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Sport, passione e politica per il benessere della comunità

A tu per tu con Marco Bosi, Assessore a Bilancio e Sport del Comune di Parma

I MOMENTI CHIAVE DI UN PERCORSO TRA PROGETTI COLLETTIVI E SPORTIVI PER GARANTIRE A TUTTI I GIOVANI IL DIRITTO ALLO SPORT

di Alessio Franchina

Abbiamo avuto il piacere di intervistare Marco Bosi, Assessore a Bilancio e Sport del Comune di Parma. In questo dialogo scopriamo insieme il suo percorso politico, la sua passione per lo sport e l’impegno costante nel rendere le attività sportive accessibili a tutti. Attraverso le sue parole entriamo nel cuore di progetti e iniziative che, tra sfide e successi, promuovono valori come inclusione, collaborazione e crescita personale, contribuendo a fare dello sport un diritto per ogni giovane.

Assessore Bosi, hai iniziato la tua carriera politica nel 2012 e nel 2017 divenendo Vicesindaco e Assessore a Bilancio e Sport del Comune di Parma. Cosa ti ha spinto ad entrare in politica e quali sono stati i momenti più significativi del tuo percorso?

Ho deciso di entrare in politica quando ho capito che non mi sentivo più pienamente rappresentato da nessuno. Le opzioni erano due: o finivo come tanti nel partito dell’astensione, oppure diventavo io stesso il mio candidato e provavo a rappresentare le mie idee in prima persona. I momenti significativi sono tanti ma, se devo sceglierne uno, dico certamente quando nell’ottobre del 2016 ho abbandonato il Movimento 5 Stelle insieme all’amico Federico Pizzarotti, in un momento in cui aveva un consenso al 30%, per fondare una lista civica. Stare in quel partito voleva dire avere probabilmente la strada spianata per una carriera nazionale, ma io non mi ci riconoscevo più e ho fatto la scelta più scomoda, ma di cui sono molto orgoglioso.

Grazie alla formazione in International Business e alla tua attività lavorativa, ti occupi delle finanze pubbliche nel tuo Comune. Oggi ci interessa però approfondire la tua attività amministrativa nelle politiche sportive. Qual è il tuo rapporto con il mondo dello sport?

Lo sport è prima di tutto una passione. Però, come la maggior parte degli sportivi, conoscevo alcune discipline, quelle che praticavo o seguivo da appassionato. In questi anni ho imparato ad apprezzare quanto lo sport a Parma sia ricco. Si va dai successi negli sport più popolari (il calcio e la pallavolo degli anni ’90) a quelli in cui Parma è la capitale da sempre, come il rugby e il baseball, a sport di cui neanche conoscevo l’esistenza, come l’hockey subacqueo. Ho cercato di entrare in questo mondo in punta di piedi, imparando dalle persone che lo vivono tutti i giorni. Penso che il mio rapporto con il mondo sportivo si sia consacrato durante la pandemia da Covid-19, quando abbiamo messo a terra risorse a fondo perduto destinate alle associazioni sportive per un totale di 2 milioni in due anni, un impegno senza eguali nel nostro Paese e questo ci è stato riconosciuto.

Parma ha recentemente ospitato il Festival della Serie A, dove è intervenuto anche il CSI all’interno del panel “Il calcio che ci fa grandi. Dall’oratorio alla Serie A”. Qual è la tua opinione sul ruolo dello sport come promotore dei valori fondamentali sostenuti dal Centro Sportivo Italiano, che ha le sue radici negli oratori e cerca di creare una sinergia educativa proficua con lo sport professionistico?

