Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (convertito in Legge 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, LO/MI
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ATMOS X ASICS GEL-LYTE III 24 KILATES X BROOKS HERITAGE BEAST 1 HANON X DIADORA V7000 LIMITED EDT. X PUMA DISC BLAZE SOPHNET. X NIKE ROSHE TIEMPO VI
cool stuff 16 18 20 22 24 26
AIR JORDAN VIII RETRO ‘CHAMPIONSHIP pack’ Nike SBXFB JANOSKI ELITE, KOSTON & P-ROD 9 ELITE The Quiet Life X Saucony Shadow 5000 paLace X Reebok CLASSIC & CLUB C clube 75 X vans SK8-HI & ERA CLUB 75 X JOYRICH X THE SIMPSONS
contents 28 32 36 40 44 48 50 54 58 62 64 68 72 76 78
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editoriale editorial
Mentre le giornate si allungano e si sfilacciano, portandoci attraverso la (breve purtroppo) stagione più pigra dell’anno, il tempo libero ci porta naturalmente a riflettere, a pensare più di quanto siamo abituati a fare normalmente. Così ci accorgiamo che il mondo in cui viviamo è estremamente complesso, vario, pieno di sfaccettature: in generale, certo, ma anche nel particolare spicchio di esistenza fatto di gomma, pelle e mesh in cui passiamo la maggior parte del tempo. Rendersi conto di una tale complessità, però, non significa rinunciare a conoscerla e interpretarla. Noi proviamo a farlo, un pezzetto alla volta.
As the days become longer and frayed, introducing us to the most lazy (and unfortunately brief) season of the year, our spare time allows us to reflect a bit, to step back and think about our normal activities. We thus realize that the world we inhabit is extremely complex, different, multifaceted: not only in general, but also in the particular subsystem (constituted by rubber, leather, and mesh) in which we spend most of the time. Recognizing the existence of such a complexity, however, does not entail a renounce to explore it and try to understand it. We try to do it, piece by piece.
Raccontiamo l’universo sneakers dal punto di vista degli sneakerhead, quelli che da semplici collezionisti si trasformano in imprenditori, tramutando la loro passione in un lavoro: è successo ad esempio ai fondatori di Extra Butter, sneakers shop newyorchese del quale riassumiamo la storia a pagina 50. Raccontiamo l’universo sneakers dal punto di vista degli atleti, professionisti o amatori che siano: per questo ospitiamo ogni mese la rubrica del super-maratoneta Paolo Barghini (in questo numero, nientemeno che una recensione delle hypeatissime adidas Ultra Boost, a pagina 64), ma non rinunciamo a parlare anche di sport ben più ricchi, come il basket NBA (del quale celebriamo a modo nostro le Finals appena trascorse, a pagina 40). Raccontiamo l’universo sneakers, infine, dal punto di vista di chi produce quegli oggetti del desiderio che tanto amiamo, provando ogni giorno a percorrere nuove strade pur di tenere desta l’attenzione dei consumatori. Così osserviamo i tentativi dei marchi e dei designer più apprezzati di offrire prodotti sempre nuovi, ovviamente con risultati altalenanti: in questo numero analisi delle invenzioni di Gosha Rubchinskiy (che coinvolgono storici marchi italiani) a pagina 68, dell’incrocio tra Olivier Rounsteig e Nike a pagina 72, del ritorno del classico stile court tennis (un vero e proprio trend, ormai) a pagina 44.
We tell the universe of sneakers from the perspective of all sneakerheads, those that from the status of mere collectors came to embrace the role of entrepreneurs, transforming their passion into a work. It’s what happened to the founders of Extra Butter, a sneaker shop in New York whose story is rehearsed on page 50. We also depict the universe of sneakers from the point of view of the athletes, whether they are professional or amateur. For this reason we decided to host on every issue a column by the super-marathon runner Paolo Barghini (this time he talks about the adidas Ultra Boost, on page 64), but we don’t disregard the richer sports such as NBA basketball (and here we celebrate the BNA Finals on page 40). We also describe the universe of sneakers from the point of view of those who produce those objects of desires that we love so much, trying every day to follow new paths with a view to stimulating the consumer’s attentional skills. So we observe the efforts made by the most beloved brands and designers to offer fresh new products as frequently as possible, and with oscillating results, of course: in this issue we portray the inventions of Gosha Rubchinskiy (with some historic Italian brands) on page 68, describe the encounter between Olivier Rounsteig and Nike on page 72, analyze the comeback of the court tennis classic style (a real trend by now) on page 44.
Tuttavia le riflessioni sullo stato dell’arte delle sneakers non possono occupare tutto lo spazio tra i nostri pensieri e su queste pagine, perché le notizie premono: ecco perché nella parte centrale del giornale vi offriamo una mappa delle novità in arrivo da parte di alcuni dei marchi più importanti sul mercato globale, da Karhu a Asics passando per Diadora e DC Shoes. Poi, certo, la complessità del presente può risultare troppo stressante: allora possiamo sempre rifugiarci nelle storie e nelle glorie del passato, con una nutrita sezione vintage della quale non possiamo che consigliarvi la lettura, a partire da pagina 82. E se non basta, naturalmente, ci risentiamo a settembre.
But the reflection on the present situation of sneakers cannot take all the place in our minds and on these pages, because the news seem to say, Hurry up! Which is why in the middle part of the magazine we offer a map of the novelties that are to be released by some of the most important brands facing the global market, from Karhu to Asics, from Diadora to DC Shoes. Sometimes the complexity of our present time may generate anxiety: then we can always take refuge in the histories and glories of the past, thanks to a rich vintage section that we can only recommend you to browse from page 82 on. If that’s not enough, we’ll see you in September!
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ATMOS X ASICS GEL-LYTE III Nato negli anni Quaranta dalla creatività dell’orticoltore americano Norvell Gillespie, il pattern cosiddetto “Duck Camo” è stato usato nei decenni successivi al secondo conflitto mondiale soprattutto per l’abbigliamento da caccia (da qui il soprannome, appunto, “duck hunter camouflage” o semplicemente “duck camo”). Nel 2016, lo ritroviamo stampato sulle parti in suede di queste Gel-Lyte III, in una limited edition collaborativa tutta giapponese realizzata insieme allo storico sneakers shop di Tokyo. Born in the Forties from a concept devised by the American horticulturist Norvell Gillespie, the so-called Duck Camo pattern was used for some decades following World War II mostly in the hunting apparel sector (hence the nickname “duck hunter camouflage”, or quite more easily “duck camo”). Such a pattern comes back on the shelves in 2016 printed on the suede parts of this Gel-Lyte III, in the context of a entirely Japanese collaborative limited edition realized with the historic sneaker shop from Tokio.
IL GIUDIZIO Materiali: 7
Buona la qualità generale, ma si tratta sempre di mesh e suede. Un punto in più per i lacci riflettenti. The general quality is good, but still made of mesh and suede. A crucial plus is the reflecting laces.
Colorazione: 7
Molto difficile mettere stampa camouflage su un paio di scarpe. Ma in questo caso funziona. 6
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Very difficult to apply the camo print on a pair of shoes. But in this case it works.
Concept: 8
Riproporre per l’ennesima volta uno dei pattern più abusati dallo streetwear negli ultimi dieci anni potrebbe apparire inaccettabile. A meno che a farlo non sia uno dei marchi capostipite della sneakers culture giapponese. Reproposing for the umpteenth time one of the patterns that the street-wear sector has most used in the last ten years might be deemed too much – unless the initiative is by one of the old respected brands of the Japanese sneaker culture.
Retail: 7
160 dollari, circa il 30% in più rispetto ai prezzi correnti di un paio di Gel-Lyte III di linea. Corretta la scelta di non calcare troppo la mano, visto che in pratica questo modello si distingue solo per colorazione e tiratura limitata. 160 bucks, some 30% more than the current price of a pair of line Gel-Lyte III. A good idea not to exaggerate, given that this model only distinguishes itself from the other in terms of its coloring and limited edition.
Resell: 8
A circa un mese dall’uscita, le quotazioni della taglie più desiderabili sfiorano i 300 dollari: missione compiuta, com’era lecito aspettarsi. A month after the release, the quotations of the most requested sizes are on the verge of 300 bucks: mission accomplished, as anyone should have expected.
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24 KILATES X BROOKS HERITAGE BEAST 1 La lingua spagnola è piena di falsi amici, ma non è questo il caso: “La bestia”, soprannome di questa edizione a tiratura limitata proposta da 24 Kilates, in spagnolo significa proprio la stessa cosa che vuol dire in italiano. E dunque: mostro, demonio. Che del resto, altro non è che il nome originale in inglese. Insomma, i ragazzi dell’ormai storico sneakers shop di Barcellona non sono andati lontano, a trovare l’ispirazione per questo modello dall’aspetto quasi satanico. Ma il risultato è piuttosto convincente. Usually when translating from Spanish to Italian, there are plenty of false friends, but this is not a case in point: “La bestia”, as this limited edition proposed by 24kilates was nicknamed, means the same in both languages – an evil spirit, or the beast. And indeed the latter is the original English name. In other words, the guys from the historic sneaker shop from Barcelona didn’t go too far to get the inspiration to design this model featuring an almost satanic look. The outcome is fairly palatable though.
IL GIUDIZIO Materiali: 8
Suede e pelle di ottima qualità, sulla tomaia di questo classico modello running risalente a una ventina di anni fa. Ma quello che fa la differenza è il mesh, che potrebbe facilmente essere scambiato per seta pregiata. The upper of this classic running dating back to twenty years ago is made of high quality leather and suede. But what really 8
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makes a difference is the mesh, that one might even mistake for valuable silk.
Colorazione: 7
Rosso e nero è un accostamento non originalissimo, ma di sicuro effetto. Though not a very original matching, red and black is always compelling.
Concept: 7
Semplice, eppure ben eseguito. Il caprone sulla linguetta toglie ogni dubbio sui riferimenti demoniaci: qualcuno potrebbe trovarli di cattivo auspicio, altri li ameranno.. Easy but well done. The goat on the tongue takes out any possible doubt on the underlying satanic theme: while some will find it of ill omen, others will love it.
Retail: 8
150 euro, poco più del prezzo dei modelli di linea: un ottimo incentivo all’acquisto. 150 euro, just a bit more than the price of the line models: a good reason to buy it.
Resell: 5
A una decina di giorni dal lancio, sono ancora disponibili sul sito di 24kilates. Brooks si conferma marchio scarsamente capace di generare hype. Se questo sia un bene o un male, decidetelo voi... Some ten days after the launch, it’s still available on the 24kilates website. Brooks as a brand is really not adept at generating hype. Up to you to decide whether a good or bad thing.
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HANON X DIADORA V7000 Soprannominate “Inter City”, queste icone del running italiano sono al centro dell’ultimo capitolo di una collaborazione in più parti messa in piedi dagli scozzesi di Hanon con Diadora, e dedicata ai trasporti pubblici inglesi. Già, avete letto bene: bus, treni, battelli, in particolare quelli in circolazione tra gli anni Ottanta e i Novanta. Lo stesso periodo in cui sono state disegnate e lanciate sul mercato le splendide V7000, ancora attualissime nel 2016. Nicknamed “Inter City”, this icon of the Italian running sector is the theme of the latest chapter of a longlasting collabo that the Scottish guys from Hanon have put in place with Diadora, dedicated to the English public transport system. Yeah, you got it right: busses, trains, boats, especially those that used to circulate between the 1980s and 1990s, the same epoch in which the marvelous V7000 (still relevant in 2016) were designed and launched.
