sommario Editoriale
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Le storie del cibo
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Il mondo delle donne
9
Il parere dell’esperto
11
Raccontando...
13
La ricetta del mese
15
Il Ristorante
17
L’angolo dei golosi
19
Pianeta vino
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Magie di notte
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Cristiano Bucciero Cell. 392-3884281 c.bucciero@sensoegusto.com
Il benessere a tavola
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Stampa
La curiosità
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Moda e tendenze
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Senso&Gusto - mensile gratuito Autorizzazione del Tribunale di Velletri n. 08/12 del 19/04/12
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E
ditoriale
Masterchef, serie tv di cucina all'insegna del cattivo gusto
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on amo i reality che la televisione pubblica e privata ci rifilano a ripetizione. Li trovo noiosi, banali nelle argomentazioni. In poche parole: costruiti. Sono quasi sempre delle recite incentrate su risentimenti personali, su dispute, su litigi. Mai un pò allegria. Oppure, come avviene in Masterchef 2, in onda su Sky Uno, dove il copione prevede che gli esperti di cucina chiamati a giudicare degli indifesi partecipanti, assumano atteggiamenti sgarbati, irriverenti, addirittura vessatori, tanto da farti venire la voglia di riempirli di “bastonate”, detto in senso metaforico. Abbiamo detto prima, che tutto ciò è figlio di un copione, che vuole dare alla “recita”, un indirizzo di odio-amore tra i giudici e i partecipanti. Però a tutto c'è un limite. Dirigendo questa rivista, che si occupa di ristorazione e del suo mondo, mi sono imposto di seguire una puntata di questa serie, esageratamente pubblicizzata. Per capire e farmi un opinione in merito. Il mio primo commento? Ma che razza di trasmissione è? Pensare che è addirittura alla seconda edizione. Il “leit motiv” è quello di una trasmissione, i cui protagonisti sono dei giudici perfidi e concorrenti impauriti costretti a subire umiliazioni su umiliazioni. Personalmente, non credo che questo atteggiamento, anche se imposto dal copione, giovi moltissimo a Bruno Barbieri, Carlo Cracco e Joe Bastianich, i primi due chef di riconosciuta bravura, il terzo titolare di ristoranti negli USA, chiamati a far da giudici. Sicuramente non ispirano simpatia. La conferma lo avuta, imbattendomi per caso nei “tre”, ospiti della trasmissione “Invasioni Barbariche”in onda su “La 7” e condotta da Daria Bignardi. Anche in questa occasione, dove la brava conduttrice riesce a ben miscelare domande serie con domande semiserie, gli ospiti che soprannomino “aglio, olio e peperoncino”, forse, troppo immedesimati nella loro parte, hanno continuato ad atteggiarsi, conservando quel comportamento di supponenza, che potremmo con-
densare nella famosa frase di Alberto Sordi nel film “Il Marchese del Grillo”: “io so io, voi non siete un c....”. Non è il mio, un eccesso di perbenismo, non è nella mia indole, ma a tutto c'è un limite. Costretti a trattare male una persona che è chiamato a sostenere una prova d'esame, è una cosa insopportabile. Non accade da nessuna parte. Dire ad un aspirante chef, costretto a cucinare con una pressione incredibile addosso e per giunta in tempi brevi, che il suo piatto è nefando, è qualcosa di più di un'offesa. Non riesco a comprendere qual'è il messaggio che questa trasmissione vuole trasmettere. Anche negli spot promozionali hanno la faccia truce, da santa inquisizione. Non sarebbe stato molto più bello che le stesse cose, gli stessi giudizi fossero espressi in maniera più garbata, più umana, in maniera simpatica e ironica: “Mi dispiace, ma Il tuo piatto non è all'altezza della situazione” oppure, in modo scherzoso, “Questa pasta mangiatela te”, o, “caro amico la cucina non fa per te. Tanti saluti e grazie di aver partecipato”. Tutto con il sorriso sulle labbra, sottolineando senza benevolenza gli errori commessi dall'aspirante chef. E' pur sempre un gioco e come tale va trattato. Certi modelli non fanno bene a nessuno nella televisione di tutti, compresa quella a pagamento. Paolo Caprio © RIPRODUZIONE RISERVATA
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e storie del cibo
Dalla Romanella al “Roma doc” il vino laziale si tuffa nel futuro
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oma doc, ultima denominazione nata nell’universo dell’enologia laziale è un progetto che affascina, ma ci sono molti aspetti da considerare. L’iniziativa, proposta dall’Arsial, si inserisce in un progetto di comunicazione globale in cui si intende sfruttare le suggestioni evocate dalla Roma Caput mundi per favorire il consumo di prodotti locali, che proprio nella Città Eterna, trovano coltivazioni di livello. Molti dirigenti delle ditte vitivinicole castellane, impegnati da anni a piazzare i loro prodotti nei mercati esteri, ritengono che in una carta dei vini di una Nazione straniera la denominazione Roma doc affibbiata ad un vino possa avere maggiore attenzione dei brand locali, tra cui fanno spicco il Frascati, il Marino ed il Castelli Romani doc. Non tutti i creativi, però sono d’accordo. Il brand Roma, infatti, nell’immaginario collettivo degli europei, dei giapponesi e degli americani non è strettamente collegato al vino e richiama sensazioni legate alle vacanze, alle città d’arte, alla “Dolce vita” e non certo al mangiare ed al bere. Qualcuno ha anche detto che l’operazione potrebbe essere velleitaria, perché con questa logica si potrebbero pensare a progetti di comunicazione che considerino Vienna come capitale dei wurstel o New York come capitale degli hot dogs. Il grande enologo Carlo Trimani, scomparso da poco, mi ha confessato che “Roma è l’unica città italiana ad essere realmente una metropoli e mentre a Torino è logico che nei locali si promuovano Barolo e Barbaresco, a Firenze il Chianti, ecc. è quasi impossibile che nei ristoranti romani si costruisca un rapporto virtuoso con i brand locali”. Alcuni etichette, inoltre, sono più idonee a comunicare la tradizione enologica locale. L’esempio più clamoroso si è avuto quando la sciatrice italiana Daniela Ceccarelli, nata a Frascati, ha vinto la medaglia
