LA VERA SFIDA DEL FINTECH È IL CREDITO

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Numero 16 28 Maggio 2019 GIUGNO 2019

L'economia raccontata dagli under 35

COPIA OMAGGIO the-newsroom.it

DIGITAL HEALTH ECONOMY

La medicina dell’AI e dei Big Data Intervista a Mario Rasetti

Il modello Wellness di Technogym Intervista a Nerio Alessandri

POSTE ITALIANE S.P.A. SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - 70% S/CE/16/2018

Un nuovo paradigma: da cura a benessere


PROLOGO

Misuriamo quanti passi facciamo ogni giorno, come ci nutriamo e sempre più spesso il compito è semplice, automatico. Un mare di dati viene prodotto, a volte senza che ne siamo pienamente consapevoli. Sono però dati che possono aiutarci a vivere meglio e vivere più a lungo. Nella digital health c’è una delle rivoluzioni più travolgenti di questi anni. L’Italia ha un ruolo importante, tra ricerca scientifica e applicazioni che hanno una conseguenza concreta nella vita delle persone. Con questo quarto numero, The New’s Room racconta l’evoluzione in corso, individua in protagonisti di oggi e quelli futuri, intervista due figure chiave del settore, alla ricerca di un nuovo equilibrio che contempli al tempo stesso il rispetto dei dati personali, della privacy di ognuno, e la comprensione del beneficio alla collettività portato dall’analisi dei big data. Buona lettura! Pierangelo Fabiano, Fondatore


INDICE

EDITORIALE di Barbara Gasperini

L

a tecnologia può farci superare i limiti imposti dalla natura? Nell’era in cui il progresso

2

Editoriale

4

Uno sguardo ai numeri di Elena Pompei

scientifico e l’evoluzione del digitale si sviluppano ad una velocità esponenziale la risposta,

Top 5

se pur con vigile spirito critico e doverose implicazioni etiche, filosofiche e sociologiche, è

“SI”. Oggi le Big Company del settore Health, Life Science e Pharma percorrono sperimentazioni artificiale, la robotica, l’informatica applicata, etc... Stiamo approdando a quello che alcuni futuristi visionari hanno definito Transhumanism, o evoluzione autodiretta, una nuova frontiera della nostra specie che ha come obiettivo il potenziamento della struttura biologica attraverso l’ausilio di tutta la tecnologia e la scienza possibili. Diventare più longevi, più forti, più veloci, più resistenti è un’opzione non certo spiacevole ma che implica non trascurabili controindicazioni: siamo pronti a diventare una specie artificiale? In realtà lo siamo già da parecchio tempo secondo il saggio “La Specie Artificiale” del filosofo Riccardo Campa in cui l’evoluzione autodiretta appare

8 Numero 16 | Maggio 2019 the-newsroom.it

che necessariamente implicano strumenti come le nanoscienze, gli smart materials, l’intelligenza

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futurologi passando in rassegna quelle che sono le attuali soluzioni - in alcuni casi non sperimentali

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Il digitale cambia paradigma: da cura a benessere di Elena Pompei

Siamo una folla di dati di Lorenzo Sassi

Intervista 17 20

La medicina dell’AIe dei Big Data ma il fattore in più resta quello umano di Luca Sandrini

Wellness, innovazione e digitale di Lorenzo Sassi

ma già applicate - al “modesto” problema della morte. Ispirati dalla fotografia di questo scenario

Focus

abbiamo ritenuto percorribile un approfondimento sul cambio di paradigma che da “cura” diventa quello di “benessere” come indaga la Cover Story di questo quarto numero di The New’s Room.

di Danila Giancipoli

Controcanto

decisamente accelerato i tempi dei percorsi evolutivi darwiniani e molti oggi sono i progetti in macchina”, il giornalista e saggista Mark O’Connell viaggia attraverso cyborg, utopisti, hacker e

5 startup da tenere d’occhio nella digital health

Cover Story

come palese conseguenza dell’evoluzione biologica e sociale. Eppure la digital disruption ha itinere che potrebbero farci superare quei limiti ormai quasi raggiunti. Nel libro “Essere una

di Barbara Gasperini

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Il futuro della medicina? La digital health gestita da medici in carne e ossa

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Salute e internet: l’importanza dei beni comuni

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Lo smartphone ci vuole in forma

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Quanti chilometri hai corso oggi?

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Digital health? Non esageriamo: in atletica il medico rimane più affidabile

Artificiale e la Cybersecurity nelle loro strutture per abbandonare il modello “Standard Care”

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Figli della notte e schiavi delle tecnologie

e passare a quello più evoluto di “Smart Care” dove il controllo a distanza dei pazienti permette

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La dieta a domicilio arriva con le startup

Controllare i parametri vitali del nostro organismo, correggere le abitudini alimentari, regolare le attività quotidiane e sportive, pianificare le ore di sonno e di veglia. Sono azioni che, grazie al digitale, non necessitano apparentemente quasi più dell’ausilio di un medico specializzato perché integrate già nei nostri smartphone, smartwatch e presto lo saranno in ogni oggetto wearable o chip sottocutaneo. Del resto, anche per il nostro Servizio Sanitario Nazionale i nuovi strumenti digitali rappresentano un’opportunità per migliorare i processi di cura e i servizi erogati. I medici oggi discutono di come introdurre i Big Data, la Blockchain, il Machine Learning, l’Intelligenza

maggiore puntualità, talvolta precocità, nella diagnosi e nelle cure, aumentando così l’aderenza

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e controllo vocale nelle sale operatorie (le tre sale dell’A rea Cardiovascolare del Policlinico Gemelli sono un’eccellenza italiana) ma abbiamo bisogno di “ri-umanizzare” la sanità”. Significa costruire nuove relazioni tra le persone e i luoghi di cura perché l’ospedale del futuro possa offrire l’adeguato recupero fisico e quel benessere emozionale e psicologico che davvero può fare la differenza.

di Pietro Mecarozzi di Barbara Polidori

Una malattia incurabile che non avrò mai più

Rubriche

dell’A rea Cardiovascolare del Policlinico Universitario Agostino Gemelli, dopo decenni nei

riferimento l’essere umano non si sbaglia - mi dice - scienza e non solo tecnologia. Avremo domotica

di Livia Liberatore

di Alessia Laudati

affidarsi pienamente alla macchina? Secondo il cardiochirurgo Prof. Massimo Massetti, direttore

“sapere”, è arrivato il momento di riflettere sul modo di curare. “Quando si prende come punto di

di Salvatore Tancovi

Racconto

sono al centro e parte attiva di questo nuovo approccio alla salute e al benessere che promuove

quali il progresso tecnologico e scientifico ha costruito in Italia una sanità sulle competenze e sul

di Luca Sandrini

di Vittoria Patanè

alle terapie e abbattendo i ricoveri ospedalieri, quindi i costi sociali. Cittadini, pazienti, persone l’utilizzo della tecnologia seppur con una riserva: è davvero un’evoluzione del modello di cura

di Luca Sandrini

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L'oggetto dell'economia: lo pneumatico

46

Libreria

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L’agenda del Ceo

50

Il lavoro del futuro

di Danila Giancipoli di Eugenio Giannetta di Barbara Gasperini di Sofia Gorgoni


6

7

NUMERI

Internet of Things vs Smartphone Nel 2018 c’è stato un calo nei sensori e nei “wearables” (non solo smartwatch) del 16%, mantenendo

uno sguard0 ai numeri

l’utilizzo della connessione delle App ai device attorno al 42%. Si ritiene che questi strumenti saranno superati nei prossimi 5 anni, portando ad un 65% di impiego dei sensori interni agli smartphone (misurazione del battito cardiaco con la telecamera, etc...) (Report 2017/2018 di Research2guidance)

APP Il 49% dei creatori di m-Health App stanno integrando la funzionalità di inserire le cartelle mediche elettroniche nelle App. (Report 2017/2018 di Research2guidance)

Mercato “Mobile Health” Nel 2017 si è rilevato, su un campione di 2.400 esperti, che la maggioranza degli soggetti coinvolti

di Elena Pompei

nella mobile health proviene dall’industria della salute (60%): compagnie farmaceutiche, creatori di macchinari medici, assicuratori sanitari, ospedali. Il rimanente 40% sono compagnie IT, sviluppatori, compagnie di consulenza, università, NGO. Il mercato della sanità digitale si caratterizza per un livello

WWW.

di esperienza relativamente basso: il 28% dei soggetti in campo è entrato nel mercato negli ultimi 2

Persone che hanno usato internet per cercare informazioni sulla propria salute negli ultimi tre mesi:

anni. Il 67% ha meno di 5 anni di esperienza.

Media Europea 60%. Croazia, Lussemburgo e Malta superano il 70% mentre l’Italia è terzultima con un 45%, seguita da Irlanda e Bulgaria, comunque sopra il 40%.

Spesa Sanitaria

(2016, I-Com con i dati della Commissione Europea)

Nel 2020 si stima una spesa sanitaria globale di 8,7 migliaia di miliardi $. + 4% nel periodo 2017 –2021. (NetConsultingcube suGlobal Health Care Outlook 2018, Deloitte e ISTAT 2016)

2013

(Research2guidance)

2014

2015

2016

2017 E

degli strumenti accessori, presentando

2012

2014

Cyprus

Greece

Slovenia

Bulgaria

Malta

Austria

Ireland

Romania

Latvia

Slovakia

Poland

Italy

France

Germany

Portugal

Croatia

Czech Republic

L’81% di tutte le m-Health App utilizzano

0%

EU-28

3.2 M LD

5%

Luxembourg

Windows Phone Others

3 MLD

10%

United Kingdom

IOS

15%

Netherlands

2015 2016

1.7

20%

Sweden

2.3

2.3 M LD

25%

Lithuania

+36%

1.7 M LD

30%

Belgium

Android

35%

Estonia

2013 2014

3.2

40%

Finland

+35%

3.0

(I-Com elaboration on Europen Commission data)

45%

Spain

+7%

3.7

Patients making an appointment with a practitioner via a website 50%

Denmark

+16%

Numero di Download di m-Health App

% of internet users (last 3 months)

Numero di e-Health App presenti negli stores digitali. iOS vs Android

2016

4 volte più download delle App

Nel 2017 il 32% degli italiani ha utilizzato servizi digitali per raccogliere informazioni sulle strutture sanitarie,

che non ne impiegano.

il 22% per prenotare servizi come il check-up, mentre il 18% lo ha fatto per controllare referti medici o ricevere

(Report 2017/2018 di Research2guidance)

promemoria su visite mediche; solo l’11% dei cittadini ha utilizzato strumenti digitali per pagare servizi sanitari (Osservatorio Innovazione Digitale in Sanità, Politecnico di Milano, Maggio 2017)


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NUMERI

SCELGONO PIRELLI.

