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cover story
the-newsroom.it
L’Italia con gli occhi di domani
numero 7 Marzo / Aprile 2018 P. 9
24 ore in Italia: storie di un Paese che cambia
editoriale di franco ferraro
P. 46 intervista a camihawke
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the new’s room
PROLOGO cover story
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he New’s Room è nata per raccontare l’Italia e il mondo con gli occhi dei professionisti under 35. Per raggiungere questo obiettivo abbiamo scelto un metodo nuovo, un contest aperto, da cui ha preso forma la redazione per l’anno 2018, il nostro secondo anno. Indagare e riflettere sul nostro Paese, in un momento che appare cruciale, non può ignorare il punto di vista di una generazione che si confronta ogni giorno con le fortune e le anomalie di crescere in Italia. Uno sguardo ingenuo ma curioso sul mondo può aiutare giovani e meno giovani a capire il futuro che diventa presente, sempre più veloce. Il più grande errore che potremmo fare è quello di presentare al lettore una visione stereotipa del giovane italiano. Nell’era post-ideologica tenderemmo a pensare che gli spaccati partitici siano superati, ma alcuni stereotipi per-
Pierangelo Fabiano, Fondatore
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mangono: per essere inclusivi nel racconto della realtà, abbiamo il dovere di non prenderci troppo sul serio, di non perdere un tono di voce dialogante, di non ripararci nella presunta ufficialità per mascherare la nostra inesperienza. È il messaggio che abbiamo affidato alla nostra redazione. Nell’era digitale, quando l’attenzione ci sembra sempre più frammentata, vogliamo offrire uno spazio di riflessione e approfondimento, con una rivista che affronti (coraggiosamente) un tema alla volta. Incrociamo una tendenza che inizia a emergere con chiarezza in molti mercati: se le hard news arrivano naturalmente sui nostri telefoni, sui nostri divani ci regaliamo il lusso di leggere e provare a capire. The New’s Room coglie questa sfida. La strada è lunga ma il viaggio è già iniziato.
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Gli -ismi sono tornati a trionfare nella retorica della campagna elettorale appena conclusa. E tra tutti (rigurgiti pseudo-fascisti, e retorica anti-migratoria) fatto salvo il pluri-propagandato o pluri-temuto populismo, a seconda da che lato lo si voglia guardare, meno citato ma altrettanto pericoloso, c’è lo spettro dell’immobilismo. Eredità della congenita ingovernabilità Italiana. Da ogni parte si ammonivano gli elettori che se il voto fosse andato da una parte o dall’altra, si sarebbe rischiata, ancora una volta, l’immobilità. Lo stesso Mario Draghi, non molto tempo prima, metteva in guardia i cittadini sui rischi che avrebbe corso l’Italia se, invece di combattere con decisione l’immobilismo, ci si fosse focalizzati soltanto su un generico e quanto mai vago populismo. Eppure fermi non si è mai, tantomeno immobili. Ed oltre gli equilibri e disequilibri politici di una campagna che ha coinvolto i cittadini såmpre meno; c’è un paese che si muove con le sue traiettorie umane caotiche ed inarrestabili, le sue battaglie, le speranze, le contraddizioni. In questo numero, con i nostri redattori diffusi, abbiamo provato a raccontarvi questo. Mettendo insieme i pezzi, in un mosaico di voci e volti, abbiamo voluto costruire un affresco dell’Italia che va avanti, oltre e nonostante la politica. Un viaggio attraverso la periferia Romana di Torpignattara, tra le insegne scritte in decine di lingue diverse, dove Italiani e stranieri viaggiano su binari paralleli senza incontrarsi mai. Un caffè al bar dell’Aquila, aggirato l’ennesimo cartello che recita: “Strada chiusa”, emblema di una città-cantiere che attende di rinascere, ma non è rinata ancora. Una panoramica sul mondo del lavoro e dell’identità, tra post-pensionati che non si decidono a cedere il posto, giovani precari che faticano al trovare il proprio, e chi non ha rinunciato a inseguire i propri sogni e, alla fine, ce l’ha fatta. Il percorso di chi si è sentito a lungo intrappolato in un corpo che non gli appartiene, e fa fatica a farsi riconoscere dalla società. Uno sguardo sul mondo dell’innovazione tecnologica, visto da chi la cavalca, e da chi fa fatica a stargli dietro; i nati nel 2000 che quest’anno hanno votato per la prima volta, i neo-genitori e le priorità che cambiano, la settimana bianca, il vuoto estivo di un’Italia che non andrà ai mondiali, e l’eco assordante delle promesse di un’ Italia che è da poco andata al voto, sospesa, eppure in movimento. di Sara D'Agati, Direttore Editoriale
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Nulla rivela più del movimento
M. Graham
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IL GIOCO PUÒ CAUSARE DIPENDENZA PATOLOGICA
IL GIOCO È VIETATO AI MINORI DI 18 ANNI
INDICE Legenda
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P. 12 P. 13 P. 15 P. 17 P. 21 P. 22 P. 25 P. 27 P. 28
P. 31 P. 33 P. 34 P. 37 P. 40
P. 43 P. 44 P. 46
NUOVI MILIARDARI.