IL GIUDIZIO Materiali: 8
Vero, lo ripetiamo quasi ad ogni numero. Eppure la qualità della produzione italiana dell’azienda di Caerano San Marco non è seconda a niente e nessuno, come confermato anche questa volta dall’uso di morbido pigskin suede, pregiata pelle di canguro e mesh (davvero!) di primissima scelta. True, we are making this point time and again – the quality of the Italian production characterizing the company from Caerano San Marco is unparalleled, as testified once again by the use of soft pigskin suede, precious kangaroo leather and top quality mesh (really!).
Colorazione: 8
In equilibrio perfetto tra mondi diversi e apparentemente contrappo10
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sti: popolare il riferimento alle livree dei trasporti inglesi, iper-fashion il risultato dell’accostamento di arancione, azzurro e verde acqua. Un mix rischioso, eppure riuscitissimo. The balancing act between two different and almost opposed worlds: while the reference to the English livery used in the public transport is popular, the combination of orange, sky blue and blue-green is hyper-fashion. A risky mix, but very spot-on.
Concept: 7
Francamente rimane piuttosto oscuro a chiunque non sia inglese di nascita. Ma tutto sommato, non ci dispiace l’idea di dare un sapore locale a un prodotto ormai globalizzato e di conseguenza sempre più uniforme - per non dire piatto - come le sneakers. That’s frankly a utter mystery to whomever is not English mother tongue. On the other hand, we quite like the idea of trying to give a local flavor to a product that is more and more global and hence leveled (if not flat) such as our beloved sneakers.
Retail: 7
129 sterline, l’equivalente di 150 euro. Pricepoint perfetto, anche al netto dell’effetto-Brexit che ha migliorato un po’ il cambio tra euro e sterlina. 129 pounds, which means 150 euro. A perfect pricepoint, even considering the Brexit effect which helped improve a bit the euro-pound exchange.
Resell: 7
Il sold out non è stato immediato, ma a una settimana dalla release i prezzi stanno salendo... The sold-out was not immediate, but a week after the release the prices are going up…
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LIMITED EDT. X PUMA DISC BLAZE Dopo il successo della (doppia) collaborazione della scorsa stagione, Limited Edt. torna a collaborare con Puma per un nuovo pack speciale composto da due paia di Disc Blaze, gemelle delle Blaze of Glory uscite nel 2015. Notevole il packaging realizzato ad hoc dagli illustratori e designer taiwanesi BanaNaVirus e 13Art(SkullMan): ogni scatola contiene parte di un diorama che - insieme a quella che si trovava nelle Blaze of Glory - rappresenta passato, presente e futuro della cittĂ di Singapore, patria di Limited Edt. Ah, a proposito: questa release conta sole cento paia per modello. Finalmente una vera limited edition, verrebbe da dire... After the success of the (double) collaboration of the past season, Limited Edt. starts a fresh new collabo with Puma for a new special pack comprised of two pairs of Disc Blaze, twins of the pairs of Blaze of Glory released in 2015. A remarkable packaging purposefully realized by the Taiwanese illustrators and designers BanaNaVirus and 13Art(SkullMan): every box includes a portion of a diorama that (along with the one in the Blaze of Glory) 12
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represents the past, the present and the future of the city of Singapore, hometown to Limited Edt. By the way, this release amounts to a hundred pairs for each model. Finally a genuine limited edition, one might say.
IL GIUDIZIO Materiali: 7
Tessuti ed elementi in plastica sembrano piĂš o meno gli stessi delle versioni di linea, ma nascondono qualche segreto: la tomaia delle Disc Blaze azzurre, ad esempio, brilla nel buio. Canvas and plastic elements are closely reminiscent of the line versions, but there are some secrets as well: for example, the upper of the sky blue Disc Blaze twinkles in the dark.
Colorazione: 7
Sicuramente non per tutti. Ma del resto il look retrofuturistico delle Puma Disc Blaze non è mai stato per tutti. Not for all tastes to be sure. But the retro-futuristic look of the Puma Disc Blaze was never meant to address all.
Concept: 7
Singapore è una città affascinante, ma i riferimenti alla sua storia e al suo presente non sono immediatamente riconoscibili da tutti. Singapore is a charming city, but the various hints to its history and present condition aren’t easily recognizable if you don’t know the city very well.
Retail: 5
180 euro è francamente troppo per questo modello, anche se il box a tiratura limitata addolcisce un po’ la pillola. 180 euro is frankly too much for this model, even if the limited edition box helps sugaring the pill.
Resell: 5
Sono ancora disponibili sul sito di Limited Edt. e non escludiamo che qualche paio arriverà indenne fino ai prossimi saldi. Still available on the Limited Edt. website and we are quite confident that some pairs will reach the next sales.
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SOPHNET. X NIKE ROSHE TIEMPO VI Quello dell’ibridazione è un gioco pericoloso, ma sappiamo che Nike non ha mai avuto paura di mixare alcuni dei suoi modelli più noti per crearne di nuovi - anche se non sempre i risultati sono stati soddisfacenti. L’ultimo esperimento coinvolge le popolarissime Roshe Run disegnate da Dylan Raasch - modello capace di sostenere l’intero fatturato della casa di Beaverton nelle ultime stagioni - e le celeberrime Tiempo lanciate a metà degli anni Novanta. Proposte al mercato per la prima volta all’interno della collezione disegnata dallo stilista (nonché direttore creativo del marchio Balmain) Olivier Rousteing, tornano in una nuova edizione collaborativa realizzata insieme al marchio giapponese Sophnet, già partner decennale dello Swoosh nel progetto F.C. Real Bristol. The hybridization trend is a dangerous game, but Nike, as we all know, was never afraid of mixing some of its most famous models to create something new – even if the outcome didn’t always prove absolutely good. The latest experiment revolves around the most popular Roshe Run designed by Dylan Raasch (a model capable of supporting the whole of Beaverton turnover during the last few seasons) and the very renowned Tiempo launched in the mid 1990s. First proposed to the market within the collection designed by the stylist (and creative director of the brand Balmain) Olivier Rousteing, it gets back in a fresh new collaborative edition realized with the Japanese brand Sophnet, already a long-lasting partner of the Swoosh since the project F.C. Real Bristol.
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IL GIUDIZIO Materiali: 7
Pelle e suede premium, ma niente di più. Premium leather and suede, and that’s it.
Colorazione: 6
Le colorazioni monocrome sono quintessenzialmente nipponiche, e in questo caso anche piuttosto eleganti. Però non si può dire si tratti di un’idea sorprendente. The monochrome colorings look quintessentially Japanese, and in this case so elegant. But it would be hard to call it a very original idea.
Concept: 6
Il discorso è lo stesso fatto al punto precedente: il minimalismo funziona, ma non esalta. Same point that we made in the prior entry: minimalism may work, but it’s hardly impressive.
Retail: 7
14.000 yen, l’equivalente di circa 125 euro. Quasi poco, rispetto alla media dei prodotti a marchio Sophnet. 14k yen, amounting to some 125 euro. Even too little with respect to the average products by Sophnet.
Resell: 6
I prezzi sui siti di aste online non sono molto lontani dal retail. Per ora. The prices on the auction websites aren’t very different from the retail. At least so far…
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cool stuff
AIR JORDAN VIII RETRO ‘CHAMPIONSHIP pack’
Il più grande di tutti i tempi ha ormai superato i cinquant’anni, e tredici ne sono passati dal suo definitivo ritiro dai parquet dell’NBA. Eppure, Michael Jeffrey Jordan non ha mai smesso di festeggiare le sue vittorie, che da sportive sono diventate commerciali. Anche se nel corso dell’ultima stagione, per la prima volta da un decennio a questa parte, l’hype intorno ai modelli retro della linea Air Jordan sembra essere lievemente sceso, il marchio continua a macinare limited edition speciali dedicate alla grande storia sportiva di MJ. Queste due versioni delle Air Jordan VIII ricordano il primo three-peat, filotto di anelli finiti al dito dei giocatori dei Chicago Bulls tra il 1991 e il 1993, e costituiscono perciò un vero seguito del “Championship Pack” delle Air Jordan VII uscito l’anno scorso, dedicato al back to back delle stagioni 1991 e 1992. Questa volta, insieme al bianco dello champagne non c’è il bordeaux dei sigari, ma le tinte multicolori dei coriandoli celebrativi.
The greatest player of all time is more than 50 by now, and some 13 years have passed since his final retirement from the NBA parquets. Yet Michael Jeffrey Jordan has never ceased to celebrate his victories, as these transitioned from the sport to the business fields. Although the hype surrounding some retro models from the Air Jordan line seems to have shrunk during the past season (and for the first time in a decade), the brand goes on churning out special limited editions dedicated to the great sport career of MJ. These two versions of the Air Jordan VIII recall the first three-peat, the row of rings that came to adorn the fingers of the Chicago Bulls players between 1991 and 1993, and are therefore a genuine sequel of the Championship Pack of the Air Jordan VII released last year, dedicated to the back to back of the 1991 and 1992 seasons. This time the white of the Champaign isn’t accompanied by the burgundy of cigars, but by the multicolor hues of celebration confetti. 16
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cool stuff
Nike SBXFB JANOSKI ELITE, KOSTON & P-ROD 9 ELITE
Il calcio è stato sulla bocca di tutti per l’intero mese di giugno, e Nike ha pensato di conseguenza di mettere in comunicazione due mondi apparentemente distanti, se non addirittura contrapposti: skate e pallone. Sono dedicate infatti all’edizione del centenario della Copa America - nonché ai campionati europei di Francia 2016 - questi tre modelli della linea Nike SB rivisti in chiave football, con tomaie in pelle premium traforata o imbottita, e scudetti custom stampati sulle solette.
Soccer was the only relevant subject matter during the whole month of June and so Nike has decided to connect two seemingly different (or even opposite) worlds such as skateboard and soccer. These three models from the Nike SB line reinterpreted in football vein are dedicated to the centennial edition of the American Cup (and to the 2016 European Cup that took place in France). They feature uppers in punched or padded leather and custom shields printed on the insoles.
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cool stuff
The Quiet Life x Saucony Shadow 5000
Le stelle sembrano essere piuttosto di moda, nel corso delle ultime stagioni: dalle passerelle dell’alta moda (guardare per credere le stampe proposte dalla maison Valentino) al mercato dello sportswear, il cosmo e le stelle lontane appaiono sempre più spesso. Una tendenza a cui non è certo estraneo il marchio losangelino The Quiet Life, che ha voluto una fantasia spaziale sulla tomaia di queste classiche Shadow 5000 realizzate in collaborazione con Saucony e beatificate dagli accenti acquamarina sul tallone e sul lato della tomaia.