Spesa europea in e-Health

Spesa italiana in e-Health

Si registra un incremento ogni anno nella spesa

In Italia gli investimenti per la digitalizzazione del-

pubblica nel settore e-Health, che nel 2017 ha rag-

la salute sono ancora limitati: si parla infatti di 1,3

giunto quasi 153 mln di euro, con un impatto sul PIL

miliardi di euro di spesa per la salute nel 2017.

pari al 9% . (OECD)

(Osservatorio Innovazione Digitale in Sanità, Politecnico di Milano, 2018)

12

L E M I G L I O R I C A S E AU TO

900

2,38

794

BOOM DI INVESTIMENTI NELL' e-Health

9

In miliardi di dollari

3

i finanziamenti

647

6

700

658 596

550 500

477

284

155

300

0,235 100

0 1,2 2010

per le startup del digitale

Conteggio affari (scala Dx)

2,0 2011

2,3 2012

IV Quadrimestre(scala Sx)

2,9 2013

7,2 2014

III Quadrimestre(scala Sx)

6,2 2015

8,2 2016

II Quadrimestre(scala Sx)

11,5 2017 I Quadrimestre(scala Sx)

(Sole24Ore - Rapporto Startup Health)

App Fitness Da una recente ricerca è emerso che l’81% degli intervistati ha dichiarato di fare uso di questa tipologia di App. Il 18% le utilizza per monitorare i propri stili nutrizionali, il 14% per le funzioni corporee e promemoria per i farmaci, fino ad arrivare al monitoraggio dei pazienti (3%). Statista Global Consumer Survey, Giugno 2018

Mercato della sanità in italia nel 2017

Canali di interazione digitali della sanità pubblica con il cittadino in Italia (valori % su totale aziende)

Mercato Digitale Sanità su totale GDM:

2,4%

Mercato digitale per abitante:

1.136€ Mercato sanità digitale per abitante:

27,3€

Peso GDM Sanità su Spesa Sanità: 1,5% (Media europea 2/3%) Spesa per Smart Health:

13% (11,4% + nel 2018) (NetConsultingcube, 2018)

APP

Piattaforme web:

52% Nessuna adozione 21% In fase sperimentale 10% Piena adozione 17% Adozione in previsione

54% Nessuna adozione 10% In fase sperimentale 19% Piena adozione 17% Adozione in previsione

E TU?

Social: 60% Nessuna adozione | 10% In fase sperimentale 21% Piena adozione | 10% Adozione in previsione (NetConsultingcube, 2018)

PIRELLI E LE MIGLIORI CASE AUTO UNISCONO LE LORO FORZE PER CREARE IL PERFECT FIT TRA PNEUMATICO E AUTO. GLI INGREDIENTI DI QUESTA COLLABORAZIONE S O N O T E C N O L O G I E , P R O C E S S I E M AT E R I A L I D E D I C AT I . M I S C E L A N D O SAPIENTEMENTE QUESTI ELEMENTI, CHE GLI INGEGNERI IDENTIFICANO FIN DALLA FASE DI PROGETTAZIONE, PIRELLI È IN GRADO DI SVILUPPARE PNEUMATICI MARCATI SU MISURA PER OGNI MODELLO DI AUTO. AL PROSSIMO CAMBIO GOMME CHIEDI AL TUO GOMMISTA PNEUMATICI PIRELLI MARCATI. LI RICONOSCERAI DA L L A M A R C AT U R A S U L F I A N CO D E L L A G O M M A E DA L L E P R E S TA Z I O N I CHE ASSICURANO ALLA TUA AUTO. SCOPRI DI PIÙ SU PIRELLI.IT/MARCATE


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5 TOP

TOP 5

5 Startup da tenere d’occhio nella Digital Health di Danila Giancipoli

Brain Control

Un joystick mentale, un device capace di superare le disabilità motorie. Il progetto della Pmi Liquidweb, recentemente finanziato da Seed Ventures per un valore di 2,5 milioni di euro, traduce gli impulsi elettrici del cervello tramite bio-feedback. La tecnologia Bci (Brain Computer Interface) viene indossata dai pazienti sotto forma di casco, permettendo la visualizzazione delle risposte in un tablet. Obiettivo: dare voce al pensiero e rivoluzionare l’interazione uomo-macchina tramite AI.

Cellply Startup del Life Science fondata nel 2013 da un gruppo di ricerca dell’Università di Bologna. Obiettivo: prevedere l’efficacia dei farmaci antitumorali utilizzando un sistema di diagnostica in vitro, a sua volta in grado di testare la risposta cellulare del paziente a specifici trattamenti (prevista in sole 24 ore di tempo). Come? Attraverso il progetto Oncosmart, beneficiario di un finanziamento di ore 2,3 milioni di euro dalla Commissione Ue nell’ambito del programma Horizon 2020. Motto: the right drug for the right patient.

TOP 5

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EpiCura Primo ambulatorio virtuale, o digital health platform. Oltre 200 pazienti coinvolti al giorno con un fatturato di quasi 25mila euro al mese. I fondatori, tra i trenta imprenditori italiani da tenere d’occhio nel 2019 secondo Forbes, offrono un servizio capace di garantire prestazioni sanitarie e socioassistenziali entro 24 ore dalla richiesta. La tecnologia semplifica la vita dei pazienti e crea allo stesso tempo una rete online di professionisti. La startup è stata selezionata tra le venti partecipanti all’edizione 2019 del programma B-Heroes su Sky Uno.

D-Heart Nell’ambito del Mobile Health, il device elettrocardiografico progettato da D-Heart registra l’ECG trasferendo i dati raccolti a uno smartphone. Fondata nel 2015, la startup nasce con la missione di garantire un’assistenza a livello ospedaliero che sia rapida, wearable e connessa ai servizi di referto medico remoto (tele-cardiologia). L’azienda ha raccolto 350 mila euro in tutto il mondo, raggiungendo un mercato di 7 Paesi dal 2018.

BionIT Labs Tecnologie informatiche legate alla bionica. La startup nasce nel 2018 a seguito del successo ottenuto con il progetto Adam’s Hand: una protesi miolettrica della mano basata su meccanismo patent-pending. Presentato al CES 2019, rappresenta la filosofia aziendale di adattamento e superamento delle barriere fisiche. Missione: sviluppare dispositivi medicali con l’obiettivo di trasformare le disabilità in nuove possibilità, adeguandone il potenziale all’ambiente circostante. La tecnologia risponde alla necessità dell’individuo attraverso strutture esteticamente futuristiche e tecnicamente responsive.


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COVER STORY

Il digitale cambia paradigma: da cura a benessere Come il nuovo modo di concepire la salute segue e accompagna il progresso

di Elena Pompei

D

iagnosi in pochi attimi, terapie digitali, robotica articolare ed ingegneria genetica: anche il mondo della salute sta vivendo una nuova era. L’attenzione posta dalle piattaforme social alla cura di sé, e la successiva creazione di una varietà di applicazioni che assistono l’individuo nel quotidiano, sono le più varie derivazioni di un cambiamento fondamentale: la salute non può più leggersi come mera assenza di malattia. Le innovazioni tecnologiche stanno cambiando alla radice il modo in cui la persona percepisce la cura di sé, che si intende ormai come benessere psicofisico a tutto tondo. Questa nuova attenzione al modo in cui l’uomo intende se stesso, il proprio benessere e la propria malattia come parte del processo di cura e prevenzione segue un lungo processo di mutamento nell’approccio alla salute delle nostre società. La stessa Organizzazione mondiale della sanità legge e opera in relazione a questi cambiamenti, che si riflettono nelle numerose modifiche che l’Organizzazione ha apportato alla definizione stessa di salute, fino ad introdurre – nel suo ultimo aggiornamento – il modo in cui il soggetto reagisce alla propria condizione. Se fino a poco fa si ricorreva alla consulenza

COVER STORY

medica solo dopo il presentarsi di un sintomo, nel rapporto causale che lo legava alla ricerca di cure, è senz’altro il digitale ad aver cambiato il paradigma. Ne consegue che anche la relazione di cura medico-paziente ha subito una trasformazione, e potremmo pensare che se l’88 per cento delle persone ricorrono a ricerche in internet per trovare una diagnosi, simili figure abbiano perso la loro preminenza, quantomeno in una fase preliminare. Tuttavia, in un’era in cui l’incessante flusso di input ci lascia spesso domandare dove risieda la verità, il personale sanitario conserva il ruolo di solo depositario di un’informazione affidabile, assumendo una posizione di guidance. Nel passaggio dalla salute in senso stretto ad un benessere quanto più ampio possibile, anche il rapporto di cura con lo specialista cessa di essere solo subordinato alla presenza di un sintomo da curare, giungendo a divenire una relazione che si esprime in un accompagnamento continuo. Dalla centralità del sintomo si giunge così a un nuovo focus: la prevenzione. Ma qual è il suo volto nell’era digitale? Non si può negare che esistano due facce: l’eccessivo flusso di stimoli forniti dalle piattaforme social risponde ad esigenze che esse stesse hanno creato, generando un circolo di capitalizzazione dei bisogni (app, guide, libri, podcast) che non sempre soddisfa il bisogno fondamentale di benessere dell’individuo. Risponde, piuttosto, a quelle di un suo non ben identificato “star bene”. D’altro canto, però, i social hanno avuto il merito di portare la questione della salute psicofisica al centro del dibattito, contribuendo ad accrescere l’attenzione della società verso l’importanza della qualità della vita, a prescindere dall’esistenza di una patologia. La prevenzione, che assume le forme più varie – il mangiar sano, l’esercizio fisico, un ciclo del sonno ben equilibrato –, ha poi portato ad una nuova attenzione circa la totalità di elementi che costituiscono un vivere sereno e al massimo del suo potenziale. È pur vero che non di solo digitale vive l’uomo, e che l’innovazione sanitaria è nel suo momento di maggior contatto con la ricerca medica. Il potenziale delle biotecnologie nell’era dei dati è enorme, nonostante i nodi da sciogliere siano ancora numerosi rispetto ai settori per i quali big data e intelligenza artificiale hanno già rappresentato una svolta radicale. Le innovazioni in campo sanitario stanno rivoluzionando la ricerca, basti pensare

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COVER STORY

alle cellule staminali, che presentano due casi riusciti di totale remissione di soggetti affetti da Hiv nell’ultimo anno. Un secondo polo fondamentale della tecnologia sanitaria è senz’altro legato alla robotica biomedica, la quale presenta modelli in uso già da anni, quale ad esempio l’esoscheletro, un dispositivo che permette di aumentare forza e resistenza di chi lo indossa attraverso un sistema di articolazioni robotiche, motori e sensori. Il sistema viene utilizzato per attività di riabilitazione, per assistere soggetti affetti da paraplegia o addirittura in ambito militare, con funzione di supporto e potenziamento. In ultimo, un terzo settore in crescita esponenziale è quello dell’ingegneria genetica, la quale consiste in un insieme molto eterogeneo di tecniche che permettono di isolare geni, clonarli e impiantarli in un ospite differente dal soggetto originale. L'ingegneria genetica, che fa primariamente riferimento alle tecniche di alterazione del Dna, permette di produrre un gene più adatto dell’originale a rispondere ad esigenze specifiche. Se dunque la necessità della ricerca è evidente, e se l’implementazione di queste tecnologie si mostra sempre più necessaria, come stanno rispondendo i grandi sistemi nazionali e sovranazionali? Non stupisce che in Europa sia nato un Consiglio che riunisce i ministri della salute dei paesi membri che si riunisce trimestralmente per discutere di politiche comuni nel campo della sanità digi-

tale. È stato messo a punto, al termine del 2018, un primo piano d’azione che mira ad un sistema sanitario che poggia interamente sui dati, e seppure in forma embrionale tale progetto potrebbe rivoluzionare l’approccio alla sanità nel continente. Il punto più importante sembrerebbe essere l’implementazione di tecnologie blockchain in riguardo alla creazione di cartelle cliniche elettroniche che possano collegarsi ai documenti di identità dei singoli, così da consentire un accesso agevole alle informazioni in tutti i paesi membri. È chiaro che un progetto tanto ambizioso è ancora in fase di ideazione, e che i vincoli sono numerosi, ma se nel prossimo futuro ciò diventasse realtà l’Europa sarebbe il primo continente al mondo ad avere un sistema sanitario digitale tanto avanzato.

