Innovazione e sostenibilità raccontate dagli under 35 Numero 21 | GIUGNO 2020
RISORGIMENTO IL LAVORO: LE PROFESSIONI PIÙ RICHIESTE E IL FUTURO DELLE IMPRESE I NUOVI DIRITTI DELLA CORONAVIRUS GENERATION INTERVISTA A ENRICO GIOVANNINI "LA RIPRESA SIA SOSTENIBILE"
Copia Omaggio
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POSTE ITALIANE S.P.A. SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - 70% S/CE/16/2018
Come si riparte dopo il virus
PROLOGO
L’Italia affronta tempi inediti: il virus ci ha messo di fronte a scelte complicate e dolorose. Il Paese è stato effettivamente chiuso per due mesi, migliaia di persone hanno perso i loro cari, l’economia è stata messa in ginocchio. Se è vero che la crisi ha colpito tutto il mondo, la capacità dell’Italia di ripartire in modo dinamico è tutta da verificare. Il governo ha agito per tutelare i posti di lavoro, ma la sfida del 2020 diventerà reinventare alcune parti del Paese, rendere più semplice fare impresa, frenare la fuga di giovani all’estero. Anche The New’s Room ha dovuto rallentare la corsa a causa del virus, ma siamo già ripartiti e con questo numero vogliamo contribuire a porre le domande chiave per l’Italia del futuro. Pierangelo Fabiano, Fondatore
EDITORIALE
INDICE
di Sofia Gorgoni
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ome un gioco tra bambini, ma senza fare il conto iniziale, ad un tratto intere popolazioni si sono fermate. Le certezze, date per scontato fino a un attimo prima, sono state spazzate
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Editoriale
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Uno sguardo ai numeri di Vittoria Patanè
via. Ci si ritrova a ridisegnare confini che si erano abbattuti con fatica e a riposizionare
Le crisi sono un processo naturale in ogni vita umana, ma quando si tratta una crisi globale che scriverà le pagine di storia, come è stato per le guerre e per le altre epidemie, porta trasformazioni profonde nel tessuto sociale, perdite, sofferenza, ma anche conquiste, in termini di nuova consapevolezza.
Numero 21 | Giugno 2020 the-newsroom.it
interi settori crollati in un batter d’ali. La ripartenza è colma di dubbi su quali siano le priorità. Si procede per tentativi e ipotesi.
Cover Story 8
Finanza alternativa e ripresa economica di Greta Ubbiali
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Il lavoro dopo il virus: le professioni più richieste e il futuro delle impresed
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Non chiamatelo smart working, è telelavoro
di Vittoria Patanè di Barbara Polidori
Top 5
Un ruolo fondamentale lo occupa il digitale, rivelatosi mai come ad oggi una vera e propria ancora di salvezza per il mondo del lavoro. Le città di tutto il mondo stanno pianificando la vita
di Sofia Gorgoni
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I nuovi diritti della coronavirus generation di Alessia Laudati
post Covid-19 che non sarà la stessa di prima. Mentre la recessione bussa alla porta, c’è un Paese che vuole ripartire. Ad avere la peggio sono ancora una volta le piccole e medie imprese, tessuto
Interviste
nevralgico della nostra economia; tra cui le piccole botteghe di artigiani, i negozi e le cucine che mostrano il meglio dell’Italia. Molte attività, infatti, hanno già deciso di non riaprire, circa il 30 per cento secondo un’indagine di Confesercenti. Intanto sono partite una serie di iniziative per il clima e incentivi per la mobilità sostenibile,
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di Pietro Mecarozzi
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Stanislao Di Piazza: "Il governo punta sullo smart working"
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Pier Luigi Celli: "Arrivederci gerarchia"
di Vittoria Patanè
opportunità emerse nel mondo del lavoro. Abbiamo raccolto le opinioni degli esperti e provato a trarre conclusioni per la ripresa. Questa crisi ha insegnato che un buon risultato richiede un gioco di squadra, oltre a un buon allenatore. Come diceva Al Pacino in Ogni maledetta domenica: “o risorgiamo adesso, come collettivo, o saremo annientati individualmente”.
Ian Shiapiro: "Democrazia e libertà ai tempi del Coronavirus" di Danila Giancipoli
nell’ottica di garantire la sicurezza pubblica e rafforzare la lotta al cambiamento climatico. In questo numero abbiamo affrontato gli scenari della crisi, analizzato i settori più colpiti e le nuove
Enrico Giovannini : "Una ripresa sostenibile"
di Danila Giancipoli
Focus 30
Un'estate al Covid
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Affittasi
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L’e-commerce: mai più senza
di Greta Ubbiali di Pietro Mecarozzi di Danila Giancipoli
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Cosa farà l’editoria di Eugenio Giannetta
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L’epoca d’oro dei corsi online
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La geopolitica degli aiuti
di Salvatore Tancovi di Elena Pompei
Rubriche 50
Libreria di Danila Giancipoli e Eugenio Giannetta
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uno sguardo ai numeri Misure e obiettivi sostenibili: Italia ed Europa a confronto
di Vittoria Patanè
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ercentuali mai viste prima”, “Crollo senza precedenti”, “Livello più basso da 70 anni”. Sono solo alcune delle frasi con cui vengono accompagnati i dati e le previsioni che ci arrivano giorno dopo giorno sulla crisi economica causata dall’emergenza coronavirus. Per comprendere a pieno le conseguenze che la pandemia avrà sull’economia reale bisognerà attendere ancora qualche mese, ma gli esperti concordano sul fatto che quella che abbiamo cominciato ad affrontare è la peggiore recessione dai tempi della Seconda Guerra Mondiale.
Anche i primi dati concreti dimostrano che ci stiamo trovando davanti a qualcosa di “eccezionale”. E altrettanto “eccezionali” sono le risposte che l’Italia, l’Unione europea e il mondo intero stanno cercando di fornire per provare a contenere i danni e per cercare di favorire una ripresa veloce di tutti quei fondamentali che negli ultimi mesi hanno registrato una caduta verticale. Il dato macro più eclatante che dà la misura di ciò che stiamo vivendo è quello relativo al prodotto interno lordo. Secondo l’Istat nel I trimestre del 2020 il Pil italiano ha subito un calo del 4,7% rispetto ai tre mesi precedenti e del 4,8% in termini tendenziali. Si tratta, ha spiegato l’Istituto Nazionale di Statistica, di “una contrazione di entità eccezionale indotta dagli effetti economici dell’attuale emergenza sanitaria e dalle misure di contenimento adottate”. Un ribasso che non ha neanche termini di paragone perché è “di un’entità mai registrata dall’inizio del periodo di osser-
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vazione dell’attuale serie storica che ha inizio nel primo trimestre del 1995”. Il problema è che questi dati potrebbero essere solo un assaggio. L’emergenza coronavirus è esplosa in Italia il 21 febbraio e il Paese è stato messo in lockdown a metà marzo. Il che significa che nel frattempo imprese, attività commerciali, fabbriche e via dicendo hanno continuato bene o male a lavorare. Gli effetti delle restrizioni sulla crescita del I trimestre dell’anno sono quindi minori rispetto a quelli che si sono registrati ad aprile, il mese peggiore, in cui l’economia si è fermata con la serrata totale delle attività produttive (eccezion fatta per quelle essenziali) e il Pil ha registrato un crollo a doppia cifra, compreso tra -13% e -15%. Secondo le stime fornite dal Governo nel Def, a fine 2020, nella migliore delle ipotesi, il PIL dell’Italia si attesterà a -8% per poi risalire del +4,7% l’anno prossimo. Per capire la portata di questa previsione, basti pensare che nel 2009, dopo il crack di Lehman Brothers che diede inizio alla crisi economica globale, il nostro Pil segnò -4,9%.
Non meno preoccupanti le previsioni sugli altri parametri economici contenute nel Documento di Economia e Finanza: il deficit schizzerà al 10,4% (5,7% nel 2021), mentre il debito pubblico toccherà il 155,7% del Pil. Passando dai dati macroeconomici all’economia reale, le imprese hanno già cominciato a manifestare i primi effetti della crisi. Secondo Unioncamere-Infocamere, in Italia, nel I trimestre del 2020 c’erano quasi 30mila imprese in meno rispetto ai mesi precedenti. Sebbene nei primi mesi dell’anno un calo sia considerato fisiologico per le chiusure comunicate alla fine dell’anno precedente, “il bilancio della nati-mortalità delle imprese tra gennaio e marzo di quest’anno risente delle restrizioni seguite all’emergenza Covid-19 e rappresenta il saldo peggiore degli ultimi 7 anni”, si legge nel report. In numeri, tra gennaio e marzo si sono registrate 96.629 aperture, 17.781 in meno rispetto allo stesso trimestre del 2019, mentre le chiusure sono state 126.912. Non è un caso che a livello regionale,
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la Lombardia sia il territorio che mostra il saldo negativo più ampio, pari a -4.267 imprese. Seguono il Veneto, con un saldo negativo di -3.685 imprese, il Piemonte (-3.531) e l’Emilia Romagna (-3.332). Parliamo delle quattro Regioni più colpite dall’emergenza Covid-19. Durissimo anche il conto pagato dal commercio, con l’Ufficio Studi di Confcommercio che indica una riduzione dei consumi nei primi tre mesi dell’anno pari a -10,4% rispetto allo stesso periodo del 2019, mentre a marzo il ribasso è stato del -31,7%. Nella sola città di Roma, in base alle informazioni fornite dalla Cna, quattro negozi al dettaglio su dieci rischiano il fallimento, così come il 30% dei ristoranti, degli alberghi e dei centri estetici. La moria delle attività commerciali capitoline si rispecchia nei dettagli dei dati nazionali sui fatturati calcolati da Confcommercio: -95% “sull’accoglienza turistica, -82% sulle immatricolazioni di auto, -100% sulle vendite di abbigliamento e calzature non attive su piattaforme virtuali, -68% su bar e la ristorazione, nonostante le consegne a domicilio.
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Per cercare di “salvare” l’economia italiana, il Governo ha varato i decreti economici, ma la partita più importante si gioca in sede europea dove continua la battaglia su aiuti e prestiti da garantire ai Paesi più colpiti dal Covid-19. Al centro della diatriba il Recovery Fund presentato dalla Commissione Ue, un fondo attraverso il quale Bruxelles dovrebbe raccogliere sul mercato fino a 1.000 miliardi di euro, fornendo a garanzia il bilancio europeo 2021-2027. Ulteriori risorse potrebbero arrivare dal piano composto da Mes, Sure e Bei, senza dimenticare la Bce, che nonostante gli interventi già attivati, secondo gli analisti, non ha ancora sfoderato tutta la sua potenza di fuoco, lasciandosi del margine per aumentare la sua azione proprio nelle prossime settimane, quando la crisi diventerà più acuta. La ripresa? Tutto dipenderà da quanto dovremo convivere col virus e dai suoi futuri effetti. La speranza è che la ripartenza sia a V, vale a dire che si verifichi un’impennata immediata, ma i gestori ritengono più probabile una ripresa a U, con una fase di assetamento prima del ritorno alla crescita. La terza ipotesi è quella di un rialzo a W: due ondate ribassiste, seguite da altrettanti recuperi. L’importante sarà evitare un andamento a L, scenario che prefigura una lunga e difficile recessione che condizionerà la vita di tutti.
