Numero 17 28 Giugno 2019 LUGLIO 2019
L'economia raccontata dagli under 35
COPIA OMAGGIO the-newsroom.it
IO SONO SOSTENIBILE (?)
CONSUMARE, COSTRUIRE, INVESTIRE Essere sostenibili funziona. Anzi, conviene
5 STARTUP DA GUARDARE Le aziende del futuro e l’impatto
POSTE ITALIANE S.P.A. SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - 70% S/CE/16/2018
Ci misuriamo per capire le conseguenze del cambiamento che non possiamo più ignorare
PROLOGO
Per qualche decennio, da quando abbiamo a disposizione i dati per giudicare l’andamento del nostro pianeta, avevamo pensato di poter rinviare il problema. Prima di noi, molti leader hanno di fatto tradito la promessa implicita nel concetto di leadership, di guida: l’impegno per le generazioni a venire. Non pensare alle conseguenze è un errore di strategia. Oggi invece conosciamo meglio i numeri e abbiamo sempre meno scuse: senza aprire battaglie ideologiche, è tempo di una società, dalla classe politica alle aziende, che sappia progettare un futuro sostenibile. Quando si progetta un business plan, vanno considerati tutti i fattori dell’equazione. Le storie che raccontiamo in questo numero di The New’s Room dimostrano che è una strada percorribile. Prima lo facciamo tutti, più crescita (sostenibile) avremo. Pierangelo Fabiano, Fondatore
INDICE
EDITORIALE di Sofia Gorgoni
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ell’inverno appena trascorso al Nord dell’Italia è piovuto quasi la metà rispetto alla
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Editoriale
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Uno sguardo ai numeri di Livia Liberatore
media storica. In pochi ci avranno fatto caso, ma gli agricoltori hanno visto conseguenze
Cover Story
devastanti sui raccolti. Sarà proprio questa difficoltà di percepire il pericolo la causa
istituzioni, ma gli scienziati ci stanno chiedendo di accelerare. Prima c’è stato il tira e molla degli accordi di Kyoto e Parigi, ora in Europa l’obiettivo di avere zero emissioni nette entro il 2050 si è sbriciolato di fronte alle opposizioni di alcuni paesi dell’est, capeggiati dalla Polonia che trae l’80 per cento della sua energia dal carbone. Intanto, però, dal 2021 le cannucce di plastica saranno bandite dall’EU. Solo negli Usa se ne utilizzano 500 milioni al giorno: un numero enorme se moltiplicato per un anno. In Italia molti bar hanno già scelto di invertire la rotta e anticipare i tempi dettati
Numero 17 | Giugno 2019 the-newsroom.it
dell’incuria dilagante nei confronti dell’ambiente. Eppure il rischio riguarda proprio gli esseri
viventi, inclusi noi umani. Una parte di noi comprende molto bene il problema, tra cui aziende e
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Io sono sostenibile
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24 ore per diventare sostenibili di Greta Ubbiali
Io abito: come costruire/ristrutturare casa e diventare sostenibili
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Impact investing: benefici non solo finanziari
di Vittoria Patanè di Lorenzo Sassi
Intervista 19
Orange fiber: dalle arance il filato del futuro di Pietro Mecarozzi
Top 5
quelle di mais e riso (l’azienda marchigiana Campo). Dopo aver bevuto il cocktail, la cannuccia si 22
la temperatura media del nostro Paese è aumentata di 1,58 gradi. Secondo gli studiosi questo grado
5 startup da tenere d’occhio per un futuro sostenibile di Danila Giancipoli
Focus
e mezzo in più è il responsabile dello scioglimento di due terzi delle superfici dei ghiacciai alpini negli ultimi 50 anni. Pare che i responsabili siamo soltanto noi: i dati dicono che le attività umane
di Vittoria Patanè
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dalle istituzioni. In tanti locali si beve con cannucce di carta colorate e c’è chi si è inventato anche mangia ed è anche gluten free. I cambiamenti climatici, però, hanno già lasciato un segno: nel 2018
di Sofia Gorgoni
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Evoluzione in corso: mercato (auto) ibrido
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Prima di Greta: Primavera silenziosa
(circa 70 mila), e al primo da biossido di azoto (più di 20 mila). Il vero problema è che le principali
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Il costo segreto dell'edilizia
emissioni di gas serra sono determinate dal settore energetico e la tecnologia negli ultimi anni
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Hi-tech ricondizionato, un business intelligente e dal cuore green
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Mettersi in gioco per l’ambiente
hanno quasi tutta la responsabilità. In pratica è come se ci stessimo annientando da soli. Il nostro Paese è al secondo posto in Europa per numero di morti causate da avvelenamento da particolato
sembra aver addirittura peggiorato la situazione. Non ci restano che due possibilità: continuare a fare quello che abbiamo fatto fino ad oggi oppure tracciare una nuova rotta e tenerla stretta. La
desertificazioni e inondazioni, come le carestie, il diffondersi di malattie tropicali e le conseguenti migrazioni di massa umane. Inoltre le ondate di calore stanno portando già migliaia di morti in più nelle città, come dimostrano gli studi, l’ultimo dell’Università di Bristol. La seconda possibilità racchiude, invece, un infinito di piccole scelte quotidiane fatte da persone
prossime generazioni un mondo migliore. E Greta Thunberg ce lo ha ricordato quando, con il suo
di Pietro Mecarozzi
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Influencer green
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Questo è un boom (del futuro)
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Green sì, noiosi no
a cura di Greta Ubbiali, Lorenzo Sassi
di Giulia Lucchini di Lorenzo Sassi
Racconto 41
Questo hamburger salverà il mondo? di Alessia Laudati
zainetto, ha iniziato l’anno scorso la sua protesta davanti al Parlamento di Stoccolma. Piccola e influente (inclusa dal Time tra i 25 adolescenti più influenti del pianeta): con i suoi 16 anni privi
di Greta Ubbiali
La classifica
e di grandi idee e investimenti fatti da aziende e istituzioni. Perché la competizione sul mercato si farà sempre di più sulla sostenibilità; perché abbiamo la grande responsabilità di garantire alla
di Roberto Moliterni
di Salvatore Tancovi
prima possibilità porta a un inevitabile scioglimento delle calotte glaciali, a un innalzamento delle temperature e dei livelli degli oceani e all’intensificarsi di fenomeni violenti per l’uomo, come
di Francesco Malfetano
Rubriche 43
L'oggetto dell'economia: il grafene
seconda possibilità porta una vita migliore per tutti, oltre a essere l’unica strada possibile, e ve la
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Libreria
raccontiamo in questo numero.
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L’agenda del Ceo
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Il lavoro del futuro
di paura e cedimenti è riuscita a richiamare l’attenzione sul problema in tutto il mondo. Questa
di Eugenio Giannetta di Sofia Gorgoni di Sofia Gorgoni
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NUMERI
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NUMERI
LAVORI GREEN
uno sguard0 ai numeri di Livia Liberatore
- Da oggi al 2023, ogni 5 nuovi posti di lavoro creati dalle imprese attive in Italia 1 sarà generato da aziende ecosostenibili. - L’occupazione in ambito ecosostenibile coprirebbe una quota pari al 18,9% sul totale del fabbisogno generato fino al 2023. - Si tratta di un numero di nuovi posti di lavoro oltre il 50% in più di quelli generati dal digitale e il 30% in più di quelli prodotti dalle imprese della filiera salute e benessere. Fonte: Focus Censis - Confcoperative “Smart &Green” (2019)
GREEN SKILL - Il 49% delle aziende con dipendenti ha valutato l’assunzione di nuovo personale anche
IO SONO PIÙ SOSTENIBILE
sulla base delle skills legate alla sostenibilità ambientale. - Nel 2017 sono state circa 653mila le imprese che hanno ricercato profili professionali caratterizzati da una certa propensione alla sostenibilità.
Generazioni a confronto Il 27% dei millennials sarebbe disposto a pagare fino al 10% in più per un prodotto sostenibile e un ulteriore 27% sarebbe pronto a sborsare fino al 20% in più. Percentuali simili nella generazione Z: il 25% pagherebbe il 10% in più e il 28% arriverebbe fino al 20% in più.
Nella moda: - Il 21% degli intervistati della generazione Z spenderebbe il 5% in più per acquistare abbigliamento sostenibile, mentre il 17% arriverebbe ad aumentare la spesa del 10%. Fra i millennials, il 12% aggiungerebbe il 10% al prezzo del capo per averlo sostenibile.
Fonte: Sistema informativo Excelsior, realizzato da Unioncamere e Anpal (2017)
I dieci profili green più richiesti: 1 Installatore di reti elettriche a migliore efficienza
6 Risk manager ambientale
2 Programmatore agricolo della filiera corta
7 Educatore ambientale per l’infanzia
3 Meccatronico green
8 Esperto in gestione dell’energia
4 Manovale esperto di calcestruzzi green 5 Installatore di impianti di condizionamento a basso impatto ambientale
(ingegnere energetico) 9 Promotore edile di materiali sostenibili 10 Meccanico industriale green
Fonte: rapporto GreenItal di Fondazione Symbola e Unioncamere (2018)
Nel cibo: - Il 73% dei millennials e il 76% della generazione Z afferma di essere disposto a pagare di più per avere la certezza sulla sostenibilità dei propri marchi di alimentari preferiti. - Il 76% dei millennials e il 78% della generazione Z pone particolare attenzione ai prodotti di qualità.
