I creatori della sostenibilità

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Innovazione e sostenibilità raccontate dagli under 35 Numero 23 | NOVEMBRE/DICEMBRE 2020

Orizzonte driverless

MEZZI PUBBLICI AUTONOMI: NON È FANTASCIENZA INTERVISTA A HELBIZ: “L'ONDATA VERDE SI È RIVELATA VINCENTE” Copia Omaggio

LE MIGLIORI STARTUP ITALIANE NELLA MOBILITÀ GREEN

the-newsroom.it

POSTE ITALIANE S.P.A. SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - 70% S/CE/16/2018

La sfida del trasporto sostenibile


PROLOGO

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Non è stato un anno come altri e una grande differenza, quando il 2020 arriva verso la sua fine, è nella ridotta capacità che abbiamo avuto di spostarci, di viaggiare, di conoscere posti nuovi e diversi. Per frenare il virus siamo dovuti restare a casa. Ma quando la pandemia sarà superata avremo modo di riprendere a muoverci: è però fondamentale progettare un futuro della mobilità che sia sostenibile, dunque efficiente dal punto di vista economico e ambientale, e intelligente, sempre più driverless. Questo numero di The New’s Room indaga questa nuova industry, che proprio in Italia dà segnali importanti di speranza, per una nuova crescita, sostenibile.

Pierangelo Fabiano, Fondatore

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EDITORIALE

INDICE

di Sofia Gorgoni

Perlomeno in Italia. Il progresso però non si arresta e lentamente i veicoli senza conducente stanno diventando reali. Se nel nostro Paese la corsa è più lenta, anche per via della burocrazia,

in America si vede già un timido accenno. Con la pandemia che ha sconvolto le nostre vite, fa bene pensare che nei prossimi anni ci aspetta un futuro migliore, quindi sostenibile.

Waymo, che fa parte della stessa compagnia di Google, ha da poco ampliato il suo servizio di taxi senza conducente a Phoenix. La compagnia automobilistica senza conducente di General Motors rimuoverà presto gli umani dalle sue auto di prova a guida autonoma a San Francisco e Tesla ha annunciato che presto trasformerà molte delle sue auto su strada in veicoli di prova senza conducente.

Numero 23 | Novembre/Dicembre 2020 the-newsroom.it

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l sogno delle auto guidate dal computer che conquistano le strade è ancora una fantasia.

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Editoriale

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Uno sguardo ai numeri di Alessandro Starnoni

Cover Story 8 12

però arriveranno e forse risolleveranno, tra le tante cose, le sorti dei mezzi di trasporto inefficienti

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Helbiz: “L'ondata verde si è rivelata vincente” di Greta Ubbiali

Analisi 18

Il futuro del trasporto urbano tra automazione e sostenibilità di Luca Sandrini

Mappa

risolveranno tutto, ma non è proprio così. si è già fatta strada e per una diffusione di massa bisognerà aspettare qualche anno. Tutto ciò che ci

di Vittoria Patanè

L’Italia insegue l’industria driverless

Intervista

che intasano le strade. L’ottimismo tecnologico spinge a pensare che i veicoli pilotati da computer Se in Italia le macchine senza conducente restano un’immagine delle serie tv, la mobilità sostenibile

Orizzonte driverless, vicini o lontani?

di Salvatore Tancovi

Per ora, le auto a guida autonoma funzionano in casi isolati e passeranno molti anni prima che siano affidabili, convenienti e diffusi in tutte le condizioni stradali e meteorologiche. Prima o poi

di Sofia Gorgoni

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aspetta in un futuro molto vicino ve lo raccontiamo nelle prossime pagine.

La nuova città di Salvatore Tancovi

Focus 25

Mezzi pubblici driverless, non solo fantascienza

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Ma se faccio un incidente, chi paga?

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Mobilità sostenibile: cosa studiare?

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Test automotive: la via italiana alla sperimentazione

di Barbara Polidori

di Marelisa Ciampa

di Danila Giancipoli di Alessia Laudati

Top 10 36

Le migliori startup nella mobilità sostenibile di Salvatore Tancovi e Danila Giancipoli

Rubriche 38

Libreria

40

Lifestyle

42

Il lavoro del futuro

di Lorenzo Sassi di Margherita Peritore di Sofia Gorgoni


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NUMERI

uno sguardo ai numeri Misure e obiettivi sostenibili: Italia ed Europa a confronto

di Alessandro Starnoni

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NUMERI

Trasporti e sostenibilità 7,7 milioni i veicoli elettrici nel mondo, secondo i dati di EVVolumes, con 2,25 milioni di veicoli venduti solo nel 2019. Secondo la stessa fonte il numero totale è destinato a crescere fino a 10,5 milioni entro la fine del 2020, Covid-19 permettendo. 30.156 i veicoli elettrici (ibridi compresi) immatricolati in Italia, secondo i dati dell’analisi di mercato motus-e. L’incremento delle vendite nel mese di settembre 2020 rispetto allo stesso mese dello scorso anno è stato del 243,78%. Circa 10.000 le colonnine di ricarica in Italia al momento. Nel 2019 erano la metà. E con il Dl Semplificazioni si prevede di fornire entro 6 mesi almeno un punto di ricarica per mille abitanti, quindi 60.000 colonnine. 3,7 i miliardi di euro previsti dal Piano Nazionale Mobilità Sostenibile e da stanziare entro il 2033, che andranno a rinnovare anche il parco autobus per il trasporto pubblico in Italia, con mezzi meno inquinanti (elettrici, a metano o a idrogeno).

Mobilità

6 milioni al giorno circa i pendolari che nell’anno pre-covid in Italia si sono spostati in bici o a piedi, per andare a lavoro, scuola o all’università.

Secondo i dati Istat, nel 2019, in condizioni di normalità prima del Covid-19, si sono spostati sul territorio nazionale ogni giorno 33 milioni di pendolari. Di questi, 22 milioni (il 66,7 %) sono lavoratori, e 11 milioni (33,3 %) studenti.

Risparmio energetico

25 milioni di persone si sono mosse ogni giorno utilizzando la propria auto.

Il 36% dell’energia elettrica prodotta in Italia è rinnovabile secondo i dati dell’ultimo rapporto Terna. Nel 2019 infatti le fonti rinnovabili hanno coperto il 35,9% della domanda elettrica nazionale.

Sempre nel 2019, hanno usato i mezzi pubblici (tram, autobus e filobus) 3 milioni di persone tutti i giorni e 3 milioni più volte alla settimana. Altre 900 mila persone hanno viaggiato in treno tutti i giorni.

Fino al 90% in meno di emissioni inquinanti nel ciclo di vita completo, per i veicoli elettrici (Bev) rispetto al motore termico tradizionale, se si riuscisse a fornire ‘energia pulita’ - solo da fonti rinnovabili - almeno nelle fasi di ricarica dei veicoli elettrici, sostiene un rapporto dell'Agenzia europea per l'ambiente (Eea).

Il picco è stato la mattina ogni giorno tra le 7:00 e le 8:00, con 18 milioni di persone in movimento.

Nel 2020, appena iniziata la fase 2 erano circa 300 mila le persone che usavano i mezzi pubblici quotidianamente.

Entro il 2030 in Europa, il 32% del consumo energetico dovrà provenire da fonti rinnovabili, secondo la legislazione Ue sulla promozione di tali fonti energetiche, con un miglioramento di almeno il 32,5% dell’efficienza energetica entro la medesima data. Il 14% di questa energia rinnovabile sarà destinato ai trasporti.

Sempre entro il 2030, a livello europeo è stato fissato l’obiettivo della riduzione di almeno il 40% delle emissioni di gas a effetto serra, rispetto ai livelli del 1990.

Lo stoccaggio di energia in Europa potrebbe dover aumentare fino a 6 volte rispetto a quello attuale entro il 2050, rendo noto la Corte dei Conti Europea in un documento. Infatti, «per i trasporti, le nuove fonti di energia rinnovabili comporteranno anche nuove sfide in termini di stoccaggio dell’energia. Occorrerà quindi aumentare l’accumulo di energia, sia nelle rete sia nei trasporti».


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NUMERI

Aziende su Ricerca e sviluppo Secondo un resoconto del 2019 su statista.com, la casa automobilistica che ha speso di più nel mondo in Ricerca e Sviluppo nel 2018 è Volkswagen, con 15,53 miliardi di dollari. Seguono Daimler (10,36 miliardi di dollari), Toyota (9,58 miliardi di dollari), Ford (8,2 miliardi di dollari) e General Motors (7,8 miliardi di dollari). Nell’estate 2020 Volkswagen Group ha previsto che entro il 2025 più di un quinto dei suoi veicoli saranno elettrici, mentre ha annunciato che investirà 52 miliardi di dollari su guida autonoma (driverless) e ‘servizi di mobilità’ entro il 2023. Lo scrive Forbes.