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Finanza alternativa e ripresa economica di Greta Ubbiali
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Uno dei nodi da affrontare nella ripresa sarà la ricapitalizzazione delle imprese che hanno visto il fatturato in caduta nei mesi scorsi. L'emergenza sanitaria ha creato una terribile congiuntura fatta di serrate, riduzione delle vendite, problemi sanitari e minore accesso alle opzioni di finanziamento. Gli investitori istituzionali rappresentano un'alternativa per l'approvvigionamento di capitali. Come dice Gervasoni: “il private equity ha varie configurazioni. Dopo la crisi i fondi potranno
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avere un ruolo importante nella ripartenza delle aziende con operazioni di expansion capital, cioè di capitale per lo sviluppo di imprese con piani di crescita importanti, ma anche in operazioni di ristrutturazione, i cosiddetti turnaround, anche di imprese acquisite dalle aziende già presenti nel portafoglio”. C'è poi la questione anagrafica da affrontare: si stima infatti che il 20% degli imprenditori abbia più di 65 anni e alcuni di loro, continua Gervasoni, “accelereranno il progetto di cessione. Per non perdere il valore e l'energia di queste imprese il private equity potrà dare una risposta con i management buyout”. Alcuni operatori sono specializzati in debito e anche loro si ritaglieranno un ruolo nella ripresa offrendo un credito su misura. “I prestiti offerti dai fondi di private debt hanno scadenze e metriche personalizzabili che vengono incontro alle mutevoli necessità di copertura finanziaria. È un debito non standardizzato, non garantito da garanzie tradizionali e in alcuni casi questi strumenti sono convertibili in equity, capitale azionario" spiega la professoressa.
Fondi, ricapitalizzazione e regole più semplici: tre punti chiave da cui ripartire
i cosa avranno bisogno le aziende italiane alle prese con la ricostruzione del tessuto economico? Soldi, certo, ma anche di qualcuno che si sieda a fianco di imprenditori e manager e li aiuti a rivedere i piani industriali per affrontare lo scenario produttivo post-Covid. In questo i fondi di private capital (cioè private equity, venture capital e private debt) potranno essere un aiuto. Ne è convinta Anna Gervasoni, direttore generale di Aifi. “Come spesso accade nei momenti di difficoltà, alcune imprese ripenseranno il loro business. Occorrerà un partner per lo sviluppo. Se poi ne deriverà un fabbisogno finanziario i fondi di investimento potranno supportarle”, spiega la dg. Aifi attualmente conta 126 operatori associati, fondi e società specializzate che operano con capitale di rischio e strumenti di debito alternativi investendo in aziende prevalentemente non quotate.
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Il mercato dei capitali in Italia cresce ma rimane ancora di dimensioni ridotte in confronto agli altri Paesi europei. Secondo i dati Aifi-Deloitte nel 2019 gli investimenti in private debt sono aumentati del 28% rispetto all'anno precedente arrivando a 1,3 miliardi di euro mentre per quanto riguarda il private equity - stando al Private equity monitor, osservatorio della Liuc-Università Cattaneo - nei primi tre mesi dell’anno 33 nuove imprese sono entrate in portafoglio ai fondi. Gennaio e febbraio si sono chiusi con 23 investimenti mentre marzo ha visto una flessione rispetto allo stesso periodo dello scorso anno con 10 operazioni chiuse contro 16. Nel 2019 in totale i deal dei fondi sono stati 222 rispetto ai 175 del 2018 e hanno coinvolto prevalentemente piccole e medie aziende. Gli operatori di private capital anche nel pieno del lockdown hanno continuato a operare e analizzare dossier, seppur con qualche difficoltà. “Abbiamo complessivamente un portafoglio di 1300 imprese che stanno affrontando la pandemia e i suoi effetti economici nei settori più disparati” racconta Gervasoni. “I fondi in qualità di azionisti hanno lavorato insieme agli imprenditori per trovare soluzioni e valutare la struttura finanziaria delle partecipate. Sul fronte del fund raising è stato quasi impossibile fare gli incontri
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con gli investitori e quindi abbiamo avuto un rallentamento nei cicli della raccolta che andranno riattivati”. Poi c'è il capitolo del disinvestimento: “alcune aziende che erano pronte per uscire dal portafoglio dei fondi hanno subito delle perdite di valore. Questo ha precluso le normali exit ma siamo fiduciosi che sia un blocco temporaneo”, dice. Le operazioni di m&a nei mesi scorsi sono rallentate, tanto in Italia quanto all'estero. Allo tsunami economico hanno retto per esempio le fusioni e le acquisizioni nei settori anti-ciclici come quello alimentare. Tra chi si è preparato al post-Covid c'è General Atlantic, fondo con 35 miliardi di asset in gestione e di cui Vittorio Colao (chiamato a guidare la task force per la fase 2 in Italia) è senior advisor. Insieme al gestore Tripp Smith sta lanciando un fondo di cinque miliardi di dollari per finanziare società in difficoltà. Le aziende target dovrebbero rientrare nei settori consumer, servizi finanziari, assistenza sanitaria e tecnologia. Le imprese che meglio si adatteranno al mondo che verrà avranno maggiori prospettive di crescita in futuro. In
una società costretta a mantenere le distanze, le risorse digitali saranno centrali e già nel 2019 oltre un terzo delle operazioni ha riguardato settori hi-tech. Guadagnerà posizioni anche il vasto campo delle life science e della diagnostica ma i criteri fondamentali che accompagneranno gli interessi dei fondi non cambieranno: “capacità imprenditoriale, vocazione internazionale e l'attitudine a innovare hanno sempre guidato la scelta delle aziende target e resteranno centrali”. Per portare all’attenzione dei decisori politici il punto di vista e le richieste degli operatori di private equity, Aifi ha redatto un documento consegnato al Governo con una serie di proposte tra cui: l’abbassamento della soglia minima di investimento per gli investitori privati o la nascita di una categoria di operatori semiprofessionali e la promozione dell’investimento di fondi pensione e casse di previdenza perché "se l'impresa italiana ha bisogno di avere i nostri operatori al suo fianco, l'industria dei capitali deve crescere e devono attivarsi più canali di raccolta", chiosa la dg.
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Il lavoro dopo il virus: le professioni più richieste e il futuro delle imprese di Vittoria Patanè
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Gli effetti pesantissimi della crisi sanitario-economica che ha sconvolto il mondo si cominciano a manifestare anche sul mercato del lavoro. Preoccupanti le previsioni arrivate dal FMI, secondo cui nel 2020 il tasso di disoccupazione dell’Eurozona salirà al 10,4% dal 7,6% del 2019, mentre quello dell’Italia toccherà quota 12,7% (dal 10% del 2019), per poi tornare al 10,5% nel 2021. Un po’ più ottimista il Governo italiano che nel Def ha stimato una disoccupazione all'11,6% quest’anno e all’11% l’anno prossimo.
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Cosa fare, dunque? Bisogna cercare di comportarsi come esperti recruiter, provando a comprendere cosa cerca il mercato, quali sono i settori che resistono meglio alla crisi e quali i più promettenti dal punto di vista occupazionale. Occorre capire quali sono le competenze più richieste da un mercato del lavoro che da un lato rischia di perdere pezzi molto importanti di sé stesso, ma dall’altro offre nuove opportunità dettate proprio dalla necessità di fronteggiare qualcosa che non si era mai visto prima.
In Europa un posto di lavoro su quattro è a rischio, ma ci sono mercati che stanno nascendo
l coronavirus ha travolto l’economia globale, determinando un violento shock paragonabile solo a quello provocato da una guerra mondiale. L’emergenza non è ancora sotto controllo e la conta dei danni è solo all’inizio.
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Il colosso della consulenza strategica McKinsey si è spinto oltre, prevedendo che il Covid-19 metterà a repentaglio 59 milioni di posti di lavoro, uno su quattro, solo in Europa. Tra i settori più colpiti figurano il comparto vendite, che potrebbe veder andare in fumo circa 14,6 milioni di posti di lavoro, ristorazione e comparto alberghiero con 8,4 milioni di posti in pericolo, e l’edilizia con 5,9 milioni. Pesanti le ripercussioni sulla forza lavoro del settore manifatturiero che potrebbe perdere 7,9 milioni di posti. In generale, secondo lo studio di McKinsey, le professioni più minacciate sono quelle che richiedono una minore specializzazione: quasi l’80% dei tagli totali riguarderà lavoratori senza laurea, con stipendi più bassi, contratti precari e meno tutele. Lette così queste stime potrebbero sembrare solo sterili percentuali frutto di analisi che in situazioni di normalità vengono smentite dai dati reali. Ma le crisi economiche, soprattutto se di portata eccezionale come quella attuale, hanno spesso il poco lodevole merito di provocare conseguenze addirittura peggiori rispetto a quelle previste dagli esperti. Per questo motivo è bene, per quanto possibile, prepararsi ad ogni evenienza. Perché se trovare lavoro in Italia prima del coronavirus non era impresa facile, durante una pandemia con cui secondo gli scienziati dovremo convivere a lungo potrebbe diventare quasi impossibile. Senza una giusta strategia, anche tenere in piedi ciò che si è già costruito con fatica potrebbe risultare molto difficile.
Sempre Mckinsey fornisce una fotografia delle professioni che potrebbero parare meglio i colpi della crisi. Per tre motivi diversi tra loro. Alcuni forniscono servizi essenziali (istruzione, trasporto pubblico, polizia, settore alimentare), altri sono indispensabili perché mandano avanti il comparto sanitario (medici, infermieri, ma anche manager e amministrativi sanitari, conducenti di ambulanze, ecc.). Infine ci sono i lavori che non richiedono prossimità fisica e dunque possono sfruttare i benefici offerti dallo smart working. Qualche esempio? Contabili, giornalisti, architetti e ingegneri, professionisti attivi nel business e nella giurisprudenza. Se poi si è alla ricerca di nuove opportunità si possono sfruttare i consigli di due agenzie del lavoro internazionali come Orienta e Adecco. La prima ha stilato un elenco delle professioni più ricercate durante l’emergenza coronavirus, lavori che nel solo mese di aprile hanno registrato un aumento della richiesta pari a +61,5%. Si parte da tutte le professioni attive nel settore sanitario e
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rare il fatto che il Covid-19 potrebbe incidere sulla nostra vita per molto tempo, trasformando l’online nell’unico spazio sicuro in cui comunicare, lavorare e consumare. Una realtà di cui imprese e start-up dovrebbero tener conto, costruendo una strategia di business che si adatti ai cambiamenti del mondo del lavoro. "Almeno per i prossimi 12/24 mesi vivremo un mondo molto diverso da quello che conosciamo. Gli impatti dei distanziamento sociale, della crisi economica e del cambio di abitudini porteranno alla crisi di alcuni settori e alla crescita di altri. Il futuro sarà sempre più tecnologico e la transizione all'online diventa fondamentale”, spiega a The New’s Room Simone Ridolfi, Head of Corporate Program della start-up community Peekaboo, sottolineando come tante imprese stiano cercando il modo di aggiornarsi, digitalizzarsi e trovare “nuove modalità di business per riprendersi il prima possibile dalla crisi generata dall’emergenza Coronavirus”.
dagli addetti alla sanificazione (fondamentali, questi ultimi, per imprese, negozi e attività che hanno riaperto i battenti dopo il lockdown) per passare ai magazzinieri, agli operai, agli impiegati e ai contabili per l’industria alimentare e la GDO. Tra i più cercati anche i lavoratori che si occupano della gestione dei macchinari e dell’utilizzo di strumenti di diagnostica e collaudo, addetti all'assemblaggio e alla gestione di prodotti medicali e di ordini. A questa lista, Adecco aggiunge i lavoratori del settore chimico e farmaceutico per la produzione di disinfettanti e mascherine (+40% rispetto al pre-emergenza), gli addetti al trasporto (+60%), alla logistica e alle attività legate all’e-commerce (+40%). In questo contesto occorre ricordare le potenzialità del digitale, che ha salvato e continuerà a salvare centinaia di migliaia di posti di lavoro. I grandi colossi dell’Hi-Tech, da Google ad Amazon e Netflix, hanno sfruttato il loro core business per continuare a guadagnare e ad assumere anche durante la crisi. Bisogna infatti conside-
Uno studio realizzato da Peekaboo mostra come tante le start-up che stiano sviluppando idee in ambito medico-sanitario che vanno dallo sviluppo di sistemi di prevenzione al supporto della gestione di virus e potenziali pandemie. In crescita anche le aziende che stanno implementando sistemi e App legati alla spesa e alle consegne al domicilio. “A marzo il volume degli ordini del food delivery è cresciuto del 50% rispetto allo stesso mese dello scorso anno. I ristoranti che hanno aderito a questa formula sono aumentati del 60% e, in previsione delle rigide regole che si dovranno rispettare all’interno dei locali, la stragrande maggioranza dei titolari non ritiene che la spedizione dei pasti a domicilio sia cosa temporanea”, si legge nel report. “In virtù di questi dati - sottolinea Ridolfi - Peekaboo stima che la richiesta di sviluppatori e marketer digitali aumenterà del 50% nei prossimi anni. Vedremo anche la crescita di una figura ancora nuova, il Lean Manager che sappia traghettare l'azienda in modo snello in questo mondo che sta cambiando velocemente. Essere in grado di cambiare velocemente volto, modello di business e canali farà la differenza tra sopravvivenza e morte di un'azienda.”