d’oro alle Olimpiade di Salt lake city, conquistando i titoli di tutti i giornali che aggiunsero automaticamente al nome della città tuscolana l’aggettivo wine. Da considerare c’è anche la riabilitazione della Romanella, inserita nella gamma dei prodotti a marchio Roma doc. La Romanella è stata scoperta nei Castelli Romani all’incirca nel 1600, quando veniva denominata “Zenzeru”. Questo tipo di vino, nel territorio in cui ci sono ben 8 doc che devono rispettare rigidi disciplinari, è a schema libero. Infatti non ci sono etichette che qualifichino le metodologie di produzione, che indichino vitigni, il nome del produttore, ecc. Insomma è un vino “fai da te”, prodotto dai vecchi contadini che le “Fraschette” usano per fare un omaggio ai clienti a fine pasto. Il prezzo è quasi sempre inferiore ai due euro. Di questo vino c’è scarsissima considerazione. Basta fare un giro su Internet e si nota subito l’opinione negativa che hanno gli esperti. L’opera di riabilitazione dell’Arsial che intende risollevare dalla polvere un prodotto tradizionale, potrebbe anche essere meritoria, sempre che si inserisca nel quadro di un riordino generale di strategie di comunicazione, qualificazione dei prodotti e di marketing. Luigi Jovino © RIPRODUZIONE RISERVATA
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l mondo delle donne
Uomini e donne scoprono virtù e difetti anche a tavola
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i ricordate il motto “dimmi con chi vai e ti dirò chi sei”? Roberta Schira, critico gastronomico del Corriere della Sera, scrittrice-gourmet ed esperta di psicologia del gusto, l'ha trasformata in “vedo come mangi e ti dirò se sei l'uomo giusto”. Nel suo gradevolissimo libro “Il nuovo bon ton a tavola e l'arte di conoscere gli Roberta Schira altri”, la Schira porta numerosi esempi che potrebbero sembrare paradossali, quasi impossibili a verificarsi, ma che, invece, rispecchiano la realtà più di quanto si immagini. Il libro riporta situazioni che non sono frutto di esagerate fantasie, perché, purtroppo, gli uomini si perdono, spesso e volentieri, in un bicchiere d'acqua. Vogliono stupirti, però ti portano a mangiare cinese perché si risparmia. E da qui, per una donna, è facile tirare le conclusioni: avaro di soldi, avaro anche di sentimenti. Quindi, meglio lasciar perdere. E che dire di quel “lui” che ostenta saccenza da tutti i pori? Che sa tutto di cibo e che, sul vino, ne sa più di un sommeiller, ma dimentica di versarvelo? Il passo è breve: scarsa galanteria e poca attenzione, anche in un ipotetico futuro, alle vostre necessità. Il cibo, come l'eros, procura piacere e, nel libro, non mancano dunque riferimenti alla sfera sessuale. Lui, a tavola, trangugia di corsa il cibo senza assaporarlo? A letto, potrebbe usare la stessa velocità. Oppure sbocconcella senza piacere quel che ha nel piatto? Con la stessa trascuratezza potrebbe trattare il corpo della donna. Una cenetta romantica a casa di lui: candele accese, tovaglioli piegati minuziosamente, tutto curato nei minimi particolari, ma cibo magari ordinato alla rosticceria all'angolo. Troppa attenzione alla forma più che al piacere vero e condiviso. Si sa. Le donne hanno una sensibilità molto spiccata in generale e ancor di più quando si rapportano all'altro sesso. Generalmente non si lasciano sfuggire neanche una sfumatura. Certo, non basta un semplice incontro per tracciare una mappa approfondita di chi si trovano di fronte. Ma è pur vero che, a volte, i particolari e gli atteggiamenti rivelano molto più di quanto non si creda.
Viceversa gli uomini – non tutti, per fortuna – troppo presi dall'ansia di farsi scegliere, spesso scivolano su una buccia di banana proprio al primo incontro.E quella “lei” che è a tavola con voi, graziosa in quell'abitino che le sta d'incanto e dalla quale non riuscite a staccare gli occhi, vi guarda a sua volta senza lasciarsi sfuggire nulla e facendo attenzione a ben altri particolari, dopo aver dato una breve scorsa a quelli estetici. Dunque, il semplice gesto come quello di prendere la forchetta o fare la “scarpetta”, mangiare lentamente o trangugiare, non bere ma tracannare rumorosamente, continuare a chiacchierare con la bocca vistosamente piena, può fare la differenza, eccome. Ma, a tavola, non sono solo le donne a studiare “l'avversario” e Roberta Schira ne ha anche per loro. Uomini, fuggite da quelle che avete di fronte e che non stanno zitte nemmeno un momento, da quelle che vi lasciano per andare ad incipriarsi il naso, per tornare dopo un'eternità, con la conseguenza di aver fatto freddare il cibo, visto che, per galanteria, l’avete aspettata. Fuggite dalle “damigelle” che arricciano il naso per aglio e cipolla, che snocciolano una quantità industriale di intolleranze ed allergie, perché è facile ne abbiano altrettante nell'affrontare la vita stessa, anche nell’intimità. Attenzione, dunque. La tavola è una giudice implacabile per entrambi. Siate, comunque, voi stessi. Infatti, ci si può autocontrollare ed ingannare il partner al primo incontro ma, prima o poi, il vostro “io” a tavola e nella vita si rivela. Quindi rilassatevi e buon appetito.