Con una riga in più da grattare.
EDITORIALE
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Franco Ferraro
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Le vacanze, quelle degli altri Lorenzo Bernardi Rotta sulla fabbrica della cultura Simone Rubino “La mia giornata in laboratorio: una passione che mi sveglia alle 4” Roberta Russo Beyond the Gender Alessia Tozzi L’Aquila, la città che insegna la pazienza Margherita Puca I post-pensionati Gerardo Fortuna 24 ore con una nonna hi-tech Antonio Carnevale Torpignattara in tutte le lingue del mondo Laura Bonaiuti Questa notte non è più nostra Riccardo Venturi Sintomi di un precario Carmen Baffi e Ilaria Danesi
FOCUS
Il Molise obeso che ha ancora voglia di crescere Old but Gold Come ci informiamo per votare I nati nel 2000 Neo genitori al voto
Daniele Priori Nicolò Rosato Carlo Brenner Francesca del Vecchio Alice Militello
APPROFONDIMENTI I numeri del futuro Chi ha paura di fallire? Camihawke
Sofia Gorgoni Sara D'Agati
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La Mappa indica le tappe del viaggio attraverso l'Italia della nostra redazione diffusa 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13
Lorenzo Bernardi Bardonecchia Simone Rubino Torino Roberta Russo Padova Alessia Tozzi Firenze Margherita Puca L'Aquila Gerardo Fortuna Roma Antonio Carnevale Roma Laura Bonaiuti Roma Riccardo Venturi Roma Carmen Baffi Ilaria Danesi Cosenza Daniele Priori Campobasso Nicolò Rosato Trieste Francesca Del Vecchio Milano Sofia Gorgoni Roma Sara D'Agati Roma
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editoriale
Caporedattore SKY TG 24. Ideatore e conduttore di SEVEN (Programma sui più importanti fatti della settimana). Top blogger Huffington Post. Conduttore di DUEL (i dibattiti tv dei candidati alla Casa Bianca) Corrispondente dagli Stati Uniti gennaio– febbraio 2010. Inviato negli Stati Uniti per le elezioni 2008, inviato a Londra per le elezioni 2005, inviato in Egitto per la Conferenza di Pace in Iraq. Autore del saggio “Barack Obama, l’uomo del destino” e membro della Giuria del Grand prix Corallo Città di Alghero.
