriatica 7/A

Sito web: www.segmentieditore.it e-mail: redazione@segmentieditore.it I diritti di riproduzione, memorizzazione elettronica e pubblicazione con qualsiasi mezzo analogico o digitale (comprese le copie fotostatiche e l’inserimento in banche dati) e i diritti di traduzione e di adattamento totale o parziale sono riservati per tutti i paesi.

Finito di stampare nel mese di maggio 2016 in Italia da Universal Book - Rende (CS) per conto di Segmenti Editore (Marchio Editoriale di Psiconline® Srl)

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