Antonella Lorini © RIPRODUZIONE RISERVATA
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l parere dell’esperto
Quel “profumo” d'alterazione che ci fa venire l'acqualina
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roprio come si fa con le sardine. Le ricopri di sale, questo gli porta via l’acqua, le asciuga e le mantiene; e così è per “sa pompìa”, un frutto, bruttissimo a vedersi, che nasce in Sardegna: la fai bollire nel miele millefiori, questo gli porta via l’acqua, le candisce e via, la gusti a fette sottili, dolci-amare, sature di miele fluido. Se vuoi, la conservi per un anno e più, in terracotta”. Questo più o meno ci dicevamo, giorni fa, con un fotografo intento ad ultimare un reportage magistrale su “sa pompìa”, il citrus mostruosa dei botanici, il misterioso agrume a buccia crespa giallo zolfo, un curioso ibrido che la Natura ha generato chissà quando in palmi di terre intorno a Siniscola, nei pressi della costa sarda di levante. Sa pompìa”, i canditi, le sardine salate. Il baccalà, la marmellata, il parmigiano. Il prosciutto, gli spaghetti, i grissini; e cento altri alimenti poveri di acqua.A proposito di acqua, processi vitali, digestione. L’acqua è la sostanza che premette lo svolgersi delle reazioni chimiche e biochimiche: la vita è immersa nell’acqua; senza acqua la vita si ferma o, quanto meno, rallenta il passo.E si fermano anche i microrganismi: alcune specie muoiono e altre si addormentano in attesa di tempi più...umidi.I microbi, quindi, prosperano bene dove trovano acqua ed elementi nutritivi: se ne cibano, li digeriscono e producono scorie che li rendono quasi sempre inappetibili e in molti casi nocivi. Buona parte degli alimenti si altera quindi perché viene... digerita. La digestione - lo diciamo in forma semplificata - è un processo biochimico attraverso cui trasformiamo l’alimento con l’aiuto di particolari sostanze - veri e propri micro-arnesi chimici - che spezzettano le grandi molecole (ad es. le proteine della carne, l’amido della pasta) trasformandole in molecole più semplici, che poi sono utilizzate - assimilate - dall’organismo, che così cresce e ricava l’energia per mantenersi... vitale.Questo vale per noi, per gli altri organismi animali e per i microrganismi. E sempre in presenza di acqua.Tra gli “arnesi da taglio” impiegati nella digestione vi sono sostanze acide (nel nostro stomaco c’è acido cloridrico in abbondanza) e gli enzimi, come ad esempio la pepsina che demolisce le proteine (carne, pesce, uovo, formaggio, legumi ecc.), l’amilasi che demolisce gli amidi (patate riso, pane, polenta ecc.) e la lattasi che demolisce il lattosio, lo zucchero del latte. Quando l’alterazione ci piace. Riprendiamo a questo punto l’articolo di gennaio, dove avevamo risposto ad una serie di domande su come evitare o rallentare il guastarsi di un alimento a causa di microrganismi: adottare pulizia e igiene (sempre!), usare il freddo o il caldo, consumare (preferibilmente, o necessariamente) in tempi ragionevolmente brevi. Avevamo lasciato in sospeso una domanda: cosa possiamo fare se vogliamo che un alimento fresco duri molto,
oltre la sua vita ordinaria? La risposta è: gli leviamo l’acqua. Levargli l’acqua. Metodo antichissimo: prima offerto dal caso, poi diventato espediente, poi evoluto in tecnica empirica, ora in tecnologia. Allora, basta far seccare un alimento perché duri di più, così lo possiamo consumare più in là? Sì, ma non esattamente. Immaginiamo un caciaro del Lazio che prende la cagliata fresca, appena spremuta dal siero e la fa seccare tout court in forno ventilato: in questo modo elimina tutta l’acqua, ma ottiene dei pezzi duri, legnosi, perenni. Se è vero che la cagliata secca mantiene intatti gli elementi nutritivi di partenza, è anche vero però che, quando la riprendiamo con acqua per consumarla, ci troviamo di fronte a un coagulo insipido e indigesto. Dovremo faticare un po’ per renderlo appetibile. Per fortuna il caciaro non si sognerebbe mai di fare una cosa del genere (a meno che non debba preparare un semilavorato destinato a ulteriori trasformazioni): l’esperienza, la tradizione, la tecnologia, gli hanno insegnato che la cagliata secca non è buona.Lui produce formaggio, invece. Ha levato l’acqua dalla cagliata. Ma a poco a poco, e non tutta. Con il sale e con l’esperienza prima l’ha spurgata bene, l’ha compattata, poi le ha dato una forma come se fosse creta, e l’ha immersa in acqua ben salata, in salamoia. Come si fa per le olive.Il sale, si sa, ha sempre sete; l’acqua non gli basta mai; e così a poco a poco, senza fretta, si prende l’acqua della cagliata; quasi tutta l’acqua. Cosa succede nel frattempo? Alcuni microrganismi che abitano nella cagliata, e che riescono a sopravvivere in presenza di poca acqua, si nutrono, liberano i loro enzimi, demoliscono le gigantesche proteine del latte, pizzicano i grassi, rompono gli zuccheri, producono scorie, muoiono. E così, lentamente, la cagliata si guasta, si altera, ma in modo controllato. Non sa di marcio, di putrido, come avverrebbe se, invece che salata, fosse stata abbandonata, fresca, in un ripiano del caseificio al caldo e all’umido. No, senti aromi, profumi, che stimolano il senso e deliziano il gusto. La cagliata è diventata formaggio.In questi casi non si parla di alterazione, ma di maturazione. La maturazione, (del formaggio, dei salumi, e di altri prodotti sotto sale) è un processo complicato, affascinante. E’ la sua complessità e variabilità che genera i mille formaggi, unici, diversi, nobilissimi, creati da mille caciari italiani. E’ quella diversità che mi fa apprezzare i robusti pecorini del Lazio e gli assaggi di quegli irripetibili, delicati formaggi vaccini e caprini, che solo Romeo Molin Pradel, gelatiere a Vienna e alpino in quel di Zoldo, sa trovare nelle malghe disperse del Bellunese.
Antonino Addis © RIPRODUZIONE RISERVATA
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accontando...
Una splendida camelia è la madre di tutti i tè del mondo
U