Sempre secondo Forbes, Ford investirà 4 miliardi di dollari entro il 2023 per sviluppare il suo servizio di ‘self-driving’.

A marzo 2020 General Motors ha annunciato che investirà 20 miliardi di dollari destinati allo sviluppo di veicoli elettrici.

Secondo un resoconto di The Information, anche Amazon si starebbe muovendo sull’orizzonte driverless, avendo speso più di un miliardo di dollari per l’acquisizione di Zoox, una startup americana per lo sviluppo di veicoli a guida autonoma.

Effetto occupazionale 158,9 i miliardi di euro del volume d’affari totale in Europa dal settore del rinnovabile al 2018, secondo un rapporto del 2019 di Eurobserver: un incremento di 4,2 miliardi (+2,7%) rispetto all’anno precedente.

1,51 milioni i posti di lavoro registrati al 2018 in Europa nel settore dell’energia rinnovabile nel complesso, secondo il rapporto di Eurobserver 2019. L’Italia è nella Top 5 dei Paesi europei con la maggiore occupazione nel rinnovabile, con 121.400 posti di lavoro (8% del totale). Al quarto posto la Gran Bretagna (131.900 posti di lavoro), terza la Francia (151.600), seconda la Spagna (167.100), e al primo posto la Germania (263.700, 17% del totale). Lo sviluppo del driverless implicherà una transizione dei posti di lavoro tra settori per far fronte alle perdite inevitabili nei settori che necessitano di conducenti. Infatti, secondo una ricerca di MoneySuperMarket, solo in Uk l’automazione mette a serio rischio 1,2 milioni di posti di lavoro. Anche lo sviluppo del rinnovabile porta a una perdita inevitabile dei posti di lavoro, soprattutto nel settore delle fossili. La perdita più grande è stata osservata in Germania (che è infatti anche il Paese con una maggiore transizione al rinnovabile), con 27.000 posti di lavoro in meno nel 2018.

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COVER STORY

Orizzonte driverless, vicini o lontani?

Sae), ma di robot che sostituiscono totalmente il conducente non c’è nemmeno l’ombra, a meno che non si prendano in considerazione prototipi ancora ben lontani dall’approdare sul mercato. L’orizzonte driverless si è spostato in avanti e, secondo le stime, per arrivare ad un livello di automazione completa dovremo attendere almeno un decennio.

Il 2020 avrebbe dovuto essere l’anno della guida autonoma, ma la realtà racconta una storia ben diversa

di Vittoria Patanè

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uida autonoma ed elettrificazione. Il futuro dei trasporti è già stato delineato da tempo. Si sa come sarà e quali conseguenze avrà. Si conoscono le sue ripercussioni (stavolta positive) su clima e ambiente, si producono teorie sui nuovi stili di vita e sulle nuove abitudini dei cittadini. L’unica domanda rimasta a cui rispondere è però la più difficile: “Quando arriverà questo futuro?”.

Il 2020 avrebbe dovuto essere l’anno della guida autonoma di livello 4 e 5 della tabella Sae. Il che vuol dire che, secondo le previsioni, oggi dovremmo andare in giro - restrizioni Covid-19 permettendo - a bordo di veicoli totalmente indipendenti, privi di volante e pedali, capaci di affrontare qualsiasi percorso e qualsiasi condizione ambientale esattamente come farebbe un essere umano. Diesel e benzina dovrebbero essere considerati preistoria, dato che le auto elettriche dovrebbero ormai essere accessibili a tutte le tasche. La realtà però racconta una storia ben diversa, fatta di intoppi e incidenti, di regole farraginose, di investimenti a singhiozzo, di scadenze temporali sempre più dilatate. Le auto continuiamo a guidarle noi, magari con l’ausilio di sistemi di gestione che ci aiutano a mantenere la corsia, a controllare la velocità o a parcheggiare (livello 2 della scala

COVER STORY

Il futuro sembra invece un po’ più vicino se si guarda all’elettrificazione, anche se per l’addio definitivo al motore a scoppio dovremmo aspettare ancora qualche anno. Tre le cause principali dell’attesa: in primis le vendite delle auto elettriche sono ancora limitate e variano da Paese a Paese (l’Italia, neanche a dirlo, è parecchio indietro). Bisogna poi tener conto del fatto che i costi di produzione delle batterie rimangono alti e di conseguenza il prezzo - elevato, anche se in discesa - dei veicoli elettrici sul mercato non consente ancora la loro diffusione di massa. Infine, nodo fondamentale sono le infrastrutture: per far sì che l’elettrico prenda piede, occorrono investimenti cospicui sui punti di ricarica e sulla rete elettrica in generale necessari per garantire a chiunque e ovunque la possibilità di ricaricare la propria auto con comodità e velocità. A dispetto di questi problemi, le prospettive sono incoraggianti: nei primi sei mesi del 2020 le auto elettriche hanno registrato vendite record spinte dai nuovi standard sulle emissioni e dagli incentivi varati dai Governi. La quota di mercato è salita dal 3 all’8% del montante complessivo di vetture vendute e, secondo le previsioni di Transport & Environment, arriverà al 10% entro fine anno e al 15% entro il 2021. Un successo che arriva, paradossalmente, nell’anno più difficile della storia dell’automotive, messo in ginocchio dalla pandemia di Covid-19. In questo contesto, a livello societario, le singole case continuano ad investire e a scommettere sul futuro. E c’è chi questa scommessa, almeno in Borsa, sembra averla già vinta. Quando si parla di nuove frontiere dell’auto, a tutti - indistintamente - viene in mente un solo nome: Tesla. La società californiana è riuscita a costruire in pochi anni un’identità, una promessa. E non importa quanto questa promessa sia stata realmente mantenuta, perché l’equazione “elettrico=Tesla” continua a non avere rivali. A dimostrarlo ci sono prestazioni borsistiche da record: da inizio anno il titolo ha

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COVER STORY

guadagnato più del 900% del suo valore. In dieci anni siamo oltre +5.000%. Performance grazie alle quali il gioiello di Elon Musk è diventato la casa automobilistica con la più alta capitalizzazione di mercato al mondo nonostante produca e venda ogni anno molti meno veicoli di tutte le altre. Singolare è anche l’atteggiamento che molti investitori hanno nei confronti di Tesla. Nessuna via di mezzo: c’è chi crede ciecamente che, nonostante fondamentali spesso ballerini, la società sia destinata a diventare la stella più luminosa del panorama automobilistico mondiale e chi parla di una bolla finanziaria pronta ad esplodere. David Trainer, Ceo di New Construct, in un’intervista alla CNBC, descrive così la società: “Pensiamo che sia un grande - forse il più grande della storia - castello di carte pronto a crollare”. Ron Baron, numero uno di Baron Capital, prevede invece che nel corso del decennio, Tesla macinerà “vendite per almeno mille miliardi di dollari”. In un contesto fatto di analisti e investitori pronti a sostenere opinioni opposte, il giudizio sulla società di Elon Musk è destinato a rimanere in sospeso, ma una cosa, a prescindere dal dibattito, al creatore di PayPal e Space X va riconosciuta: senza la sua società l’orizzonte elettrico sarebbe molto più lontano. Un’accelerazione alla transizione elettrica negli ultimi anni è arrivata anche per merito di un’altra società, definita da molti “la sorella minore di

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Tesla”, sulla quale però negli ultimi mesi è sorto qualche dubbio. Parliamo di Nikola Motor Company e dei suoi prototipi di camion a idrogeno arrivati nel 2017 (Nikola One e Two) e nel 2018 (Nikola Tre). Nel 2020 la svolta vera. In pochi mesi Nikola ha chiuso tre operazioni che le hanno permesso di fare il salto di qualità. A marzo ha annunciato la fusione con VectoiQ, grazie alla quale è riuscita a sbarcare in Borsa, raddoppiando in pochi giorni il valore delle sue azioni. A giugno Exor (tramite Cnh) ha acquisito una partecipazione del 6,7%, mentre a settembre General Motors ha deciso di puntare su Nikola comprando l’11% del capitale. Fino a poche settimane fa, l’ascesa di Nikola sembrava inarrestabile. Poi, come un fulmine a ciel sereno è arrivata l’accusa di frode da parte della Hindenburg Research, specializzata in report di aziende quotate, che ha costretto il ceo della società, Trevor Milton, alle dimissioni e ha spinto la Sec e il Dipartimento di Giustizia ad aprire un’indagine. Secondo il rapporto, Milton avrebbe diffuso informazioni fuorvianti ed “esagerate” sullo stato delle tecnologie aziendali. Da astro nascente del mercato elettrico, Nikola si è trasformata in possibile bolla. Per difendersi dovrà ora dimostrare che il sogno elettrico su cui sorge ha radici solide e ben radicate in una realtà che va affrontata non solo con le idee geniali, ma anche con i bilanci, la produttività e gli investimenti.


