Energia Connessa

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Numero 19 28 Ottobre 2019 NOVEMBRE 2019

L'economia raccontata dagli under 35

COPIA OMAGGIO the-newsroom.it

ENERGIA CONNESSA

DAVVERO SMART?

Un reality check sulla grande promessa delle metropoli 4.0

ALTA VELOCITÀ

Intervista al Chief Information Officer di Open Fiber

ENIGMA 4 RUOTE

Le auto elettriche sono pronte a cambiare il mercato?

POSTE ITALIANE S.P.A. SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - 70% S/CE/16/2018

Il potenziale del futuro si attiva con una rete connessa e intelligente: nelle città e nelle nostre imprese


PROLOGO

la nuova agenzia di Relazioni pubbliche e istituzionali la nuova agenzia di Relazioni Pubbliche e Istituzionali

Partiamo dalla conoscenza: per capire come funziona la nostra economia dobbiamo avere chiaro il fabbisogno energetico di una persona, una famiglia, del nostro Paese. Quella di oggi è un’energia connessa: la fonte necessaria per mandare avanti una manifattura 4.0 e sincronizzare in tempo reale la produzione. In questo numero di The New’s Room raccontiamo storie italiane e non solo per capire il mondo che cambia, di città che possono diventare intelligenti e reti super-veloci. Nodi chiave da comprendere prima che sia troppo tardi. Pierangelo Fabiano, Fondatore

ROMA: Via Emanuele Gianturco, 1 - Tel: +39 7686 7405 MILANO: Corso Monforte, 20 - Tel: +39 02 8345 0000 info@core.it | www.sg-core.it


INDICE

EDITORIALE di Sofia Gorgoni

I

nnovare in campo energetico e tecnologico è la strada che porta verso la decarbonizzazione.

Un obbiettivo che è più un obbligo se vogliamo fermare l’innalzamento della temperatura

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Editoriale

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Uno sguardo ai numeri

di Sofia Gorgoni

di Laura Bonaiuti

oltre i 2° dai livelli pre industriali. Il mercato dell’energia si sta evolvendo, spinto anche dalla

Cover Story

Oggi le tecnologie ci sono e moltissime grandi aziende, italiane in prima linea, stanno lavorando da tempo per rendere più facile il cambio di abitudini e comportamenti. Il mondo si trova dinanzi a una trasformazione non solo energetica, ma industriale che mette in connessione settori che prima non comunicavano, basti pensare l’elettrico e l’auto per esempio. L’Europa sta facendo la sua parte, investendo in ricerca e sperimentando nuovi tipi di emissioni, anche se non tutti sono pronti a mettere da parte i vecchi sistemi per il bene del pianeta. Cina e

Numero 19 | Ottobre 2019 the-newsroom.it

richiesta dei cittadini in tema di mobilità sostenibile, infrastrutture efficienti ed energia pulita. 6

di Luca Sandrini

How to 11

immaginare il nostro futuro, però, bisogna partire dalle nostre città che sono un banco di prova fondamentale. Uno dei settori con un ruolo chiave in questo percorso è quello delle costruzioni e

Intervista 12

La fibra ottica che renderà l'Italia una smart nation

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Il futuro visto attraverso un headset

della gestione degli edifici, infatti è responsabile di circa il 30 per cento delle emissioni di gas serra e del consumo di energia a livello globale. La buona notizia è che abbiamo tutti gli strumenti per realizzare un edificio a emissioni nette zero, in altre parole un edificio ad alta efficienza energetica che usa per tutte le sue esigenze fonti energetiche rinnovabili. I consumi di acqua, suolo e la produzione di rifiuti crescono, nel mondo ancora si producono dai 2 ai 3 miliardi di tonnellate di rifiuti di cui il 60 per cento finisce in discarica e non è gestito. Le città dovranno avere sistemi circolari per utilizzare queste risorse in modo intelligente. Tutte le potenzialità dell’energia connessa ve le raccontiamo in questo numero.

Anche la tua città può cambiare di Salvatore Tancovi

India, per esempio, ancora oggi continuano a costruire centrali a carbone. Anche se a più velocità, ormai è iniziata la corsa verso la decarbonizzazione, l’economia circolare e le fonti rinnovabili. Per

Un mondo di Smart City

di Greta Ubbiali

di Roberto Moliterni

Focus 18

5G: miti da sfatare

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Fattore geopolitico

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Guerra connessa

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Enigma auto elettrica

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Sotto terra

di Danila Giancipoli di Vittoria Patanè di Lorenzo Sassi

di Alessia Laudati di Elena Pompei

Top 5 30

Impresa futuro

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Uomini e donne che hanno fatto energia

di Barbara Polidori

di Roberto Moliterni

Rubriche 34 37

Focus: Enel per The New's Room L'oggetto: il modem

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Libreria

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Il lavoro del futuro

di Alessia Laudati di Lorenzo Sassi e Eugenio Giannetta di Sofia Gorgoni


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NUMERI

QUANTO STO CONSUMANDO? Una giornata tipo per capire l’energia

di Laura Bonaiuti

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obbiamo fare tutti qualcosa per il pianeta ed evitare il riscaldamento globale, siamo d’accordo. Ma prima ripercorriamo una nostra giornata tipo per vedere quanta energia, numeri alla mano, ognuno di noi consuma in 24 ore.

La mattina, ancora assonnati, diamo uno sguardo al nostro smartphone. Nella notte si è caricato e ha consumato circa 4 kilowatt (Kw), ma se non lo abbiamo staccato subito, lasciato in carica ha continuato a consumare più o meno 2 Kw. Un po’ freddino nel bagno di prima mattina? La pompa di calore vale 2 Kw, per un quarto d’ora fa mezzo Kw. Poi la doccia: se lo scaldabagno è elettrico con una potenza di 1500 watt e lo accendiamo un’ora prima se ne vanno 1,5 Kw + 0,38 Kw per un quarto d’ora di doccia. E il phon? Se consuma 1000 watt in mezz’ora sono 0,5 Kwh. Ci accingiamo ad uscire già con il nostro bel bagaglio di kw, evitiamo l’auto, ma prendiamo la metro. Un’azione che compiamo tutti i giorni, ma ci siamo mai chiesti quanta energia consuma? Illuminazione, scale mobili, impianto di ventilazione, treni: una stazione della metropolitana consuma circa 550.000 Kwh all'anno. Ed eccoci in ufficio davanti al pc: in un’ora il nostro desktop consumerà circa 0,29 Kwh. Dobbiamo aggiungere il consumo del monitor: uno schermo di 23 pollici assorbe circa 3 watt, ossia 0,003 Kwh. E la nostra stampante? In funzione consuma 0,013 Kwh, ma assorbe un po’ di energia anche mentre non stampiamo se è accesa. E naturalmente occorre la carta, però rigorosamente riciclata: già, ma per produrne una tonnellata, anche se non viene tagliato nessun albero, occorrono 2.700 Kwh.

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NUMERI

Pausa pranzo veloce? Ma anche in questo caso consumiamo energia! Pensiamo solo alle bottiglie di plastica, che ci stiamo abituando ad eliminare. Il PET è il materiale più diffuso per produrle: per un 1 kg di PET si consumano 2 kg di petrolio; e visto che 1 kg di petrolio corrisponde a circa 25 bottiglie da 1,5 litri, praticamente in una decina di giorni (… dipende da quanta acqua beviamo) abbiamo consumato 2 kg di petrolio. Ripieghiamo su una bibita in lattina? Per produrre una lattina si utilizza l’energia necessaria a tenere accesa una lampadina da 50 watt per 7 ore. Ma se considero anche come quel vasetto di yogurt o quella bottiglia sono arrivate fino al supermercato? Certo, hanno consumato energia, la benzina del camion che le ha consegnate: un tir consuma 20 lt di gasolio per fare un km. E se mangio uno yogurt greco che arriva in traghetto? Per viaggiare a 19 nodi impiega circa 10.000 Kwh. Di ritorno, dopo aver preso un’altra metro, usiamo l’ascensore? No, meglio salire a piedi per non consumare energia; ma anche se non lo prendiamo consuma lo stesso. Assorbe in media circa 2 Kwh. Entrando in casa accendiamo la luce: le scale, il corridoio, il lampadario. Mettiamo di avere in casa 10 lampadine da 40 watt, che consumano 0,4 Kw ogni ora, se le teniamo accese dalle 18 alle 24 fanno 2,4 Kw al giorno. Mentre non eravamo in casa, la lavastoviglie ha terminato il suo lavoro: ciclo rapido, per consumare meno, in 45 minuti 0,7 Kwh, e la lavatrice con una temperatura di 60°C ha assorbito 2,37 Kwh. E per la cena? Il forno elettrico per una cottura di un’ora a 200 °C, potrà consumare 0,9 Kwh, ed il fornello a gas – potenza di 3 Kw – circa 0,18 metri cubi l'ora di metano. Una passata veloce di aspirapolvere, potenza di 1600 watt, in un quarto d’ora 0,4 Kwh, ma un po’ di relax, finalmente! Accendo il mio TV a Led classe A, 32 pollici, 0,065 Kwh, ma ormai è un po’ tardi, meglio non pensarci.

PAROLE CHIAVE

Il watt è la potenza di un elettrodomestico. Il Kilowatt (Kw) è pari a 1000 watt.

Il consumo di watt all’ora è indicato dal Kwh.

Il Megawatt è 1000 Kw cioè un milione di watt.