na volta il tè era considerata una bevanda d'èlite, molto in voga fra la nobiltà e l'alta borghesia. Probabilmente perchè il suo sapore delicato e profumato faceva pensare a qualcosa di effimero, privo di sostanza e di concretezza. Non era il latte, che per i meno abbienti rappresentava il pasto principale. Non era il caffè, considerata una bevanda capace di dare una scossa, ignorando che la teina, contenuta nelle foglie del tè, forse più eccitante del caffè. Soltanto da una ventina di anni il t ha acquisito un suo spazio anche in Italia, che lo reputava soltanto come un qualcosa da consumarsi in estate ben freddo, quando il caldo ci soffoca. Comunque, chi ama bere il tè un pensatore, un meditativo, perchè lo si degusta sorseggiandolo lentamente, quasi ci si volesse appropriare del suo sapore fino in fondo, di quelle sfumature che ogni tipologia di tè ha al suo interno. Perchè non sono tutti uguali e hanno caratterizzazioni diverse. C'è il tè per la prima colazione, quello del primo pomeriggio e della tarda serata. Come, a volte accade, noi tutti consumiamo cibi e bevande senza minimamente conoscere la sua storia, la sua provenienza. Mangiamo e beviamo a scatola chiusa e siamo certi che in pochi sono a conoscenza che il tè non il “frutto” dalla pianta omonima, ma proviene da una altra pianta: la camellia sinensis . Tutti i tipi di tè traggono origine dalla lavorazione delle foglie, dei germogli e di altre parti di questa pianta: soltanto i metodi di lavorazione differenziano le varie tipologie. Il nome sinensis in latino significa cinese. Camellia deriva, invece, dal nome latinizzato del reverendo Georg Joseph Kamel (1661-1706), un gesuita ceco che fu sia missionario nelle Filippine, sia celebre botanico. Tuttavia non fu Kamel a scoprire la pianta, nè tanto meno ad attribuirle il nome: fu infatti Carlo Linneo, l'ideatore della tassonomia, ancora oggi in uso, a scegliere la denominazione di questo genere in onore al contributo che il gesuita dette alla scienza. Altri nomi della pianta in passato furono Thea bohea, Thea sinensis (dai quali si credeva derivasse il tè nero) e Thea viridis (che si credeva essere all'origine del tè verde). La Camellia sinensis un arbusto eretto, dalle foglie ovato-acuminate, con il margine dentato, di colore verde-chiaro lucente; i fiori semplici di piccole dimensioni, di colore bianco, portano numerosi stami color giallo-oro; originaria della parte continentale del Sud e Sudest Asiatico, ma ad oggi coltivata in tutto il mondo, soprattutto in regioni a clima tropicale e subtropicale. Allo stato naturale può crescere ben oltre i due metri ma, per facilitarne la coltivazione, generalmente si mantiene a dimensioni di cespuglio sempreverde o di piccolo albero. Generalmente le foglie pi giovani sono destinate alla raccolta per la produzione del tè e sono caratterizzate da una leggera peluria bianca o
argentata. A seconda della foglia si hanno qualità di tè diverse, dal momento che, con la maturazione, la composizione chimica può subire dei cambiamenti.In base al tipo di trattamento cui vengono sottoposte le foglie, si possono ottenere prodotti diversi per forma, colore, aroma e sapore: trattando le foglie con il calore subito dopo la raccolta si ottiene il tè verde; essiccandole all'aria si ottiene il tè bianco; lasciando ossidare completamente le foglie si ottiene il tè nero; lasciandole parzialmente ossidare e poi trattandole con il calore si ottiene il tè oolong. Le foglie di tè trattate ed essiccate vengono usate per preparare l'omonima bevanda tramite infusione o decozione. La Camellia coltivata soprattutto in zone tropicali e subtropicali, nelle quali le precipitazioni possono raggiungere i 2 metri all’anno; il terreno pi adatto quello acido e permeabile, senza ristagni d’acqua. Tuttavia, necessario ricordare che questa pianta coltivata in tutti i continenti, anche in regioni molto più a Nord delle aree sopraccitate: il caso della Cornovaglia e dello Stato di Washington, negli Stati Uniti. I n Italia la coltivazione della pianta del tè iniziò verso la fine del 1800 presso l'Orto botanico di Pavia grazie a Giovanni Briosi, professore di botanica e direttore dell'orto dal 1883 al 1919. Dalla pianta originale negli anni '30 Gino Pollacci, anch’egli professore di botanica, riuscì ad ottenere una varietà diversa che chiamò Camellia “thea ticinensis”, in grado di resistere al gelido clima invernale della pianura padana. Nel corso degli anni 30 si tentò di sperimentare la produzione su larga scala di questa varietà. Tuttavia le piante coltivate fuori dal loro ambiente naturale possedevano una concentrazione di sostanze chimiche e nutritive diverse. Di conseguenza, le caratteristiche organolettiche di questo tè non riuscirono a soddisfare i gusti delle persone. Il risultato portò alla rinuncia della produzione di tè "ticinensis". A partire dagli anni '80 Guido Cattolica ha iniziato un esperimento di coltivazione della Camellia sinensis, utilizzando semi e piantine ottenuti dall'Orto botanico di Lucca, messi a dimora nell'area del Compitese (Capannori, LU). In tale zona, caratterizzata da terreni acidi e un microclima particolare che ne fanno l'habitat ideale per le camelie e le piante acidofile, la Camellia sinensis ha trovato le condizioni ideali per il suo sviluppo. R.G.
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a ricetta del mese
Tonnarelli alla polpa di granchio sapore di mare a tavola
S
e siete degli appassionati della cucina di mare, oggi vi voglio proporre una ricetta veramente sfiziosa, anche se dovrete dedicarle un po' di tempo. Vi dico subito che a me piace moltissimo inventare ricette, che hanno come protagonisti il pesce. Secondo me, c'è una maggiore possibilità di dare sfogo al proprio estro, alla propria fantasia. Il pesce, in virtù della sua carne, per lo più delicata, ti permette di fare molti abbinamenti, sfruttare al meglio ortaggi e verdure, che poi li accompagneranno in cottura. Ricordatevi soltanto che non dovete mai esagerare con i sapori forti per non uccidere il gusto dei nostri pesci. Anche una zuppa di pesce o un sugo allo scoglio, piatti dai sapori decisi, devono essere fatti con molta attenzione, selezionando la tipologia degli ingredienti che andrete ad utilizzare. Per prima cosa, molta attenzione all'uso del pomodoro, che non deve essere esagerato. D'estate è di rigore un bel San Marzano fresco, d'inverno pelati in scatola (evitate le passate) o pomodorini freschi. Anche per quanto riguarda il pesce, non abusate l'utilizzo di calamari e polpi, perché, con il loro sapore deciso, finiscono per prevalere su tranci di palombo, su scorfani e gallinelle, sugli stessi crostacei, che pur essendo saporiti, hanno, comunque, carni delicate. Quindi, come potete constatare dai miei ragionamenti, la cucina di mare richiede una maggiore capacità e tempi più lunghi in fase di preparazione, compensate dalle cotture, che sono più brevi. Inoltre, se commetti qualche errore, è più difficoltoso correre ai ripari. Cosa che non accade con la carne, dove l'uso di spezie e altri correttivi (funghi, patate, verdure di stagione) di fronte ad un preparazione priva di personalità e di sapore, ti permette di poter correggere il tutto in corso d'opera. Fatte queste considerazioni, entriamo nel merito della ricetta di questo mese, che, per l'appunto, vede come protagonisti un crostaceo, il granchio e i tonnarelli all'uovo. Molti sono contrari all'utilizzo della pasta all'uovo con il pesce. Assorbe molto sugo e l’insieme è sempre un po' pastoso. Il sugo non scivola come con la pasta di semola. Il segreto è fare un sugo più liquido e aggiungerne un paio di cucchiai, dopo averlo impiattato. Procediamo. In una casseruola far rosolare le cipolle tagliate a pezzi grossolani, le carote, il sedano, il peperoncino, l’aglio e i granchi tagliati e privati della polpa e delle chele (la parte dove c'è la polpa).