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COVER STORY

Siamo una folla di dati Big Data vuol dire anche identità digitali, informazioni: inscatolamento identitario di Lorenzo Sassi

P

oco più di un secolo fa, Gustave Le Bon parlava di “età delle folle”. Queste “folle”, a conti fatti, non solo si sono coagulate politicamente sotto diverse etichette - proletariato, fascisti, comunisti etc. - ma hanno impresso torsioni nella storia, piegandola a seconda delle proprie esigenze. Oggi, più che di folle di persone, si potrebbe parlare di “folle di dati”. E questi dati ci condizionano, volenti o nolenti, così come l’ideologia di una massa di persone raggruppate per un unico scopo ha condizionato (e condiziona ancora oggi) la storia, la nostra vita di tutti i giorni; in altri termini: il tempo e lo spazio nei quali ci si trova.

Tempo e spazio che sono stati progressivamente connotati in senso digitale. Luciano Floridi, filosofo all’Oxford Internet Institute, in “La quarta rivoluzione” (Raffaello Cortina Editore), parla di una vera e propria “ontologia della connessione”. Per Floridi le Ict (Information and Communication Technologies) sono diventate specifiche forze antropologiche, sociali ed ermeneutiche che definiscono costantemente il nostro mondo: “Ciò che è reale è informazionale e ciò che è informazionale è reale” (di hegeliana memoria). Ogni nostro gesto, ogni nostra azione, lascia tracce, impronte, dati (dove? nell’infosfera).

COVER STORY

Celebre è stato, non troppo tempo fa, il caso di Cambridge Analytica. L’azienda del miliardario Robert Mercer - mecenate conservatore che, tra le altre cose, sosteneva finanziariamente anche il sito di Alt-right BreitBart News di Steve Bannon che utilizzò i dati personali di 50 milioni di utenti Facebook, violando la privacy degli iscritti e strumentalizzando i dati stessi. Per Floridi quella che viviamo è l’era dell’iperstoria, a cui si è arrivati per gradi. Dalla “preistoria, in cui non ci sono Ict; la storia, in cui ci sono Ict che registrano e trasmettono informazioni ma le società umane dipendono principalmente da altre tipologie di tecnologie che riguardano le risorse primarie e l’energia; l’iperstoria, in cui ci sono Ict che registrano, trasmettono e soprattutto processano informazioni, in modo sempre più autonomo, e in cui le società umane dipendono in modo cruciale dalle Ict e dall’informazione in quanto risorsa essenziale per la loro stessa crescita”. Big Data vuol dire anche identità digitali, informazioni (grazie alle quali si può indirizzare più miratamente la pubblicità, conoscendo in anticipo i gusti e le preferenze dei consumatori), insca-

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tolamento identitario. Da ciò conseguono nuove categorie, e poi un diverso orizzonte di senso, nel quale differenze qualitative e quantitative tra individui (calcolabili in dati) comportano differenze di classe - o addirittura di ceto, come avviene nel film fantascientifico “Gattaca” (1997). Nel film di Andrew Niccol ci si para davanti un futuro dispotico nel quale a differenziare gli uomini sono dei “ceti genetici”: c’è chi è geneticamente programmato (dalla fase embrionale), e quindi letteralmente programmato per fare una determinata cosa piuttosto che un’altra; e poi ci sono tutti gli altri, quelli concepiti “naturalmente”, cioè alla vecchia maniera, tramite un amplesso — e quindi senza alcuna modifica genetica — cui sono precluse alcune professioni o ambienti sociali. A novembre 2018 una notizia ha avvicinato di molto il mondo reale a quello biopunk di Niccol. He Jiankui della Southern University of Science and Technology di Shenzhen aveva annunciato di aver modificato geneticamente gli embrioni di due gemelle. All’Associated Press He ha spiegato di averle immunizzate dall’infezione da Hiv, il virus dell’Aids, tramite una tecnica di editing genomico (Crispr). Il fatto mette in luce da sé alcune implicazioni, sia biologiche che etiche. Interrogarsi sulle Ict, sull’infosfera, non significa solo sottolineare, come già aveva fatto Eco, che si è dato voce a una “massa di imbecilli” o che, come indica il filosofo Byung-Chul Han, siamo immersi in una “tempesta di merda”. Ma significa anche osservarne i lati positivi, mantenendo la debita distanza etica dall’eccesso di datificazione del reale e dalle implicazioni esistenziali in stile “Gattaca”.


INTERVISTA

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La medicina dell’AI e dei big data ma il fattore in più resta quello umano Intervista a Mario Rasetti, uno dei massimi esperti mondiali di big data, nonché presidente di ISI Foundation, sul valore della tecnologia in campo medico e il cervello umano come valore aggiunto

di Luca Sandrini

S

sunday

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cenari futuri ma non troppo lontani. La tecnologia e i big data controlleranno il settore sanitario, mentre i medici interverranno solo in casi di emergenza. Fantascienza? No, ma secondo Mario Rasetti, uno dei massimi esperti mondiali di big data, nonché presidente di ISI Foundation, l’istituto da lui fondato nel 1983 a Torino oggi all’avanguardia nella scienza di sistemi complessi, AI, algoritmi e machine learning, il cervello umano avrà sempre la meglio sulla macchina e piegherà le profezie tanto paventate ai giorni nostri. Professor Rasetti, quanto può influenzare gli sviluppi della medicina l’utilizzo e la comprensione dei big data? “Moltissimo. Per spiegare meglio lo scenario: noi oggi siamo in grado di fare il profilo digitale sanitario di una persona a partire dal livello microscopico, quindi il genoma, tracciando tutta la storia clinica. Dall’altro lato c’è Watson Health: una macchina intelligente che ha letto circa 35 milioni di articoli scientifici e di medicina e, grazie a dei programmi di AI, riesce a metterli in correlazione. Quindi, la persona in questione entra in Watson Health con alcuni sintomi e con il profilo digitale, e in pochi minuti questa ne fa uno o più scenari di diagnosi possibili. Successivamente si può andare dal medico, ma la potenzialità di questo strumento è inaudita”.


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Significa che cambierà per sempre la professione del medico? “Cambierà e sarà difficile da gestire. Recentemente sono stato a Houston alla facoltà di medicina: lì le grandi operazioni vengono provate con grandi simulatori in grado di fornire al chirurgo il livello di pressione che deve esercitare col bisturi. Sono rimasto molto impressionato, in quanto quella macchina avrebbe potuto sostituire tranquillamente il medico. E parlando con alcuni luminari dell’Università mi sono reso conto che in realtà loro sono già preparati all’idea che il chirurgo stia in sala operatoria solo per le emergenze. La domanda quindi che ci dobbiamo porre è: un chirurgo è un grande chirurgo se ha eseguito migliaia di operazioni, se il chirurgo deve stare seduto mentre il robot opera, non ci saranno più grandi chirurghi e allora chi mettere in sala operatoria?”. Quali sono i compiti e le responsabilità di medici e scienziati in questa complessa evoluzione? “Credo che la cosa corretta sarà quella di utilizzare nel miglior modo possibile queste tecnologie, ma non abolire mai il fattore umano. Anche se Watson Health genera una diagnosi impeccabile, lei va dal suo medico perché la conosce personalmente, conosce la sua storia, la sua psicologia. La stessa cosa per la sala operatoria: è giusto l’utilizzo del robot per operazioni a livello micrometrico, ma non credo sia corretto sostituire il chirurgo nei processi decisionali”. Secondo lei, nel giro di qualche anno, in che modo saremo curati? “Riesco a immaginare un futuro nel quale questi strumenti tecnologici, che mi creda sono davvero straordinari, siano un aiuto per lavorare meglio, con maggiori margini di sicurezza. L’intelligenza umana non verrai mai replicati da una macchina, noi ci illudiamo o ci spaventiamo all’ipotesi che delle macchine possano sostituirci: questo non succederà”. Ma da dove arrivano questi dati? “I nostri dati medici, sono i dati che noi lasciamo al sistema quando facciamo esami e attraverso le piattaforme. Sì, forse c’è un problema di privacy, ma la maggior parte dei dati vengono dalla cartella clinica. L’Italia su questo piano è ancora indietro: è molto più difficile trovare profili digitali, in quanto molte cartelle sono ancora scritte a mano”. I progressi della digital health hanno tuttavia anche un lato oscuro. Ora le terapie si cercano in rete. “Questa è una tragedia. I medici fai-da-te che si curano da soli, andando a guardare su internet, sono un grave problema. Io pertanto sto conducendo la mia battaglia - mentre vedo che in molti sono concentrati a costruire più cliniche, più ospedali e più posti letti - optando per un modello in cui il paziente (se non ha gravi patologie) possa fare la diagnosi con gli strumenti digital e successivamente ricevere direttamente a casa il medico. Questo inciderebbe in primis sui conti, ma anche sull’efficienza e sulle possibilità di controllo diretto della salute del cittadino”.


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INTERVISTA

Wellness, Innovazione e Digitale Intervista a Nerio Alessandri, fondatore di Technog ym, azienda italiana leader mondiale di attrezzature, oggi anche infrastrutture digitali, per il fitness.

COVER STORY

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parlava di innovazione nella meccanica, quindi da attrezzi rudimentali alla costruzione di prodotti che rendessero l'esercizio più facile e più graduale; meno estremo. Immediatamente dopo abbiamo inserito l’elettronica, quindi i software, il controllo elettronico per monitorare il battito cardiaco; aprendo così l’esercizio a più persone. Intorno al 2000 abbiamo introdotto il digitale: abbiamo sviluppato il primo software per l'allenamento. Oggi ovviamente tutto questo si fa con il digitale, con le app, con il cloud e internet. E infatti nel 2012 abbiamo lanciato la My Wellness Cloud, la prima Cloud nell'industria del fitness. La nostra piattaforma digitale permette alle persone di collegarsi al proprio programma di allenamento ovunque. Il prossimo step sarà quello dei contenuti. Oggi abbiamo un’infrastruttura digitale che connette le palestre e le persone con programmi personalizzati, quindi ogni cliente ha un proprio programma. Il prossimo passaggio sarà quello di fornire contenuti di allenamento direttamente sul prodotto”. Quale è il cantiere più importante in campo digitale?

di Lorenzo Sassi

Quando è iniziata la storia di Technogym? “Ero un ragazzo di 23 anni. In Romagna, dove abitavo e dove tuttora abito, ero progettista meccanico di un'azienda locale che si occupava di attrezzature per il packaging della frutta. Frequentavo la palestra di Cesena. Erano i primi anni Ottanta. Le palestre a quell'epoca non erano dotate di tecnologia o di design. Erano praticamente degli scantinati con pochi attrezzi rudimentali. A partire dal mio background di progettista ho visto che c'era un grande potenziale per la crescita in quel settore. Di conseguenza Technogym nasce proprio dalla combinazione di due mie passioni: Techno, cioè il design, l'innovazione; e Gym, cioè fitness e sport”. Cosa è cambiato dagli anni Ottanta? “Negli anni Ottanta ancora non si parlava di fitness ma di bodybuilding. E Technogym, in un momento in cui le palestre erano territorio di una stretta nicchia di bodybuilder (di fanatici), già parlava di fitness. Quindi già parlava di attrezzature che potessero aumentare il numero di partecipanti, attrezzature più facili da usare, attrezzature più sicure e adatte non solo ai bodybuilder. Quindi quando tutto il mondo parlava di bodybuilding, Technogym già puntava al fitness. Poi negli anni ’90 quando il settore del fitness si è sviluppato, Technogym ha iniziato a parlare di wellness”. E qui arriviamo all’innovazione. “L'idea di Technogym è innovazione a 360 gradi. In una prima fase si