It seems that the stars have become quite fashionable over the last few seasons: from the high fashion catwalks (seeing is believing the prints released by Valentino’s maison) to the sportswear market, the outer space and the fixed stars pop up time and again. A trend that didn’t elude the brand from Los Angeles The Quiet Life, who decided to apply a space fantasy on the upper of this classic Shadow 5000 realized in collaboration with Saucony and embellished through the addition of aquamarine accents on the heel and the side of the upper. 20
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paLace x Reebok CLASSIC & CLUB C
Nuovo capitolo della collaborazione britannica (più o meno, visto che il colosso fondato nei dintorni di Manchester più di un secolo fa è ormai stabilmente di proprietà di adidas) tra Reebok e Palace, centrata su due modelli storici come Classic e Club C. Non si può dire che i ragazzi dello skate brand più hype delle ultime stagioni si siano impegnati più di tanto, per rendere uniche queste icone della storia Reebok: tinte monocrome e tomaie in suede oppure pelle, tanti loghi sui lacci e sulla linguetta.
A new chapter of the British collaboration (at least nominally, since the giant founded in the vicinity of Manchester more than a century ago is now owned by adidas) between Reebok and Palace, revolving around two historic models such as the Classic and the Club C. It doesn’t seem that the guys from the most hyped skate brand have put too much effort into trying to make these icons of Reebok’s history unique: monochrome hues and uppers in suede or leather, several logos on the laces and tongue. 22
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clube 75 x vans SK8-HI & ERA
Pedro Winter della Ed Banger records; Michael Dupouy dell’agenzia di comunicazione responsabile del progetto All Gone, La MJC; il noto illustratore So Me. Sono i tre nomi dei soci fondatori di Club 75, marchio con base a Parigi lanciato nel 2013 senza troppe cerimonie e già forte di collaborazioni con marchi come Stussy, Herschel Supply Co. e adidas. Questa volta si gioca con altre icone assolute della storia sneakers, le Vans Sk8-Hi e Era, riviste con molto rosa e stampe fumettose coloratissime.
Pedro Winter from Ed Banger records; Michael Dupouy from La MJC (the communication agency in charge of the project All Gone); the famous illustrator So Me. These are the names of the founders of Club 75, a brand based in Paris that was launched in 2013 with almost no frills and that collaborated with Stussy, Herschel Supply Co. and adidas. The topic now is two icons from the history of sneakers, the Vans Sk8-Hi and the Era, reinvented through much pink and some colored comics prints. 24
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CLUB 75 X JOYRICH X THE SIMPSONS
Facciamo un piccolo strappo alla regola: niente sneakers in questa pagina, ma l’altra grande collaborazione di Club 75 lanciata nel corso del mese appena passato. Insieme al marchio di abbigliamento americano Joyrich - già assurto agli onori della cronaca quest’estate per una collezione-capsula ricoperta di coniglietti Playboy - il brand parigino ha infatti prodotto alcuni capi decorati con i personaggi dei Simpson, ormai un’icona della cultura pop. I pezzi più convincenti? Senza dubbio la t-shirt a maniche lunghe con Marge stampata proprio sulle maniche e la giacca in denim con un piccolo Bart ricamato sul petto. Niente male anche i cappellini... Let’s make a small exception to the rule. We will show no sneakers in this page, but the other big collaboration that Club 75 has launched in the past month. Together with the American clothing brand Joyrich (already targeted by the news agencies this summer for a capsule-collection covered by Playboy bunnies) the brand from Paris has produced some items decorated with the Simpson’s characters, who have become by now a symbol of pop culture around the world. The most palatable pieces? By all means the t-shirt with long sleeves featuring Marge printed right on the sleeves and the jacket in denim with a small Bart embroidered on the chest. Not bad the caps… 26
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sneakers
rappers Si può essere il volto della campagna di Dior Homme e indossare quotidianamente le Jordan IV? Evidentemente sì. Can you be the face of the Dior Homme campaign and wear your Jordan IV on a daily basis? It seems you can.
MarraGuè: strano che non ci abbiano pensato prima a fare un disco insieme. Coppia di fatto anche nella scelta delle scarpe: Nike Flyknit Air Max e NikeEvidentemente sì. MarraGuè: oddly enough they had never imagined to make a disc together. Common-law couple also when choosing their shoes. Both have Nike.
Nel fango del festival di Glastonbury, solo scarpe inglesi. Skepta ha distrutto un paio di Reebok Classic. Ovviamente, nere. In the mud of Glastonbury festival, only English shoes. Skepta wrecked a pair of Reebok Classic. Balck, of course.
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sneakers
rappers
In Francia Nike e adidas stanno bene insieme. In France Nike and adidas coexist quite ok.
Ai rapper in Giappone non interessa lo stile hip-hop: Anarchy preferisce le classiche Converse Chuck Taylor All Star a un paio di Air Jordan. The rappers from Japan are not interested by the hip-hop style: Anarchy prefers the classic Converse Chuck Taylor All Star to a Air Jordan.
Esistono rapper canadesi che non si chiamano Drake? Certo. E per di piÚ indossano Vans: classiche Sk8-Hi, per la precisione. Ever met a Canadian rapper whose name wasn’t Drake? Of course. And they wear Vans: a classic Sk8-Hi, to be more precise.
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Converse all-star modern Il tema di fondo è sempre lo stesso: unire tradizione e innovazione. Tutti i giganti del mondo sneakers oggi hanno a disposizione l’enorme know-how accumulato nel corso di storie lunghe spesso diversi decenni, e soprattutto hanno in archivio una serie di modelli iconici entrati nell’immaginario collettivo, che continuano a essere riproposti stagione dopo stagione. Allo stesso tempo, però, nessuno può limitarsi a vivere di rendita: anche le silhouette più note hanno bisogno di essere rinnovate, ringiovanite, raffinate, per andare incontro alle esigenze dei consumatori del 2016. Non stupisce certo dunque che Converse stia provando a percorrere nuove strade a partire dal suo modello più noto e più venduto, dedicato al giocatore/allenatore del basket americano che negli anni Venti e Trenta si dedicò anima e corpo al proselitismo in favore del marchio della stella. Chuck Taylor, le sneakers di più grande successo degli ultimi cento anni: si può dirlo, senza timore di essere smentiti. Un modello che è necessario trattare sempre 32
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con i guanti bianchi, anche quando l’obbiettivo è quello di trasportarlo nel nostro presente tecnologico. Ma questa volta la missione sembra davvero compiuta: le Converse All Star Modern sono immediatamente riconoscibili come classiche Chuck, ma grazie alle sinergie con il reparto ricerca e sviluppo di Nike (che ha acquisito Converse nell’ormai lontano 2003) sono dotate di ritrovati tecnologici all’avanguardia, come la costruzione Hyperfuse e la suola ammortizzante iperleggera in Phylon. In occasione del lancio di questo nuovo modello, è arrivata sugli scaffali - di pochissimi negozi selezionati, ovviamente - anche una limited edition speciale con il simbolo HTM del triumvirato formato da Hiroshi Fujiwara, padrino della stile di Harajuku, Tinker Hatfield, designer delle Air Max, e Mark Parker, amministratore delegato dello Swoosh: tomaie monocrome (una bianca e una nera), look elegantissimo, e prezzo davvero estremo per un paio di Chuck.
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Converse all-star modern The motif is always the same: combining tradition with innovation. Every giant from the sneaker world can rely on a body of know-how collected in the course of their history that in many cases lasted a few decades and, besides, they all have in their archives a whole array of iconic models that came to be part of the popular culture and get reissued season after season. At the same time, however, it would be a mistake to assume that one can live on a private income: even the most well-known silhouettes need to be updated every now and then, modernized, refined, with a view to meeting the customer’s evolving needs. It is no surprise then that Converse is trying to tread new avenues, starting with its most famous and successful model, dedicated to the player/coach of American basketball who during the 1920s and 1930s threw himself heart and soul into proselytizing for the starred brand. Chuck Taylor, or the most successful shoe of the last hundred years (this much can be claimed without fear 34
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of being contradicted). A model that needs be treated with care, even if one’s goal is to drive it into our technological time. And this time the mission seems really accomplished: the Converse All Star Modern is immediately recognizable as a classic Chuck, but thanks to the synergies with the research and development department in Nike (who acquired Converse in 2003) it is equipped with cutting-edge technological findings such as the Hyperfuse construction and the super-lightweight cushioning sole in Phylon. On the occasion of launching this new model, a special limited edition has also reached the shelves (of a very few selected shops, of course): it exhibits the HTM symbol of the triumvirate including Hiroshi Fujiwara (godfather of the style Harajuku), Tinker Hatfield (designer of the Air Max) and Mark Parker (managing director of the Swoosh): monochrome uppers (one black, the other white), a very elegant look, and an extreme price for a pair of Chuck.
La versione limited edition HTM
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CONSIGMENT SHOPS: ALIVE AND KICKING Spesso quando pensiamo al futuro diventiamo facilmente profeti di sventura. Forse perché il progresso tecnologico degli ultimi anni, per quanto affascinante, nasconde sempre un lato che ci spaventa un po’. Così abbiamo profetizzato che le relazioni mediate dal computer avrebbero sostituito il contatto umano: non è successo. Che i libri di carta sarebbero morti, rimpiazzati dal loro equivalente digitale: non è successo. Che ogni iniziativa di vendita al dettaglio sarebbe stata distrutta dall’inesorabile avanzata dell’e-commerce: non è successo. E tra le prove concrete che danno forza a quest’ultima affermazione c’è senza dubbio la vicenda degli sneakers consignment shop, botteghe che ritirano le scarpe di appassionati e collezionisti, per rivenderle a prezzo maggiorato e dividere gli introiti con il vecchio proprietario. Un’idea che non ha mai attecchito dalle nostre parti, ma piuttosto diffusa all’estero negli scorsi anni. Soprattutto, un’idea che sembrava destinata a scomparire a causa dei siti di aste online, ma anche e soprattutto per la proliferazione di gruppi chiusi sui forum e sui social network dediti allo scambio e al commercio di sneakers rare. E invece, proprio nel 2016, 36
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proprio nella capitale mondiale della sneakers culture, apre i battenti un nuovo consigment shop interamente dedicato alle sneakers. Stadium Goods guarda su Howard Street, nel cuore dello shopping di Manhattan, tra Soho e Tribeca, ed espone dietro le sue vetrine centinaia di modelli rari, principalmente Nike/Jordan e adidas. I prezzi divendita appaiono più o meno in linea con quelli che si possono ottenere sui siti di aste online, e forse anche per questa scelta Stadium Goods sembra essere diventato una valida alternativa al web per i collezionisti newyorchesi. Dunque, un’altra storia di successo sulla east coast dopo quella di Flight Club, storica boutique dedicata alle scarpe deadstock che nel corso degli anni si è allargata fino ad aprire una succursale a Los Angeles. E proprio con quell’apertura è diventato chiaro a tutti che questi negozi devono essere necessariamente legati alla realtà locale, per poter sopravvivere: gli affari di Flight Club LA infatti non sembrano andare granché bene, mentre nella stessa città funziona alla grande il modello di vendita di Rif, consigment shop più simile a quelli che si trovano in territorio giapponese, che non ha paura di trattare anche scarpe usate e non in condizioni cosiddette “mint”. I motivi di questa differenza geografica ci sfuggono, soprattutto se consideriamo quanto si è uniformato e globalizzato il mercato delle sneakers nell’ultimo decennio, ma tant’è. Di una cosa però possiamo essere sicuri: i consignment shop non moriranno tanto presto...