Per calcolare il consumo annuo si moltiplica la potenza dell’apparecchio in watt per il numero di ore di funzionamento.


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COVER STORY

UN MONDO DI SMART CITY Come funzionano le città intelligenti e quando potranno cambiare la nostra vita?

di Luca Sandrini

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a qualche anno, l’espressione “smart city” è entrata nel lessico pubblico del nostro Paese. Una città “smart” è uno spazio urbano, che tramite una rinnovata attenzione all’ambiente e ai servizi offerti attraverso le più moderne tecnologie disponibili, migliora la vita ai propri cittadini. Le “smart city”, col tempo, si sono ritagliate un duplice spazio nell’immaginario collettivo: da una parte esse rappresentano un insieme di possibilità, ciascuna importante, per migliorare la quotidianità dei cittadini degli agglomerati urbani e metropolitani contemporanei. Dall’altra, sono diventate un oggetto a sé stante, che ha molto più a che vedere con l’utopia che con la progettazione urbana.

Il primo approccio, definito “bottom-up” o dal basso, intende migliorare l’esperienza della città per tutti gli “shareholders” (residenti, lavoratori pendolari, turisti, ecc.) attraverso l’introduzione e l’integrazione delle nuove tecnologie nel patrimonio storico delle città. Al contrario, il secondo approccio, definito “top-down” o dall’alto, identifica distretti e spazi urbani progettati a tavolino da grandi aziende e/o da agenzie governative. L’obiettivo, in questo caso, è di creare ex nihilo uno spazio urbano nel modo più efficiente e conforme al funzionamento delle tecnologie. Si mischiano, cioè, una funzione pratica e un’idea di futuro fortemente sbilanciata sulla tecnologia, che da mezzo per un’esperienza urbana migliore, diventa un fine.

COVER STORY

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Ma cosa rende una città “smart”? Principalmente, gli indicatori si concentrano su 5 macroaree: eco-sostenibilità, comunicazione tra cittadini e amministrazione, connettività, mobilità cittadina e potenziale di sviluppo economico. Per le città concepite con un approccio dall’alto è relativamente semplice raggiungere buoni punteggi in ogni indicatore. Songdo in Corea del Sud è un ottimo esempio di questo tipo: costruita su 600 ettari di terra di recupero dal mare, per molti si tratta della più grande speculazione edilizia della storia (il costo di progettazione è previsto intorno ai 40 miliardi di dollari). La città si sviluppa letteralmente attorno al concetto di connettività; tutti gli edifici, infatti, sono connessi alla wide area network (WAN) cittadina, quasi come fossero i computer, le stampanti e i macchinari di un’azienda, e trasmettono dati che permettono una gestione efficiente di rifiuti, trasporti e risorse urbane. Ad oggi, Songdo ospita circa centomila abitanti, approssimativamente un terzo di quanto immaginato nel progetto iniziale. Altri esempi simili a Songdo sono Masdar, alle porte di Dubai, e Caofeidian in Cina settentrionale. In Europa, invece, per via dell’alta densità urbana e della volontà politica europea di salvaguardare il patrimonio artistico e culturale stratificato nelle città, l’approccio privilegiato è quello dal basso. In generale, le città del nord Europa sono state più capaci di operare questa trasformazione “smart”. Uno dei casi più rappresentativi è Copenaghen, capitale della Danimarca, che si candida a diventare la prima città al mondo a zero emissioni entro il 2025. Capitale della mobilità sostenibile (è la città con il maggior numero di biciclette pro-capite), Copenaghen è anche un esempio per lo smaltimento dei rifiuti. Il termovalorizzatore appena fuori dal centro cittadino, denominato Copenhill, è tra i più avanzati al mondo e, curiosità, viene utilizzato come pista per lezioni di sci. Avete letto bene, lezioni di sci sul pendio di un termovalorizzatore: con i suoi 90 metri di altezza, Copenhill offre un percorso in pendio di 400 metri, facendone il primo impianto sciistico del Paese più pianeggiante d’Europa. L’azienda che si occupa di questa attività è la bergamasca Neveplast. Ma una città “smart” non è solo una città ecologica, è un ambiente urbano che funga da incubatore per nuove attività economiche. Ecco allora che il numero di start up e la qualità della connessione offerta ai cittadini si rivelano essere indicatori fondamentali. Oltre a Copenaghen, la classifica Smart City Index 2019 è largamente popolata da città europee: Oslo e Bergen in Norvegia, Amsterdam nei Paesi Bassi, Stoccolma in Svezia, Odense sempre in Danimarca e Vienna in Austria, per citare solo quelle nella top ten. La capitale dei Paesi Bassi offre un altro interessante esempio di approccio bottom-up alla trasformazione urbana verso la “smart city”. La città in particolare ha fondato transizione attorno alla collaborazione tra governo, imprese, università e cittadini. Un esempio di questa cooperazione è presentata dalla piattaforma “Amsterdam Smart City”, uno spazio digitale dove vengono proposte idee e progetti di innovazione e sviluppo. Da tempo, inoltre, la città


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COVER STORY

è all’avanguardia nel settore mobilità per quanto riguarda i parcheggi e la gestione delle torrette di ricarica per auto elettriche, oltre che per l’utilizzo di biciclette e le basse emissioni. Se il nord Europa domina le classifiche internazionali, lo stesso non vale per l’Italia: le città in classifica nella top 100 sono poche e tutte nella seconda metà, a cominciare da Milano 61esima fino a Roma, nelle ultime 10 posizioni. Male nel trasporto pubblico e poco competitive in molti degli indicatori registrati, le città italiane reggono il confronto solo sul fronte ambientale, in particolare per la produzione di energia da fonti rinnovabili. Milano, grazie alla sua rete Wi-Fi gratuita, assieme alla capacità di attrarre investimenti, sembra essere su un percorso di crescita migliore delle altre città italiane che pagano le scarse infrastrutture digitali e la bassa capacità di creare un ecosistema florido per le nuove imprese. Le città italiane, inoltre, pagano l’arretratezza del sistema Paese in fatto di nuove tecnologie. Se da un lato siamo all’avanguardia per produzione di energia da fonti rinnovabili (il 34% del fabbiso-

gno di energia, un dato superiore alla media europea), dall’altro le infrastrutture tecnologiche nel territorio sono poche e mal distribuite. La male organizzata distribuzione della banda larga e della fibra ottica hanno tardato la diffusione di buone pratiche digitali, quali lo sviluppo di strumenti di comunicazione efficaci tra amministrazione e cittadini e la nascita di nuove attività economiche. Tuttavia, non è tutto oro ciò che è “smart”. Tra le varie critiche, merita una menzione il timore di un possibile incremento della disuguaglianza tra centro e periferie, attraverso il processo di gentrification. Detta semplicemente, zone della città abitate da fasce sociali più fragili vengono svuotate e ripopolate da persone più abbienti, attraverso una politica di rincaro degli affitti da parte dei proprietari. Questo tipo di “riqualificazione” è portato avanti di concerto con le amministrazioni locali, attrici primarie della trasformazione in chiave “smart” della città. La paura è che questi due processi vadano sovrapponendosi e che un’idea di città migliore per tutti, con servizi pubblici di qualità, si trasformi in un pretesto per aumentare le disuguaglianze tra centro e periferie.


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COVER STORY

HOW TO

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Anche la tua città può cambiare Cinque consigli per diventare più smart

di Salvatore Tancovi Strade più strette per diminuire il traffico. Diversi studi dimostrano che carreggiate più strette ordinano meglio il traffico. Tutto spazio recuperato per le piste ciclabili. Il traffico può essere reso ancora più scorrevole dai semafori intelligenti che s’illuminano a seconda del flusso di auto, con meno emissioni di Co2 .

Alternative alla raccolta differenziata porta a porta: costa meno investire in cassonetti intelligenti che segnalano lo stato del loro carico o, quando possibile, sono interrati al di sotto del marciapiede. I sacchetti nominali responsabilizzano a una corretta differenziata e alcuni comuni li usano già.

Risparmiare l’energia dello stand by. Si stima che in media il consumo dei dispositivi in standby di una casa pesi in bolletta fino a 500 euro l’anno. Un ottimo motivo per installare prese di corrente intelligenti e sistemi di autospegnimento che lascino acceso, ad esempio, solo il frigo.

App per non sprecare il cibo. Nelle grandi città è pratica quotidiana ma cominciano a nascere applicazione per: l’acquisto a minor prezzo della merce invenduta di fine giornata; scambiarsi il cibo in scadenza coi vicini; conoscere quello a metà prezzo nei market: donarlo a enti benefici.

Più pannelli solari e meno consumo di suolo. Molte città preferiscono adibire alcune aree verdi alla concentrazione di pannelli solari. Allo stesso scopo si potrebbero sfruttare tetti di edifici pubblici (e privati, in convenzione) così da mitigare i problemi dovuti alla concentrazione intensa di questi impianti.


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INTERVISTA

LA FIBRA OTTICA CHE RENDERÀ L'ITALIA UNA SMART NATION

INTERVISTA

Che tecnologia utilizza? “La rete ultraveloce Open Fiber è realizzata in modalità Fiber To The Home (FTTH), letteralmente “fibra fino a casa”. L’intera tratta dalla centrale all’abitazione del cliente è infatti in fibra ottica. Ciò consente di ottenere una velocità fino a un Gigabit al secondo. Un servizio “a prova di futuro”, in grado di supportare tutte le potenzialità delle nuove tecnologie che arriveranno nei prossimi anni. La connessione a una rete fissa avviene attraverso la stesura di un cavo interrato che collega l’abitazione o l’azienda dell’utente al cosiddetto armadio ripartilinea, che a sua volta viene collegato alla centrale”. Quali sono le tappe di Open Fiber per i prossimi anni?