“Senza dubbio la personalizzazione. Il digitale permette di creare un'esperienza di allenamento specifica per il singolo cliente. quindi sia sul prodotto Technogym che su Mobile parliamo di allenamento personalizzato sui bisogni, sulle necessità e sui gusti del cliente, non più standard. Il digitale sta cambiando e modificando qualsiasi industria, perciò è impossibile rimanerne al di fuori”. In che dimensione si sta spostando il wellness a casa? “Ormai la consapevolezza dei consumatori sui benefici di wellness e fitness crescono ogni giorno, così come cresce l'informazione e la consapevolezza sulla propria salute. La cura del corpo è un trend mondiale ormai. Ovviamente come avviene per i grandi trend, le persone si allenano in maniera automatica; in palestra, in hotel quando sono in viaggio, nelle aziende (che sempre più spesso offrono pacchetti di corporate wellness) e chiaramente anche a casa. La nostra visione si sintetizza in quello chiamiamo wellness on the go. Quindi non è tanto uno “spostamento”, ma è la diffusione dell'esercizio fisico come trend che tocca vari momenti della nostra vita di tutti i giorni. Ovviamente per questo abbiamo sviluppato dei prodotti più adatti al mondo casa (come la Bike Personal presentata al Salone del Mobile ndr)”. Vista la mole di dati che si possono raccogliere tramite applicazioni e nuove tecnologie, soprattutto digitali, per quanto riguarda la salute, quali tipologie di esercizi troveremo in futuro? “Ormai ci sono tonnellate di studi scientifici; e l'esercizio fisico è largamente considerato come un farmaco per molte patologie (alcuni tipi di diabete, ipertensione etc.). Quando parliamo di salute l'esercizio deve essere strutturato a seconda dei bisogni e dello stato fisico dell'utente, quindi è un tema di completa personalizzazione. Tutto il mondo del digitale e dell'Intelligenza Artificiale è sicuramente una grande opportunità per personalizzare i programmi”.


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INTERVISTA

Il futuro della medicina? La digital health gestita da medici in carne e ossa La salute 4.0 passa ormai dal web, con i suoi pro e i suoi contro. La presenza del professionista diventa quindi imprescindibile per un corretta direzione e un fattore etico di Luca Sandrini

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on la salute non si scherza, che sia virtuale o meno. Secondo l’indagine “Tech4life” condotta da Community Media Reasearch in collaborazione con Confindustria Dispositivi Medici, gli italiani che cercano su internet informazioni sulla propria salute sono circa il 57%, mentre chi decide di andare oltre e rinunciare alle cure per motivi economici affidandosi al sedicente stetoscopio del dott. Web sono il 72%. Il risultato? Uno studio del Censis ha registrato che ben 9 milioni di cittadini hanno trovato sul web informazioni mediche errate o completamente false.

Numeri allarmanti che evidenziano un gap nazionale basato su età e territorio: gli internauti della salute di fatto sono per lo più uomini tra i 18 e i 36 anni e residenti al Sud. La percezione, tuttavia, è scostante da regione a regione, sulla base anche della condizioni sociali dei cittadini. Gli italiani, notifica Tech4life, sono generalmente scettici di fronte alla digital health: solo il 7,6 per cento usa app mediche e il 14,3 per cento usa lo smartphone per monitorare la propria salute. Gli under 55 inoltre sono disposti a personalizzare i dispositivi medici investendo piccole somme di denaro (38 per cento), al contrario di chi per mancato aggiornamento culturale o per inaccessibilità alla rete preferisce la tradizionale ricetta dalla calligrafia incomprensibile. La frattura che divide il Paese è lampante e viene normale chiedersi da che parte stare. La nuove generazioni ora per piccoli disturbi di salute ora per consigli su come perdere peso e mantenersi in forma, cercano rimedio e soluzione a portata di click. App e piattaforme sono usate in primis per approfondire le nozioni su cure e terapie (55,9 per cento) e fare diagnosi sul proprio stato di salute (54,5 per cento). I dati raccolti dalle aziende Deloitte e SwF raccontano di uno scenario in continua evoluzione, che conta oltre 400 mila app nel campo della digital health, delle quali però

solo una piccola parte ha avuto l’ok da parte delle agenzie regolatorie come l'Ema in Europa e la Fda negli Usa. Un campanello di allarme da non sottovalutare, con l’aggravante per la quale i maggiori fruitori di questi strumenti sono proprio i più giovani. Ma un’applicazione può davvero sostituire un medico? “Il medico non potrà mai essere sostituito”, spiega Roberto Burioni, virologo affermato dell'ospedale San Raffaele di Milano, divulgatore scientifico e fondatore del sito “Medical Facts”. “Potranno essere invece un utilissimo ausilio per comunicare e registrare dati corretti, e sicuramente col tempo potranno assumere ancora più importanza”. A sostenere le tesi di Burioni sono anche quattro italiani su 10, che non si fidano di quello che trovano online, e ritengono essenziale, in caso di consultazione, affidarsi in seconda battuta ai consigli di un medico fidato. Non possiamo fare a meno dei camici bianchi in carne e ossa e, a conferma della quota del 17% di coloro che utilizzano la rete abitualmente per fare autodiagnosi, non possiamo privarci della mHealth (mobile health). “Chiaramente ci sono app e piattaforme affidabili e altre no, bisogna anche in questo caso saper distinguere”, chiarisce Burioni. “Io stesso le uso, sono utilissime. Attenzione però: da un lato devono crearsi i fondamenti per un corretto utilizzo di queste applicazioni, dall’altro un medico deve sapere consigliare quali

applicazioni utilizzare al proprio paziente”. L’elemento cardine, pertanto, è la Evidence Based Medicine. Per capirci, la malasanità esiste anche sul web. Un’indagine sul National Health Service, il sistema sanitario nazionale del Regno Unito, ha evidenziato, per esempio, che solo 4 delle app messe a disposizione contenevano dati certificati e solo 2 utilizzavano indicatori validati. Le app devono attestare la propria attendibilità, che confluisce nondimeno proprio da colui cui tentano di rubare il lavoro, ovvero il medico. Una convivenza professionale che passa anche dal fattore privacy. Le app, a differenza di un medico legato al codice etico, riguardo alla garanzia di riservatezza lasciano molto a desiderare. Il Garante della Privacy italiano, nel settembre del 2014, ha scoperto che il 50 per cento delle applicazioni sanitarie non rispetta la normativa italiana. Il fatto che a utilizzare le app siano in particolare chi si trova in una situazione economicamente difficile (il 71,8 per cento, dei quali più della metà risiede nel Mezzogiorno), denuncia una condizione di noncuranza delle dinamiche normative. Il 40,6 per cento degli italiani acconsentirebbe a condividere le informazioni personali, per ragioni che vanno dalla ricerca al risparmio sulla spesa delle cure mediche. Insomma, piccoli o grandi che siano i problemi di salute, uno sguardo su internet non se lo nega nessuno, scordando molto spesso che medici non si diventa con un clic.


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Salute e internet: l’importanza dei beni comuni Ogni anno sono sempre di più le persone che si affidano al web per cercare informazioni sul proprio stato di salute. di Luca Sandrini

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e potenzialità della sanità digitale nel nostro Paese sono elevate. In un contesto in cui l’invecchiamento della popolazione pone una sfida non da poco al nostro Sistema Sanitario Nazionale, l’utilizzo di metodi di prevenzione e primo contatto con un parere medico tramite la rete permette grandi possibilità di risparmio e di estensione di un servizio pubblico.

Che la “digitalizzazione” della sanità, almeno nella sua componente di confronto (pareri medici, condivisione di esperienze, indicazione d’uso di farmaci e prima diagnosi di malesseri comuni), fosse ben vista dall’utenza non è un segreto. Nell’era dei blog, tra il 2000 e il 2010, abbiamo assistito alla nascita di moltissime community, forum e pagine di condivisione di esperienze che ruotavano attorno al più ampio concetto di salute. Informali e liquide, queste versioni digitali dei gruppi di ascolto hanno permesso a ognuno di accedere a una quantità di dati di cui prima non conoscevamo l’esistenza. Di più, erano dati processabili direttamente dal nostro cervello, per quanto impreciso e impreparato. Le esperienze testimoniali di come una persona ha curato una determinata forma influenzale, o di come un determinato tentativo abbia peggiorato le cose, sono state importanti forme di condivisione e hanno accresciuto la consapevolezza di tutti. Non è però tutto oro quel che luccica. L’informazione libera di circolare ha cominciato anche ad accentuare circoli viziosi di autodiagnosi infondate, andando a sospingere il fenomeno della cybercondria. Leggendo che un mal di testa localizzato in una certa area del corpo poteva essere il sintomo di una grave patologia rara, alcune persone più soggette di altre a ipocondria e panico hanno cominciato a localizzare un mal di testa originariamente diffuso, alimentando stress e, infine, un’ulteriore e non giustificata

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pressione sul sistema sanitario. Cercare la spiegazione di un sintomo è, a conti fatti, una delle cose più comuni che possa capitare a chi ha una discreta dimestichezza con internet. Stando a una recente ricerca dell’Osservatorio di Reale Mutua, circa il 66 per cento degli italiani (due su tre) hanno utilizzato internet per cercare informazioni di tipo “sanitario”, dai sintomi all’utilizzo di un farmaco. Una fitta intercostale, un raffreddore più resistente del solito, un dubbio su quando usare o non usare un determinato farmaco, sono tutti motivi validi per una ricerca in rete. Da un lato è normale e giusto che ogni timore riguardo la propria salute venga approfondito. D’altra parte, un utilizzo non ragionato e superficiale dello strumento digitale può avere l’effetto opposto, ossia quello di creare stress e ansia per un problema marginale. Ragionando su sé stessi, le probabilità di ottenere un falso positivo, ossia di diagnosticarsi una malattia quando non la si ha, sono maggiori. Per ovviare a questo problema, l’accesso alle community e ai forum di personale qualificato è stato un passaggio importantissimo. Oggi internet pullula di spazi in cui i pazienti si rivolgono ai medici direttamente dal proprio pc per consigli di varia natura. Per quanto questi scambi si concludano spesso con l’invito da parte degli esperti a sottoporsi a una visita da parte del proprio medico curante, questo tipo di intera-

zione aiuta a migliorare non solo la qualità delle esperienze raccolte e scambiate dagli utenti, ma anche la fiducia che le persone ripongono in un mezzo fondamentale come la rete. Inoltre, velocizzano l’identificazione di un problema, qualora ci fosse, da parte delle figure professionali preposte, rappresentando tra le altre cose un buon metodo di scambio di opinioni tra esperti. In un’epoca in cui anche la salute viene monetizzata, e i dati personali vengono accentrati da un unico collettore, la volontaria e libera condivisione delle proprie esperienze può essere un modo di salvare un Sistema Sanitario Nazionale che è stato il vanto del mondo occidentale per decenni e che è ora in sofferenza. Se da un lato sempre più attori privati entrano nella corsa alla digital health economics, accelerando ora su prevenzione, ora su diagnosi e posologia farmacologica, dall’altro il web e le community, i gruppi d’ascolto e le opinioni degli esperti possono rappresentare un’alternativa valida su cui investire per garantire privacy ed efficacia.