Far rosolare fintanto che i pezzi del granchio siano ben tostati. Aggiungere il brandy e la salsa whorchester. Fiammare il brandy e aggiungere 3 litri di acqua fredda. Portare ad ebollizione, salare e abbassare il fuoco, in modo da far sobbollire il fumetto per circa un’ ora. In una padella a parte, far saltare con un po’ di olio , aglio e peperoncino la polpa dei granchi e le chele. Bagnare anche queste con un po’ di brandy e aggiungere i pomodori lavati e tagliati a cubetti. Aggiungere il sale e del prezzemolo tritato, lasciar cuocere per 8\10 minuti. Quando il fumetto sarà pronto, sistemarlo di sale, filtrarlo con un passino fine e legarlo leggermente con un po’ di roux. Aggiungere questo fumetto alla salsa di pomodori e granchi e quando i tonnarelli saranno cotti, saltarli con le due salse, decorare con del prezzemolo tritato e servire. Paolo Martizi © RIPRODUZIONE RISERVATA
Ingredienti (per 8 persone) 2 granchi interi circa 1kg 1,5kg di tonnarelli 3 cipolle, 1 testa di aglio, 2 carote, 1 stanga di sedano, 1 mazzetto di prezzemolo, 1 peperoncino Q.B. olio extra vergine 1kg di pomodorelle mature 120 gr di roux (60 gr burro e 60 gr di farina) 1 bicchiere di brandy 2 cucchiai di whorchester shire sauce
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l ristorante
All'Agriturismo Due Pini va in tavola genuinità e fantasia
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rendete due imprenditori, lei Germana Jacoangeli con studi in Legge alle spalle, lui Marco Fortini con studi in Economia, che decidono, nonostante le loro molteplici attività, di mettersi a fare i ristoratori. Il primo pensiero che ci frulla nella testa è: ma che c'entrano con pentole e fornelli? Assolutamente nulla. Infatti, in cucina, ci sono due chef giovani e in gamba, Danilo Giunti e Fateh Sugh, indiano, che ci sanno veramente fare. Loro, che nella vita sono moglie e marito, che sono giovani e gagliardi, che sanno tutto di business, si sono messi in testa di rilanciare l”Agriturismo Due Pini”, un grande ristorante, proprietà di famiglia, che lo aveva creato e lanciato in orbita 13 anni fa, che dopo due anni di fermo, a conclusione di una gestione precedente non tanto per la quale, ha riaperto i battenti. Germana, volitiva ed esuberante, un vulcano sempre in eruzione e Marco, silenzioso, concreto e produttivo ci stanno riuscendo. Una scelta coraggiosa, compensata da una struttura che ha grandi potenzialità (può ospitare fino a mille coperti), contornata da un magnifico parco (dieci ettari), parte del quale è stato sapientemente destinato a produrre vino, olio, verdure ed ortaggi vari per il ristorante. Il tutto, lontano dal centro abitato, in piena campagna. E' una location dove non si va soltanto per mangiare bene, ma anche per trascorrere una giornata all'aria aperta, dove i bambini hanno spazio, giochi e contatto con la natura. E il sabato sera si balla. Una struttura, come si può constatare, che ha una doppia anima: ideale per i banchetti e gli eventi con proposte da 25, 30, 35 euro (per chi vuole si possono fare menu personalizzati a prezzo diverso), ideale anche per la gita della domenica. Come si può constatare , in entrambe le circostanze, si può mangiare con prezzi accessibili a tutti e cosa importante, senza penalizzare la qualità del cibo. Dall'antipasto al caffè si spende ogni giorno, festività comprese, 18 euro. Volendo ce n'è uno più economico a 16 euro. Un'equazione che ha dato un buon risultato. Merito di Germana e Marco, che sono riusciti a trovare il giusto equilibrio, mettendo in pratica il “fai da te”, che è sempre la soluzione migliore. Loro in cabina di regia ad occuparsi della gestione, della spesa e dell'organizzazione, in campo, invece, personale giovane, capace e motivato, con due chef in cucina che lavorano sodo, tirando pasta
all'uovo, preparando ogni tipo di dolce, studiando e provando nuove ricette o rivisitando quelle tradizionali, per offrire ai clienti sempre qualcosa di nuovo, di originale come gli spaghetti “ajo, oio e peperoncino” dello chef Danilo, delicati, direi light, ideali per chi ha qualche problema con l'aglio. Tutto ciò rigorosamente preparato al momento, utilizzando i prodotti dell'orto di casa oppure acquistando al mercato merce esclusivamente di prima qualità, cosa di cui si occupa personalmente Marco. Trovandosi la struttura in piena campagna, ma con il mare ad un passo, si doveva fare una scelta: cucina di terra o di mare, o tutte e due? Si è puntato su quella di terra, in modo da rispecchiare i sapori e i profumi della stessa, accompagnata la sera dalla pizzeria. Una caratterizzazione, che ha dato i risultati sperati. Così potete assaggiare degli ottimi paccheri allo speck, pachino e pesto genovese; la calamarata con carciofi, salsiccia e pachino, fettuccine al ragù bianco e scamorza affumicata. I secondi sono tutti incentrati sulla carne, per scelta solo nazionale, ma di grande livello, con bistecche, filetti in prima fila. Meritano una citazione il filetto di manzo brasato al radicchio e la pancia di vitella ripiena con cicoria e provola. E per concludere un festival di dolci al cucchiaio, sempre fatti da Danilo, con il cioccolato grande protagonista.
Paolo Caprio © RIPRODUZIONE RISERVATA
Agriturismo la Tenuta Due Pini Via Campoleone Tenuta n.28 Aprilia (Rm) tel.06 92970068 Aperto: pranzo e cena Riposo: lunedì Ferie: mai Carte di credito: si Site Web: www.latenutaduepini.it
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PIROTTINI CUORE Conf. 50 pz. (da cm 3) Conf. 50 pz. (da cm 5)
€ 2,90 € 4,00
TEGLIA PER DOUGHNUT A CUORE
€ 11,80
TAGLIAPASTA ASSORTITI IN PLASTICA € 0,90 cadauno
TORTIERA CON RIPIENO A CUORE
STAMPO DOLCI CON RIPIENO
€ 21,00
€ 7,10
TAGLIAPASTA INOX ASSORTITI FORMA A CUORE € 1,50 cadauno
TIMBRATORE FORMA CUORE PER PASTA ZUCCHERO
Noi ci mett iamo il Cuore
€ 8,80
TAGLIAPASTA INOX A CUORE CURVO
€ 2,50
L’
angolo dei golosi
E' tempo di dolci fritti provate le castagnole ai due colori