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NON CHIAMATELO SMART WORKING, È TELELAVORO C’è una differenza profonda che va compresa per rispettare i diritti di chi lavora
di Barbara Polidori
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na delle sfide più grandi per il Paese è stato adattare in questi mesi il sistema lavorativo tradizionale al lockdown. Il decreto Cura Italia ha introdotto le aziende italiane al lavoro da casa, confermando la sua utilità, ma il successo dello smart working era già annunciato. Nel 2019, l’osservatorio Smart Working rilevava che il 58% delle grandi imprese italiane aveva già avviato al suo interno progetti di lavoro agile. La differenza è ora nella cultura imprenditoriale: prima della pandemia lo smart working era concepito a fatica dai datori di lavoro; facendo di necessità virtù, oggi sono gli stessi manager a promuovere il lavoro da remoto come innovazione dell’azienda. Una scelta che, se da un lato strizza l’occhio alle best practices e alla CSR, dall’altra rivela una conoscenza superficiale di cosa sia realmente lo smart working. Il rischio per l’azienda è il Green washing, la costruzione di un’immagine ingannevole del brand, ma le ripercussioni riguardano anche i diritti dei lavoratori. È importante allora non confondere lo smart working con il telelavoro. Sono entrambe forme di lavoro a distanza, ma solo una è veramente agile in questo momento. La definizione esatta di smart working è contenuta nella Legge n. 81/2017 e riguarda una modalità di lavoro autonoma, flessibile negli orari, negli spazi e negli strumenti che il di-
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pendente sceglie per svolgere il proprio compito. Chi lavora in smart working può farlo perciò da una caffetteria, da un resort, ovunque voglia, perché contano solo i suoi risultati. Un’azienda che accetta lo smart working dimostra perciò attenzione verso le competenze professionali, fiducia nei confronti dei dipendenti e una mentalità aperta. Il fatto che il lavoratore sia indipendente non lo esclude però da un trattamento economico dignitoso, dalla copertura in caso di infortuni sul lavoro e malattie. Alcune aziende italiane si sono distinte inoltre per aver adottato una forma lavorativa mista in questo periodo, come nel caso delle Pa, prevedendo alcuni giorni in home working e altri in sede. Per quanto riguarda il telelavoro, è introdotto con l'accordo interconfederale del 9 giugno 2004 e si verifica quando tutta l’attività lavorativa è svolta dal dipendente presso un’unica sede, diversa da quella lavorativa ma con orari comunque concordati col proprio responsabile. Secondo uno studio di Eurofound, nel 2017 la media europea di Paesi europei che utilizzavano il telelavoro era del 17%, mentre l’Italia lo impiegava meno del 10%. Il telelavoro segue inoltre delle regole precise: l’obbligo da parte del datore di eseguire ispezioni sullo svolgimento del lavoro, assicurarsi che il lavoratore riesca a conciliare l’attività lavorativa con quella personale, infine l’utilizzo di apparecchiature tecnologiche adeguate e in sicurezza. Home working e telelavoro non sono perciò sinonimi, ma è notevole come la pandemia abbia accelerato l’utilizzo di entrambe. Grazie a piattaforme come Microsoft Teams e Zoom, i gruppi di lavoro sono riusciti a confrontarsi più agilmente e a organizzare il proprio lavoro a distanza. Si pensi che Microsoft Teams ha registrato in questo periodo circa 2,7 miliardi di minuti di riunione al giorno, con un incremento del 200% rispetto ai 900 milioni del 16 marzo. Anche per Zoom è stato un periodo di ascesa, passando da 10 milioni di utenti attivi a circa 200 milioni. Per l’Italia è giunto perciò il momento di superare le resistenze sul lavoro da remoto, ma bisognerà preservare comunque i diritti dei dipendenti, non confondendo l’home working come totale assoggettamento al lavoro.
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I nuovi diritti della coronavirus generation di Alessia Laudati
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a pandemia ha cambiato le abitudini e i modelli di consumo stravolgendo le fondamenta della società immaginata nel ventunesimo secolo. Quella veloce, iperconnessa, disuguale, onnipotente e senza confini. Il virus non ha modificato solo il mondo ma anche le persone. Così in circa due mesi è nata una nuova generazione di cittadini: la coronavirus generation. Una fascia di popolazione disomogenea per età, differenze geografiche e ceto ma unita da un sentimento comune: cambiare senza perdere il benessere e soprattutto i diritti conquistati fino a qui. Persino quelli incompleti che danno ancora il segnale ‘loading’. Sarà facile? Sarà difficile? Non lo sappiamo; ma ecco una mappa dalla quale ripartire.
>>> Diritto alla disconnessione Il lavoro agile ha modificato il confine fisico dove si svolgeva tradizionalmente il lavoro: quello dell’ufficio. Inoltre esso ha stravolto la principale modalità di controllo della produttività: cioè le ore passate in azienda. Ora che circa 1.8 milioni di italiani lavorano in smart working e adesso che la casa e lo smartphone sono diventati luoghi e strumenti di lavoro a tutti gli effetti, il rischio è che le giornate si allunghino e che il dovere invada momenti che prima erano riservati ad altre attività. Videochiamate, mail, messaggistica a qualsiasi ora del giorno: questo lo scenario peggiore offerto dalla tecnologia ossessiva. Che cosa serve quindi? Un nuovo contratto di lavoro per lo smart working, come ha detto il segretario della Cgil Maurizio Landini, una cultura aziendale che rispetti il diritto alla disconnessione e una tecnologia che per quanto ubiqua possa e debba essere silenziata. Per premere il tasto off almeno un pò.
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>>> Diritto di accesso a internet I vantaggi della società digitale non appartengono a tutti. Secondo l’Istat il 33,8% degli italiani è senza tablet o pc a casa. Il digital divide è forte soprattutto al Sud e numeri di questo tipo identificano un vero e proprio gap che impedisce il diritto allo studio, il diritto all’informazione e una svariata mole di servizi ad esso collegati. Che cosa si può fare? Nell’era dello sharing si può pensare a device in affitto e a postazioni per l’accesso a internet molto più diffuse sul territorio e molto più accessoriate di quanto avvenga ora nei comuni internet point.
>>> Diritto all’intrattenimento Cinema, teatro, musica dal vivo, discoteche. Voci, strette di mano, vicini di sedia e di film: tutte immagini che si allontanano dalla quotidianità. Perché non si sa quando tornerà il senso di aggregazione e il contatto fisico come parte integrante di queste esperienze collettive. Certo è che l’intrattenimento, un settore non per forza da sovrapporre con quello dell’educazione o della cultura, è uno dei più colpiti. Per il fatto di abbracciarsi sudati in mezzo alla folla non si può fare nulla al momento, ma lo spettacolo dal vivo può essere fruito anche in streaming con regie sempre più evolute e piattaforme in grado di investire su prodotti di questo tipo. Inutile dire che anche il servizio pubblico televisivo dovrà fare la propria parte, data la corposità degli investimenti e la potenza di fuoco di cui è capace. L’esperimento della musica non dal vivo ma viva è cominciato per esempio con il tradizionale concerto del primo maggio e ha previsto collegamenti in diretta dallo studio con contributi realizzati precedentemente dagli artisti. Forse ci aspetta un Sanremo diversamente musicale per il 2021?
>>> Diritto al pagamento digitale Created by Irdat Purwadi from the Noun Project
Pochi contatti e pochi contanti. Perché il denaro passa di mano in mano, avvicina commercianti e clienti che dovrebbero invece stare il più lontano possibile e rallenta le procedure di pagamento che potrebbero essere velocizzate con un click. Il pagamento digitale dovrebbe diventare la norma anche per i piccoli negozi (da sempre più scettici nei confronti di questa forma di incasso). Spazio quindi al Pos per le consegne a domicilio e alle app per il pagamento digitale.
>>> Diritto alla sicurezza sul luogo di lavoro Non solo norme anti-incendio o postazioni adeguatamente strutturate contro incidenti e malattie muscolo-scheletriche. Per evitare di mettere a rischio la salute bisognerà lasciare ampio spazio al settore safety nelle aziende: termoscanner, barriere in plexiglass, mascherine chirurgiche, dispositivi DPI, ma anche vetrofonie per realizzare cartelli per una nuova segnaletica. Infine c’è la sanificazione: i processi di disinfezione dovranno essere veloci, regolari ed efficaci; solo così gli ambienti condivisi non presenteranno eccessivi rischi di trasmettere il virus.
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una ripresa sostenibile Il membro della task force del governo ed ex presidente dell’Istat Enrico Giovannini apre la via a una scelta necessaria di Pietro Mecarozzi
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Giovannini, quali sono le sfide e gli scenari che attendo l’economia globale nel post coronavirus?
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ipartire significa anche sfruttare gli insegnamenti del passato e «puntare quindi su una riconversione economica equa e sostenibile, in chiave green». A dirlo è Enrico Giovannini, ex presidente Istat, membro della task force per la Fase 2 guidata da Vittorio Colao, nonché ex ministro del Lavoro e portavoce dell’A lleanza italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS). L’emergenza globale ci costringe a rivedere i sistemi produttivi nazionali e internazionali, facendo delle misure emergenziali attuate un punto di partenza sul quale costruire il futuro. «Serve una rivoluzione sostenibile. Partendo dai piani europei in essere e futuri, che aiuteranno i privati a una riconversione nel rispetto dell’ambiente e la politica a garantire la qualità del lavoro e dello sviluppo stesso» spiega l’economista.
Come diceva Niels Bohr: prevedere è molto difficile, specialmente il futuro. Al di là della battuta, serve una premessa di natura geopolitica. La Cina è ripartita sul piano economico, ma sembra che abbia ancora le grandi contraddizioni
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Come si traduce in senso pratico? Se la Banca Europea degli Investimenti (Bei) diventerà uno dei canali principali attraverso cui verranno elargiti fondi per la ripresa, non solo al settore pubblico ma anche a quello privato, dobbiamo ricordare che a settembre la stessa Bei ha scelto che dal 2021 non finanzierà più progetti basati su energie fossili. Dunque, il combinato disposto delle diverse decisioni, più la citata roadmap e l’orientamento delle autorità europee allo sviluppo sostenibile, potrebbe obbligare i Paesi membri che vogliono accedere a quei soldi ad andare in tale direzione con i fondi nazionali. Ecco perché le scelte della politica nazionale oggi hanno un ruolo fondamentale. Scelte pubbliche e private che dovranno ripensare anche al mondo del lavoro… Partendo dal privato: ho trovato estremamente positivo il fatto che associazioni imprenditoriali e sindacati abbiamo sottoscritto un forte protocollo sulla sicurezza negli ambienti di lavoro alla luce della pandemia. Che prevede anche la chiusura immediata per quelle imprese che non rispettano tali norme. Mi sembra un salto molto importate e spero verrà applicato veramente da tutte le imprese, il che vorrebbe dire un salto di qualità rispetto a una situazione pre-crisi in cui sappiamo che le condizioni di lavoro non sempre erano in linea con le norme, con incidenti fin troppo frequenti. Attuare il protocollo di sicurezza sanitari è quindi una scelta importante, in quanto legata anche a un aspetto finanziario. Credo, infatti, che il mondo della finanza orienterà gli investimenti verso imprese che non corrono il rischio di chiusura per non aver applicato i protocolli di sicurezza. Qual è la soluzione?
che aveva in precedenza, per esempio, sul tema ambientale. Per cui da un lato il presidente Xi Jinping ha immaginato una conversione ecologica, dall’altro continuano a essere aperte centrali a carbone. C’è una contraddizione di fondo che va sciolta, anche perché Cina e India sono tra i soggetti internazionali più inquinanti. Gli Stati Uniti invece sono vicini a un’elezione da cui naturalmente dipenderà molto della politica ambientale ed energetica. Nel frattempo, è lo stesso mercato che spinge verso una direzione green. Quindi? Il crollo del prezzo del petrolio sta colpendo duramente i produttori, e specialmente quelli americani che usano shale oil e gas, rendendoli non competitivi. La domanda di energia dovrà essere gestita anche alla luce dei nuovi trend di produzione. Secondo molte previsioni il prezzo del petrolio, anche a fine emergenza, rimarrà più basso degli anni scorsi, rendendolo più conveniente delle rinnovabili. È anche vero però che la spinta dell’opinione pubblica è verso un indirizzo più sostenibile ed è qui, pertanto, che le politiche energetiche dei singoli Stati saranno cruciali.