Nei trasporti: - L’acquisto di un’automobile è solo al quinto posto nella to do list dei millennials. - Il 55% dei millennials è disposto a utilizzare il car sharing se più conveniente. Fonti: PwC Millennials vs Generation Z (2018), Bain & Company per il magazine Quattroruote (2019)
LE ECO-INDUSTRIE Nel 2017 il peso del settore è stato pari al 2,4% del valore complessivo dell’economia italiana. Nello stesso anno, ha raggiunto le 388mila unità di lavoro. Fra il 2014 e il 2017 il settore ha fatto registrare una crescita del 4,6% delle unità di lavoro, dell’11% del valore aggiunto e del 3,6% del valore della produzione. Fonte: Focus Censis - Confcoperative “Smart &Green” (2018)
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NUMERI
COVER STORY
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PLASTICA La normativa: a marzo 2019 è stata approvata la direttiva europea che vieta dal 2021 una serie di oggetti in plastica usa e getta non biodegradabile: posate e piatti, cannucce, contenitori per alimenti e tazze in polistirolo espanso, bastoncini di cotone per i prodotti dell'igiene tipo cotton fioc, bastoncini per palloncini e prodotti in plastica oxo-degradabile. Rifiuti di plastica riciclabili: - Tutti i contenitori che recano le sigle PE, PET e PVC - Contenitori per liquidi - Bottiglie per bevande - Flaconi per prodotti per l'igiene personale e pulizia per la casa - Shampoo, Bagnoschiuma
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Detersivi Vaschette per l'asporto di cibi Confezioni per alimenti Polistirolo espanso degli imballaggi e simili Borse di nylon Plastica in pellicola
Gli italiani e la plastica:
IO SONO SOSTENIBILE
- Un italiano su due crede che l'allarme plastica sia un problema molto serio. - Oltre 1 italiano su 3 ritiene che sia responsabilità delle aziende offrire delle soluzioni concrete
di Vittoria Patanè
per ridurre l'uso della plastica nelle confezioni vendute. - Oltre la metà (il 53%) del campione dichiara di acquistare prodotti realizzati con materiali riciclati. Fonte: Ipsos, primo studio sulla plastica (2019)
CORPORATE SOCIAL RESPONSIBILITY - Fra i millennials quasi nove su dieci (87%) ritengono che il successo di un business dovrebbe essere misurato in termini che vanno al di là della pura performance finanziaria. - Nel 2017 circa l’85% delle aziende italiane (era l’80% nel 2015) presentano azioni riconducibili alla CSR. - Le aziende che fanno attività di CSR vogliono: “contribuire allo sviluppo sostenibile” (35% delle risposte), essere “responsabili verso le generazioni future” (32%) e “migliorare i rapporti con le comunità locali” (29%) Fonti: Millennial Survey di Deloitte (2016), Rapporto sull’impegno sociale delle aziende in Italia dell’Osservatorio Socialis,
FINANZA SOSTENIBILE - Quasi tre investitori su quattro (il 72%) ritengono che le società con un approccio più attento ai criteri ESG (ambientali, sociali e di governance) costituiscano un migliore investimento in un'ottica di lungo periodo. - Fra i 22-30enni sono decisamente di più (76%) rispetto alla media (del 64%) coloro che esigono prove concrete dell'impatto positivo esercitato dai propri investimenti. Fonte: Indagine sull'approccio e le abitudini d'investimento degli italiani, GFK per AXA Investment Managers
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o DEVO essere sostenibile. Molti pensano che l’emergenza climatica in atto sia causata solo dalle multinazionali che inquinano a più non posso pur di imbottirsi le tasche di soldi. La classica guerra ricchi contro poveri che diventa una scusa perfetta per silenziare la coscienza. “La colpa è loro, sono loro che devono risolvere, è chi governa che deve occuparsene” è il mantra che ci ripetiamo pur sapendo che la realtà è diversa, ben più grave.
Oltre la coltre inquinata che copre un tema sempre più urgente, si scopre che il problema è l’attività umana, siamo noi. Il mio e il nostro modo di spendere, di abitare, di investire, di mangiare, di andare in giro. Di vivere. Io DEVO essere sostenibile, semplicemente perché non c’è alternativa.
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COVER STORY
24 ORE PER DIVENTARE SOSTENIBILI Dal caffè alla mobilità, le scelte personali possono fare la differenza
di Greta Ubbiali
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ono le otto di mattina. Ho gli occhi fissi sulla tazza di caffè e ripenso all'allarme lanciato dal Clac, il Coordinamento dei produttori Fairtrade dell’America Latina e dei Caraibi, in occasione dell'ultimo ribasso del prezzo del caffè arrivato a 90 centesimi di dollaro alla libbra. Una situazione definita "non più sostenibile". Crescono i costi legati alla produzione e all'adattamento ai cambiamenti climatici ma diminuiscono i guadagni. Così dicono i rappresentati dal Clac: "25 milioni di famiglie di piccoli produttori, più di 100 milioni di persone, corrono il rischio concreto di non riuscire a mandare i figli a scuola e di non avere abbastanza cibo per nutrirsi".
L'industria del caffè nasconde forti iniquità: dei 200 miliardi di dollari generati dalla sua vendita nel mondo, i contadini ricevono una percentuale compresa tra il 7 e il 10%. Ci sono aziende della filiera, però, che si stanno impegnando in progetti di economia circolare a sostegno delle comunità coltivatrici. Vergnano, per esempio, ha avviato la campagna "Women in Coffee" con l’avvio di una micro torrefazione gestita da 20 donne nella Repubblica Dominicana. L'ecosostenibilità è un’attitudine fatta di tanti piccoli gesti quotidiani. Anche con i più semplici, come prendere il caffè,
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possiamo incidere sull'ambiente e sulla qualità della vita di chi produce ciò che noi consumiamo. Anche a molti chilometri di distanza. I miei pensieri sono interrotti dal richiamo di Filippo, mio figlio di 15 mesi. Mi ricorda che la giornata deve iniziare e il primo passo per farlo è un veloce ma necessario cambio di pannolino. Pare che nel primo anno di vita un bambino ne consumi almeno 2500 producendo circa una tonnellata di rifiuti difficili da smaltire. Secondo il rapporto di sostenibilità di Edana (l’associazione internazionale che rappresenta l’industria dei nontessuti e le industrie dei prodotti collegati) i pannolini per bambini e per incontinenza in Europa costituiscono il 2-3% dei rifiuti solidi urbani. Una fetta sempre maggiore di genitori però si sta convertendo all'uso dei pannolini lavabili che, oltre a essere maggiormente sostenibili per l'ambiente, sono anche privi di molte sostanze chimiche contenute nei prodotti usa e getta. I marchi tradizionali detengono ancora una quota di mercato del 95% in Europa ma, stando a un sondaggio di Euromonitor sul tema, sempre più genitori si rivolgono al web per trovare suggerimenti e consigli sui prodotti per l'infanzia e prestano maggiore attenzione ai valori che le aziende condividono, sostenibilità inclusa. L’armadio di Filippo è composto sia di abitini nuovi che di seconda mano, donati da amici e conoscenti di famiglia. Se il passaggio di capi per l'infanzia è consuetudine tra i genitori, il mercato dell'usato nella moda donna sta avendo successo solo negli ultimi anni. Secondo un recente studio del sito ThredUp, il mercato degli abiti di seconda mano oggi vale 24 miliardi di dollari e i volumi sono destinati a raddoppiare arrivando a 51 miliardi entro il 2024, con una crescita 1,5 volte più veloce del fast fashion. Sarà l'effetto Marie Kondo, ma intanto il pianeta ringrazia. Prima di uscire di casa do un'ultima occhiata al contenuto dello zaino. Gli essenziali, vale a dire borraccia per l’acqua e abbonamento ai mezzi pubblici, ci sono. Per gli spostamenti quotidiani uso il tram e, quando posso, per i lunghi viaggi mi affido al car pooling. La condivisione dell'auto consente di contenere i prezzi del viaggio e aiuta a ridurre l'impatto ambientale. Una pratica che in Italia hanno adottato più di tre milioni di persone iscrivendosi alla piattaforma Blablacar. Il servizio di car sharing recentemente ha condotto uno stu-
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dio con l’istituto francese Le Bipe e ha calcolato che nel 2018 il car poolin g organizzato attraverso la piattaforma ha permesso di evitare l’emissione di 1,6 milioni di tonnellate di Co2, l’equivalente assorbita in un anno da 730mila campi da calcio ricoperti di foresta. Ci sono diversi modi per ridurre il proprio impatto sul pianeta anche sul luogo del lavoro. Io per esempio in ufficio ho messo in atto piccoli cambiamenti quotidiani che mi aiutano a consumare meno risorse. Ho iniziato stampando solo se necessario e su entrambi i lati del foglio mettendo da parte le pagine stampate per sbaglio da usare per prendere appunti al posto dei bloc-notes. Per pranzo cerco di evitare i prodotti confezionati e di non acquistare verdure fuori stagione e ogni volta che sono tentata di comprare a dicembre una confezione di fragole che hanno un aspetto delizioso ma provengono dal Perù, mi chiedo sempre quanta anidride carbonica sia stata prodotta per portarle fino in Italia. Infine ho collegato i dispositivi elettronici della mia postazione dell'ufficio a una presa multipla e ogni sera, prima di tornare a casa, la spengo.
Con più del 30% del cibo prodotto al mondo che viene sprecato, anche la cena può essere un buon momento per ripensare i propri consumi. Da poco è arrivata in Italia la applicazione “Too good to go” e ha scelto come città-test Milano. L'idea è danese e già oggi ha otto milioni di utenti distribuiti in nove Paesi. Il servizio permette alle attività commerciali di dare un'ultima chance a cibo invenduto “troppo buono per essere buttato”, come recita il nome della app. Negozi e locali che aderiscono mettono in vendita delle "magic box" che contengono prodotti e piatti freschi in avanzo e le confezioni hanno un costo contenuto, dai due ai sei euro. Per ogni scatola venduta si evita l’emissione di due chilogrammi di Co2. L'ultima battaglia ambientalista è quella della carne che dalle piazze si sta spostando nei laboratori scientifici e nelle sedi dei venture capitalist della Silicon Valley. Un numero crescente di startup infatti sta studiando metodi di produzione di carne alternativi agli allevamenti come la sua coltivazione in laboratorio. È il caso di Memphis Meat, azienda che conta tra i suoi investitori anche Bill Gates e Richard Brenson e che ha raccolto impegni per 22 milioni di dollari.
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IO ABITO: COME COSTRUIRE/ RISTRUTTURARE CASA E DIVENTARE SOSTENIBILI
ROMANZO VINCITORE DEL PREMIO LETTERARIO
Una casa ecosostenibile costa cara? Spesso sì, ma se si ha la pazienza di aspettare qualche anno il nostro investimento sarà pienamente ripagato in termini ambientali ed economici
di Vittoria Patanè
ORGANIZZATO DA & >>>PANNELLI FOTOVOLTAICI
IN COLLABORAZIONE CON MEDIA PARTNER GRAZIE AL CONTRIBUTO DI PARTNER UFFICIALE
NELLE MIGLIORI LIBRERIE ITALIANE
Puntare sul fotovoltaico per soddisfare il proprio fabbisogno energetico è la scelta giusta per una casa ecosostenibile e autosufficiente. Un tempo lo faceva solo chi all’ambientalismo abbinava un reddito alto. Oggi è un investimento alla portata di tutti, garantendo risparmi immediati che permettono di ammortizzare i costi. Ci sono due tipi di impianti fotovoltaici: classico e con accumulo. Una famiglia di tre-quattro persone che vive in una casa di 70-80 metri quadri necessita di un impianto fotovoltaico da 3 kW. Quanto costa? 4-6mila euro il classico, 7-10mila euro con accumulo, che garantisce risparmi doppi. Un prezzo proibitivo che però consente di spendere circa 80-100 euro in meno al mese grazie alla cessione di energia (quella non utilizzata viene venduta al sistema) e al risparmio sulla bolletta elettrica. Facendo un calcolo, se si risparmiano 80 euro al mese, un impianto classico si può ammortizzare in 4-6 anni, quello con accumulo in 7-10 anni. Da considerare che al fotovoltaico si applica il bonus Irpef del 50% (in 10 anni) in sede di dichiarazione dei redditi.