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Lo smartphone ci vuole in forma Dall’abbonamento in palestra al noleggio di attrezzatura sportiva, l’economia delle app sta rinnovando il settore fitness

di Salvatore Tancovi

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e palestre sono i moderni luoghi di culto per i fedeli alla linea, quella del fisico snello. Quanti sono passati per il fatidico momento in cui la misura è colma e si decide di posare le merendine per prendere in mano i manubri. Quanti, invece, non sono andati oltre il primo slancio e hanno mollato l’abbonamento annuale lì, tra gli incarti dei gelati. La colpa però non è sempre della pigrizia, magari quella palestra semplicemente non faceva al caso nostro oppure dopo un certo periodo non ci sentivamo più stimolati. Oggi c’è una soluzione anche a questo, un abbonamento non per una ma per svariate palestre della nostra città, esempio chiarissimo di come gig e sharing economy stanno cambiando anche il mondo del fitness.

Stiamo parlando di Fitprime, un’applicazione che consente di poter accedere a tutte le palestre iscritte al suo network tramite il pagamento di un’unica tariffa. Una volta loggati su una mappa verranno mostrati tutti i centri disponibili nelle nostre vicinanze e le attività che possiamo svolgervi (piscina, pesi, yoga…), per ogni palestra ci sono le foto e tutte le informazioni essenziali come l’orario dei vari corsi. La prima prova è gratis ovunque, poi toccherà scegliere uno dei vari abbonamenti il cui costo varia da parte a parte, solo la formula è la stessa: 1, 5, 10 o illimitati ingressi. Ciò che è piaciuto subito agli utenti

è la possibilità di cambiare di mese in mese, o anche di volta in volta: siamo a Milano per lavoro ma non vogliamo saltare l’allenamento? Paghiamo un ingresso singolo su Fitprime nella palestra convenzionata più vicina.

All’inizio il progetto ha trovato linfa nelle campagne di crowfunding, termometro del gradimento degli utenti che hanno creato nel tempo una vera e propria community. Quando gli iscritti alla piattaforma hanno cominciato a chiedere di più rispetto al solo noleggio per Sharewood è cominciata una nuova fase. L’azienda ha cominciato ad offrire anche delle vere e proprie esperienze come scalate, escursioni in bici o giri in barca, spesso fuori dall’Italia, praticamente un’agenzia di viaggi per affamati di avventura.

Altro deterrente alla frequentazione delle palestre sono gli istruttori: despoti o troppo indulgenti, trovare il trainer del cuore può essere un lungo viaggio. Ad aiutare c’è TrainUp, un vero e proprio hub che mette in comunicazione allenatori e aspiranti sportivi. Scegli la città dove ti allenerai, imposti nei filtri lo sport che vuoi praticare ed ecco che devi solo scegliere chi preSpesso però non è una parete da scalare quelferisci dalla lista degli allenatori, magari aiutanlo che stiamo cercando, meglio una tranquilla giornata in piscina. Per questo c’è un’altra comdoti con le recensioni degli altri utenti. Nell’app si trovano anche delle attività di gruppo come munity, quella di Fingerpools, praticamente un semplici allenamenti o veri e propri corsi di Airbnb delle piscine. Il servizio è pensato per formazione. C’è un unico grande neo: l’idea è coloro che hanno una piscina privata, alberghi nata da imprenditori ma anche privati, torinesi e non offre che in quel periodo Gig e sharing economy stanno ancora molta scelta non stanno sfrutcambiando decisamente il panorama al di fuori della città tando e vogliono anche per chi vuole mantenere una sabauda. affittare a coloro che disciplina tra mille impegni vogliono concedersi Entrando nell’ambiquesto piccolo lusso, anche solo per una mezza giornata. L’unico reto delle realtà più attinenti alla sharing economy è impossibile non citare Sharewood, l’app di riquisito che i proprietari devono rispettare è che la piscina sia a norma e con acqua pulita e saniferimento degli adventure traveller per il noleggio di attrezzatura sportiva. L’idea di partenza è ficata. Il network è già internazionale ma anche piuttosto semplice: sono in Liguria e voglio fare questa idea, come tutte le altre citate, è nata nel surf ma non ho una tavola, mi connetto a Shanostro paese dove i settori di fitness e wellness stanno trovando nuovo impulso nei moderni rewood e vedo se c’è un proprietario da cui posmodelli economici a trazione tecnologica. so noleggiarla.


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Quanti chilometri hai corso oggi? Diario dei runner con lo smartwatch

IL VERDE GRAFICA NAPPA CAMBIA IL CONCETTO DI TIPOGRAFIA: PIÙ TECNOLOGIA, PIÙ INNOVAZIONE.

E SOPRATTUTTO PIÙ ATTENZIONE ALL’AMBIENTE. Energia da pannelli solari, macchinari a impatto zero, inchiostri e carte ecocompatibili: queste sono le basi della nostra rivoluzione. Perché stiamo inaugurando una nuova dimensione tipografica: stampe speciali, cartotecnica d’avanguardia, packaging innovativo, nuovi sistemi di etichettatura come le In Mould Label. Tenendo sempre presente che il pianeta chiede responsabilità. E che i clienti chiedono servizi e prodotti diversi e innovativi.

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ualche passo sulla ghiaia, un po’ di stretching e il bip di accensione dello smartwatch che monitora l’allenamento. Si comincia a correre. Sono le cinque di pomeriggio di un mercoledì di aprile, il cielo alterna sole e nuvole ma la mattina ha piovuto e sullo sterrato di villa Pamphili corrono solo i runner più determinati. La villa è il parco più grande di Roma, con 184 ettari di superficie, è divisa – e collegata da un ponte pedonale – dall’Olimpica in quelle che vengono chiamate “villa grande” e “villa piccola”. Sempre frequentata, ordinata e con una natura rigogliosa in tutte le stagioni, oltre che luogo dei pic nic domenicali e delle passeggiate romantiche, il parco è considerato la patria di chi ama la corsa. E fra i runner abituali della villa, una buona metà ha al polso uno sportwatch che gli fornisce informazioni sulla sua velocità, sulla frequenza cardiaca, le calorie bruciate e sul percorso, tracciato grazie al gps. Una di loro è Annalisa, 63 anni. “Da quando sono in pensione mi alleno due volte a settimana, il martedì e sabato. Corro per una distanza da sei a dieci chilometri - racconta - e la mia velocità media in villa su sterrato e con pendenze è sui sette chilometri all’ora che

di Livia Liberatore


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equivalgono a otto su asfalto”. Preme un tasto dell’orologio e lo schermo si illumina: “Ho deciso di comprarlo perché dopo anni che corro ho avuto l’esigenza di fare allenamenti più professionali. Con questo strumento posso verificare i miei miglioramenti sullo stesso percorso. I dati poi si scaricano sul computer. A volte partecipo a gare, come la Appia Run o la Roma Ostia. Non per competizione, ma perché mi piace”. Altri runner hanno una fascia attorno al braccio per mettere il telefono. Portano lo smartphone durante l’allenamento per ascoltare musica o per utilizzare le app per la corsa. Molto diffuse sono Runtastic e RunKeeper ma piacciono anche quelle di aziende come Nike Run Club o quelle che monitorano l’attività fisica quotidiana, tra cui Samsung Health per chi ha Android. Queste app fanno da allenatore personale: tracciano i progressi e inviano notifiche al superamento di tappe o record importanti. Permettono anche di condividere i propri risultati online, su siti e su Facebook e Twitter. Vicino alla residenza storica e ai giardini dei Pamphili corre Enrico, 29 anni, ingegnere, che ha uno smartwatch al polso. “Non ho mai investito tanto sulla tecnologia, questo l’ho comprato da poco. Non è molto preciso nel calcolare le pulsazioni del cuore e quando ascolto la musica non funziona più correttamente il gps”, spiega. Enrico corre da dieci anni, è un agonista che fa atletica in pista e per potenziamento si allena a villa Pamphili ma, precisa, “mai su lunghe distanze”. “Oggi ho fatto 10 chilometri - racconta di cui quattro di riscaldamento, cinque ripetute sui mille metri, con cinque minuti di pausa e un chilometro finale di defaticamento”. E conclude: “Questi strumenti sono abbastanza utili per chi fa allenamenti lenti e continuativi, come chi si prepara per la maratona o per un ciclista, ma per chi come me punta sulle ripetute è meglio un cronometro vecchio stile”. Di altra opinione è Fabio Moretti, fondatore e direttore tecnico della Scuola Italiana Nordic Walking, con un passato agonistico nell'atletica leggera settore velocità, esperto di tecnologie per i runner. “Un dispositivo del genere può essere una guida nella preparazione sportiva, si può pre-impostare il ritmo da seguire come passo, la frequenza cardiaca e la durata che deve avere l’allenamento. Questi dati offrono indicazioni per decidere il tipo di esercizio che si vuole fare. Per esempio, con una certa frequenza cardiaca si fa un lavoro sulla resistenza aerobica, che in pratica significa fare un’attività a bassa intensità e lunga durata. Se si aumenta la frequenza cardiaca si sposta invece il lavoro sul sistema energetico anaerobico, in un’attività più di potenza. Sapere questi dati ha cambiato completamente il modo in cui mi alleno”.


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Digital health? Non esageriamo: in atletica il medico rimane più affidabile Intervista a Filippo Tortu, l’italiano più veloce della storia con i suoi 9”99 sui 100 metri, per approfondire l’importanza della medicina digitale in un settore come quello dell’atletica professionistica

di Pietro Mecarozzi

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siamo l’allenamento sulla ricerca del particolare e della tecnica, della perfezione del gesto tecnico della corsa. Questo riusciamo a migliorarlo e analizzare ogni giorno attraverso dei video in slow motion, 240 fotogrammi per secondo. Cambia veramente il modo di allenarsi. Così posso vedere dove sto sbagliando e dove sto facendo bene e decidere se continuare a fare determinati movimenti o no. Devo dire che è anche molto stimolante”. Dentro e fuori dalla pista quali app di mobile health utilizzi? “Collegata allo smartphone ho un app che mi pesa e mi dice la massa grassa, se sono idratato, se il peso è costante, e via dicendo. Per la vita fuori dalla pista, uso la tecnologia come un qualsiasi ragazzo della mia età, anche se devo ammettere che non sono un addicted”. Se dovessi consultare un’app o una piattaforma per consigli sulla tua salute…

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igital health? Non esageriamo: in atletica il medico rimane più affidabile Intervista a Filippo Tortu, l’italiano più veloce della storia con i suoi 9”99 sui 100 metri, per approfondire l’importanza della medicina digitale in un settore come quello dell’atletica professionistica. Pochi secondi, per la precisione 9”99, ha impiegato per conquistare la medaglia di italiano più veloce della storia e per ritagliarsi uno spazio speciale tra i miti sportivi nell’Olimpo nostrano. Filippo Tortu è il giovane centometrista milanese che ha battuto il record di Mennea, e ancor più velocemente è divenuto il simbolo di uno sport puro e di una dedizione esemplare. L’atleta, testimonial ufficiale Fastweb, fa parte della cosiddetta Generazione Y e, di conseguenza, di quei costumi solidali all’era digital. Ma come si approccia un professionista come Tortu quando si parla di digital health? Filippo Tortu, quanto è cambiato il tuo “lavoro” con l’avvento di tecnologie e app della digital health? “È cambiato notevolmente. Vorrei fare una premessa io e mio padre, nonché mio allenatore, ba-

“Sinceramente non utilizzo questi mezzi per certi tipi di consigli. Se ho qualche tipo di problema preferisco rivolgermi ad un medico o un fisioterapista. Non penso però che siano cose negative, ormai la tecnologia è fondamentale anche nella ricerca medica. Se utilizzata nei giusti modi sarà sicuramente un’arma in più anche nella preparazione atletica”. Quindi il medico in carne e ossa non potrà mai essere sostituito, perlomeno nell’atletica… “Diciamo di sì. Non posso avere il dubbio di dire se l’app funziona o meno: perché se ho una perplessità e mi affido all’app e il giorno dopo mi infortunio, la stagione è compromessa. Quindi preferisco sempre rivolgermi a un medico o a un fisioterapista. Tuttavia, in qualcosa che non è fondamentale, può essere appunto il benessere del corpo, l’app che utilizzo mi è di aiuto per capire tutte le mie caratteristiche corporee (fondamentali per un velocista). Potrei usarla tutti i giorni, ma nei momenti importanti preferisco rivolgermi a un professionista”.