Segnali chiari a favore della sostenibilità, anche sociale. Inoltre, Lo Stato, che ha un ruolo importante in tante grandi imprese, può orientare tutte le relative filiere verso soluzioni sostenibili e sicure. Inoltre, le politiche di incentivazione o disincentivazione possono guidare i comportamenti dei privati ed evitare scelte più inclini a un modello passato, ormai completamente inattuabile. Riusciranno le linee guida per la ripartenza a garantire una sicurezza sanitaria ed economica nel rispetto dell’ambiente? Una delle preoccupazioni più forti che abbiamo in questo momento è proprio l’impatto sull’ambiente della ripartenza. Per esempio, se il settore alberghiero o della ristorazione, quando ripartirà, punterà tutto sulla plastica monouso sarà un disastro. A tale proposito ci sono opportunità di produzione e smaltimento corretto, anche di mascherine e guanti, sul piano ambientale, che potrebbero generare una crescita economica e occupazionale nei settori più green. Ecco dove l’incentivazione fiscale può avere un peso importante, in quanto l’Italia ha settori e imprese all’avanguardia su questi fronti. In definitiva, si tratterebbe di fare una transizione ecologica molto rapida di quella che ci immaginiamo solo mesi fa. E qui il governo deve dare subito un’indicazione forte, analoga a quella che è stata data sulla necessaria sanificazione degli ambienti di lavoro.
L’Europa e l’Italia sono pronte per la riconversione?
Sempre in tema di transizioni, visto il problema del digital divide emerso in molte regioni italiane: quanto è importante investire anche in tecnologia?
L’Europa potrebbe decidere di prendere una strada a favore della sostenibilità e dell’equità. Ma non è ancora sicuro che lo faccia. Non a caso il documento sulla roadmap per uscire dall’emergenza, varato dalla Commissione europea per l’ultimo consiglio europeo, si intitola “Un’Europa resiliente, sostenibile e giusta”. Questo vale soprattutto per quei paesi particolarmente colpiti dal coronavirus, come l’Italia, per cui i fondi comunitari saranno cruciali per definire le politiche di ripresa. E se quelle politiche restano ancorate a quelle strategie definite prima della crisi, questo spingerà l’Europa verso un modello più giusto ed equo. Ma ci sono forti resistenze da interessi costituiti e alcuni paesi: quindi, mi aspetto duri scontri sul prossimo bilancio 2021-27 e mi auguro che l’Italia stia dalla parte giusta.
Abbiamo bisogno di accelerare l’investimento in banda larga e in altre tecnologie digitali, ma anche fare tanta formazione. Non solo dei docenti, ma anche dei lavoratori. In quanto lavorare da casa non è necessariamente smart se il lavoro non è organizzato in quella direzione. Analogamente quando le persone torneranno a un lavoro più fisico, magari con una componente più forte di smart working, ci dovrà essere un coordinamento delle decisioni. Se tutte le imprese di una città, per fare un esempio, faranno smart working nella stessa giornata, quella stessa città per gli altri quattro giorni continuerà a essere soffocata dal traffico e dallo smog. Di nuovo, quindi, in questo frangente le politiche, non necessariamente costose in termini di spesa pubblica, possono giocare un ruolo importante per consentire al sistema di uscire da questa drammatica crisi.
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Democrazia e libertà ai tempi del Coronavirus Un confronto sulla democrazia con Ian Shapiro, Sterling Professor dell’Università di Yale presso il dipartimento di Political Science di Danila Giancipoli
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uanti di noi si sono sentiti minacciati dal Coronavirus? Toccati su quel nervo scoperto che chiamiamo libertà. Ad ogni crisi socio-economica corrisponde un cambio di prospettiva, nuovi sentimenti collettivi e teorie capaci di plasmare le politiche del futuro. Viene da chiedersi se siamo davanti ad uno spartiacque storico, come la crisi del 2008, come la caduta del muro di Berlino, come il 1929.
Ma esiste un’altra faccia della medaglia economica: l’uomo e la sua capacità di reazione all’imprevedibile, la gestione del suo iper-individualismo moderno. Mentre parliamo di questo paesi come Israele, Thailandia, Russia, Cambogia, Uganda, India, Paraguay, Filippine, Ungheria, Slovenia, stanno vivendo momenti bui tra violenze, censura e abuso di potere. Ho scelto di parlare di democrazia e libertà con un esperto in materia: Ian Shapiro, Sterling Professor dell’Università
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di Yale presso il Dipartimento di Political Science. Ho conosciuto il Professor Shapiro proprio “grazie” al Coronavirus, frequentando un suo corso online. Attraverso una Skype Roma-Connecticut vengono fuori parole crude, mai banali, a dimostrazione di come sia importante ricordarsi di concetti come ingiustizia, vulnerabilità e crisi. Nel suo ciclo di letture “Power and Politics of the Today’s World”, parla di grandi fallimenti come momenti di cambiamento nazionale e globale a lungo termine. Siamo di fronte ad una nuova era? “Per prima cosa, è molto difficile fare previsioni perché non sappiamo quanto tutto questo peggiorerà e quanto durerà. Dobbiamo considerare gli effetti sulla politica, l’aggravarsi di conflitti sociali e soprattutto l’incremento delle disuguaglianze. Cominciamo dalla questione lavorativa: dal 2008 c’è stata una crescita dei lavori temporanei. I giovani devono aspettarsi di cambiare lavoro dalle 12 alle 15 volte a causa dell’automazione e della tecnologia. La crisi attuale accelererà tutto questo. La necessità della distanza sociale incrementerà la richiesta di servizi online (acquisto, insegnamento, conferencing, intrattenimento). Questo non vuol dire che non ci sarà abbastanza lavoro. Vuol dire che l’adattamento continuo sarà la nuova normalità. In secondo luogo, uno dei grandi fallimenti è stato che le democrazie capitaliste dopo il 2008 non hanno realizzato in tempo l’emergere di masse di lavoratori insicuri e vulnerabili. Queste persone sono state mobilitate da populisti demagoghi dal 2016 con argomenti come l’anti-immigrazione. Veicolare la disperazione all’interno di un assetto democratico adesso vuol dire evitare politiche radicali e dannose a lungo termine”. È ancora possibile fare propaganda? “Sì, ma è una moneta a doppia faccia. Da una parte i social media creano possibilità alle persone di comunicare con metodi che non esistevano dieci anni fa, dall’altra si crea un rafforzamento delle forme di repressione. I governi cercano di approfittare della crisi. La Cina sta implementando il Sistema di Credito Sociale, Israele ha imposto il monitoraggio dei dati dai cellulari. Le persone sono preoccupate nel vedere questi governi rafforzarsi”. I grandi sistemi possono collaborare per un bene comune? “A ridosso della crisi finanziaria del 2008 le persone parlavano molto di cooperazione internazionale. Quando siamo arrivati alla crisi finanziaria gli organismi transnazionali non si sono dimostrati particolarmente efficaci. Ci sono state operazioni a livello nazionale, ma non una vera e propria risposta collettiva. Continueremo probabilmente ad assistere al risorgere di nazionalismi, molti paesi stanno screditando l’OMS, stanno incolpando la Cina. Stanno tutti affrontando elezioni nazionali e penso che il primo impulso sarà di non collaborare”. La crisi sarà un catalizzatore di nuove trasformazioni? “Se si pensa alla Grande Depressione, è stata così drammatica che ha prodotto il New Deal in America. O se si pensa alla Seconda Guerra Mondiale, è stata così distruttiva che ha prodotto il Piano Marshall, ha portato la socialdemocrazia in Europa Occidentale. Forse uno dei problemi della crisi finanziaria nel 2008 fu proprio che dal punto di vista politico la situazione non era drammatica abbastanza. Nel 2015-2016 improvvisamente abbiamo visto l’insorgere del populismo ma non è venuto fuori dal nulla. In alcuni paesi poi sarà molto di peggio di quello che si prospetta adesso: consideriamo l’interazione tra la crisi e il collasso dei prezzi del petrolio. Paesi come Russia, Venezuela, Iran, Arabia, Nigeria, le loro risorse stanno collassando. E’ un fattore da considerare nel ragionamento globale. Forse la pandemia è quel tipo di catalizzatore di cui parliamo affinché le élite politico-economiche si decidano ad attuare nuove riforme economiche strutturate”.
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Lo smartworking sarà parte di questo processo?
Il governo punta sullo smart working
“Lo smar working è utile oggi e lo dovrà essere nella fase 3, quando si troverà il vaccino e il virus sarà sconfitto. Covid-19 ci ha fatto capire l’importanza di uno strumento che esiste da tempo, ma che non era ancora stato avviato in maniera adeguata. Prima del coronavirus solo il 3,5% dei lavoratori lavorava in smartworking, oggi la percentuale si è alzata tantissimo perché abbiamo fatto di necessità virtù. Per il futuro bisogna capire che lo smartworking rappresenta un cambiamento positivo che incide sulla qualità del lavoro, perché chi lavora da casa può essere più efficiente e più efficace per le imprese”. Quello che però molti hanno sperimentato non è smart working, ma più una forma di homeworking… “È vero, è arrivato lo tsunami e siamo stati costretti a reagire. Non eravamo preparati, ma spesso nella vita si interviene sulle cose solo dopo averle sperimentate. Di smart working si parla da molto tempo, l’emergenza Covid-19 ha portato la necessità di costruire le condizioni per implementarlo e programmarlo”.
Parla il sottosegretario Di Piazza (M5s): “Dobbiamo prorogare il divieto di licenziamento” Possiamo considerarlo un cambiamento definitivo?
di Vittoria Patanè
“Io vedo lo smart working come una prima risposta positiva. Dobbiamo capirne meglio i meccanismi e regolamentarlo. Bisogna mettere i lavoratori in condizione di lavorare al meglio, fornendogli i software e gli hardware di cui hanno bisogno, e fare formazione sia a chi lavora da casa che ai datori di lavoro. A questi ultimi occorre far capire che lo smart working non implica una perdita “controllo e potere” sui dipendenti, ma significa sviluppare un rapporto più produttivo basato sulla fiducia. Il tutto all’interno di un percorso virtuoso che dia un’ulteriore spinta alla digitalizzazione”. Anche di digitalizzazione si parla da tempo...