>>> IL SOLARE TERMICO Il solare termico utilizza l’energia solare per produrre acqua calda, a impatto zero, per i consumi domestici. L’impianto non garantisce il totale fabbisogno energetico (arriva al 60-70%) e va abbinato a una caldaia di ultima generazione o a una pompa di calore, ma consente di ridurre le emissioni di Co2 e i consumi energetici. Ci sono due tipi di impianti termici: a circolazione naturale e a circolazione forzata. Il prezzo per una famiglia tipo varia dai 3 ai 4mila
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euro. Il solare termico assicura però un risparmio sulla bolletta di almeno il 50% - in media tra i 250 e i 350 euro l’anno - e quindi si può ammortizzare in 10-12 anni. Se alle spese di acquisto e installazione si applica l’ecobunus al 65% (sempre in 10 anni), bastano 5 anni per rientrare dell’investimento. Utile sapere che il solare termico aumenta la classe energetica e il valore economico della casa.
>>> LA CASA DOMOTICA La domotica consente di controllare luce, riscaldamento, climatizzazione, sicurezza, elettrodomestici, irrigazione. Nulla sfugge al suo raggio. La correlazione domotica-ambiente per molti non è automatica, ma gestendo i consumi, riduciamo l’impatto che abbiamo sull’ambiente. Se costruiamo o ristrutturiamo da zero una casa di 70-80 mq e optiamo per la domotica, spendiamo - in media - 2mila euro in più rispetto a quanto spenderemmo per un impianto tradizionale. Chi invece si affida ad assistenti personali come Alexa o Google Home, da abbinare ad altri dispositivi, può cavarsela con 500 euro (la resa è ovviamente diversa). I dati dicono che un impianto domotico determina un risparmio su energia ed elettricità pari al 26-30%. Secondo l’Istat, gas, riscaldamento ed elettricità ci costano (in base al nucleo familiare) tra i 1.358 euro e i 2.102 euro l’anno. Applicando a queste cifre una spesa annua inferiore del 26% otteniamo un risparmio tra i 353 e i 546 euro, il che significa che possiamo rientrare dell’investimento in meno di 4 anni. Anche per la domotica è prevista la detrazione Irpef al 65%. Beneficio aggiuntivo: una casa “intelligente” ha un valore di mercato superiore del 5-8% rispetto a una tradizionale.
>>> INTERNI E ARREDI Scegliere il legno per i rivestimenti interni ed esterni e per gli arredi è la soluzione migliore per chi vuole rispettare l’ambiente, ma occhio alla certificazione Fsc (Forest Stewardship Council). Il legno è un materiale naturale considerato imprescindibile nella bioedilizia, ha una trasmittanza minima, garantisce una dispersione di calore inferiore agli altri prodotti e protegge meglio dal freddo. Costa in media il 30% in più, ma si risparmia sulla manodopera (i lavori durano la metà). In alternativa, per una casa ecosostenibile si può puntare sulla pietra, sugli scarti di marmo o su materiali come sughero, paglia e bambù che coniugano prezzi bassi ed ecosostenibilità.
>>> CONSIGLI ECOSOSTENIBILI Compriamo elettrodomestici di classe A+, A++ e A+++: costano di più, ma risparmiamo sulla bolletta e se ristrutturiamo possiamo accedere al bonus Irpef del 50%. Per l’illuminazione usiamo lampadine a risparmio energetico. In bagno, doccia con soffione regolabile (la vasca è bandita), rubinetti con miscelatori e water con doppio scarico. Sui muri carta da parati ecologica o pittura con soluzioni a base di acqua. Piante e tende alle finestre aiutano la termoregolazione della casa.
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IMPACT INVESTING: BENEFICI NON SOLO FINANZIARI I criteri di investimento riguardano ambiente, governance e ambito sociale
di Lorenzo Sassi
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ra gli addetti ai lavori se ne parla da tempo, e con sempre più interesse: impact investing. È il nuovo trend che sta catalizzando l’attenzione dei grandi investitori. È un ramo degli investimenti in costante crescita. Riguarda tutti quegli investimenti che generano benefici per il benessere della popolazione, per la società e per l’ambiente (comportando anche al contempo un ritorno di utili). Per dare un’idea della portata del trend basta guardare alle cifre. Stando al Global Impact Investors Network (Giin), nel 2018 l’ammontare di capitali investiti nel settore è stimato attorno ai 228 miliardi (il doppio dell’anno precedente). Il termine nasce intorno al 2008, nel pieno di un dibattito più ampio - acuito dalla crisi - che riguardava nuovi modi di investire. Coniato dalla Rockefeller Foundation, l’impact investing è una specie di costola del Socially responsible investment (Sri) - dove cioè i criteri di investimento riguardano ambiente, governance e ambito sociale (e il cui valore, dai numeri dell’ultimo Global sustainable investment review, è di circa 23mila
COVER STORY
miliardi di dollari). La differenza rispetto all’Sri riguarda il fatto che non si investe per il semplice fatto di prevenire scenari nefasti. Si investe perché quel dato investimento produca anche benessere (oltre al profitto). Ciò si traduce in scelte d’investimento etiche che riguardano la crisi migratoria, l’inquinamento degli oceani e dei mari, la sostenibilità nella produzione industriale di cibo, la diminuzione dell’inquinamento atmosferico e così via. A fornire delle linee guida in proposito sono state le Nazioni Unite, nel 2016, stilando i cosiddetti Sustainable Development Goals (Sdgs), anche detti semplicemente “global goals” - cioè degli indicatori che segnano gli obiettivi di investimneto in rapporto alla loro sostenibilità. Da un punto di vista etico è rilevante la svolta prospettica: l’impact investing nasce proprio nella misura in cui non solo il mercato è “favorevole” a questo tipo di investimenti (soprattutto visti gli utili), ma anche dal fatto che sia risultato gradualmente insostenibile dare priorità alla mera massimizzazione del profitto per aziende e azionisti, escludendo in tal senso le conseguenze dannose che quegli investimenti avrebbero comportato - o che tutt’ora comportano. Ad aver recepito l’antifona della torsione etica cui il capitalismo è stato (fortunatamente) costretto è stato anche Larry Fink, Ceo di Blackrock - vale a
dire il più grande fondo d’investimenti al mondo -, il quale ha scritto che “per prosperare nel tempo, ogni azienda deve non solo fornire prestazioni finanziarie, ma anche mostrare come contribuisca positivamente alla società”. Per quanto riguarda il Vecchio Continente i numeri sono positivi. Come viene riportato nell’European Sri Study, l’Impact Investing “continua a crescere registrando un tasso annuo di crescita composto del 52% in sei anni e un patrimonio di 108 miliardi di euro, da soli 20 miliardi di euro nel 2013. Nei prossimi anni vedremo una maggiore crescita per questa strategia, in quanto diventa sempre più allineata con Sustainable Development Goals (Sdg)”. E poi il settore retail, che passa dal 3,4% nel 2014 al 30% nel 2018. La spinta è anche dovuta alle iniziative che sono state prese in proposito dall’Ue. Misure che promuovono e regolamentano il settore come l’Action Plan o la risoluzione del Parlamento europeo sulla finanza sostenibile non fanno che incentivare gli investimenti di impatto. A decidere se l’Impact investing sarà solo un trend passeggero o meno lo si vedrà solo nei prossimi anni. Nel frattempo, cercando di fare una proiezione, risulta rilevante un dato che emerge da una ricerca di Us trust Bank of America: tra gli High net worth individual (Hnwi) nati dopo il 1980 il 77% investe tenendo presente i criteri di sostenibilità. Segno ulteriore del fatto che tra i giovani sia più marcata la sensibilità verso tutti quei temi legati alla sostenibilità. A differenza delle generazioni precedenti.
INTERVISTA
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ORANGE FIBER: DALLE ARANCE IL FILATO DEL FUTURO Intervista ad Enrica Arena, co-founder dell’azienda italiana che ha brevettato e produce tessuti sostenibili dai sottoprodotti agrumicoli
di Pietro Mecarozzi
IL VERDE GRAFICA NAPPA CAMBIA IL CONCETTO DI TIPOGRAFIA: PIÙ TECNOLOGIA, PIÙ INNOVAZIONE.
E SOPRATTUTTO PIÙ ATTENZIONE ALL’AMBIENTE. Energia da pannelli solari, macchinari a impatto zero, inchiostri e carte ecocompatibili: queste sono le basi della nostra rivoluzione. Perché stiamo inaugurando una nuova dimensione tipografica: stampe speciali, cartotecnica d’avanguardia, packaging innovativo, nuovi sistemi di etichettatura come le In Mould Label. Tenendo sempre presente che il pianeta chiede responsabilità. E che i clienti chiedono servizi e prodotti diversi e innovativi.
Via Gramsci 19 81031 Aversa (CE) Italy Tel. +39 081 890 6734 graficanappa.it
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range Fiber è l’unico brand al mondo a produrre un tessuto sostenibile da agrumi. Esclusivo, setoso e impalpabile, pensato per rispondere alle esigenze di innovazione e sostenibilità della moda, interpretandone la creatività e lo spirito visionario. Fuori dalla concezione del bello come dispendioso e difficile da produrre, può essere stampato e colorato come i tessuti tradizionali, opaco o lucido, usato insieme ad altri filati o in purezza, unisce sostenibilità e innovazione alla qualità tessile del Made in Italy. Adriana Santanocito e Enrica Arena hanno dato vita al progetto grazie a creatività e voglia di sperimentare: guardando il mondo della moda con occhi e spirito green.