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n tutti i Paesi del mondo esistono dei dolci tradizionali che “santificano” una ricorrenza speciale. In Italia, diciamo che è la norma, visto, che oltre al Natale e alla Pasqua, ci sono un’altra infinità di ricorrenze, spesso locali, caratterizzate da cibi, che vengono preparati in occasione di quella determinata festa. Vengono addirittura organizzate delle sagre, con lo scopo di esaltare e promuovere un cibo tipico della zona, che, in alcune circostanze, ha molti punti in comune con quello del paese vicino. A volte, si tratta di piccole sfumature, che possono riguardare un ingrediente, una forma, una cottura diversa, ma sufficienti a dare una caratterizzazione al prodotto finale. Perché ho fatto questa premessa? Perché siamo in un periodo particolare, in un mese in cui trionfano i dolci fritti. Prima ci sono quelli di Carnevale e poi più in là, a marzo, per noi del Lazio, ma non solo, le strepitose zeppole di San Giuseppe, una vero delirio per chi è “dolce dipendente”, di cui mi riprometto di parlarvene quanto prima. Allora, se avete la pazienza di fare una piccola ricerca gastronomica, vi renderete conto che, dello stesso dolce, cambia il nome, ma non la ricetta. Iniziamo, comunque, dai dolcetti di Carnevale, che da un po' di giorni hanno invaso le vetrine delle pasticcerie, dei forni ed anche delle rosticcerie. In poche parole, ovunque funzioni una friggitrice. Due sono i più famosi, almeno per noi romani: le frappe (in altre parti d'Italia sono conosciute come chiacchiere) e le castagnole. Queste due, sono le leccornie le “regine” di questo mese, anche perchè sono dei dolci semplici, che vanno giù facilmente, specie quando si è in compagnia. Sopratutto, se vengono accompagnate da un buon vino dolce, da un passito o da una spumante, dolce o secco a seconda dei gusti. Le frappe sono croccanti, dalla forma sottile e allungata, ricoperte da zucchero a velo. Le castagnole, invece, sono tonde, ricoperte da zucchero granulare e le possiamo trovare semplici oppure farcite. Io, da buon goloso, vi parlerò di quest'ultime, cioè quelle farcite: bianche con la ricotta, nere al cioccolato e rhum. Ora vi dico come potete farle. Non sono complicate come preparazione, serve soltanto un po’ di pazienza. Cominciamo, lavorando e montando il burro con lo zucchero; aggiungiamo la ricotta, il sale, le uova una alla volta, infine il latte. In questo modo, otterrete un composto molto liquido. Dividiamo a metà il composto; nel primo aggiungia-
mo il rhum con 200 gr di farina, il cacao e metà del lievito. Nel secondo, il restante di farina e lievito. A questo punto, i composti risultano ben amalgamati ed abbastanza elastici. Ne prendiamo un pò per volta e lo facciamo rotolare con la farina, come se dovessimo fare degli gnocchi. Tagliamo l'impasto che abbiamo ottenuto della grandezza desiderata e friggiamo subito nell'olio a temperatura. Una volta terminata la cottura, "panarle" con dello zucchero semolato e servirle in tavola. Gabriele Zanini © RIPRODUZIONE RISERVATA
Ingredienti (per 4 persone) 50 gr di burro 250 gr di zucchero 200gr di ricotta 15 gr di sale 3 uova 150 ml di latte 25 ml di rhum 500 gr di farina 10 gr di lievito scorza grattuggiata di un arancio 50 gr di cacao olio di girasole per friggere
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ianeta vino
Nerello Mascalese, un rosso che sprigiona i profumi dell'Etna
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’Etna è una terra dalla bellezza struggente e dai tratti primordiali, divenuta, negli anni, dimora di tanti appassionati vignaioli provenienti dalle zone più disparate del mondo. La filosofia di vita che accomuna gli abitanti de “a Muntagna” è di spirito estremo, distinto dal grande rispetto per la natura, incondizionato, rigoroso, appassionato. La viticoltura qui esiste da sempre e le voce leggendaria di Omero disse pure che Ulisse offrì proprio un vino dell’Etna a Polifemo; il terroir è caratterizzato dalla sovrapposizione delle molteplici colate laviche, innumerevoli e costanti nel tempo, che hanno costruito uno scheletro di natura vulcanica dal residuo sabbioso, che si mescola a cenere, lapilli e pietre. Tale incessante attività vulcanica ha partorito un panorama dotato di avvallamenti ed altopiani che si attorcigliano a vista d’occhio, girando quasi di tre quarti attorno al cono vulcanico, creando un’infinita progressione di terrazze. Così, affacciati nei tre versanti esposti a Nord/Nord Est, Est e Sud, tra i 500 e gli 800 metri slm, vivono antichi vigneti, disseminati in modo scomposto, che il tempo ha visto resistere persino alla fillossera, il devastatore d’Europa. Le viti si fanno maturare dal sole, compagno dell’intera mite giornata. Poi alla sera, l’incredibile escursione termica riporta il pensiero ad un’enclave nordico; la Montagna ripristina l’ordine ed avverte tutti della sua asprezza per tanti indecifrabile e non idonea a vitigni qualsiasi. Qui, di casa, ci sono Nerello Mascalese, Nerello Cappuccio,
Carricante e Minnella; su tutti, il primo riesce ad interpretare la terra e trasmetterla nel bicchiere con una stupefacente eleganza, dai termini sinuosi, tutta giocata sulle sensazioni minerali, nette e decise di cenere, pietra lavica, grafite e toni salmastri, accompagnati da piccoli frutti rossi. In bocca è il tannino ad essere protagonista della beva, mostrando un disegno pieno ed avvolgente dalla lunga persistenza. Tutto questo è il bicchiere dell’Etna Rosso Doc 2008 dell’Azienda Cottanera, un’altra eco dalla viticoltura di qualità italiana. Carlo Di Fazio © RIPRODUZIONE RISERVATA
Etna Rosso DOC 2008 90% Nerello Mascalese 10% Nerello Cappuccio Alcool: 13,5° L'Etnarosso DOC è prodotto dalle uve di Nerello Mascalese e Nerello Cappuccio. Un vino elegante e prezioso, dalla personalità unica, ricco di aromi floreali particolarmente intensi con note che possono variare anche sui frutti rossi, in condizioni di elevata freschezza aromatica, quali sono quelle che si verificano sull'Etna. In bocca il vino ha grande struttura con tannini molto fitti ed austeri ma non secchi. La grande lunghezza nel finale ci conferma che ci troviamo di fronte ad un grande vino destinato alla longevità.