Penso che lo sport non trasmetta valori positivi per definizione, ma dipenda piuttosto da come lo sport viene insegnato e vissuto. Purtroppo, il nostro territorio non è esente da notizie di cronaca in cui si riportano fatti di violenze sui campi sportivi, in cui talvolta i protagonisti sono addirittura i genitori sugli spalti. Perciò sta a noi farci portatori di quelli che vengono definiti i valori dello sport. Penso che lo sport abbia la capacità di educare al pari della scuola. E penso anche che gli sport di squadra e individuali insegnino cose molto diverse: il primo a collaborare, a mettersi a disposizione di un progetto in cui al centro non c’è il singolo ma il bene collettivo, a sostenere il compagno in difficoltà e chiedere sostegno quando necessario; il secondo insegna a saper fare affidamento sulle proprie capacità, a gestire la tensione e lo stress, a lavorare su sé stessi perché siamo l’unica persona su cui siamo certi di poter contare per tutta la vita. Ecco, mi piacerebbe che lo sport fosse considerato davvero al pari della scuola e che ogni bambina e bambino praticasse almeno uno sport di squadra e uno individuale.

Nel corso del tuo mandato hai promosso numerosi progetti per rendere lo sport accessibile a tutti, come il bando “Tutti in campo – Diritto allo sport” o il progetto “Allenàti per vincere” per combattere il disagio sociale attraverso lo sport. Quali risultati hai ottenuto finora e quali sono le sfide future per garantire che lo sport sia accessibile a tutti i giovani, compresi quelli con fragilità?

Il progetto “Tutti in campo – Diritto allo sport”, con cui ogni anno garantiamo la possibilità di fare sport attraverso dei voucher da 500 euro a chi non può permetterselo, è probabilmente ciò di cui sono più fiero. Siamo arrivati a 1.500 ragazze e ragazzi all’anno che senza questa possibilità quasi certamente non avrebbero fatto sport. Sono persone che restano in un circuito positivo e che altrimenti occuperebbero il proprio tempo in maniera non solo meno sana, ma verosimilmente anche senza nessuna guida adulta, perché oggi per i genitori è sempre più complesso gestire i figli.

Utilizzi attivamente i social media per comunicare con i cittadini. Come vedi il ruolo della tecnologia nella politica moderna, nell’ambito sportivo, e in che modo i social media ti aiutano a coinvolgere la comunità?

Uso i social, ma so di non essere tra i più bravi a farlo. I social hanno un enorme potenziale, ma nel tempo si sono strutturati con figure professionali. Sicuramente sono uno spazio virtuale in cui i giovani ci sono ma, come spesso accade, il mondo dei giovani e dei giovanissimi parla un linguaggio completamente diverso da quello degli adulti. I social a loro volta hanno un loro linguaggio specifico. Il risultato è che spesso oggi i giovani stanno su social di cui gli adulti ignorano l’esistenza. In sintesi sono strumenti con un enorme potenziale, ma non basta esserci per coinvolgere i vari target.

Cosa significa per te coinvolgere i giovani nelle attività sportive e politiche della città? Quali strategie utilizzi per avvicinare i giovani alla partecipazione attiva?

Ho partecipato recentemente al global forum delle Città Creative UNESCO che si è tenuto a Braga, in cui il tema era esattamente questo: come coinvolgere i più giovani. È un tema estremamente complesso per diverse ragioni. La prima è quella che dicevo poc’anzi: i giovani parlano una lingua diversa dagli adulti; è sempre stato così e sempre sarà così. È fisiologico e non è né un bene né un male. Il mondo cambia e i giovani interpretano sempre questo cambiamento. A Braga ho ascoltato tanti progetti e penso che non esista una ricetta valida ovunque. Credo però che esista un principio guida: con i giovani si può costruire un dialogo se si va da loro con l’obiettivo di ascoltarli e non li si chiama a sé affinché siano loro ad ascoltare noi. È ciò che stiamo provando a fare con la candidatura di Parma a Capitale Europea dei Giovani 2027.

Quali sono state le maggiori sfide che hai affrontato come Assessore allo Sport? E quale consideri il tuo più grande successo fino ad oggi?