con gli interventi di
marco bardazzi (Direttore comunicazione ENI) federico fabretti (Direttore relazioni esterne Leonardo) antonio funiciello (Capo staff del Presidente del Consiglio) maurizio gasparri (Vice Presidente del Senato) mario sechi (Giornalista ) carlotta ventura (Direttore Centrale Brand Strategy e Comunicazione) in tutte le migliori librerie
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24 ore. Un giorno. Nella vita di persone e città. Nel cuore di un Paese: l’Italia. Con i suoi evidenti problemi ma anche con le sue indiscutibili potenzialità. Un tempo di cronaca e setaccio. I nostri pensieri e il nostro parlare esistono nel tempo, la struttura stessa del nostro linguaggio richiede il tempo (una cosa “è”, oppure “era”, oppure “sarà”). È Heidegger che ha espresso con forza questo nostro “abitare il tempo”. E i protagonisti di questo numero di the new's room abitano il tempo: lo spessore del presente e la cocciuta illusione del futuro. Con i piedi per terra, la pasticciera e l’architetto, il giovane al primo voto e l’addetto agli impianti di risalita a Bardonecchia, la transgender e il post pensionato, la super nonna hi-tech e il candidato alle elezioni, la blogger, attraversano il (loro) tempo che più in là (o forse più in qua) è anche il nostro. Sono uomini e donne consapevoli, contagiati dalla voglia di credere che le cose possono (e devono) cambiare, insensibili al gioco dei rimandi, ipnotico e crudele, impegnati nel quotidiano a disinnescare la bomba degli automatismi. Michelangelo scrisse che: “L’attesa è il futuro che si presenta a mani vuote”. La sensazione netta è che gli attori di questo numero vogliano riempirle queste mani, trasformando l’attesa in una terra fertile nella quale seminare possibilità, conseguenze e risultati. Le loro 24 ore sono in fondo – rubando un guizzo a Gramsci – “un semplice pseudonimo della vita stessa”. 24 è una cifra eloquente. Ha unito per esempio la vita e il cinema. Nel 2010 Ridley Scott ha prodotto Life in a day, un film corale, realizzato montando decine di migliaia di video girati dai protagonisti il 24 luglio lungo i 24 fusi orari. E questo numero di the new's room – che riparte con rinnovata energia guardando a obiettivi ambiziosi – è un lavoro corale in cui il quotidiano, scollinando l’accezione di ordinario, va oltre e racconta il vero, scopre nuovi punti di vista, introduce riflessioni. Buona lettura. Franco Ferraro, Coach
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Le vacanze, quelle degli altri
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Testo di Lorenzo Bernardi Foto di Isabella Mancioli
Bardonecchia
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I numeri • 1.312 metri sul livello del mare • 3.168 abitanti • 30.000 presenze turistiche in alta stagione • 2 comprensori sciistici per oltre 100 km di piste da discesa • 17 km di piste da fondo • 10 km di percorsi segnalati per racchette da neve. Oltre 14mila posti letto fra hotel, pensioni, residence e campeggi. Sede del Villaggio Olimpico e delle gare di snowboard dei XX Giochi olimpici invernali.
Il piattello dello skilift scende facendosi strada in mezzo alla neve. A fine corsa, veloce, curva e ricomincia un'altra salita solitaria, per scomparire qualche metro più in su, nella nebbia che12in realtà è una nuvola. Dalla pista scendono alcuni ragazzi sui vent'anni, americani. 13 3 Uno passa il tornello, sci ai piedi. Matteo gli passa il piattello, quello si aggancia. «Thanks, mate», saluta e parte. Matteo, la pala in mano, lo guarda salire. Matteo ha 30 anni e da dieci lavora sugli impianti di risalita. Sempre qui, a Bardonecchia, sulle Piste Olimpiche di Torino 2006. Occupa questo spicchio di montagna che si chiama Pian del Sole da dicembre ad aprile.
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Lui di “settimane bianche” ne fa una ventina. Ma non dorme in albergo, non fa selfie in seggiovia e non passa il pomeriggio nella spa del Villaggio Olimpico. Spala le rampe, porge lo skilift a russi facoltosi e, ogni tanto, cerca di evitare che un ragazzino alle prime armi con lo snowboard si fresi la faccia sulla neve. Tutto l'inverno su un picco a 1500 metri, a guardare la gente che, dalla vicina Torino, ma anche da Mosca e Shanghai, viene quassù a respirare un po' di5 adrenalina, a 37 euro a giornaliero. «Gente allegra, spensierata – racconta –. Vengono a 6 spendere soldi. Ci credo che si divertono». 7 8 la gode. Indica orgoglioNon sono gli unici, però. Anche Matteo se 11 9 so i larici pesanti di neve. «Guarda il mio ufficio: ne hai mai visto uno più bello?». Il suo è lavoro stagionale, a chiamata. Se nevica si lavora, se no, no. E d'estate, sulle spiagge della Liguria, a fare il bagnino. La precarietà? A tre sottozero si affronta con un'alzata di spalle. «Non sono finito qui per caso, è stata una mia scelta – racconta –. Dopo il liceo, potevo iscrivermi all'università, ma non mi andava. Cercavo l'autonomia e ho subito cominciato a lavorare. Non ho nessun rimpianto. Ho colleghi laureati, ma io ho più esperienza, quindi l'azienda chiama prima me. Qui sto benissimo: aria buona, scio gratis, il lavoro mi piace ed è ben pagato. Vuoi spaventarmi? Offrimi il posto fisso. Non fa per me, ho bisogno di fare sei mesi di vacanze all'anno». Forse Matteo ne fa anche di più. Solo che sono le vacanze degli altri. Ma in fondo che importa? La vita non è male, vista dal Pian del Sole, e il futuro non fa paura. Sarà l'aria buona che ispira fatalismo. «Fa 10 anni come mi vedo? Non so. Forse mi stabilirò qui tutto l'anno con la mia compagna e la farò finita con la vita da bagnino. In fondo, se vuoi una famiglia, a un certo punto ti devi fermare». Se gli chiedi com'è l'Italia vista da questa montagna, ci pensa su e poi dice: «Qui siamo in balìa degli eventi, ma l'Italia ce la può fare. Bisogna dimenticarsi quei cliché dei nostri genitori: la stabilità, il posto fisso. Quella roba non esiste più e non tornerà, basta accettarlo e reinventarsi. Per me, non è necessariamente un male».
