Numero 14 28 Marzo 2019 APRILE 2019
L'economia raccontata dagli under 35
COPIA OMAGGIO the-newsroom.it
IN CERCA DI LAVORO
Focus
CONVIENE CERCARE LAVORO O REDDITO? Intervista
Vincenzo Boccia, Presidente Confindustria
POSTE ITALIANE S.P.A. SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - 70% S/CE/16/2018
Come trovare il lavoro giusto nell'Italia che scopre il reddito di cittadinanza.
PROLOGO
The New’s Room cresce e vi da appuntamento ogni mese, anche in edicola, con un focus rinnovato sull’economia. Siamo partiti dall’idea di creare una rivista nuova, un punto di riferimento in grado di portare la voce di una generazione spesso inascoltata. Siamo cresciuti e la redazione che abbiamo selezionato attraverso un contest meritocratico è pronta a raccontarvi il mondo che cambia. Parleremo di economia e abbiamo scelto, per il secondo numero dell'anno, di indagare il motore essenziale di ogni economia, anche in epoche di accelerazioni e rincorse all'intelligenza artificiale: il lavoro. Come possiamo migliorare il nostro lavoro (e la nostra vita), trovare il lavoro che manca, e portare avanti la nostra società? Nelle prossime pagine la nostra redazione indaga per voi. Pierangelo Fabiano, Fondatore
INDICE
EDITORIALE di Barbara Gasperini
I
ndicati come iGen, Centennials o Plurals, sono i giovani nati tra il 1995 e il
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Editoriale
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Uno sguardo ai numeri di Greta Ubbiali
2012. Cresciuti nel periodo in cui le nuove tecnologie informatiche si sono
Approfondimento
diffuse, sono coloro che hanno percorso buona parte dell’iter formativo nell’era
di internet, elemento che li connota come perennemente connessi alla rete. Sono preso il posto della lungimiranza quando si decide in fatto di politiche per il lavoro tanto che la disoccupazione tra i 15 e i 24enni italiani è pari al 32,6%, il doppio della media europea (16,9%). Ci consola la timida crescita dello 0,1% del numero stimato di lavoratori rispetto a dicembre 2018 e quei 21 mila occupati in più a gennaio 2019 sono espressione degli sforzi del Sistema Paese per contrastare la recessione. Il dato giovanile però è tetro e paradossale se letto da uno studente del futuro in gita al museo dell’ISTAT dove ci piacerebbe che una minuscola sezione portasse il nome del titolo
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portatori sani di futuro e in molti casi di speranza, quella che in Italia sembra aver
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pubbliche amministrazioni e perfino del più tradizionale artigianato? Secondo Anitec-Assinform, l’Associazione Nazionale delle imprese ICT di Confindustria, i trend mondiali di sviluppo digitale futuro saranno i Big Data, il Mobile Business, il Cloud Computing, tutto il mercato dell'Internet of Things e la crescente domanda di soluzioni di sicurezza informatica. Un quadro apparentemente perfetto dove domanda e offerta sembrerebbero in armonia celeste. Ma così non è ad oggi, anzi sembra uno scenario ancora lontano se consideriamo il tragicomico cammino di un giovane in cerca di lavoro che abbiamo titolato appunto “Il Gioco dell’Oca”, non per farci beffe
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che essa produrrà sugli equilibri sociali. La rivoluzione industriale che va sotto il
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Conviene cercare lavoro?
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Come si crea il lavoro?
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Un contratto a prova di futuro
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Lavoro e mafie
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I rischi dell’algoritmo nella selezione
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Formazione permanente
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Il curriculum perfetto
più importante brand del mondo nell’era digitale. Mettere al centro le competenze significa assegnare il ruolo di attore principale all’uomo e al suo talento. Se l’Italia vuole davvero entrare nel futuro non può farlo senza offrire ai giovani che lo devono costruire la possibilità di esprimere quel talento attraverso il LAVORO.
di Giulia Lucchini e Filippo Poltronieri di Alessia Laudati di Marco Bova
di Francesco Malfetano e Luca Sandrini di Roberto Rotunno
Racconto 38
La grande prova del colloquio
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A caccia di lavoro su linkedin
di Livia Liberatore
di Roberto Moliterni
Rubriche
sull’occupazione) non è un rinnovo del parco tecnologico del nostro “Made in Italy” leadership manifatturiera del nostro Paese. Competenze necessarie a trainare il
di Lorenza Patanè
di Pietro Mecarozzi
nome di “Industria 4.0” (celebrata e contestata per gli effetti che se ne attendono ma è soprattutto un adeguamento delle competenze che servono per mantenere la
Un patto per la crescita
Focus
nostra società al richiamo irresistibile di vecchie dinamiche analogiche. Quando completamente catturata dall’indagine sulla nuova civiltà delle macchine e gli effetti
Il gioco dell’oca
di Lorenzo Sassi
di chi tenacemente lo percorre ma per accostare una porzione dell’insuccesso della parliamo di innovazione tecnologica e rivoluzione digitale, la nostra attenzione è
di Elena Pompei
Intervista
penalizzata dal mercato del lavoro italiano? Forse perchè l’Italia fatica a trovare la processi di trasformazione necessaria delle aziende, industrie, piccole e medie imprese,
Il duro lavoro delle soft skills
a cura di Roberto Rotunno e Lorenzo Sassi
expert” e “artificial intelligence systems engineer” come può la iGen essere fortemente spinta propulsiva per entrare nel presente della digital disruption e accelerare quei
di Filippo Poltronieri
Infografica
il reddito di cittadinanza: “IN CERCA DI LAVORO”. Come fanno, dunque, i figli del livello internazionale) sono quelle di “data scientist”, “big data analyst”, “cyber security
Vorrei lavorare di più ma non riesco
Cover Story
del secondo numero di The New’s Room dedicato all’occupazione nell’Italia che scopre www ad essere proprio loro più a spasso? Se ad oggi le competenze più richieste (a
di Barbara Gasperini
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L'oggetto dell'economia
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Libreria
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L'agenda del CEO
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Il lavoro del futuro
di Danila Giancipoli di Lorenzo Sassi
di Barbara Gasperini di Sofia Gorgoni
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NUMERI
uno sguard0 ai numeri Disoccupazione, diseguaglianze, qualità lavoro, mismatch domanda/offerta
NUMERI
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Skill mismatch tra competenze acquisite dai lavoratori oggi e le competenze richieste dal lavoro di domani 7,1
• Entro il 2020 si prevede la perdita di milioni di posti di lavoro, la maggior parte nei ruoli amministrativi secondo i dati del World Economic Forum.
2,5 3,2
• L'Italia tra il 2019 e il 2023 avrà bisogno tra i ei milioni di persone per favorire il turnover occupazionale e la crescita economica. Soprattutto nei settori delle tecnologie, della matematica e dell’ingegneria.
Fonte: Sistema informativo Excelsior di Unioncamere
a cura di Greta Ubbiali
Lavori più richiesti 2019
Trend mondiali di sviluppo digitale futuro
data scientist
Big Data
big data analyst
Il Mobile Business
cyber security expert
Il Cloud Computing
cloud computing expert
Il mercato dell'Internet of Things IOT
artificial intelligence systems engineer Ricerca di Excelsior di Unioncamere e Anpal
Domanda di soluzioni di Security Fonte: Anitec-Assinform, Associazione Nazionale delle imprese ICT e dell’Elettronica di Consumo
L'Italia in digitale • Il 65% dei bambini che oggi vanno a scuola da grandi svolgeranno dei lavori che ancora non esistono.
Fonte: World Economic Forum
• In Italia il 30% dei cittadini non ha competenze digitali. Fonte: Europe's Digital Progress Report della Commissione Europea Indice Desi • Secondo il Desi, l'indice sulla digitalizzazione dell'economia in Europa creato dalla Commissione Europea, l'Italia è al 25° posto su 28 per competitività e per competenze digitali. Progetto ICEE • Gli studenti che investono almeno 100 ore in progetti pratici di imprenditorialità migliorano del 10% il proprio rendimento anche nelle materie curricolari. ICEE è una ricerca, cofinanziata dalla Commissione europea nell’ambito del programma Erasmus+, che ha indagato lo scenario che si prospetterebbe se il 50% degli studenti tra i 15 e i 20 anni facesse un’esperienza imprenditoriale pratica prima di lasciare l’istruzione obbligatoria. Fonte: Report 2018 di Junior Achievement Italia
Occupazione E Disoccupazione IN ITALIA Tasso di disoccupazione: 10,5% • L’ISTAT indica che a gennaio 2019 la stima degli occupati è del a dicembre 2018 (+21 mila lavoratori). Fonte: Istat
58,7%, lo 0,1% in più rispetto
• La disoccupazione giovanile italiana risulta il doppio di quella dei 28 paesi UE. Nel mese di gennaio 2019, il tasso di disoccupazione giovanile era del 14,9 per cento tra i 28 Paesi membri e del 16,5 per cento nell'intera area euro. • Quella italiana è salita al , dal del 2018, scalzando la Spagna e diventando così la seconda più alta dopo la Grecia (39,1%).
33%
32,8%
Fonte: Tiscali News
NEET • Neet è l'acronimo dell'espressione inglese "neither in employment nor in education and training". Indica il fenomeni dei giovani che non studiano e non lavorano.
29,5%
• Nel 2017 erano il dei giovani in Italia, contro una media europea del secondo i dati europei di Eurostat
17,2%
Diseguaglianze di genere
84,6%
• Tra i laureati magistrali, a cinque anni dal conseguimento del titolo, il tasso di occupazione è pari all’
91,0% per gli uomini. Una differenza di 6,4 punti percentuali. • Tra chi ha figli il differenziale aumenta ancora di più e arriva al 25,4%. • Il tasso di occupazione risulta pari al 90,2% per gli uomini, rispetto al 65,7% per le donne. per le donne e al
Fonte: Rapporto 2018 AlmaLaurea sulla condizione occupazionale dei laureati
• Secondo le statistiche Istat il 75,1% dei lavori domestici viene ancora oggi svolto dalle donne
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PAROLE
Diseguaglianze di genere/pay gap Le differenze di genere si riflettono anche sulla retribuzione. A cinque anni dal titolo gli uomini guadagnano in media 1.675 euro netti mensili rispetto ai 1.416 euro delle donne. Il 18,3% in più a favore degli uomini. Fonte: Rapporto 2018 AlmaLaurea sulla condizione occupazionale dei laureati.
Il
3 novembre è il cosiddetto equal pay day
Da quel giorno fino alla fine dell’anno, le donne dell’Unione europea lavoreranno gratis, a causa del gap di salario tra uomini e donne. La data è stimata dalla Commissione europea e calcolata con i dati Eurostat.
202: numero di anni, ad oggi, che serviranno per raggiungere la parità salariale secondo le stime di Bank of America Merrill Lynch Global Research.
NUMERI
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Lavoro dipendente, partite IVA, startup -19 mila) e dei dipendenti a termine (-16 mila).
ma un calo dei lavoratori indipendenti (
STARTUP IN ITALIA
8.897 • Capitale sociale medio ad impresa: 56.097 euro per un totale di 423 milioni di euro. • Il 70% delle startup fornisce servizi alle aziende.