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ome sarà il mercato del lavoro dopo il Covid-19? L’emergenza ha già portato un primo cambiamento: l’esplosione dello smart working. La politica deve concentrarsi ora sulla fase 3, un momento che secondo il sottosegretario al Lavoro, Stanislao Di Piazza (M5s), sarà “il nostro dopoguerra”. Da cosa partire? Sottosegretario, il decreto Rilancio può essere un punto di partenza? “Il decreto interviene soprattutto sulle politiche passive del lavoro, con interventi volti a garantire il reddito come la cassa integrazione e i bonus agli autonomi. Importante è la proroga del divieto di licenziamento perché la crisi è talmente grande e le possibili ripercussioni talmente forti da rendere altissimo il rischio di un aumento vertiginoso della disoccupazione. Siamo intervenuti anche sulle politiche attive, con misure a favore delle imprese affinché esse siano in condizione di avviarsi verso la ripresa. Tutti descrivono questa fase come un periodo di guerra. La fase 3 sarà il dopoguerra, un momento in cui si dovrà ricostruire e cercare di superare le difficoltà”.
“La digitalizzazione è un processo su cui occorre spingere per essere competitivi come Nazione, facendo attenzione però che non porti ad un ulteriore aumento delle disuguaglianze. Lo abbiamo visto in questi mesi: chi a casa ha un pc o uno smartphone è riuscito a studiare e lavorare a distanza. Chi per motivi economici non ha gli strumenti necessari è rimasto indietro. Bisogna fare in modo che tutti abbiano le stesse opportunità”. Che ruolo giocheranno i giovani in questo scenario? Hanno già subito le ripercussioni della crisi del debito, c’è il rischio che siano i più vessati anche dalla nuova recessione? “C’è ed è per questo che dobbiamo rivedere il modello economico. In passato abbiamo anteposto l’individuo consumatore alla persona che produce, oggi dobbiamo mettere al centro l’imprenditore, il lavoratore, con uno sguardo particolare alla generazione più debole che ha già pagato troppo in termini di salari e lavoro precario. Dobbiamo costruire un percorso che consenta ai giovani di diventare i veri protagonisti della ripresa. Con il dl Rilancio per esempio si aprono tutta una serie di concorsi per medici, infermieri, polizia. Sono possibilità da sfruttare, così come lo è la digitalizzazione. Sono i giovani che per forza di cose si metteranno alla guida del processo, è naturale. Il nostro compito è quello di accelerare, utilizzando la situazione drammatica in cui siamo caduti per dar loro più speranze e creare opportunità”. Come sarà il mercato del lavoro dopo il Covid-19? “Dobbiamo capire quale sarà il lavoro del futuro, individuare i settori più promettenti e puntare su quelli. Oltre digitale penso all’intelligenza artificiale. Entrambi avranno bisogno di figure consulenziali e di controllo. Bisogna intervenire sul processo di formazione, preparando i lavoratori giovani e meno giovani ai cambiamenti del mercato del lavoro. Non è facile, ma ce la dobbiamo mettere tutta”.
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Arrivederci gerarchia La crisi obbliga a ripensare i modelli organizzativi, avverte l’imprenditore e dirigente d’azienda Pier Luigi Celli
di Danila Giancipoli
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ome cambia l’organizzazione aziendale con il covid-19? Ne parliamo con Pier Luigi Celli, imprenditore italiano, ex direttore generale di Rai e Luiss, autore, oggi presidente di Sensemakers.
Il virus ci ha costretti ad una destrutturazione delle abitudini private, ad una rivisitazione dell’intero assetto economico italiano. Quale sarà secondo lei la direzione che prenderanno le aziende nel prossimo medio periodo? “Si presenteranno problemi interessanti da affrontare che costringeranno a ripensare assetti organizzativi e riarticolazione dei poteri in forma meno gerarchica. Gli aspetti sono molteplici: come interpretare il successo forzato del lavoro da remoto; che peso assumerà questa invasione della vita famigliare nel mondo del lavoro sulla percezione consolidata della separazione tradizionale dei due mondi; se aumenteranno le aspirazioni all’autonomia operativa delle persone o se forse prevarrà la nostalgia della socialità in qualche modo garantita dal lavoro in azienda”. Alcuni aspetti dell’operatività aziendale dovranno rinnovarsi? “Stiamo sperimentando che la tecnologia rende possibili cose a cui molti non erano abituati, le aziende per prime: si sono determinate nuove abitudini che, ancorché indotte da circostanze straordinarie, lasceranno necessariamente il segno. L’azienda constaterà che certe funzioni, non strettamente legate alla prestazione di servizi operativi, possono essere svolte dai dipendenti con una certa efficacia da remoto. Il dipendente si renderà conto di poter operare con qualche margine superiore di autonomia e di organizzazione del proprio tempo, a cui potrebbe rinunciare poi malvolentieri”. Leadership aziendale. Quali saranno le qualità necessarie per fronteggiare le variabili dell’emergenza nei mesi avvenire? “Come spesso avviene quando scattano e prendono corpo innovazioni che portano a sabotare assetti organizzativi tradizionali, il problema dell’adeguamento intelligente delle strutture, dei processi e della distribuzione delle re-
sponsabilità, è molto più un problema che investe i Capi. Le crisi rendono evidente che la capacità di reazione e di risposta richiede un investimento legato a un surplus di riconoscimento del valore potenziale delle risorse, spesso trascurate. Come ogni organismo socialmente connotato, anche l’impresa è dotata di un suo sistema immunitario, e i suoi anticorpi sono più collocati nella pancia della sua organizzazione che nel vertice della sua gerarchia. Tutto questo richiede un ri-orientamento nella dislocazione dei poteri aziendali, che a mio parere sa più di ‘conversione’ che di adattamento”. Le aziende italiane possono adattarsi ad un’esigenza immediata di connessione e digitalizzazione? “Quello che è avvenuto in questi mesi ha reso possibile un avanzamento impensabile della cultura digitale e delle capacità di utilizzo delle tecnologie. La connessione, il lavoro reso quasi normale anche restando ognuno in remoto, ha messo i dipendenti nelle condizioni di accumulare conoscenza dei mezzi e delle loro potenzialità di utilizzo cooperativo. E questa è una acquisizione che farà giustizia di molte prevenzioni e di oggettivi ritardi nel volerli adottare”. Quali sono i pro e i contro di un regime di distanziamento sociale in cui viene negato il contatto fisico? “Le persone sono ‘animali sociali’, formano la loro identità e crescono culturalmente ‘nella relazione’ che pretende presenza, sguardo, contatto. In azienda non può essere diverso, a meno di non voler separare artificialmente ‘il funzionare’ ‘dall’esistere’ del dipendente. Vanno ricordati, per correttezza, alcuni pericoli: regimi separati e rigidi tra chi può usufruire delle nuove opportunità perché lavora in ufficio e chi invece deve produrre, possono introdurre diseguaglianze. Inoltre può prendere corpo, nei dipendenti dislocati in remoto, il dubbio che la mancanza di rapporto diretto coi ‘capi’ possa portare nel tempo ad un giudizio di superfluità. Infine, mantenere viva una cultura aziendale a distanza, senza poter far vivere a tutti una storia condivisa che richiede riconoscimenti personali e investimenti emotivi che la semplice connessione in rete di per sé non garantisce, non richiede solo razionalità nelle scelte: pretende il capire quello che è possibile e quello che non lo è: la distanza e la differenza toglie visione, induce cecità periferica, crea il deserto emotivo di certe aziende incapaci di valorizzare ‘cuori intelligenti’ e non solo capetti orgogliosi di un ruolo che li abilita a comandare”.
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UN'ESTATE AL COVID Il turismo vale il 15% del Pil italiano: il settore rischia un crollo ma organizza la ripartenza di Greta Ubbiali
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o la forte convinzione che il mare ci salverà tutti. Dopo i mesi di chiusura abbiamo bisogno di molto mare, nuovi orizzonti e riscoprire lo stare all'aperto" lo dice sorridendo Riccardo Boatti, fondatore di Sailsquare, mentre fa i suoi pronostici per l'estate. Certo è che la pmi innovativa fondata nel 2012 con Simone Marini e che permette di organizzare vacanze in barca a vela ha attraversato acque burrascose nei mesi scorsi. Come tutti gli operatori del settore turistico. Ora però è il momento di prepararsi alla stagione estiva con la consapevolezza che quest'anno sarà il coronavirus a dettare le regole in materia di aperture e distanze. "Sono fiducioso - racconta l'imprenditore – che una vacanza in barca a vela potrà essere un’alternativa da valutare: è un ecosistema relativamente piccolo e chiuso, si parte in gruppi ristretti e il mare è considerato sicuro". Come stima Enit, l’agenzia nazionale del turismo, le prenotazioni
relative all’estate 2020 hanno subito un calo del 57% ma regioni e città bagnate dal mare si stanno preparando ad accogliere i visitatori, ognuna con la sua idea di vacanza in sicurezza: in Sardegna il presidente Solinas ha deciso che le spiagge saranno a numero chiuso e i turisti potranno arrivare sull'isola solo se in grado di dimostrare di essere negativi al coronavirus. Una volta giunti verranno sottoposti a un test rapido e dovranno scaricare una app che ne tracci gli spostamenti. La Puglia dovrebbe optare per un passaporto sanitario che accerti la negatività al Covid-19 mentre tra le ipotesi allo studio per le spiagge laziali c'è stata quella di un braccialetto elettronico per segnalare la distanza troppo ravvicinata con un’altra persona. Per quanto riguarda la sicurezza negli hotel della Romagna il governatore Bonaccini ha tranquillizzato gli albergatori dicendo che se un ospite dovesse risultare positivo, l’hotel non sarà chiuso ma basterà la sanificazione. Cautela è il principio che ha guidato Nicola Sicher, proprietario del Pineta Nature Resort a Coredo (Trento): "nei mesi di chiusura ci siamo concentrati sul mantenere i rapporti con la clientela e dati da fare con tutte le manutenzioni straordinarie. È stato un modo per tenersi attivi e non vedere questo periodo come una perdita di tempo. Tuttavia abbiamo scelto di aspettare chiare indicazioni dell'Asl per organizzarci all'estate. Inutile portarsi avanti con soluzioni improvvisate che alla fine non vanno bene o risultano approssimative rispetto alle richieste ufficiali". Per quanto riguarda i prossimi mesi anche Sicher è positivo e dice: "all'estate ci stiamo preparando con ottimismo consci che inizierà più tardi e che dovremo garantire un soggiorno in completa sicurezza ma senza rendere questa esperienza troppo ospedalizzata. Facciamo un turismo leisure e dobbiamo adattarci alle richieste e alla voglia di fare vacanza degli ospiti".Per tutti le perdite sono già quantificabili. "Il valore del calo per l'estate adesso è solo ipotetico, bisognerà vedere a fine stagione. Di certo i tre mesi di stop che abbiamo fatto corrispondono a un quarto del fatturato annuale azzerato", dice l'albergatore trentino. Rincara la dose Boatti di Sailsquare che, dopo anni di crescita a doppia cifra ha visto "febbraio pari rispetto
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allo stesso periodo dell'anno scorso. Mentre marzo e aprile sono stati un disastro: rispettivamente -84% e -90%. Nel 2019 sono partite con noi più di diecimila persone. Solo a gennaio 2020 eravamo riusciti a fare il +64% rispetto ai numeri dell'anno prima". E aggiunge: "Dopo questa disgrazia dai risvolti non ancora del tutto chiari ci stiamo riorganizzando: per l'estate puntiamo tutto sul mercato interno, convinti che questo avrà un impatto sul Paese, e abbiamo rivisto le nostre policy di rimborsi e prenotazioni per venire incontro a chi deciderà di partire". Per Federturismo Confindustria i tempi di rientro alla normalità saranno lunghi, specie per la clientela internazionale. "È evidente - dichiara la vicepresidente Marina Lalli - che il blocco dei flussi turistici abbia comportato rilevanti riduzioni di fatturato e che le caratteristiche strutturali del mercato non consentiranno di recuperare tali perdite nel breve termine". Secondo l'associazione la pandemia ha bruciato 60 anni di turismo. Il commissario per il mercato interno dell'Unione europea Thierry Breton stima che questo settore possa calare fino al 70% e quindi debba essere tra i primi a ricevere fondi. In Italia il comparto vale il 15% del pil (circa 270 miliardi di euro) e è al secondo posto per numero di addetti con 1,556,053 unità. Il dato occupazionale è del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti che per il cluster produttivo ha previsto due scenari (uno base e l'altro pessimistico) di impatto del coronavirus. Il primo caso stima perdite per 22 miliardi, il secondo per 43, con cali del fatturato stimati tra il 20,2% e il 41,5%. "La risposta che bisognerebbe dare all'emergenza nel turismo deve essere doppia" dice Boatti. "Da una parte supportare l'ecosistema dell'innovazione fatto di startup e pmi. Il governo dovrebbe stare attento a non trascurare queste società fragili ma a alto potenziale anche per evitare che colossi stranieri monopolizzino il mercato. Anzi sarebbe opportuno investire in società che avranno possibilità di presidiare il nostro mercato. Il secondo fronte di aiuto è sostenere dal punto di vista finanziario in maniera non burocratizzata il comparto. Il supporto dovrebbe andare anche a operatori tradizionali come tour operator che pur non avendo nel loro dna l'innovazione rappresentano comunque un asset importante. Come imprenditore non mi aspetto di vivere di sussidi ma ci sono diverse manovre economiche proponibili per alleggerire le perdite". Il consiglio dei commercialisti nella sua analisi ha dato anche delle indicazioni su interventi da adottare come l'introduzione di un bonus turismo, il credito d’imposta sulle manutenzioni ordinarie e straordinarie e l'abbattimento al 50% degli importi di Tarsu e Tares.