N QUESTA PAGINA, DUE IMMAGINI DI STADIUM GOODS A NEW YORK. A SINISTRA, LA SEDE STORICA DI FLIGHT CLUB
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CONSIGMENT SHOPS: ALIVE AND KICKING When we think about the future we often end up playing Cassandra. This may be because the technological progress we witnessed in the last few years, no matter how fascinating, seems to harbor a dark side that scares us a bit. Thus we had prophesized that computer-based relationships would replace the human contact – but it didn’t happen. Or that the paper books would be soon replaced by their electronic versions – it didn’t happen. Or that any form of retailing would be smashed by the unstoppable development of e-commerce systems and services – once again, it didn’t happen. In support of the latter refuting claim comes the diffusion of so-called consignment shops, small stores that collect used sneakers from fans and collectors and then resell them for an additional charge to share the revenues with the former owners. An idea that never really took off in Italy, but was fairly popular abroad a few years ago. More importantly, an idea that seemed doomed to evaporate due to the development of online auction websites and, more than that, the proliferation of closed groups on the forums and social networks devoted to exchanging and selling their own rarest models. But a new consigment shop enti38
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rely dedicated to sneakers has just opened up in New York. Stadium Goods overlooks Howard Street, in the heart of Manhattan shopping area, between Soho and Tribeca, and its windows exhibit dozens of rare models, above all Nike/Jordan and adidas. The retail prices are more or less in keeping with those to be found on the online auction websites – and this may be why Stadium Goods seems to have become a good alternative to the web for the collectors from New York. Therefore, another successful story is unfolding on the East Coast, after that of Flight Club, a legendary boutique dedicated to the dead-stock shoes which over time expanded so much as to opening a branch office in Los Angeles. And it was this opening that confirmed that such shops must necessarily be rooted in their local contexts, if they are to thrive or even survive: indeed, while the business for Flight Club LA isn’t going very well, an increasingly successful initiative is represented in the same town by Rif, a consignment shop more akin to those that can be found in Japan – a shop that doesn’t refrain from dealing with used kicks and shoes in so-called mint conditions. The explanation for this discrepancy eludes us, especially if we consider how uniform and globalized the market of sneakers has become in the last decade. Be as it may, there is something we can claim with some confidence: consignment shops aren’t going to disappear anytime soon.
ANCORA STADIUM GOODS. A SINISTRA, RIF A LOS ANGELES.
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THE (SNEAKERS) FINALS Non c’è alcun dubbio: le NBA Finals dell’anno 2016 sono state storiche. Da molte stagioni non si vedevano partite tanto emozionanti (gara 6, da questo punto di vista, è stata una delle migliori del ventunesimo secolo). E mai si era vista una squadra rimontare una serie finita sul 3 a 1, per andare a prendersi il titolo: Cleveland c’è riuscita, soprattutto grazie al giocatore che si è meritato il titolo di migliore assoluto sui parquet nella stagione segnata dal ritiro (altro momento in cui l’emozione è stata fortissima) del dominatore del decennio precedente, Kobe Bryant. Stiamo parlando ovviamente di LeBron James, ala piccola - l’aggettivo definisce solo il ruolo in campo, non certo il fisico di questo ragazzone nato in Ohio 32 anni fa, che supera di slancio il quintale di peso e i due metri d’altezza - dei Cleveland Cavaliers campioni della stagione 2015-2016. Si potrebbero riempire pagine e pagine con il racconto delle sette partite giocate nella prima metà di giugno, ma ovviamente su queste pagine vorremmo guardare le NBA Finals 2016 da un punto di vista diverso, gli occhi saldamente puntati all’altezza dei piedi dei giocatori scesi sul parquet durante questo evento sportivo trasmesso in tutto il mondo e visto da una media di venti milioni di spettatori nei soli Stati Uniti. Iniziamo naturalmente dalle sneakers di “King” James, che durante le gare ha indossato due modelli della sua linea prodotta da Nike, le LeBron Soldier 10 e le LeBron 13 Elite, in sette colorazioni Player Exclusive tra cui quelle ormai immancabili quando si parla di eventi sportivi di questo livello - con Swoosh e accenti oro. A noi però sono piaciute molto anche le cosiddette “Blackout”, tutte nere con suola traslucida, indossate in gara 3. Sneakersmagazine magazine 40 40 Sneakers
Alle Nike di LeBron si sono contrapposte le Under Armour indossate dal giocatore più rappresentativo dei Golden State Warriors, Stephen Curry. Non siamo certamente al livello della guerra commerciale combattuta tra adidas e Nike negli anni Novanta - terminata con la vittoria dello Swoosh, che da allora domina il mercato del basket con percentuali bulgare - ma senza dubbio Under Armour ha tutte le intenzioni di rosicchiare posizioni al colosso di Beaverton, e il contratto da quattro milioni di dollari a stagione firmato con Curry nel 2013, con il senno di poi, è stata una mossa davvero azzeccata: Slice Intelligence, un’azienda americana che si occupa di statistiche relative al commercio elettronico, ha diffuso i numeri delle sneakers vendute durante le due settimane delle NBA Finals, e i risultati sono sorprendenti. Almeno su internet infatti, le UA Curry 1 e 2 hanno venduto più di tutti i modelli della linea LeBron. Il che non significa che Nike sia stata detronizzata, beninteso: nelle stesse settimane, l’80% dei modelli venduti sul web negli Stati Uniti portavano il marchio Kobe o quello - indovinate un po’ - Air Jordan. Insomma: gli anni passano, il basket americano trova nuovi eroi e Nike nuovi avversari sul mercato. Ma dal punto di vista commerciale, l’uomo da battere è sempre il miglior giocatore di
tutti i tempi. Mica facile. In queste Finals dominate dalle coppie Nike/LeBron e Under Armour/Curry, agli altri marchi sono rimaste le briciole. Ma tra i molti “terzi incomodi” sul parquet ce n’è uno particolarmente interessante: Klay Thompson, guardia ventiseienne di Golden State che porta con orgoglio ai piedi le scarpe di un oscuro marchio cinese, Anta. Nato nel 1994, il brand con sede nella cittadina di Jinjiang ha messo sotto contratto pochi giocatori nell’NBA, ma tutti dal nome molto riconoscibile: oltre a Thompson c’è ad esempio il grande Kevin Garnett, ma anche Rajon Rondo, parte dei nuovi, sfavillanti Chicago Bulls della prossima stagione insieme a Jimmy Butler e Dwayne Wade. Thompson al momento è l’uomo-copertina di Anta, e le KT1 a lui dedicate dal marchio sono le principali responsabili della crescita del 40% registrata durante lo scorso anno sul mercato cinese. Poco importa se le proposte Anta non ci hanno finora entusiasmato (eufemismo!) dal punto di vista estetico: il mercato sta cambiando, e il vento del lontano oriente soffierà sempre più forte nei prossimi anni. Anche sull’evento più importante della stagione del basket americano. Sneakersmagazine
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There is no doubt, the 2016 NBA Finals were an historical event. The matches hadn’t been so thrilling for so many seasons (the match 6, from this point of view, was one of the best in this twenty-first century). And you never saw a team pulling back a series that ended 3 to 1 to obtain the title: Cleveland has made it, mainly thanks to the player who deserved the name of absolute best player on the parquets in a season marked by the retirement (another event contributing to the overall excitement) of the dominator of the past decade, Kobe Bryant. We are talking about LeBron James, of course, the small wing of the Cleveland Cavaliers who were the champion of the season 2015-2016 (small refers to the role on the parquet, not the physical dimension of this guy born in Ohio 32 years ago, who easily surpasses both the quintal and the two meters). One could fill pages after pages with the description of the seven matches played in the first half of June, but of course in these pages we would like to observe the 2016 NBA Finals from a different standpoint, our eyes firmly fixed on the feet of the players treading the parquets during this sport happening broadcasted all over the world and followed by an average of 20 million spectators in the United States. Let’s obviously start with the sneakers of King James, who during the matches wore two models of his line produced by Nike, the LeBron Soldier 10 and the LeBron 13 Elite, in seven Player Exclusive colorings among which that (by now inevitable when it comes of sport events of that level) featuring golden Swoosh and accents. What we liked very much was also the so-called Blackout, total black with translucent sole, worn in game 3. Opposing LeBron’s Nike’s was the Under Armour worn by the most representative player of the Golden State Warriors, Stephen Curry. We are far away from the levels of the commercial war fought by adidas and Nike during the Nineties (and culminated with the victory of the Swoosh, that since then dominates the basketball market with disproportionate ratios), but Under Armour has by all means intention to nibble away at the points advantage of the giant from Beaverton, and in retrospect the four million dollars contract signed by Curry in 2013 was a really spot-on move: Slice Intelligence, an American company that deals with statistics about e-commerce, has circulated the figures of the sneakers sold during the two weeks of the NBA Final and the results are astonishing. At least on the Internet, the UA Curry 1 and 2 have sold more than all the models of the LeBron line – but of course that doesn’t mean that Nike was overthrown. During the same weeks, 80% of the models sold on the web in the United States would bear the brand Kobe or (guess what) Air Jordan. In other words: the years go by, American basketball discovers new heroes and Nike new competitors on the market. But from a commercial standpoint, the man that anyone needs to defeat is always the best player of all the time. Not easy. In these Finals dominated by the pairs Nike/LeBron and Under Armour/Curry, the other brands were left the crumbs. And among the odd men out on the parquet there is one who’s fairly interesting: Klay Thompson, 26-year-old guard from Golden State who proudly wears shoes by an obscure Chinese brand, Anta. Born in 1994, the brand based in the city of Jinjiang has contracted with a few NBA players, all bearing some famous names: in addition to Thompson there is the great Kevin Garnett, as well as Rajon Rondo, a member of the new, bright Chicago Bulls of the upcoming season along with Jimmy Butler and Dwayne Wade. For the time being Thompson is Anta’s cover-man and the KT1 that the brand has dedicated to him is the first responsible of a 40% increase recorded last year on the Chinese market. It doesn’t matter that so far Anta’s proposals have not won us (to say the least) from an aesthetic standpoint: the market is changing and the wind from the far East will blow stronger in the coming years. Also on the most important event of the American basketball. 42
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È sempre difficile prevedere i trend del mercato, ma ormai abbiamo allenato lo sguardo e siamo in grado di cogliere segnali che arrivano da diverse direzioni e che puntano verso un unico obbiettivo. Quindi non abbiamo paura a dirlo: l’anno che ci troviamo davanti potrebbe segnare il grande ritorno del retro-tennis nel mondo sneakers. Non che i modelli court non siano già piuttosto presenti - basta fare un giro per le strade di qualsiasi città del mondo occidentale, per rendersene conto - ma pare che le scarpe da tennis risalenti ai decenni precedenti ai Novanta, con le loro linee pulite e il bianco che domina su ogni altro colore, stiano tornando a riscuotere l’apprezzamento anche del pubblico più fashion. A dire il vero la strada sembra segnata sin dal 2014, anno in cui adidas ha rilanciato alla grande le Stan Smith, e in cui chiunque in America - da Jay-Z al presidente Barack Obama - è stato fotografato con un look à la-Jerry Seinfeld che prevede jeans a gamba dritta e sneakers bianche. Ma ora pare che il mondo della moda stia spingendo le classiche court shoes oltre il trend del cosiddetto “normcore” divenuto un caposaldo hipster (a proposito, non erano scomparsi?) delle ultime stagioni, imponendo il ritorno di molti modelli storici degli anni Ottanta. Una delle operazioni più convincenti è senza dubbio quella proposta da Reebok, con il ritorno di modelli come Workout, Revenge Plus e soprattutto delle ACT 600 del 1985, recentemente tornate sugli scaffali in una versione davvero premium per materiali e qualità della produzione. E del resto, la casa inglese ci ha abituato a remake curati nei minimi dettagli, dal sapore davvero autentico. Gli altri marchi non stanno certo a guardare, soprattutto Nike e adidas: i due colossi dominatori del mercato hanno preparato una serie di riedizioni collaborative e a tiratura limitata destinate a riempire gli scaffali dei negozi di fascia più alta - quella che comprende boutique come Dover Street Market, Colette o il nostro Antonia, per intenderci. Vedremo se questa nicchia più trendy di consumatori saprà fare da ariete per sfondare anche sul mercato mainstream... Di una cosa però possiamo essere certi: se il rilancio del tennis pre-Novanta sembra funzionare bene, non possiamo dire altrettanto di quello dei modelli court più tecnici dell’era post-Agassi. Sembrano infatti andati a vuoto i tentativi di Nike e adidas di riproporre scarpe come le Air Oscillate, portate all’attenzione del grande pubblico da Pete Sampras nei Novanta, oppure le Torsion Strategy. Scarpe storiche e piene di motivi di interesse, che però non sembrano aver incontrato il favore del pubblico. Torneranno dunque negli archivi, in attesa di tempi migliori. 44