• Numero totale di startup italiane:
Fonte: 15esimo Rapporto trimestrale sulle aziende innovative realizzato da ministero dello Sviluppo Economico e InfoCamere
PARTITE IVA IN ITALIA
L’Italia è al 70°posto sul tema del Gender Gap, rilevato dal World Economic Forum 2018. +12 posizioni rispetto al 2017 grazie a: • una maggiore percentuale di parlamentari donne; • miglioramenti di parità salariale per lavori simili; • diminuzione del divario di genere nel reddito stimato del paese. La Banca d’Italia ha stimato che un aumento del tasso di partecipazione femminile al 60% comporterebbe un aumento del Pil fino al 7%.
Dal mondo • La Norvegia è stato il primo Paese europeo ad aver introdotto le quote di genere nella composizione dei board. • Secondo uno studio di McKinsey la parità di genere può valere fino al 31% del Pil mondiale in più entro il 2025.
Focus su società quotate in Italia • Con la legge Golfo-Mosca (120/2011) le donne nei cda delle società quotate italiane sono arrivate al 33,6%. Nel 2008 la percentuale femminile nei board era ridotta al 6%. • La presenza femminile fa bene ai conti delle aziende secondo CONSOB. • Quando la quota femminile supera il 30% ovvero raggiunge +0,51 sul ROA (Return on assets), 1,734 sul ROE (Return on equity), 0,67 sul ROIC (Return on invested capital) e 6,82 sul ROS. Fonte: Quaderno della finanza Consob “Boardroom gender diversity and performance of listed companies in Italy”
• Secondo un approfondimento de La Repubblica del mese di maggio 2018 a cura di Ettore Livini tra i 250 i dirigenti più pagati a Piazza Affari, 240 sono uomini. E gli stipendi sono di gran lunga maggiori rispetto alle controparti femminili. • Le top manager più ricche d’Italia hanno guadagnato insieme in tutto 15,9 milioni di euro (media 1,5 milioni a testa). Gli uomini hanno stipendi di 9,4 milioni di euro ciascuno.
+56 mila),
• L’Istat sottolinea che a gennaio 2019 si è registrato un aumento dei dipendenti permanenti (
8,2 milioni circa. • Numero di Partite IVA attive: 6,2 milioni circa. • Nel corso del 2018 sono state aperte circa 512.800 nuove partite Iva, in calo dello 0,5% rispetto al 2017. Il 43% delle nuove aperture è localizzato al Nord, il 22,1% al Centro e il 34,6% al Sud e Isole. • Numero di Partite IVA esistenti:
SETTORI PRODUTTIVI DELLE PARTITE IVA • Il commercio è il maggior numero di aperture di partite IVA, con il • Il
17% degli avvianti è nato all’estero.
Fonte: Osservatorio delle partite Iva del Ministero dell’Economia e delle Finanze
20,6% del totale.
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NUMERI
Italiani che lavorano all’estero • Nel 2018 sono stati registrati come residenti in un altro paese più di
5,1 milioni di cittadini italiani.
Fonte: Aire
• Secondo il report Istat “Migrazioni internazionali e interne della popolazione residente“ nel 2017
28mila giovani italiani laureati sono volati all’estero. A loro si aggiungono 33 mila diplomati di 25 anni e oltre che cercano un impiego all’estero. Negli ultimi 5 anni sono stati 244 mila i giovani espatriati di cui il 64% ha un titolo di studio medio-alto.
• Ogni italiano che emigra rappresenta un investimento per la collettività pari a 90mila euro se diplomato, 170mila se laureato e 228mila euro quando a partire è un dottore di ricerca (PHD). Fonte: Dossier statistico Immigrazione 2017 di Idos e Confronti su dati Ocse
Qualità lavoro nelle aziende alphabet microsoft
apple
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Dalla classifica Global 2000 ecco i World's Best Employers 2018 Le italiane presenti nella lista sono 11: Ferrari (36°), Luxottica (72°), Enel (101°), Banco Bpm (175°), Banca Popolare di Sondrio (219°), Poste Italiane (269°), UniCredit (376°), Terna (382°), Generali (421°), FinecoBank (435°) e Leonardo (453°).
American Express Italia hilton
conte.it
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Zeta Service Nutricia Italia
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American Express Italia
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Classifica ufficiale di "Great Place to Work" 2018 (Italia)
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Focus "Best Workplaces for Millennials 2018" di "Great Place to Work" Il Winning Women Institute ha rilasciato il "bollino rosa" a sette grandi imprese che si sono distinte per retribuzione, carriera, maternità e accesso al lavoro femminile: Allianz Partners, Alés Group, Amgen, Cameo, Biogen, Grenke, Sanofi. Fonte: https://www.avvenire.it/economia/pagine/parita-di-genere-ecco-le-migliori-aziende-per-le-donne
Il bollino rosa di Winning Women Institute Il Winning Women Institute ha rilasciato il "bollino rosa" a sette grandi imprese che si sono distinte per retribuzione, carriera, maternità e accesso al lavoro femminile: Allianz Partners, Alés Group, Amgen, Cameo, Biogen, Grenke, Sanofi.
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Vorrei lavorare di più ma non riesco Un problema chiave del nostro mercato del lavoro è la sottoccupazione di Filippo Poltronieri
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fine febbraio sono usciti i numeri più aggiornati e affidabili sul mercato del lavoro in Italia, una fotografia del 2018. Ebbene, uno dei dati più eclatanti è quello riguardante la sottoccupazione, un fenomeno sempre più diffuso e involontario. Secondo i dati elaborati da Istat, Inps, Inail, Anpal e Ministero del Lavoro, gli ultimi dieci anni hanno visto sì una crescita di 125mila occupati ma al contempo si sono perse nel nulla 1,8 miliardi di ore lavorate. Il che significa che nel complesso, rispetto al 2008, si lavora molto meno, vuoi per innovazione tecnologica, vuoi per elementi strutturali del nostro mercato del lavoro. L’enorme cifra di ore perse corrisponde a un milione di posti di lavoro a tempo pieno. In un confronto più concreto con la realtà italiana si tratta di persone che lavorano nelle cooperative, dipendenti della gig economy, lavoratori a chiamata, partite Iva sottopagate e chi più ne ha più ne metta.
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Alcune volte sono lavori che non permettono di svolgerne più di uno, impieghi che richiedono una flessibilità quasi totale. Dai dati a disposizione emerge che mediamente un sot-
toccupato sarebbe disponibile a lavorare 19 ore in più a settimana. E il problema tocca in gran parte i più giovani e le donne, la fascia più colpita da sottoccupazione e inattività. La conseguenza primaria della bassa intensità lavorativa - che si accompagna spesso a sovraistruzione e conseguente fuga di cervelli - è una difficoltà materiale a raggiungere l’indipendenza economica e a intraprendere dunque un proprio percorso professionale e di vita, viste le scarse tutele che accompagnano questi impieghi sotto il punto di vista contributivo. Persone che vorrebbero ma non possono, abbandonate spesso in una giungla di normative contrattuali poco dignitose. Persone che probabilmente non avranno i requisiti per entrare nel sistema del reddito ma che avrebbero certamente bisogno di una politica mirata a un’inclusione integrale e più proficua nel mondo del lavoro.
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COVER STORY
Il duro lavoro delle soft skills Se è vero che le hard skills ti fanno avere il colloquio, saranno le soft a farti avere il lavoro
di Elena Pompei
C
’è stato un tempo in cui una camicia stirata e un po’ di know-how erano sufficienti a farti avere il lavoro, poi qualcuno ha iniziato a parlare di intelligenza emotiva. La competitività del mercato ha reso evidente, già da qualche tempo, che le competenze da manuale non sono più sufficienti, e che è in continua crescita il rilievo dato alle competenze interdisciplinari da parte dei manager e dei recruiter. C’è senz’altro una tendenza a guardare alle cosiddette soft skills come ad una versione contemporanea delle vecchie virtù: capacità innate, non misurabili, frutto dell’esperienza e della naturale propensione del singolo. Poiché dunque le abilità adattive non possono essere insegnate, ma devono essere costruite, acquisiscono un valore fondamentale per l’azienda in termini di occupabilità. La valorizzazione delle soft skills non è una cortesia che la cultura del lavoro fa alla cultura dell’umano: è piuttosto la chiave che permette alle capacità più strettamente professionali del lavoratore di trovare una direzione. Valorizzare le soft skills significa allora che le capacità meramente operative non sono sufficienti, ma che è necessario trovare un proposito all’agire e una direzione al fare. Per quanto evidente che in fase di colloquio tendano ad emergere maggiormente le competenze adattive, ben più tangibili nell’immediato di quelle strettamente disciplinari, non si può sostenere la prevalenza di una categoria sull’altra. Nella selezione del candidato è superflua la distinzione binaria tra competenze tecniche e trasversali, specialmente perché, a un secondo sguardo, le soft skills altro non sono che capacità ineludibili dei singoli settori. Sono apparentemente accessorie, ma fondamentali perché le capacità hard vengano messe in atto con coerenza. Il confine tra le due è tutt’altro che netto, e l’acquisizione di competenze soft è tutt’altro che immediata.
COVER STORY
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non risiede soltanto nella capacità di un candidato di proporre le competenze interdisciplinari che possiede, quanto nell’abilità di chi assume di valorizzarle e coglierne il valore. Se in Italia il 95,4% (Istat, 2015) delle imprese sono micro, e impiegano dunque meno di dieci lavoratori, ne risulta che un numero estremamente ridotto di esse avrà una figura appropriata alla gestione del personale, facendo sì che sia l’imprenditore ad operare la selezione. Non è quindi difficile immaginare l’incidenza che avrà il similarity bias (pregiudizio di somiglianza) nel processo decisionale. Secondo LinkedIn, infatti, nel 42% dei casi la selezione del personale viene orientata da quelle che vengono chiamate “distorsioni cognitive”, prima fra tutte proprio la similarity bias, ossia la tendenza del selezionatore ad assumere il candidato che percepisce come più simile a sé, non formulando dunque un giudizio obiettivo sulle sue reali conoscenze e competenze.
La costruzione delle soft skills implica un lavoro da eseguire nel tempo, con fiducia ed impeL’imprenditore, nelle Piccole e medie imprese, gno, imparando dall’esperienza e accogliendo il è incline ad accettare l’affiancamento di alcuni confronto. Se le soft skills hanno acquisito tanta collaboratori in ragion del fatto che non può fare centralità nel mondo del lavoro è perché esso è tutto da solo. È per questo che tenderà a prediin un contesto evolutivo di ligere parenti e conoscenti, digitalizzazione ed informaoppure tecnici specifici del tizzazione dei processi. Tale La costruzione delle soft core aziendale, trascurando trasformazione muove nella skills implica un lavoro il fondamentale ruolo che le direzione di una progressiva da eseguire nel tempo, risorse umane svolgono nelacquisizione di competenla crescita del business. L’imcon fiducia ed impegno ze tecniche da parte delle prenditore ha spesso un conmacchine, nelle più varie cetto strettamente amministrativo della gestione configurazioni che ciò può comportare. Per quedei propri impiegati, e imposta con loro, sin dalla sta ragione è proprio la flessibilità una delle soft loro selezione, un rapporto prettamente intuitivo. skills più richieste nel nuovo modo di fare lavoro: Perché dunque le competenze interdisciplinari è sempre più rilevante che un lavoratore riesca a acquisiscano realmente la centralità che meritacomprendere la volatilità del cambiamento, metno, bisogna cambiare la cultura d’impresa. tendo in atto abilità trasversali che agevolano ed accompagnano le evoluzioni. La centralità delle Il manager, il cui ruolo gli permette di cogliere soft skills si afferma con le trasformazioni sociali le evoluzioni del mercato da un punto di osserche hanno origine dalle nuove sfide del digitale, il vazione privilegiato, deve precedere i collaboraquale ci consegna un nuovo modo di lavorare, più tori nella ricezione del cambiamento, cercando liquido, che sfugge alle logiche tradizionali. di realizzare un equilibrio tra le sfide del settore e le specificità individuali. Un simile obiettivo si In questo senso giungiamo al secondo nodo raggiunge solo se si mira ad un mutamento della fondamentale della questione: se è senz’altro nementalità, sia del lavoratore sia del manager, in un cessario porsi la sfida ultima di cambiare il compercorso di apprendimento condiviso che punportamento del lavoratore, è ancor più decisivo ti a capire come affrontare un momento di forte, modificare la mentalità del manager. Il problema ma stimolante, incertezza dei processi evolutivi.