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COVER STORY

te durante la guida e le utilizzino per elaborare simulazioni in fase di riposo. Inoltre i computer compiono questo sogno in modo condiviso, dando vita a un processo di dati esponenziale. In questo modo il software elabora modelli di gestione dell’auto che risultano piuttosto efficienti nelle varie casistiche, riducendo il lavoro di progettazione che altrimenti toccherebbe agli ingegneri. Tutto questo con l’obiettivo ultimo di creare delle soluzioni appettibili ai privati dell’industria automotive.

L’ITALIA INSEGUE L’INDUSTRIA DRIVERLESS Gli atenei sfornano ingegneri pronti a sostenere la nuova ondata dell’innovazione

di Salvatore Tancovi

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l mondo della ricerca sposta in avanti gli orizzonti di un paese, ed è proprio quello che sta facendo l’università italiana nello studio dei sistemi di guida autonoma. L’industria dell’automobile sta investendo sempre di più nello sviluppo di questa tecnologia, per farlo ha bisogno di ingegneri specializzati che escano formati a dovere dagli atenei italiani. Questo è già realtà, a differenza delle strade di città attraversate da auto senza conducente. Per quello ci vorrà ancora tempo.

Uno dei passaggi chiave per avvicinare questa utopia è preparare le vetture, o meglio, i computer che piloteranno le vetture driverless, a tutte le casistiche possibili. Secondo le stime un essere umano alla guida di un auto commette in media in un incidente ogni cento milioni e mezzo di km. Dopo oltre 10 anni di sperimentazione le macchine a guida autonoma hanno ancora biso-

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gno dell’intervento umano, per evitare casistiche incidentali, ogni 10 mila chilometri circa. In altre parole lo stato dell’arte è questo: alla guida autonoma manca ancora la capacità di adattamento della mente umana. Il Dipartimento di Ingegneria industriale dell’Università di Treno sta lavorando proprio a questo: avvicinare le capacità cognitive di un auto driverless a quelle di un guidatore esperto. Stiamo parlando del progetto Dreams4Cars finanziato dal programma europeo Horizon 2020, di cui l’ateneo di Trento è partner assieme ad altre università del vecchio continente. “In un’auto prototipo il software dell'agente che emula il comportamento di un guidatore umano e apprende come nel sonno ha funzionato” afferma il professore Mauro Da Lio, coordinatore della ricerca. Bene, ma questo significa che il computer apprende sognando? Ecco, diciamo che il sogno inteso come attività del cervello a riposo è più che altro una metafora. Secondo ipotesi recenti in ambito biologico la nostra mente rielabora durante il sonno le esperienze realmente vissute, allenandosi a situazioni future. Quindi il neopatentato diventa un buon conducente non solo grazie ai chilometri percorsi, ma anche alla capacità di rielaborare quanto fatto su strada. Dreams4Cars cerca di imitare questo comportamento facendo si che i computer raccolgano le informazioni raccol-

Da un lato bisognerà ancora lavorare per raggiungere la killer app della guida driverless, quella che porterà la guida autonoma nel nostro quotidiano. Dall’altro, a proposito di eccellenza nella ricerca, l’ateneo romano La Sapienza riesce già a costruire una monoposto che si guida da sola, sfreccia a 107 km/h e vince le corse di categoria. Nel 2019 infatti la scuderia universitaria Sapienza Corse ha trionfato nella categoria Class 1D (guida driverless) della Formula SAE Italy tenutasi all’Autodromo a Varano de’ Melegari. La Formula SAE è una competizione destinata agli studenti universitari nell’ambito del design ingegneristico e della meccanica. Il format made in USA è stato riprodotto in vari paesi che organizzano diversi eventi come in un calendario corse, ma senza classifica generale. Sapienza Corse ha vinto la XV edizione della competizione italiana alla seconda partecipazione, e l’ateneo sta già mettendo a punto un nuovo prototipo da lanciare quest’anno, anche se il covid ha fatto slittare sviluppo e gare. Intanto la Gajarda 2019 AWD Driverless, il nome della monoposto, è già riconosciuta come un gioiello di ingegneria costruito tutto da studenti. In questo caso sono loro l’oggetto più ambito dalle aziende del settore.


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INTERVISTA

Helbiz: “L'ondata verde si è rivelata vincente” La startup fondata da un siciliano è diventato un campione della mobilità

di Greta Ubbiali

INTERVISTA

ta sempre più diffusa di muoversi con mezzi propri e più ecologici come i nostri, monopattini e bici elettriche. Poi è arrivato il coronavirus, che spinge sempre più persone a evitare gli assembramenti sui mezzi pubblici. La pandemia ha impattato sul vostro modello di business? È stato un acceleratore di processi già in atto. L'Europa si è fatta molto toccare per numero dei casi dal Covid e abbiamo fatto in due o tre mesi ciò che ci saremmo aspettati di fare in circa 2 anni. In Italia Helbiz è diventato il primo operatore nazionale con circa 20 licenze ma non avremmo ottenuto questo alto numero di accordi in breve tempo se le istituzioni locali non avessero rivalutato l'importanza di offrire mezzi alternativi. Quali sono i prossimi progetti che coinvolgeranno l’Italia? Abbiamo da poco comprato Mimoto e quindi aggiunto il motorino elettrico alla nostra flotta. Inoltre cercheremo di espandere il servizio in città dove non siamo ancora arrivati. Sul lato business abbiamo un progetto legato al food delivery che testeremo a Milano per poi esportarlo nel resto del mondo. Entro 2-3 mesi ci quoteremo al Nasdaq. Saremo la prima azienda di micromobilità a debuttare sul mercato americano e puntiamo a investire una grossa fetta di quanto raccolto in Italia. A livello globale?

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ondato nel 2017 negli Stati Uniti dal siciliano Salvatore Palella, Helbiz è oggi uno dei più grandi operatori mondiali di micromobilità e il maggiore in Italia. Il gruppo è presente in 10 Paesi ed è prossimo a quotarsi sul Nasdaq. In attesa dell'ipo il suo creatore ci ha raccontato come sta cambiando l'azienda e la sua visione del futuro.

In Italia Helbiz ha posizionato il primo monopattino elettrico nell'ottobre 2018 e oggi ha 750mila utenti attivi. Come è nata l'idea? Ero già negli Stati Uniti all'epoca e stavo creando un piattaforma per piccoli lavoretti da svolgere in casa, dall'idraulico all'elettricista. Da qui il nome dell'azienda, nato dalla crasi tra “help” e “business”. Nel frattempo è esplosa la moda della micromobilità che mi ha subito attratto. Ho fatto dei test a Los Angeles quando ancora non v'erano le autorizzazioni e poi sono volato in Cina per capire chi potesse seguirci con la produzione. Ho deciso di puntare su questa ondata verde e si è rivelata vincente. La consapevolezza dei rischi ambientali provocati dall’inquinamento atmosferico ha favorito la crescita dell’azienda? L'avanzamento spedito dell'elettrico e la maggiore sensibilità ambientale sono fattori che hanno sicuramente contribuito alla scel-

Negli Stati Uniti stiamo ampliando il raggio di azione. Abbiamo vinto il bando di Atlanta e entro fine novembre arriveremo a Santa Barbara. In Europa vogliamo rafforzare la nostra presenza nei Paesi del sud e insediarci in Inghilterra dove abbiamo ottenuto una licenza dal Parlamento e vogliamo partire operativamente a inizio 2021. Il monopattino elettrico è considerato uno dei mezzi più ecologici perché il suo funzionamento non comporta l'emissione di gas di scarico. Ci sono però due aspetti impattanti sull'ambiente e sono la ricarica e lo smaltimento. Come li gestite? Abbiamo due sistemi di operatività per la ricarica dei mezzi. In America i monopattini hanno una batteria intercambiabile che andiamo noi a sostituire. In Italia invece abbiamo preferito rimanere con le batterie classiche: ritiriamo i mezzi su strada, li ricarichiamo nei magazzini e al contempo facciamo una sanificazione. Per quanto riguarda le fonti di ricarica è appena partita una partnership con Enel Energia per cui le città italiane potranno contare su una flotta di micromobilità alimentata da sola energia rinnovabile fornita dal partner. Helbiz ha calcolato che la riduzione dell’impatto ambientale conseguente all’utilizzo dei monopattini elettrici sia nell’ordine di oltre 1,7 kg di CO2 per ogni chilometro percorso rispetto all’utilizzo di veicoli a combustibile fossile. Per quanto riguarda lo smaltimento, il nostro monopattino ha una vita di circa 18 mesi superati i quali ha un tasso di riciclo alto. Circa il 70% viene utilizzato per realizzarne uno nuovo.