Intervista al chief information officer di Open Fiber, Paolo Perfetti

di Greta Ubbiali

“Dobbiamo continuare a lavorare sul territorio, nei cantieri. Gli obiettivi che ci siamo posti sono sfidanti e non ci permettono distrazioni. L’Italia è un Paese composto da tante realtà diverse: dalle grandi città ai piccoli comuni montani. Creare un’autostrada digitale che metta tutti in condizione di fruire dei servizi di ultima generazione è uno sforzo da non sottovalutare. Serve l’impegno di tutti e la comprensione da parte degli attori istituzionali coinvolti della portata rivoluzionaria di questo progetto. Grazie all’impegno messo finora, in Italia si è registrato il più alto tasso di crescita per unità immobiliari cablate in modalità FTTH rispetto alle altre nazioni europee. Dal settembre 2017 al settembre 2018 il loro numero è salito da circa 4,4 milioni a circa 6,3 milioni: +43,1%. Un dato record tra i paesi europei, la cui media si attesta al 15,7%”. Quali sono i campi di applicazione più promettenti per la fibra ottica?

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uto a guida autonoma, telemedicina, smart city. Non c'è innovazione senza un'infrastruttura pronta a sostenerla. Paolo Perfetti, chief information officer di Open Fiber, fa il punto sugli avanzamenti italiani in materia di rete ultraveloce e illustra i risultati dell'azienda nata nel 2016 e partecipata da Enel e Cassa Depositi e Prestiti pariteticamente al 50%. Con quale intento nasce Open Fiber?

“La società nasce con l’obiettivo di dotare l’Italia con una rete di comunicazione elettronica ad alta velocità in fibra ottica capillarmente diffusa. Il piano dell’azienda mira a garantire la copertura con una rete a banda ultra larga pervasiva ed efficiente per favorire il recupero di competitività del Sistema Paese.Stiamo lavorando per portare un’infrastruttura interamente in fibra ottica tanto nelle maggiori città italiane con investimenti privati, quanto nei piccoli comuni tramite investimenti pubblici. In totale, stiamo cablando più di 7mila comuni in tutte e 20 le Regioni italiane. Open Fiber tuttavia non vende direttamente al cliente finale i suoi servizi, ma è attiva esclusivamente nel mercato all’ingrosso, offrendo l’accesso agli operatori di mercato interessati”.

“Telemedicina, guida autonoma, robotica industriale, smaterializzazione data center e smart city sono solo alcune delle applicazioni che necessitano di una rete che lavori praticamente in real time come quella che stiamo realizzando.L'infrastruttura di Open Fiber sarà in grado di far fronte all’enorme crescita di traffico dati che si moltiplicherà passando dai 14,5 Exabyte di dati prodotti nel 2017 in Italia a 43,6 Exabyte stimati nel 2022 e, in generale, ai nuovi servizi digitali previsti per i prossimi anni: video ad altissima risoluzione, realtà virtuale e aumentata, guida assistita e autonoma, Internet of Things massivo. Si prevede che tra tre anni in Italia ci saranno 513,5 milioni dispositivi connessi di cui il 72% collegati ad altri oggetti”. Che applicazioni potrà avere nel comparto automobilistico? “L’industria dell'auto si muove sempre più verso l’applicazione di nuove tecnologie che rendano automatizzata la guida. Nell’ambito della sperimentazione 5G del Mise, Open Fiber ha sperimentato l’assistenza al veicolo con il semaforo intelligente in grado di inviare al guidatore informazioni utili sulla viabilità (dati sullo stato del manto stradale, dati climatici, congestione stradale) per migliorare la sicurezza a bordo. L’automobile era connessa al semaforo smart e quest'ultimo alla rete 5G con la fibra ottica Open Fiber come abilitante”. In che modo la vostra rete può sostenere lo sviluppo e l'evoluzione delle smart city? “Chi ha investito nella creazione di un’infrastruttura intelligente a banda larga è in grado di offrire facilmente servizi smart di valore ai cittadini. In quest’ottica la diffusione di un’infrastruttura a banda ultra larga con un’elevata capacità trasmissiva ed altissima affidabilità come quella in fibra ottica che sta realizzando Open Fiber sarà necessariamente uno dei fattori abilitanti per le smart city del futuro. Inoltre la capillarità della rete realizzata da Open Fiber consentirà di sviluppare servizi smart non solo in contesti cittadini densamente abitati ma anche nelle aree del paese in cui finora l’assenza di connessioni a banda larga non ha facilitato la crescita industriale e lo sviluppo tecnologico”.

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INTERVISTA

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Il futuro visto attraverso un headset Intervista a Gianluigi Perrone

di Roberto Moliterni

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uando, in giro per il mondo, si organizzano convegni e conferenze sulla Realtà Virtuale non è raro incontrare il nome di Gianluigi Perrone, pugliese, da alcuni anni docente alla Beijing Film Academy e fondatore del movimento Dogma VR. Da poco è in libreria con Realtà Virtuale (Dino Audino editore). Lo abbiamo sentito per farci raccontare il rapporto fra 5G e Realtà Virtuale, politica ed economia. Sta per uscire un suo libro sulla Realtà Virtuale. Può descriverci cos'è?

“La Realtà Virtuale è la proiezione di un universo che può essere pensato e poi creato artificialmente. È la proiezione di una nostra fantasia a immagine e somiglianza di come l'abbiamo immaginata. Le arti visive, la scrittura non sono che i progenitori di questa idea. In questo caso però dobbiamo utilizzare molta meno fantasia, perché quello che vediamo è come ce lo immaginiamo. La Realtà Virtuale funziona nel momento in cui la gente non vede differenza tra la realtà vera e quella artificiale”.


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INTERVISTA

INTERVISTA

Al di là del suo uso nell'intrattenimento, quali sono le applicazioni della Realtà Virtuale in altri ambiti della vita quotidiana? Nel libro racconta, per esempio, dei possibili utilizzi per aiutare persone con problemi neurologici.

che stare costantemente vicino a un piccolo ripetitore non possa fare danni a lungo termine, è sempre una frequenza che riscalda. Ma tendenzialmente l'organismo si adatta”.

“In realtà i primi usi della VR, già dagli anni '90, sono stati proprio con la psicoterapia. La VR dà la possibilità di trovarsi in una situazione realistica e di affrontare dei traumi in maniera diretta, senza però trovarsi in pericolo. Se uno soffre di vertigini invece di andare a camminare su un cornicione, può sfidare questa paura attraverso la Realtà Virtuale. Ciò che mi colpì le prime volte che provai la VR è che hai esattamente le stesse reazioni che nella situazione reale: l'occhio inganna il cervello, le gambe non si muovono. Non c'è necessità di estremo realismo: anche un prodotto realizzato con una grafica digitale povera inganna la mente. Queste potenzialità hanno attirato via via settori sempre più disparati: i primi tempi, quando andavo alle conferenze dedicate alla VR, c'erano solo professionisti dell'intrattenimento, adesso vengono dal giornalismo, dal medical…”

Lei insegna a Pechino, ma anche in università italiane. C'è un diverso approccio nei suoi studenti orientali rispetto a quelli occidentali alle nuove tecnologie?

Nel libro, oltre a descrivere che cos'è la Realtà Virtuale e come la si può usare, annuncia le ulteriori possibilità che si avranno con la diffusione del 5G. Che rapporto c'è fra 5G e Realtà Virtuale? “Il peso dei dati, le stesse piattaforme per la VR sono gigantesche: oggi, se ti muovi un ambiente virtuale, l'immagine a volte rischia di andare a scatti. Essendo l'immagine sferica quadridimensionale, per gestire file video di queste dimensioni serve una certa banda. Con il 5G sarà più semplice “entrare” nella Realtà Virtuale. Ma è solo il primo passo. Subito dopo, uno dei primi utilizzi massicci sarà lo streaming di eventi dal vivo: si fa già ora, ma, grazie al 5G, sarà davvero come vedere la stessa cosa che vede la gente lì presente. Ma la Realtà Virtuale è solo la punta dell'iceberg di una serie di mutazioni economiche a livello mondiale che riguardano e funzionano con il 5G. Il 5G prenderà il posto del petrolio, sarà il nuovo carburante. Dal 1700 il potere mondiale è regolato da determinati sistemi economici bancari, che hanno influenzato anche le guerre nell'ultimo secolo. Il punto è che, chiaramente, questi poteri si stanno rendendo conto che le cose cambieranno radicalmente. Per questo motivo, attorno al 5G, e a tutto quello che rappresenta, ci sono delle polemiche per rallentare questo processo. Anche il discorso sull'ecologia ne è una conseguenza: non è vero che il 5G inquina, è una balla inventata per mettere ansia alla gente. Inquina molto di più Radio Maria”. Come fa a dirlo? “Non sapendo né leggere né scrivere, me lo sono fatto spiegare da una persona che progetta radar per i caccia militari. I ripetitori sono sempre gli stessi, più potenti, ma non così forti da “incenerire” come la gente immagina che accada (per esempio si parlava di uccelli morti laddove sono state fatte sperimentazioni col 5G). Quelle cose succedono quando utilizzi una frequenza di milioni di hertz, con radar militari che non a caso vengono sperimentati in zone aperte. Nessuno però può giurare