In cosa consiste la vostra mission? Vogliamo offrire ai brand di moda l’ingrediente perfetto per le loro collezioni: un tessuto innovativo e sostenibile capace di soddisfare le loro esigenze di qualità e design rispettando l’ambiente. Come è nata l’idea? Orange Fiber nasce dalla voglia di fare qualcosa per la nostra terra, dall’esigenza di trasformare un problema in una risorsa economica e portare l’innovazione e la sostenibilità all’interno del comparto tessile e manifatturiero italiano. Nel 2011, nel corso dei suoi studi in Fashion Design e materiali innovativi all’AFOL Moda di Milano, Adriana Santanocito - ideatrice & Co-Founder - intercetta il trend dei tessuti sostenibili e decide di
INTERVISTA
approfondire l’argomento nella sua tesi. Parallelamente, entrando in contatto con i produttori di agrumi, rimane molto colpita dalla sofferenza del settore - le cui arance faticano ad entrare sul mercato - e ha l’intuizione di poter utilizzare gli agrumi per creare un tessuto innovativo. Dalla teoria, riesce ben presto ad arrivare alla pratica, e dopo aver provato la fattibilità del processo con il laboratorio di Chimica dei Materiali del Politecnico di Milano, deposita il brevetto italiano, esteso poi in PCT internazionale nel 2014. È durante lo sviluppo del processo che scopre l’altra grave questione che affligge il settore agrumicolo siciliano: lo smaltimento dei sottoprodotti della spremitura – ovvero di tutto quello che resta dopo la produzione industriale di succo - che vale circa 700.000 tonnellate l’anno in Italia - e la cui gestione comporta ingenti costi economici per le industrie di trasformazione e impatta l’ambiente. A quel tempo condividevamo la stessa casa a Milano, città in cui anche io mi ero trasferita per studiare comunicazione e cooperazione internazionale, immaginando un futuro nell’imprenditoria sociale. Mi parlò della sua idea e ne rimasi colpita: la sostenibilità ci ha unite e da quel giorno lavoriamo fianco a fianco ad Orange Fiber. Volendo tirare un bilancio, come sta rispondendo il mercato? Sin dalla sua fondazione, la nostra Orange Fiber ha suscitato molta curiosità e interesse da parte di aziende, brand e imprenditori appartenenti ai settori più disparati, dalla moda al tessile casa, dal packaging all’automotive. Lo scorso aprile 2019 il tessuto da agrumi Orange Fiber è stato inserito nella Conscious Exclusive Collection del brand svedese H&M, che lo ha impiegato per creare un sofisticato top a corsetto in stile boho. La collaborazione con H&M è il frutto di un percorso di crescita e sviluppo della nostra azienda iniziato nel 2015, anno in cui abbiamo vinto il Global Change Award, l'iniziativa globale promossa dalla no-profit H&M Foundation per ricercare e supportare progetti innovativi capaci di rendere l'industria della moda più sostenibile. Venduto on line e in negozi selezionati tra i 4000 punti vendita H&M in tutto il mondo dall’11 aprile, il top in Orange Fiber è stato sold out già nelle prime due ore. Una risposta più che positiva da parte del mercato, che si dimostra sempre più interessato a sperimentare i nostri tessuti per creare collezioni dal forte impatto estetico ed ambientale. Il vostro non è solo un progetto commerciale, ma anche etico…a che punto è l'economia sostenibile e circolare in Italia? Negli ultimi anni l’attenzione verso i temi legati alla sostenibilità ambientale è cresciuta in maniera considerevole nel nostro Paese, aprendo la strada a prodotti eco-friendly e progetti improntati al modello dell’economia circolare che oggi godono di ampio spazio nel mercato e credibilità presso consumatori e istituzioni. A livello globale, iniziative come la Fashion Revolution - il movimento internazionale per un’industria della moda più etica e sostenibile - che supportiamo ormai da anni o come il Copenhagen Fashion Summit - il più importante forum dedicato alla sostenibilità nella moda - cui abbiamo preso parte lo scorso anno, stanno svolgendo un lavoro incredibile, contribuendo in maniera significativa a sensibilizzare e responsabilizzare i consumatori di moda e accelerando il passaggio a processi
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di produzione e consumo fondati sul modello dell’economia circolare. Oggi abbiamo tutti gli strumenti per attuare un cambio di rotta e traghettare la moda - e il nostro pianeta - nel prossimo millennio e siamo convinte che un futuro più circolare sia alle porte. Progetti in cantiere? Ad aprile abbiamo lanciato una campagna di equity crowdfunding per raccogliere fondi da utilizzare per aumentare la nostra capacità produttiva, soddisfare le numerose richieste da parte dei brand di moda e ottimizzare il processo di produzione industriale dei nostri tessuti. Sulla piattaforma Crowdfundme la campagna ha già dato i suoi frutti superando l’obiettivo di raccolta di 250mila euro che ci eravamo prefissate prima della data di chiusura ufficiale della campagna. Visto il forte interesse riscontrato, abbiamo deciso di estendere la durata della campagna di equity crowdfunding, offrendo l’opportunità a nuovi soci di entrare a far parte della nostra azienda e di contribuire così ad un processo di cambiamento virtuoso fondato sul modello dell’economia circolare. Nell’immediato futuro, impiegheremo i fondi raccolti per realizzare un impianto capace di estrarre 30 tonnellate di cellulosa l’anno; tonnellate che diventerebbero 60 qualora si raggiungesse l’obiettivo massimo di 650 mila euro di raccolta.
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5 Startup da tenere d’occhio per un futuro sostenibile di Danila Giancipoli
>>>Orange Fiber
Un business fondato sulla produzione tessile dagli scarti di arance. L’idea di Orange Fiber, nata nel 2014, trova da subito sostegno e finanziamenti alla luce di un obiettivo tecnologico nel rispetto della produzione tessile Made in Italy. La “moda alternativa” della startup, apprezzata da aziende come H&M e Ferragamo, segue le orme della sperimentazione già avviata con prodotti quali canapa, alghe, ananas, banane, offrendo una soluzione sostenibile in termini di produzione industriale. Il network Angels for Women ha investito 100 mila euro nella recente campagna di equity crowdfunding.
>>>Hexagro Urban Farming Specializzata nello sviluppo tecnologico di agricoltura verticale e modulare, Hexagro Urban Farming rappresenta una soluzione futuristica di produzione alimentare indoor. La tecnologia a chilometro zero è pensata per essere installata in case, uffici e spazi di coworking. Attraverso un sistema di coltura aeroponica, l’orto verticale diventa protagonista di un business circolare e sostenibile. Tra i progetti della startup milanese: il Living Farming Tree (orto per piante medicinali e aromatiche) ed una recente proposta innovativa per il sistema idrico integrato (premiato dal gruppo Cap).
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>>>Enerbrain Diminuire il consumo energetico, tagliare i costi e regolamentare gli impianti di riscaldamento e raffreddamento dell’aria. La startup torinese Enerbrain ha fondato il suo business sulla Co2, sviluppando soluzioni energy saving per i grandi edifici non residenziali. L’obiettivo, secondo il co-founder Filippo Ferraris, riguarda non solo la performance finanziaria, ma anche le condizioni di lavoro e di salute dei dipendenti in un’ottica di pulizia ambientale e comfort. L’azienda ha chiuso il 2018 con un fatturato di circa due milioni di euro, attestandosi come scaleup e modello di economia circolare energy tech italiano.
>>>Cubbit Internet affronterà una nuova rivoluzione, quella iniziata da Cubbit. Come? Attraverso un cloud sicuro ed espandibile, nemico dei big data center fisici e dei colossi di archiviazione del web. Il Cubbit Cell, il dispositivo plug-and-cloud, è disponibile per ora su Kickstarter (dove ha raccolto circa 410 mila euro) e arriverà sul mercato ad agosto. La startup bolognese ha suscitato l’interesse del Cern e mira a collaborare con grandi gruppi industriali per ampliare e diffondere il servizio. Cubbit vuole reinventare il cloud eliminando le server farm in favore di un minore impatto ambientale, rispettando privacy e sicurezza dei dati.
>>>Mimoto Scelte sostenibili nella mobilità di tutti i giorni: Mimoto, startup attiva su Milano e Torino, è il primo servizio Made in Italy di scooter sharing elettrico a flusso libero. Il concept prende forma nel 2017, sull’onda delle varie sperimentazioni di car sharing, attraverso un’app di controllo gratuita, smart e sicura. Per Vittorio Muratore, co-founder, non si tratta solo di mobilità sostenibile, ma anche di rivoluzione culturale. Il target di Mimoto è giovane, orientato verso uno stile di vita green e smart, portatore di una visione del futuro condivisa e sostenibile. Obiettivo per il 2022: un milione di utenti, 20 città e 10 mila mezzi in strada.
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EVOLUZIONE IN CORSO: MERCATO (AUTO) IBRIDO
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sono raddoppiate (10mila unità, rispetto alle circa 5mila dell’anno prima). Una crescita incoraggiante ma relativa dato che al gennaio 2019 auto ibride plug in (sia motore a combustione che motore elettrico) e auto elettriche rappresentano circa lo 0,4% del nostro parco circolante. Una lenta ascesa, la cui principale zavorra è ancora a 6 anni dal 2013 - la scarsa infrastrutturazione del Paese. Le colonnine di ricarica presenti in Italia sono appena 4.207, una ogni 14.388 abitanti. In Germania per dire, sono 22.708, una ogni 3.620 persone. Il tutto nonostante i 33 milioni di euro già stanziati ma mai utilizzati per costruire le infrastrutture necessarie e appena rimessi in campo - al momento solo attraverso il canonico annuncio su Twitter - dal ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Danilo Toninelli.
Come cambiano gli acquisti degli italiani di Francesco Malfetano
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inquecentododici vetture. Le auto elettriche vendute in Italia nel 2013, mentre nel resto del mondo la rivoluzione verde nel settore automotive sembrava già in essere, avrebbero più o meno riempito un solo piano del parcheggio di un centro commerciale qualsiasi. Un inizio non incoraggiante per il mercato italiano che sembrava trovarsi di fronte a una questione irrisolvibile: l’auto elettrica non decolla perché non ci sono le colonnine di ricarica o le colonnine di ricarica latitano perché non ci sono auto elettriche da ricaricare? Una questione complessa, aggravata dal fatto che per molto tempo sono state completamente assenti politiche di programmazione e che spesso le grandi aziende hanno ignorato il tema o realizzato proclami caduti nel vuoto. I 700 lavoratori siciliani dell’ex stabilimento Fiat di Termini Imerese ad esempio, stanno ancora aspettando che l’azienda Blutec inizi la produzione di auto ibride ed elettriche per la quale ha incassato 21 milioni di euro di finanziamenti pubblici dallo Stato (e anni dopo, anche l’arresto del presidente e dell’amministratore delegato per malversazione).
Le cose però sono andate via via migliorando soprattutto grazie alle nuove istanze climatiche poste dall’opinione pubblica. Così, mentre il Senato spostava di dieci anni più in là il completo superamento delle auto con motori a benzina o a diesel - dal 2030 al 2040 - qualcosa ha preso a muoversi. Ad esempio, secondo uno studio realizzato da Enel X e Symbola, nel 2018 le vendite di veicoli elettrici lungo la Penisola
In realtà però, lungo lo Stivale, un cambio di paradigma nel settore automotive sta realizzandosi, ma non a vantaggio del comparto elettrico. Gli automobilisti e consumatori italiani per la prima volta dal settembre di un anno cruciale come il 2013 hanno smesso di acquistare auto diesel preferendo quelle a benzina. Un cambio di orientamento che sa di attendismo, un “ve-
diamo che succede” che frena l’intero mercato dell’auto nella Penisola: nel primo mese del 2019 ad esempio, ha perso il 7,5% di valore rispetto all’anno precedente. Una situazione a cui l’esecutivo giallo-verde ha aggiunto la discussa eco-tassa da molti considerata solo una misura propagandistica priva di impatto reale se non sul tessuto economico italiano dato che colpisce fortemente la produzione italiana di Fca. Tuttavia, come ha ben spiegato in una recente intervista il patron di Brembo Alberto Bombassei, “se in Europa smettessimo di produrre macchine a gasolio o a benzina e facessimo soltanto più auto elettriche, perderemmo un lavoratore su tre. Compri il motore, compri la batteria e il 60% del valore dell’auto ce l’hai. Ma un milione di europei non avrebbe più una occupazione”. È evidente come la decarbonizzazione dei trasporti, in Italia, rischia di diventare un pericolo per l’economia piuttosto che un’opportunità. Per questo, secondo diversi esperti il Governo ha provato a rimediare rendendo “mobili” le risorse messe in campo per gli eco-incentivi: solo 20 milioni di euro saranno utilizzati nel 2019, il resto - almeno 40 milioni - slitteranno all’anno successivo per consentire ai gruppi automobilistici, compresa Fca, di presentare i propri modelli di auto elettrica. Una strategia che se da un lato appare sensata dall’altro dimostra tutto il nostro ritardo e rimanda, ancora una volta, una vera rivoluzione verde sulle strade italiane.