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It’s always hard to forecast the trends of the market, but we have trained our gaze by now, and we are able to detect hints that come from different quarters and converge towards a common result. So we aren’t afraid to said that the year we are confronted with might mark the great comeback of retro tennis in the sneaker world. Not that the court models aren’t already quite present (you only need to take a stroll in the streets of any western city to realize it), but it seems that the tennis shoes dating back to the decades before the Nineties (with their neat lines and the white that dominates all the other colors) are once again attracting the attention and admiration of the most fashion-faithful public. To be honest the path would seem to have been paved since the year 2014, when adidas relaunched in grand style the Stan Smith, and when anyone in the US (from Jay-Z to the President Barack Obama) was photographed while wearing a look à la-Jerry Seinfeld that includes drainpipe jeans and white sneakers. But now it seems that the world of fashion is pushing the classic court shoes beyond the trend of the so-called normcore which has become a dogma for all hipsters (by the way, haven’t they disappeared yet?) over the last few seasons, forcing the comeback of many historic models from the Eighties. One of the most compelling operations is by all means the one proposed by Reebok, through the unearthing of models such as the Workout, the Revenge Plus and more than that the 1985ACT 600, recently reappeared on the shelves in a really premium version, with respect to both materials and production quality. And after all, the English company has made us used to see remakes very carefully realized in the details, and with a genuine flavor. The other brands aren’t standing and watching, especially Nike and adidas: the two giants ruling the market have already prepared a list of collaborative limited re-editions destined to fill the high-category stores (including boutiques such as Dover Street Market, Colette or Antonia). We will see if this more trendy niche of consumers will be able to open the way towards the mainstream market… What we can be sure of is that if the re-launching of the pre-Nineties tennis seems to work, the same isn’t true of the more technical court models from the post-Agassi era. The attempts by Nike and adidas to rerelease shoes such as the Air Oscillate (brought to the attention of the general public by Pete Sampras during the Nineties) or the Torsion Strategy didn’t hit the mark. Historic shoes replete with stimuli, but they didn’t meet the expectation of the fans. They will return to the archives to wait for better days. 46
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FRAGMENT DESIGN X NIKE LAUDERDALE È arrivato sugli scaffali dei negozi NikeLab sparsi per i cinque continenti a fine giugno, questa retro-novità assoluta: un ossimoro dietro cui si nasconde un modello da tennis classe 1976, ripescato dagli archivi e riproposto al mercato per la prima volta in questa stagione. Le Nike Lauderdale sono parte del grande rilancio dell’immaginario retro-tennis (che di certo non è limiato al marchio dello Swoosh), in una nuova collaborazione firmata da chi, quasi una decade fa, aveva iniziato a gettare le basi per questo trend: stiamo parlando ovviamente di Hiroshi Fujiwara, il guru dello streetwear giapponese, che con il suo studio Fragment Design ha in curriculum già una lunga serie di collaborazioni ispirate ai modelli tennis più classici di Nike. Queste Lauderdale hanno un look davvero anni Settanta, ma nascondono un cuore moderno: all’interno infatti c’è una soletta ammortizzata grazie alla tecnologia Zoom Air.
This absolute retro-novelty has reached the shelves of the NikeLab stores scattered in the five continents by the end of June. The oxymoron retro-novelty was concocted to try describe a 1976 tennis model unearthed from the archives and rereleased on the market for the first time this year. The Nike Lauderdale is part of the great re-launching campaign of the retro-tennis sector (which doesn’t include solely the Swoosh models), within a new collaboration signed by the very man who started to pave the way for this trend inception – we are referring of course to Hiroshi Fujiwara, the Japanese street-wear guru that as the owner of the Fragment Design studio has in his resume a long list of collaborations inspired by the most classic tennis models by Nike. This Lauderdale has a really Seventies look, but it also hides a modern heart. Indeed it’s equipped with a cushioning insole that implements Zoom Air technology. 48
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Extrabutter NYC Il processo è stato laborioso, vero. Ma quella di Extra Butter è una storia di successo, dal finale lieto: oggi il negozio che si affaccia su Orchard Street, nel cuore del Lower East Side di Manhattan, è uno dei punti di riferimento irrinunciabili per gli sneakerhead newyorchesi (e di qualsiasi altra città al mondo di conseguenza). Un obbiettivo raggiunto in soli tre anni da Bernie Gross e Jay Faustino, amici e appassionati collezionisti diventati imprenditori, nella più classica tradizione americana. Era infatti il 2013 quando aprì i battenti, al centro di uno dei quartieri in cui è nata la cosiddetta sneakers culture americana, un piccolo negozio che vendeva solo 5 paia di scarpe: erano i modelli frutto della collaborazione della premiata ditta Gross & Faustino con Asics, 5 classici running della casa giapponese rivisitati a tema “Kill Bill”, il film stracult di Quentin Tarantino che nel 2013 compiva dieci anni dall’uscita in sala. Sembrava solo uno dei tanti pop-up shop che dal Duemila in poi sono molto amati dai markeing manager dei colossi del mondo sneakers, invece era il primo vagito di una realtà destinata a mettere radici nel Lower East Side, rimasto orfano di un vero sneakers shop dalla temporanea chiusura di Alife qualche anno prima (oggi, anche il Rivington Club è felicemente riaperto). Dunque, la domanda è sempre la stessa: qual è il segreto per far sopravvivere una sneakers boutique oggi, nei giorni dell’e-commerce e della vendita diretta su internet? Certo, è importante prepararsi bene: assicurarsi la distribuzione delle linee di prodotto più rare, avere sugli scaffali il giusto mix di marchi, progettare un locale accogliente. Poi è necessario spingere il più possibile sulle collaborazioni, e non si può dire che Extra Butter manchi di iniziativa da questo punto di vista: oltre a quelle con Asics, Gross e Faustino possono vantare limited edition realizzate insieme a Saucony, Reebok, Herschel Supply Co., Diadora e adidas. Ma la chiave per il successo, secondo i due fondatori, è un’altra, molto più semplice: trattare bene i clienti. I ragazzi di Extra Butter sono prima di tutto appassionati, parte della community di appassionati della loro città, e si sono trovati spesso dall’altra parte del bancone. Quindi sanno che fare felici i clienti dev’essere lo scopo principale di qualsiasi negozio, indipendentemente da chi tenga dalla parte del manico il coltello della domanda e dell’offerta: troppo spesso infatti nel mondo sneakers i rapporti di forza tra acquirente e venditore si ribaltano, soprattutto in occasione di release particolarmente attese. È proprio in quelle occasioni che bisogna stare più attenti, per non rompere il rapporto di rispetto reciproco alla base di ogni commercio. Gross e Faustino lo ripetono spesso durante le interviste. E scommettiamo che a qualcuno, dalle parti di Lafayette Street, fischiano le orecchie... 50
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Extrabutter NYC
Admittedly a tricky process. But the story of the Extra Butter is about success, and with a happy ending. The shop overlooking Orchard Street (in the heart of Manhattan’s Lower East Side) is one of the irreplaceable reference points for all sneakerheads from New York (and hence from any other cities over the world). A result achieved in three years by Bernie Gross and Jay Faustino, friends and passionate collectors who became entrepreneurs, in keeping with the most classic American dream. It was 2013 when their small shop opened up in one of the neighborhoods where the American sneaker culture was born, and it would only sell 5 pairs of shoes – the models resulting from the collaboration of Gross & Faustino with Asics, 5 classic running models of the Japanese company reinvented on the theme of “Kill Bill”, the cult movie by Quentin Tarantino that was becoming ten years old in 2013. It seemed to be one of the pop-up shops that since 2000 have become much valued by the marketing managers from the giant sneaker companies – in fact, it was the first stirrings of a reality that was destined to make roots in the Lower East Side, that had remained an orphan of a genuine sneaker shop due to the momentary closing of Alife a few years before (now fortunately Rivington Club reopened as well). So the question is always the same: what’s the key to help a sneaker boutique to survive in today’s world (in a time of e-commerce and 52
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direct selling on the internet)? To be sure it’s crucial to be prepared: obtaining the distribution of the rarest lines of product, filling the shelves with a balanced mix of brands, designing a cozy shop and shopping experience. Another must is being extremely pushy with planning and proposing more and more collaborations, and Extra Butter isn’t lacking in initiative from this point of view: beside the collaborations with Asics, Gross and Faustino can boast various limited editions realized with Saucony, Reebok, Herschel Supply Co., Diadora and adidas. But the secret of success, according to them, is much more simple than that: it’s treating your customers with much care. The guys from Extra Butter always belonged in the city’s community of sneakerheads in the first place, and therefore they were often on the other side of the bench. So they know that satisfying the customers should be the main goal of every shop, independent of who’s ruling the demand and supply equation. Very often the power relationships between seller and customer go upside down, particularly when a big release is in the offing. That’s the very moment when you need to be careful, if you don’t want to ruin the mutual respect conventions underpinning every business relationship. Gross and Faustino tend to emphasize this point in their interviews. And, we bet, many ears must be burning in the area of Lafayette Street…
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SYNCHRON CLASSIC OG Le Synchron le riconosci già al primo sguardo, grazie al particolarissimo sistema di allacciatura: non si tratta solo di un elemento di stile, ma di una caratteristica utile a mantenere la tomaia aderente all’avampiede, anche durante la corsa su lunghe distanze. Il resto, è quanto di più classicamente retro-running possiate immaginare: tomaia in mesh, rinforzi in pigskin suede di alta qualità sui punti critici, intersuola ammortizzante in etilene vinilacetato a doppia densità per offrire il massimo comfort. Un look chiaramente anni Novanta: del resto è proprio quello il periodo d’oro del running tecnico, settore nel quale l’azienda finlandese è specializzata da ormai un secolo (la fondazione risale infatti al 1916), anche grazie a sponsorizzazioni storiche come quelle dei leggendari fondisti nordeuropei Paavo Nurmi e Olavi Suomalainen. Le Synchron OG sono un modello eccezionale dal punto di vista del design e dello stile, e siamo davvero felici che siano tornate sugli scaffali, come parte del progetto di rilancio di un marchio pieno di gloria ormai tornato definitivamente a far parte dell’universo sneakers contemporaneo.