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INTERVISTA

Che effetto hanno gli atti vandalici e l'usura sulla vita dei monopattini? State lavorando sul prodotto per migliorarne la longevità? Sfato subito un mito: in Italia ci sono tassi di vandalismo e furto minori rispetto agli Stati Uniti d'A merica. La media da noi è del 3% e oltre oceano le strade non sono tanto meglio. La media di vita dei veicoli è un fronte caldo: siamo passati da 12-14 mesi a 18-24 in poco meno di un anno grazie a modifiche interne. É per questo che ora cominciamo a pensare a delle produzioni in casa insieme a Segway. Come si potrebbe migliorare la sicurezza su strada? Puntiamo molto sulle attività educative nelle città e utilizziamo una parte del fatturato mensile per fare eventi e aumentare la sensibilizzazione degli utenti finali. Negli Stati Uniti le piste ciclabili sono separate dalle strade con dei paletti e penso che questa soluzione di divisione fisica dia maggiore senso di sicurezza e potrebbe essere più diffusa in Italia. Ultimamente stiamo trovando molta disponibilità tra le istituzioni locali per collaborare sul punto della sicurezza. Come cambierà la mobilità in futuro? Sicuramente l'automobile sarà meno usata e già oggi per le nuove generazioni possederne una o fare la patente appena compiuti i 18 anni è meno importante rispetto al passato. Inoltre secondo me in futuro verranno utilizzati sempre più i cieli e gli spazi aerei per spostarsi da una parte all'altra delle città. E il rapporto tra centro e periferie? I monopattini stanno ridisegnando i trasporti dei centri urbani ma io penso che le zone più esterne abbiano un ruolo molto importante. E infatti in Italia i geo-fence più grandi sono i nostri, a Milano, Roma e Torino. Il Covid-19 poi favorirà lo sviluppo di queste aree. Per comodità più persone preferiranno vivere fuori città: per avere più spazio o perché devono spostarsi spesso. C'è molto da investire nella periferia e per noi è già un asse per gli investimenti futuri.

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ANALISI

Il futuro del trasporto urbano tra automazione e sostenibilità Le città saranno percorse da auto e motociclette a guida autonoma o semi-autonoma, la cui connessione con il resto della città è garantita da algoritmi

di Luca Sandrini

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egli anni Ottanta credevo saremmo volati in giro col jetpack” cantava J-Ax nel 2009; nello stesso periodo, in Scozia, la band We Were Promised Jetpacks lanciava il proprio album di esordio. Oggi, i jetpack sono stati sostituiti dai veicoli a guida autonoma, i cosiddetti “robotaxi”, ma la sensazione di attesa è la stessa: arriveranno o è solo un’illusione? Nel nostro immaginario collettivo, la società del futuro descritta nella sitcom animata “The Jetson” (i pronipoti) e, con tinte più cupe in Blade Runner, ha lasciato il posto ad una nuova utopia, dipinta perfettamente nella terza stagione della serie Westworld. Una società diretta da un algoritmo eseguito da un computer centrale, che regola carriera, vita privata e spostamenti delle persone. Le città sono percorse da auto e motociclette a guida autonoma o semi-autonoma, la cui connessione con il resto della città è garantita dal medesimo algoritmo. Parliamo di un futuro prevedibilmente a breve termine e che, anzi, per molti analisti avremmo già dovuto imparare a conoscere. La sensazione di frustrazione deriva da questa delusione delle aspettative, dovuta a difficoltà tecniche, incidenti gravi nei test e pandemia globale. I progetti di sviluppo di mezzi di trasporto a guida autonoma sono diffusissimi e hanno lanciato una corsa frenetica alla ricerca, ma la meta si sposta sempre po' più avanti, quasi fosse la celebre tartaruga di Achille. Ciononostante, sono molti gli analisti che stimano un giro di affari miliardari legato al nuovo mercato. Il gioiello della corona in questo nuovo business è il trasporto merci a lunga percorrenza. Tra le molte aziende in corsa per il primato della tecnologia (Google, Tesla, Uber, Volkswagen-TuSimple) c’è anche la svedese Einride, costituita nel 2016 e in grado di raccogliere 25 milioni di dollari nel 2019 e 10 milioni nel 2020 per il proprio progetto di autotrasporto autonomo. Secondo i responsabili della startup, le aziende che introdurranno la nuova tecnologia

ANALISI

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saranno in grado di abbattere i costi del 60%. Un recente studio dell’OECD ha stimato una riduzione della domanda di autisti del 50-70% in USA ed Europa entro il 2030, con oltre 4 milioni di posti di lavoro a forte rischio. Il trasporto pubblico/privato urbano, invece, è meno ricco, ma molto più suggestivo. Shuttle autonomi e robotaxi già popolano i rendering di molti progetti di smart cities attivi nel mondo. Strade vecchie, mancanza di infrastrutture adatte, connessioni alla rete internet non sempre ottimali, pedoni distratti e manovre azzardate di altri veicoli: tutti questi fattori hanno imposto lunghi periodi di test in circuiti ad hoc, o progetti di sviluppo graduali. È il caso di Tesla, il cui ormai celebre software Autopilot permette una funzione di guida assistita, idealmente pensata per strade a lunga percorrenza, che necessita tuttavia della sorveglianza del conducente. Diversa la strategia di Waymo, azienda di controllata di Alphabet (Google), che ha in programma il lancio del servizio robotaxi ai clienti nella città di Phoenix, Arizona. Sfruttando il vantaggio nel settore mappe virtuali e servizi associati (tramite Google maps e Waze, il colosso di Mountain View detiene circa l’80% del mercato), Waymo ha puntato fin da subito al 100% guida autonoma. Discorso simile per Uber e Apple, quest’ultima esclusivamente dal lato software. Eppure, osservando il valore di mercato di Waymo è possibile constatare che nel tempo è emersa una forma di scetticismo circa il valore atteso del trasporto urbano autonomo. Nel 2018, Morgan Stanley stimava il valore dell’azienda vicino ai 175 miliardi di dollari, giustificato da previsioni di ricavi da robotaxi e logistica nell’ordine rispettivamente di 80 e 90 miliardi di dollari. L’anno successivo, la stessa Morgan Stanley tagliava le stime del 40%, valutando l’azienda 105 miliardi di dollari, per via dei lunghi tempi di sviluppo della tecnologia e dal fatto che, in dieci anni di progetto, non c’erano stati ancora ricavi. La scorsa primavera, quando l’azienda ha annunciato un finanziamento esterno per 2,25 miliardi di dollari dal fondo pensioni CPP, il Financial Times ha rivelato che il valore dell’azienda sottostante l’accordo di finanziamento era di 30 miliardi di dollari. In un anno e mezzo, Waymo ha “perso” 150 miliardi di dollari, circa. Oltre all’incertezza sui tempi di sviluppo della nuova tecnologia, va sottolineato che riempire città e strade di auto elettriche, voraci di litio e altre risorse prime molto scarse, è solo apparentemente una politica ecologica sul lungo periodo. La vera alternativa ecologica è la promozione di un altro tipo di mobilità urbana, basata dove possibile sul trasporto “lento”. Percorsi ciclopedonali e zone a traffico limitato: complice la pandemia, l’Italia ha visto fiorire progetti di questo tipo durante l’estate. A Torino i controviali sono diventati strade a precedenza ciclabile, Milano ha inaugurato decine di chilometri di piste ciclabili e a Roma e Bologna sono stati presentati decine di progetti simili in attesa di approvazione. Questa tendenza, che investe l’Europa e le maggiori città degli Stati Uniti, rende inevitabile ragionare se non sia opportuno favorire un coordinamento guidato dall’alto, a livello di amministrazione, per indirizzare gli sforzi economici privati e pubblici (università) verso un comune obiettivo. Di creare cioè gli incentivi (sociali, economici e finanziari) per la collaborazione dei centri di ricerca, piuttosto che per la loro competizione, per non sprecare risorse preziose ed accelerare l’integrazione delle nuove in un contesto cittadino nuovo, fatto di mobilità lenta al suo interno e autonoma all’esterno. E magari di jetpack.