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Prima di Greta: Primavera silenziosa Storia del libro, e di una donna, che hanno cambiato il modo in cui relazioniamo alla natura prima dei Friday for future
di Roberto Moliterni
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el 1962 esce un libro dal titolo suggestivo e allo stesso tempo inquietante: Primavera silenziosa. A scriverlo è una donna di 55 anni, Rachel Carson, una biologa marina. Il mondo è uscito da nemmeno vent'anni dalla Seconda guerra mondiale e si ritrova nella Guerra fredda. L'anno prima, nel 1961, è stato costruito il Muro di Berlino. In quello stesso 1962 c'è la crisi dei missili di Cuba. L'uomo si preoccupa per la prima volta in modo così intenso che la propria fine possa avvenire non solo per quello che può capitargli attorno, nei pochi chilometri quadrati in cui solitamente si svolge una vita, ma per quello che avviene nello sterminato palcoscenico del mondo.
Ma, nonostante tutto, è un periodo di benessere: ci sono cibo e beni di consumo in abbondanza. Gli Stati Uniti, che devono recuperare le enormi spese sostenute durante la guerra, sono il propulsore economico e immaginifico dell'Occidente: “Gli americani ci hanno colonizzato l'inconscio”, dirà una volta il regista tedesco Wim Wenders. Per esempio, col Piano Marshall, in Italia arrivano soldi e alimenti, ma anche film. Dunque si deve produrre la maggiore quantità di prodotti, soprattutto cibo, con la minore di-
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spersione possibile. La guerra ha lasciato due cose: un importante sviluppo chimico a scopo militare e degli aerei. Nella seconda metà degli anni '50 partono negli Stati Uniti le prime massicce campagne di disinfestazione aerea delle aree rurali o persino urbane - come a New York - contro gli insetti che rovinano i raccolti. Si usano il Ddt (al cui scopritore fu assegnato il Nobel), il clordano, la dieldrina, l'aldrina, l'endrina e altri pesticidi. Tutto sembra andare per il meglio: i raccolti sono protetti dalle infestazioni, la tecnologia che la guerra si è portata dietro è stata recuperata a scopo civile. Ma, a un certo punto, dicevamo, arriva Rachel Carson con la sua Primavera silenziosa. Diciassette capitoli e una premessa in cui smonta, punto per punto, senza enfasi né proclami ideologici, come un pugile di resistenza più che di aggressione, questo modo di relazionarsi alla natura. Porta dati, resoconti di esperimenti scientifici, quadretti inquietanti di zone un tempo idilliache e ora prive di pesci o di uccelli - dove la primavera è diventata silenziosa -, storie di gente ammalata di cancro o di disturbi mentali nelle zone in cui sono state fatte disinfestazioni massicce o morta per aver inalato pesticidi o mangiato cibo contaminato. L'impatto del libro, alla sua uscita, fu significativo anche grazie alla pubblicazione di alcuni estratti sul «New Yorker» e a un programma che
la Cbs gli dedicò: gli americani si svegliarono scioccati da un grande sogno. Il presidente Kennedy fu costretto a indire una conferenza stampa che avesse come oggetto il libro e a istituire una commissione per verificarne le conclusioni, messe in dubbio da molti, in particolare dalle grandi aziende chimiche che attaccarono personalmente Rachel Carson, in quanto donna, definendola “un'isterica”. Nonostante i dubbi, i discrediti e gli attacchi, quella paura che serpeggiava per la guerra nucleare si affiancò a una paura, forse più concreta, per quello che mangiavano, per l'aria che respiravano, ma sempre con la stessa sensazione che il timore della fine fosse da cercare non più qui attorno, ma nella complessità dei meccanismi globali. Nel vocabolario comune, anche italiano, grazie a questo libro, tradotto nel 1964 da Feltrinelli, entrarono la parola “cancerogeno” così come “ecologia”. E la parola “ambiente”, a quel tempo, “non faceva parte del vocabolario politico”, scrisse nel 1999 Al Gore, vice-presidente degli Stati Uniti al tempo di Clinton e Premio Nobel per la pace. Ancora oggi, tiene il ritratto di Rachel appeso in ufficio assieme a quello dei grandi leader politici: “Può darsi che la stessa specie umana, o almeno innumerevoli vite umane, si salveranno per le parole che lei ha scritto”. Rachel Carson morì due anni dopo l'uscita del libro, per un cancro. Nel 1992 Primavera silenziosa fu scelto, da un comitato di intellettuali americani, come il libro che aveva esercitato la maggiore influenza nel secondo '900.
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IL COSTO NASCOSTO DELL’EDILIZIA Il settore è tra i più inquinanti
di Greta Ubbiali
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grattacieli di New York sono sotto accusa: Le classiche costruzioni di vetro e acciaio che rendono iconico lo skyline della Grande Mela sono inefficienti dal punto di vista energetico e così il mese scorso la città ha approvato il Green New Deal: un provvedimento per ridurre le emissioni di gas serra degli edifici del 40% prima del 2030 con l'obiettivo di azzerarle entro il 2050. Le emissioni di biossido di carbonio (Co2) nel settore dell'edilizia e delle costruzioni sembrano essersi stabilizzate dal 2015 ma rappresentano ancora oggi la più grossa fetta delle emissioni totali legate all'energia a livello mondiale. Lo testimonia la nuova edizione del Global Status Report redatto dall'Agenzia internazionale dell'energia (Iea) insieme al programma delle Nazioni Unite per l'ambiente, l'Unep.
La risoluzione adottata a New York ufficialmente si chiama Climate Mobilization Act ed è modellata sul provvedimento che un gruppo di senatori americani ha proposto al Congresso chiamato appunto Green New Deal. Le nuove disposizioni, caldeggiate dal sindaco Bill de Blasio, potrebbero costare caro al presidente Donald Trump le cui proprietà in città rischiano multe fino a due milioni di dollari se non subiranno ristrutturazioni significative prima del 2030. Solo otto dei suoi palazzi infatti ogni anno emetterebbero più gas serra di 5800 automobili. L'edilizia è una delle industrie più inquinanti ed energivore al mondo. Nel 2017 le costruzioni hanno consumato il 36% di energia a livello mondiale e hanno rappresentato quasi il 40% delle emissioni di gas ad essa legate contribuendo all’effetto serra e ai cambiamenti climati-
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ci. In Italia, secondo i calcoli della onlus Save the Planet, il settore è responsabile per un terzo dell’anidride carbonica prodotta. inoltre il nostro Paese è al primo posto in Europa nella classifica delle emissioni medie di Co2 da edifici. L'industria del cemento è sempre affamata. Ogni anno vengono utilizzati più di 400 milioni di tonnellate di materiali, secondo il Green Building Council Uk. Molti di questi hanno un impatto negativo sull'ambiente. Finiscono inghiottiti dalle costruzioni anche un sesto dell'acqua dolce e un quarto del legname del mondo. Un rappresentante dell'Unep a The News Room ha sollevato anche un altro problema: il consumo di sabbia e ghiaia la cui domanda globale oggi è compresa tra i 40 e 50 miliardi di tonnellate annue. "Il cambiamento dei modelli di consumo, la crescita della popolazione, l'aumento dell'urbanizzazione e lo sviluppo delle infrastrutture hanno aumentato la richiesta di sabbia che negli ultimi due decenni è triplicata", ha dichiarato. Infine c'è il capitolo dello smaltimento: l'edilizia produce un quarto dei rifiuti globali con materiali come cemento, metalli, vetro o asfalto che finiscono in discarica o negli inceneritori. Se è vero che diversi Paesi nel mondo si stanno dotando di codici di costruzione (da 54 paesi nel 2010 agli attuali 69, secondo l'Iea) e le politiche di certificazione diventano più rigide, la maggior parte degli edifici in futuro sorgerà in Paesi che non dispongono di questi codici e dove le politiche energetiche non sono obbligatorie, dice sempre il Global Status Report. La natura già oggi offre materiali intelligenti che possono essere impiegati in molti settori. È il caso della bioedilizia. Daniela Ducato è a capo della filiera Edizero che raggruppa 120 aziende che trasformano eccedenze produttive vegetali o minerali in materiali ad alta tecnologia. Per migliorare l'impatto ambientale delle costruzioni future Ducato dice che è necessario: "agire nel presente, limitando l'uso di materiali inquinanti e di origine petrolchimica". E aggiunge: "i designer dei materiali da subito devono iniziare a lavorare su prodotti rinnovabili. Al momento invece vengono definiti innovativi e green prodotti al petrolio (giustificati dalla parola riciclo) o ibridi fatti di organico e petrolchimico: materie prime mescolate a caldo insieme il cui smaltimento a fine vita sarà difficile".
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Hi-tech ricondizionato, un business intelligente e dal cuore green Rigenerazione e riciclo sono le armi per fare business con apparecchiature tecnologiche usate e con uno sguardo attento alle istanze ambientali
di Pietro Mecarozzi
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’enorme quantità di tecnologia che usiamo e successivamente buttiamo ha un prezzo, e non solo in termini commerciali. A margine delle due neo-patologie, ovvero l’obsolescenza programmata e quella percepita, che stanno affliggendo i prodotti hi-tech (l’esempio più comune per spiegare questo fenomeno, è quando un nuovo smartphone ci dà molto poco rispetto al vecchio, ma quest'ultimo diventa obsoleto dal momento in cui si viene attratti dal desiderio del ricambio), sorge spontaneo un dubbio: ma dove va a finire la cyberimmondizia che produciamo?