You easily recognize the Synchron at first sight, thanks to the very special lacing system it exhibits: it isn’t just an element of style, but a feature that enables the upper to wrap firmly around the foot even during your long-distance races. The rest is consistent with the most classic retro-running one could ever figure out: upper in mesh, reinforcements in high quality pigskin suede on the critical spots, cushioning midsole in double density ethylene-vinyl acetate to grant the utmost comfort. An explicitly Nineties look – a decade that was the golden age of technical running, a sector at which the Finnish company has been most adept for what is now a hundred years (it was founded in 1916), also thanks to historic sponsorships such as those with the renowned north-European long-distance runners Paavo Nurmi and Olavi Suomalainen. The Synchron OG is an exceptional model from the point of view of both design and style, and we are very glad they got back on the shelves in the context of the relaunching of a glorious brand who decided to belong anew and forever in the modern world of sneakers.
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Karhu SYNCHRON CLASSIC OG
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Info: Sport Leader s.r.l. mail: info@sportleader.pro tel: 0171/413175 Sneakers Sneakers magazine magazine
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DIADORA
V7000
La line-up di Diadora è ormai completa di tutti i modelli più classici prodotti dalla casa veneta nel corso dei ruggenti anni Novanta: N9000, S8000 e V7000 sono state, nel corso delle ultime stagioni, al centro di progetti collaborativi di altissimo livello, di riprogettazioni in chiave contemporanea, e più in generale di una riproposizione che punta tutto sulla qualità produttiva e dei materiali usati per la costruzione. Non stupisce che il progetto di rilancio del brand appaia perfettamente riuscito, con il marchio ormai stabilmente tornato al centro dei pensieri di collezionisti e appassionati in tutto il mondo. Un trend positivo destinato a continuare grazie alle nuove versioni Made in Italy delle V7000, in arrivo sugli scaffali: il classico modello adatto alla corsa su media distanza e all’allenamento su asfalto, grazie alla sua linea accattivante e avanti sui tempi, ha più stile di qualsiasi modello nato nell’ultimo lustro. Prezzo un po’ più alto della media, vero, ma abbondantemente ripagato dalla qualità della produzione italiana. 58
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DIADORA V7000
Diadora’s line-up includes by now all the most classic models the Venetian company has produced during the roaring Nineties: the N9000, the S8000 and the V7000 were targeted by some very high quality collaborative projects, some radical rethinking initiatives and more generally by a reviving campaign that sets its sights on the quality of the production and the fabrics used for the construction. It is no surprise that the relaunching project of the brand proved to be such a success, with the brand now monopolizing the attention and interests of collectors and fans all over the world. A positive trend that is likely to go on thanks to the new made-in-Italy versions of the V7000 that are reaching the shelves: the classic model which is both fit to middle distance races and training on asphalt, thanks to its winning and precursor line, showing more style than any other model ever released in the last five years. The price is a bit higher than average, but largely compensated by the quality of the Italian production.
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ASICS
GEL-LYTE RUNNER
Difficile non considerarle una delle novità più interessanti di questa seconda metà dell’estate 2016: le Gel-Lyte Runner sono un modello capace di fondere perfettamente tradizione e innovazione in un prodotto dalla linea moderna, che non tradisce la lunga storia del marchio fondato da Kihachiro Onitsuka in Giappone nel secondo dopoguerra. Fin dagli anni Sessanta del Novecento infatti Asics è considerato un marchio all’avanguardia nel settore running, e l’incessante lavoro di ricerca e sviluppo continua anche nel ventunesimo secolo, con progetti più dichiaratamente performance (come le Metarun di cui abbiamo parlato qualche mese fa) e altri dalla dimensione più lifestyle, come quello che porta oggi alla diffusione di un modello chiaramente ispirato alle icone di casa Asics - Gel-Lyte III e V, Kayano - ma completamente nuovo. Queste running dalla linea sfuggente e dalla leggerezza estrema (grazie ai ritrovati tecnologici all’avanguardia usati per la costruzione di tomaia, suola e intersuola) risultano perfette anche per la vita quotidiana, anche a causa delle accattivanti tinte monocromatiche di cui sono vestite. Un altro centro per lo storico brand giapponese.
It’s hard not to see it as one of the most compelling novelties of this second part of summer 2016: the Gel-Lyte Runner is a model capable of combining tradition and innovation into a product featuring a modern line, without betraying the long-lasting history of the brand founded by Kihachiro Onitsuka in Japan after WWII. Since the 1960s Asics is regarded as a brand in the forefront within the running sector, and the relentless efforts by the research and development department are going on in this early portion of the XXI century, through projects that are more avowedly performance (such as the Metarun we presented a few months ago) and other, more lifestyle initiatives (such as the one that led to a model clearly inspired by Asics icons – the Gel-Lyte III and IV, the Kayano – but entirely renewed). This tapering running shoe is extremely lightweight (also thanks to the cutting-edge technology used to make the upper, sole and midsole) and it proves to be most fit to the everyday life, also thanks to the palatable monochrome hues covering the upper. Another spot-on release for the historic Japanese brand. Sneakers magazine magazine 62 62Sneakers
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RUNNING SHOES:
Adidas Ultra Boost di Paolo Barghini
Come molti modelli adidas, l’estetica è piuttosto neutra. Nessun salto nel buio per le Ultra Boost: la casa tedesca punta piu sulla tecnologia che sull’appeal estetico. Da un punto di vista tecnico possiamo classificare le Ultra Boost come A3: scarpe protettive e adatte a corridori che vogliono cimentarsi con lunghe distanze. La tecnologia di ammortizzazione infatti permette al runner anche principiante di mantenere un ottima elasticità di corsa anche dopo diversi chilometri. Il materiale con il quale è costruita l’intersuola è stato sviluppato in collaborazione con BASF, e dalle prove in laboratorio risulta mantenere costanti le prestazioni in un ampio range di temperature (-20 /+40). Altro punto di forza della adidas Ultraboost è sicuramente la costruzione della tomaia in Primeknit: nei mesi estivi, quando la temperatura è elevata e l’asfalto è caldo, il piede tende ad aumentare anche in modo significativo la sua taglia. Il Primeknit si adatta con la sua elasticità a queste variazioni aiutando la calzata in diverse condizioni ambientali. Posso assicurarvi che si tratta di un vantaggio non trascurabile: chi corre nel deserto, ad esempio, è costretto a usare scarpe anche di una taglia e mezzo in più rispetto al suo numero! Per quanto riguarda i lati più negativi, invece, possiamo dire che il battistrada della Ultra Boost, costruito e logato Continental, non è certo uno dei punti forti di questo modello. La scolpitura innanzitutto è certamente più adatta ad una scarpa da trail che non da strada. Inoltre la gomma appare troppo rigida per fornire grip in ogni condizione climatica. 64
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RUNNING SHOES: Adidas Ultra Boost
As with other models by adidas, the aesthetic is fairly neutral. No leap in the dark for the Ultra Boost: the German company sets his sights on technology, more than appeal. From a technical standpoint we can classify the Ultra Boost as an A3: a protective shoe, designed for runners who want to try the long distances. The cushioning technology allows even the inexperienced runner to maintain a good flexibility during running even after several kilometers. The material composing the midsole was developed in collaboration with BASF, and from the lab tests it seems to be capable of keeping constant the performance within a wide range of temperatures (-20 /+40). Another element of strength of the adidas Ultra Boost is by all means the construction of the upper in Primeknit. During the summer months, when the temperature is high and the asphalt very hot, your foot will tend to enlarge its size to a great extent. Primeknit adapts through its flexibility to such variation thus enabling a good fit in different climate conditions. I can tell you that it’s a benefit that no one can disregard: for example, when you run through the desert, you are forced to use a pair of shoes a size bigger than your usual number! When it comes to the negative sides, we can say that the tread of the Ultra Boost, constructed and labeled Continental, isn’t among the strengths of this model. The tread design is more adequate for a trail shoe than a road shoe. Besides, the rubber seems to be too rigid to grant the needed grip under any climatic condition.
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Pitti uomo 15 giugno 2016
CASUAL - FASHION DALLA STRADA ALLA MODA (E RITORNO) 68
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Gosha Rubchinskiy collection Sneakersmagazine
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L’ultima edizione di Pitti Uomo, chiusa a metà giugno a Firenze, è stata diversa - almeno un po’ - dalla solita routine di sfilate, presentazioni, eventi. Grazie alla presenza di grandi creativi della moda come Raf Simons e Hiroki Nakamura di Visvim, certo, ma soprattutto grazie a Gosha Rubchinskiy. Nato a Mosca circa una trentina d’anni fa, Rubchinskiy è noto per raccontare, attraverso le sue collezioni, lo stile dei ragazzi post-sovietici della sua generazione, quelli che hanno iniziato a mettere in piedi skate crew a Mosca dopo la caduta del muro. Il successo ottenuto da Gosha negli ultimi anni gli ha permesso un ulteriore salto a livello internazionale, rappresentato plasticamente nell’ultima collezione dalle collaborazioni con tre storici marchi dell’abbigliamento sportivo italiano come Robe di Kappa, Fila e Sergio Tacchini. E proprio l’apparizione della classica tracksuit Star di Sergio Tacchini - rivista da Rubchinskiy in rosso totale con la prevedibile aggiunta del logo in cirillico a contrasto - ha funzionato da madeleine proustiana, aprendo il cassetto dei ricordi di molti tra i presenti. Per lo stilista russo, rifarsi al marchio fondato dal tennista italiano ormai mezzo secolo fa, non significa tanto ricordare la forza rivoluzionaria di Tacchini, primo brand a introdurre i colori in un mondo, quello tennistico, dominato dal bianco. Né le imprese sportive legate ai rovesci di Jimmy Connors, ai serve-and-volley di John McEnroe, agli smash di Pete Sampras, alle volée di Martina Hingis o ai dritti martellanti di Mats Wilander. Quella ricordata da Rubchinskiy è un’altra storia, in cui quei marchi diventano simbolo di un cambiamento epocale: dopo la caduta del regime sovietico infatti, i giovani russi hanno iniziato a vestirsi come i loro coetanei europei, influenzati prima di tutto dalle sottoculture inglesi del decennio precedente. Che avevano soprattutto un nome (o meglio, un aggettivo): casual. Sergio Tacchini, come gli altri marchi dello sportswear italiano, erano parte della divisa - completata da scarpe bianche, prevalentemente adidas - di quelle bande di ragazzi che dai quartieri popolari si spostavano ogni domenica verso gli stadi, cattedrali in cui mettere in scena il rito sportivo più importante d’oltremanica. Prima ancora che un modo di vestirsi, quello legato a feticci come la tuta da ginnastica Tacchini era uno stile di vita, per i giovani inglesi di quegli anni. Uno stile che avrebbe poco dopo fatto presa anche sugli adolescenti russi che avevano appena iniziato a guardare il mondo con occhi più occidentali. Dunque, come possiamo giudicare un’operazione come quella messa in piedi da Rubchinskiy? Si tratta di semplice sguardo nostalgico? Della caduta definitiva di ogni steccato tra alta moda e sportswear popolare? Dell’espressione più compiuta dell’epoca del remix e delle collaborazioni? O soltanto di un’idea destinata a essere dimenticata, da qui all’estate del 2018? 70
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Non lo sappiamo, ma di una cosa possiamo essere certi: se anche la luce della stella di Rubchinskiy dovesse presto affievolirsi, fagocitata dai ritmi forsennati della moda e dell’hype di questi anni frenetici, sicuramente continueremo a vedere in giro molto a lungo classici come la Star di Sergio Tacchini, riproposta dal marchio italiano stagione dopo stagione, in colorazioni sia storiche che completamente rinnovate. Perché la moda passa, ma le icone restano.