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al turismo hanno chiuso i battenti nei due mesi di lock-down e stanno lentamente riprendendo le loro attività durante questa Fase 2. I mesi persi, però, difficilmente torneranno. Secondo Confederazione Nazionale dell’A rtigianato (CNA) nel primo semestre del 2020 si registrerà un calo complessivo dei ricavi dal turismo attorno al 73%. L’alberghiero e, più in generale, la ricettività turistica ha subito la contrazione maggiore, quantificabile in 13 mld di euro nel primo semestre dell’anno (dati CNA). Tra febbraio e settembre, si stima, oltre 50 milioni di turisti stranieri non visiteranno il nostro Paese.
Affittasi La sharing economy sembra tra i settori più colpiti dalla crisi: ricostruire la fiducia sarà un percorso lungo ma fondamentale anche per tanti italiani
di Pietro Mecarozzi
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’arrivo della pandemia da Covid-19 ha messo in ginocchio molti settori dell’economia italiana, europea e mondiale. L’interruzione delle attività produttive per i mesi di marzo e aprile ha prodotto una contrazione del PIL del 4,7% nel primo trimestre 2020 (stime Istat) e che potrebbe ridursi nel 2020 del 9% (stime FMI) o 15% (stime Goldman Sachs). Tradotto, parliamo di una crisi economica che molto si avvicina alla definizione di disastro. Pur essendo tutti concordi nel prevedere una fase di ripresa nel medio-lungo periodo, anche sostenuta, sono in pochi a credere che questa basterà a recuperare tutto il terreno perso durante il lockdown. Alcuni settori, più di altri, saranno in grado di riprendere velocemente i volumi di affari precedenti la pandemia, eventualmente aumentandoli, come ad esempio la logistica e diversi comparti manufatturieri. Altri settori, al contrario, faranno molta fatica a risollevarsi. Il turismo è uno di questi. Già nel mese di marzo il tasso di disdetta delle prenotazioni a breve termine in Italia si è attestato tra l’80% e il 100%. Bar, ristoranti, musei e tutte le attività connesse
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A fare le spese di questa emergenza sono anche gli attori della sharing economy, come AirBnB e gli utenti che hanno iniziato ad affittare i propri immobili attraverso la piattaforma di house sharing. Airbnb ha subito un tracollo verticale delle prenotazioni che ha raggiunto picchi dell’80% nel mese di marzo in molte città italiane. Oltre alla società, che ha dovuto ricorrere a finanziamenti per 2 miliardi di dollari a tassi di interesse molto alti e che per questo motivo ha visto crollare il proprio valore interno a 18 miliardi di dollari (circa la metà rispetto al 2017), sono stati colpiti anche tutti coloro che hanno trasferito risorse nel settore abitativo, investendo negli immobili da affittare attraverso la piattaforma. Queste persone si sono ritrovate di punto in bianco con mutui onerosi e zero introiti. Se il turismo non si dovesse riprendere velocemente, sarebbero in molti tra i proprietari di immobili a dover uscire dal mercato, con solo le società più grandi in grado di gestire, pur dolorosamente, questa crisi. Nell’impossibilità di far fronte all’incertezza che la pandemia ha generato per il futuro, alcuni host hanno iniziato a trasferire i propri immobili sul mercato degli affitti di lungo periodo. Si tratta di una situazione paradossale: AirBnB è uno dei mezzi attraverso cui l’incremento dei flussi turistici in molte città italiane ha dato origine alla riduzione dell’offerta abitativa di lungo periodo a favore degli affitti a breve, come sottolineato anche da uno studio dell’Istituto Cattaneo del 2018 riferito alla città di Bologna. Soprattutto per quanto riguarda le grandi città, uno shock dell’offerta degli affitti a lungo termine potrebbe ridare ossigeno ai molti che hanno subito l’aumento costante degli affitti negli ultimi anni e che hanno ora serie difficoltà nel trovare un alloggio. Sarebbe, d’altro canto, un duro colpo al settore extra-alberghiero di ricezione turistica. Al momento, AirBnB ha reagito alla pandemia rifinanziandosi e lanciando le Esperienze Online, una serie di attività condivise in rete tra cucina, yoga, danza, e altre. Inoltre, alcuni host rimasti senza ospiti hanno cominciato a convertire i propri appartamenti in ambienti adatti allo smart working. Il fenomeno si è sviluppato soprattutto nelle grandi città, a partire da Roma e Milano, dove molti lavoratori necessitano di un “safe-place” in cui attivare il telelavoro con la propria azienda. È ancora presto per dire se questa conversione avrà un futuro, ma certamente si tratta di una diversificazione che lascia intravedere una strategia di medio periodo e che segnala la necessità per la sharing economy di programmare il proprio futuro. La diversificazione è stata fondamentale anche per un altro colosso della sharing economy, Uber. Negli Usa, il core business
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del trasporto passeggeri si è ridotto del 46% nel mese di marzo rispetto allo stesso periodo nel 2019. Questo sia per la riduzione degli spostamenti, sia per le problematicità riguardanti la condizione di salute dei driver, talvolta disincentivati a riportare malattie per paura di una penalità da parte della piattaforma (come nel tragico caso di Londra segnalato da The Guardian in un articolo del 17 aprile). Al contrario, il ramo di Uber di consegne a domicilio (UberEats) ha continuato a funzionare a ritmi forzati, anche se non è ancora chiaro quale sia l’effetto sui bilanci aziendali. Un minimo denominatore sembra dunque emergere: sia i piccoli proprietari, sia i giganti della sharing economy temono un collasso di lunga durata e pianificano una strategia di fuga/diversificazione. Il turismo è un settore strano da un punto di vista economico: stando alle stime di Banca d’Italia, l’impatto diretto del turismo sul PIL italiano è superiore al 5%, arrivando a superare il 13% per quanto riguarda l’impatto indiretto e indotto (dati 2017). Tuttavia, questo dato importantissimo si accompagna a quello ben più basso del valore aggiunto generato dal settore. Secondo un lavoro del 2018 di alcuni economisti di Banca d’Italia dal titolo “Tourism and local growth in Italy”, un aumento del 10% nella spesa iniziale pro capite dei turisti stranieri genera un aumento del valore aggiunto nel decennio seguente compresa tra lo 0,2% e lo 0,4% (equivalente ad una crescita media annua dello 0,02%). Anche dal punto di vista occupazionale, la relazione è positiva ma estremamente modesta. Non è quindi chiaro se le caratteristiche ambientali, culturali e sociali che hanno spinto il turismo nel nostro Paese abbiano anche drenato risorse da altri settori più produttivi e ad alto valore aggiunto. Questa crisi farà venire qualche nodo al pettine e potrebbe ridimensionare per gli anni a venire il peso nei conti nazionali di un settore, il turismo, che è sempre stato considerato strategico.
Il turismo rappresenta il 20% del PIL in Grecia, 18% in Portogallo, 15% in Spagna, 13% in Italia (complessivamente) – secondo i dati World Bank
La Commissione Europea ha stimato che ristoranti e hotel perderanno metà dei propri ricavi nel 2020. Il calo sarà del 70% per le agenzie di viaggio e TourOperator, mentre raggiungerà il 90% per viaggi aerei e crociere
A livello mondiale (sempre Comm. Europea) il traffico turistico si ridurrà tra il 20% e il 30% a livello internazionale
Secondo l’OECD, l’impatto della crisi sarà compreso tra il 45% e il 70% di riduzione del volume dell’intero settore turistico internazionale. Tradotto in valori assoluti, una perdita tra i 275 e i 400 miliardi di euro a livello globale
In Italia i ricavi da turismo sono crollati del 95% nel mese di marzo
In Spagna i ricavi da turismo sono crollati del 60% nel mese di marzo
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L’E-COMMERCE: MAI PIÙ SENZA
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Effetti collaterali: risorse e misure di sicurezza, non solo Amazon
Sede Amazon italiana di Torrazza Piemonte: a metà Aprile i lavoratori si sono ribellati alla “mancanza di trasparenza” e “insufficienti misure di sicurezza” durante uno sciopero indetto dalla Filt Cgil. Con lo slogan “We are with you”, lavoratori dalla Lombardia al Piemonte, dall’Emilia Romagna al Lazio, hanno espresso il loro sostegno ai quattro dipendenti licenziati da Amazon negli USA dopo aver chiesto più protezione contro il coronavirus. Venerdì 1 maggio la situazione è diventata drammatica a New York a causa di uno sciopero collettivo per boicottare Amazon, Instacart, Whole Foods e Target. I lavoratori chiedono più sicurezza, congedi e indennità di rischio. Il commercio online è fondamentale, ma il fattore umano va tutelato.
Cosa è successo al commercio online durante il lockdown e quali sono le prospettive future del rapporto tra e-commerce e retail tradizionale di Danila Giancipoli
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e c’è una cosa che abbiamo continuato a fare, è stata comprare online. Inizialmente l’euforia, poi un domino di effetti collaterali tra logistica, difficoltà di produzione e disponibilità magazzino. Cosa vuol dire vendere online durante il Coronavirus?
Gli effetti del Coronavirus, lockdown e customer behaviour
Secondo Confesercenti il 2020 potrebbe chiudersi in Italia con oltre 80 miliardi di consumi in meno e un Pil in caduta del 9%. Il lockdown porta l’attenzione sugli e-commerce, ma cosa succede a chi non vendeva online prima del virus? Nascono neo-marketplace per supportare realtà geolocalizzate e poco digitalizzate, intensificando la necessità di investire in Customer Care e Retention. Piccoli distributori si sono attivati per spedire frutta fresca e prodotti bio, mentre grandi distribuzioni come Carrefour e Nova Coop hanno sperimentato la modalità “drive” oltre alla spesa online, da ritirare fisicamente dopo il checkout sull’app. Secondo una ricerca sui suoi associati, Netcomm ha calcolato a inizio aprile un incremento del 74% di acquirenti digitali che non avevano mai acquistato prima. Il settore dell’e-grocery ha visto un aumento del 179% (dati Nielsen) in occasione della Pasqua, mentre cresce l’esigenza del food delivery causa smart working. Per far fronte alla grande richieste online, la logistica deve riorganizzare i propri spazi e monitorare uno stock in magazzino adeguato. Supply Chain e il ruolo del Buyer diventano elementi centrali per l’ottimizzazione e il rifornimento degli articoli. E’ importante essere pronti, con la giusta strategia.