I cosiddetti rifiuti da apparecchi elettrici ed elettronici (Raee) sono un problema emergente, e a dir poco allarmante. A livello globale, ai giorni nostri, vengono prodotti 50 milioni di tonnellate di rifiuti elettronici, mentre nel 2050 è previsto il superamento di 120 milioni. La destinazione ultima di queste ingenti quantità di e-waste sono in primis le discariche abusive, gli smaltimenti irregolari o l’export illegale verso continenti come l’Africa (dando vita a scenari come quello di Agbogbloshie, un sobborgo di Accra). In altre parole, se volessimo quantificare ulteriormente la quantità di Raee, vengono prodotti l’equivalente di 4.500 Torre Eiffel, per un giro di affari - in caso di uno smaltimento corretto - di 62,6 miliardi di dollari. Per essere chiari: all’interno di rifiuti come lavatrici o frigoriferi, sono presenti gas refrigeranti (Cfc, Hcfc, Hfc) e ritardanti di fiamma bromurati che, se non trattati con le giuste cautele, possono causare danni irreparabili, per l’ambiente e l’uomo: se rilasciati in atmosfera danneggiano lo strato di ozono, mentre negli esseri umani favoriscono il cancro alla
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tiroide. Non solo. Il valore dei Raee è influenzato dalla presenza di elementi preziosi come ferro, oro, argento, rame e alluminio, ma anche di quei componenti cosiddetti terre rare (lantanio, ittrio, cerio, samario), ambìti in particolare dalle industrie militari e aerospaziali. Detto questo, però, la percentuale di Raee correttamente smaltita rimane molto bassa: in termini globali è solo del 20%. Sebbene per i Grandi bianchi (i Raee di grosse dimensioni) la via dello smaltimento sia la più papabile, anche se molto complessa e inquinante, per gli apparecchi di piccole dimensioni la possibilità di una seconda vita non è un’ipotesi così remota. Sul modello virtuoso dell’economia circolare, il mondo degli smartphone (assieme a tablet e laptop, anche se con meno successo) apre le porte all’opzione ricondizionato. Apple, Samsung, Huawei, OnePlus e Xiaomi rigenerano (in maniera certificata o per mano di store indipendenti), resettano e molto spesso forniscono di una nuova batteria gli apparecchi per poi rivenderli a un prezzo competitivo e decisamente inferiore a quello dei top di gamma. “Più del 52.4% degli italiani tiene il vecchio dispositivo inutilizzato nei cassetti di casa”, avverte Fabian Thobe, Ceo di riCompro, azienda leader in Italia nel mercato dei ricondizionati. “Il danno economico è di oltre 3,4 miliardi di euro, ovvero il valore degli smartphone rimasti inutilizzati a livello nazionale. Senza contare l’impatto ambientale: la produzione, l’assemblamento e il trasporto al punto di vendita di un singolo iPhone 6 comporta la produzione di circa 81 kg di Co2. Le emissioni di Co2 all’anno sono tra 600 milioni e più di 1,1 miliardi di Kg”. Secondo i numeri di Counterpoint Technology, il mercato dei ricondizionati conta circa il 10% dei telefoni venduti per un valore di 17 miliardi di dollari e di 120 milioni di apparecchi rigenerati a livello globale. Un business, pertanto, che strizza l’occhio anche ai temi ambientali, in quanto l’Unione europea ha calcolato che nel 2020 nel Vecchio continente ci saranno 12 milioni di tonnellate di cellulari, computer, tablet, frigoriferi, lavatrici, da smaltire. Non più utopia, quindi, ma uovo di Colombo. E se negli States è una pratica assodata, passo dopo passo, sta emergendo come soluzione anche nel Bel Paese dove, a favor di economia nazionale, tale mercato sta riscuotendo un successo calcolabile in un giro d’affari ultra milionario.
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Mettersi in gioco per l’ambiente L’attivismo ambientale usa la gamification per veicolare messaggi importanti con leggerezza, così competere con gli amici su Facebook a chi emette meno Co2 diventa anche un modo per salvare il pianeta
di Salvatore Tancovi
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siste un modo per far capire alle persone quanto sia importante per l’ambiente la sostenibilità dei nostri stili di vita? Il ritorno di fiamma tra l’agenda dei media e la questione ambientale ha avuto un effetto polarizzante sull’opinione pubblica: da una parte c’è chi ha aderito con nuovo entusiasmo alle manifestazioni e al riaccendersi del dibattito, dall’altra chi prova rigetto verso un messaggio che avrebbe toni troppo paternalistici e ipocriti. La querelle tra le due fazioni però ha spostato il focus della questione dalla salute del nostro pianeta verso i meriti e le colpe di un’adolescente, la famosa Greta Thunberg, che con la sua protesta ha portato nuovamente le nazioni a parlare di ambiente. Quindi come si attira l’attenzione delle persone senza generare risultati così contrastanti? Il gioco è una delle soluzioni migliori dal punto di vista comunicativo, tanto che la gamefication è diventato un must nell’attivismo ambientale. Numerosi studi dimostrano come il potere del gioco possa influenzare le nostre abitudini, anche quelle legate all’ecologia che spesso sono viste come qualcosa di noioso e complesso.
Un esempio calzante è Oroeco, un’applicazione che ci guida attraverso le tante azioni che compiamo nel quotidiano indicando che impatto hanno per l’ambiente in termini di produzione di Co2, come una sorta di personal trainer dell’ecosostenibilità. Ogni nostra azione porta ad una conseguenza per l’ambiente, Oroeco ci segnala in che
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misura e compara le nostre “emissioni” con quelle degli amici su Facebook aggiornando una classifica in cui è primo chi ne produce meno. Se parliamo di produrre meno dobbiamo citare Recyclebank, un’azienda che incoraggia il riciclo distribuendo buoni spesa in cambio di una corretta raccolta differenziata. Il controllo viene effettuato con tecnologie all’avanguardia nel campo della raccolta dei rifiuti: più si ricicla e più si ottengono buoni spendibili nello store online dell’azienda. Con Nintendo invece è il gioco stesso a diventare un simbolo di resilienza: stiamo parlando di Labo ovvero il set di cartone pressato che diventa tanti diversi hardware per la Nintendo Switch. Canna da pesca, robot, pianoforte e via così. Il gioco guarda all’ambiente con delicatezza essendo del tutto riciclabile ed è stato presentato dalla casa nipponica al Fuorisalone 2019. Quando poi il gioco diventa realtà nascono compagnie come Treedom, una pmi che ha come mission piantare alberi. I fondatori sono appassionati del videogioco Farmville dove per vincere bisogna, appunto, piantare il più possibile. Da qui la domanda: perchè non farlo per davvero? Nasce così il portale che consente l’acquisto, o meglio, l’adozione di alberi a distanza che vengono prima geolocalizzati e poi seguiti nella crescita con dei report fotografici. Su Treedom un albero costa intorno ai 20 euro e si può anche regalare. L’azienda ne ha già piantati più di mezzo milione finanziando contestualmente piccoli progetti agroforestali sui territori, come ad esempio le piantagioni su alcuni terreni confiscati alle mafie in Campania e Sicilia. In progetto c’è l’aggiunta di un elemento di gamification nel portale per aumentare l’engagement del proprio pubblico che al momento vanta anche molti marchi italiani e non solo. Alle imprese piace l’appeal della gamification, meglio poi se al gioco corrisponde anche un messaggio di importante valenza sociale da associare al proprio brand.
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INFLUENCER GREEN
QUESTO È UN BOOM (DEL FUTURO)
Ogni campo ha i suoi ambasciatori. Quali sono i protagonisti dell’arena ecologica?
Abbiamo scelto cinque oggetti che troveremo sempre di più nelle nostre case
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di Barbara Polidori
a cura di Greta Ubbiali, Lorenzo Sassi
BORRACCE
Abbandonate le bottigliette di plastica: avranno la meglio le borracce. Da quelle in alluminio e metallo che non alterano i sapori delle bevande e mantengono a lungo la giusta temperatura a quelle più maneggevoli e pratiche per l’uso fino a quelle colorate, fantasiose e personalizzate, tutti prima o poi se vogliono essere “sostenibili” per l’ambiente dovranno possederne una.
Johanna Maggy Cosmopolita e amata dai brand: è Johanna Maggy, insegnante di pilates e coach olistica che conta 112mila followers su Instagram. Islandese trapiantata a Milano, ha un blog di lifestyle, Mother’s Spell.
SPAZZOLINO DA DENTI IN BAMBù
Spazzolini da denti fatti interamente con il legno di bambù e di materiale biodegradabile, che una volta usati possono essere gettati direttamente nel cestino dell’umido. I vecchi spazzolini di plastica diventeranno desueti e i nostri sorrisi saranno sempre più ecosostenibili.
BICI ELETTRICHE luca talotta Luca Talotta, giornalista esperto di tematiche legate alla sostenibilità ambientale e mondo dell’automotive. Premiato da GreenStyle come Top green influencer 2019 per la categoria mobilità sostenibile.
lisa casali Come si cucina in lavastoviglie? Chiedetelo a Lisa Casali, scienziata ambientale e esperta di cucina sostenibile. Le sue nozze, green in ogni dettaglio a partire dall'abito, sono il suo ultimo progetto.
Stanchi di inquinare il mondo? Le biciclette elettriche sono il trend del momento. Ce ne sono per tutti i gusti da quelle più costose a quelle più economiche fino alle pieghevoli, che si possono tranquillamente piegare e portare in metropolitana. Le ebike stanno diventando uno strumento sempre più apprezzato nel nostro paese.
POSACENERE TASCABILE
Le cicche di sigarette per terra oltre ad essere brutte da vedere ci mettono molto tempo a decomporsi. I posaceneri tascabili e lavabili saranno sempre più nelle borse dei fumatori che però hanno a cuore la cura delle spiagge e della natura in generale.
VESTITI IN CANAPA
Non solo il bambù, anche la canapa è amica dell’ambiente. Per cui sempre più persone scelgono di indossare vestiti fatti con la canapa, uno dei tessuti più ecologici al mondo. La sua coltivazione non richiede sostanze chimiche ed è la fibra più versatile al mondo oltre ad essere biodegradabile.
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LA CLASSIFICA
R ACCONTO
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GREEN SÌ, NOIOSI NO
Questo hamburger salverà il mondo?
Cinque raccomandazioni utili che però ci hanno un po’ stancato
In cerca di una realpolitik ambientale per chi vuole preoccuparsi dell’ecosistema ma senza sacrificare gusto, socialità e portafoglio. Dal chilometro zero al ‘manzo zero’, un altro fast food è possibile?
di Lorenzo Sassi
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“L’acqua è un bene prezioso, non sprecarlo” (avviso in un bagno pubblico)
“Stampa l’email solo se necessario” (footer sulla posta elettronica)
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“Spegnere il motore” (cartello a ridosso dei passaggi a livello).
“Salva l’ambiente oggi” (avviso in albergo sul cambio delle lenzuola)
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di Alessia Laudati
“Fai una scelta etica” (avviso al bancomat sul prelievo senza ricevuta)
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iccome Greta Thunberg ci guarda - a me e a quelli come me che non hanno ricevuto una vera e propria educazione ambientale significativa - da qualche tempo sto cercando di adeguarmi a uno stile di vita sostenibile. Faccio la raccolta differenziata, a volte rinuncio alla macchina e tento di ridurre il consumo di plastica. Tutto questo ha però delle conseguenze. Le peggiori litigate con il mio fidanzato non le faccio più per chi deve lavare i piatti o rifare il letto, ma su chi ha colpevolmente messo la plastica non lavata nel cestino differenziato.