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agie di notte
Vi presento il Cosmo il drink preferito da Madonna
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a cantante Madonna affermò in un intervista su Vogue che il “Cosmo” (abbreviazione americana per il Cosmopolitan) era il suo drink preferito. I barman italiani ne conoscevano appena l’esistenza, ma in America era già una leggenda. Sex and the City, la famosa serie televisiva, fece il resto nel contribuire a rendere il Cosmo un drink di fama internazionale. I barman americani erano convinti che si trattasse di un idea pubblicitaria della Cointreau, produttrice dell'omonimo liquore e il New York Times raccontò, in un edizione domenicale, che ad inventarlo fu un barman di Miami. Il “Journal of the american cocktail”, trattato annuale ad opera del Museum Of The American Cocktail, ha individuato il vero artefice del Cosmopolitan nella Barlady Cheryl Cook bartender allo Strand di South Beach, Miami. La storia vuole che la grand-ambassador del marchio Absolut vodka, Cristrina Solopuerto, era stata inviata in America per promuovere il nuovo prodotto della casa. Parliamo di Absolut Vodka Citron la prima vodka aromatizzata, in questo caso al limone, destinata al mercato degli States. Nel locale di Miami appunto, Cheryl nel 1985 servì il suo primo Cosmo a Cristina, che gli aveva chiesto di preparare un drink con la propria vodka. Nel giro di un quarto d’ora tutti al banco avevano un Cosmo e in un altro quarto d’ora tutto il locale aveva in mano un coppa Martini color rosa. Cheryl, inoltre, dichiara che all’epoca, tutti, donne comprese, bevevano Martini Cocktail solo magari per avere quel bicchiere cosi trandy in mano e molte donne non riuscivano mai a finirlo, essendo il Martini un drink forte e secco. Così, Cheryl ebbe la brillante idea di modificare la ricetta di un cocktail, chiamato kamikaze, un cocktail a base di vodka secca, cordiale di lime e triple sec. Un drink che andava bevuto con ghiaccio tutto di getto, che era molto di moda tra i ragazzi per alzare un pò il livello della serata e si credeva che berlo in eccesso portasse al suicidio. Cheril aggiunse un tocco di mirtillo e nel locale cominciarono ad ordinare, il Kamikaze con vodka Citron e succo di Mirtillo. Una evoluzione sostanziale il Cosmo la subisce con Toby Cecchini, barman, autore del libro “Cosmopolitan: A Bartender’s life”, dove Toby dichiara di entrare in contatto con il Cosmo nel 1987 in una versione che prevedeva
cordiale di lime e granatina quindi molto dolce. Gli venne cosi l' idea di sostituire il cordiale di lime con del succo di Lime fresco e la granatina col cramberry, succo di mirtillo nero americano. A Dale “The King of Cocktail” De Groff , luminare e innovatore del mondo dei Bar, spetta il merito di averlo fatto conoscere al mondo, nel 1996, lo inserisce nel menu nel mitico bar di New York del Rockefeller Center e comincia a parlarne a media, giornali, riviste specializzate ecc ecc. Si deve a lui l’introduzione del Cointreau al posto del generico Triple sec, che dona più secchezza e aroma di arancia amara al drink. Il suo tocco personale Dale, l'ha dato con la flambatura della buccia di arancia o limone ricca di oli essenziali, che a contatto con una fiamma bruciano, dando un'aroma e un profumo intenso al bicchiere e al cocktail e rende scenica la preparazione del cocktail. Questo drink fantastico, si può bere come piace a me, con qualche goccia di essenza al cardamomo e due fettine di cetriolo….Cheers! Simone Francini © RIPRODUZIONE RISERVATA
Ingredienti Vodka 45 ml. Triple Sec 15 ml. Succo di lime 10 ml. Succo di Cramberry 20 ml. Guarnizione Twist Pompelmo o Arancia o Limone
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ASSOCIAZIONE
SCUOLA DI MUSICA
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l benessere a tavola
Una dieta ricca di fibre ha una funzione di “salvavita”
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ari Lettori, in questo numero vorrei illustrarvi i benefici di una alimentazione ricca di fibre. Tutti noi sappiamo che le fibre aiutano la digestione ed il nostro intestino; ma sapete che una dieta ricca di fibre aiuta a mantenere sano il nostro cuore? L'American Heart Association ha confermato che cibi ricchi in fibre, mangiati regolarmente, diminuiscono il rischio delle malattie cardiovascolari. Per fibre alimentari si intendono alcuni carboidrati, dai vegetali agli ortaggi e grani. Una dieta ricca di fibre è stata associata a: •Abbassamento dei livelli di colesterolo "cattivo" LDL •Abbassamento dei livelli di glicemia nei pazienti con diabete •Abbassamento della pressione nelle persone ipertese •Diminuzione del rischio di malattie cardiache •Diminuzione del rischio di diabete •Mantenimento del peso corporeo. Ci sono diversi tipi di fibre alimentari, le fibre solubili e insolubili. E tutte due hanno effetti benefici.Le fibre solubili, si trovano in alimenti come farina d'avena e crusca di avena, noci, mele, fragole, fagioli e orzo. Questa fibra, che si trasforma nell'intestino in un gel, rallenta la digestione. Queste fibre solubili, in particolare, hanno evidenziato un effetto nell'abbassare il colesterolo. Le fibre insolubili non si scompongono e rimangono tali e quali. Si trovano nei cereali integrali, nelle verdure come carote, pomodori e sedano. Alcune fibre, inoltre, come le fibre dei semi di Psyllum (pianta officinale) assunte prima dei pasti con un bicchiere di acqua, si rigonfiano formando un gel. Questa ha molteplici effetti benefici. Aumenta il senso di sazietà, aiuta la motilità intestinale, aiuta a tenere sotto controllo i picchi glicemici, aiuta ad abbassare il colesterolo. E tutto scientificamente provato. Quale tipo di fibra si dovrebbe mangiare di più? Entrambe. A questo proposito, vi darò alcuni consigli, che fanno parte del sistema dietologico-nutrizionale NutriSalus (angelodemartino@nutrisalus.it) 1) In genere non mangiamo abbastanza fibre, addirittura meno della metà. E' bene quindi fare colazione con i cereali integrali o farina d'avena con 3 o più grammi di fibre per porzione. Aggiungete frutta fresca e sarete sulla strada giusta per l'obiettivo giornaliero di assumere 38 grammi per gli uomini e 25 grammi per le donne di fibre. 2) Utilizzate la frutta fresca per uno spuntino sano. Non tutta la frutta apporta la stessa quantità di fibre. Una grossa pera apporta 9,9 grammi di fibre. Altri frutti ricchi di fibre sono i lamponi (4 grammi per 1/2 tazza), more (3.8 grammi per 1/2 tazza), banane