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COVER STORY
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il GIOCO DELL'OCA Trovare lavoro è sempre più complicato, soprattutto per i giovani. Il percorso della ricerca di un impiego è simile al gioco dell'oca. Marco si è appena laureato in una materia che dà pochi sbocchi sul territorio. a cura di Roberto Rotunno e Lorenzo Sassi
L'università non ha mai attivato uno sportello efficiente di orientamento lavorativo. Recati a un centro dell'impiego.
PARTENZA
Torni al centro per l'impiego. Grazie a Garanzia Giovani trovi un altro tirocinio, di sei mesi.
PARTENZA
(con tirocinio alle spalle nel CV)
Al termine dell'ultimo contratto ha coinciso l'arrivo del sussidio di disoccupazione. Questo, supportato da qualche lavoretto pagato in nero o con i voucher, ti permette BONUS: di rilanciare i dadi
PARTENZA (due tirocini da sei mesi e un contratto di sei mesi nel CV)
Avendo lavorato a partita Iva, ora non hai più nemmeno diritto a un sussidio di disoccupazione. Non puoi più fruire di Garanzia Giovani perché hai passato i 29 anni. Non resta che lanciare i dadi.
RITORNI ALLA PARTENZA
BONUS: IL REDDITO DI CITTADINANZA
Richiedi il reddito di cittadinanza e firmi il patto per il lavoro. Torni al centro per l'impiego e vieni assegnato a un navigator. Nei primi dodici mesi, però, non ottieni offerte di lavoro congrue da parte di aziende del territorio. Lancia i dadi.
Tramite il master, hai trovato un’azienda, che è disposta a farti lavorare. Tuttavia il costo del lavoro è alto, quindi un contratto non è tra le opzioni sul tavolo. Viene proposta una collaborazione a partita Iva. Dopo solo un anno, però, cala il fatturato e l'azienda riduce il budget per i collaboratori. Vieni messo alla porta e torni alla casella di partenza.
BONUS: GARANZIA GIOVANI.
RITORNI ALLA PARTENZA
Ottieni un tirocinio di 6 mesi.
BONUS: ASSUNZIONE
Il contratto è valido per altri sei mesi; al termine dei quali però vieni licenziato. Non sei riuscito a convincere l'azienda, che intanto ti ha rimpiazzato con un altro tirocinante (che costa meno).
BONUS: ASSUNZIONE A TEMPO DETERMINATO. Prima per sei mesi, poi fino a 2 anni. Lancia i dadi.
BONUS: PARTITA IVA
Dopo oltre un anno dall'avvio del reddito, ti viene offerto un lavoro a 600 chilometri da casa. Sei costretto ad accettare: il contratto è a tempo indeterminato, supera il minimo di 858 euro (salario da 900 al mese) e se lo rifiutassi perderesti il reddito.
RITORNI ALLA PARTENZA
LA MANNAIA: IL DECRETO DIGNITA'. Il decreto impone all'azienda di decidere se stabilizzarti a tempo indeterminato o se mandarti a casa. Lancia i dadi.
Il datore di lavoro opta per la cessazione del contratto. “Ci dispiace, ma un contratto a tempo indeterminato ci costa troppo”. I tuoi due anni di contratto ti danno diritto a un sussidio di disoccupazione di un anno. Col tempo a disposizione frequenti un corso di formazione: quando è finito devi sfidare di nuovo la sorte. Lancia i dadi.
FINE
Hai un lavoro a tempo indeterminato. Ma lo stipendio non è alto, hai le spese d'affitto, ambizioni, e fra poco vorrai mettere su famiglia. Perciò non smetterai mai di cercare un posto migliore. Seguirai corsi di formazione anche nel week end o altri Master. Hai capito che nel mercato del lavoro moderno bisogna sempre ambire alla crescita professionale e non adagiarsi. Insomma, anche ora che hai un posto fisso, è come se fosse tornato alla casella di partenza.
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INTERVISTA
Quanto ha inciso il rallentamento dell’economia globale sui conti pubblici italiani?
Un patto per la crescita Intervista al presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia: apre sul salario minimo, ma chiede uno sforzo al governo
di Lorenzo Sassi
A
più riprese, negli ultimi mesi, il Presidente di Confindustria Vincenzo Boccia ha esplicitamente contestato alcune delle misure varate dal governo giallo-verde. Le contraddizioni sottolineate da Boccia riguardano il rapporto tra crescita economica, investimenti e lavoro. Le imprese italiane sono in crisi? Se sì, perché? Quali soluzioni sarebbe opportuno adottare? “Tutti gli indicatori ci dicono che l’economia mondiale rallenta e quella italiana quasi si ferma. In questo contesto rischia di arretrare quel 60 per cento di aziende italiane che stava faticosamente cercando di venir fuori dalla crisi mentre un 20 per cento è già fuori mercato e un altro 20 per cento continua ad andar bene soprattutto perché ha imboccato la strada delle esportazioni. A generare questo fermo contribuisce anche la domanda esterna che si presenta in flessione. Per rilanciare l’economia Confindustria suggerisce da tempo di inaugurare una grande stagione di investimenti pubblici (aprendo i cantieri e avviando le grandi opere a partire dalla Tav) e privati (potenziando gli strumenti che li incentivano come Industria 4.0)”.
INTERVISTA
“Se le analisi degli osservatori sono esatte quest’anno il Pil italiano dovrebbe crescere tra lo 0 e lo 0,6 per cento. Operando una media potremmo supporre, se non accade nulla a cambiare le cose, che aumenterà dello 0,3 per cento e quindi quasi un punto in meno di quanto previsto dal governo. Il che equivale a quasi 16 miliardi di euro che nella prossima manovra si vanno ad aggiungere ai 23 che servono a scongiurare l’aumento dell’Iva”. Quanto impatto ha la manovra dell’esecutivo sull’economia reale del paese? Perché la manovra non è sostenibile? “La manovra del governo si concentra sui contenuti del contratto: Reddito di cittadinanza e Quota 100. Per renderla sostenibile occorre aprire ai temi dello sviluppo capaci di incentivare gli investimenti e l’occupazione”. Il problema è reddito di cittadinanza o il combinato disposto tra reddito e Quota 100? Una manovra espansiva non dovrebbe fare ripartire i consumi? “L’impatto sui consumi ci può essere ma non nella misura che occorre per ottenere una crescita del Pil compatibile con gli obiettivi indicati dallo stesso governo. L’unico modo per rendere sostenibile la manovra è compensarla con misure rivolte alla crescita come l’apertura dei cantieri e il varo di politiche utili ad accrescere la competitività delle imprese”. Il reddito di cittadinanza ha riaperto il problema del salario minimo in Italia. Perché questo traguardo non è ancora stato raggiunto e quali ostacoli si incontrano sulla strada che porta al salario minimo garantito? “Il tema del salario minimo, che possiamo anche condividere, pone due questioni principali: misurare la rappresentanza per evitare che organizzazioni autoreferenziali possano fare dumping contrattuale ed evitare di scoraggiare le imprese. Nel documento di Verona prima e nel Patto della Fabbrica dopo individuiamo una serie di azioni che si possono realizzare per dare impulso alla crescita e al lavoro, soprattutto giovanile, che resta la grande emergenza del Paese. Per esempio,
suggeriamo di tagliare il cuneo fiscale a totale beneficio dei lavoratori, di sterilizzare da tasse e contributi i premi di risultato in modo da incentivare lo scambio virtuoso tra salario e produttività, di eliminare per tre anni il peso fiscale nell’assunzione di giovani a tempo indeterminato. In definitiva quello che diciamo da tempo è che occorre abbassare le tasse per alzare i salari. Basti pensare che al netto che va in tasca al lavoratore si aggiunge in media in 120 per cento di tasse e contributi”. Qual è il problema legato al decreto dignità? “Lo abbiamo detto più volte. La criticità è legata alle causali introdotte dopo i primi dodici mesi di contratto. Un vincolo che spinge le imprese ad accelerare il turn over dei giovani per evitare possibili complicazioni giudiziarie. Sarebbe bastato sollevare la soglia a 24 mesi, come da noi proposto, per mitigare d molto questo effetto”. Dopo le elezioni si riaprirà la discussione per preparare il prossimo Def. Che cosa si aspetta dal Governo e che cosa dovrebbe inserire nella nuova manovra? “La prima cosa da fare è sbloccare tutte le opere – piccole, medie e grandi, al Nord come al Sud - che attendono di essere realizzate e per le quali esistono già gli stanziamenti in modo che non si incida sul deficit e sul debito. Uno studio dell’Associazione dei costruttori indica che solo per lavori superiori ai 100 milioni sono disponibili 27 miliardi che darebbero occupazione a quattrocentomila persone. Altri cinquantamila posti si attiverebbero a regime con la Tav. Il Centro studi della Confindustria ha calcolato che mettendo in moto questi investimenti si realizzerebbe un incremento del Pil dell’1 per cento in tre anni. È evidente che si pone un problema di tempi e per questo suggeriamo di prendere spunto dal caso Genova, dove per assicurare la rapida costruzione del ponte si è dato un ruolo di commissario al sindaco, per attribuire ai primi cittadini poteri speciali in attesa che la semplificazione e l’accelerazione delle procedure ordinarie facciano il proprio corso”.
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CONVIENE CERCARE LAVORO? La tentazione del divano e l’orgoglio del lavoro
di Vittoria Patanè
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on sappiamo se il reddito di cittadinanza riuscirà ad “abolire la povertà”, come ha promesso il vicepremier Luigi Di Maio. È certo però che sul provvedimento l’Italia sia spaccata a metà. Difficile trovare mezze misure tra chi la ritiene una legge volta a garantire una maggiore equità sociale e chi, al contrario, crede che sia emblema di disparità, permettendo a chi non è occupato di avere un reddito uguale (ma esentasse) a chi va a lavorare guadagnando 800 euro al mese. Alla polemica si sono uniti l’ex presidente dell’Inps, Tito Boeri, il direttore dell’area Lavoro di Confindustria, Pierangelo Albini, e il presidente dell’Upb, Giuseppe Pisauro. Secondo loro, l’importo troppo alto del beneficio - che arriva a 780 euro al mese per un single in affitto - potrebbe scoraggiare i cittadini a cercare lavoro, soprattutto i giovani under 30 che stando ai dati hanno uno stipendio mediano di 830 euro al mese, e i dipendenti privati del Sud, il 45 per cento dei quali ha “redditi da lavoro netti inferiori a quelli garantiti dal reddito di cittadinanza”, ha spiegato Boeri. Pisauro ha aggiunto che sarebbero quattrocentomila gli occupati cui converrebbe licenziarsi per ottenere i requisiti per il reddito. (Attenzione, l’accesso è precluso a chi si dimette nei 12 mesi precedenti alla richiesta).