CASUAL - FASHION
DALLA STRADA ALLA MODA (E RITORNO)
The latest edition of Pitti Uomo that finished in mid June was a bit different from the usual routine of fashion shows, presentations and events. The change was mainly due to the presence of great fashion artists such as Raf Simons and Hiroki Nakamura from Visvim, and even more so to Gosha Rubchinskiy. Born in Moscow some thirty years ago, Rubchinskiy is generally recognized for having represented, through his collections, the style of the post-soviet guys from his generation, who started to set up skate crews in Moscow after the collapse of the Berlin wall. The success he’s enjoying in the last few years enabled him to make another leap forward on the international arena, as testified (in the latest collection) by the collabos with three historic Italian sportswear brands such as Robe di Kappa, Fila and Sergio
Tacchini. Indeed the classic tracksuit Star by Sergio Tacchini (recast by Rubchinskiy as a total red with the inevitable addition of the contrasting logo in Cyrillic) played the role of the Proustian madeleine, reviving the memories of many bystanders. For the Russian stylist, reverting to the brand founded by the Italian tennis player a half century ago doesn’t mean rehearsing the revolutionary strength of Tacchini, the first brand who introduced the colors in a total white world such as that of tennis. Nor does it mean reviving the sport feats associated with Jimmy Connors’s backhand strokes, John McEnroe’s serve-and-volleys, Pete Sampras’s smashes, Martina Hingis’s volleys or Mats Wilander’s repeated forehands. The one told by Rubchinskiy is a whole new story, in which those brands become the symbols of a cultural change: after the fall of the Soviet Union indeed the Russian youth started to wear like their European counterparts, under the influence of the English subcultures of the previous decade whose common feature was captured by a single name, or rather, adjective – casual. Sergio Tacchini, like the other brands animating the Italian sportswear sector, was part and parcel of the standard uniform (crowned with white shoes, usually by adidas) worn by the numerous
flocks of boys who on every Sunday left their neighborhoods to go to the stadiums – these modern cathedrals harboring the most important rituals for the Brits. Much more than a dress code, wearing fetish clothes such as the tracksuit by Tacchini had to do with one’s lifestyle. A style that was destined to win the Russian teenagers who were learning to see the world through the lens of a more western viewpoint. So how are we to evaluate an operation such as the one put in place by Rubchinskiy? Is it simply a nostalgic gaze? Or does it reflect the downfall of any residual gap between high fashion and popular sportswear? Should we deem it the most fulgent expression of an age of remix and collabos? Or just an idea that will be soon forgotten before the inception of summer 2018? We don’t know the answer, but this we can tell with some certainty, that even if Rubchinskiy’s star were to fade away any time soon, overwhelmed by the accelerating pace of this or that new hype, or latest fashion, we will still see, for a long time to come, the streets and squares of our cities teeming with classic symbols such as Sergio Tacchini’s Star – rereleased year after year by the Italian brand in both historic and fresh new colorways. Because fashion goes by, but the icons remain. Sneakersmagazine
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Olivier rousteing x nike lab Il mondo della moda è abituato alle sperimentazioni, ai remix inaspettati, all’ibridazione. Tanto che ormai non ci stupiamo più nel vedere strani incroci tra high fashion e abbigliamento sportivo. Spesso i risultati sono più che apprezzabili: pensiamo ad esempio a adidas e Yohji Yamamoto o Rick Owens, a Fred Perry e Raf Simons, a Puma e Alexander McQueen. Nike sta cercando da tempo di dare filo da torcere ai suoi concorrenti (adidas in primis) su questo scivoloso terreno, con progetti come la collezione Nike Lab disegnata dal direttore creativo di Givenchy Riccardo Tisci, che nonostante alcune scelte opinabili dal punto di vista stilistico pare essere stata ben recepita dal suo pubblico di riferimento. Dopo quell’esperienza, il marchio dello Swoosh ci riprova coinvolgendo uno dei nomi caldi della moda contemporanea: Olivier Rousteing, giovanissimo head designer del marchio francese Balmain, che oltre alla sua invidiatissima posizione professionale può vantare una presenza colossale sui social network, con più di tre milioni di follower su instagram. Rousteing non ha neppure trent’anni, ma il suo successo è indiscutibile: nelle ultime stagioni ha rilanciato le vendite di una maison nobile ma decaduta della moda francese, e prodotto una collaborazione con H&M che ha causato veri e propri disordini nelle città di mezzo mondo il giorno del lancio. Eppure, ancora una volta, le vie della moda si sono dimostrate misteriose: l’unione con l’enfant prodige dello stile francese non ha prodotto il sold-out istantaneo che Nike lecitamente si aspettava, e molti pezzi di questa capsule collection a tiratura limitata sono rimasti sugli scaffali dei negozi (pochi e selezionatissimi, ovviamente) che si erano aggiudicati la possibilità di distribuirla. 72
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Come mai? Non abbiamo una risposta certa, se non che il tema “nero e oro” scelto da Rousteing è piuttosto pericoloso, dal punto di vista del look: si cammina sul confine tra elegante e cheap, e si rischia di scontentare sia il pubblico del fashion che quello dello sport/streetwear. Per non parlare del fatto che la collezione sembra pesantemente ispirata a quella dedicata a Michael Johnson dalla casa di Beaverton solo qualche anno fa (anche lì, nero e oro erano protagonisti), idea che lascia un po’ l’amaro in bocca agli appassionati dello Swoosh. Sia come sia, rimane un fatto: se per qualche motivo sentite il bisogno di un paio di Footscape Magista, Free Mercurial Flyknit, Free Hypervenom 2 o Roshe Tiempo dorate, bè, con tutta probabilità potete aggiudicarvene un paio a prezzi di saldo. Questa volta il golden touch di Rousteing non sembra aver funzionato come previsto.
The world of fashion is used to experiments, to the unexpected remixes, to the hybridizing tricks. So much so that by now we are rarely surprised when we see strange cross breeds between high fashion and sport apparel. Often the outcomes are more than palatable: for example, think of adidas and Yohji Yamamoto or Rick Owens, think of Fred Perry and Raf Simons, or Puma and Alexander McQueen. Nike is trying since a long time to give its competitors (first of all adidas) a lot of trouble on this slippery slope, through projects such as the collection Nike Lab designed by the creative director of Givenchy, Riccardo Tisci – a collection that despite some questionable solutions in terms of style seems to have made a good impression on its public. After that experience, the brand of the Swoosh tries it again enlisting one of the hot names of contemporary fashion: Olivier Rousteing, very young head designer of the French brand Balmain, who in addition to his enviable position can boast a gigantic standing on the social networks, with more than three million followers on Instagram. Rousteing is less than 30 years old, but his success in beyond question: over the last few seasons he increased the sales of a noble but dethroned maison of French fashion, and produced a collaboration with H&M which caused authentic riots in various cities across the world the day of the launch. But the roads of fashion have proved once again mysterious: the union with the enfant prodige of the French style didn’t produce the instant sold-out that Nike with some reason had expected, and many tokens of this capsule collection in limited distribution remained on the shelves of the stores (very few and selected, of course) which had obtained the authorization to sell it. Why? We have no definite answer, except that the Black and Gold theme chosen by Rousteing is quite dangerous from a look standpoint: you walk on the frontier between elegant and cheap, and you risk to dissatisfy both the public of fashion and that of sport/street-wear. Not to mention that the collection seems heavily inspired by the one that Beaverton dedicated to Michael Jordan a few years ago (which was also prominently black and gold), a suspicion that can leave a bad taste in the mouths of the Swoosh’s fans. Be as it may, if for some reason you feel the need of a pair of Footscape Magista, of Free Mercurial Flyknit, of Free Hypervenom 2 or of Roshe Tiempo golden, well, you can probably obtain a pair for a sale price. This time the golden touch of Rousteing doesn’t seem to have succeeded as expected.
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DC SHOES
TRASE SP
Le Trase del marchio americano DC Shoes sono un esempio di perfezione minimale del design. Scarpe perfette nella loro essenzialità , soprattutto in questa versione SlipOn, senza lacci, dalla silhouette ultra-classica caratterizzata dal foxing tape alto: si tratta di skate shoe vulcanizzate leggerissime, che fanno del comfort, del board feel, della flessibilità e della resistenza - grazie al battistrada in gomma antiscivolo e antiabrasiva - le loro armi migliori. Il minimalismo della silhouette viene qui perfettamente controbilanciato dalle stampe allover di queste notevoli versioni SP (sigla che sta per Special Print): una di ispirazione hawaiiana, l’altra quasi misticheggiante.
The Trase by the American brand DC Shoes is an example of minimal perfection of design. A perfect shoe in its essential endowment, especially this lace-less Slip-On version, featuring an ultra-classic silhouette marked by a high foxing tape: a pair of very lightweight vulcanized skate shoes, whose strongest points are comfort, board feel, flexibility and resistance (mainly thanks to the tread in anti-slip and anti-abrasive rubber). The minimalism of the silhouette is compensated by the allover prints marking these remarkable SP (meaning Special Print) versions: one exhibiting a Hawaiian inspiration, the other almost tending to mysticism.