Le sfide sono ovviamente sempre tante. Alcune non sono certo nuove, come il contrasto all’abbandono sportivo, e lo combattiamo con una strategia ampia che ha un’idea semplice di fondo. Un ragazzo che pratica lo sport che più lo appassiona difficilmente abbandonerà. Per farlo, però, serve creare alcune condizioni: che provi più sport possibili (e Alé Parma Sport Festival serve proprio a questo) e che possa scegliere indipendentemente dal costo della disciplina (e il diritto allo sport serve a questo). Un’altra sfida è quella di educare ai corretti stili di vita: per farlo, da 24 anni Parma, attraverso un’alleanza pubblico-privato, mette in campo Giocampus. Questo permette di lavorare su tre filoni: l’educazione motoria nelle elementari (per fortuna da un paio d’anni nelle classi quarte e quinte è presente un laureato in scienze motorie assunto dallo Stato), in cui garantiamo un maestro del movimento in ogni classe della città durante ogni ora di educazione fisica (e, laddove è presente un ragazzo con disabilità, garantiamo un ulteriore maestro con competenze specifiche); l’educazione alimentare, grazie alla quale Parma è passata da essere la peggior città in EmiliaRomagna per obesità infantile ad essere la città con il tasso più basso; il terzo e più recente pilastro è quello che riguarda l’educazione e la sostenibilità, temi che non possono non entrare nelle nostre scuole, a cominciare da quelle elementari. Vi è un’ultima sfida di origine più attuale che è quella di saper interpretare il cambiamento di domanda di sport che arriva dai nostri giovani. Gli studi infatti ci dicono che sono sempre di più le ragazze e i ragazzi che chiedono di fare sport in maniera destrutturata e libera. Per questo motivo abbiamo presentato lo scorso maggio un piano di ristrutturazione e ampliamento delle aree sportive libere e gratuite nei nostri parchi.

Uno dei tuoi progetti principali è la riqualificazione dello Stadio Tardini. Puoi raccontarci come è nata questa iniziativa e quale ruolo pensi possa avere lo stadio riqualificato nel promuovere la città come un centro sportivo di eccellenza?

Lo stadio è in ogni città d’Italia una delle due principali infrastrutture sportive (l’altra ovviamente è il palasport). Gli stadi hanno un ruolo fondamentale nello sviluppo del calcio, e i dati che ci arrivano dalla Germania sono eloquenti: la Serie A italiana nello scorso decennio ha avuto medie di spettatori paragonabili a quelle della Serie B tedesca. Questo è dovuto all’opportunità che la Germania ha saputo cogliere con i Mondiali del 2006. L’approccio agli stadi negli ultimi 25 anni è cambiato radicalmente in tutta Europa: si è passati da enormi stadi fuori dalle città, utilizzati una ventina di volte all’anno, a stadi più contenuti all’interno del tessuto urbano. Questo ha permesso di farli diventare non solo dei contenitori per i grandi eventi, ma anche dei luoghi che offrono servizi tutti i giorni. Il Tardini oggi è uno stadio non più al passo con i tempi (basti pensare che le persone con disabilità sono relegate sotto una tettoia in un angolo dello stadio) e che per 340 giorni l’anno diventa un non-luogo. Purtroppo però gli investimenti necessari per l’ammodernamento di uno stadio sono troppo alti per pensare che un Comune possa intervenire esclusivamente con risorse proprie. Perciò abbiamo avviato una discussione con il Parma Calcio che ha portato ad un progetto che, confidiamo, possa dare alla città uno stadio finalmente moderno, attrattivo ed inclusivo.

Guardando al futuro, quali altri sogni vorresti vedere realizzati, in ambito sport e giovani, nel corso del tuo assessorato?

Ci sono alcuni progetti concreti che vorrei vedere, se non terminati, almeno iniziati e che sono: nuovo Stadio Tardini, nuovo palasport, nuova piscina di via Zarotto. Ce ne sono altri che certamente arriveranno a compimento entro il 2026, come la palestra inclusiva di Moletolo, un progetto in cui ho fortemente creduto e che credo farà di Parma un modello di inclusione attraverso lo sport. Il sogno però, se così vogliamo chiamarlo, è un po’ più alto: è fare di Parma una città in cui lo sport sia veramente un diritto e quindi garantito sempre a tutti, in linea con gli obiettivi della modifica costituzionale dello scorso anno. È un obiettivo che non guarda al mio mandato, ma molto più in là, come credo dovrebbe fare ogni amministratore lungimirante.

Con i giovani si può costruire un dialogo se si va da loro con l’obiettivo di ascoltarli e non li si chiama a sé affinché siano loro ad ascoltare noi
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