Il futuro del retail tradizionale: l’e-commerce ci aiuta a rispettare la distanza
“Non voglio tornare in negozio” è una frase che sentiamo dire ai clienti e ai nostri amici. L’e-commerce gioca un ruolo centrale all’interno di una strategia vincente. L’equazione acquisto prevede i seguenti termini: misure di sicurezza all’interno dei negozi, meno scontrini rispetto alla media giornaliera prima del virus, meno tempo a disposizione per selezionare il prodotto e necessità di pre-selezionare i nostri acquisti da portali online connessi con i rifornimenti dei negozi al 100%. La riapertura dei negozi è rischiosa ma non impossibile. Basta non dimenticare che i numeri cambieranno e l’intera pianificazione delle operazioni di marketing deve andare incontro a chi in negozio non vorrà tornare fino all’arrivo del vaccino.
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COSA FARÀ L’EDITORIA Digital Strategy: sperimentazione, diversificazione e analisi
Il ruolo del digitale nell’intero assetto economico è più che mai oggetto di discussione per la Commissione Europea. L’agenda digitale è ampia, ma tolti i big tech e i loro strumenti per fronteggiare l’emergenza, alcune PMI necessitano ancora di linee guida. Una cosa è certa: l’analisi dei dati e dei target sta variando, abbiamo bisogno di lavorare su numeri e abitudini di consumo diverse. Sperimentazioni come il Try On di L’Oréal (simulazione virtuale di make up) incentivano alla vendita e fanno sentire il cliente meno solo. La Rinascente sta lavorando ad un hub di prodotti luxury. Chi non ha un e-commerce sperimenta gruppi Whatsapp e mail marketing. L’adattamento non è possibile al 100%: servono strumenti per renderlo accessibile a tutte le aziende, grandi e piccole.
Più acquisti online, più timore, meno contante
Comprare online è anche più sicuro e non c’è rischio di contagio, cosa di cui non possiamo essere certi al 100% parlando di contante. Secondo un comunicato ufficiale della BDF la probabilità di contagio da parte di un virus tramite banconota sarebbe molto bassa rispetto ad altre superfici. In paesi come la Svizzera, dove il contante regna sovrano, è in atto una vera e propria rieducazione al digitale e alla carta di credito (es. l’app Twint). In Cina il denaro restante nelle città infette è stato quasi del tutto distrutto, nuove banconote “pulite” sono state stampate ed altre sono state sanificate. La Corea del Sud ha interrotto la circolazione del contante per due settimane. Negli Stati Uniti i contanti provenienti dall’Asia sono stati messi in quarantena prima dell’utilizzo. L'Eba incoraggia l’utilizzo del contactless e i pagamenti tramite app.
La chiusura forzata delle librerie, il tempo libero e la forza di ripartire di un settore essenziale di Eugenio Giannetta
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el 2018, nell’ambito del Progetto innovazione e competitività, è stata presentata una ricerca sulla valutazione dell’impatto economico e sociale del Salone del Libro, con il contributo dell’Università di Torino. Per la ricerca sono stati somministrati 2.140 questionari ai visitatori e i risultati hanno mostrato che le ricadute economiche dirette sul territorio ammontavano a circa 14,2 milioni di euro.
Applicando i moltiplicatori sull’economia locale complessiva, le stime si aggiravano sui 29 milioni di euro (per una fiera con un costo di circa 4 milioni). È evidente come un evento del genere possa impattare sulla filiera. Il Salone di quest’anno, previsto a Torino dal 14 al 18 maggio, è stato rinviato in autunno a causa del Covid-19, ma si è tenuto in quella data in un’edizione straordinaria, con eventi in live streaming e ospiti come Barbero, Quammen, Ghosh, Giordano, per citarne alcuni. Come il Salone, tanti eventi sono saltati, incidendo sulle sorti di un’editoria già fragile. Secondo i dati di marzo dell’Associazione editori italiani, le perdite per
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di rilancio per il mondo culturale e per dare ossigeno a tutto l’apparato commerciale. Presumibilmente faremo da apripista post Covid-19 nell’ambito degli eventi culturali, per cui diventa un’occasione per ripensare la struttura stessa del festival. L’idea è fare meno eventi, replicati in diversi spazi, chiedendo agli ospiti di dedicarci più tempo. Aumenterà la spesa per tecnologia e sicurezza e la città diventerà una sorta di grande streaming. Il mondo a mio avviso sarà all’incirca lo stesso, con un 5% di cambiamento. Facciamo sì che questo cambiamento faccia da volano e che fare rete sia sempre più una chiave di lettura”. Di opinione simile è Gianmario Pilo, organizzatore della Grande invasione di Ivrea con Marco Cassini di Sur: “Abbiamo spostato le date, ma la volontà è di farlo per l’importanza economica per la città. Il nostro è un budget sostenuto per circa il 30% da fondi pubblici e per il resto da fondi privati, ma come dimostrava uno studio di qualche tempo fa affidato da Pordenonelegge a Guido Guerzoni sull’incidenza economica del festival per il territorio, l’impatto è enorme: in quel caso il rapporto diceva che per ogni euro investito dalle istituzioni ne ricadevano circa 7 sul territorio in termini di indotto. A Ivrea parliamo di un afflusso di circa 22mila persone (dati della passata edizione). La città aspetta il festival e gli esercenti lo chiedono, perciò ci sembra un segnale importante provare a farlo, compatibilmente con la situazione. Alcune aziende potranno sostenerci, altre no, ma daremo lo stesso spazio nei materiali promo, per riconoscere loro l’impegno negli anni. Lavoreremo con un budget diverso e con alcuni eventi online, ma proveremo a esserci per mettere in moto un meccanismo virtuoso”.
Carta e resistenza, la ricetta di Edicola 518 di Salvatore Tancovi l’editoria a causa del Covid si possono tradurre in oltre 23mila titoli in meno, per un totale di circa 47 milioni di euro (16,5 milioni di euro di utili lordi; più o meno il 6% degli affari del settore). Le librerie, nel periodo del lockdown, hanno registrato il 75% di vendite in meno. Non sono mancati gli appelli degli editori, né una risposta alla crisi attraverso soluzioni alternative. Molti editori ad esempio hanno aderito al progetto "Libri da Asporto", lanciato da NW, società di Consulenza e Marketing Editoriale; un progetto nato per supportare le librerie indipendenti. Molti altri editori hanno invece aderito a “Libri con ALI”, a cura dell’Agenzia Libraria International. Quasi tutte le case editrici hanno fatto promozione sugli eBook e alcune hanno messo in piedi apposite collane digitali, come Microgrammi di Adelphi. Molte presentazioni di libri sono diventate digitali, con un boom di download di piattaforme per le dirette e iniziative per portare libri e autori nelle case degli italiani, come Leggiamo a casa di Feltrinelli. Considerando il momento complesso e le molte fiere editoriali saltate (i Boreali, Libri Come, la London Book Fair, il Salone del libro di Parigi, la Fiera del Libro di Lipsia, Book Pride Milano, la Bologna Children's Book Fair, diventata interamente virtuale, e diverse altre), alcuni operatori del mondo della cultura e dell’editoria, in questi mesi, hanno proposto soluzioni per resistere, ma anche vere e proprie proposte “di sistema”, perché il problema riguarda molti settori e molti lavoratori, della cultura ma non solo. Come spiega Mattia Signorini, scrittore e direttore artistico del Festival Rovigo Racconta, i problemi da affrontare sono molteplici, da fornitori a sponsor, passando per prestiti bancari, posti di lavoro, investimenti e anticipi: “Il nostro è un festival da circa 40mila presenze, perciò appetibile non solo da un punto di vista culturale. Impatta sul territorio sia in termini commerciali che di indotto (3 giorni di festival, nel centro storico, corrispondono a circa un mese di fatturato). Per questo in tempi di incertezza abbiamo deciso di fare il possibile per realizzare comunque il festival ad agosto (28, 29 e 30), se si potrà. Alcuni sponsor si sono sfilati e sarà dura. Sarà un festival ridotto, diverso, ma sarà un’occasione
C’è anche chi esulta. A farlo si rischia di sembrare impertinenti, folli, ma anche audaci e per resistere a una crisi nella crisi l’audacia non deve mancare. Allora fanno bene a esultare i ragazzi di Edicola 518, “il chiosco ribelle per gli amanti delle bella carta”, che anche in quarantena non hanno mai chiuso. Mentre impazzava la polemiche sulle librerie continuavano a impacchettare volumi e spedirli in tutta Italia. Come sempre, verrebbe da dire. Anche se il chiosco è in centro a Perugia, la vetrina dell’Edicola 518 è online, ed è difficile resistergli. Magazine, libri, fanzine, carta da tutto il mondo, profumata e ben impaginata. Su questa ricetta bisognerebbe riflettere: cura dell’offerta e facile accessibilità (qui i giganti dell’e-commerce non si possono battere). Resta la fisicità del rapporto tra libraio/ edicolante e gli affezionati della carta come esperienza irrinunciabile, i tempi che viviamo richiedono di arricchirla e non di mutarla. Chi ci è riuscito fa bene a esultare.
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L’EPOCA D’ORO DEI CORSI ONLINE Oltre il 90% degli studenti del pianeta è stato costretto alla didattica da remoto. Ma questa è anche un’epoca nuova per migliorare, a tutte le età di Salvatore Tancovi
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uando ci ricapita. Oltre 50 giorni per poter recuperare quei libri per cui non si ha mai tempo, sperimentare quelle ricette per cui non si ha mai tempo, fare quel corso di aggiornamento per cui non si ha mai tempo. Appunto, quando ci ricapita? La risposta, la più spontanea possibile, è: speriamo mai più. Almeno non così, costretti in casa, ossessionati da mille pensieri, preoccupati per il futuro incerto. Se ancora vale l’adagio “la salute è la prima cosa”, la seconda è per forza il lavoro. L’equazione di questa quarantena è stata: più tempo uguale meno lavoro. Un ribaltamento del nostro quotidiano che ci ha portato prima a riflettere sui ritmi della vita frenetica, poi a temere: il primo maggio il Censis pubblicava un rapporto secondo cui la metà degli italiani ha paura di perdere il lavoro. Allora meglio sfruttare questo tempo per assimilare nuove conoscenze, aggiornarsi, dedicarsi con assiduità alla buona pratica del lifelong learning: l’apprendimento continuo. In versione digitale, chiaramente.
