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Sogni da Piccoli
from Stadium n. 1/2022
by Stadium
L’attaccante del Genoa, cresciuto calcisticamente nell’Atalanta, è nato nel CSI: i suoi primi gol in Oratorio con la Sorisolese
di Felice Alborghetti
Quasi 90 kg per 188 cm. Il gigante Piccoli, di nome Roberto, fisico importante, è oggi uno degli attaccanti più talentuosi della serie A. Passato nel mercato di gennaio al Genoa, è tornato in Liguria, dove lo scorso anno, con la maglia dello Spezia ha realizzato, all’età di 20 anni ben 5 reti. La sua crescita calcistica è stata tutta nelle fila delle giovanili dell’Atalanta. Ma i suoi primi gol, in pochi lo sanno, li ha segnati vicino a Bergamo, a Sorisole.
Giocavi nella Sorisolese. Che ricordi hai. Sorrisi o cosa?
Sono stati anni molto belli, in cui sono cresciuto divertendomi con gli amici di scuola, con i miei compagni di classe, con cui giocavo a pallone. Avevo 6 anni, nei pulcini CSI, era il campo dell’Oratorio, si chiamava Sorisolese, il nome della squadra. Giocavamo in parrocchia interi pomeriggi. Il mio allenatore lo ricordo era Giampietro Fiorona. Abitavo lì a Sorisole, ed era normale nel paesino giocare in famiglia con gli amici; la cosa bella era al fischio finale di ogni partita. Ci si raccoglieva tutti con una bella merenda, pane o pizza, insieme, sia che si vinceva o si perdeva, il bello era quello.
Solo puro divertimento o cosa altro in quei momenti?
Tanta passione il sabato pomeriggio. Vinsi mi ricordo un premio simpatia in un torneo a Sedrina, per avere fatto dei gol. Tanta spensieratezza e tanto gusto. Da bambino ho fatto un po’ tutti i ruoli, anche il portiere alla Sorisolese, il difensore, il centrocampista, uno dei gol che mi è rimasto in mente fu quello nella nostra porta. Può succedere nel calcio da piccolini. Poi passai al Villa d’Almé, sempre nel CSI, e lì negli “esordienti” e “giovanissimi” ho iniziato a giocare davanti di punta. Un campionato è sempre stato molto seguito e importante dalle nostre parti. Ricordo un titolo vinto nel Villa D’alme, dove iniziai a fare sul serio. Indimenticabile per me l’emozione di una tripletta realizzata contro l’Atalanta. Da quel giorno sì mi hanno seguito per un annetto ed alla fine mi hanno preso nel settore giovanile nerazzurro. Facile immaginare per uno come me sempre tifoso atalantino cosa potesse significare andare all’Atalanta, sul serio.
Tante emozioni, e con la scuola come facevi?
Un bel casino sempre, perché poi, essendo stato preso in prima squadra presto, ci allenavamo al mattino, andavo, venivo, scomparivo, tornavo, anche se i prof sapevano bene dove fossi. Non sono riuscito a finire l’ultimo anno delle superiori, perché non riuscivo a seguire le lezioni, anche per le tante trasferte.
È vero che Marino, il tuo papà, grande appassionato di ciclismo ti voleva portare in bici?
È sempre stata la mia seconda passione, un divertimento in più. C’è molta libertà e adrenalina nel pedalare veloci e dopo calcio, calcio, e ancora calcio un po’ di bici mi ha sempre fatto piacere. Papà Marino è stato per me importantissimo. Mi ha sempre seguito da ragazzino, mi stimolava, dava adrenalina, consigli giusti.
Parliamo di numeri, ma non dei tuoi gol. Il 17, il 99 ed ora il 9. Li hai scelti tu e perché?
Il 17 è stato il mio primo numero di maglia all’Atalanta, ed anche la data di nozze dei miei genitori. Non mi ha portato sfortuna direi. Il 9 come ogni bomber mi è sempre piaciuto. E quando non ho potuto avere il 9 ho raddoppiato e preso il 99. Conservo molte maglie con il 9, ma quella a cui sono più affezionato è quella di Bobo Vieri. Attualmente Ibra e Zapata sono i miei preferiti ma Bobo è sempre stato il mio idolo e provo grande stima per lui. Mi è sempre piaciuto. La sua forza, la tenacia, l’istinto del killer in area.