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IL COSTO PER L'AZIENDA Se con il Reddito di cittadinanza una persona può percepire fino a 780 euro al mese senza pagare l’Irpef, 780 euro in busta paga corrispondono a un costo per l’impresa di 1.360 euro, ricorda il Cento Studi di Confindustria. L’azienda paga la retribuzione lorda e i contributi a carico del datore, mentre il dipendente paga l’Irpef e i contributi a carico del lavoratore.
Il problema non riguarda solo il Sud. Secondo il ministero del Lavoro, Lazio e Lombardia, territori caratterizzati da alta occupazione, sono tra le regioni in cui è stato presentato il maggior numero di domande. Non a caso, uno studio condotto da HousingAnywhere dice che Milano e Roma sono fuori dalla Top 50 delle città in cui è più facile vivere e trovare lavoro. La prima è sessantesima, la Capitale è in 87.ma posizione. Parliamo di luoghi in cui, un esercito di (giovani) stagisti, apprendisti, stagionali, part-time involontari, operai sottopagati potrebbe presto porsi una domanda: in un Paese in cui il salario minimo non esiste così come l’ipotesi di alzare gli stipendi medi, conviene il lavoro o il reddito di cittadinanza? Senza contare che chi riceve il beneficio ha l’obbligo di accettare un’offerta lavorativa solo se il salario supera gli 858 euro al mese, più di quanto percepiscono le categorie citate.
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Domande lecite, ma c’è chi è ottimista. Francesco Duraccio, segretario nazionale del Consiglio dell’Ordine Consulenti del Lavoro spiega a The New’s Room: “Ogni misura di sostegno al reddito può prestarsi a un uso distorto. Visto in quest’ottica, il reddito di cittadinanza potrebbe essere un disincentivo. L’approccio corretto però è un altro. Il provvedimento non è solo un sussidio economico, ma anche una misura proattiva di inclusione sociale e lavorativa. Il percorso non è facile, ma spero che tra un sostegno al reddito limitato nel tempo e un’opportunità di lavoro, ancorché dello stesso valore economico, i giovani optino per la seconda. È una scelta di dignità”. Per capire chi avrà ragione bisognerà aspettare i primi dati. Nel frattempo l’auspicio è che il dibattito non si trasformi in una battaglia tra poveri.
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COME SI CREA IL LAVORO LO STATO PROVA DA MOLTO TEMPO AD AIUTARE CHI È SENZA OCCUPAZIONE. MA NON SEMPRE CI RIESCE. UNA LEZIONE UTILE PER CHI PROMETTE L'ABOLIZIONE DELLA POVERTÀ? di Giulia Lucchini e Filippo Poltronieri
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l via le richieste del Reddito di cittadinanza. I centri per l’impiego si preparano ad affrontare l’arrivo di molte domande, ma il numero dei dipendenti per la presa in carico dei disoccupati beneficiari del reddito rimarrà lo stesso (8mila persone), già largamente deficitario. Questi centri, presenti su tutto il territorio, da molto tempo offrono servizi ai cittadini e alle imprese. Tra gli obiettivi c’è quello di rafforzare la continuità tra formazione e lavoro e facilitare l’inserimento lavorativo, un intento comune a quello di vari bandi come per esempio Garanzia Giovani, programma finalizzato a favorire l’ingresso nel mondo del lavoro rivolto ai giovani fino a 29 anni, o Garanzia Over, che invece si rivolge agli over trenta e anche Generazioni fino a massimo trentanove anni. Ma quali sono stati fino ad oggi i risultati? Garanzia Giovani non ha risposto alle attese, visto che solo il 17,5 per cento dei presi in carico dai Centri per l’Impiego ha trovato un lavoro dopo aver partecipato a un programma da quasi 2 miliardi e mezzo di finanziamenti in cinque anni di attività. Risultati deludenti che si spiegano con l’abuso del tirocinio (è accaduto solo in Italia che nel 60 per cento dei casi il progetto si declinasse in stage) a discapito di formazione, orientamento e sostegno all’autoimprenditorialità, altri tipi di intervento che erano previsti dalla Youth Guarantee. Dando un’occhiata poi alle bacheche dei Centri per l’Impiego e agli annunci online è facile osservare come gran parte degli annunci targati Garanzia Giovani siano per lavori poco qualificati e per i quali è difficile immaginare la necessità di un tirocinio di inserimento: addetti alle pulizie, aiuto magazzinieri, operatori della grande distribuzione. Eppure i Centri per l’Impiego hanno fatto il loro lavoro, prendendo in carico il 78 per cento degli iscritti al programma (l’altro 22 per cento si è iscritto alle agenzie per il lavoro private). “Il problema è che spesso il contatto è fittizio”, spiega Anita, operatrice del Centro
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per l’Impiego di Cinecittà, Roma. “Il giovane si presenta al Centro per iscriversi al programma con in tasca il contatto dell’azienda che vuole usufruire solamente dell’agevolazione. Spesso in questi casi si tratta esclusivamente di ricorso a lavoro stagionale sottopagato”. Nel caso del Bando di Ricollocazione Generazioni indetto dalla Regione Lazio (le cui condizioni essenziali per aderirvi erano: essere disoccupati, avere non più di 39 anni e essere residenti nella Regione Lazio) faceva da tramite tra l’iscritto e l’ente accreditato. In quest’ultimo si seguiva un programma di reinserimento nel mondo del lavoro consistente in laboratori di gruppo e formazione. Insomma per lo più gli operatori (specialisti di risorse umane, consulenti di orientamento professionale e psicologi del lavoro) aiutavano le persone ad affrontare al meglio un colloquio (facendo per esempio simulazioni di colloqui di gruppo), insegnavano a navigare nelle varie piattaforme LinkedIn, Indeed o Monster alla ricerca di offerte di lavoro inerenti rispetto al proprio profilo e infine rivedevano i curSolo il 17,5% ha trovato un lavoro riculum vitae spesso pieni di errori e poco attraenti.
dopo aver partecipato a un programma da quasi 2 miliardi e mezzo di euro
Fino a quando si trattava di teoria si può dire che i laboratori e i corsi fossero anche ben strutturati e funzionassero. Il problema nasceva nel momento della pratica perché la triste realtà era che questi enti non avevano poi un contatto diretto con le aziende e con le imprese. Insomma, l’iscritto al bando doveva stilare una lista di tutte le sue candidature per poi mandare un file di monitoraggio con il nome e i contatti dell’azienda, il link dell’annuncio e la data di invio candidatura alla persona preposta che teoricamente avrebbe dovuto avere contatti con il mondo del lavoro. Praticamente però c’era il vuoto. Sta di fatto che la maggior parte dei partecipanti non solo non riusciva a trovare lavoro, nonostante i potenziali incentivi che il partecipante a Generazioni portava con sé (come in questo caso un bonus assunzionale per le imprese fino a ottomila euro), ma al termine del bando non era riuscito neanche a sostenere un colloquio. “Durante i miei sei mesi non sono riuscita a trovare lavoro - racconta una delle partecipanti, Erica, 39 anni - ma ho acquistato sicurezza nell’affrontare un colloquio, ho creato una mia pagina LinkedIn e ho definito un cv professionale migliorandolo in qualità di segretaria amministrativa con contabilità base. Purtroppo non ho trovato un impiego, ma quanto meno ho messo da parte il senso di spossatezza svegliandomi presto al mattino”. Certo, un buon metodo per uscire dalla depressione della disoccupazione, ma non la soluzione a un problema. Speriamo che nel caso del Reddito di cittadinanza non sia la stessa cosa.
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Un contratto a prova di futuro Un mercato del lavoro dove il libero professionista non è sinonimo di precario e dove esiste il diritto alla disconnessione
di Alessia Laudati
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l posto fisso, inteso come modello di organizzazione primaria del lavoro, non tornerà. Facciamocene una ragione anche se per molti oggi è qualcosa che sta tra la riserva indiana e la leggenda. Così un contratto, quando c’è, è diviso in mille formule. Le partite Iva i co.co.co., i lavori a chiamata o a termine. Lo stesso avviene per lo stage, diviso tra curriculare ed extracurriculare e spesso poco attento a incentivare davvero la formazione. Questo è quello che abbiamo; ma invece cosa possiamo immaginare? Come potrebbe essere un contratto - di impiego o di stage - che tenga insieme le caratteristiche buone e innovative della modernità e allo stesso tempo non rinunci all’obiettivo di dare dignità e competitività?
Overworking e diritto alla disconnessione. ”Il nostro nemico è il sonno”, ha detto una volta il Ceo di Netflix riferendosi al tentativo dell’azienda in streaming di colonizzare gli spazi prima dedicati al silenzio, al sonno, o al riposo ‘sconnesso’. Siccome ormai siamo tutti raggiungibili sempre e su diversi canali, il contratto del futuro dovrà disciplinare anche il diritto alla disconnessione garantendo la capacità di essere irreperibili e totalmente offline.
Sì a libero professionismo ma no a working class poor. Il problema delle ‘false’ partite Iva e dei falsi co.co.co. è quello di impoverire il lavoratore dal punto di vista fiscale, previdenziale e retributivo. Perché mentre l’azienda risparmia sulle tasse e sui contributi pensionistici se dichiara di avere rapporti di lavoro con un libero professionista invece che con un dipendente, il lavoratore sarà
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comunque vincolato agli orari di ufficio, ai tempi di produzione e a un’organizzazione gerarchica. Quindi non solo non potrà accedere a retribuzioni più alte previste dai contratti collettivi nazionali, ma non potrà nemmeno alzare il valore del proprio reddito compiendo altri possibili lavori durante la giornata. E proprio il reddito da lavoro, se medio-alto, è ciò che distingue un libero professionista, non per forza una figura fragile o mal pagata tout court, dalla figura del working poor o del precario. Quindi flessibilità sì, ma ben pagata e soprattutto rispettata.
Stage davvero formativi e non lavoro a basso costo. A nessuno piace sentirsi un carrello parcheggiato sull’asfalto di un grande ipermercato. Nemmeno in giovane età. Eppure lo stage, strumento per eccellenza di collegamento tra mondo della formazione e mondo professionale, viene a volte utilizzato per fornire lavoro gratis senza dare in cambio ai giovani nessuna competenza specifica. In Italia lo stage curriculare, quello che si svolge all’interno del percorso di studi universitario e che serve per ottenere i famosi Cfu, non ha l’obbligo di retribuzione. Al contrario dello stage extracurriculare, dove il ‘rimborso spese’ è fissato a livello regionale. Spesso l’assenza di un corrispettivo economico non invoglia l’azienda a investire sul giovane per permettergli di imparare competenze specifiche né obbliga a trattenerlo per recuperare i soldi investiti. Sarebbe invece utile prevedere in tutti i casi un rimborso e un controllo maggiore da parte dell’Università o degli enti formativi nel rispettare alcuni parametri specifici.
