10 minute read

Atletica 2000: un amore a prima Vissa

Alle Olimpiadi di Parigi ha cancellato lo storico primato italiano dei 1.500 metri di Gabriella Dorio.

Ma anche nel CSI detiene dal 2017 il record nazionale 58”54 dei 400 Seniores

IL TALENTO DELL’AZZURRA SINTA, OGGI MEZZOFONDISTA AL TOP NELL’ATLETICA LEGGERA ITALIANA, È SBOCCIATO NELLE MOLTE STAGIONI TRASCORSE NEL SODALIZIO FRIULANO DEL CSI. OLTRE AL CRONO, IL RITRATTO DI UNA RAGAZZA NATA IN ETIOPIA, CHE FUORI PISTA CI SA FARE CON I BAMBINI COME CON GLI ANZIANI E CON LE PERSONE CON DISABILITÀ

di Felice Alborghetti

Dall’orfanotrofio di Addis Abeba dove la sua famiglia friulana la adottò nel 2006, fino agli USA, alle Olimpiadi di Parigi, passando per 10 lunghi anni nel Centro Sportivo Italiano. Sintayehu, per gli amici Sinta, Vissa racconta a Stadium, a 28 anni e dopo Parigi 2024, un po’ della sua vita e della sua terra.

Cosa rappresenta per te il Friuli Venezia Giulia? E quali sono i tuoi primi ricordi?

Il Friuli è la mia terra, dove abita la mia famiglia, dove sono cresciuta e ho avuto l’opportunità di vivere. Lì, da piccola ho frequentato gli scout, ho fatto la chierichetta a Messa… Per quanto riguarda lo sport, ho iniziato con la ginnastica artistica insieme ad Arianna, una delle mie sorelle, ma avendo l’Etiopia nel sangue e l’atletica nel cuore non potevo che correre. E ho iniziato per gioco, mi piaceva correre al bellissimo Parco delle Risorgive, a due passi dalla mia pista di atletica, il campo di Atletica 2000.

Mamma Annetta ce la portò, stregata dal primo allenatore Matteo Tonutti, che, parlando del CSI, le fece un discorso educativo che andava oltre lo sport. «Mi meravigliò sentir parlare in ambienti sportivi di obiettivi educativi. Se Atletica 2000 è così, noi genitori faremo ciò che potremo per portarla al campo». Disse così insieme al papà Giuseppe e alla primogenita Chiara. Sintayehu da lì è partita correndo due lustri nel CSI, “adottata” anche dalla famiglia udinese di Atletica 2000 a Codroipo.

Effettivamente lì sono cresciuta. Andavo ad allenarmi e non avevo ansie e nemmeno obiettivi da raggiungere. Volevo solo divertirmi. Senza pressioni. L’ambiente giusto perfetto per crescere. Davvero una seconda famiglia. Eravamo tutti bambini, in un ambiente felice dove si può crescere sani. Con alcuni di loro abbiamo ancora una bella amicizia. Sono rimasta fino a quando ho fatto il salto mentale. Mi ricordo delle trasferte con i due “testoni” Cornelio Giavedoni e Matteo Tonutti, i miei primi tecnici. Mi ricordo di una Sinta grintosa. L’Olimpiade a quei tempi era un sogno. Correvo senza dover vincere, nonostante poi spesso vincessi. Quella foto (vedi in pagina) me la ricordo bene. Dovevano essere i 400 metri, a Clusone. All’epoca facevo di tutto con il mio coach: mi allenavo negli ostacoli e molta velocità. Mi portavano anche a fare la campestre. E ricordo che spesso erano bimbi più piccoli di me a premiarmi. Lì era tutto molto divertente.

Qualche medaglia in particolare?

Sì. A Grosseto nel 2015 da Juniores vinsi 100, 200 e 400 ai nazionali CSI, come a Cles nel 2017. Avevamo se non sbaglio come mascotte un tigrotto. Ma ero completamente libera da aspettative; nessuno allora mi diceva: andiamo ai Campionati nazionali e portiamoci a casa una medaglia. Facevo il salto in lungo per fare compagnia in pedana alle mie compagne. Andavo e partecipavo ad un sacco di gare, infatti tornavo spesso con un gruzzoletto di medaglie che conservo ancora. Ricordo nel CSI un clima disteso, amichevole, con tante bottiglie di vino, salamelle e noi friulani sempre con il frico pronto.