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La nuova città

a cura di Salvatore Tancovi

Abbiamo provato a immaginare come cambieranno i luoghi dove abiteremo e ci sposteremo. Sperando in una mobilità intelligente

IL TEMPO La mobilità nella città del futuro dovrà tener conto di un elemento fondamentale: il tempo. Sempre più città cominciano ad abbracciare la teoria dei quindici minuti: spazi urbani dove ogni cittadino dista un quarto d’ora da tutti i luoghi funzionali alla sua quotidianità. Non uno sprono ad andare più veloce, ma a restare più vicino e organizzare meglio gli orari della collettività.

trasporti >> LA BICICLETTA In una città dove lavoro, scuola, palestra (etc.) saranno a meno di un quarto d’ora di distanza si potrà raggiungere tutto in bici. La maggior parte delle strade urbane dovrà avere una pista ciclabile a norma; si potranno usare i mezzi pubblici con la propria bici; ci saranno veri parcheggi per le bici, non solo un mare di rastrelliere; il limite di velocità per le auto sarà abbassato fino a 30/50 km/h, escluse le principali arterie della città.

trasporti >> FREE FLOATING Per le bici e i monopattini in sharing va predisposta una mappatura degli stalli adibiti al parcheggio, inibendo la possibilità di lasciarli su ogni marciapiede disponibile. Già oggi ci sono tante flotte di mezzi che affollano le città, una soluzione può essere il modello Milano: concedere solo a poche società di operare, scelte tramite bando di gara, e con un numero limitato di mezzi.

trasporti >> SHARING MOBILITY La mobilità condivisa è già realtà, nelle grandi metropoli infatti ci sono diverse società che gestiscono flotte di auto, bici e monopattini a disposizione dei cittadini iscritti alle varie app. Il futuro della mobilità urbana però passa da un’operazione di concerto di tutti questi mezzi con il trasporto pubblico. Gli obiettivi sono: distribuzione capillare dei mezzi; micromobilità urbana al 100% elettrica; promozione del car sharing.


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VITA >> SMART WORKING

SPAZIO URBANO >> SERVIZI

Da alternativa emergenziale a modello interessante, lo smart working non riguardo solo il futuro del lavoro ma anche quello delle città. Nella “città del quarto d’ora” il lavoro agile sarà una delle soluzioni più utili a ridurre il traffico e l’inquinamento, e anche a poter godere di maggior tempo libero. Il sistema sarà sostenuto da un proliferare di coworking di quartiere, con l’incontro di diverse professionalità e un proficuo scambio di know-how.

La “città del quarto d’ora” si basa essenzialmente sulla diffusione capillare dei servizi essenziali per il cittadino. Scuole, uffici, ospedali, supermercati, parchi pubblici, piazze, sport, luoghi per l’attività sportiva, negozi, tutti questi edifici dovranno comporre i servizi essenziali di ogni quartiere o maxi isolato.

SPAZIO URBANO >> VERDE PUBBLICO VITA >> VIVERE IL QUARTIERE La vivibilità di uno spazio urbano dipende anche dalle connessioni che si stabiliscono. È essenziale che ogni cittadino non senta l’appartenenza solo al proprio ambiente domestico ma anche al quartiere in cui vive. Dalla conoscenza del proprio vicinato e dalla creazione di rapporti di vario livello nasce quello che si definisce welfare di prossimità, una comunità che bada a chi vi appartiene.

La legge italiana stabilisce che per ogni cittadino debbano esistere 9 mq di verde pubblico. La media nazionale (Istat 2016) è di 31 mq di verde per ogni italiano, ma il dato dei singoli comuni rivela enormi disuguaglianze. Al di là della norma il verde pubblico va considerato come un elemento necessario che genera valore. La città del futuro è una città verde, figlia di un vero e proprio processo di “forestazione urbana“.

SPAZIO URBANO >> QUALITÀ dell'ARIA SPAZIO URBANO >> DENSITà ABITATIVA Le grandi città del presente hanno spesso ai margini periferie poco servite dal trasporto pubblico, con scarsità di servizi e densamente popolate con famiglie stipate in moduli abitativi costruiti in altezza. Quelle del futuro le immaginiamo più simili alle superillas (superblocchi) di Barcellona: isolati in cui si sottrae spazio alle auto per guadagnare aree pedonali, provvisti di servizi essenziali, piazze e spazi verdi.

Le città del futuro avranno una migliore qualità dell’aria se ci sarà la svolta green tanto auspicata. Le emissioni di co2 dovrebbero diminuire grazie all’aumento della mobilità elettrica, l’utilizzo massivo della bici, il potenziamento del trasporto pubblico, l’azione di contrasto della vegetazione urbana sui livelli degli inquinanti atmosferici. D’altronde il lockdown ci ha mostrato quanto in fretta possa regredire l’inquinamento atmosferico delle grandi città.

SPAZIO URBANO >> FARE IL BAGNO È utopico pensare che nella città del futuro ci saranno degli spazi di balneabilità? Consideriamo che nel 1995 i canali di Copenaghen erano sporchi e contaminati. 10 anni dopo e con 400 milioni di investimento nella capitale danese ci sono ben 4 spot in cui poter fare il bagno. Risultato raggiunto bonificando, costruendo barriere di contenimento, dirottando le acque reflue, e con un certosino e costante lavoro di analisi.


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Mezzi pubblici driverless, non solo fantascienza La pandemia ha contribuito sicuramente a ridisegnare la nostra esperienza di viaggio, accrescendo l’interesse verso i veicoli autonomi

di Barbara Polidori

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uando si parla di trasporto pubblico driverless, superato l’iniziale scetticismo, tendiamo a immaginare città lontane anni luce e irrealizzabili, un po’ alla Westworld. Dallo sci-fi alla realtà, farà sorridere sapere invece che fra i veicoli utilizzati nell’ultima stagione, alcuni sono già fra noi. Non alla mercé di miliardari, ma impiegati già da qualche anno perfino nel trasporto pubblico, tramite la francese EasyMile. La pandemia ha contribuito sicuramente a ridisegnare la nostra esperienza di viaggio, accrescendo l’interesse verso il driverless e la rigenerazione urbana, complice uno scenario distopico, con metropoli svuotate dalle auto, serrate e coprifuochi, ma ripopolate ben presto da biciclette e abitanti salutisti. La mobilità, da allora, non è più la stessa però: i dati Apple Maps registrano tra il 15 febbraio e il 19 settembre 2020 un -25% sul trasporto pubblico locale, tutt’ora fortemente discusso per i rischi di contagio in cui incorrerebbero i passeggeri. L’iniziale entusiasmo per il Bonus Bicicletta è stato ben presto soppiantato da un ri-


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un programma di rigenerazione urbana partendo dal Fondo Next Generation Eu. Le premesse dell’Italia per concorrere con città europee, green e innovative ci sono tutte, mancano però degli apripista tecnologici. Per sviluppare una buona offerta sui servizi di mobilità, Saleta Reynolds, General Manager del Dipartimento dei Trasporti di Los Angeles, propone che le città si comportino all’interno della Gig Economy come “app stores”. Al pari di Google e Apple, che attraggono innovazione chiedendo alle società di sottoscrivere dei precisi termini di servizio, allo stesso modo le città metropolitane dovrebbero imporre alle società che erogano servizi di mobilità delle rigide condizioni.

torno all’auto (+70%), in un momento in cui gran parte del Paese è ancora in smart working ma con livelli di traffico pre-Covid. Come impedire allora il congestionamento delle città e rilanciare il trasporto pubblico in sicurezza? Un segnale forte arriva dal decreto ministeriale dello scorso gennaio, che stanzierebbe 2,2 miliardi alle Regioni italiane per favorire la sostituzione dei vecchi autobus con veicoli di ultima generazione, tecnologicamente più avanzati e a basso impatto ambientale. Fondi che si aggiungerebbero a quelli già stanziati dalla Ue per il 2014-2020, gli stessi che hanno smosso recentemente la Corte dei Conti, decisa a interromperli per tutti i Comuni che non abbiano elaborato un piano di mobilità sostenibile sul trasporto locale, in testa Napoli e Palermo. Green City Network, gruppo di lavoro promosso dalla Fondazione Sviluppo Sostenibile, ha avanzato poi