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Testo di Simone Rubino
Torino
I numeri • Superficie di 2300 km² • 884.733 di abitanti La scorsa estate è stata sul web la meta preferita, fra le città d'arte italiane, del turismo. Diversi progetti culturali hanno riqualificato ex spazi industriali: le Officine Grandi Riparazioni, la Fondazione Merz e la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo. Il "New York Times", nel 2016, l'ha inserita nell'elenco delle 52 città del mondo da visitare.
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Rotta sulla fabbrica della cultura
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da città fabbrica a capitale culturale? un blog racconta come torino si sta reinventando, fra enigmi e certezze, per voltare pagina anche all'insegna del bello Il grattacielo della Regione Piemonte di Massimiliano Fuksas batterà in altezza la Mole Antonelliana. Quello di Renzo Piano per In12 tesa Sanpaolo, in segno di rispetto, si è fermato 25 centimetri prima di raggiungere i celebri 167,50 metri. Ma il simbolo di Torino, che sta 13 3 vivendo una metamorfosi, non negando il passato ma valorizzandolo, cambiando anche la sua skyline, resterà lei. Laura Cardia mi aspetta davanti al Teatro Regio, in piazza Castello, al capolinea del 7, linea storica che corre su un tram d'epoca lungo un “museo in movimento”, cioè Torino; come avviene sulla Market Street Railway di San Francisco o sulla Carreira 28 di Lisbona. La fermata è deserta ma saliamo per anticipare la folla di turisti che salirà. Laura è architetta e blogger, ha 50 anni ed ama la sua città, alla quale 4 dedica il suo blog: “Rotta su Torino” nel quale racconta la strada percorsa dalla prima capitale d'Italia per girare pagina, attraverso l'arte, la cultura e gli eventi, la narrazione del bello. «È difficilissimo parlare di Torino» esordisce Laura, per la complessità della sua storia, l'ingorgo di eventi e personaggi ed il carattere particolare dei torinesi. 5
Il tram è talmente vecchio e rumoroso che quasi non riusciamo a 6 parlare, a sentirci. Al di là dei finestrini scorre Torino: da piazza Vit7 8 torio, ferita dalla chiusura dei Murazzi, cuore della movida under11 9 stazione Porta Nuova, ground sulla banchina del Po, alla passando per le vie che conducono a due gioielli dell'offerta artistica e culturale: il Museo Egizio (il secondo più grande al mondo) e Galleria d'A rte Moderna; poi la Cittadella, fortezza sabauda che resistette all'assedio francese del 1706 e il Duomo di San Giovanni, a due passi dalla multiculturalità di Porta Palazzo, punto di arrivo di tutte le migrazioni e mercato all'aperto più grande d'Europa. Al capolinea scendiamo insieme ad uno sparuto numero di viaggiatori, ma turisti ancora nessuna traccia: «Forse non sanno nemmeno dell'esistenza di questa linea, non è molto pubblicizzata» dice Laura sorridendo. Qualche centinaio di metri più in là ci sono Palazzo 9 Reale, dove «hanno saputo reinventarsi unendo cinque storici musei torinesi in un'unica location», e Palazzo Madama, sede del Senato subalpino nel 1848: «“Senza l'Italia, Torino sarebbe più o meno la stessa cosa. Ma senza Torino, l'Italia sarebbe molto diversa”. Io sono molto d'accordo con quel che disse Umberto Eco». «Non so se il passaggio della città da fabbrica industriale a fabbrica culturale sia compiuto. La cultura da sola non basta e c'è ancora bisogno delle industrie, non esiste solo il centro ma anche la periferia» conclude Laura, non perdendo l'ottimismo: «Il declino è nell'aria ma Torino sa ripartire e guarda sempre al futuro. La nottata passerà, nel frattempo abbiamo la bellezza di questa città».