“In Cina è possibile che ci si adatti facilmente a questi cambiamenti, perché la gente fa quello che dice il governo. Una volta che una nazione così grande si adatta a poco a poco dovranno adattarsi le altre, comprese quelle europee e naturalmente l'Italia. Ma in Italia la gente sta tutto sommato bene, non ha un problema serio di fame, può permettersi di andare allo stadio e ha una delle migliori sanità al mondo, quindi è più refrattaria alle rivoluzioni: veda cos'è successo con l'Euro. Qui in Cina, invece, dove c'è una povertà diffusa, talmente diffusa che nessuno si considera povero, si va già nella direzione della sparizione delle banconote, si paga tutto con il telefono, al supermercato non accettano denaro. Se succede questo, puoi facilmente trasformare la valuta in criptovaluta. D'altra parte però la Cina è disattenta all'ecologia. Un collega una volta mi disse «I like pollution!». Non si rendono conto della gravità della situazione”. Il suo lavoro, e anche il posto in cui ha scelto di vivere la rendono molto più prossimo a quello che accadrà nei prossimi anni e, in qualche modo, la costringono a un esercizio costante di immaginazione. Come vede il futuro? “Ci sono dei cambiamenti notevoli nella vita della gente che avverranno molto presto e quello che si può vedere dalla Cina è che tipo di aspetto avranno: tutti hanno case estremamente piccole, conducono una vita molto noiosa, passano il tempo sui videogiochi e sono sempre più abituati a stare su internet. In futuro avere case piccole sarà la norma, perché molti oggetti saranno virtualizzati. Difficilmente andremo a trovare i nostri amici, ci parleremo tramite delle sessioni di Skype immersive, e anche per questo non avrà senso vivere in case belle e grandi da mostrare. Allo stesso tempo spariranno i negozi, perché si comprerà tutto da internet. Cosa ci sarà al posto dei negozi? Case, perché ci saranno più persone. Al contrario, penso che, per reazione, ci sarà un ritorno all'agricoltura. E una rivalutazione degli eventi live, che saranno gli unici momenti di aggregazione collettiva, e saranno infatti molto più costosi. Infine non possiamo negare che ci sia aria di guerra. Ci sono due possibilità: la prima è una via pacifica, mantenere la gente sotto un regime, ognuno fa la sua vita, una vita molto più asiatica. L'altra è quella belligerante occidentale: scatenare una guerra nucleare”. Con quali sentimenti vive queste previsioni? “Penso che attraverso umanità e cultura si potranno dominare le pulsioni negative e sopravvivere. Queste nuove tecnologie, che potrebbero ingabbiarci, in realtà possono essere un'arma potente di liberazione”.

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FOCUS

5G: miti da sfatare

FOCUS

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Paura del cancro La Iarc (Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro) classifica la radiofrequenza solo come “possibile cancerogeno per l’uomo”. Si fa riferimento ad alcuni esperimenti condotti sui topi negli Stati Uniti: un gruppo di cavie è stato esposto per 4 ore e mezzo per due anni di seguito a onde elettromagnetiche su frequenze usate dal 2G e dal 3G; altri invece, da quando erano dei feti, a quelle usate dal 5G. Nell’ultimo caso si è potuto osservare un aumento dell’incidenza di rari tumori al cervello e al cuore, e solo in alcuni esemplari maschi. Gli scienziati hanno deciso che non ci sono sufficienti prove per stilare una statistica.

Il futuro della realtà aumentata, della guida autonoma e dell’IoT fa brillare gli occhi di tutti i digital addicted in attesa del 5G. E se un giorno potessimo anche fare delle chiamate olografiche?

di Danila Giancipoli

Resistenza agli antibiotici C’è poi la teoria secondo la quale l'esposizione alle onde elettromagnetiche comporterebbe la nascita di nuovi batteri resistenti agli antibiotici con il pericolo della diffusione di nuove malattie. La dottoressa Sharon Goldber ha dichiarato al Comitato per la politica energetica del Michigan che tra i possibili effetti del 5G ci sono: “La resistenza agli antibiotici e i danni al sistema immunitario, oltre che l'aumento delle operazioni agli occhi, legate soprattutto alle cataratte”.

Gli utenti non sono disposti a pagare di più Elettrosmog Risale a solo qualche giorno fa una conferenza tenutasi a Bruxelles sui possibili effetti dell’inquinamento elettromagnetico, l’hashtag era #stop5G. È uno dei topic più diffusi online, spesso legati a teorie come quelle degli uccelli morti in Olanda a causa dell’attivazione delle antenne del 5G (per poi scoprire che in quella zona non era nemmeno previsto l’arrivo del segnale). Dopo proteste e cortei in Olanda, Svizzera e Germania, l’A lleanza Italiana Stop 5G marcia su Roma per supportare l’appello internazionale sottoscritto nel 2017 da quasi 200 scienziati indipendenti, gli studi recenti del National Toxicologu Program e le ricerche dell’Istituto Ramazzini di Bologna. L’Istituto Superiore di Sanità ha dichiarato che l’intensità dei segnali elettromagnetici non sarà così elevata da oltrepassare l’epidermide, anzi, la tipologia e la geografia delle antenne installate garantirebbe un elettrosmog addirittura minore e più controllato delle reti 2G, 3G e 4G. Il problema è, quante antenne serviranno? E’ invece proprio la necessità di avere una rete di antenne più massiccia cambiare le carte in regola: fisicamente parlando, minore è la distanza, minore è la potenza necessaria emessa dall’antenna sorgente affinché l’informazione sia trasmessa fino alla destinazione. In una zona dove ci sono molte piccole celle poco distanti tra loro, la potenza irradiata da ogni singola antenna è decisamente contenuta e presenta un campo elettromagnetico ridotto.

Falso! Lo studio “5G Consumer Potential” pubblicato dal Consumer Lab di Ericsson rivela opinioni e aspettative degli italiani sul tema 5G. Il pubblico è davvero disposto a pagare servizi premium per raggiungere i nuovi standard di connessione? A quanto pare sì. Gli utenti di smartphone hanno dichiarato di essere disposti a pagare il 20% in più per i servizi di quinta generazione, la metà degli early adopter sarebbe disposta a pagare un prezzo premium fino al 32% più alto. Quattro “high spender” su dieci vogliono una diversificazione sulle modalità d’uso e di pagamento, in un’ottica di sicurezza e velocità di internet maggiore. Il 45% degli italiani si aspetta l’arrivo del 5G entro il prossimo anno, con una positività sull’attesa oltre le aspettative.

teoria del complotto Si parla di schiavitù tecnologica relativamente ai timori sulla privacy ed alla facilità con la quale quantità immense di dati potranno viaggiare tramite oggetti intelligenti (IoT). Le nostre attività diventano trasparenti, registrate, archiviate e monitorate. Se la nostra quotidianità viene robotizzata, sarà più facile essere soggetti ad attacchi da parte di hacker, oltre ai sospetti che già sorgono in termini di spionaggio industriale e politico. Probabilmente non esiste nessun Nuovo Ordine Mondiale, ma la sicurezza sarà senza dubbio uno dei temi caldi del 5G.


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FATTORE GEOPOLITICO Il 5g tra sviluppo e sicurezza internazionale: Huawei è un pericolo?

di Vittoria Patanè

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’effetto che il 5G avrà sulle economie mondiali si preannuncia dirompente. Solo per l’UE, Bruxelles calcola un impatto di 113 miliardi l’anno dal 2025 suddivisi tra automotive (42), digitalizzazione di fabbriche e uffici (30), trasporti e diffusione delle smart cities (16).

In gioco non ci sono solo crescita e innovazione. Chi riuscirà a dominare il mercato si assicurerà introiti miliardari e sarà in pole position nello sviluppo del 6G, cui varie aziende stanno già lavorando. Il 5G è legato a filo doppio con la sicurezza delle Nazioni perché attraverso le sue reti mobili passeranno informazioni sensibili capaci di mettere a rischio interi Paesi. “Il mercato potenziale dice che se si vuole realizzare il 5G gran parte della tecnologia dovrà passare dalla Cina”, spiega un report di Cesintes-centro studi intelligence economica e security management dell’università di Tor Vergata. Il problema è che “la reputazione cinese di ‘attitudine allo spionaggio’ economico e industriale, rappresenta un forte disincentivo alla partnership con le sue aziende”. Senza dimenticare che “le aziende cinesi o che operano in Cina vengono obbligate ad una

stretta ‘collaborazione’ con i loro Servizi”, continua lo studio. Oggi leader incontrastata del 5G è Huawei, che da sola vale il 30% del mercato. L’azienda di Shenzen non ha rivali nei software e negli apparati per le tlc, collabora con 45 dei primi 50 operatori mondiali con effetti su 170 Nazioni. Non è dunque difficile capire il motivo per il quale la società sia nel mirino di numerosi Paesi, Usa in primis. Donald Trump non ha dubbi: Huawei è il veicolo tramite cui la Cina vuole spiare le Nazioni occidentali ed è un pericolo per la sicurezza nazionale. Su queste basi l’amministrazione americana ha deciso di impedire alle sue aziende di vendere apparati a Huawei e ad altre società cinesi (divieto sospeso fino al 19 novembre), facendo pressioni sulle Nazioni europee affinché facciano lo stesso. Tra le società obbligate a rispettare il ban c’è Google che produce Android, il sistema operativo usato sugli smartphone Huawei. Perplessità su Huawei sono state espresse anche da Nuova Zelanda e Australia, mentre la Russia si è schierata dalla sua parte. Le azioni contro la compagnia “sono un tentativo di spingerla, senza tante cerimonie, fuori dal mercato globale”, ha detto Vladimir Putin al Forum economico di San Pietroburgo. Più accorto il Regno Unito che, in attesa di una decisione definitiva sulla collaborazione tra Huawei e gli operatori britannici, ha stabilito che la società potrà vendere tecnologie non-core per il 5G, ma dovrà restare fuori da quelle core.