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Figli della notte e schiavi delle tecnologie Perché siamo ossessionati dal monitorare il sonno via app?

di Barbara Polidori

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n italiano su cinque soffre oggi di disturbi del sonno. Come riposiamo dice molto del nostro stile di vita, da qui l’ossessione di monitorare il sonno e quantificarne il grado di benessere, affidandoci ad app e tools su smartphone. La comunità scientifica ha delle riserve però sulla credibilità degli sleep tracker, a causa della natura stessa dei disturbi del sonno, di cui si contano circa 60 tipologie diverse. “L’insonnia coinvolge il 9% della popolazione italiana - sostiene il Professor Luigi Ferini-Strambi dell’Ospedale San Raffaele di Milano, presidente dell’Associazione italiana di Medicina del sonno (Aism) -. Il 20-25% dei pazienti che si rivolgono a uno specialista necessita comunque di un esame approfondito che queste app non permettono”. Per alcuni soggetti affidarsi ciecamente a un’app può essere deleterio, innescando un meccanismo competitivo. “Vedere le proprie prestazioni sullo schermo in cifre influenza negativamente la percezione del nostro fabbisogno e lo semplifica”. I gadget più popolari misurano il sonno tracciando uno storico notturno e analizzano le abitudini, partendo dal battito cardiaco; altri conteggiano persino il numero di caffè bevuti e l'allenamento fatto. Ci sono app che usufruiscono di sensori per memorizzare i movimenti di una persona nel sonno, o sfruttano il microfono dello smartphone per registrare i suoni emessi. Sono

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aspetti fortemente attrattivi per chi soffre di ortossonia, uno stato ansiogeno che porta a voler dormire il meglio possibile, assecondato spesso dalle tecnologie. I più colpiti sono gli adolescenti, con un’incidenza fra i 20-35 anni, seguono gli over 60, ma sono le donne a utilizzare di più il telefono prima di addormentarsi. Da dove nasce però questo bisogno? “I giovani monitorano il sonno nella speranza di dominarlo – afferma il Dott. Claudio Liguori, neurologo esperto in Medicina del sonno presso l’Università di Roma Tor Vergata - è un controllo illusorio e collegato all’eccesso di produttività, una tendenza della nostra epoca”. La moda degli sleep tracker riflette un voler vivere iperconnessi, il sonno diventa così uno stato on/off dell’attività cerebrale, da imbrigliare a proprio piacimento a seconda delle abitudini. Tra queste, il protrarsi del lavoro fino a sera o il posticipare alcune attività ricreative, come la palestra, nella fascia serale, insistendo così sulla produzione di adrenalina. Fare le ore piccole può comportare però disturbi psichiatrici, come spiega anche il Professor Ferini-Strambi: “La privazione di sonno è un fattore di rischio per lo sviluppo di patologie negli adolescenti, come ansia e depressione”. Maltrattare il sonno ci restituisce perciò uno stato evidente di malessere psico-fisico. La sovrastimolazione prima di dormire porta infatti a uno slittamento della produzione di due sostanze: la melatonina, che dovrebbe essere prodotta di pomeriggio e accompagnarci al riposo, arriva più tardi, mentre il cortisolo, destinato al risveglio, sopraggiunge solo molte ore dopo, facendoci sentire meno reattivi la mattina. Persino la struttura dei nostri sogni, strettamente legata all’attività cerebrale, sarebbe sensibilmente diversa se generata dalla lettura dello schermo. Non basta poi rifugiarsi nel falso mito delle 7-8 h di riposo, perché ognuno di noi ha un suo schema di sonno dettato da fattori ambientali e genetici, i cosiddetti “geni clock”. Chi è ormai disperato si affida al fenomeno Asmr, video popolarissimi su YouTube che premono su una particolare risposta sensoriale a stimoli tattili o uditivi per indurre al sonno. Secondo gli specialisti però, si tratterebbe più di un palliativo a dei disturbi che necessitano un approccio diverso, con farmaci e prodotti di nutraceutica nei casi più estremi, o nel semplice cambio di abitudini.

“Bisognerebbe abbandonare il telefono in tutt’altra stanza – sostiene il Dott. Liguori - la camera da letto dev’essere esclusivamente addetta al riposo e alla nostra intimità”. L’ansia del telefono lì è bandita.


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La dieta a domicilio arriva con le startup Seguire regimi alimentari sembra impossibile per chi lavora e mangia fuori casa, ma in nostro soccorso è arrivata l’idea di alcune startup che consegnano pasti sani a domicilio

di Vittoria Patanè

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oloratissimi, striminziti costumi da bagno affollano le vetrine dei negozi. No, non sono pronta. Il ponte più lungo della storia, quello che da Pasqua è arrivato al 1° maggio, ha portato con sé anche l’aumento di peso più veloce della storia. Non che io mi sia davvero impegnata a rimediare, ma il messaggio subliminale lanciatomi dai crudeli bikini esposti in bella vista è arrivato a destinazione: è giunto il momento di fare qualcosa. Andare da un dietologo o da un nutrizionista? Optare per il fai da te? Entrambe le soluzioni implicano tre problemi. Irrisolvibili per quanto mi riguarda. Problema numero 1: come seguo una dieta se passo 12 ore al giorno fuori casa per lavoro mangiando dove capita? problema numero 2: potrei rimediare cucinando tutto la sera per il giorno dopo, ma le mie energie vitali si disintegrano nel secondo in cui il mio sguardo si posa sul divano. Impossibile. Problema numero 3: le mie capacità culinarie sono degne della peggior puntata di “Cucine da incubo”, quindi le mie diete si traducono sempre in insalata scondita e petto di pollo, col risultato che al terzo giorno sono già stanca e ho trovato mille motivi per lasciar perdere. Di fronte a questi insormontabili ostacoli mi


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rivolgo a “colui che tutto sa”, Google, e in effetti trovo facilmente una soluzione che potrebbe fare al caso mio. Scopro che negli ultimi anni sono nate in Italia diverse startup che si occupano di diete e regimi alimentari a domicilio. A differenza di servizi come Deliveroo, Glovo o JustEat non consegnano piatti presi al ristorante, ma si basano su un menù personalizzato e sano che impedisce qualsiasi sgarro, aspetto da non sottovalutare. La città che offre più soluzioni è Milano, ma il servizio comincia a diffondersi in tutta Italia. Roma per esempio dà varie opportunità. C’è però una differenza: a Milano le startup effettuano consegne ogni giorno, altrove invece optano quasi tutte per una sola consegna a settimana contenente tutti i piatti (conservati in contenitori isotermici) da consumare nei giorni successivi. Funzionano quasi tutte allo stesso modo. Si compila un test inserendo dati come peso, età, altezza, stile di vita, eventuali patologie o intolleranze. Il cliente indica anche “lo scopo”: dimagrire, prendere massa o mantenere la linea. Alcune danno anche la possibilità di avere un confronto diretto con un nutrizionista presso un studio medico, altre invece offrono supporto tramite chat o telefono. Una volta passati i primi step si arriva alla fase due, quella relativa al menù creato da un professionista in base alle esigenze indicate. Una cosa salta subito all’occhio: ci sono piatti impossibili da preparare per chiunque non sia davvero bravo in cucina, il che consente anche di sentirsi coccolati nel momento in cui si affrontano le ristrettezze caloriche tipiche delle diete o dei regimi alimentari: si va dalla “quinoa con uova strapazzate, mandorle, uvetta e cavolfiore” alla “lasagna integrale vegana”, passando per molti piatti di carne o pesce. Occorre dirlo, non si tratta di servizi proprio a buon mercato, ma data anche la qualità degli ingredienti, il costo non è nemmeno esagerato. Il principio seguito è simile per tutti: se allunghi la durata dell’abbonamento si riduce il prezzo del singolo piatto. Difficile comunque spendere meno di 100 euro a settimana per due piatti al giorno, dal lunedì al venerdì. Prima di prendere una decisione, come tutti, cerco qualche feedback. La mia paura principale è quella di sentire la mancanza di cibi preparati “sul momento”. I commenti invece sono quasi tutti molto positivi, i clienti parlano di pietanze varie, piatti gustosi, porzioni non “micro”, servizi molto professionali e puntuali. Ma soprattutto, secondo le recensioni, i risultati

FOCUS

arrivano davvero. Chi vuole dimagrire ci riesce, chi invece opta per un regime alimentare personalizzato diretto ad altri scopi ne vede i benefici. Scelgo di provare e mi sento subito più magra. I costumi in vetrina cominciano già a essere meno minacciosi.

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Startup

per la dieta

perfetta

Startup friulana fondata nel 2018. 2 servizi: Alifree (si ordinano i piatti dal menù e si ricevono a casa). Alihealth (Visita da un nutrizionista, dieta o regime alimentare, consegna a domicilio). Prezzo: da 6,49 a 9,49 euro a pasto.

Startup romana nata nel 2018. Effettua test del DNA Genomico che consentono di conoscere come il corpo metabolizza carboidrati, grassi e le predisposizioni alle intolleranze alimentari. Sui risultati adotta una dieta personalizzata. Prezzo: 169 euro.

Centro nutrizionale nato nel 2017, attivo a Milano. Visita e dieta. Consegne a domicilio dal lunedì al sabato. Due formule: Classic (10 pasti a settimana, primo e secondo), Business (10 pasti a settimana, piatto unico). Prezzo: 110 euro per la formula Business, 130 per la Classic.

Startup fondata nel 2005 a Milano, opera in tutta Italia. 3 i servizi offerti: “Classic” (solo a Milano, tutti i pasti della giornata consegnati ogni giorno), “Per te” (pranzo/cena consegnati settimanalmente), Scegli tu (il cliente compone il menù). Prezzo: da 99 euro a settimana.

Startup fondata nel 2017. Consegne settimanali in tutta Italia. I piatti (pranzo e cena) sono elaborati da chef e nutrizionisti in base al test compilato dal cliente. Prezzo: abbonamenti da 49 a 119 euro a settimana.