La scomparsa del binomio ora-lavoro.
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Oggi la produttività è regolata soprattutto dall’indice del tempo speso in azienda mentre in futuro si potrà parlare più di prestazioni offerte piuttosto che rimanere ancorati al parametro della sola presenza fisica. Inoltre si prevede che nei prossimi dieci anni (fonte Adapt), il 44% dei lavoratori attuali svolgerà altre mansioni. Proprio perché ci immaginiamo che il lavoro cambierà velocemente grazie a tecnologia e automazione bisognerà a pensare a formule che prevedano una formazione continua e che sostengano il lavoratore anche nei possibili periodi di cambi di mansione o di discontinuità tra un posto e l’altro (anche se fisso).
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LAVORO E MAFIE L'ECONOMIA ILLEGALE E CRIMINALE PRODUCE IL 13,8% DEL VALORE AGGIUNTO TOTALE di Marco Bova
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o lo sapevo che funzionava così ma cosa dovevo denunciare? Che eravamo serviti e riveriti?”. Lo sfogo è di Pietro, un uomo sulla cinquantina residente nel parmense, tuttora dipendente di una ditta sequestrata per infiltrazioni mafiose. Si tratta di un'azienda leader nel recupero di materiale plastico con base a Parma, ma secondo la Direzione distrettuale Antimafia di Catanzaro era gestita da un imprenditore organico alla ndrangheta, arrestato lo scorso anno: Franco Gigliotti. “Io sono sempre stato pagato e vedevo sempre nuove assunzioni, tanto che alcuni erano assunti sulla carta ma in fabbrica non venivano mai: ovviamente erano i capi settore”, aggiunge Pietro. L'imprenditore era arrivato dalla profonda Calabria ma in Emilia aveva stabilito i suoi tentacoli. “Entrare dentro la meccanica di processo della produzione alimentare vuol dire avere direttamente a che fare con le aziende di produzione alimentare e quindi con il vero potere di questa città”, spiega Aldo Barbera, segretario della Fiom Cgil di Parma. La ricetta è sempre la stessa ma la linea della palma di cui parlava il maestro Salvatore Sciascia è ormai straripata. Lo stupore per la presenza dei clan nelle regioni del Nord ormai è roba da stralunati e da decenni pic-
ciotti e affiliati si trovano in Lombardia, così come in Piemonte, Liguria, Toscana, Emilia Romagna e perfino in Valle d'Aosta. Le radici restano nel Meridione, dove i metodi sono più che consolidati, ma l'esportazione è ormai andata a buon fine. Il mercato del lavoro, soprattutto quello non qualificato, resta una Cosa Loro. In questo modo i voli Ryanair in partenza da Palermo o Reggio Calabria hanno sostituito i treni infiniti che portavano lavoratori e valigie di cartone nell'operosa Torino. Come racconta il procuratore nazionale Antimafia, Federico Cafiero de Raho, “sono anni che anche il Governatore della Banca d’Italia individua le mafia come la zavorra dell’economia italiana, eppure nei confronti delle mafie ancora ci si muove come se fosse qualcosa che deve necessariamente essere presente nei nostri paesi”. Secondo un recente studio dell'Istat “l'economia non osservata, ovvero quella illegale e criminale, produce una media nazionale del 13,8 per cento del valore aggiunto totale”. Poi ci sono i focus regionali. In Puglia, secondo la Cgil, viene stimato al 19 per cento e riguarda “una sottrazione di risorse pari a quasi 5 miliardi e mezzo di euro l'anno, 13 mila euro ogni residente”. In Calabria, secondo fonti di Bankitalia, “deprime il reddito in misura
molto consistente. Si parla di percentuali tra il 10 e il 15 per cento, una vera e propria manovra economica”. Di certo a cadere nella rete delle cosche ci sono piccoli e grandi appalti pubblici ma anche il controllo del mercato del lavoro. “Non si muove foglia se don Tano non voglia”, si diceva nella Sicilia anni Ottanta. Ma adesso poco è cambiato. Alcuni anni fa a Trapani, nella provincia del latitante Matteo Messina Denaro, si è scoperto che un imprenditore locale, Giuseppe Grigoli (condannato per mafia e adesso in carcere) gestiva tutta la rete dei supermercati a marchio Despar. Circa 400 dipendenti che dopo l'arresto del “capobastone” hanno vissuto momenti palpitanti. Alcuni di loro erano stati assunti per fare dei favori ai boss, altri permettevano di prelevare contanti senza lasciare traccia, altri ancora non avevano nulla a che fare con la mafia. Poi c'è l'ultimo spauracchio: quello dei colletti bianchi. Se ne parla da decenni e la storia giudiziaria è ormai piena di esempi di questo tipo e di certo “una borghesia mafiosa costituita da commercialisti, avvocati e anche istituzioni – conclude il procuratore De Raho - finisce per agevolare l'infiltrazione delle mafie, nell'economia e anche nella politica italiana”.
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I RISCHI DELL’ALGORITMO NELLA SELEZIONE L'ECONOMIA ILLEGALE E CRIMINALE PRODUCE IL 13,8% DEL VALORE AGGIUNTO TOTALE di Francesco Malfetano e Luca Sandrini
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e prendiamo per buona la teoria economica neoclassica, un mercato perfettamente competitivo garantisce l’allocazione più efficiente delle risorse. La distanza tra il risultato teorico e l’esperienza quotidiana del mondo sarebbe solo il risultato dell’azione di tante imperfezioni che impediscono al mercato di operare in modo “perfetto”. Queste imperfezioni, o frizioni, possono essere le più svariate, dalla presenza di monopoli, di dazi, a fattori più “naturali”, come la distribuzione delle risorse nello spazio. La medesima logica vale se applicata alla forza lavoro. Una domanda, da parte delle imprese, e un’offerta, quella dei lavoratori, che coincidendo fissano prezzo e quantità scambiate. Nel 2010, l’economista Dale T. Mortensen riceveva il premio Nobel per l’economia (assieme a Diamond e Pissarides) per i suoi contributi nell’analisi sulle “frizioni di ricerca”. Lavoratori e datori di lavoro, cercandosi, possono incorrere in ostacoli di natura temporale e spaziale (la ricerca del lavoro richiede tempo e i due agenti potrebbero essere distanti) che causano intoppi nelle dinamiche di mercato, allontanandolo dalla condizione di concorrenza perfetta. Rimuovere queste frizioni, secondo gli economisti, sarebbe quindi una strada obbligata per rendere efficiente il mercato del lavoro. Questo è il punto in cui teoria e pratica collimano, o meglio, in cui la teoria utilizza gli strumenti a disposizione per divenire pratica. Qui entrano in gioco gli algoritmi, una delle facce della logistica contemporanea. Nata con l’intento di organizzare in modo efficiente i flussi di merci, a partire dalla tratta degli
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schiavi nel XVI e XVII secolo, la logistica ha assunto il compito di appianare ogni frizione esistente e permettere alle merci (lavoro compreso) di muoversi rapidamente. La recente fase di avanzamento tecnologico, la cosiddetta Industria 4.0, ha introdotto strumenti di organizzazione di merci e lavoro estremamente avanzati e, a tratti, vagamente distopici. Tra questi, l’algoritmo è forse l’esempio più emblematico di come la teoria stia cercando di farsi pratica. Mettendo in comunicazione domanda e offerta, l’algoritmo comprime lo spazio e il tempo al massimo, accelerando così il passaggio, fondamentale, dalla produzione al consumo. Nel lavoro, dove la merce sono le caratteristiche di un lavoratore, la specificità della sua forza lavoro, l’algoritmo permette alle imprese di identificare nel tempo più breve possibile e con la minore probabilità di insuccesso i migliori candidati per una posizione. Dall’identificazione di parole chiave a veri e propri test psicologici, lo screening preselettivo del personale tramite algoritmo e Intelligenza Artificiale (IA) è sempre più diffuso e rap-
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presenta un mercato da circa 3 miliardi di dollari, oggi in espansione. Lo strumento che sembra aver preso piede più facilmente, quantomeno in Italia, è la gamification. Vale a dire la pratica di utilizzare dei videogiochi in ambiti in cui di solito non sono previsti. Così, i candidati per un certo posto di lavoro, sempre più spesso si ritrovano davanti un tablet con delle prove da superare. Percorsi a punti, sfide di ogni genere, quiz a tempo e molte altre attività pseudo-ludiche studiate appositamente per testare competenze specifiche dei candidati: dalle capacità decisionali all’attitudine alla sfida, dal raggiungimento di risultati in un tempo predeterminato, fino all’oculatezza nell’utilizzo delle risorse. Una profilazione in piena regola che spesso viene completata anche attraverso delle video interviste. Ad esempio l’applicazione Yobs - sviluppata dal 22enne Federico Dubini,
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un ricercatore italiano volato a Los Angeles proprio grazie alla sua idea - solo osservando un filmato è in grado di analizzare ben 400 parametri verbali e non, riuscendo ad individuare i tratti di personalità del candidato e anche le sue caratteristiche meno evidenti. Questi sono solo due esempi del processo di automatizzazione del recruiting in corso.
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Nel lavoro, dove la merce sono le caratteristiche di un lavoratore, la specificità della sua forza lavoro, l’algoritmo permette alle imprese di identificare nel tempo più breve possibile e con la minore probabilità di insuccesso i migliori candidati per una posizione.
Un’evoluzione che ha già raccolto pareri entusiasti da parte delle direzioni HR italiane: secondo i dati raccolti da Hr Trends & Salary nel 2017 infatti, l’85% di esse ritiene che migliorino radicalmente la gestione delle risorse umane. Pareri che tuttavia sembrano cozzare con chi quella selezione la subisce. Secondo alcuni infatti, l’applicazione sistematica di algoritmi e AI in un processo tanto delicato, risulterebbe disumanizzante. Allo stato attuale c’è il rischio che un solo refuso all’interno di un curriculum inviato ad un’azienda - magari attraverso la sezione “lavora con noi” del loro sito - possa escludere il candidato dalla selezione. Ma anche che, una volta superata questa prima scrematura, il giovane alla ricerca di lavoro si trovi di fronte un robot, o meglio un chatbot, che in pochi minuti decide se merita di incontrare un selezionatore in carne ed ossa. Una situazione frustrante soprattutto per chi alle prime armi sente di non poter mettere in mostra il meglio di sé. Anche perché secondo i dati messi a disposizione da LinkedIn nel 2018, mediamente l’IA respinge il 75% delle candidature inviate per una posizione. Non proprio un inizio incoraggiante.
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FORMAZIONE PERMANENTE Chi cerca lavoro anche se lo ha già: il caso Amazon di Roberto Rotunno
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ggi sono addetti al carico e scarico dei pacchi in magazzino, un mestiere molto faticoso, ma un domani potrebbero diventare esperti di progettazione e design, o magari infermieri. Messo in questo modo sembrerebbe un salto di palo in frasca, un percorso senza alcun nesso logico, ma in Amazon non la pensano proprio così. È per questo che da anni il colosso dell'e-commerce paga la formazione dei suoi facchini impiegati nei vari poli logistici, come quello di Castel San Giovanni (Piacenza) diventato noto sedici mesi fa per lo sciopero del Black Friday contro le mansioni ripetitive.