È il tuo cibo preferito?

Adoro il pasticcio di mamma, ossia la lasagna con il ragù di carne, ma il frico me lo sono portato anche ai Meeting internazionali. Al forno o in padella, sono semplici patate con formaggio Montasio di varie stagionature, mescolato a cipolle soffritte. Una bomba, specie se servito con la polenta.

Il 13 settembre c’era un intero paese, Pozzecco di Bertiolo, a festeggiarti. Come è andata?

Una festa commovente, da Libro Cuore in paese, con bandiere, striscioni inneggianti al mio nuovo record italiano. A Pozzecco c’erano tutti, per prime le mie nipotine Viola ed Allegra, per loro sono la “zia mitica”; i miei genitori, gli allenatori, gli amici, tanti ragazzi di Atletica 2000, le associazioni dove facevo volontariato con le persone con disabilità; c’era anche il mio moroso (il mezzofondista australiano Morgan McDonald), che si è molto meravigliato di questo clima e tanto affetto, di un paese che da adesso tifa anche per lui. E, a proposito di adozioni, c’era anche la mia nonnina adottiva: None Ane (Nonna Anna). Abita vicino casa nostra e, da quando non c’è più nonno Lino, stravediamo l’una per l’altra. Lei ha già dei nipoti, ma ci siamo adottate a vicenda.

Torniamo al tuo percorso, nel CSI, e nell’atletica.

Ho fatto sempre CSI da ragazzina. Ad Atletica 2000 nessuno mi obbligava a fare delle cose. Lì ho fatto di tutto e di più. Non ero affatto esperta, non ero la Sinta di oggi, specializzata nella corsa, mezzofondo e fondo: allora facevo tutto quello che mi veniva detto. Ad esempio mi facevano provare gli ostacoli; io però soffrivo in alcune gare in cui non riuscivo a fare bene. Ma era così per tutti: provavamo tutto; io poi fortunatamente sono stata sempre abbastanza elastica. Se mi mettevano al lungo, me la cavavo comunque. Non ho avuto allenatori che mi abbiano fatto specializzare in una disciplina o specialità, anche se mi sarebbe piaciuto avere, come ho ora, un allenatore che mi facesse mirare ad un obiettivo. Ma è tanto difficile puntare a spingere.

E poi l’Irlanda ed ora negli USA a Boulder. Come va in Colorado?

Adesso è diverso… è più difficile quando ci si allena ad alto livello. Sono stata a Codroipo fino a quando ho preso il diploma. A quel punto dovevo scegliere se continuare a correre per divertirmi o fare un salto, osare e continuare con l’atletica. Mia mamma mi ha sempre consigliato di scegliere bene rispetto a questa opportunità degli USA. E in effetti il college in Mississippi con le borse di studio mi ha ripagato. Lì è tutto diverso rispetto a noi: non paghi nulla. Quando sei un talento, ti pagano outfit, allenatore, head coach, velocista. Prima degli Stati Uniti sono stata anche in Irlanda come ragazza alla pari, per imparare l’inglese e soprattutto per avere più fluenza nel parlare. Mi sono rotta il crociato giocando sui salti con le bambine a cui badavo: stavo giocando e ho sentito un clic, un rumore. Ho impiegato un anno di duro lavoro di rieducazione, ed è stato in quel momento che ho fatto il salto di qualità mentale. Mi sono detta: o provo a vedere se vale la pena correre da professionista o smetto.

Tu, ragazza di Atletica 2000 e del nuovo millennio, in pista dagli 800 ai 5.000, quale gara preferisci?

Fino a poco fa avrei detto sicuramente gli 800, ma dopo quest’anno dico i 1.500, mentre i 3.000 e i 5.000 verranno in futuro: li faremo forse come preparazione. Il concetto è sviluppare Sinta dagli 800 ai 5.000, e di fondo vi assicuro

ne faccio: quei 140 o 150 km invernali li ho fatti già un po’ di volte. Ma questo in allenamento, poi nelle gare occorre avere testa. Si prova quindi un po’ tutto e poi ogni anno si aggiunge qualcosa in più.