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R ACCONTO

R ACCONTO

Una malattia incurabile che non avrò mai più Un sintomo nuovo e strano, poi la paura e il rapporto con la mole di informazioni mediche online utili per un’autodiagnosi ma non per guarire. Cos’è l’ipocondria? di Alessia Laudati

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ualche anno fa per più di un mese sono stata convinta di avere una malattia insanabile. Una di quelle più spietate e aggressive, che ti lascia senza possibilità di guarire. È cominciato tutto un pomeriggio d’inverno. Un tremolio dell’occhio e l’impressione rapidissima di un’ombra che calava appena sulla palpebra.

Potevo pensare di essere solo stanca o affaticata. Invece no. Mi ha assalito subito l’idea che potesse essere il primo sintomo infame di un disturbo serio. Sì, ma quale? Ho cercato su Google e così sono venuta in contatto con un universo ben preciso. Quello dell’e-health fai da te. Ossia quella maniera di interagire con le informazioni mediche immediatamente reperibili online e in maniera gratuita che vede da una parte, il dogma del sapere scientifico e dall’altra, l’utente-paziente che deve da solo selezionare la mole di informazioni e poi da solo deve metterle insieme. Il problema è che in questo processo non è guidato da decenni di studio ma da un sapere acquisito in qualche ora e da un meccanismo potentissimo di distorsione delle informazioni: l’ansia. Così ho fatto io. Ho cercato di elaborare la mia diagnosi per molti giorni e questo mi ha permesso di conoscere, sep-

pur virtualmente, un manipolo di persone pire se fosse davvero un riflesso del nervo con disturbi di vario tipo che online si ritroottico come pensavo e come avevo studiato. Alla fine non riuscivo a registrare mai nulla. vava a scrivere, a commentare o a chiedere in Forse ero allergica alla luce? Forse soffrivo di maniera petulante verdetti o consigli. A un fotofobia? E poi com’è finita? È finita che ho medico o a un suo simile. Un mondo di veri cominciato a fare altro. Nella mia vita sono e propri aficionados, commentatori seriali arrivate cose più piacevoli e piano piano ho di forum, stalker di specialisti e gente come smesso di fare caso alla malattia e anche di me che intasava la cronologia con qualsiasi consultare forum online. tipo di lettura pseudoscientifica o scientifica e che – soprattutto – non si tranquillizzava mai. Tutti erano sempre convinti di essere Poi, dopo molto tempo, è arrivata l’estate. malati e il paradosso era che l’autodiagnosi Ero in casa e prima di andare a cena ho vinon li aiutava affatto a guarire. Ora, essendo sto delle vecchie lampade tremare e il constata ipocondriaca ed essendo venuta in contatto di luce elettrica interrompersi per un secondo, anzi per un millesimo di secondo. tatto con tante persone simili a me, una cosa Ho solo pensato la posso dire. I ‘ah è la lampadina’ malati immagiHo cercato su Google e così sono e non che fosse nari hanno davvenuta in contatto con un universo il mio occhio ad vero qualcosa ben preciso: l'utente-paziente avere qualcosa che che li rende inin cerca di risposte non andava, anche felici. Ma non è il se la sensazione reflusso gastrico era identica a quella della malattia incurabio qualcosa di più grave come pensano loro. La loro malattia è più frutto di un’angoscia le. In quel caso, rispetto al passato, sono arriradicata. Un malessere reale che siccome vata a una conclusione ben più semplice e renon ha molti mezzi tangibili per esprimersi, alistica: ossia che le lampadine possono non quando ha la possibilità di prendere un treno funzionare. E questo voleva dire che prima verso la coscienza pensa bene di salirci sopra non vivevo nessuna malattia incurabile ma per trasformarsi finalmente in qualcos’altro bensì un meccanismo di selezione della realdi molto più concreto e più socialmente ricotà che si chiama ansia e che qualche volta ci fa perdere ogni tipo di capacità di prendere noscibile: la malattia fisica. Tornando a noi, in considerazione non solo le ipotesi peggioinsomma ero terribilmente malata. ri, ma anche tutte le altre possibili. Come un contatto elettrico non perfetto che prima Contro ogni realtà. Contro ogni parere del semplicemente non avevo mai nemmeno vamedico che mi aveva dichiarato perfettamente sana. Continuavo ad aspettare che il lutato. Alla fine l’avevo davvero trovata davsintomo si ripresentasse e cercavo persino vero la mia diagnosi. di riprenderlo con lo smartphone per ca-

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Lo pneumatico

ROMANZO VINCITORE DEL PREMIO LETTERARIO

Viaggiare sull’aria: un’idea folle che vale miliardi

di Danila Gancipoli

ORGANIZZATO DA

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o pneumatico, nella sua accezione comune, rappresenta solo un pezzo del puzzle. Ma è proprio questa parte a saldare il patto tra mobilità e aderenza al suolo. Incontra il mercato italiano tra l’export automobilistico e l’industria della gomma, assicurandosi un posto riservato tra i prodotti di cui non possiamo fare a meno. A testare il brevetto di Dunlop delle “gomme vuote riempite d’aria”, fu un ciclista di nome William Hume. Era il 1889, ancora non sapevamo quanto saremmo andati lontano e veloci, eppure Dunlop sapeva ascoltare il suo ingegno, ambizioso e geniale. Robert Thomson ci aveva provato nel 1846, ma la solitudine della sua idea non era ancora pronta per essere supportata dal mix di tecnologia e ingegneristica che avrebbero perfezionato e valorizzato la scoperta.

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IN COLLABORAZIONE CON MEDIA PARTNER

Partendo dalla struttura della ruota, con l’intento di colmare il vuoto della sua imperfezione meccanica applicata ai veicoli, la gestione della materia e dell’aria ha permesso fluidità e sicurezza. Risultato: ci siamo costruiti delle ali solide. I fratelli Michelin applicano per la prima volta la ruota pneumatica ad una vettura automobile nel 1891: era l’inizio di un viaggio definito dalla stampa “assolutamente necessario”.

GRAZIE AL CONTRIBUTO DI PARTNER UFFICIALE

NELLE MIGLIORI LIBRERIE ITALIANE

Un po’ di numeri: secondo la statistica condotta da GFK sul mercato Car Tyres Italia, il canale distributivo ha raggiunto la vendita di più di 21 milioni di pneumatici auto e sviluppato un valore di quasi 2 miliardi di euro. La buona notizia è che c’è futuro, ed è un futuro tutto sostenibile. Dal sito dell’azienda Ecopneus: 250.000 tonnellate di PFU (pneumatici fuori uso) potrebbero diventare: 2.200GWh di energia, 6.300 km di asfalto, 25 kmq di isolanti acustici, 1300 campi di calcio, 6 kmq di aree giochi.


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10 cose che non sapevi La startup Greenrail ha sviluppato un nuovo concept di traversa ferroviaria ecosostenibile, prodotta con plastica riciclata e gomma ottenuta dal recupero di penumatici fuori uso.

Riciclando gli pneumatici si possono risparmiare 477mila tonnellate di CO2.

L’azienda italiana Pirelli ha chiuso il bilancio 2018 con un ricavo pari a 5,194 miliardi di euro.

Michelin Visionary Concept: l’azienda sta lavorando ad uno pneumatico stampato in 3D capace di autorigenerarsi.

Non solo mobilità: l’artista Yong Ho Ji realizza sculture monumentali utilizzando gomma riciclata di pneumatici usati.

Salone dell’Auto di Ginevra 2019: Goodyear svela Aero, il nuovo concept di pneumatici destinato a far volare (e far atterrare) un’auto.

Vulcanizzazione reversibile: Rubber Conversion lavora a mescole generate dal riciclo di sottoprodotti, scarti di lavorazione industriale della gomma e pneumatici fuori uso.

Esposto durante i BluE Mobility Days, lo pneumatico Taraxagum costruito con la gomma ricavata dalle radici del tarassaco: un’alternativa sostenibile alla gomma estratta dalle foreste pluviali.

Dai colossi della produzione di pneumatici operanti in Italia (Pirelli, Bridgestone, Continental, Goodyear-Dunlop, Marangoni e Michelin) è sorta Ecopneus con un’importante missione: garantire rintracciamento e recupero di circa 210.000 tonnellate di pneumatici fuori uso all’anno.

L’azienda Continental ha lanciato quest’anno i primi pneumatici per bus elettrici: più resistenza e meno impatto ambientale.


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LIBRERIA

SINTOMI MORBOSI. NELLA NOSTRA STORIA DI IERI I SEGNALI DELLA CRISI DI OGGI (Donald Sassoon; Garzanti, 322 pag, 19€)

Letture per capire l'economia di oggi

di Eugenio Giannetta

Il tempo. La più preziosa tra le risorse. La più complessa su cui fare economia, soprattutto in una società sempre più fluida, iperconnessa, i cui confini tra vita privata e lavoro sono sempre più labili, indefiniti per via di un mondo del lavoro che - in primis ha mutato i suoi cicli produttivi, a partire dalla creazione (volente o nolente) di non luoghi lavorativi, che rendono sempre più complesso il rapporto con il tempo e la sua gestione, alimentando inevitabilmente zone d’ombra. Di questo, social network, tecnodipendenze e voracità del capitalismo, parla Cronofagia di Davide Mazzocco (D Editore, pag. 185, 12,90), libro che inaugura la Collana Nextopie, diretta da Daniele Gambetta, autore peraltro della prefazione al volume. Partendo dal concetto di cronofagia di JeanPaul Galibert, Mazzocco si interroga sulla voracità con la quale il capitalismo si nutre del tempo delle masse, colonizzando il tempo libero delle persone, compreso il sonno; fu celebre ad esempio la dichiarazione del Ceo di Netflix Reed Hastings, che individuò nel sonno il principale competitor della sua piattaforma. Altrettanto celebri sono state le pagine di 24/7, il capitalismo all'assalto del sonno, di Jonathan Crary, pubblicato da Einaudi nel 2013 e ricco di riferimenti a Dick e Bauman. Mazzocco fa però un ulteriore

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passo avanti, affrontando il tema del digitale, dei dati, del tempo passato in rete (a riguardo è interessante anche la lettura di Perdere tempo su internet di Kenneth Goldsmith, sempre per Einaudi). Un tempo che per Mazzocco, finisce per cannibalizzare il nostro.

Per capire l’economia di oggi non si può prescindere dalla lettura di Sassoon. Lo storico analizza la crisi dell’Europa, la difficoltà di costruire uno stato sociale e riparare a crescenti diseguaglianze, a partire da una democrazia in difficoltà e dall’avanzare di movimenti nazionalisti e sovranisti. Il titolo fa riferimento ai “fenomeni morbosi”, dai Quaderni del carcere di Gramsci.

ROMA NON PERDONA. COME LA POLITICA SI È RIPRESA LA RAI (Carlo Verdelli; Feltrinelli, 219 pag, 17€) Informazione, democrazia e servizio pubblico: l’economia e il racconto dell’economia - inteso come filtro con i cittadini - passa anche dalla Rai, tra le più grandi televisioni pubbliche d'Europa, che resiste nonostante internet e i social. Verdelli, con un dettagliato lavoro giornalistico, prova allora a capire i retroscena di viale Mazzini, con un pensiero a come riformare il sistema.