Si tratta anche – e soprattutto – di corsi che nulla hanno a che vedere con i compiti svolti attualmente da queste persone. Insomma, l'azienda stessa pone le basi affinché i suoi lavoratori possano ambire a un impiego ritenuto più soddisfacente e presentare le dimissioni volontarie. Il programma si chiama “Career Choice”, cioè scelta di carriera e in tutta Europa vi hanno aderito oltre 2mila dipendenti. Così facendo, spiegano dall'azienda di Jeff Bezos, “possono ottenere una qualifica per occupazioni ben remunerate e molto richieste”. Insomma, possono andarsene a lavorare da un'altra parte. “Paghiamo il 95 per cento delle tasse di iscrizione e dei costi per i libri. Finanziamo queste spese in anticipo, non come rimborso dopo il completamento del corso”, aggiungono. Ogni lavoratore ha diritto a questa dote per quattro anni, poi non può più beneficiarne. I settori più frequenti sono progettazione e design, tecnologie per le macchine utensili, assistenza infermieristica, contabilità e conduzione di mezzi pesanti. Quest'ultimo, in effetti, potrebbe
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tornare utile alla stessa Amazon, visto che l'azienda opera nella consegna delle merci quindi avrà sempre più bisogno di autisti specializzati. Più difficile è trovare un collegamento tra le attività dell'e-commerce e le altre materie. Ma allora perché spingere verso questo tipo di formazione? Secondo i critici, Amazon in questo modo favorisce un costante ricambio nella forza lavoro impegnata nei magazzini, che così facendo rimane sempre di età media bassa. Insomma, giovane e fresca, più propensa allo sforzo fisico. L'azienda, invece, dice che è solo un modo per venire incontro a quei lavoratori che abbiano diversi obiettivi professionali: “Molti dei dipendenti nei nostri centri di distribuzione – chiariscono - scelgono di costruire la propria carriera all’interno di Amazon. Per altri invece lavorare in Amazon potrebbe rappresentare un passaggio verso una carriera in altri settori. Vogliamo rendere più semplice per i dipendenti fare questa scelta
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e seguire le proprie aspirazioni”. Tra l'altro, Amazon è sempre disposta a dare un incentivo economico ai licenziamenti volontari. Si chiama “The Offer”, l'offerta in denaro presentata a chi decide di firmare la lettera di dimissioni. “Tale opzione – concludono offre un aiuto economico a chi intraprende altre strade, portandosi dietro il bagaglio d'esperienza maturato all'interno della nostra azienda”. Comunque la si pensi, è un metodo del tutto inedito, soprattutto in Italia, paese nel quale la formazione continua dei lavoratori non ha ancora fatto breccia nel cuore di molte imprese. E sembra anche creare un nuovo modello: il lavoro manuale diventa temporaneo per definizione, un modo per assicurarsi un guadagno mentre si acquisiscono nuove competenze che permettano di arrivare pronti al giorno in cui ci si stancherà o il datore preferirà assegnare a una macchina il movimento ripetitivo.
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IL CURRICULUM PERFETTO LE REGOLE PER NON SBAGLIARE: LA PRIMA IMPRESSIONE È SPESSO DECISIVA di Pietro Mecarozzi
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l curriculum vitae è un'arma a doppio taglio: ora trampolino, ora freno. La sua grammatica può influire in maniera positiva o negativa sull'esito di un colloquio o, a priori, sulla candidatura per un posto di lavoro. Non conta quindi avere skills o conoscenze di alto livello quando, tra refusi e vocaboli superficiali, il Cv ricorda un menù scritto a mano. Ma quali sono le caratteristiche fondamentali di un curriculum perfetto? • "Deve essere efficace, cioè consentire al selezionatore di cogliere subito l’effettivo valore della candidatura” afferma Silvia Moretti, consulente placement e responsabile del laboratorio di ricerca attiva del lavoro dell'Università degli studi di Firenze. • L'ausilio di una lettera di presentazione è indispensabile. La candidatura in sé non basta per farsi strada in un mondo competitivo come quello del lavoro. Secondo la dott.ssa Moretti, le argomentazioni di quest'ultima devono essere “a sostegno della propria candidatura e riferirsi allo specifico contesto organizzativo a cui si ha intenzione di proporsi”. • Non solo hard skills, ovvero conoscenze e competenze tecniche, nel gotha delle caratteristiche imprescindibili. A fare la differenza nel corso di una selezione o durante il colloquio stesso, sono infatti le cosiddette soft skills o competenze trasversali (studio, famiglia, tempo libero, esperienze di vita, interessi e passioni).
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• L'architettura del formato, invece, ha linee ben distinte: dattiloscritto, corretto e privo di refusi, aggiornato, onesto e comprensivo di una foto ad hoc (il che significa, senza occhiali da sole o sfondi pittoreschi, niente selfie e tanto meno ritagli da altre immagini). • La versione cartacea deve in ogni caso combaciare con quella virtuale. “Le digital hard skills sono le competenze richieste ai professionisti Ict, ma le digital soft skills sono trasversali, non sono legate a una professione specificamente digitale” spiega Moretti. • Da LinkedIn a Facebook, i social fondono l'aspetto professionale a quello umano, mettendo a fuoco un tratto distintivo che prende il nome di personal web reputation. • Dal momento in cui si inoltra la candidatura per un ruolo all'interno di una Ong operante nel Mediterraneo, è consigliato non avere sui propri profili social frasi o immagini che inneggiano alla xenofobia o al razzismo. Nell'era dell'informazione, le digital soft skills sono sì “competenze di tipo relazionale che ci consentono di utilizzare efficacemente i nuovi strumenti digitali e ritenute perciò abilità di base”, ma volente o nolente sono anche parte attiva nel tracciare un identikit completo a disposizione del recruiter. • In materia di errori, secondo Moretti, il candidato nel proprio Cv deve evitare “soprattutto di avanzare richieste, evidenziando invece quale contributo potrebbe apportare”. Tuttavia, in virtù di recenti studi, al primo posto tra le voci da omettere durante la stesura, ci sono quelle inventate. Il curriculum non deve contenere falsità tali da creare incomprensioni, suscitare verifiche approfondite o peggio ancora demolire la struttura veritiera di base. • Se competenze e identità virtuale sono contenuto e contenitore di un Cv perfetto, la “penna” del candidato deve fare i conti con la concorrenza, e quindi attrezzarsi: “Di un cv il datore di lavoro nota in primis se è estemporaneo oppure preparato, frutto di una ricerca attiva del lavoro”. Ma non solo. Per distinguersi tra i molti, deve altresì “essere mirato, e in particolare non generico”.
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La gran prova del colloquio Dai trucchi più banali alle ricerche sulla psicologia dei candidati, è il momento decisivo per molte carriere
di Livia Liberatore
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uando doveva scegliere un nuovo ricercatore, l’inventore della lampadina Thomas Edison metteva davanti ai candidati una minestra e i contenitori del sale e del pepe. Il giovane scienziato che aggiungeva il condimento senza aver assaggiato prima la zuppa, veniva subito scartato. Gli mancava la propensione a sperimentare, necessaria per lavorare nella ricerca. Così la pensava Edison, verso la fine dell’Ottocento. Da allora il test del sale è stato usato solo dall’imprenditore dell’auto Henry Ford. Ma i candidati alla ricerca di un impiego ne hanno viste tante. Alcune aziende degli Stati Uniti, per esempio, propongono una partita di ping pong alla fine del colloquio. Serve per valutare le reazioni della persona: si crede un giocatore imbattibile anche se non sa fare neanche un servizio? Se perde, affronta la sconfitta con calma o spacca per terra la racchetta? Dal comportamento si può verificare se si arrende troppo presto, se è nervoso o non regge lo stress. Insomma, se ha un carattere adatto al lavoro in questione. Una delle esperienze più estreme l’hanno provata i giovani che si sono presentati a un colloquio per Heineken. L’azienda cercava un esperto di marketing per la preparazione della finale di Champions League nel 2013. La selezione,
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documentata nel video “The Candidate”, è diventata un caso di studio nei master. Più che un test per ottenere un lavoro, è una via di mezzo fra un talent show e una gara di sopravvivenza. Come prima prova, il recruiter prende per mano il candidato all’improvviso, con molto affetto. Chi resta imbarazzato non risulta pronto alle novità e non fa una buona impressione. Poi, nel mezzo delle domande, il selezionatore perde i sensi e cade a terra. Qualcuno corre a chiamare aiuto, altri tentano di rianimarlo, in vari modi, compresi gli schiaffi sulla faccia. Quelli che entrano nel panico oppure reagiscono con lentezza non mostrano una buona gestione delle crisi. Il terzo test inizia con il suono dell’allarme e l’evacuazione dell’edificio. Un uomo sta per suicidarsi buttandosi giù dalla terrazza e i pompieri chiedono ai presenti di aiutarli a reggere il tappeto di emergenza. Solo uno dei concorrenti si lancia con prontezza accanto ai vigili del fuoco. Musica trionfale: è lui la persona giusta. Sempre più le Risorse Umane mettono alla prova il carattere di un possibile assunto. Non è tempo dei timidi e neanche degli sbruffoni, non sono adatti i troppo riflessivi e nemmeno chi agisce d’impulso. Cambiando punto di vista, nessuno vuole avere un musone in ufficio. Ma in alcuni colloqui finiscono sul tavolo le prime impressioni, le scelte private, l’accento, il modo di fare. Si giudicano le mani fredde durante la stretta iniziale, il sorriso, lo sguardo, l’umore di una giornata storta. Non solo le competenze tecniche e neanche soltanto le soft skills, come la capacità di lavorare in gruppo, la creatività. Più che quello che si sa fare, conta quello che si è. Vicino alla sedia ognuno tiene la propria valigia di insicurezze. Nessuno è perfetto. E se qualcuno finge di esserlo, è troppo anonimo. Così, i colloqui diventano surreali. Alcune aziende, in particolare quelle che cercano una figura adatta al contatto con il pubblico, ricorrono al colloquio sotto stress. Già un colloquio di lavoro non è come chiacchierare con l’amico davanti a un tè. Quello sotto stress è condotto da un recruiter aggressivo e critico su tutto. E chi perde la pazienza viene giudicato in modo negativo. Una variante è il test del silenzio, quando l’addetto alla selezione non risponde ai saluti e alle domande. Anche qui è apprezzata la calma. Su Glassdoor, il portale dove si possono recensire le aziende, c’è chi racconta di essere passato per la prova del receptionist. Il manager giudica
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come si comporta un candidato già da quando arriva alla reception e chiede di essere ricevuto. Se mostra rispetto e gentilezza, ottiene punti a suo favore. Invece, quando il responsabile della selezione fa molte domande che iniziano con “Descrivi”, “Fammi un esempio di quando”, si è nel mezzo di quello che le Risorse Umane chiamano un colloquio di tipo comportamentale. Facciamo un esempio. Recruiter: “Come hai reagito quella volta in cui hai discusso con il tuo superiore?”. Il candidato fa uno sforzo di memoria. Magari vorrebbe rispondere: “Sono andato a piangere in bagno”, visto che, racconta l’articolo del New York Times “Why You Shouldn’t Feel Bad About Crying at Work”, più di quattro persone su dieci sono solite versar lacrime sul lavoro. Meglio usare la tecnica consigliata dagli esperti della selezione del personale, “Situazione, Azione, Obiettivo, Risultato”. Si tratta di descrivere un contesto come quando si racconta una storia, con tutti i dettagli. Spiegare la propria reazione e illustrarne motivazioni e conseguenze. La conversazione in cui ci si gioca il posto di lavoro è uno dei momenti dove sono più forti i pregiudizi inconsci, chiamati in psicologia “distorsioni cognitive”. Schemi di pensiero che condizionano le opinioni sugli altri. Uno è, per esempio, l’effetto alone. Che si ha quando a qualcuno viene dato un giudizio positivo o negativo in base a una caratteristica (come il fisico, il modo di vestire, la spigliatezza) e questa impressione viene estesa all’intera persona. Se uno è “bello” è anche “bravo”. Per evitare pregiudizi di ogni tipo, sono in aumento le compagnie che adottano il “blind recruitment”, la selezione al buio, come certifica la società Hays. Nella scelta dei candidati vengono nascoste tutte le informazioni che rivelano la loro identità, come il nome, la data di nascita e le scuole frequentate. Un caso di qualche anno fa è quello della Toronto Symphony Orchestra. Fino al 1980 era composta solo da uomini. Per cambiare direzione, i responsabili hanno adottato un nuovo metodo di reclutamento. Le audizioni si svolgevano dietro uno schermo, in modo che non si potesse vedere il musicista, ma solo sentirlo suonare. L’orchestra che ne è uscita era composta per una metà da uomini e per l’altra da donne e ha avuto performance migliori di prima.