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Il driverless è uno dei banchi di prova, lo confermano studi ed esempi virtuosi. Il Forum Internazionale dei Trasporti ha recentemente pubblicato per esempio un report che illustra quanto il self-driving plasmerebbe il traffico cittadino, rimpiazzando le normali vetture con soli TaxiBots, AutoVots e tram. Solo il 10% degli abitanti, stando alla proiezione, sceglierebbe così la propria auto, con una riduzione del traffico del 90%. È unanime sui vantaggi anche l’Associazione Internazionale del Trasporto Pubblico: sebbene gli investimenti iniziali nel passaggio al driverless siano costosi, le città ne guadagnerebbero però in termini di competitività, tempo di percorrenza e produttività per chi lavora, soprattutto se pendolare. Senza contare la riduzione di incidenti stradali e un aumento dei collegamenti con l'hinterland, uno dei principali ostacoli all'occupazione in molte regioni europee. Genova è la base di sperimentazione per Avenue, ad esempio. All’interno del programma EU Horizon 2020, Avenue poggia su sistema driverless di “mobility cloud”, connettendo delle navette autonome al sistema di trasporti pubblici, il tutto tramite app. Anche la Svezia si distingue per innovazione, ha già ufficializzato un progetto che unirà il 5G a delle torri di controllo per armonizzare il trasporto pubblico, grazie all’hub Urban ICT Arena, in partnership con Keolis, Ericsson e Telia. In Svizzera gli utenti potranno poi localizzare bus intelligenti tramite app, comunicando col veicolo tramite software e ricevendo disponibilità, tempo di attesa e prenotando il passaggio. Ma è oltreoceano che la partita si fa più interessante, con Singapore che aspira a diventare una vera “driverless nation”; l’Australia, che ha già sperimentato i primi bus driverless, dove lo chaperone è solo di formalità, in attesa che il progetto superi la fase di test. Infine Hong Kong ha introdotto Island, un tram driverless pensato appositamente per l’era COVID-19, per preservare i passeggeri col distanziamento sociale, immaginando città sostenibili e resilienti, nel migliore dei futuri possibili.

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In una situazione patologica - come quelle in cui gli appositi sistemi d’allarme del veicolo richiedano al conducente di riprendere la guida urgentemente - risulterebbe sensata l’attribuzione dell’obbligo di risarcimento in capo allo stesso. Al contempo, sarebbe riduttivo attribuire la responsabilità in capo al produttore in tutti i casi in cui l’auto sia dotata di dispositivi automatici. Non sempre, infatti, il sistema di automazione è totale. Alcune volte la tecnologia installata fornisce solamente un supporto al pilota, che continua ad avere il controllo completo del mezzo e sarà, perciò, l’unico responsabile in caso di sinistro. Seguendo questa logica, se invece l’incidente avviene mentre sono attive le modalità di guida autonoma, per esempio a causa di un difetto del sistema, la responsabilità potrà essere ragionevolmente attribuita al produttore della tecnologia. In sintesi il produttore è chiamato a rispondere per i danni provocati dai suoi prodotti, quando questi sono difettosi o non soddisfano le aspettative di sicurezza dei clienti. Così come quando è difettoso un singolo componente, la responsabilità dovrebbe ricadere sul fornitore del componente stesso.

Ma se faccio un incidente, chi paga? L’auto a guida autonoma e il dilemma della responsabilità assicurativa

di Marelisa Ciampa

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l fenomeno driverless, le auto capaci di svolgere autonomamente le mansioni del guidatore, è una delle nuove frontiere del progresso. Sicurezza e affidabilità sono certamente i primi profili dubbi che pongono questi nuovi veicoli, ma subito dopo ci si chiede: in caso di sinistro, chi pagherà? Chi risponde per le decisioni di guida prese in piena autonomia da un veicolo?

Le compagnie assicurative si troveranno costrette a sviluppare nuove polizze per fornire copertura sia ai privati che alle società produttrici del veicolo e della tecnologia, perché l’assicurazione deve ritenersi obbligatoria anche per i veicoli a guida autonoma. Infatti, la polizza assicurativa di responsabilità civile auto (r.c.a.) costituisce un obbligo e una forma di tutela per chiunque circoli con un veicolo idoneo a produrre un danno. Viene quindi garantita la copertura dei danni involontariamente causati agli altri nell’uso dell’auto, indipendentemente dalle sue caratteristiche e funzioni. La compagnia di assicurazione risarcisce chi subisce un danno da un sini-

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stro stradale, al posto del suo cliente, assicurato, che ha causato il danno stesso. Di regola il conducente del veicolo si presume responsabile: ma in presenza di un conducente fantasma, su chi ricade questa responsabilità? Le imprese assicuratrici non potrebbero rifiutare di sottoscrivere contratti di assicurazione con i proprietari di tali veicoli, o con le loro case produttrici. Senza dubbio se i veicoli sono inaffidabili, il peso dell’assunzione del rischio si sposta drasticamente sull’assicuratore, ma tale rischio dovrebbe essere preventivamente calcolato nella stesura delle polizze assicurative. Quindi occorre chiedersi chi e contro cosa si deve assicurare, nel caso in cui la guida sia automatica. È intuitivo che più diminuisce il coinvolgimento del conducente nella guida, tanto più dovrà diminuire il suo grado di responsabilità. In linea teorica al decrescere della responsabilità del conducente, dovrebbe aumentare proporzionalmente quella del produttore del veicolo o del sistema di guida automatica. In una situazione normale, il conducente non dovrebbe contribuire alla guida del veicolo driverless e, dunque, non dovrebbe essere responsabile.

Dovremmo dedurre che al decrescere della responsabilità del conducente, aumenta in proporzione quella del produttore del veicolo o del sistema di guida automatica. L’evoluzione tecnologica e l’immissione di veicoli automatici su strada, determina quindi uno shift della responsabilità, corrispondente alla variazione del livello di automatizzazione. Occorrerà, allora, un ripensamento giuridico del sistema di responsabilità che sia in grado di bilanciare gli eccessi del sistema attuale - che rischia di far gravare anche sul conducente di veicolo self-driving una presunzione di responsabilità - senza però frenare la spinta innovativa degli imprenditori, limitando a tal fine anche la loro responsabilità.


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MOBILITÀ SOSTENIBILE: COSA STUDIARE? La formazione in materia di sostenibilità è work in progress. Capiamo insieme approcci e possibilità di uno studente che vuole vedere il mondo da un’altra prospettiva di Danila Giancipoli

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se da grande volessi lavorare nel campo della sustainable mobility? Forse io sono già grande, o forse no, punti di vista. Ma per chi in questo momento sta guardando il proprio futuro con gli occhi del feed di instagram, con le call in streaming e l’incertezza della propria presenza in aula, è lecito chiedersi cosa è necessario fare per entrare nel grande processo di transizione che riguarda la sostenibilità. A tal proposito, ho ritrovato la parola “transition” nel titolo di un Master della Bologna Business School chiamato “Sustainability Transition Management” e voglio spiegarvi perché questa parola è così importante in termini di formazione.

Mobilità sostenibile è nella cultura più popolare un modo per definire delle scelte più ecologiche e/o etiche legate a trasporti e infrastrutture. Nella visione macro, è un insieme di strati connessi e interconnessi di transizioni tecnologiche, progettuali, digitali, economiche, sociali, e chi ne ha


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più ne metta. Per intenderci, quando fu inventata la lampadina non avevamo ancora raggiunto il processo di industrializzazione che abbiamo oggi, anzi ci è sembrato logico approcciare ad uno strumento che potesse migliorarci la vita. Il punto è che abbiamo industrializzato quanti più prodotti e bisogni di quanto avremmo forse dovuto, e invertire i processi dannosi richiede rivoluzioni economiche. Sostituire la terra sotto i piedi ai grandi leader e alle big company sembra impossibile, per quello è più sensato parlare di “transizione” invece di “cambiamento”.

A che punto siamo con la formazione in Italia Nascono corsi di laurea, altri vengono integrati, mentre i Master propongono nuove sfide e percorsi specializzanti. Prendiamo per esempio l’e-mobility, termine che fa riferimento ai mezzi di trasporto che utilizzano l’elettricità come fonte primaria di energia. In occasione dell’anno accademico 2019/2020 l’Università di Palermo ha proposto un innovativo percorso di studi in Ingegneria Elettrica per la E-mobility. Il Politecnico di Milano ha ideato in collaborazione con 13 enti e industrie leader del settore un nuovo corso di laurea magistrale in Ingegneria della mobilità (Mobility engineering). Presso l’Università la Sapienza di Roma troviamo la laurea magistrale Sustainable Transportation and Electrical Power Systems. Spiccano l’Università Cattolica di Milano, l’Università di Bologna e la 24ORE Business School tra le prime voci online per i Master in: Sustainable Business Administration, Sustainability Transition Management, Sustainable and integrated Mobility in Urban Regions e Mobilità Sostenibile.

