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Lo sport in carcere: liberaci dal male

di Giorgia Magni

“Vai a giocare ché ti sfoghi!”. In questa piccola frase banale e sentita ormai milioni di volte da genitori e nonni stanno inconsapevolmente tutti i trattati di medicina, psicologia e scienze motorie che spiegano da anni l’importanza dello sport e, in particolare, dello sport in carcere. Quello “sfogare” è la chiave che porta dritta al cuore, alla necessità di veicolare le proprie energie e tensioni verso azioni virtuose e positive per non lasciare che si trasformino in insofferenze e violenze. C’è poi quel “giocare”, la parola magica che evoca subito la possibilità di trarre dallo sport il divertimento e la scoperta, ma anche la stanchezza fisica che appaga, libera e alleggerisce la mente prima di riportarla ai pesi del quotidiano. Se questo vale per ogni essere umano, quanto valore può assumere per la vita di detenute e detenuti che scontano la loro pena nella reclusione, dove il movimento è circoscritto, la giornata è segnata dalla limitazione e il corpo disimpara a percepirsi e ad avere consapevolezza di sé nello spazio e nel tempo?

Uno Sguardo Sulla Popolazione Detentiva

Quasi 12 milioni di persone sono detenute nelle carceri di tutto il mondo

11,5 milioni di persone sono recluse nelle carceri del mondo e, di queste, 1,8 milioni sono negli USA, mentre 1,7 milioni in Cina (World Prison Population List, Institute for Crime & Justice Policy Research, 1° maggio 2024). Nel decennio 2013-2023 si stimava, a livello globale, la presenza di 28 bambini/ minori reclusi ogni 100.000 abitanti (United Nations Office on Drugs and Crime – UNODC, Eurostat, database TransMonEE). Un dato che mette i brividi. In Europa ad aprile 2024 erano 1.496.614 i detenuti, una cifra che fa del vecchio continente l’unico ad aver diminuito del 25,7% questo dato rispetto al 2000 (World Prison Population List, Institute for Crime & Justice Policy Research, 1° maggio 2024. NB: la ricerca non include tra i Paesi europei la Russia).

In Italia: dati preoccupanti sul sovraffollamento e fragilità degli Istituti di Pena per Minori Nelle carceri italiane al 30 settembre 2024 erano 61.862 i detenuti, 4.000 in più rispetto ad un anno prima e circa 10.000 in più rispetto ai posti a disposizione, con un tasso di affollamento del 130,4% e addirittura oltre il 200% in istituti come Milano San Vittore sezione maschile e Brescia Canton Mombello. Una tendenza simile solo a quella dell’Ungheria (Rapporto Antigone 2024 e World Prison Brief Data). All’interno di questi numeri emerge con drammaticità il dato relativo agli Istituti di Pena per Minori (IPM). Dall’entrata in vigore del Decreto Caivano (D.Lgs n. 123 15 settembre

2023), i giovani detenuti negli IPM sono cresciuti del 48% e 12 carceri minorili su 17 presenti in Italia sono interessati da un tasso di sovraffollamento che oscilla tra il 100% e il 183% (Dossier Antigone del 2024 sull’emergenza negli Istituti Penali per Minorenni), con situazioni estremamente precarie a Treviso (22 ragazzi per 12 posti regolamentari) e a Milano Beccaria (54 ragazzi per una capienza di 37).

Il Concetto Di Pena E Di Detenuto

Due punti di partenza per comprendere l’importanza dello sport nelle carceri

Lo sguardo che consente di includere lo sport tra le mura delle carceri, ancor prima che nascere dalla consapevolezza dell’importanza del movimento per il corpo e per la mente, origina sia da una precisa concezione della pena detentiva, sia da una visione altrettanto puntuale dei detenuti.

L’articolo 27 della nostra Costituzione, scritto nero su bianco il 17 dicembre del 1946 e completato un anno dopo, recita: «Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato». La chiave interpretativa per leggere la dimensione dell’attività sportiva nelle carceri sta tutta qui: nel principio rieducativo della pena dal quale, a cascata, derivano tutte le azioni e tutti i provvedimenti che portano negli istituti penitenziari attività culturali, spirituali, formative, sportive e ricreative in generale. Prima della Costituzione vigeva solo il Regolamento per gli Istituti di Prevenzione e Pena del 1931, che leggeva la detenzione come processo unicamente punitivo e intimidatorio, fondato sulla convinzione che punire fosse l’unico modo per educare e rieducare non solo i detenuti ma anche i bambini, a casa così come a scuola. Proviamo ora a interrogarci su cosa consideriamo realmente quando pensiamo alla figura di un detenuto e di una detenuta. Spesso si sentono frasi come “mettiamoli dentro e buttiamo la chiave”, che implicano una precisa idea di reclusione punitiva senza possibilità di redenzione e reinserimento alcuno, oltre a contenere una violenza verbale deprecabile. Il presupposto che muove le azioni degli Enti di Promozione Sportiva, delle Federazioni, dei comitati e delle associazioni all’interno delle carceri trova radici in un concetto agli antipodi: «Detenuto e reato non sono certo la stessa cosa; uno è un uomo, l’altro è la sua colpa» (S. Bonvissuto, Dentro, Einaudi, Torino 2012). Se c’è una colpa da espiare quindi, deve esserci a seguire un percorso di cambiamento dell’uomo, dove l’individuo prende coscienza di sé, dell’errore e della sua capacità di riscattarsi e cogliere una seconda possibilità attraverso un preciso e virtuoso percorso anche di risocializzazione. Si ritorna così al valore rieducativo della pena espresso nella Costituzione.

LO SPORT FA BENE. IN CARCERE DI PIÙ

La prevenzione dell’ipocinesia, l’attenuazione dei problemi psichiatrici e il fattore di inclusione sociale.

Tra le carceri italiane, secondo il XVIII rapporto dell’associazione Antigone, nel 2022 il 44,8% degli istituti metteva a disposizione l’uso della palestra una volta a settimana, il 30,2% non programmava alcuna attività fisica e il 17,7% consentiva attività solo ad alcune sezioni. Se si rapportano questi dati con quelli del sovraffollamento – come detto in precedenza, si parla di circa 10.000 detenuti in più rispetto ai posti a disposizione –, si intuisce come lo spazio per il moto destinato ad ogni singolo non sia per nulla sufficiente, così come la distribuzione dei tempi di attività che consenta la turnazione di tutta la popolazione detentiva, oltre all’effettiva presenza di strutture adeguate e di attrezzature. Sono situazioni che dipendono spesso da condizioni strutturali obsolete, a volte dalla difficile gestione delle circostanze interne all’istituto e, in alcuni casi, dall’indole a considerare l’attività sportiva come una “concessione” fatta ai detenuti e non un loro diritto. Quanto di più sbagliato, poiché esistono leggi che tutelano questo diritto basilare strettamente connesso alla salute.

Il benessere fisico.

Ormai è patrimonio comune che l’attività sportiva sia il fondamento di uno stato di buona salute generale. Nelle carceri diventa molto di più, diventa unico percorso per prevenire il declino fisico e l’ipocinesia, un disturbo che spesso provoca disordini associati a malattie degenerative che impediscono il normale movimento intenzionale del corpo, ad esempio il morbo di Parkinson. L’ipocinesia è dovuta alla sedentarietà prolungata, alla mancanza di sufficiente attività, e determina la compromissione delle capacità muscolari e motorie che può portare nel tempo a conseguenze cardiovascolari, circolatorie e metaboliche. Non siamo più davanti al solo “vai a giocare ché ti sfoghi!”; ci troviamo di fronte all’inalienabile diritto alla salute dell’uomo, tutelato anche dall’art. 32 della Costituzione. Niente attività motoria nelle carceri significa declino fisico inevitabile. «Prendersi cura del corpo del recluso, cercare di garantirgli un minimo di benessere fisico e sociale, superando l’imperante ipocinesia e abbandono, è un modo per ricordare a lui, e ricordare a noi, che abbiamo a che fare con delle persone, con le loro responsabilità e le loro colpe, ma anche con i loro bisogni, le loro necessità e i loro diritti» (A. Federici, M. Valentini, A. Ceccarini, F. Lucertini, Carcere, attività fisica e rieducazione: ruolo e potenzialità pedagogiche dell’educazione al “fair play” nello sport carcerario, in: Formazione e Insegnamento, XIII, 1, 2015).

La fragilità psichica.

A settembre 2024 erano 69 i suicidi registrati nelle carceri italiane (67 uomini e 2 donne), per lo più avvenuti tra giovani dai 26 ai 39 anni (31 persone) e per la maggior parte già coinvolti in episodi di fragilità, sottoposti a “grande sorveglianza” e con precedenti tentativi di suicidio. Numeri che superano il record negativo del 2022, che fece registrare 64 casi (Dipartimento Amministrazione Penitenziaria, Elaborazione dati a cura del dott. Giovanni Suriano, componente Ufficio GNPL). La correlazione tra attività sportiva e disagio psichico non è così evidente e immediata come per la salute fisica, ma è altrettanto vero che lo sport esercita un potere indiscutibile sui processi legati alla produzione della serotonina, alla stimolazione di emozioni e pensieri positivi, al contenimento di tensioni latenti e ansie persecutorie e depressive. Le attività motorie intramurarie all’aperto sono uno strumento di contenimento degli effetti negativi della privazione della libertà (art. 16 comma 2 Reg. esec.). In quest’ottica entra in campo l’importanza di progetti sportivi costanti e strutturati all’interno degli istituti. Progetti come l’avvio di squadre di calcio, pallavolo o basket interne alle strutture consentono ai singoli di interagire in gruppo, di confrontarsi, di collaborare per obiettivi comuni, di calarsi in un contesto di partita e competizione dove è determinante il rispetto della regola, dell’altro, dell’affiatamento nel gruppo, dell’accettazione della sconfitta, dello sforzo di volontà nella costanza e nella consapevolezza dei propri limiti. «Lo sport non è quindi unicamente una modalità di positiva canalizzazione dell’energia e dell’aggressività, ma uno strumento privilegiato per accedere alla mente» (A. Federici, M. Valentini, A.Ceccarini, F.Lucertini, Carcere, attività fisica e rieducazione: ruolo e potenzialità pedagogiche dell’educazione al “fair play” nello sport carcerario, in: Formazione e Insegnamento, XIII, 1, 2015). Lo sport in carcere non è un passatempo e l’aspetto della competizione non riguarda solo il traguardo da raggiungere in partita, ma è ogni volta il confronto con sé stessi, il simbolo di una libertà interiore che è l’unica raggiungibile durante la reclusione, e quella davvero necessaria per riacquisire fiducia, responsabilità e speranza, reinventandosi ad ogni allenamento e partita. Ci si può riscoprire uomini e donne con potenzialità e risorse nuove, poiché lo sport è in grado di riscrivere storie e infondere nuova dignità a chi si è sentito smarrito o invisibile.

Il dramma del disagio psicologico negli Istituti di Pena per Minori.

I detenuti degli IPM sono in una fascia d’età in cui l’urgenza di giocare e fare sport non è solo importante per il benessere psicofisico, ma è determinante come viatico di relazioni e basilare per la crescita dei giovani e delle giovani alle prese con un corpo in trasformazione e con emozioni spesso eccessive e soggette ad alti e bassi costanti. Lo sport è uno strabiliante regolatore dell’umore in questo senso e permette agli adolescenti e ai preadolescenti di affrontare i mutamenti del proprio fisico nel confronto con i coetanei, sperimentando le nuove attitudini e abilità durante l’allenamento e sfogando tensioni e accumuli di energie in azioni non violente. Alla luce di questo e considerando i dati di sovraffollamento citati in precedenza, è possibile rileggere con più chiarezza l’allarmante dato sulle continue e violente rivolte interne agli IPM, oltre all’innalzarsi del numero di giovani destinati a terapie psichiatriche all’interno degli istituti in conseguenza all’aumento di disturbi dell’umore, del comportamento, dell’alimentazione e dell’insorgere di idee suicidarie (Openpolis, 2024; Istat, 2022; Unicef Italia e Policlinico Gemelli, 2022). In 5 Istituti per Minori del nostro Paese la spesa a persona legata all’acquisto di farmaci antipsicotici è aumentata mediamente del 30% nel periodo post pandemico 2021-2022, un dato preoccupante se si pensa che nello stesso periodo, per gli stessi farmaci, nelle carceri per adulti la percentuale è stata dell’1% (Dossier Antigone del 2024 sull’emergenza negli Istituti Penali per Minorenni).

Un terreno di sperimentazione per l’inclusione sociale.

La positività che produce un percorso sportivo negli istituti di pena lascia una scia che filtra dalle mura e si propaga nelle città. Se è vero che per una città lo sport diventa determinante nei processi di inclusione sociale di gruppi di popolazione fragile soprattutto tra i giovani, un contesto di applicazione dove sperimentare queste potenzialità è proprio il carcere. All’interno degli istituti la pratica sportiva funziona in due direzioni socialmente rilevanti: la valorizzazione delle relazioni tra reclusi che sperimentano la vita all’interno di un contesto comune problematico, ma anche la costruzione di relazioni con persone esterne, così che sia facilitato il percorso di reinserimento nel tessuto sociale che li accoglierà dopo la pena. Attraverso lo sport «il miglioramento della salute e della forma fisica può favorire un atteggiamento costruttivo dal punto di vista della capacità di comunicazione, dei legami con la famiglia, in particolare i bambini, e dello sviluppo di un atteggiamento collaborativo con gli altri, uno sviluppo positivo della capacità di leadership, in un contesto in cui il rischio di leadership negative è dietro l’angolo» (Mauro Palma, sino a giugno 2024 Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale). Rientrare nella società e nella città come persone diverse, con consapevolezze forti e nuove, ha un impatto decisivo sulla diminuzione delle recidive, ma è anche un fattore determinante per bambini e giovanissimi che con l’ex detenuto o detenuta hanno un rapporto di parentela stretta. Per loro aumenta il rischio di crescere in povertà e in condizioni di marginalità, visto che i genitori con precedenti penali potrebbero essere discriminati nella ricerca di un lavoro e di una casa, e a questo si aggiungono vissuti di fragilità dovuti a frequenti separazioni familiari seguite alla detenzione, con tutte le conseguenze psicologiche che simili scenari comportano. Se il reinserimento sociale avviene, invece, con un ritorno forte di nuove consapevolezze e comprovati cambiamenti maturati durante la reclusione grazie a progetti di rieducazione e reinserimento, il percorso di vita delle famiglie ha grosse possibilità di compiere cammini virtuosi di ripresa della normalità e di uscita graduale dalla difficoltà. Lo sport nelle carceri è uno di questi progetti, e ha nel suo potenziale la capacità di agevolare questo cammino, ma nella maggior parte degli istituti di pena italiani resta ancora un potenziale inespresso. Riaccogliere un ex detenuto nelle dinamiche di un contesto sociale è compito anche di politiche amministrative inclusive. Il problema, però, è che spesso le città tendono a respingere la realtà carceraria, a far finta di non vederla e a destinarla ad aree periferiche del territorio dove possa restare “nascosta” alla cittadinanza. Eppure, il carcere assorbe e riflette le contraddizioni, le emergenze e le fragilità dell’ambiente che lo circonda e di cui la popolazione detentiva è frutto. Tutto questo lo spiega bene e in modo accorato Candido Cannavò, storico giornalista sportivo e direttore della “Gazzetta dello Sport” per 19 anni. Cannavò, scomparso nel 2009, trascorse otto mesi ogni giorno (e anche lunghe serate a volte) nel carcere di San Vittore raccogliendo storie come volontario, da cui poi trasse il libro “Libertà dietro le sbarre”. In quelle pagine scrive: «Il carcere fa parte di questa società, come le scuole, le chiese, gli ospedali. Non puoi nasconderlo per imbellettare una città dove si continuerà a delinquere a ogni livello e dove continueranno a esistere i problemi e i risvolti illegali dell’integrazione e dell’emarginazione: è un vile inganno, una fuga dalla realtà. […] Milano ha la Scala, il Duomo, la Fiera, San Siro e San Vittore. […] Un giorno questa gente lascerà il carcere. È meglio accogliere cittadini recuperabili o relitti senza speranza? Le famose garanzie di sicurezza che tanta gente invoca passano anche per questo dilemma al quale una società organizzata dovrebbe saper rispondere nella maniera più ovvia e più utile, senza coprirsi gli occhi».

LA LEGGE PORTA LO SPORT TRA CHI LA LEGGE L’HA INFRANTA

Risoluzioni, regolamenti, norme e leggi che valorizzano lo sport negli istituti di pena.

Nel 2013, con la risoluzione 67/296, le Nazioni Unite proclamano per il 6 aprile la Giornata Internazionale dello Sport per lo Sviluppo e la Pace, riconoscendo all’attività sportiva un crescente impatto nel promuovere una cultura di pace e di tutela dei diritti umani. Il tassello determinante con il quale lo sport entra in modo inequivocabile nelle linee guida sulla detenzione a livelli mondiali viene piantato nel dicembre del 2015, quando l’ONU adotta all’unanimità un regolamento standard per le regole di base nel trattamento dei prigionieri, le cosiddette “Mandela Rules” – regole di Mandela – in onore dell’eredità lasciata dall’ex Presidente del Sudafrica, che trascorse 27 anni in carcere combattendo per i diritti umani. Le regole, come si legge sul sito web delle Nazioni Unite, «delineano le condizioni minime di detenzione, forniscono orientamenti e fissano chiari parametri per il personale carcerario su come garantire la sicurezza e la dignità umana». Nella regola 4 viene indicato lo sport tra le tante attività che le amministrazioni penitenziarie sono obbligate ad offrire al fine di indirizzare i percorsi verso la rieducazione e il reinserimento nella società. È nella regola 23, però, che si entra nello specifico con l’indicazione di un’ora al giorno, minimo, di attività fisica all’aria aperta, e la possibilità di usufruire di corsi di ginnastica e altre attività fisiche in spazi adeguati con attrezzature apposite. Anche a livello europeo e di singoli Stati, le “Mandela Rules” gettano le basi per una legislazione specifica. Con la Raccomandazione R (2006) 2 del Comitato Europeo dei Ministri agli Stati membri, si delineano le Regole Penitenziarie Europee (formulate in prima istanza già nel 1987). La Regola n. 27, con focus sulle Attività Ricreative, inserisce lo sport tra quelle che l’amministrazione penitenziaria deve mettere a disposizione dei detenuti insieme ad attività culturali, giochi e passatempi. In Italia, oltre alla già citata Costituzione, l’ordinamento penitenziario si regge su due pilastri legislativi. «Negli istituti devono essere favorite e organizzate attività culturali, sportive e ricreative e ogni altra attività volta alla realizzazione della personalità dei detenuti e degli internati, anche nel quadro del trattamento rieducativo». Così recita la legge n. 354/1975 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà) al comma 1 dell’articolo 27. La legge formalizza e sancisce categoricamente il superamento del Regolamento per gli Istituti di Prevenzione e Pena del 1931. Importante nel testo è la valorizzazione del concetto di risocializzazione, da perseguire attraverso contatti con l’esterno utili al reinserimento sociale (art. 27 comma 2 e art. 15 comma 1). È proprio l’art. 17 dell’Ordinamento Penitenziario che definisce la possibilità degli operatori esterni e dei volontari di collaborare con le Direzioni penitenziarie. Allenatori, istruttori, trainer e responsabili dei progetti hanno accesso alle carceri proprio tramite permesso rilasciato sulla base dell’articolo 17. Il secondo pilastro legislativo, il DPR n. 230 del giugno 2000 (Regolamento recante norme sull’ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della libertà), nell’art. 16 – Utilizzazione degli spazi all’aperto –mette nero su bianco come le aree esterne degli istituti debbano essere destinate in particolare alle attività sportive ricreative e culturali. Tra gli accordi specifici intercorsi tra i governi e le istituzioni sportive, ricordiamo il protocollo d’intesa del 2013 tra l’allora Ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri e il Presidente del CONI Giovanni Malagò e, pochi mesi fa, quello siglato tra il Ministero della Giustizia e il Ministro per lo Sport e i Giovani, che introduce l’organizzazione di «percorsi di avviamento al tirocinio ed alla qualificazione tecnica, che consentano di offrire agli stessi [N.d.A. giovani detenuti] opportunità di lavoro, impegnandoli, altresì, in attività di supporto a manifestazioni sportive di particolare valenza sociale».

DALLE LEGGI AI PROGETTI

I casi virtuosi di Belgio e Gran Bretagna e l’esperienza italiana del CSI.Gli studi profusi e le leggi internazionali e locali hanno stimolato la nascita di numerosi progetti sportivi interni alle carceri, attivati sia da Federazioni ed Enti di Promozione Sportiva, sia da associazioni senza scopo di lucro e realtà di volontariato.

De Rode Antraciet: progetti innovativi a carattere europeo.In Belgio esiste la De Rode Antraciet, una delle realtà più interessanti a livello europeo con sede nelle Fiandre a Heverlee, ed inserita nel piano strategico fiammingo per i detenuti. Oltre ai numerosi programmi attivati da tempo nelle carceri, e ormai divenuti consolidata prassi quotidiana, l’associazione senza scopro di lucro ha lanciato due progetti europei estremamente innovativi. Il primo è “Sport in Prison, a Plan for the Future” (SPPF), cofinanziato dal programma Erasmus+ Sport dell’Unione Europea. Tra gli obiettivi emerge in primis la proposta di giungere ad una migliore connessione tra il mondo dentro e fuori le mura della prigione, facilitando partenariati del tutto nuovi tra carceri europee, detenuti, personale penitenziario, Federazioni sportive, club, volontari e parti sociali. Altro carattere di rilievo del progetto è la possibilità di «offrire ai detenuti la prospettiva di essere socialmente attivi, di lavorare sulle reti sociali e di combattere l’isolamento sociale» (derodeantraciet.be). Interessante è l’apertura a 5 Paesi partner facenti parte dell’Unione Europea, così da creare una sorta di “pacchetto di buone prassi” comuni da adottare nelle singole realtà e destinate ad operatori/professionisti a livello locale in un contesto europeo. Per l’Italia, coinvolta tra i 5 Paesi insieme a Olanda, Croazia, Bulgaria e, ovviamente, Belgio, l’Ente partner è la UISP, attiva con il settore “Politiche per l’interculturalità e la cooperazione” e da anni leader nell’attività sportiva per le carceri italiane. Il secondo virtuoso progetto di De Rode Antraciet è quello sulla cittadinanza attiva dei detenuti nelle prigioni (Prisoners’ Active Citizenship – PAC), che diventano primi soggetti attivi e partecipi nell’organizzazione delle attività interne, nella promozione di iniziative, nel discutere le relazioni tra detenuti e agenti, nelle riunioni in merito a condizioni di vita e progettualità nelle strutture. Ovviamente la progettualità sportiva fa parte di questi gruppi di lavoro partecipati e attivati in diverse carceri maschili e femminili del Belgio.

La Gran Bretagna e la Alliance For Sport in Criminal Justice.Altro caso rilevante europeo è quello della Alliance For Sport in Criminal Justice, nata in Gran Bretagna agli inizi degli anni 2000 nel carcere di Ashfield, a due ore da Londra. Lì i fondatori hanno creato un dipartimento di Educazione Fisica, una Sport Academy e il progetto “2nd Chance”, dedicato ai giovani nel momento in cui escono dal carcere e rientrano nella società.

Il caso italiano: gli Enti di Promozione Sportiva e il lavoro del Centro Sportivo Italiano. Come rilevato dall’associazione Antigone, il servizio più innovativo offerto alla popolazione detentiva italiana è quello del CONI in collaborazione con il Ministero della Giustizia, che ha dato ai detenuti e alle detenute la possibilità di acquisire le competenze necessarie – e spendibili – per diventare istruttori sportivi (XIV rapporto sulle condizioni di detenzione, Antigone). Da decenni, però, l’attività negli istituti è presidiata con grande investimento dagli Enti di Promozione Sportiva, con in testa la UISP – Unione Italiana Sport per Tutti, cui segue in enorme crescita il Centro Sportivo Italiano. Entrare nel dettaglio di ogni singolo progetto portato avanti da Comitati regionali e provinciali del CSI richiederebbe un numero speciale interamente dedicato a questo. Proviamo però ad elencare i principali percorsi intrapresi dalle realtà dell’Associazione, in rigoroso ordine alfabetico.

Comitati regionali CSI.È del marzo 2023 l’illustrazione dell’articolato percorso attivato dal CSI campano nell’ambito del progetto “Sportivi Sempre”, finanziato da Sport e Salute. Operatori, formatori ed educatori sono attivi nelle carceri di Carinola (Caserta), Pozzuoli (Napoli), Secondigliano, Aversa e Benevento. Spicca in particolare il corso arbitri di calcio a 5, che pone i detenuti nel ruolo di chi deve comprendere e assorbire la regola e farla rispettare, in un ribaltamento di prospettive finalizzato alla rieducazione e al reinserimento sociale. Proprio sulle possibilità di vita connesse al ritorno alla libertà, lavora il CSI Liguria con le detenute del carcere Pontedecimo a Genova. Qui l’attività prevede la formazione delle donne al fine di acquisire competenze e titoli qualificanti spendibili negli Enti ed Associazioni che si occupano di educazione motoria e sportiva. L’iniziativa rientra nel più ampio progetto “Vasi Comunicanti” e vanta la collaborazione con la scuola regionale del CONI.

Comitati provinciali CSI.Tennistavolo, fitness, calcio, tennis. Sono queste le attività del progetto aretino “Rieduchiamo con lo Sport”, che offre attività sportiva costante ai detenuti del carcere San Benedetto di Arezzo e tirocini formativi all’interno delle associazioni. Sotto il nome di “Il mio campo libero”, che è contenitore nazionale di numerosi progetti declinati a livello locale, troviamo quello del CSI di Ascoli Piceno. Oltre all’attività ordinaria fatta di sport e formazione sportiva, il progetto ha avuto un momento di restituzione con un torneo di calcio a 6 nel febbraio 2024 nella casa circondariale di Marino Del Tronto, che ha visto anche la partecipazione di Confindustria e Provincia. Il CSI Bari sostiene da un anno il progetto “Oltre la Siepe”, nato dall’iniziativa dell’ASD San Giorgio presso la Casa di Reclusione di Turi (BA). La cultura sportiva, fondata sui valori della continuità di pratica, dell’autodisciplina e dell’aggregazione, è il traguardo che si pone il progetto. Nel piano è incluso inoltre un corso arbitri che consentirà ai detenuti di ottenere la qualifica CONI da spendere nei campionati nazionali CSI.

A Belluno lo sport nel carcere di Baldenich si intreccia con la musica rock. “CSI – Carcere Sport Insieme” è un’iniziativa che da una decina di anni vede i volontari del CSI Belluno attivarsi affinché vengano garantite la pratica sportiva ai detenuti e, attraverso la collaborazione con una band locale, anche momenti di intrattenimento musicale. Da aprile è stato inaugurato anche un corso arbitri per i detenuti.

Il CSI di Cremona punta tutto sul tennistavolo presso la casa circondariale cittadina. Il progetto coinvolge i collaboratori CSI, dal referente della Commissione Tennistavolo a sei volontari appartenenti a quattro società cremonesi. Ad ora sono 49 i detenuti coinvolti dopo otto mesi di progetto settimanale.

A marzo di quest’anno il CSI Messina ha organizzato, in concomitanza con la Giornata Nazionale delle Vittime Innocenti delle Mafie, un triangolare di calcio a 7 presso la casa circondariale “Gazzi” della città. Di grande significato la presenza di una squadra di magistrati che ha affiancato quella del carcere e quella dei volontari CSI. Momento di festa al termine di sette mesi di progetti dedicati a quattro sport differenti.

Il CSI Milano è reduce da anni record in termini di ore di sport – 800 ore – portate nelle carceri di Milano San Vittore, minorile Beccaria e San Quirico di Monza con il progetto “Liberi di Giocare”. In tutti e tre gli istituti sono presenti squadre di calcio e, nella casa circondariale di San Vittore, la formazione di calcio a 5 dei detenuti gioca un regolare campionato provinciale insieme alle società CSI di oratorio. Pallavolo, basket, fitness sono altre attività presenti negli istituti. È del 2023, poi, la convenzione firmata dal CSI Milano e CONI Lombardia con il Tribunale per i Minorenni di Milano, che prevede la possibilità di inserire nelle società sportive alcuni ragazzi a cui il tribunale assegna la pena alternativa dello svolgimento di lavori socialmente utili piuttosto che la detenzione in carcere. Nel proprio progetto di sport e carcere, che terminerà per ora nel giugno del 2025, il CSI Modena ha deciso di fare rete con numerose realtà del territorio e con una società sportiva affiliata, la CSI Gialloblu Sport ASD, capofila della cordata. L’attività è destinata alle sezioni maschile e femminile della casa circondariale S. Anna di Modena. I detenuti svolgono attività sportive di calcio, urban dance, pallacanestro, pesistica e scacchi, mentre nella sezione femminile si praticano pallavolo e danza. Il carcere di Rebibbia è quello destinatario del progetto “Sport Inside” del CSI Roma, che offre a 100 detenuti della sezione maschile corsi sportivi settimanali, oltre ad un corso allenatore di calcio a 5, e percorsi formativi come quello di mental coach sportivo.

A Trento, presso la casa circondariale Spini di Gardolo, il Comitato locale organizza attività sportiva settimanale tutto l’anno sia nella sezione femminile che maschile, con un’attenzione particolare per il reinserimento sociale che vede la stretta collaborazione tra il CSI Trento e l’Ufficio Esecuzione Penale Esterna, che ha in carico i detenuti in messa alla prova. Amichevoli di calcio a 7 e tornei sono in programma nella casa circondariale di Busto Arsizio, dove il CSI Varese sta portando avanti una sensibilizzazione verso le sue società sportive affiliate affinché si crei una sinergia tale da poter calendarizzare una serie di amichevoli con i detenuti della sezione maschile.

Da quando ha vinto il bando della Regione Veneto per le attività sportive e associative nel carcere di Vicenza, il CSI vicentino ha steso un programma fittissimo di attività nel carcere Filippo Papa. Tennistavolo, nordic walking, scacchi, tai chi chuan e persino lezioni di ortoterapia.

Il progetto si allarga ad una rete di relazioni che ne ampliano le finalità. Ma il CSI Vicenza è andato anche oltre: ha stretto legami con le scuole portando gli istituti superiori nelle carceri con il percorso “Carcere Lungo”; ha stretto un rapporto con sponsor che hanno fornito materiale sportivo in comodato d’uso, e ha messo a disposizione degli istituti penitenziari operatrici qualificate per l’accoglienza dei bimbi dei detenuti durante le visite familiari.

Lo sport di base ha dimostrato ancora una volta di aver recepito le esigenze dei territori e delle fasce fragili della popolazione, dando risposte concrete ai bisogni attraverso l’attività sportiva.

Le premesse, dunque, ci sono tutte affinché questo strumento diventi davvero leva per una più semplice ed efficace risocializzazione degli ex detenuti ed ex detenute, e mezzo per la tutela del diritto alla salute psicofisica di chi vive la detenzione. Anche l’impianto legislativo non manca di valorizzare lo sport e la sua centralità nelle progettualità delle direzioni penitenziarie. I dati, però, restituiscono una situazione che non corrisponde a quella che ci si aspetterebbe, visti i presupposti. Da qualche parte il percorso si inceppa e non è ancora chiaro dove, ma continuare a lavorare affinché nelle carceri si possa “andare a giocare, così ci si sfoga” continua ad essere determinante.

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