A volte invece, pur di non guidare la macchina in città, mi trasformo in una sorta di atleta di triathlon cittadino che fa la spola con la bici fino alla fermata del tram o dell’autobus e poi fino al lavoro e viceversa, ignara dell’umido che la città dei sette colli è in grado di regalarti anche per pochi chilometri. Sono piccoli sacrifici grotteschi ma necessari affinché il sistema conquisti la spinta utile per trasformarsi nel suo insieme. Tuttavia, fino alla realizzazione di questo numero non avevo ancora pensato di coinvolgere anche il cibo nell’adozione di una vita più ‘green’. Se è vero che, come riporta il New York Times,
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la carne, soprattutto manzo e agnello, produce il 14,5% dei gas emessi nell’intero anno, cominciare ad adottare un’alimentazione a ‘manzo zero’ può essere una strada urgente da percorrere. Del resto cosa sarà mai assumersi il rischio di consumare un hamburger di fake meat e trovarlo disgustoso, in confronto alla possibilità di prendere - a Roma purtroppo è capitato spesso - un autobus urbano che potrebbe andare in fiamme? Ecco, nulla. Eppure se penso al consumo di hamburger vegetale come possibile passo avanti della civiltà, non punto solo all’hamburger veg che si compra al supermercato e che si impara a cucinare, ma anche alle offerte della ristorazione commerciale. Questo perché rimango convinta del fatto che concepire l’alimentazione eco-friendly solo come un fenomeno di nicchia al riparo dalle abitudini comuni come quelle del pasto fuori, sia un modello che purtroppo lascia fuori i tanti moderati dell’ambiente. Invece sono più in cerca di una realpolitik del green che tocchi le grandi masse e che così facendo costringa i player a lavorare sulla qualità per venire incontro a tutte le nuove sensibilità. E allora provo a proiettarmi per un’ora nella dimensione dell’hamburger alternativo servito al ristorante, anzi al fast food. Scelgo la soluzione 100% vegan di un’azienda italiana e assaggio il loro panino vegetale; vero e unico core business dell’attività con sede anche a Roma. Mi trovo quindi di fronte a un pane giallo, grigio, rosa o addirittura celeste, disponibile per il consumo in un locale curato nel design ma con tavoli grandi e sociali. Diciamo subito che l’estro della colorazione fa dimenticare il fatto che si stanno per pagare quasi 10 euro per un piatto che non verrà servito e perlopiù fatto ‘solo’ di verdure e cereali. Per il cliente è un aspetto da non sottovalutare. Perché la percezione, magari non esatta, è che il costo sia gonfiato parecchio rispetto all’effettivo importo della materia prima ‘povera’. Per fare un paragone, una nota catena con sede a Roma che fornisce un servizio simile accanto alla carne, ha un costo medio di 7 euro. Nonostante questo il mio burger fluo di fagioli e seitan con formaggio cheddar rigorosamente vegan, è buono e possiede ciò che chiederesti a un fast food tradizionale. È pronto velocemente ed è voluminoso al punto da mettermi in difficoltà quanto un cheeseburger canonico, (lo sbriciolo a pezzi, lo addento tutto insieme, chiedo le
R ACCONTO
posate o lo mangio con le mani?). Però, rispetto a tutto ciò che ruota intorno all’hamburger tradizionale in termini di atmosfera, ampiezza dell’offerta alimentare e costo competitivo, qui siamo un passo indietro. E allora diciamo pure che la ristorazione fake meat, sulla base di questa piccola esperienza e dal fatto che i prodotti Beyond Meat, società americana di finta carne molto in voga e quotata a Wall Street, non vengono oggi serviti né a Roma né a Milano ma solo a Bologna e in altri piccoli centri, non sembra essere abbastanza sviluppata - per ora - da evitare di rimpiangere i menù vari ed economici del fast food tradizionale. Anche se la direzione è giusta. Perché Greta ci guarda, non dimentichiamolo.
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GRAFENE IL MATERIALE DEL FUTURO I
l grafene è il materiale più forte del mondo. È composto da un sottile strato di atomi di carbonio che vengono composti in una struttura a nido d'ape. Non esiste in natura, bensì viene estratto dalla grafite attraverso un processo scientifico che è stato certificato nel 2004. Così nasce un materiale flessibile, resistente e ultraleggero.
È considerato da molti il materiale del futuro perché potrebbe essere utilizzato per produrre decine di prodotti che i consumatori toccano con mano ogni giorno, a partire da smartphone e componenti di robotica. Il grafene è 200 volte più resistente dell'acciaio e al tempo stesso un foglio di grafene è più leggero di un foglio di carta. Il grafene ha una struttura ordinata, ma soltanto due dimensioni. Il foglio di cui abbiamo parlato ha infatti lo spessore di un singolo atomo. Proprio per la complessa natura del materiale, il grafene nasce come molto costoso. Ma l’evoluzione della tecnologia fa sì che il costo di produzione si riduca esponenzialmente vicino allo zero e oggi un foglio da un metro quadrato può costare fino a meno di due euro.
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7 cose che non sapevi SUL GRAFENE
È stato scoperto per caso, nel 2004: in un laboratorio inglese, quando due scienziati cercavano di ottenere uno strato di grafite più sottile possibile. Gli scienziati, che sarebbero presto diventati premi Nobel, hanno lavorato asportando la grafite una striscia alla volta, con del nostra adesivo, per ottenere lo strato monoatomico, prima di allora ritenuto impossibile.
Il grafene può trasformare l’acqua di mare in acqua potabile: la scoperta è rivoluzionaria perché altri metodi sono molto più costosi. I test di laboratorio hanno dato ottimi risultati, e la tecnologia può essere ora sviluppata.
I pannelli solari rivestiti di grafene sono in grado di creare energia elettrica anche dalle gocce della pioggia. Le gocce formano infatti uno strato di ioni positivi, mentre il grafene è ricco di elettroni. Questo forma un doppio strato, in cui le cariche positive e negative sono separate, e così si crea il potenziale elettrico.
Le batterie al grafene potrebbero cambiare la vita di molti dispositivi (e dunque dei consumatori): saranno in grado di dare energia a uno smartphone (o a qualsiasi device) per giorni o perfino per settimane. Una batteria prototipo realizzata dalla University of Central Florida si è inoltre dimostrata super-resistente: anche dopo 30mila cicli di ricarica non peggiora la qualità del materiale, e dunque l’autonomia della batteria è immutata. I ricercatori di un’università cinese hanno realizzato una super batteria alluminio-grafene che si ricarica in soli 5 secondi e dura due ore.
L’Unione europea ha lanciato un fondo da un miliardo di euro per spingere i ricercatori a portare il grafene dalla fase della scoperta a quella dell’applicazione. Il fondo ha anche un obiettivo strategico: tenere in Europa la scoperta e non venire battuti da Cina o Stati Uniti su un materiale inizialmente creato nell’Unione.
Il grafene si può anche produrre grazie alle stampanti 3D. Questo rende ancora più ampio il potenziale sviluppo del materiale.
Oltre alla trasmissione di energia e alle batterie, il grafene potrebbe diventare il processore del futuro. Molti laboratori di ricerca si stanno sfidando in questo campo: Ibm ha realizzato un transistor al grafene e l’Università della California ha toccato, con un transistor al grafene, il record di velocità di 300 GHz.
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LET MY PEOPLE GO SURFING. LA FILOSOFIA DI UN IMPRENDITORE RIBELLE (Yvon Chouinard, Ediciclo Editore, 258 pag, 25€)
Letture per capire l'economia di oggi
di Lorenzo Sassi, Eugenio Giannetta
“Il capitalismo senza possibilità di fallire è come il cattolicesimo senza inferno, dicono”. A dirlo sono gli abitanti/attori della City di Londra. A scriverlo è l’antropologo Joris Luyendijk, il quale riporta un adagio piuttosto popolare per chi lavora nel settore. Preceduto da un blog di successo sul Guardian - all’interno del quale Luyendijk riportava giornalmente informazioni sul tema in qualità di neofita che esplora il mondo della finanza -, “Nuotare con gli squali” (Einaudi) è il condensato di due anni di lavoro sul campo e il best of di duecento interviste raccolte. Il presupposto è il seguente: “per la gente di sinistra la City assolve la stessa funzione che ha l'Islam per il pubblico di destra”, cioè “un nemico talmente perfetto che ci si può permettere di non saperne nulla”. Luyendijk racconta così la Wall Street europea come Levi Strauss, con i suoi “Tristi Tropici”, aveva raccontato i Mbaya-Caduvei o i Bororo, tribù del Sud America all’epoca poco studiate. Da antropologo classifica le varie categorie entro cui inserire gli operatori della City (i vari investment banker - le “rock star” del settore -, i tizi del front office e così via), tratteggiandone anche gli aspetti meno scientificamente osservabili (come, ad esempio, il modo di vestire, che cambia da tipo umano a tipo umano, a seconda di quale sia il proprio ruolo in quel contesto sociale).
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La City che ne esce è una città dentro una città. Un mondo a sé stante con delle proprie e ben precise regole nel quale il rischio è quella spada di Damocle sopra la testa che congestiona ogni azione o flatus vocis (specie in un panorama dove l’accordo verbale e la stretta di mano sono un patto di sangue).
“Let my people go surfing” doveva essere un manuale per i dipendenti di Patagonia, scritto dal suo fondatore Yvon Chouinard. È diventato molto di più, perché non solo ha raccontato la biografia di un imprenditore e le sue scelte coraggiose, ma la storia di un'azienda e la filosofia di un business in grado di ispirare soluzioni alla crisi ambientale, istituendo una Earth Tax dell'1% per la preservazione dell'ambiente. Dal 2001, l'1% For the Planet include più gruppi, ispirando molte altre realtà industriali.
GENESI, IL GRANDE RACCONTO DELLE ORIGINI (Guido Tonelli, Feltrinelli, 224 pag, 17€) L’universo, come si tramanda, è nato in sette giorni e in sette capitoli il fisico Guido Tonelli racconta di nuovo questa storia dei nostri inizi, scalando le classifiche di vendita in libreria. “Nessuna civiltà, grande o piccola che sia, può reggersi senza il grande racconto delle origini”, scrive l’autore che ha guidato uno dei due esperimenti che hanno scoperto il bosone di Higgs, la particella grazie alla quale esiste tutto ciò che ha una massa, dai granelli di polvere alle galassie e dai microrganismi all'uomo.
BREVE STORIA DELLA DISUGUAGLIANZA (Michele Alacevich e Anna Soci, Laterza, 224 pag, 18€) La questione che sembra unire le avanzate populiste di tutto il mondo e le crisi di identità dell’Occidente viene spesso spiegata con la diffusione delle disuguaglianze. Poche persone diventano più ricche, e molte si impoveriscono. Gli autori del saggio Laterza individuano i temi fondanti del dibattito economico, filosofico e politico intorno alla disuguaglianza. La prima risposta è che la teoria economica ha a lungo trascurato il fondamentale problema della distribuzione personale del reddito.