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Il Nord Europa che ci fa da esempio Il nord Europa non è da meno in termini di formazione avanzata. In Germania, per esempio, esiste il corso Electrical Engineering and Electric Mobility della Technische Hochschule Ingolstadt. Si tratta di una laurea che approfondisce i futuri campi di applicazione della mobilità elettrica e dei sistemi di accumulo di energia, un’area che copre automobili e biciclette estendendosi fino alla tecnologia ferroviaria, alla movimentazione dei materiali, alla robotica e all’ingegneria medica. Di alta specializzazione, il corso Ingegneria dei veicoli elettrici e ibridi offerto dell’Università di Varsavia, Polonia. Presso l’University College of Southeast Norway, Porsgrunn, è possibile invece integrare la laurea in ingegneria elettrica con un focus sul design intitolato System Design applied to Electric and Hybrid Vehicles.

PROSPETTIVA Ci saremo chiesti almeno una volta: quando avremo tutti le auto elettriche? L’obiettivo realistico per vedere un primo cambiamento è il 2030 quando, secondo la Fondazione Symbola, in Italia circoleranno sei milioni di auto elettriche. Avere prospettiva è giusto, ma ci vogliono gli strumenti giusti. Mobilità sostenibile non è solo ingegneria, ma design, comunicazione, progettazione, sicurezza, etc.. E nonostante i tempi che stiamo vivendo siano eccezionali, ciò non esclude (anzi rafforza) la necessità di transizione dal vecchio al nuovo, dal troppo al possibile.


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TEST AUTOMOTIVE: LA VIA ITALIANA ALLA SPERIMENTAZIONE Da Parma all’autostrada Roma-Fiumicino come cambiano auto e strade mentre nascono piccoli hub dedicati ai test cittadini di Alessia Laudati

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er lanciare un’auto driverless ci vuole un test. Quello che serve a mettere sotto stress l’intelligenza artificiale e la sensoristica del mezzo prima di poter pensare a qualunque commercializzazione. Ma una macchina-robot come diventa pronta per la strada? Dove si svolgono le prove? Qual è la situazione nel nostro Paese?

In Italia l’anno zero è il 2018; con il decreto legge Smart Road il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ha assunto un ruolo chiave nella sperimentazione dei veicoli a guida automatica e connessa. Il testo è servito a normare i test su strada pubblica e a individuare i parametri per il rilascio delle autorizzazioni alla sperimentazione sia per i soggetti pubblici che per quelli privati. Per esempio si è stabilito che per ottenere l’autorizzazione è necessario che la vettura sia in grado di compiere tutte le manovre senza alcun intervento umano, tranne per i casi di emergenza e che abbia una

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omologazione stradale nella sua versione tradizionale. Un buon segnale lo dà comunque la ministra Paola De Micheli che ha in mano un nuovo regolamento per i controlli su strada che allarghi la platea dei partecipanti. Tuttavia è bene ricordare che nel nostro Paese si parla solo di guida semi-autonoma; ovvero la condotta che avviene in ogni caso in presenza di un guidatore. Regole a parte, da quando è stato varato il provvedimento-pilota, solo nel 2019 è arrivato l’ok alla prima autorizzazione. VisLab, azienda che nasce italiana poi controllata dalla californiana Ambarella, ha potuto guidare sulle strade di Parma. I collaudi hanno testato le capacità di circolazione del veicolo nel traffico cittadino e in particolare i sistemi di percezione visiva e mediante radar, il sistema di pianificazione del percorso e il comportamento del veicolo nelle intersezioni, negli incroci e nelle rotonde. A Modena invece è attivo il Masa, Modena Automotive Smart Area, un laboratorio a cielo aperto nella città che testa le auto. Come viene misurato il tracciato? Dal punto di vista tecnico le auto autonome hanno diversi ‘visori’. Dal Lidar, uno scanner evoluto che tiene conto della distanza dall’oggetto, alle telecamere che monitorano la segnaletica, fino alla raccolta dei dati sul traffico in modo da armonizzare andatura ed effettuare la comunicazione tra mezzi. Eppure guardando la big picture, c’è un aspetto da sottolineare; le macchine intelligenti hanno bisogno di strade intelligenti. Cioè percorsi e segnaletiche dotate di sensori capaci di interfacciarsi con quelli dei veicoli tramite la rete wi-fi e 5G. Per questo è nata Smart Road Anas, costola del colosso stradale che tra i tanti progetti si dedicherà a rendere tecnologica la Salerno-Reggio Calabria e la Roma-Fiumicino (per le driverless poi si vedrà). E all’estero? Waymo il 15 ottobre ha debuttato con i suoi robot-taxi a Phoenix in Arizona. I veicoli circolano in un’area circoscritta e sono dotati – solo alcuni – di un assistente di bordo. Tuttavia quando si parla di test drive entriamo nel campo del mistero e del segreto industriale; basti pensare che nel 2019 per osservare in azione un’auto Waymo – azienda del gruppo Google - c’è voluta la curiosità e il ruolo sociale di un giornalista di TechCrunch. Del resto le aziende sono gelose di mostrarsi pubblicamente vulnerabili o al contrario competenti durante un momento che potrebbe danneggiare fortemente l’immagine del brand o esporre al rischio di qualche furto di informazioni. Per non parlare di quando accadono veri e propri incidenti. Nel 2018 una self drive di Uber investì una ciclista a Temple in Arizona nonostante la guida fosse assistita. Se gli aspetti da tenere in considerazione sono tanti ma rispetto ad altri Paesi, l’Italia è ancora indietro. Di certo alcune sfide lanciate pubblicamente al mondo spingono verso l’innovazione. Come quella di Elon Musk che ha dichiarato il lancio della Tesla con guida totalmente autonoma. Quindi i prossimi ad andare in pensione saranno gli assistenti di bordo; e per i più futuristici il loro pensionamento è una buona notizia.


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Le migliori startup nella mobilità sostenibile

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>>> Bluedot: l’Airbnb degli stalli per caricare veicoli elettrici. L’app fa da ponte tra i chargers, chi possiede un caricatore privato, e i drivers che hanno bisogno di fare il pieno di energia. L’azienda sfrutta la presenza sparuta di colonnine elettriche in città e al contempo sollecita l’acquisto di charger domestici.

>>> Greenrail, orgoglio made in Italy tra le 50 finaliste allo European Startup Prime per la mobilità. L’azienda si occupa di produrre traversine per linee ferroviarie, l’anima è in cemento armato ma il rivestimento è in plastica riciclata. Vantaggi principali: costi inferiori, maggiore resistenza, minor impatto ambientale.

>>> 2Hire. Annata 2015, fondata a Roma, 2Hire propone una soluzione plug and play connettendo veicoli e utenti attraverso un device installato nella porta Obd. Il tutto tramite app, come una chiave digitale. Ha chiuso quest'anno un round di investimento da 5,6 milioni di euro guidato dal fondo Programma P101 sgr.

>>> di Salvatore Tancovi e Danila Giancipoli

>>> Chargery è una startup tedesca che offre diversi servizi dedicati alle aziende nel business della sharing mobility. Business to business, in pratica. Il caricamento dei veicoli elettrici è la loro specialità, si candidano a essere gli angeli custodi delle tante flotte di auto green in città.

>>> L’italo-americana Helbiz è stata la prima società a portare i monopattini elettrici nel Belpaese. USA, Spagna, Francia e in ben 14 città italiane, Helbiz vuole essere la regina del free floating e continua il processo di espansione. Intanto la micromobilità elettrica sta cambiando il modo di spostarsi in città.

>>> Pony, francese. Propone un modello diverso di free floating: partecipativo. Le persone possono acquistare i mezzi e avere due vantaggi: non pagare più i noleggi e guadagnare una percentuale da quelli degli altri. Si prova così a rendere più responsabile il rapporto con i mezzi a noleggio.

Swascan: piattaforma italiana in cloud progettata per rafforzare la cyber security nel campo della mobilità elettrica, è stata selezionata dall’European Cyber Security Organisation tra le 20 startup più promettenti d’europa. E’ la prima nel suo genere disponibile sia In Cloud sia On Premise, SaaS e All-in-One.

>>> Hurba. Non solo una startup, ma “la storia di un ragazzo di 24 anni che ha percorso più di 10.000 KM in Cina per realizzare il suo sogno”, così si descrive l’azienda dal concept italiano e produzione cinese nata del 2017. Hurba produce e vende scooter elettrici, con arrivo previsto in Italia nel 2023.

>>> Daze Technology. La startup bergamasca nata nel 2016 è stata la prima a sviluppare un sistema di ricarica conduttiva automatica per auto elettriche. Nel 2019 DazePlug riceve il “Seal of Excellence” dalla Comunità Europea: è un sistema autonomo e conduttivo di alimentazione che elimina il cavo di ricarica riducendo l'intervento umano.