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A caccia di lavoro su LinkedIn Che cosa si cerca veramente quando si cerca lavoro su internet (e forse non è lavoro)
di Roberto Moliterni
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uando mio padre, a 60 anni, ha perso il lavoro, la prima cosa che ho fatto è stato regalargli due libri di Peter Sloan e l'ho iscritto a LinkedIn. Abbiamo passato alcune giornate insieme a creare il profilo, scegliere cosa raccontare della sua lunga esperienza, studiare accuratamente la foto. Mio padre ha fatto tutto questo per accontentarmi: era convinto che il suo nuovo lavoro non sarebbe arrivato da lì, ma alla vecchia maniera. Infatti passava le giornate a andando in giro per la città a trovare vecchi amici oppure a farsi vedere al bar. Mio padre ha sempre lavorato per piccole private aziende del territorio che, prima delle altre, sono destinate a fallire in un'economia così fragile: non era perciò la prima volta che perdeva il lavoro. Ma questa era la peggiore di tutte: avveniva a 60 anni. Per questo ero convinto che l'inglese e LinkedIn gli servissero: per far vedere che, nonostante i 60 anni, fosse sul pezzo. Io a Linkedin mi ci sono iscritto molto tempo prima di lui e l'ho fatto perché lo facevano tutti. Ho curato la mia pagina come un giapponese curerebbe il suo giardino zen. Non appena realizzavo qualcosa aggiungevo una riga oppure ne potavo un'altra, meno significativa. Ma i miei risvegli erano scanditi dalle e-mail di LinkedIn: «Guarda le nuove competenze di Dino», «Controlla gli ultimi aggiornamenti di Paola», «Dino, Paola ed Elisa hanno un nuovo impiego». Ma il peggiore di tutti era: «Elisa vorrebbe connettersi a te». Continuamente c'era un'Elisa
che voleva connettersi con me. Ho provato in vari modi a non farmi arrivare queste notifiche ma arrivavano lo stesso. Quando ho cancellato l'account la mia vita è stata più serena. Del resto non avevo trovato mezzo impiego su LinkedIn. Dopo anni l'altro giorno mi sono iscritto di nuovo a LinkedIn per scrivere questo articolo: volevo vedere come gli italiani usano LinkedIn. Ma soprattutto se la faccenda delle e-mail è stata risolta. Nel frattempo si era iscritto su LinkedIn anche chi prima non ce l'aveva. Naturalmente sono andato a cercare le mie ex fidanzate, dimenticandomi che LinkedIn, a differenza di altri social network, va a dire in giro chi ha visitato il tuo profilo (sempre tramite queste benedette e-mail). Dopodiché, appurato che le mie ex-fidanzate non avevano cambiato lavoro, ho iniziato a bighellonare su profili a caso: quello di Matteo Renzi (come volontariato ha messo: boy scout), un macellaio, una pittrice da 7 anni e sei mesi, una life coach che ti insegna a riscoprire il tuo lato selvaggio. Poi ho deciso di restringere la ricerca e concentrarmi su gente della mia età, tra i 30 e i 40 anni. Abbastanza presto ho constatato che tra i 30 e i 40 anni possono succedere due cose: - provi a fare il lavoro per il quale hai studiato e ti piace, a 35 anni ti metti a fare tutt'altro. Ho incontrato una decina di laureate in lettere o in giurisprudenza che negli ultimi 2 anni si erano messe a lavorare come addetto alle vendite in negozi di gioielli oppure in amministrazione in
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piccole aziende. - inizia la tua carriera facendo un lavoro qualsiasi per guadagnare, magari lontano dai tuoi studi (“assistente alla poltrona studio odontoiatrico”, “Avon sales leader”), poi ti stufi e a 35 anni diventi freelance sognando di fare quello che ti piace e allora il tuo profilo LinkedIn si ferma lì: freelance da 2 anni e 10 mesi. L'inverso del percorso precedente. In entrambi i casi è un racconto di frustrazione: a monte o a valle. Questi profili LinkedIn mi hanno ricordato un tassista con cui ho viaggiato l'altro giorno: faceva il lavoro dei sogni, il colorist per le case di produzione americane in Italia («ho fatto anche Nemo»), poi queste si sono ritirate in America e lui ha provato per un po' a fare il freelance («ho accettato di tutto, anche i cortometraggi»). Ma non lo pagavano «devo ancora ripijà i sordi». Così si è messo su un taxi. Su LinkedIn ho trovato anche persone che di mestiere ti aiutano a fare il lavoro che ti piace: se il mercato intercetta questa insoddisfazione c'è chi ci prova a rispondere con un'offerta adeguata. Sono un po' consulenti, un po' life coach - “concretamente, il mio lavoro consiste nell'aiutare chi vuole cambiare il suo equilibrio tra vita e lavoro in termini di tempo e denaro” scrive uno nella sua presentazione. La sensazione è che anche questo di aiutare gli altri a trovare il lavoro dei sogni sia un ripiego, un lavoro che ci si inventa non avendo altro. Continuo a girare, a visitare profili, consultare offerte. Persino Bruno Barbieri e Antonino Cannavacciuolo sono su LinkedIn. Vado a cercare allora, nelle offerte di lavoro, quante richieste ci siano di cuochi: in un articolo recente ho letto che sono talmente richiesti da non essere sufficienti a coprire la domanda. Più di 6000 annunci. Di redattori invece se ne cercano solo 72 - e tra questi compaiono anche i redattori di bilancio o HTML -, di giornalisti 60. A dichiararsi giornalisti su LinkedIn sono 57000 persone, contro 45000 cuochi. Qualche giorno fa proprio LinkedIn ha rilasciato un rapporto (“Recruiter Sentiment Italia 2019”) su come vanno le cose in Italia nel campo del lavoro: dice abbastanza bene, ci sono più assunzioni ma ce ne sarebbero ancora di più se le aziende riscontrassero maggiori competenze digitali e informatiche nei candidati. Insomma è come se ci fosse una spaccatura tra quello che serve e quello che sappiamo fare. Allora perché non impariamo a farlo? Nel suo ultimo saggio, Pagare o non pagare, lo scrittore Walter Siti colloca alla fine degli anni '90 un cambiamento socio-economico significativo: da una parte le nuove generazioni si sono educate a non avere più un ritorno economico per il lavoro - gli stage, l'abitudine a creare contenuti senza remunerazione per la rete -, anche perché possono contare sul serbatoio economico delle generazioni precedenti, dall'altra è arrivata la scoperta che non è più necessario pagare per ottenere, ma i desideri e i bisogni si possono risolvere gratis o quasi. Non solo musica e film: con 2 euro posso pranzare, con 5 attraversare la città con una macchina senza possederla. La conseguenza di questo nuovo patto sociale è che non è più necessario lavorare, perché il lavoro si slega dalla sopravvivenza e dall'ottenimento dei desideri. Al massimo può diventare esso stesso una forma di divertimento: fare il lavoro che ti piace, anche a costo di non essere pagato o pagato poco. Non diventiamo cuochi o non acquisiamo competenze digitali perché non lo sentiamo necessario. Lo diventa solo quando, tra i 35 e i 40 anni, dobbiamo preoccuparci non più solo di noi, ma anche di qualcun altro: un figlio. Mio padre alla fine il lavoro l'ha trovato alla vecchia maniera, come pensava lui, e io mi sono di nuovo cancellato da LinkedIn perché la casella di posta era piena di e-mail (tra cui quelle delle mie ex che sono venute a ricambiare la visita di cortesia). Sono sicuro che qualcuno su LinkedIn abbia trovato davvero lavoro o contatti, ma penso anche che LinkedIn, alla maggior parte delle persone, serva a una cosa sola: dire pubblicamente “ho fatto”, contemplare la monumentalizzazione della propria biografia lavorativa. È il bisogno di certificare che stiamo facendo qualcosa laddove la certificazione non arriva più da un riconoscimento economico.
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l'oggetto dell'economia
GLI OCCHIALI Il successo che ci vede lungo
di Danila Gancipoli
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nche Seneca e Nerone ne avrebbero voluti sicuramente un paio, ma per loro sfortuna la prima forma di montatura venne realizzata nel 1282 ad opera di Alessandro Spina: un monaco pisano probabilmente erede degli studi di Bacone sulla rifrazione, considerato ai suoi tempi un eretico e un folle.
IL VERDE GRAFICA NAPPA CAMBIA IL CONCETTO DI TIPOGRAFIA: PIÙ TECNOLOGIA, PIÙ INNOVAZIONE.
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Quella degli occhiali è un’invenzione italiana ben lontana dalla follia, fortunata della diffusione della carta stampata e legittimata dalla necessità di vederci chiaro. Eppure la lavorazione del vetro fu nel XIII secolo un vero e proprio mistero coltivato nella piccola isola di Murano, dove i cristallieri dell’epoca forgiavano i nostri futuri occhiali quasi come una setta, intenta nel loro monopolio veneziano. Furono i tedeschi a rubargli le idee, inaugurando ufficialmente una lunga storia di perfezionismo in tutto il mondo. Necessità fa sempre virtù. Nel 1917 il torinese Giuseppe Ratti inventa i primi occhiali da sole, aprendo le porte ad un commercio destinato non solo a correggere la vista, ma a fornire la giusta protezione ad aviatori e piloti. Il business degli occhiali diventa internazionale, iconico nella moda e nel design: se l’ingegnere e lo scrittore hanno finalmente vita facile (avete mai visto Woody Allen senza occhiali?), anche Marcello Mastroianni non potrà farne a meno. Il Made in Italy domina la scena ad oggi, con una produzione stimata di circa 2,919 miliardi di euro ed un export di prodotti acquistati in Europa e negli Stati Uniti pare all’80%. Ma la vera domanda è: chi non ne possiede almeno un paio?