LA NOSTRA CASA È IN FIAMME. LA NOSTRA BATTAGLIA CONTRO IL CAMBIAMENTO CLIMATICO (Beata Ernman, Malena Ernman, Greta Thunberg, Svante Thunberg; Mondadori, 228 pag, 16€) "Non voglio la vostra speranza. Voglio che proviate la paura che provo io ogni giorno. Voglio che agiate come fareste in un'emergenza. Come se la vostra casa fosse in fiamme. Perché lo è". Un messaggio globale per il cambiamento climatico. Una rivoluzione per il pianeta iniziata da Greta Thunberg, una sedicenne attivista svedese con la sindrome di Asperger.


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Come ti comporti con i dipendenti che non sono d'accordo con te?

L'AGENDa del ceo

Se la motivazione del disaccordo è solida sono pronto a prenderla in considerazione e a rivedere la mia posizione; altrimenti no. In generale apprezzo molto la dialettica costruttiva, purché orientata al bene dell’azienda. Da quando abbiamo liquidato il fondatore, più di 10 anni fa, la società è cresciuta moltissimo per competenze, differenze, intraprendenza ed internazionalità. Il riconoscimento da parte dell’Università della Pennsylvania di essere il primo Think Tank italiano e tra i primi 10 in Europa per il 6° anno consecutivo, è un risultato di cui tutti i nostri 250 colleghi devono essere orgogliosi. Oggi siamo più di 10 Partner, il 56% delle nostre persone sono donne e un terzo di noi ha meno di 35 anni. In che modo “alleni” il carattere per il tuo ruolo?

Intervista a Valerio De Molli - Amministratore Delegato The European House - Ambrosetti “Non confondere il facile con il giusto” di Barbara Gasperini

A che ora inizia la tua giornata di lavoro? Sveglia alle 6, attività fisica tre volte alla settimana e si inizia leggendo i giornali e rispondendo alle mail. Solitamente sono in ufficio dalle 8 e 30, quando non ho voli o treni da prendere che mi impongono la sveglia tra le 4 e le 5 e una partenza all’alba. Al termine di una giornata fuori dalla mia città, preferisco rientrare a casa il giorno stesso, anche se in tarda serata, per prendere un caffè con mia moglie al mattino successivo e ripartire per un nuovo giro. Quanto lavori con lo smartphone e quanto con altri dispositivi? Uso spesso lo smartphone e anche l’iPad perché sono pochissimo in ufficio. Sono strumenti rapidi per la gestione delle mail e per indirizzare in modo efficace le indicazioni ai vari gruppi di lavoro. Uso meno il pc, anche per la natura dei compiti che devo svolgere; mi riesce tutto più veloce da mobile. Funzione fondamentale dello smartphone è quello di avere un rapido accesso alle notizie ed essere sempre allineato con la mia assistente, oltre che con tutti gli affetti più cari e con gli amici. Qual è il tuo stile di gestione? Ho un approccio da imprenditore e vorrei che tutti i miei collaboratori lo avessero. Data la mia agenda compressa ed intensa, non mi piace avere la percezione di perdere tempo. Più in generale, ogni riunione che abbia l’obiettivo di prendere decisioni di qualche tipo, dovrebbe essere istruita e focalizzata su quattro punti: 1) il problema (poche parole, tanti fatti, non più di 1 pagina); 2) le possibili soluzioni (non più di tre) con implicazioni positive e negative; 3) cosa il responsabile del tema specifico raccomanda di fare tra le varie alternative (una e una soltanto soluzione); 4) le implicazioni di tempo, budget e a chi altri eventualmente comunicare la determinata soluzione. Mi piace sempre ricordare ai miei collaboratori: “sei qui con la soluzione o sei parte del problema?”. Altra filosofia che applico è non confondere mai il facile con il giusto. Ricordo un episodio capitato ad un imprenditore di un noto marchio alimentare. Di fronte alla richiesta di un ricco contratto per il franchising del suo marchio che avrebbe fruttato all’azienda facili utili, l’imprenditore bocciò l’affare perché se avessero dato il marchio in licenza avrebbero perso il controllo sul posizionamento del marchio e sulla loro immagine, confondendo pertanto il facile con il giusto.

Sono un grande appassionato di ciclismo che ritengo essere lo sport più faticoso in assoluto. Ogni domenica mi dedico alla bici fino allo sfinimento. Ogni anno corro 4 o 5 gare Granfondo e quindi mi alleno continuamente. Considero questo sport anche una palestra di vita: ti insegna il gioco di squadra e come sopportare la sofferenza individuale e che senza un’adeguata preparazione tecnica non si va da nessuna parte. Anche i grandi campioni di ciclismo, alcuni dei quali ho l’onore di conoscere e frequentare, sono tutti rimasti persone semplici e leader veri anche dopo aver conquistato titoli e vittorie. Come affronti il fallimento degli obiettivi aziendali? Nella vita per definizione non mi piace la parola fallimento. Per fortuna non ho mai avuto momenti di crisi e di fallimento rilevanti di fronte a iniziative e progetti che non hanno raggiunto le aspettative. Sono dell’idea che gli errori, le mancanze e i risultati non raggiunti devono essere uno stimolo per crescere, migliorare e fare sempre meglio. The European House – Ambrosetti è esposta tutti i giorni alla valutazione severa dei clienti e delle istituzioni. Nel nostro mestiere non si può sbagliare, non c’è margine di errore e tutto deve essere preciso e impeccabile. A titolo di esempio: solo nel 2018, abbiamo assistito più di 107 famiglie nei loro difficilissimi e complessi percorsi di crescita. Qual è la parte più difficile del tuo lavoro? Il mercato in cui operiamo è esposto a ondate di flussi informativi imprevedibili e continui, di grande portata e vitali per il lavoro che svolgiamo. La parte più difficile è continuare a cavalcare questa onda senza essere travolti dalle informazioni o essere colti di sorpresa da accadimenti e cambiamenti che sono sfuggite al nostro radar. Un consiglio chiave per una buona gestione? Equilibrio e trasparenza sono le due caratteristiche centrali che un manager dovrebbe avere per gestire in modo ordinato ed efficace l’organizzazione. L’equilibrio è fondamentale perché permette di prendere decisioni, anche delicate, dopo averne valutato attentamente aspetti positivi e negativi. La trasparenza, unita alla schiettezza, permette di mantenere un ambiente di lavoro altamente meritocratico e orientato agli obiettivi, in cui si è valutati in modo oggettivo e senza pregiudizi o possibilità di fraintendimenti. Se avessi la bacchetta magica, cosa cambieresti subito nella tua realtà aziendale? La comunicazione interna e la conoscenza dell’azienda in cui si lavora, in ogni suo aspetto, sono fondamentali, soprattutto se è un’azienda articolata e complessa come la nostra. Farei in modo che ognuna delle nostre 250 persone potesse conoscere ogni ambito delle diverse attività per sentirsi più motivata ed orgogliosa di appartenere ad una realtà unica, magica e senza uguali nel mondo. Tutti dovrebbero avere entusiasmo per quello che fanno ed il sorriso per essere parte di un sogno!


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IL LAVORO DEL FUTURO

Come si diventa astronauti?

di Sofia Gorgoni

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La Virgin ha sottoscritto un accordo con due aziende italiane: Altec (di proprietà dell’agenzia spaziale italiana) e Sitael per poter collaborare alla costruzione di veicoli spaziali suborbitali. Lo Spazioporto di Grottaglie entro il 2020 sarà in grado di effettuare il primo lancio, ma a far viaggiare i turisti nello spazio dovranno essere le società che decidono di investire nel progetto. A livello globale le attività oltre l’atmosfera muovono 383,5 miliardi di dollari. Secondo Morgan Stanley il valore triplicherà entro 20 anni. In Italia ci sono circa 250 imprese del settore che danno lavoro a 6300 persone (+3 per cento degli occupati dal 2014) e nel 2017 hanno prodotto un fatturato di 1,9 miliardi di euro. L’Italia è un’eccellenza dello spazio, il terzo finanziatore dell’Agenzia Spaziale Europea e prima per numero di astronauti (quattro) dell’attuale European Astronaut Corps. Secondo uno studio effettuato dall’Asi, con il dipartimento di Eco-

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nomia dell’Università di Roma Tre, ogni euro investito nelle attività spaziali ne produce 11 di ritorno economico sul territorio.

Scopriamo una professione che diventerá normale tra pochi anni

o abbiamo sognato, visto nei film e letto nei libri: ora lo spazio sta diventando una meta accessibile (tranne nei prezzi per il momento). A febbraio la Virgin Galactic ha portato nello spazio il suo primo passeggero su un volo commerciale. Si tratta di Beth Moses, la principale istruttrice astronauta di Virgin che ha valutato la cabina e l’esperienza che vivranno i futuri clienti. Nonostante i 250mila dollari a biglietto, ci sono già più di 700 prenotazioni. Per portare a spasso nell’universo i facoltosi clienti, però, serviranno piloti esperti. Si prevede che già entro la fine del 2019 la Blue Origin di Jeff Bezos e la Virgin Galactic di Richard Branson, le due aziende private in prima linea su questa nuova frontiera, porteranno in orbita i primi fortunati che potranno ammirare la curvature della Terra. Uno spettacolo a prova di ‘terrapiattisti’. La notizia più interessante, però, è che i voli potrebbero partire anche dall’Italia, precisamente dalla Puglia.

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Secondo gli ultimi bandi europei è necessario avere una laurea scientifica, un certificato di abilitazione al volo e un’ottima padronanza dell’inglese. L’aspirante astronauta deve poi superare una lunga serie di esami medici e psicologici. L’ESA ricerca astronauti con un’età tra i 25 e i 40 anni circa e un’altezza tra i 153 e i 190 cm, la cui vista raggiunga i 10 decimi (anche con occhiali e lenti a contatto) e che non abbiano subito interventi laser. L’addestramento include prove fisiche e di sopravvivenza che durano almeno due anni e corsi formativi per vivere nello spazio con nozioni di ingegneria, aeronautica e robotica. Nel settore privato non ci sono regole precise. Quanti astronauti spaziali ci sono in Italia? Nella storia dell’Asi (Agenzia Spaziale Italiana) sono stati sette gli astronauti che hanno viaggiato nello spazio. Con l’arrivo dei voli commerciali lo scenario subirà una trasformazione rapida. L’ESA (Agenzia Spaziale Europea) fornisce uno stipendio che va dai 4000 ai 6000 euro al mese, per un guadagno annuale che va da 48 a 84 mila euro, in base all’esperienza acquisita. In pratica è la stessa retribuzione degli altri scienziati che lavorano negli uffici di Parigi. Nella NASA l’ultimo bando di concorso per astronauta del 2007 prevedeva uno stipendio lordo che partiva dai 59 mila ai 130 mila dollari americani. Per quanto riguarda il settore privato lo stipendio raddoppia. Quanti piloti spaziali serviranno in futuro? Oltre a Virgin Galactic ci sono molte altre iniziative private come Blue Origin, Bigelow e tantissimi altri che stanno tentando di raggiungere quote orbitali o di intraprendere attività commerciali a quote orbitali, per svincolare i normali fondi destinati alle agenzie governative. Alcuni esperti prevedono che entro 20-25 anni i primi uomini e donne cammineranno su Marte; ci sarà dunque uno sbocco nelle attività spaziali. Chi ha lavorato per le agenzie governative ha più possibilità di entrare nel settore privato.


L'economia raccontata dagli under 35.

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