>>> E-GAP. Startup attiva dal 2019 a Milano, E-GAP offre Van attrezzati per fornire ricarica elettrica: chi possiede un veicolo può lasciarlo dove preferisce richiedere il servizio tramite app. E’ un progetto al 100% Made in Italy realizzato insieme al gruppo MetaSystem. Presente anche a Roma, la società punta all’Europa.

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IL LAVORO DELLO SPIRITO

LIBRERIA

Massimo Cacciari - Adelphi “Il lavoro dello spirito”, per come lo intese Max Weber a inizio novecento, riguarda quel lavoro che potremmo definire “creativo”, il lavoro che ti autodetermina, il lavoro nel quale ti rispecchi e che, marxianamente, mette in scacco il concetto di alienazione capitalistica. Può allora lo spirito competere, o convivere, con le richieste del capitalismo contemporaneo?

Letture per capire l'economia di oggi

a cura di Lorenzo Sassi

PACHIDERMI E PAPPAGALLI BREVE STORIA DELL’ECONOMIA Niall Kishtainy - Il Saggiatore

Carlo Cottarelli - Feltrinelli Siamo costantemente immersi in un mare di fake news. Queste non riguardano solo fatti di cronaca ma anche questioni economiche. In questo testo Carlo Cottarelli prova a mettere ordine al disordine, dalle bufale sui tecnocrati adoratori dell’austerity fino a quelle sull’Ue, facile bersaglio delle demagogie politiche contemporanee.

Stando a una ricerca del 2018 dal titolo “Measuring the financial literacy of the adult population: the experience of Banca d’Italia”, rispetto agli altri paesi Ocse, in merito alla conoscenza di elementi - anche solo basici - di economia o finanza, l’Italia è in netto ritardo. Uno dei fattori che più incide è il basso, quanto diffuso, livello d’istruzione. Pure tra i giovani: il 20% di questi non riesce a raggiungere la sufficienza nella comprensione di fenomeni finanziari quotidiani. Il Saggiatore viene in aiuto con un testo semplice ed efficace di Niall Kishtainy: Breve storia dell’Economia. L’autore, giornalista e professore alla London School of Economics, ripercorre i tratti salienti della storia dell’economia. Il testo non si limita a tracciare diacronicamente il percorso che va dal baratto alle criptovalute. Kishtainy va oltre: cos’è l’economia oggi? Che cosa invece la finanza? Perché mi riguarda da vicino e quali sono le sfide che ci attendono domani? Queste le domande a cui si cerca di rispondere.

RADICAL CHOC Raffaele Alberto Ventura - Einaudi Dopo Teoria della Classe Disagiata e La Guerra di Tutti, Raffaele Alberto Ventura chiude il teorico cerchio con Radical Choc: un testo che con amara schiettezza cerca di definire la dimensione della tragedia sociale, culturale e politica in cui oggi siamo immersi. E se chi definisce la nostra esistenza, che è più preparato di noi, non avesse idea di che cosa verrà?


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LIFESTYLE di Margherita Peritore

la nuova agenzia di Relazioni pubbliche e istituzionali la nuova agenzia di Relazioni Pubbliche e Istituzionali

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elle benamate trattorie capitoline si canta “’E mie farfalle nello stomaco so ar ragù”, avrei amato citare Virginia Woolf ma d’altronde come gli aforismi romani nessuno mai. Possibile conseguenza del “vademecum per fare bene la spesa” o delle scuse travestite da voglie dolci e amare 2 italiani su 2 si sono cimentati nella preparazione di almeno un manicaretto quarentiniano. Eppure Netcomm, Consorzio del Commercio Digitale Italiano, certifica il boom delle vendite online per i prodotti alimentari.

Incredibile? Si. Il lockdown ha certamente contribuito al decollo del business, il 2020 ha visto un’esplosione nelle vendite digitali di prodotti confezionati di largo consumo che settimanalmente hanno tenuto una crescita mai inferiore al 50%, con il canale virtuale che ha raggiunto picchi del 288 percento. E quindi al “Basta così?” preferiamo “Vai al checkout?”? Pare proprio di si, il comparto alimentare si impone come uno dei protagonisti nella crescita e diffusione dell’e-commerce con una penetrazione pressoché raddoppiata durante il lockdown, quando il 17,2% dei consumatori ha acquistato almeno una volta attraverso il web. Dicono che, data la criticità del momento siamo riusciti ad imporre un cambiamento delle abitudini ad una velocità di adattamento che in tempi normali non sarebbe stata possibile; ed è qui che vi interrogo.Perché in tempi normali non saremmo stati pronti? A volte la storia ci impone dei cambiamenti ma, d’altronde, l’innovazione è come sapere che qualcuno ti sta cercando e che ti troverà, come quando giocavamo a nascondino.


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RUBRICA

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ta, anche perché i giocatori che si misurano in tornei, come l’International di Dota 2 si contendono un montepremi da capogiro, del valore di 34 milioni di dollari. Al punto che solo nel 2019 il sito di Fiverr ha registrato sulla propria piattaforma oltre 80.000 ricerche per figure professionali quali il coach di eSport.

il lavoro del futuro

Nel frattempo in Italia, il 22 maggio 2020 il Presidente del CONI Giovanni Malagò ha dato incarico a Michele Barbone del Comitato Promotore E-Sports Italia affinché proceda a sviluppare le attività necessarie a portare al riconoscimento della Disciplina Sportiva degli E-Sports.

Cosa farò da grande?

Come si diventa allenatore di videogiocatori? di Sofia Gorgoni

La risposta è semplice: giocando. Ad oggi, infatti, i coach non hanno qualifiche specifiche, ma a fare la differenza sul guadagno sono il numero di vittorie conseguite. Quanto guadagna un coach di esport?

Allenatore di ESport

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el 2019 a livello globale l’intero settore è arrivato a valere un miliardo di dollari. Il mondo degli esport elettronici ha visto una crescita esponenziale e le stime prevedono che raggiungerà quota 1,7 miliardi entro il 2021. Il nuovo settore ha messo in campo anche figure professionali inimmaginabili fino a qualche anno fa, come l’allenatore di eSport.

Sempre più giocatori stanno investendo in tutor personali che li aiutino a progredire e a raggiungere risultati. La tendenza era già stata confermata nel 2018 da Technology Review, la prestigiosa rivista del Mit di Boston che sdoganava l’allenatore di esport come mestiere. Un ruolo chiave, insomma, che non ha subito battute d’arresto durante l’emergenza Covid (il distanziamento è assicurato). Questa figura è già molto ricerca-

Secondo il Wall Street Journal esistono già circa 1400 coach e la maggior parte si pubblicizzano sui social, incluso Twitch, frequentato da appassionati di gioco. E i guadagni si aggirano tra i 30mila e i 50mila dollari l’anno. Chi paga i coach? Spesso sono proprio i genitori, allettati dal facile guadagno. Un torneo di Fortnite, infatti, può avere un montepremi fino a 100mila dollari. Quanto saranno richiesti in futuro? Uno studio della Ryerson University si spinge oltre e stima che le stelle degli esport presto potrebbero guadagnare più dei migliori atleti del mondo. D’altronde in America il settore sta prendendo forma già da qualche anno, ma si affaccia timidamente anche Europa, in particolare nel Regno Unito, dove su siti dedicati i giocatori di talento mettono in vendita la loro expertise. Attenzione però: non è un lavoro per tutti. Come spiega il fondatore del sito Bidvine in un’intervista all’Independent, ai potenziali allenatori si chiedono prove di abilità e, soprattutto, la capacità di trasmettere il proprio talento agli studenti.

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Innovazione e sostenibilità raccontate dagli under 35

Pierangelo Fabiano Raffaele Dipierdomenico

Gaia Saponaro

Sofia Gorgoni

Gianluigi Servolini

Beniamino Pagliaro The New’s Room Srl Gian Luca Atzori Mariachiara Bo Laura Bonaiuti Marco Bova Giulia Elia Danilo Garcia Di Meo Danila Giancipoli Eugenio Giannetta Sara Giudice Ilaria Lagioia Alessia Laudati Livia Liberatore Giulia Lucchini Francesco Malfetano Irene Masala Pietro Mecarozzi Roberto Moliterni Vittoria Serena Patanè Filippo Poltronieri Elena Pompei Francesco Rivano Roberto Maria Rotunno Luca Sandrini Veronica Andrea Sauchelli Lorenzo Sassi Antonella Scarfò Salvatore Tancovi Greta Ubbiali

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