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10 cose che non sapevi Nel 2018 il Made in Italy ha esportato occhiali da sole per 2,4 miliardi di euro in un anno, +1,3 cento tra 2017 e 2016.
I primi esemplari di occhiali da sole furono inventati dagli Inuit, che li utilizzavano per proteggersi dal riflesso della neve.
Occhiali eco. Nel 2017 Essilor si è classificata seconda nel settore Health Care Equipment and Supplies come impresa sostenibile.
Anche gli occhiali da sole sono andati nello spazio, gli astronauti della missione Apollo 11 portarono a bordo dei modelli American Optical.
Elton John è il più grande collezionatore di occhiali da sole, ne conta più di mille paia.
Il nervo dell’occhialeria italiana continua ad essere il Veneto, dopo ancora 700 anni.
Gli occhiali che John Lennon ha indossato tra il 1970 e il 1973, conservati nel museo di Liverpool, hanno un valore stimato di 1,5 milioni di dollari.
Secondo la classifica dei miliardari Forbes Bilionaires per il 2019, Leonoardo del Vecchio (Luxottica) è il secondo italiano più ricco dopo la famiglia Ferrero.
Nel mondo viene venduto un paio di occhiali da sole ogni 90 secondi.
I Ray Ban Wayfarer sono il modello più venduto nella storia degli occhiali da sole, preferito da personaggi come Andy Warhol e Bob Dylan.
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a cura di Gian Luca Atzori
LIBRERIA
VIAGGIO TRA GLI ITALIANI ALL'ESTERO: racconto di un paese altrove 2019 [Il Mulino, 286 p., €15,00] Qual è la quinta città italiana più popolosa? E' Londra. Ogni anno sono decine di migliaia i giovani che lasciano il paese. Tra le pagine scorrono le storie di italiani che hanno scelto un futuro altrove, ma anche le ragioni che è necessario comprendere per tornare a dare visione al paese.
Letture per capire l'economia di oggi
INVENTARE IL FUTURO. Per un mondo senza lavoro.
di Lorenzo Sassi
Nick Srnicek, Alex Williams, 2018 [ Produzioni Nero, 362 p., €19,00]
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on “Inventare il futuro” siamo lontani dalle derive destrorse che l’accellerazionismo aveva assunto nei primi anni duemila, quando Nick Land - cioè il visionario che aveva dato forma (insieme a Mark Fisher, Sadie Plant etc.) a quel sogno psichedelico che era il Cybernetic Culture Research Unit (in pratica una factory warholiana in cui si discuteva di AI, robotica al ritmo di musica jungle, acidi e rane gialle) - era divenuto il teorico del dark enlightment e del movimento neoreazionario. Il testo di Srnicek e Williams, seguito ideale del “Manifesto Accelerazionista” (Laterza), ritorna alle origini, proponendo un’utopia sociale che la sinistra (alle prese con una delle sue crisi identitarie più problematiche; una crisi che non riesce a trovare nei Renzi e/o nei Macron una soluzione alla propria condizione) dovrebbe, se non accogliere, quantomeno considerare. Mentre da una parte infatti il neoliberismo si impossessava del futuro, disegnandolo a proprio piacere, la sinistra rimaneva (e rimane) ancorata al passato, a un conservatorismo valoriale e pragmatico che ne impedisce così la possibilità di ripensarsi e di ridefinire le logiche interne di un capitalismo che, alla stregua di una cappa miasmatica, soffoca la nostra umanità. Il terrore delle macchine è il grande vulnus. “Pretendi la piena automazione”, “pretendi il reddito universale” e “pre-
tendi il futuro” sono gli slogan attraverso cui Srnicker e Williams provano a riposizionare le priorità socio-politiche attuali, suggerendo altresì che un futuro automatizzato - dove il lavoro è scelta e piacere (e dove un reddito universale garantito, qualora affiancato da politiche di welfare, non è mero sussidio ma unica soluzione alla follia post-capitalista) - è il più auspicabile dei sogni.
LE RADICI PSICOLOGICHE DELLA DISUGUAGLIANZA Chiara Volpato, 2019 [Laterza, 262 p., €15,30] La diseguaglianza economica crescente è tra le principali cause di infelicità collettiva, ma l'opposizione è debole e sporadica. Il rapporto tra dominanti e dominati, tra accettazione e rifiuto dei propri ruoli, porta l'autrice a indagarne le cause psicologiche alla ricerca di un cambio di rotta.
LA BANALITÀ DEL MA Mauro Biani, 2018 [People, 120 p, €15,30] Sulla scia di Hannah Arendt, l'illustratore Mauro Biani (Il Manifesto), si domanda come sia possibile che ciò che fino a ieri avremmo ritenuto disumano, sia d'un tratto divenuto accettabile. Un racconto per immagini alla ricerca dell'umanità scoraggiata e biasimata: naufragata in un mare di banalità.
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Come affronti il fallimento degli obiettivi aziendali?
L'AGENDa del ceo
Successi e fallimenti sono due facce della stessa medaglia. Non puoi avere successo se non provi, se non sbagli, se non apprendi. Il fallimento non è un peccato capitale e va affrontato con dignità e serenità. “Mi dispiace, ho sbagliato” non è difficile da dire e fa crescere. Il fallimento va accettato e celebrato. Qual è la parte più difficile del tuo lavoro? Mantenere autorevolezza e equilibrio perché non venga mai meno il rispetto dei tuoi collaboratori. Tutti i giorni. Senza dare mai nulla per scontato. Un consiglio chiave per una buona gestione? I miei tre principi operativi: “focus”, “speed” e “excellence”. Ossia: fare scelte e mettere le risorse su pochi obiettivi; mantenere ferma la direzione che si è scelta, renderla chiara e visibile con una comunicazione semplice e ripetuta perché i tuoi collaboratori imparino a decidere rapidamente, senza dover verificare ogni volta se la scelta che stanno facendo sia giusta; e non transigere mai sull’esecuzione: la qualità è importantissima.
EUGENIO SIDOLI Presidente e Amministratore Delegato di Philip Morris Italia a cura di Barbara Gasperini
A che ora inizia la tua giornata di lavoro? Mi alzo alle 7:00. Alle 8:30 sono in genere in ufficio. Caffè. E sono pronto. Quanto lavori con lo smartphone e quanto con altri dispositivi? Smartphone la maggior parte del tempo. Sono spesso fuori ufficio. È uno strumento duttile e ho imparato a vivere nei 5 pollici del suo schermo. Leggo, rispondo, comunico, ricerco, misuro la glicemia... Lo uso molto, forse troppo. Qual è il tuo stile di gestione? Ho fiducia nelle persone e credo nella delega che responsabilizza. Il mio ruolo è quello di disegnare un percorso di lungo termine, condividerlo, concordare gli obiettivi e lasciare libertà di azione alle esecuzioni. Valuto i risultati. Come ti comporti con i dipendenti che non sono d'accordo con te? Ascolto. Ho le mie certezze, cerco coerenza nelle esecuzioni e sono rigoroso ma apprezzo molto una discussione intellettualmente onesta. I miei collaboratori sanno che devono fare una buona analisi per sostenere le loro raccomandazioni. Sono aperto a riconoscere se hanno buoni argomenti ma anche a fare mio ciò che propongono. In che modo “alleni” il carattere per il tuo ruolo? Negli anni ho realizzato che un buon leader è soprattutto un riferimento su etica e aspettative. Investo tempo a costruire un ambiente che sia giusto, inclusivo e prevedibile. È una responsabilità che mi costringe ad un allenamento continuo.
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Se avessi la bacchetta magica, cosa cambieresti subito nella tua realtà aziendale? Stiamo vivendo una trasformazione epocale; un passato di sigarette, prodotti dannosi per la salute, ed un presente di prodotti innovativi, con tabacco riscaldato e vaporizzatori di nicotina, a rischio ridotto. I grandi cambiamenti come questo generano sempre tensioni, ambiguità, incertezza. Vorrei accelerare questo processo di trasformazione.
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si diffonda il progresso scientifico. Il livello dell’Europa è avanzato, spiega il prof. Francesco Nicotra – ordinario di Chimica dell’Università di Milano-Bicocca e già coinvolto in tre progetti europei di nanomedicina – e l’Italia sta facendo la sua parte. In Europa esistono centri di ricerca, in parte aziende, che producono già le nanoparticelle per la diagnostica e per la terapia. Nei Paesi Baschi c’è, ad esempio, BioGune.
IL LAVORO DEL FUTURO
Il mercato delle nanoparticelle è destinato a crescere in fretta, perché ci sono sostanze o cellule che per essere somministrate e arrivare al bersaglio hanno bisogno di nanomateriali. Per utilizzarli, però, servono e serviranno i nanomedici.
SCOPRIAMO UNA PROFESSIONE CHE DIVENTERÁ NORMALE TRA POCHI ANNI
Come si diventa nanomedico?
di Sofia Gorgoni
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postano e riaggregano atomi o molecole proprio come fa la natura, lavorando sull’infinitamente piccolo. Si chiamano nanotecnologie, ma la portata innovativa è gigantesca. In medicina rigenerano tessuti, sconfiggono un tumore o lo diagnosticano prima che si sviluppi, fin dalle prime alterazioni molecolari. Sono nanovettori talmente piccoli da riuscire ad entrare nelle cellule malate, senza toccare quelle sane. In futuro basterà spalmare una crema per valicare la barriera della pelle e distruggere i melanomi. Non serviranno i topi per le sperimentazioni, perché le nanotecnologie potranno “mimare” i tessuti umani. Sembra fantascienza, ma da qualche anno nelle università sono stati inseriti corsi di studio in Nanomedicina. Da qui al 2030 il mercato del lavoro subirà una rivoluzione totale. Secondo l'Institute for the Future della California, tra i bambini che oggi frequentano le elementari ci sono futuri nanomedici, una figura che oggi è un ibrido. Il mercato, infatti, richiede una serie di esigenze oltre alla conoscenza, come la sostenibilità economica e il business, affinché
La nanomedicina richiede forti competenze chimiche e una visione di tipo biologico. Questo crea un problema nella formazione, spiega Nicotra, “la chiave è creare figure professionali con forti competenze nella chimica, ma in grado di interpretare le problematiche biologiche e interfacciarsi con chi queste competenze le ha approfondite. Oggi è indispensabile la collaborazione e una visione multidisciplinare”. Quanti nanomedici ci sono in Italia? Sono circa 3500 i ricercatori che lavorano nei 21 ospedali top a livello italiano per la ricerca (gli IRCCS). Si tratta di medici, chimici, biologi, biotecnologi, fisici, statistici, epidemiologi, fra i quali alcuni si occupano di nanomedicina. Molti sono precari, in attesa di stabilizzazione dei contratti (dal 2017, con la legge Madia, è vietato stipulare contratti co.co.co nella pubblica amministrazione). Quanti nanomedici ci saranno domani? È ancora difficile fare previsioni sull’andamento occupazionale, ma secondo le statistiche entro il 2030 avremo ufficialmente la figura del nanomedico.
L'economia raccontata dagli under 35.
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