(2,4 grammi ciascuna), e mirtilli (2 grammi per 1/2 tazza). Pere e mele - con la pelle - sono anche ricchi di fibre scelte. 3) A pranzo sostituite, come a cena, il pane fatto con farina bianca raffinata con un panino integrale. Oppure utilizzate cracker integrali per accompagnare le vostre pietanze. Molti studi hanno dimostrano, che l'aggiunta di cereali integrali e altri cibi ricchi di fibre alla dieta, può ridurre il rischio di malattie cardiache e diabete di tipo 2. 4) Alcune verdure e vegetali con un alto contenuto di fibre verdure sono cuori di carciofi, i piselli, spinaci, mais, broccoli e patate. Ma tutte le verdure apportano un po' di fibra - da 1 a 2 grammi per porzione ( 1/2 tazza). Per aumentare l'apporto di fibre giornaliero, aggiungete le verdure alla vostra omelette, ai panini, alla pasta, alla pizza. Oppure provare ad aggiungere alcune verdure interessanti - come barbabietole bianche, i topinambur, il sedano rapa. Un'insalata mista e colorata, è l'ideale. 5) Le prugne secche sono ben note per la loro proprietà digestiva e lassativa. Il loro contenuto di fibre è di circa 3,8 grammi in una 1/2 tazza. La maggior parte dei frutti essiccati sono ricchi di fibre, che possono aiutare a regolare i movimenti intestinali e alleviare costipazione. Prova, per lo spuntino, a mangiare una manciata di datteri, qualche fico secco, uva passa, albicocche secche (abitudine che dovremmo dare ai nostri ragazzi). O tritateli, ed aggiungeteli alla colazione del mattino, insieme ai cereali integrali. 6) Anche i fagioli, di tutti i tipi, sono ricchi di fibre, ricchi di proteine e poveri di grassi. Provate a mangiare una porzione di fagioli al posto della carne due volte a settimana, per aumentare la quota di fibre. Usali nelle zuppe, negli stufati, in insalata (tonno e fagioli), con le uova, e con piatti e pasta. La famosa pasta e fagioli che faceva la nonna, oramai si mangia solo al ristorante. Anche le lenticchie e piselli hanno un alto contenuto di fibre e proteine e sono poveri di grassi. Ceci cotti possono essere mangiati anche la sera. 7) Molte persone evitano di mangiare noci, mandorle, e semi in generale, perché sono ad essere ad alto contenuto di calorie e grassi. Questo è vero tanto quanto è vero che non mangiarle ci priva di una fonte nutrizionale importante. Nessuno è mai diventato obeso o sovrappeso per una manciatina di frutta secca al giorno. Nel sistema nutrizionale NutriSalus, si consiglia di mangiare 3/5 mandorle dopo i pasti. Angelo De Martino © RIPRODUZIONE RISERVATA
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a curiosità
Tanti aromi, lo stesso profumo lo chiamano "Odore Bianco"
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uò essere descritto come «l'insieme di tutte le sensazioni olfattive». Stiamo parlando del Laurax, il cosidetto odore bianco, la "summa" di tutti gli aromi. Il suo profumo non è né piacevole, né sgradevole. L'incredibile sta nel fatto che le miscele, contenenti trenta aromi, vengono percepite simili tra loro, pur essendo diverse.«Non è né piacevole, né sgradevole». È così che i ricercatori definiscono la loro recente scoperta: l’odore bianco. Mescolando molecole di aromi provenienti da tutto l’insieme delle essenze, gli studiosi si sono accorti che due miscele che non avevano niente in comune, tendevano ad avere un profumo sempre più simile mano a mano che venivano
E invece accade il contrario. I ricercatori hanno ottenuto 86 singole molecole odorose e le hanno utilizzate per preparare diverse miscele di profumo, che sono state sperimentate su circa 200 volontari. L'esperimento ha dimostrato che le miscele contenenti trenta o più aromi vengono percepite simili tra loro, anche nel caso in cui non condividono nemmeno un singolo componente. In seguito, i ricercatori hanno condotto ulteriori test, combinando tra loro alcune delle ottantasei molecole. Anche in questo caso i volontari hanno indicato come odore bianco solo le miscele ottenute da trenta o più componenti. Una tendenza che implica che ci sia una soglia limite di convergenza percettiva oltre la quale non si avvertono più differenze tra le varie miscele di profumo. Questo odore, al quale è stato dato il nome di Laurax, è stato descritto dai partecipanti al test come un profumo dalle proprietà neutre. Alcuni ricercatori di altri laboratori hanno commentato i risultati spiegando che lo studio rafforza l'idea che il sistema olfattivo non rileva singole molecole, ma gli odori nel loro complesso.
Cristiano Bucciero © RIPRODUZIONE RISERVATA
aggiunti nuovi aromi. Fino a quando, raggiunti i trenta componenti circa, la maggior parte delle miscele aveva lo stesso profumo. L’hanno chiamato Olfactory white. L’odore bianco sarebbe il parallelo della «luce bianca» e del «rumore bianco», ottenuti rispettivamente combinando lunghezze d’onda dello spettro visibile differenti o frequenze sonore diverse. La ricerca, pubblicata sulla rivista Pnas dell'Accademia di Scienze degli Stati Uniti, è il risultato di uno studio del Weizmann Institute di Rehovot, Israele. Noam Sobel, neuroscienziato ha spiegato la stranezza del risultato: «Date le centinaia di ricettori olfattivi che risiedono nel nostro naso, si sarebbe portati a pensare che più odori si aggiungono a una miscela, più questa diventa speciale e non che si confonde con altre».
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ode e tendenze
Nell' immaginario collettivo c'è una corona a “Cinque Punte”
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ari amici, care amiche, se vi dicessi eleganza, successo o attenzione al dettaglio, a cosa pensereste? Beh, io penserei subito ad un oggetto di gran lusso che possa distinguermi ovunque, e visto che la mia passione più grande sono gli orologi, in questo numero vorrei parlarvi del Rolex, quello con l'inconfondibile stemma a cinque punte. Un Rolex è molto più di un semplice orologio, ognuno di loro racconta una storia, un traguardo raggiunto, un successo; è molto più di uno status symbol, è un vero e proprio compagno di avventure. Rolex lanciò nel 1926 l'Oyster, il primo orologio da polso impermeabile, e a più di 80 anni di distanza, rimane l'orologio più affidabile in qualunque circostanza. Questo tipo di orologio è stato testato sulle montagne più alte, in regioni polari e nei fondali più profondi, in condizioni estreme, insomma tutto il mondo è stato un laboratorio nel quale testare gli orologi. Molti sportivi sono stati i testimonial per questa casa, nello
sci, ad esempio, fu Jean-Claude Killy nel 1968, Arnold Palmer nel 1967, ma ancor prima negli anni '30 negli sport auotomobilistici Rolex divenne Official timekeeper della 24 ore di Le Mans, diventando poi negli anni 50 una partnership con il mondo delle regate. I modelli, sempre molto eleganti, sono svariati e tutti hanno una propria vita, sia per l'uomo che per la donna, caratterizzati anche da diamanti per i modelli più esclusivi. Il Rolex Paul Newman, definito il Pre-Daytona, è tutt'oggi l'orologio di casa Rolex più costoso al mondo, sia per la sua tiratura, sia per la storia che racchiude in se. Infatti questa serie venne prodotta in piccole quantità dal 1960 ai primi anni 1980. Dunque, da queste date si può dedurre che questo splendido Rolex Paul Newman custodisce dentro di se, e non parliamo solo del rarissimo e antichissimo meccanismo che vi è all'interno, ma della storia vera e propria che lo avvolge e lo rende ancora più prezioso. Quest'orologio nasce prima del Daytona, e lo si può definire un vero e proprio trampolino di lancio per la casa Rolex, e possedere un orologio simile, è l'equivalente di avere un pezzo di storia Rolex al proprio polso, o più segretamente nella propria cassaforte!!! Un caro saluto a tutti voi, seguiteci mi raccomando ..... Antonella Lamboglia © RIPRODUZIONE RISERVATA
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