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La piattaforma SEOZoom che è tra le più famose nel mondo del web marketing ha pubblicato ad aprile un report sull’impatto del Covid-19 sulle ricerche di Google. I dati relativi ai settori educazione e carriera sintetizzano perfettamente il periodo affrontato: le ricerche che riguardano la formazione professionale sono schizzate del 274%, quelle che riguardano lavoro e impiego sono collassate del 40%. Potremmo dire che il coronavirus ha creato le condizioni per l’epoca d’oro dell’e-learning, basterebbe solo considerare che nel mese di aprile oltre il 90% degli studenti del pianeta è stato costretto alla didattica online. Restando alla formazione professionale è quasi impossibile quantificare la vastità dell’offerta, già molto nutrita in tempi non sospetti. Per fare qualche esempio durante la quarantena le università di Harvard e Yale hanno dato libero accesso a molti dei loro corsi online, seguite a ruota dagli altri college della Ivy League. La stessa iniziativa è stata intrapresa praticamente da tutte le piattaforme di e-learning più quotate: Coursera, edX, Future Learn, Udacity (con una demo di un mese per tutti i corsi). Andrebbe aggiunto il digital training di Google, che era già gratuito, per completare un elenco comprensivo di migliaia di corsi professionalizzanti. L’offerta è cresciuta assieme alla domanda. È piuttosto complesso ricondurre tutti i dati pubblicati dalle varie piattaforme di formazione professionale online a un’unica percentuale di crescita. Vediamone alcuni: nel mese di marzo Groupon ha evidenziato un aumento complessivo del 137% per l’acquisto di buoni sconto relativi ai corsi di e-learning. Sempre a marzo le ricerche di corsi sulla piattaforma Emagister sono aumentate del 600%. Boom anche per la Cornerstone Institute for People Development, piattaforma per lo sviluppo del personale, che ha visto un aumento di accessi del 40% da parte dei suoi iscritti per un totale di oltre 27 milioni di ore di corsi seguiti. Non solo formazione professionale ma anche hobby e nuove passioni. Udemy ha pubblicato un report alla fine del mese di aprile in cui spiccava un 425% di iscrizioni in più ai vari corsi disponibili. Tra i più gettonati ci sono stati i corsi di fitness (+816%), disegno tecnico (+920%), ukulele (+292%). Gli utenti italiani sono stati tra i frequentatori più assidui facendo registrare l’aumento di iscrizioni più alto: +320%. La passione
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che il Belpaese ha scelto per intrattenersi durante la quarantena? I corsi di chitarra (+431%). Questo report ha fornito un altro dato interessante: non solo sono aumentate le iscrizioni, ma anche i corsi offerti: +55%. L’occasione, infatti, non poteva essere più ghiotta. Chiunque avesse un qualche sapere da diffondere s’è affrettato a produrre un corso online, un podcast, un ebook, anche un semplice video tutorial su YouTube per impegnare questo nuovo tempo libero a disposizione dei più. Non vanno poi dimenticate quelle aziende che hanno sempre avuto i corsi di formazione al centro del proprio business. Pensiamo ad esempio a tutte quelle realtà che nel periodo pre-crisi vendevano lezioni che si svolgevano in loco, con tutte le attrezzature e dotazioni del caso. Per queste società il presente è una vera sfida: prima hanno dovuto affrontare il lockdown in cui è stata sospesa tutta la programmazione dei corsi in presenza; poi hanno dovuto rimodulare questi corsi in webinar da seguire su Zoom o Skype. Va da sé che tutta la didattica comprensiva di attività laboratoriali è rimasta ferma ai box, in altre parole una grave perdita di fatturato. E non è finita qui perchè per queste realtà l’immediato futuro non rappresenta un ritorno alla piena normalità: sterilizzazione continua delle aule, classi contingentate, attenzione alle distanze di sicurezza, mascherine e guanti come nuova voce di spesa, un’audience limitata ai soli cittadini della regione d’appartenenza. È tutto da riorganizzare, l’affermazione che sentiremo più spesso da qui in avanti. Per fortuna, come abbiamo già detto, la voglia di imparare e approfondire degli italiani non è uscita ridimensionata da questa quarantena. È cresciuta, ha trovato nuove forme per essere soddisfatta e altre ne troverà. La telecomunicazione continuerà a ritagliarsi sempre più spazio nel nostro quotidiano, d’altronde ne abbiamo cominciato ad apprezzare i risvolti positivi. Ulteriori previsioni potrebbero risultare speculative. Ciò che possiamo dire con certezza è che insieme al nobile desiderio di una formazione continua non dovrà mancare un aiuto concreto a quegli enti che di questo si occupano, oltre alla loro capacità di adeguarsi alle nuove condizioni della contemporaneità. Non ci stupiremmo, infine, se tra le nuovi voci del prossimo paniere Istat figurassero anche i corsi online.
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La geopolitica degli aiuti Il nostro posto nel mondo tra pressioni e donazioni
di Elena Pompei
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on la seconda fase del contenimento del Covid-19 in Italia, si allentano le misure ma si stringono le alleanze. Con un contratto da 5,5 miliardi di dollari, l’italiana Fincantieri ha vinto l’appalto per produrre le fregate della marina americana, portando a casa un accordo commerciale di altissimo profilo. Allo stesso tempo, nel corso della prima fase dell’emergenza, l’Italia ha ricevuto a più riprese aiuti sostanziosi dal suo altro alleato, la Cina, trovandosi così ad un bivio tra le due superpotenze.
La crescente spinta cinese per l’ottenimento del dominio tecnologico globale ha lasciato l’Italia e l’Europa contese tra la Cina e l’A merica. Lo scoppio della pandemia ha acuito questa frattura. Sono molti gli esperti che in questi mesi hanno sostenuto che un inasprimento delle frizioni tra le due superpotenze è una prospettiva plausibile già nel breve periodo. Le tensioni preesistenti, come la guerra dei dazi, erano un elemento centrale della politica estera del Presidente americano Donald Trump. In piena campagna elettorale, il rapporto con la Cina resta un punto importante per tenere alte le possibilità di una sua rielezione. Il Presidente americano ha infatti accusato a più riprese il governo cinese di non aver reagito in una mi-
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sura sufficiente a bloccare la diffusione del virus, omettendo informazioni vitali e utilizzando poi le competenze sviluppate nell’emergenza per ampliare il proprio soft power nel mondo. Con l’invio di equipaggiamenti medici e squadre di specialisti, la Cina è stata accusata di aver sopperito alle proprie mancanze mostrando la facciata del governo solidale, che guarda all’Occidente con il desiderio di stringere legami che sopravvivono alla guerra al virus. È innegabile che la Cina abbia sostenuto anche in Italia una campagna di aiuti straordinaria nella prima fase dell’emergenza, fornendo materiali medici – spacciati per donazioni, nonostante fossero per la maggior parte transazioni commerciali – e inviando gruppi di esperti. Simili aiuti non mancano di una forte dimensione geopolitica. L’Italia è un avamposto ideale per la propaganda cinese in Europa, per via della sua posizione nel Mediterraneo e in quanto primo membro dell’Unione Europea, nonché del G7, ad avere aderito alla Belt and Road, la strategia della Repubblica Popolare Cinese che mira al miglioramento dei suoi collegamenti commerciali con i paesi Eurasiatici. L’accordo, fortemente voluto dal Movimento Cinque Stelle, fa parte del tentativo di portare l’Italia a guadagnare nuovo rilievo internazionale attraverso la creazione di un rapporto preferenziale con la Cina. È stato infatti il Ministro Di Maio ad accogliere Jinping nello scorso marzo per la firma dell’accordo, e sempre Di Maio ha annunciato l’arrivo del carico di aiuti, omettendone la natura e implicando che fossero donazioni, in una diretta Facebook dal suo profilo l’11 marzo di quest’anno. L’annuncio ha avuto effetti immediati, che non sono certo passati inosservati. I profili social dell’A mbasciata cinese in Italia hanno infatti lanciato un tweet, diventato poi virale nei giorni successivi: #ForzaCinaeItalia. L’hashtag si accompagnava, sul profilo dell’ambasciata e su account affini, a video in cui gli italiani sembravano applaudire da tetti e finestre le “donazioni” cinesi. In un’analisi condotta da Alkemy per Formiche, si è però dimostrato che oltre il 46% dei post
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pubblicati su Twitter tra l’11 e il 23 marzo con l’hashtag #ForzaCinaeItalia sono stati generati da bot, account automatizzati creati per fare da cassa di risonanza, mentre i video pubblicati dall’ambasciata sono falsi, manipolazioni. La reazione americana non si è certo fatta attendere. Subito dopo l’arrivo dei primi cargo, il Presidente Trump ha firmato un memorandum promettendo all’Italia cento milioni di dollari, affermando di voler mostrare la leadership Usa “contro le campagne di disinformazione cinesi e russe". Grazie alla rete di 30 mila dipendenti delle forze armate americane in Italia, e il lavoro delle ambasciate americane a Roma e presso la Santa Sede, i fondi aiuteranno gli ospedali nei servizi di montaggio di strutture da campo, cibo e assistenza tecnica. In questo nuovo campo di scontro geopolitico, quello degli aiuti, si consumano le battute di una sfida tutt’altro che esaurita. L’Italia dovrà scegliere con cautela il proprio partner strategico, in particolare alla luce di un’Unione Europea che cerca compattezza, guardando agli Stati Uniti come potenza alleata. È importante, infatti, che la volontà italiana di cogliere le opportunità economiche offerte da
Xi Jinping si accompagni alla considerazione dei rischi che gli investimenti cinesi portano con sé. Dalla poca chiarezza di alcuni accordi finanziari, ricordando le ricorrenti accuse di violazione dei diritti umani, per arrivare alla maggiore esposizione a propaganda e fake news, sono molti gli elementi da considerare per capire a chi guardare una volta superata la crisi. Il Professor Daniele Fiorentino, docente di Storia degli Stati Uniti d’A merica e Direttore del Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università Roma Tre, nota che l’Italia ha la “possibilità di avere un ruolo di ponte” tra le due potenze. Per via, però, dei disaccordi interni alla coalizione di governo – un Partico Democratico più vicino all’Europa e all’alleato atlantico, a fronte di una spinta del Movimento 5 Stelle verso la Cina – la posizione dell’Italia potrebbe non essere abbastanza compatta. I recenti accordi commerciali con gli Stati Uniti e le caute considerazioni dell’Unione Europea mettono l’Italia in una posizione peculiare. Mentre l’antagonismo tra Usa e Cina genera una forte pressione sull’Ue e i suoi stati membri, emerge la possibilità che l’Italia diventi la chiave di volta.
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NEL CONTAGIO Paolo Giordano - Einaudi, 80 pag, 10€
Letture per capire l'economia di oggi
a cura di Danila Giancipoli e Eugenio Giannetta
SPILLOVER - L’EVOLUZIONE DELLE PANDEMIE David Quammen - Adelphi, 608 pag, 29€ Scritto nel 2012, è il libro del momento. Si tratta di Spillover e racconta il salto di specie degli agenti patogeni dagli animali all’uomo. Il libro di Quammen è esploso nei giorni della pandemia, ma già da tempo era un libro di riferimento nell’ambito della divulgazione scientifica, non a caso tradotto in Italia da un esperto come Luigi Civalleri, docente al master in Comunicazione della Scienza alla SISSA di Trieste. Il lungo e approfondito saggio di Quammen, non solo utilizza un vocabolario che aiuta a familiare con il momento storico che stiamo vivendo, ma è in grado al tempo stesso di raccontare passato, presente e futuro dei contagi, passando dalle grotte della Malesia, sulle cui pareti vivono migliaia di pipistrelli, alle foreste pluviali del Congo, fino ai gorilla, ai maiali, alle zanzare. Possibili vettori di pandemie di Nipah, Ebola, Sars, o di virus dormienti e ancora solo in parte conosciuti, che un piccolo spillover può trasmettere all'uomo. In tempi di emergenza sanitaria e sociale da Covid-19, Spillover di fatto risponde alle domande che tutti negli ultimi mesi ci siamo posti almeno una volta: da dove arriva il virus? Come si trasmette? Esistono soluzioni? L’incertezza alla fine resta, perché Quammen non è un veggente, ma un divulgatore che indaga questo tema andando a toccare, tra gli altri, due tasti fondamentali: la paura del contagio – a tratti totalizzante ed estrema – e la necessaria diminuzione del deterioramento ambientale da parte dell’uomo.
Le epidemie, prima ancora che emergenze mediche, sono emergenze matematiche. Paolo Giordano scrive il saggio Nel Contagio prima del lockdown, anticipando quello che sarebbe stato il carattere sovraidentitario e sovraculturale del virus. Ci ricorda l’importanza della previsione e la necessità del cambiamento.
AGILITÀ EMOTIVA Susan David - Giunti, 288 pag, 18,00€ L’agilità emotiva è una skill fondamentale per un leader. Susan David, premiata psicologa della Harvard Medical School, lo ha ribadito durante il WBF di Milano 2019. Un manuale per le emozioni contro la “tirannia della positività” dal quale prende spunto il suo podcast Checking in, un “soul food” per il virus.
VIRUS Slavoj Žižek - Ponte delle Grazie, 82 pag, 4,99€ Il filosofo Žižek si interroga sui futuri rapporti tra individui, sulla recessione imminente e sulla fase di accettazione del virus. Una solidarietà su scala globale è possibile anche senza poterci toccare? Un nuovo comunismo può salvarci? Qual è il nostro destino? Un’analisi sociale pungente, umana e a tratti ottimista.
Innovazione e sostenibilità raccontate dagli under 35
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