Qualità e difetti di Roberto Piccoli?
Costanza nel lavoro, umiltà e la voglia di non smettere mai di imparare. Difetti come tanti calciatori, cerco di limarli sul campo, con i miei allenatori. Ne ho avuti molti e tutti mi hanno sempre dato qualcosa di nuovo e sono stati importanti, ma la svolta da piccolino l’ho avuta con mister Bonaccorso. Direi il più incisivo nella mia crescita. I miei amici più veri rimangono di fatto quelli della primavera dell’Atalanta, con cui da quando avevo 12 anni sono cresciuto. Con me c’erano Traoré e Kulusevski che ora sono in Premier League, Colley dello Spezia. Ci sentiamo spessissimo.
Bergamo, zona duramente colpita dal virus. Che periodo è stato?
Duro ma per fortuna direttamente non ho avuto nessuna perdita. Certo siamo stati male e in città il clima non è stato dei migliori. Il calcio mi ha molto distratto, nel periodo più tosto ero in Liguria allo Spezia, ma con il cuore a Bergamo.
Il primo gol in serie A?
Ne ho fatti 5 con lo Spezia, lo scorso anno. Poi quest’anno il primo con la Dea, il gol vittoria con il Torino nei minuti di recupero, il coronamento di un sogno lungo anni. Direi indimenticabile. Come il primo bacio… Poi c’è stato quello annullato al Meazza con l’Inter. Sognavo di poter esultare al Gewiss Stadium dopo un gol con la maglia atalantina. Un anno fa segnai a Bergamo ma da avversario il gol della bandiera.
Paradossale che ora tu sia al Genoa, mentre la Dea bergamasca avrebbe grande bisogno di te, visti i tanti infortuni ai titolari dell’attacco gasperiniano.
La cosa più importante è entrare in un gruppo nuovo, capire sempre meglio il mister e conoscere attentamente i miei nuovi compagni. Sono sempre il più piccolo, mi sto ambientando, qui a Genova è tutto diverso. Spero di poter contribuire con qualche gol alla salvezza del Genoa.
Due scudetti primavera vinti, a suon di gol. Quali ricordi conservi di quelle finali. Molta tensione o cosa?
Tanti ricordi, i ritiri, le vigilie. Tante responsabilità condivise, perché eravamo un bel gruppo. Stando insieme di squadra, in un gruppo di amici che ci conoscevamo bene, la tensione svaniva o meglio si allentava. Vincere è stata una roba prestigiosa; una emozione bellissima, comunque, perché l’Atalanta non la vinceva da anni e dunque è stata indimenticabile. Ricordo la condivisione come elemento di squadra.
Come va con i rigori?
Tanti tirati, senza paura. Mi sono sempre preso la mia parte di responsabilità. Ricordo con la primavera atalantina, contro il Manchester City nella Youth League 2020 li ho calciati. Un torneo importante con tanti giovani come Garcia del Barcellona. Lo vinse il Real Madrid, ma io sono stato il capocannoniere, un bel traguardo. Feci 8 reti, doppietta con il Lione e con lo Shakhtar, due reti con il City.
Avverti oggi il senso di responsabilità nei confronti di chi ti guarda. Senti di essere in campo un modello per tanti giovani?
Io quando entro in campo sono concentrato per fare bene, aiutare la squadra in tutti i modi possibili. Mi focalizzo sulla partita, però ovviamente occorre dare il buon esempio sempre. Con tutte le telecamere che abbiamo puntate addosso dobbiamo stare attenti a ciò che facciamo in campo e fuori. È forse un po’ disumano. È molto stressante a livello psicologico, ma fa parte della professione.
Antistress, allora, torniamo in oratorio, cosa conservi di quei tempi alla Sorisolese e del CSI?
Conservo con cura un album di figurine che ci davano a fine anno. Vi erano tutte le società sportive del CSI nella bergamasca. C’erano i pacchetti da scartare come i calciatori veri. Lì vi sono i miei sogni di un bambino. Ai ragazzi dico che il motore di tutto è sempre la passione ed il cuore. Ad ogni livello vincere è sempre stato l’obiettivo e anche quando ero in oratorio la gioia per una vittoria era proporzionalmente la medesima di quella di una finale di Coppa oggi. In ogni ambito e ad ogni livello conta fare bene. Sia nel calcio da grandi, sia da piccolini. Sia da Piccoli.