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In che modo alleni il carattere per il tuo ruolo?
L'AGENDa del ceo Intervista a Davide Verdesca, Chairman & CEO – SG COMPANY
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Mi considero come un atleta perennemente in gara, l’obiettivo non è il guadagno fine a sé stesso bensì il successo. Quest’ultimo è multiforme: è il successo dell’impresa, il risultato di un progetto, un riconoscimento del mio ruolo e dei professionisti che mi circondano. Credo che anche come azienda siamo in perenne gara e l’allenamento sta nelle micro-managerialità di tutti i giorni. La quotidianità è il frutto di un allenamento costante, di una programmazione e di una visione lungimirante. Tutti i giorni entro in contatto con professionisti molto più bravi di me nelle loro competenze e se devo essere una guida anche per loro, ho necessità di imparare i loro codici e mettermi nelle condizioni di capire la loro materia. Quindi oggi per me è fondamentale prepararmi in ogni momento a un argomento differente. Come affronti il fallimento degli obiettivi aziendali?
di Sofia Gorgoni
A che ora inizia la tua giornata di lavoro? Molto presto. La prima cosa che faccio appena sveglio è guardare le news della giornata, principalmente economiche ma anche di attualità. Quanto lavori con lo smartphone e quanto con altri dispositivi? Lo smartphone rientra in quella serie di strumenti tecnologici che supportano il mio lavoro. Se ne peso l’utilizzo che ne faccio oggi rispetto a qualche anno fa è sicuramente aumentato, perché di fatto è un replicatore di una postazione fissa. Anche se ho un ufficio, il più delle volte mi è più comodo utilizzare lo smartphone che per me è un vero e proprio assistente. Il tema reale su cui invito a riflettere è come utilizzare al meglio gli strumenti tecnologici a nostra disposizione: io cerco di inserire in un unico dispositivo tutto il mio mondo professionale, limitando l’utilizzo di carta e penna o leggendo i giornali sullo schermo, ad esempio. Bisogna ottimizzare per aumentare l’efficienza. Qual è il tuo stile di gestione? Mi impongo di ascoltare tutti quanto più possibile, anche se la mia natura a volte mi spinge a prendere decisioni immediatamente. Ritengo di avere una velocità di analisi elevata e una capacità di decisione molto rapida, il confronto con i collaboratori mi aiuta a scoprire nuovi punti di vista e ad avere una visione sul dettaglio. Quindi cerco in tutti i modi di confrontarmi con le figure che mi circondano, perché questo fa crescere me, ma soprattutto l’intera struttura aziendale. Certo, spesso dai confronti si aprono ulteriori tematiche ed è mio compito prendere la decisione finale, ma in definitiva credo che le occasioni di dialogo siano fondamentali per aiutare ad esercitare il potere decisionale. Come ti comporti con i dipendenti che non sono d’accordo con te? Per me esistono due differenti tipologie di collaboratore. Il primo è il collaboratore di linea diretta ed è doveroso che abbia la possibilità di esprimere la sua opinione, per tre motivi sostanziali: ha un ruolo che gli deve permettere di esercitare l’autonomia di gestione; ha certamente un’esperienza verticale e riconosciuta in quella tematica e può portare valore aggiunto; il terzo motivo è perché ho sempre cercato di avere vicino delle persone irreprensibili moralmente (quando ho scoperto non lo erano le ho allontanate!) e ci sono delle decisioni che spesso e volentieri necessitano attente valutazioni con particolare attenzione a questi aspetti. Condivido e apprezzo molto questi momenti di confronto. Appartiene ad altra tipologia il collaboratore con il quale ho decisamente poca interazione professionale, se non su progetti ben specifici, e con il quale difficilmente arrivo a condividere un percorso decisionale per ovvie ragioni di riservatezza e tutela. Collaboratori che apprezzo pienamente nella gestione del loro ruolo, per gli esseri umani che sono ma ritengo non sia né necessario né corretto coinvolgere nella mia quotidianità.
Nel mondo anglosassone il fallimento viene visto quasi come un punto d’onore, perché in qualche modo rappresenta un’esperienza. Nel mondo cristiano non c’è lo stesso approccio, credo sia un problema culturale. Personalmente non considero il fallimento come una colpa, perché il contesto in cui una persona opera non è del tutto prevedibile o gestibile. Io distinguo due tipi di fallimento: il primo determinato da cause esterne come le mutabili condizioni di mercato o errate valutazioni fatte in assenza di tutti gli elementi per una analisi approfondita. Questo tipo di fallimento fa parte del gioco. Diverso è invece il fallimento causato dalla superficialità o dalla mediocrità che può impattare negativamente su tutta l’azienda e sulle persone che ci lavorano. Si tratta di qualcosa di molto diverso dal fallire perché si sta imparando, mettendo comunque in sicurezza il percorso – uno step utile al raggiungimento di un successo più elevato…esattamente come diceva Coco Chanel. In conclusione, ritengo che il perfetto fallimento sia quello che non ti porta al fallimento. Ci si può fermare un attimo prima di cadere oppure cambiare direzione prima dell’ostacolo…al manager questo è richiesto! Tante volte subentra la stupidità del non voler cambiare idea, questo porta a un fallimento di fatto grave e colpevole. La coerenza dell’incoerente sta nell’accorgersi e quindi di avere la prontezza di intervento. Nel mondo degli affari oggi bisogna essere pronti a virare e cambiare rotta quando necessario; questo significa sapersi adattare alle nuove circostanze.
Qual è la parte più difficile del tuo lavoro? Essere sempre performanti. Non ho mai apprezzato gli atleti che vincono una gara e poi spariscono. Il grande performer è quello che crea un trend di vittorie, quello che riesce a ripetere le performance…non basta il talento, ci vuole allenamento. Per me è importante monitorare la tendenza del lavoro, successi e insuccessi, con costanza ed essere sempre pronto al possibile problema. Saper anticipare è obbligatorio per un leader che deve guidare le sue risorse, è importante almeno quanto avere “visione”. Al netto del grande talento che uno può avere negli affari, è fondamentale essere costantemente aggiornati sui nuovi strumenti e circondarsi di persone che hanno un valore diverso, ed essere capaci di cambiare in maniera veloce sapendosi mettere in discussione. Un consiglio chiave per una buona gestione? Ad un giovane consiglierei di conoscersi sempre meglio e di dare il massimo in ciò che ama. Se dai tutte le tue energie in un lavoro che detesti, tutti i tuoi sforzi non basteranno ad avere successo. Il consiglio che sento di dare ad un manager apicale è quello di cercare di confrontarsi sempre di più, accogliendo la visione degli altri. Abbiamo tutti storie diverse, quindi fare più network secondo me è una via per far crescere una realtà. Il terzo consiglio lo vorrei dare a chiunque si trovi a lavorare in un difficile contesto come gli ultimi anni: non chiediamo ad un collaboratore o a noi stessi ciò che non si è pronti a dare... non lo potremo avere. Dobbiamo cambiare il mindset e agire sulle leve motivazionali…poi potremo volare!
Se avessi la bacchetta magica cosa cambieresti subito nella tua realtà aziendale? Farei sì che tutte le risorse rispettino l’azienda e diano il massimo del loro contributo. Chi cerca scorciatoie non porta valore e sono convinto che si debba lavorare in un contesto di efficienza e di rispetto. Se avessi la bacchetta magica eliminerei tutte le scuse e gli alibi rendendo tutti protagonisti del percorso e del successo aziendale.
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DA GRANDE FARO’IL NARROWCASTER Le aziende oggi vogliono raggiungere, in modo persuasivo, utenti qualificati e interessati ai propri prodotti e servizi anziché masse indistinte di persone di Sofia Gorgoni
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on la “quarta rivoluzione” che non ha ancora una data condivisa di inizio, per far presa su un utente sempre più evoluto, le aziende hanno bisogno di differenziare l’offerta, creando contenuti personalizzati e targettizzati. Per far questo servono i cosiddetti “narrowcaster”: specialisti nel campo della comunicazione che collaborano con editor di contenuti e agenzie pubblicitarie e creano prodotti audiovisivi il più possibile in linea con esigenze e gusti del pubblico. In altre parole scelgono come differenziare il messaggio per un determinato target di utenti. Secondo il futurista Rohit Talwar, autore di “The Future of business”, sarà tra le professioni che avranno un maggiore sviluppo nei prossimi dieci anni.
Con la rivoluzione digitale siamo passati da una modalità “broadcasting” a una modalità di diffusione dei contenuti “ristretta” cioè “narrowcasting”, indirizzata ad un certo tipo di utenti. Una rivoluzione che riguarda sia i contenuti media – oggi l’utente accede alle informazioni sul web,
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sceglie di sottoscrivere mailing list e riceve trasmissioni audio e video anche attraverso aggregatori di media – sia l’advertising. Le aziende oggi vogliono raggiungere, in modo persuasivo, utenti qualificati e interessati ai propri prodotti e servizi anziché masse indistinte di persone. Questo richiede un continuo sforzo di comprensione dei desideri del cliente, la capacità di adattarsi in maniera veloce a cambiamenti nel suo comportamento di acquisto oltre all’elaborazione di grandi quantità di dati, resa possibile dalle nuove tecnologie digitali che registrano le informazioni sui gusti e le esigenze dei clienti, permettendo alti livelli di personalizzazione del prodotto. Avere un ruolo in questo mercato, secondo gli analisti, ha di sicuro buone prospettive. Come si diventa Narrowcaster? Si tratta di esperti della comunicazione online capaci di plasmare insieme diversi media, per creare contenuti multimediali, multi-piattaforma e fruibili attraverso più device tecnologici. Se alcune personalizzazioni verranno eseguite dai computer, gli esseri umani dovranno eseguire narrowcasting ritagliati su ogni utente. Quante figure esistono oggi? È un lavoro già presente sul mercato, ad esempio in aziende come Google. Ad oggi, però, figure specializzate solo in quest’ambito non esistono. Una ricerca commissionata dal governo britannico e sviluppata dall’istituto FastFuture l’ha inserita tra le professioni che entro i prossimi dieci anni prenderanno piede. Si parla soprattutto di lavoro per le aziende. Quanti posti di lavoro ci saranno in futuro ? Entro il 2022 nasceranno 133 milioni di nuovi posti di lavoro secondo il World Economic Forum, soprattutto grazie alle nuove tecnologie. I “narrowcaster”, saranno indispensabili soprattutto per le aziende, impegnate a intercettare un pubblico sempre più esigente.
L'economia raccontata dagli under 35.
la nuova agenzia di Relazioni pubbliche e istituzionali la nuova agenzia di Relazioni Pubbliche e Istituzionali
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