Con i Paesi Ue Huawei sta giocando d’anticipo: “Se è lungimirante e coglie le opportunità insite in queste nuove tecnologie, l’Europa può porsi alla guida di una rivoluzione digitale globale”, ha affermato Hui Cao, responsabile di Strategia e politica per Huawei in Europa. “Huawei è pronta a rispondere alle preoccupazioni dell’Unione europea su varie questioni, dalla gestione dei dati all’aspetto etico dell’intelligenza artificiale, fino a rischi di approvvigionamento tecnologico per le più importanti infrastrutture europee”. E l’Italia? Nell’indice DESI elaborato dalla Commissione UE siamo al secondo posto in Europa nella classifica sullo stato di avanzamento dello sviluppo del 5G, ma anche il nostro Paese è impegnato a districarsi tra due bisogni primari: innovazione e sicurezza. Nel marzo del 2019 il primo governo Conte ha esteso l’applicazione del golden power alle reti 5G. Sei mesi dopo, l’Esecutivo PD-M5S ha esercitato i poteri speciali su dossier riguardanti le aziende di Tlc. “Si è arrivati poi al decreto legge recante disposizioni urgenti in materia di cybersecurity che, oltre a integrare i poteri speciali del governo, ha l’obiettivo di delineare parametri certi da rispettare per assicurare a tutte le imprese coinvolte una cornice di sicurezza adeguata ai tempi e ai rischi”, spiega l’I-Com in un report di fine settembre. Ciò che è certo, avverte l’istituto per la Competitività, è che tra rigidità normativa, tempi lunghi e possibili sanzioni, l’Italia rischia di perdere un treno che potrebbe non ripassare più e che, secondo EY, vale 10 miliardi di euro.


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GUERRA CONNESSA

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rizzando tutto: dall’auto ai lampioni, dalla metropolitana al sistema di videosorveglianza cittadino” - e quindi sta creando, di fatto, l’infrastruttura del 5G - “ciò significa che un domani sarà possibile controllare una città da remoto”, prosegue Crippa. Questo porta dei vantaggi, come la capacità di tracciare qualsiasi agente esogeno tramite i big data (rielaborati dall’AI). Dall’altra parte è vulnerabilità: “il 5g è un’infrastruttura molto critica, se tutto è interconnesso e stacchi la spina tutto il sistema può crollare. Se oggi si attaccano le reti telefoniche di una città, la metropolitana funziona ugualmente”. Ambito offensivo. Cina e Usa sono avanti, in Italia c’è il progetto Forza NEC. L’idea è quella di digitalizzare maggiormente, proprio grazie al 5G, le componenti dell’esercito che operano sul campo: soldati, veicoli etc.; così che dal centro di comando e controllo si possano avere tutte le informazioni necessarie per monitorare lo scontro: stato di salute, posizione degli uomini, numero delle munizioni e così via. Inoltre “il 5G avrà soprattutto un impatto di rilievo sull’utilizzo dei droni, i quali potranno inviare immagini in 4K di ciò che riprendono e interagire con gli altri droni grazie all’AI”, aggiunge Crippa, “il che è un problema oggi, perché le immagini in diretta che i droni inviano sono a bassa risoluzione: è come leggere una radiografia; devi essere un medico - e per di più esperto”.

Sarà possibile controllare una città da remoto: cosa significa per i conflitti?

di Lorenzo Sassi

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’è la questione economica del 5g, c’è la questione geopolitica, c’è la questione della privacy, c’è la questione digitale tout court e poi, pur non essendo il 5G una tecnologia militare, c’è la questione militare del 5G - quella che, più delle altre, sembra prendere derive fantascientifiche: parliamo infatti di microdroni collegati tra loro grazie all’intelligenza artificiale; parliamo dell’evoluzione della guerra e del modo in cui si può monitorare uno scontro. Gli ambienti militari tuttavia sono abituati a valutare rischi e opportunità con dovuta perizia - prima si vuole vedere quali effetti avrà il 5G sulla società -, e quindi al momento una buona fetta di ciò che riguarda il binomio 5G-militare è secretato o iperuranico (cioè relegato all’orizzonte della teoria, della speculazione e dell’immaginario).

A differenza di altri comparti industriali, quello militare ragiona, e lavora, in maniera diversa. “C’è un detto: quando gli americani presentano una nuova tecnologia, vuol dire che ne hanno una più efficace in cantiere e quella presentata è, di fatto, superata. Si chiama principio di ridondanza; ci dev’essere sempre un piano B, è la forma mentis emergenziale dell’ambiente militare” spiega Paolo Crippa, Analista al Ce.S.I. Un fatto da cui partire però è che, in ogni caso, il 5G sblocca il cosiddetto Internet of things. In ambito militare significa guardare al problema sotto due aspetti: quello difensivo e quello offensivo. Sul versante difensivo bisogna prima considerare il contesto storico e geopolitico. La Cina si sta espandendo, soprattutto nelle zone costiere, dove sta costruendo conurbazioni chilometriche (sette volte NY in termini di estensione). In questo senso “la Cina sta già senso-

Il problema di fondo riguarda tuttavia il 5G stesso, che è un’infrastruttura, e dove non c’è tale infrastruttura non c’è il volano tecnologico che permette il salto qualitativo; oppure, quando c’è, bisogna verificare a chi sia appaltata l’infrastruttura. Da qui il problema della Cina, che sta investendo in Africa, dove sta costruendo antenne per il 5G, antenne che sono poi proprietà di aziende cinesi, cioè statali, cioè del Governo cinese. “Immaginiamo un’operazione americana in Africa”, conclude Crippa, “in cui gli Usa fanno volare un drone su un’area in cui è presente un’infrastruttura 5G: se le antenne sono cinesi, nulla vieta - per ipotesi - che la Cina raccolga i dati del drone e che possa staccare il segnale 5G in qualsiasi momento, compromettendo di fatto la missione”. Scenari scongiurati nel presente ma probabili in futuro.


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ENIGMA AUTO ELETTRICA Quando diventerà popolare? Per ora è una nicchia ma politica e stakeholder stanno investendo con sconti sul listino e modelli più economici. Sul fronte culturale invece il Paese migliora ma rimane ancora tiepido di Alessia Laudati

IL VERDE GRAFICA NAPPA CAMBIA IL CONCETTO DI TIPOGRAFIA: PIÙ TECNOLOGIA, PIÙ INNOVAZIONE.

E SOPRATTUTTO PIÙ ATTENZIONE ALL’AMBIENTE. Energia da pannelli solari, macchinari a impatto zero, inchiostri e carte ecocompatibili: queste sono le basi della nostra rivoluzione. Perché stiamo inaugurando una nuova dimensione tipografica: stampe speciali, cartotecnica d’avanguardia, packaging innovativo, nuovi sistemi di etichettatura come le In Mould Label. Tenendo sempre presente che il pianeta chiede responsabilità. E che i clienti chiedono servizi e prodotti diversi e innovativi.

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i e-car si parla molto e ovunque ma qual è lo stato effettivo del mercato? Siamo di fronte a un talento precoce, che migliora la qualità dell’aria diventando popolare come una rockstar, a qualcosa che brucerà come meteora o ancora vediamo un fenomeno sì ma solo per appassionati? Secondo il rapporto That’s Mobility realizzato dal Politecnico di Milano e diffuso a fine settembre 2019, ad aprile per la prima volta in Italia è stata superata la quantità delle 1000 auto elettriche pure immatricolate al mese. Un iniziale segnale che quest’anno la spinta, dettata dall’ecobonus (attivo da marzo 2019) su una fascia di prezzo che raramente scende al di sotto dei 30mila euro, si muove verso la direzione giusta. Le auto elettriche in Italia sono lo 0,5% del totale ma la percentuale, sebbene in aumento, è inferiore alla media del 2,5 raggiunta dai principali paesi europei. A trainare oggi la spinta elettrica nel mondo è la Cina con 1,2 milioni di elettrici, il triplo dell’Europa pur rappresentando quest’ultima il secondo mercato globale. Far uscire l’elettrica dalla nicchia, è il traguardo più importante. Trasformarla in un oggetto maggiormente integrato nelle vite dei cittadini e nella mobilità non solo urbana corrisponde quindi al minimo sindacale. Per ora gli incentivi al portafoglio, oltre all’ecobonus, riguardano l’esenzione regionale dalla tassa di circolazione, temporanea o permanente,


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che è cumulabile rispetto all’incentivo sull’acquisto. Varcato però il confine del concessionario, sono altri i paletti da abbattere per permettere che il guidatore elettrico non si trovi sprovvisto di servizi fondamentali considerando anche che siamo abituati a una presenza massiccia di benzinai su tutta la rete stradale e autostradale. L’infrastruttura di ricarica è quindi il secondo punto da affrontare per permettere uno sviluppo nei prossimi anni. Dalla crescita nel numero di colonnine, aspetto che riguarda anche l’autonomia della batteria, al miglioramento dell’accessibilità e della gestione della fatturazione di quelle pubbliche, si deve necessariamente passare da qui. Il rapporto rivela che in Italia sono presenti quasi 8.200 punti di ricarica tra pubblici (+23% sul 2017) e privati ad accesso pubblico, il 20% circa di tipo “fast charge”, in linea con la media europea e in crescita del 52%. La Lombardia è l’unica regione con oltre 1.000 punti di ricarica, seguita da Lazio, Piemonte, Emilia Romagna, Toscana e Sicilia (oltre 500). Per quanto riguarda la facilità, spesso i clienti devono avere più card e più app per usufruire del servizio. Proprio ultimamente il ministro dello Sviluppo Economico Patuanelli ha dichiarato di star lavorando su un decreto per la realizzazione di un’unica piattaforma nazionale di colonnine alla quale affidare la gestione del servizio. Tuttavia l’impatto vero secondo gli esperti arriverà solo nel 2025, ed entro il 2030 si stima che circoleranno dai 2,5 ai 7 milioni di veicoli. Infine per quanto riguarda le abitudini personali, si rileva che oggi essa viene usata soprattutto per tragitti brevi sotto i 100 chilometri. Anche perché maggiore autonomia fuori dalla città, maggiore è il costo. Il modello più economico, una Smart ForTwo, si aggira intorno ai 25mila euro; ed è considerata una valida opzione di city car anche dal punto di vista tecnico con i suoi 145 chilometri di autonomia. Tesla Model S, che ne ha fino a 610 km, costa invece 91mila. Tuttavia se si misurano i costi sostenuti nell’arco di 10 anni e non nell’immediato e si includono anche altri aspetti come carburante, manutenzione e bollo, auto a combustione interna ed elettriche hanno un costo molto vicino. E solo sull’elettrica i costi sono destinati a scendere in ragione dello sviluppo tecnologico che in previsione renderà le batterie maggiormente economiche e più potenti. Fate voi quindi la vostra scommessa.

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SOTTO TERRA di Elena Pompei

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Con il nuovo coinvolgimento di Transports for London e di Ramboll, uno studio d’ingegneria che fa della sostenibilità ambientale il suo principio guida, Islington prevede di poter fornire energia a più di 1.300 case. La fonte centrale del nuovo sistema è un canale di ventilazione utilizzato per espellere il calore di scarto, situato nella stazione abbandonata di City Road. Ramboll ha ideato una pompa termica che, prelevando il calore in eccesso dal condotto, immetterà l’energia

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convertita nella rete di distribuzione locale, fornendo acqua calda e riscaldamento alle abitazioni circostanti. Nei mesi estivi, invece, il sistema verrà invertito, per immettere aria fresca nei tunnel metropolitani.

Bunhill 2: l’iniziativa londinese per convertire il caldo della metro in riscaldamento per la città

l caldo torrido che si percepisce nella metro londinese sarà presto utilizzato per tener calde migliaia di case nel Nord della città. Nel quartiere di Islington, il calore in eccesso generato dal passaggio della metro sarà convertito in riscaldamento per centri sportivi, scuole e più di mille case. Il progetto, che porta il nome di Bunhill 2, segue l’iniziativa della rete di riscaldamento di Islington, il Bunhill Energy Centre, che già rifornisce 700 abitazioni.

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Così facendo, il distretto spera di ridurre le emissioni di Co2 e le bollette dei cittadini, e di dare nuovo impiego all’incredibile quantità di calore quotidianamente generato dalla metro più antica del mondo. La Greater London Authority stima che l’energia prodotta potrebbe soddisfare il 38% del fabbisogno di calore della città, e che con l’ampliamento delle reti di teleriscaldamento potrebbe raggiungere il 63% entro il 2050. Tim Rotheray, direttore dell’Association for Decentralised Energy, ha detto al Guardian che simili progetti sono in aumento nell’intero Regno Unito come soluzione low-cost per affrontare la crisi ambientale. Rotheray afferma che “almeno metà dell’energia usata nel Regno Unito è impiegata per il riscaldamento”, da dove proviene un terzo delle emissioni. Data l’intenzione del governo di divenire completamente carbon-neutral entro prossimi 30 anni, il progetto Bunhill serve anche ad espellere Co2 dai propri sistemi. Quella per il Nord di Londra è solo una delle iniziative in continua crescita nel Regno Unito che mirano a riutilizzare il calore di scarto di fabbriche, canali e antichi pozzi minerari. Il progetto londinese potrebbe dare l’esempio alle reti di Londra e di altre metropoli europee, per mettere a frutto l’energia a basso costo e a basse emissioni diCo2 delle linee metropolitane.

LONDRA NON è SOLA

A Parigi, lo studio delle reti energetiche attraverso l’intelligenza artificiale permette al comune di analizzare l’utilizzo che abitazioni e utenti fanno dell’energia.

A Reykjavík le fonti di energia rinnovabile costituiscono più del 70% dell’energia utilizzata in Islanda, che vanta la rete di riscaldamento geotermico più ampia al mondo.

A Copenhagen, il sistema di teleriscaldamento permette al calore di scarto di fornire energia al 97% della città.


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IMPRESA FUTURO Abbiamo scelto cinque aziende italiane che faranno strada

di Barbara Polidori

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Chi ha detto che le energie rinnovabili sono sconvenienti? Energia positiva è una startup del 2015 che si prefigge bollette sostenibili, fondate sul consumo di energia pulita. Il cittadino, aderendo a una cooperativa, sceglie il proprio impianto di energia rinnovabile sul territorio italiano, investe delle quote e da allora la cooperativa si occupa della gestione dei suoi consumi energetici. Lo scopo è favorire la transizione energetica del Paese e diffondere il modello del “prosumer energetico”, chi produce direttamente l’energia che consuma. Questo business permette benefici per l’ambiente e per i consumatori, con risparmi sul credito d’imposta IRPEF del 40% (per le startup innovative) e sconti in bolletta di circa il 5% del capitale sottoscritto come quote, fino all’eventuale azzeramento.

>>> Glass to Power è una tecnologia italiana impiegata per la realizzazione di finestre fotovoltaiche. Il progetto, sviluppato nel 2016 dall’Università degli Studi di Milano Bicocca e dalla Management Innovation, contribuisce a ridurre l’impatto ambientale degli edifici grazie ad apposite laste trasparenti in materiali plastici (LSC), uno degli strumenti più promettenti per realizzare architetture con bassissime ripercussioni sull’ambiente e in aree a elevata urbanizzazione, dove le superfici dei tetti non sono sufficienti per la produzione di tutta l’energia elettrica richiesta. Gli LSC, assorbendo luce solare, riemettono infatti dei fotoni che vengono convertiti in elettricità da celle fotovoltaiche convenzionali. Inoltre, i materiali impiegati sono altamente riciclabili e non prevedono l’utilizzo di metalli pesanti.

È una startup italiana del 2010 che si occupa di convertire il vento impiegato per far volare un kite in energia rinnovabile. Il progetto, a dir poco visionario, ha ottenuto visibilità internazionale e riconoscimenti da realtà come Eni ed Ieee, per il suo contribuito pioneristico nel campo dell’energia eolica. Il prototipo poggia infatti sull’utilizzo di turbine che, assorbendo l’aria ad alta quota e l’energia utilizzata nella trazione del kite, permettono di impiegare il vento in elettricità. I sensori apposti sul kite immagazzinano così l’energia, che viene poi trasferita in batterie a terra. Nonostante la tecnologia di ultima generazione, il metodo permette di raccogliere energia e basso costo, opponendosi ai combustibili fossili e sfruttando la forza dell’eolico per un consumo sostenibile.

>>> Creon è una giovane startup italiana specializzata nell’idroponica, una tecnica innovativa che permette di coltivare fuori suolo e che favorisce il riutilizzo dell’acqua impiegata, risparmiando fino al 90% di irrigazione e fertilizzanti rispetto alle coltivazioni tradizionali. Creon sta sviluppando oggi un alimentatore di corrente elettrica basato sulle celle a combustibile microbiologiche: questa tecnologia permette di produrre energia sfruttando l’attività batterica prolificata nella coltivazione, in modo totalmente ecosostenibile e senza emissioni di gas serra. In questo modo, l’agricoltura ha un minor impatto ambientale e, conformemente, al principio dell’economia circolare, permette una virtuosa gestione delle risorse, da quelle prodotte in origine agli scarti finali.

>>> PHPower è un’azienda specializzata nella raccolta e nell’ottimizzazione dei Big data energetici per conto di PMI, realtà del settore industriale, terziario e di pubblica amministrazione. La società offre servizi e soluzioni di efficientamento energetico grazie alla digitalizzazione dei dati aziendali su piattaforme di ultima generazione. La raccolta dei dati quantistici, tramite soluzioni Iot, permette di monitorare i consumi energetici e generare risparmi intelligenti sui costi. In questo modo i consumatori potranno accedere in tempo reale alla dashboard delle proprie utenze e quantificare la spesa, gestire autonomamente la propria bolletta, massimizzare l’efficienza energetica, monitorare da device l’andamento dei consumi e impostare persino soglie e allarmi sui limiti desiderati.

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Uomini e donne che hanno fatto energia Una lista che potrebbe essere lunghissima e abbracciare più secoli. Abbiamo scelto 5 personaggi che, a partire dagli ultimi due secoli, hanno pensato un modo nuovo di fare energia (e di applicarla)

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>>>Ann Makosinski (1998) Il volto dell'energia del futuro ha l'aspetto di una ragazza orientale di 21 anni, cresciuta in Canada. Nel 2013, appena quindicenne, ha portato alla Google Science Fair una torcia a calore umano, il cui prototipo è costato solo 26 $, inventata per la sua amica filippina che non poteva diplomarsi poiché non aveva luce elettrica per studiare di notte. Grazie alla “Hollow Flashlight”, che conta di distribuire al minor costo possibile nei posti in cui «davvero ne hanno bisogno», Makosinski è stata annoverata fra le 30 persone più influenti con meno di 30 anni su Forbes. Seguendo gli stessi principi, ha in seguito inventato una tazza che sfrutta il calore in eccesso delle bevande per produrre elettricità. Sul suo profilo LinkedIn dichiara che il suo obiettivo è raccogliere energia alternativa per migliorare la vita delle persone in ogni parte del mondo.

>>>Bill Gates (1955) di Roberto Moliterni

>>>Giovanni Aldini (1762-1834) A lui si ispirò Mary Shelley per il romanzo Frankenstein. L'elettricità era ormai una realtà, ma non la sua applicazione quotidiana. Aldini, che insegnava fisica sperimentale all'università di Bologna, perseguiva due obiettivi: riportare in vita i cadaveri dopo la morte grazie all'elettricità e dotare le città, che pullulavano di criminali, di illuminazione. Il primo sogno rimase un'utopia, che però segnò l'immaginario letterario, il secondo portò, nel 1818, alla costruzione di fari e dispositivi antincendio che permisero, pochi anni più tardi, di avere l'illuminazione pubblica a Milano, Napoli e Torino.

Se la sfida del secondo '900 era stata produrre quanta più energia possibile per il mondo industrializzato, quella degli anni 2000 è garantirne l'accesso a ogni individuo del pianeta e farlo in maniera ecologica. In questa sfida, si è inserito, in modo inaspettato, l'uomo che più di tutti ha segnato la fine del '900: Bill Gates. Dopo Microsoft, Gates ha aperto una fondazione con sua moglie Melinda allo scopo di migliorare la vita nel Terzo Mondo. In Africa, l'assenza di fogne ed elettricità, impedisce ancora le condizioni minime igieniche per la sopravvivenza. Costruire un sistema fognario ed energetico richiederebbe costi e tempi proibitivi. Occorre una soluzione applicabile sul territorio. Con la consulenza di ingegneri del posto, dopo anni di ricerca, la fondazione ha tirato fuori un prototipo di bagno che riesce a trasformare le feci umane in energia, la quale permette ai servizi igienici di essere autosufficienti e, forse, in futuro di fornire elettricità ai villaggi.

>>>Lise Meitner (1878-1968) >>>Enrico Mattei (1906-1962) Dalle prime lanterne a gas nella Galleria De Cristoforis a Milano nel 1832 il mondo era cambiato: c'era stata l'unità d'Italia e due guerre, che Enrico Mattei aveva entrambe attraversato. L'ultima, vissuta da Mattei come partigiano cattolico, aveva modificato gli stili di vita e gli equilibri politico-economici mondiali. Nel 1950 si consumavano in Europa 56 milioni di tonnelate di petrolio, nel '60 190, nel '70 450. Mattei, che aveva dimostrato capacità organizzative da partigiano, nel dopoguerra era stato messo a capo dell'Agip, residuo della politica fascista, allo scopo di privatizzarla. La mantenne invece pubblica e la trasformò in Eni: l'Italia doveva puntare all'indipendenza energetica, sfruttando risorse proprie di cui iniziò una forsennata ricerca nei suoli di tutta Italia. Ma il progetto fu interrotto dalla morte di Mattei, esploso in volo sul suo aereo privato nel 1962 in circostanze ancora poco chiare.

Nel dopoguerra, il maggiore fabbisogno di energia spinse a usare le scoperte fatte a scopi militari per uso civile, fra queste la fissione nucleare. Madre ignota di questa scoperta fu Lise Meitner, austriaca, che, insieme al chimico Otto Hahn, ne studiò i principi all'università di Berlino fin dagli inizi del '900. Prima partecipò alle ricerche da “ospite non pagato” - in quanto donna, fino al 1909 non fu ammessa agli studi accademici -, poi, negli anni del nazismo, a distanza, da fuggitiva ebrea. Ma fu lei, in un articolo su Nature, a spiegare la fissione nucleare che Hahn, continuando la ricerca a Berlino, aveva prodotto. Hahn prese il Nobel, Meitner fu invitata dagli USA a sviluppare la bomba atomica, ma rifiutò. Interessata agli usi pacifici del nucleare, dopo la guerra entrò nell'Agenzia internazionale per l'energia atomica delle Nazioni Unite e, morendo, sulla sua tomba fece scrivere: «Lise Meitner, una fisica che non perse mai la sua umanità.»


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FOCUS: ENEL PER TNR

FOCUS: ENEL PER TNR

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LE CITTÀ DEL FUTURO SECONDO ENEL U

tilizzare fonti energetiche e materiali rinnovabili, estendere la vita utile di un prodotto, aumentare il fattore di utilizzo attraverso piattaforme di condivisione o passando dalla proprietà a prestazione, ai servizi prestazionali, estendere la vita di beni e materiali mediante riuso, rimanifattura e rigenerazione: questi sono i pilastri dell’Economia Circolare, un modello in cui il consumo di risorse prime vergini è idealmente nullo o comunque estremamente ridotto. Per raggiungere questo obiettivo ha un ruolo fondamentale l’innovazione sostenibile, il cui impatto è fortemente potenziato dalle nuove tecnologie e dalla digitalizzazione.

Enel ha deciso di utilizzare il concetto di città circolare (circular city), in quanto ritiene importante avere una visione olistica del contesto urbano, considerato in tutti i suoi ambiti; in tal senso l’economia circolare rappresenta un quadro complessivo entro cui definire in maniera integrata le linee d’azione. La visione di Enel è meglio espressa da questo concetto più che da quello di smart city, troppo connotato dall’elemento tecnologico. Le città sono luoghi del vivere dove Enel sta portando fonti di generazione rinnovabile, soluzioni per la mobilità elettrica, dalle infrastrutture di carica a soluzioni come il Vehicle to Grid che permettono di usare le auto elettriche parcheggiate per ricaricare la rete, le pompe di calore la domotica, infrastrutture innovative come le Smart grid o le reti di illuminazione pubblica ad alta efficienza, la fibra ottica, soluzioni di efficienza energetica. Attività che abbracciano un orizzonte ampio e diversificato ma che hanno un punto comune nella visione ispirata dall’economia circolare. Una nuova visione capace di integrare i flussi di risorse e di energia, i modelli di produzione e di consumo, considerandone gli impatti non solo in termini economici, ma anche ambientali e sociali. Fino a pochi anni fa, le soluzioni che oggi stanno prendendo forma grazie alle nuove tecnologie erano inimmaginabili, basti pensare ai cambiamenti avvenuti dalla mobilità all’ energia, dall’edilizia ai rifiuti.

Come riporta uno studio del 2017 della Ellen MacArthur Foundation, due terzi dell’energia del Pianeta è consumata nelle città che da sole causano quasi il 70 per cento delle emissioni globali clima alteranti ed hanno inoltre un rilevante impatto sia sul consumo di risorse sia sulla produzione di rifiuti. Un quadro allarmante, eppure proprio i centri urbani possono rappresentare il laboratorio dove testare il modello di una transizione verso un nuovo paradigma.

Una rigenerazione urbana che include anche alcune applicazioni di un progetto su larga scala come il progetto Futur-e. Il gruppo italiano ha scelto di accompagnare la riqualificazione di 23 siti industriali dismessi facendone un’occasione di sviluppo per i territori che li ospitano e trovando nuove destinazioni d’uso. Enel, che il World Economic Forum ha incluso tra le sei multinazionali più attive al mondo nel campo dell’economia circolare, ha dato vita inoltre a un’A lleanza di aziende italiane per favorire lo scambio di buone pratiche, sviluppare progetti comuni, lavorare con startup e centri di ricerca così da contribuire ad incrementare in maniera sostenibile la competitività del settore industriale italiano. Interazione con l’ambiente, collaborazione con gli stakeholders, una cultura aperta basata sull’ascolto.

Per affrontare il tema delle città del domani

Per questo Enel ha posto al centro della sua strategia i temi dell’innovazione e della sostenibilità dei quali l’economia circolare ne è perfetta sintesi come spiegato nella sezione dedicata del sito dell’azienda (https://corporate.enel.it/it/ economia-circolare-futuro-sostenibile).

Per costruire un efficace ecosistema circolare è importante che coesistano un approccio dall’alto e dal basso: le istituzioni hanno un ruolo centrale per favorire uno sviluppo infrastrutturale che lo supporti e un ruolo fondamentale è svolto dall’ iniziativa di cittadini, associazioni e aziende. Un approccio integrato in cui la circolarità diventa una forma mentis che ciascuno può declinare nelle proprie attività e scelte, nella vita privata come nella sfera pubblica. Dove tutti sono messi nelle condizioni di contribuire ad una nuova visione di città: innovativa, partecipata e sostenibile.


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IL MODEM

ROMANZO VINCITORE DEL PREMIO LETTERARIO

Un piccolo baluardo della modernità: ha un ruolo centrale nella vita di tutti noi

di Alessia Laudati

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hi ha più di 30 anni se lo può ricordare in versione 56k, quando connettersi a internet significava soprattutto ascoltare una sinfonia di rumori metallici e bip. Poi, sempre con l’antenato del modem ADSL, si dovevano aspettare almeno 10 minuti pur di scaricare un semplice mp3.

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Praticamente il mondo di hyperlink così come lo conosciamo oggi era un qualcosa di molto meno accessibile e fluido, un atto più legato a un sistema meccanico di ingranaggi che alla velocità inconsistente della rete.

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Il modem è nato in serie nel lontano 1958 ma non è mai diventato oggetto di culto nonostante la sua diffusione. Di esso apprezziamo generalmente più la funzione che l'aspetto estetico, ma dobbiamo riconoscere che al di là delle fattezze non piacevolissime è ancora oggi un piccolo baluardo della modernità.

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La sua storia poi è interessante perché è fatta di piccole tappe e scoperte che lo hanno portato ad avere la struttura solida e la centralità che ha oggi nella vita sociale di ognuno.

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7 cose che non sapevi SUL modem

Nel 1940 il matematico George Stibitz riesce a far comunicare per la prima volta una telescrivente situata nel New Hampshire con un computer ubicato a New York grazie alla rete telefonica. Nessuno ci credeva fino a quel momento.

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Il primo modem compatibile con un computer viene creato nel 1977 da Dale Heatherington e Dennis Hayes, poi fondatori della Hayes Microcomputer Products. I due lo brevettano non in un garage seminterrato ma sul tavolo della cucina dove amavano dedicarsi al loro hobby preferito.

5 2 Nei primi anni 50 il modem esce dagli ambienti accademici, e viene commercializzato dall’operatore AT&T. All’inizio serve solo l’ambito militare per costruire la rete SAGE, utilizzata dal NORAD, la North American Aerospace Defense Command, per la prevenzione di attacchi bellici.

Durante gli albori la produzione è esclusivamente monopolista e affidata alla compagnia telefonica AT&T, che detiene sulla propria rete telefonica il diritto esclusivo di produrre apparecchi capaci di percorrerla.

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Con un investimento iniziale di 5000 dollari, la Hayes Microcomputer Products divenne tra gli anni ‘80 e ’90 una delle principali leader del settore prima di chiudere l’attività nel 1990. Oggi Dale Heatherington non ha nemmeno una pagina Wikipedia che racconti la sua storia.

22 centesimi di dollari era l’importo che nel 1996 l’ingegnere canadese Brent Townshend riceveva per ogni apparecchio venduto ma da lui brevettato, con il quale le aziende riuscirono per la prima volta a raggiungere la velocità di 56Kbps (48Kbps in upload).

Dall’inizio del 2019 è entrata in vigore una norma che ha sancito la libertà di scegliere un modem diverso da quello fornito dall’operatore telefonico. La Delibera N. 348/18/CONS stabilisce il diritto di scelta tra l’acquisto di un proprio il modem o l’utilizzo di quello fornito dall’operatore (a noleggio).


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LIBRERIA Letture per capire l'economia di oggi

a cura di Lorenzo Sassi e Eugenio Giannetta

COME CAMBIARE LA TUA MENTE

POSSIAMO SALVARE IL MONDO, PRIMA DI CENA. PERCHÉ IL CLIMA SIAMO NOI

Michael Pollan (Adelphi)

Jonathan Safran Foer (Guanda)

Gran bello spartiacque il decennio degli anni ’60. E non lo dico solo per tutto ciò che è derivato dalla rivoluzione culturale e sessuale (le iniezioni di libertà dopaminica eccetera), ma soprattutto per le droghe. Ma tutto comincia prima, nel 1938, quando un chimico di nome Albert Hoffman inventa per errore il dietilamide-25 dell'acido lisergico, altrimenti detto LSD. Sempre per errore Hoffmann fu il primo a sballarsi di LSD: “ho percepito un flusso ininterrotto di immagini fantastiche, forme straordinarie e intense, un caleidoscopico gioco di colori”, ebbe modo di raccontare. All’inizio si pensava potesse essere, l’LSD, una mezzo per arrivare “altrove”. Poi, negli anni ’60, quando cioè tutti erano “altrove”, si è deciso che LSD non andasse granché bene. Negli anni novanta poi, con lo stupore dei più, si è tornato a parlare di LSD & Co. in chiave scientifica, cercando di capire quali usi salutistici e medici se ne potessero fare. Pollan ripercorre le tappe dello psichedelico, tessendo una trama che tiene insieme mistica, scienza e libertà.

Il tema del climate change è al centro non solo dell'agenda politica, ma umana. È un'emergenza discussa ai festival letterari e giornalistici (Mantova, Pordenone, Ferrara), che in qualche modo tocca anche le case e le scuole, da Greta al movimento Friday for Future. In questo pamphlet, uno dei più straordinari scrittori contemporanei prova ad aprire gli occhi delle persone a partire dalla volontà di cambiare, mettendo insieme dati scientifici e riflessioni personali.

MACCHINE COME ME Ian McEwan (Einaudi)

IL CAPITALISMO DELLA SORVEGLIANZA Shoshana Zuboff (LUISS University Press) Se c’è una minaccia che, al pari dell’annientamento dell’uomo stesso (o del concetto di umanità), sovverte l’attuale ordine delle cose, questa è la sorveglianza. Il voyeurismo dei pochi sui molti; quei pochi che, catalogando big data, indirizzano scelte di vita e disegnano il volto dell’economia.

Siamo a Londra, nel 1982. Un'epoca alternativa a quella che conosciamo, nella quale Alan Turing è ancora vivo, e ha reso possibile la realizzazione di alcune importanti innovazioni tecnologiche. Quello di Ian McEwan è un romanzo sull'intelligenza artificiale, e sui dilemmi etici collegati allo sviluppo della tecnologia, in un passato fluido, mischiato al presente e al futuro.


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il lavoro del futuro

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commercializzarli. Si tratta di un ruolo da dirigente esperto con un forte background commerciale capace di modellare la crescita dei nuovi prodotti di un’azienda, garantendo che le nuove offerte si adattino alle esigenze di salute dei propri clienti.

Cosa farò da grande?

di Sofia Gorgoni

In particolare, il suo ruolo sarà di sintesi tra il lato commerciale e quello di sviluppo dei prodotti, in quanto dovrà indirizzare la ricerca di nuove categorie di prodotto in funzione dei bisogni emergenti nel mercato. Questa figura sarà fondamentale in un’azienda biotecnologica, in particolare attiva nel settore dell’editing genetico. Cosa fa un Direttore del portafoglio genomico?

Il Direttore del portafoglio genomico

Il direttore del portafoglio genomico creerà ed eseguirà una strategia per la crescita di un portafoglio di prodotti per le scienze della vita. Gestirà tutti gli aspetti del lancio e dell'espansione della vendita del portafoglio. Cosa deve studiare ?

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n futuro non lontano riserva le meraviglie delle tecnologie di modifica genetica. I nuovi strumenti verranno impiegati nella ricerca nelle scienze della vita, nella biotecnologia e nella cura delle malattie. Infatti, con i progressi nell'analisi del DNA e nella tecnologia di editing genetico CRISPR / Cas, nascono nuovi farmaci a tassi senza precedenti.

Questo sviluppo e produzione nel campo della biotecnologia porta nel mondo del lavoro posizioni del tutto nuove. A fare una previsione è stata la società americana Cognizant, secondo la quale entro 10 anni molte aziende useranno stabilmente queste tecnologie per creare nuovi farmaci a prezzi incredibili. Emergeranno quindi nuove figure professionali specializzate: è il caso del “direttore di portafoglio genomico”, in altre parole un dirigente che decide quali prodotti far nascere e quale strategia individuare per

È necessario avere una laurea con specializzazione in genomica; secondo Cognizant è preferibile un master in economia aziendale e/o biologia molecolare o un’esperienza equivalente. Inoltre questa figura deve avere oltre 10 anni di esperienza applicabile e la capacità di valutare la tecnologia e l'innovazione dei prodotti in modo da poter identificare e negoziare con i fornitori i nuovi prodotti che potrebbero assecondare i desideri di acquisto dei clienti. Quanto guadagna? È difficile fare un calcolo ad oggi. Lo stipendio prevedibilmente sarà lo stesso di un dirigente esperto, con una differenza tra pubblico e privato, che vede un leggero vantaggio a favore di chi lavorerà per quest’ultimo.

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L'economia raccontata dagli under 35.

fondatori

art direction

Pierangelo Fabiano Raffaele Dipierdomenico

Gianluigi Servolini

direttore responsabile

art direction

Sofia Gorgoni

progetto grafico

progetto digital

Dodicidi

advisor editoriale

Beniamino Pagliaro

social media manager

Marialuigia Lamenza

editore

The New’s Room Srl redazione

Gian Luca Atzori Mariachiara Bo Laura Bonaiuti Marco Bova Giulia Elia Danilo Garcia Di Meo Danila Giancipoli Eugenio Giannetta Sara Giudice Ilaria Lagioia Alessia Laudati Livia Liberatore Giulia Lucchini Francesco Malfetano Irene Masala Pietro Mecarozzi Roberto Moliterni Vittoria Serena Patanè Filippo Poltronieri Elena Pompei Francesco Rivano Roberto Maria Rotunno Luca Sandrini Veronica Andrea Sauchelli Lorenzo Sassi Antonella Scarfò Salvatore Tancovi Greta Ubbiali

crediti fotografici

Danilo Garcia Di Meo Unsplash Shutterstock cover

Ilaria Lagioia stampato presso

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