E cosa ha aggiunto l’Olimpiade di Parigi alla tua carriera?

Emozioni, tanta gioia, e un’opportunità. Ho dato tutto quello che avevo a Parigi, fino all’ultimo. È arrivato il record italiano assoluto sui 1.500. Un obiettivo raggiunto; ne avevo due ben scritti in un post: finale olimpica e scendere sotto i 4’; sapevo che lo valevo ed anche che non era impossibile. Tutto l’anno avevo fatto un lavoro mentale con lo psicologo e volevo andare sotto i 4’, senza decifrare quanto fosse sotto i 4’. È un bel primato, imbattuto da 42 anni. Un bel muro superato. Certo, aver fatto i tre turni con i ripescaggi non era l’ideale perché volevo andare diretta in finale, ma forse mi è servito farli. Quella gara lì alla fine mi ha dato più autostima, in semifinale ero più guerriera. Ho visto il ripescaggio non come una batosta ma come un’opportunità, che ho cercato di usare mentalmente a mio vantaggio. Ogni gara va bene quando si dà il meglio di sé stessi.

Il Villaggio Olimpico invece?

I miei riferimenti erano naturalmente Nadia Battocletti e Pietro Arese, i miei compagni di Nazionale. Abbiamo fatto il nostro dovere sul campo, ma ci siamo anche divertiti molto. Siamo andati a cambiare le pins, le spille con gli atleti delle altre nazioni. Andavamo a Messa insieme; avendo poi il moroso australiano, andavamo nella zona internazionale. Ho avuto l’opportunità di godermi questa esperienza con la mia squadra, l’Italia, e con tutti gli atleti internazionali. Parlavo con tutti. Ho potuto camminare e osare fare selfie con le più grandi stelle internazionali.

Ho potuto costatare quanto siano umili. Una volta incontrati, stavano lì a chiacchierare con te uno o due minuti senza alcun problema. Li ammiravo; ho fatto foto con Kenenisa Bekele. Ti accorgi quanto sia bello il mondo dello sport; sono umilissimi come tutti noi. È bello vedere quanto simili campioni siano vicini a noi. Nella cerimonia di chiusura avevamo il cuore a mille e ho visto tanta fratellanza, senza alcuna differenza etnica di colore e religione.

Hai rincontrato anche Yeman Crippa a Parigi?

Sì, siamo più simili di quanto pensino le persone. È più giovane di me di pochi mesi, i Crippa li conosco da bambini [Sinta fu adottata dallo stesso orfanotrofio etiope di Yeman e Neka, futuri Azzurri del mezzofondo N.d.R.], erano ancora piccoli e ricordo che volevo fare come loro. Speravo venissero a prendere anche me: forse un giorno dopo tanto lavoro, pensavo e speravo di riuscire come sono riusciti loro. Non era facile andare via da casa, imparare bene un’altra lingua, ma ce l’ho fatta. I miei mi supportano sempre, ma, vivendo in America, più che scrivermi e sentirci non possono fare.

Negli States di certo Los Angeles è più vicina. E i cinque cerchi li vuoi sulla pelle. Cosa aspettarci da Sinta?

Sono stata in Florida, poi nel college in Mississippi. Ora in Colorado: Los Angeles è certo ancora più vicina. Non ho però ancora un post per le prossime Olimpiadi. L’unico appuntamento che ho fissato ora è con un tatuatore di fiducia negli States, per incidermi i cinque cerchi olimpici.

Ma prima sei tornata nella tua Etiopia, o sbaglio?

Non sbagli. È vero. Ai primi di ottobre sono andata in Etiopia in vacanza. Un ritorno da maggiorenne italiana, dopo 18 anni di assenza e di lontananza dalla mia terra. Mi è stato regalato questo viaggio da Morgan, una persona speciale: una gioia immensa e tante lacrime. Siamo andati solo noi due. Mi ha colpito tanto, ci sono zone di guerra purtroppo, ma è stato bello allenarsi insieme al mattino su quegli altipiani e poi visitare con le guide il Paese.

Sinta 2025, quali i nuovi obiettivi?

Continuare a dimostrare il valore di Sinta negli Europei, poi nel 2026 il Mondiale e più avanti, più avanti le Olimpiadi statunitensi.

This article is from: