Educazione diffusa. Istruzioni per l’uso
Sedurre dirigenti scolastici e/o similia All’inizio occorre individuare un punto fermo. Benché sostanzialmente l’educazione diffusa abbia un carattere nomadico, specie nei suoi orizzonti futuribili, in partenza è necessario assicurarsi una base, un portale, una tana dove trovarsi, riflettere, progettare, riposare, complottare e tornare. Allo stato delle cose, se si vuole coinvolgere la popolazione che soffre maggiormente a scuola, sono meglio le sedi pubbliche (per evitare le solite esperienze aristocratiche). Altrimenti si può provare anche privatamente, con genitori coraggiosi e altre figure all’uopo. Nel pubblico (cioè una scuola, da rivoluzionare almeno inizialmente per una classe), occorre la complicità di: un dirigente didattico, il municipio di diretto riferimento, un plotoncino di insegnanti ed educatori a profusione. Ma la figura più importante è il dirigente, al momento plenipotenziario relativamente alla programmazione didattica, almeno stando alle ultime normative in materia. Attualmente non esistono veri programmi disciplinari nella scuola, semmai competenze necessarie per superare determinate prove alla fine del triennio di secondaria inferiore o simili. Deinde: c’è libertà di programmazione. Un dirigente didattico, se vuole (lo abbiamo verificato) può varare una sperimentazione interna (senza approvazione del Ministero dell’Istruzione) di educazione diffusa e gaia. Le complicazioni possono nascere in tema di organico, ma sono abbastanza facilmente superabili chiedendo un eventuale stanziamento di risorse all’ufficio territoriale. Non ci si faccia dunque spaventare. Un dirigente didattico convinto è il deus ex machina per partire alla volta del futuro. Certo, poi ci sono gli insegnanti da convincere, i genitori da sedur22