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DORAEMON I manga non c’entrano: Doraemon è uno dei modelli di punta della nuova collezione Autunno/Inverno 2016 di Gas Footwear, marchio italiano venduto in tutto il mondo. All’interno di una proposta fortemente contemporanea nel mix di materiali - capita spesso di vedere tomaie che mettono insieme crosta di pelle e tessuti tecnici - così come nelle forme, le Doraemon si distinguono già a un primo sguardo, per il look ibrido tra denim e mondo più tecnico. L’ispirazione è chiaramente running, lo stile però vira verso il casual contemporaneo, grazie ai materiali usati sulla tomaia e ad alcuni dettagli raffinati. Adatta per un uso quotidiano, è un modello fresco e giovane, in linea con le ultime tendenze.
It’s not about the manga – Doraemon is one of the front rank models of the new fall-winter 2016 collection by Gas Footwear, an Italian brand renowned all over the world. In the context of a very modern production, both in terms of the mix of fabrics (it often happens to see uppers combining a leather crust with some technical fibers) and in terms of forms, the Doraemon stands out at first sight through its hybrid look, between denim and technical elements. While the inspiration is clearly running, the style gravitates towards the most modern casual, thanks to the materials making up the upper and some refined details. Designed to be used on a daily basis, it’s a fresh and young model, in tune with the latest trends. 78
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Adidas MÜNCHEN
M ade in W E ST GERMAN Y - 1972
Un modello rarissimo e di grande valore: le quotazioni di un paio deadstock superano facilmente il migliaio di dollari, anche grazie ai molti appassionati europei dello stile casual, che queste scarpe rappresentano perfettamente. Si tratta della prima versione delle München, prodotte in Germania (Ovest, ai tempi) nel 1972: derivate dai modelli Spezial e Samba degli anni Settanta, sono caratterizzate dalla linea pulita, dal toebox in suede, dal pannello mediale in mesh che garantisce la giusta traspirazione e dall’intersuola piuttosto spessa, simile a quella delle Puma California. Il successo di questo modello dedicato alla città più importante della Germania meridionale ha portato il Trifoglio a produrne una nuova versione nel 1979, contraddistinta da una scelta di materiali unica per l’epoca e - purtroppo - dalla suola in poliuretano, che rende impossibile l’uso a distanza di qualche decennio (a meno che non amiate vedere scarpe vintage che si 82
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sbriciolano sotto i vostri occhi). Per questo motivo, i modelli dal 1979 in poi sono molto meno ricercati dai collezionisti, e le quotazioni scendono di conseguenza. In ogni caso, le München sono senza dubbio una delle icone della storia adidas: nate per l’allenamento su tutti i terreni, sono state presto adottate dalle subculture giovanili inglesi, finendo dritte nei libri di storia. Adidas ha cavalcato l’onda del successo delle München per un po’, producendo persino una versione high-top nel 1981, ma poi le ha tolte dai cataloghi alla fine del 1984. Solo in anni recenti sono stati prodotti remake degni di questo nome, primo tra tutti quello uscito nel 2012 all’interno della linea Consortium, incredibilmente fedele all’originale e di produzione tedesca al 100%. Sneakersmagazine
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Adidas MÜNCHEN A very rare and valuable model: the quotations of a dead-stock pair are easily above the threshold of one thousand dollars, also thanks to the many European lovers of the casual style, that these shoes perfectly embody. It’s the first version of the München, produced in Germany (the former West Germany) in 1972. Derived from the models Spezial and Samba diffused in the Seventies, they are characterized by a neat line, a toebox in suede, a panel in mesh that grants a very good perspiration and a fairly thick midsole, reminiscent of the one of the Puma California. The success of this model dedicated to the most important city in the south of Germany brought the trefoil to produce a new version in 1979, characterized by a choice of fabrics quite unique for the time and (unfortunately) by a sole in polyurethane that makes it impossible to wear them now, after a few decades (unless you are planning to see a pair of vintage becoming a wreck under your feet). For this reason, the models released after 1979 tend to be less sought-after by many collectors, and the quotations tend to decrease by the same token. In any case, the München is by all means one of the icons of adidas’ history: born for all terrain training, it was soon adopted by the English young subcultures, thus entering the history textbooks. Adidas rode the tide of this successful model for quite a long time, going so far as to produce a high-top version in 1981, but then it was taken out from the catalogues in 1984. It is only recently that a few remakes deserving this name were produced, first of all the one released in 2012 within the Consortium line, tremendously true to the original and a entirely German production. 84
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SK8-HI ‘ALOHA’ & ‘HEAVY METAL’ M ade in u sa - 198 0 s - 1990s
Ecco due Sk8-Hi davvero rarissime, interessanti per motivi diversi. Le prime - soprannominate “Aloha” - sono da sempre uno dei santi Graal dei collezionisti Vans: modello rarissimo degli anni Ottanta caratterizzato dalla stampa hawaiiana sul pannello esterno della tomaia e dal classico rosa “ocean pink” (non ci chiedete perché si chiami così) su quello interno. Alcuni anni fa ne è stato prodotto un remake all’interno della linea Vans Vault, andato esaurito quasi immediatamente. Purtroppo la qualità della produzione era lontana da quella del modello originale che potete ammirare in queste pagine, e anche la forma era piuttosto diversa. Dunque, meglio la versione OG, come sempre. Anche perché il valore sul mercato del vintage supera agilmente il migliaio di dollari.
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vans SK8-HI ‘ALOHA’ & ‘HEAVY METAL’ Here is a couple of very rare Sk8-Hi’s, both interesting but for different reasons. The first (nicknamed Aloha) has always been like a Holy Grail for many collectors of Vans: a very rare model from the Eighties characterized by a Hawaiian print on the outer panel of the upper and the classic ocean pink (we frankly don’t know the origin of this denomination) on the inner panel. A few years ago a remake within the Vans Vault line was released, which became a sold-out almost immediately. Unfortunately the quality of the production was far from that of the original model that you can admire in these pages, and the shape was also different. Hence better the OG version, as usual. Also because its worth on the vintage market easily surpasses the threshold of one thousand dollars.
Vans Vault Sk8-Hi OG LX Aloha 2013 MADE IN CHINA
traduzione
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vans SK8-HI ‘ALOHA’ & ‘HEAVY METAL’ Le seconde, con l’evidentissima scritta “Heavy Metal” ripetuta decine di volte sul lato della suola in gomma, risalgono invece agli anni Novanta, e più o meno allo stesso periodo in cui Vans sembrava avere un particolare feeling con quel genere musicale, visto che aveva dedicato una limited edition anche agli Iron Maiden (ormai cristallizzati nella storia della musica dal decennio precedente). Le abbiamo trovate nel celeberrimo vintage shop Berberjin-R di Tokyo, nel centralissimo quartiere di Shibuya: erano vendute per l’equivalente di circa 450 dollari, quindi possiamo ipotizzare che sia più o meno questa la quotazione corrente sul mercato globale del vintage.
The second pair, displaying the visible inscription Heavy Metal a few dozen times on the side of the rubber sole, dates back to the Nineties – that is, more or less the same moment when Vans seemed to have a special feeling with that musical taste, given that it dedicated a limited edition to the Iron Maiden (already a part of history since the decade before). We found it in the very famous vintage shop Berberjin-R in Tokyo, in the very central neighborhood of Shibuya. It was sold for a price equivalent to 450 bucks, so we can hypothesize that this is more or less the average quotation on the global market of vintage. 90
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PRIMA COLLABO VANS SKATE HIGH CON BAND HEAVY METAL per CELEBRARE I 30 ANNI DELLA BAND INGLESE
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new balance 520 RB
M ade in u sa - 1995
Tutti quanti facilmente ricordiamo le New Balance 530, riproposte fino alla nausea dalla casa americana nel corso delle ultime stagioni. Più difficile invece, per i collezionisti dell’ultimo decennio, sapere che sono esistite anche le “sorelle minori” 520, una versione più economica di quel modello running che furoreggiava intorno alla metà degli anni Novanta. In quel periodo quasi tutte le grandi aziende americane stavano scoprendo i vantaggi della delocalizzazione, spostando la produzione in paesi anche molto lontani, ma con un costo della manodopera assai più basso rispetto agli Stati Uniti: New Balance invece andava in controtendenza, fabbricando le 520 negli storici stabilimenti su territorio americano. Ecco perché ci piacerebbe rivederle stabilmente nelle collezioni dal 2017-2018 in poi, magari con l’etichetta Made in Usa. Attendiamo notizie in merito da Boston, e intanto ci consoliamo con queste immagini del modello OG: il valore è di circa 250 dollari per un paio in condizioni deadstock.
We all remember the New Balance 530 quite easily, rereleased ad nauseam by the American company over the last few seasons. Quite more difficult for the collectors operating in the last ten years is knowing that there existed a younger sister, the 520, a cheaper version of the same running model that was all the rage by the mid Nineties. Back then almost every big American company was discovering the advantages of delocalizing, moving the production in very far countries, where the workforce costs much less than in the US: New Balance was going against the grain and decided to produce the 520 in the historic factories distributed on the American territory. Which is why we would like to see these kicks come back regularly in the collections that are about to come out starting with the 2017-18 season, perhaps bearing a Made in Us label. While we wait to know the news from Boston, we rejoice with these images of the OG model: it’s worth some 250 bucks provided it’s a dead-stock pair. 92
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converse NAUTILUS
M ade in u sa - 1960s
Un pezzo di storia delle sneakers, come sempre quando si parla di Converse vecchie più di mezzo secolo. Peraltro è difficile non notare come questi modelli costruiti artigianalmente, con materiali semplici e naturali, superino la prova del tempo con risultati molto migliori rispetto a sneakers più recenti. Non vi consigliamo di usarle, certo, ma potreste: queste Nautilus non si disintegreranno mai sotto i vostri occhi, come invece succederebbe a un qualsiasi paio di Air Max del 1996. Si tratta di un modello cosiddetto deck (da barca) molto simile alle prime Vans Authentic e - ovviamente - alle Sperry Top-Sider, capostipite del mocassino nautico. Di queste Converse in tela ci piace soprattutto la suola “chekerboard” montata in modo irregolare: negli anni Sessanta infatti le Converse erano ancora un prodotto semi-artigianale, e ogni paio era leggermente diverso dagli altri. Ma ci sono molte altre caratteristiche che fanno impazzire i collezionisti, prima tra tutte la soletta ammortizzante in spugna con stampa custom. Non stupisce dunque che oggi queste gemme possano valere anche 300 dollari, se riuscite a trovarne un paio. A piece of history of sneakers, as it happens when talking about a pair Converse that are more than 50 years old. In fact it’s easy to notice how these models handcrafted with simple and natural materials pass the test of time with results that are better than a number of more recent sneakers. Although our advice is not to use it, you could: this is because this Nautilus will never fall apart under your feet – that would happen to many pairs of 1996 Air Max. It’s a model called deck, very similar to the early Vans Authentic and of course to the Sperry Top-Sider, progenitor of the boat moccasin. What we like most of this Converse in canvas is the checkerboard sole irregularly applied: in the Sixties the shoes by converse were a handcraft product and every pair was slightly different from any other. But there are other features that drive the collectors crazy, first of all the cushioning insole in foam with custom print. It’s no surprise that today these gems may be worth even 300 dollars, provided is so fortunate as to find one pair. 94
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fotopedaci.com 96
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