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“La mia giornata in laboratorio: una passione che mi sveglia alle 4”
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Testo di Roberta Russo
24 ore con una giovane pasticcera «Quando ero piccola ero l’unica ad avere il permesso di entrare in cucina mentre mio nonno era ai fornelli, e la sola a poter maneggiare l’impasto della pizza perché avevo le mani calde e con il calore, si sa, il lievito cresce meglio». Partita dall’A lma, la fucina di Gualtiero Marchesi, e dopo aver gi13 rato diversi ristoranti d’Italia Francesca Russo, napoletana ventitreenne, è approdata a Sermola di Rubano, in provincia di Padova, nel laboratorio di pasticceria della famiglia Alajmo. 45°N La sveglia per lei suona alle 4 del mattino: «alle 5 devo essere in laboratorio perché ci sono tante cose da fare: preparare il banco della pasticceria, i cornetti con le varie creme, i krapfen e le brioches, i mignon, ma anche le torte e, a seconda del periodo, i panettoni, le frittelle, i crostoli, o le colombe». Alle 8 è il momento della colazione insieme con gli altri della brigata: «dopo torniamo nel laboratorio ed iniziamo le produzioni per i vari ristoranti: dai grissini, ai cracker, dal pane, alla piccola pasticceria, torte e creme. Verso le 11 e 30 pranziamo e dopo una mezz’oretta si ricomincia» fino alle 5 di pomeriggio. «Quando finisco sono veramente distrutta e quindi torno in alloggio, che per fortuna è a pochi metri, e dopo una doccia, ceno e verso le 19.30/20 vado a dormire, perché alle 4 suona di nuovo la sveglia!». «Andare via a 18 anni non è stato facile» mi racconta Francesca, «e forse questa è l’unica cosa che rimpiango, essermene andata di casa presto. Scegliendo questa strada è come se avessi chiuso la porta all’adolescenza per entrare subito nel mondo del lavoro.» Un mondo che chiede e pretende sacrifici, fisici e psicologici, soprattutto alle donne: «quest’ambiente non è facile e per le ragazze è ancora peggio! – confessa – e nonostante ad oggi siano molte le chef donna che si sono affermate, continua ad essere troppo maschilista. Non è facile stare in una cucina con tutti maschi che a volte tendono ad esagerare nei modi e nelle battute, soprattutto con una “giovane leva” come me». Ed è anche per questo che Francesca ha scelto di andarsene da alcuni ristoranti. «La cosa che amo di più è che questo lavoro non smette mai di stupirti e da un giorno all'altro la tua vita può prendere una svolta diversa. Io ho iniziato in cucina e oggi mi ritrovo in pasticceria, due mondi che spesso sono separati. Per questo se mi immagino tra 10 anni spero di sentirmi esattamente come mi sento adesso, fiera di fare questo lavoro nonostante le difficoltà, magari in una cucina tutta mia».
Padova
Padova è anche chiamata “la città 4 dei tre senza”, meglio identificati con “Il Prato senza erba” ovvero il Prato della Valle, il “Santo senza nome”, Sant’Antonio che qui morì, e il Caffè senza porte, il Caffè Pedrocchi, luogo d’incontro nel Rinascimento. 6 L'Università di 7 Padova, fondata nel8 1222 è la seconda più 9 antica d'Italia ed è stata la prima al mondo ad accettare studenti ebrei e la prima ad ospitare la seduta di laurea di una donna: Lucrezia Corner Piscopia fu la prima donna a laurearsi al mondo in medicina dopo il 1678. L'Orto Botanico di Padova è il più antico d'Italia. Nato nel 1545 come laboratorio di studio delle piante officinali, è stato la prima serra italiana dove si sono coltivati patate e girasoli ed è Patrimonio dell'Umanità UNESCO.
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Beyond the Gender
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Testo di Alessia Tozzi Foto di Isabella Mancioli
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la lotta per diventare se stessa 12 3
Firenze
Su Facebook c'è un gruppo chiuso di Trekking LGBTQI e si chiama Altri passi. È del Tribunale di Firenze una delle prime sentenze italiane che ha accolto il ricorso di una transgender non operata per il cambio dei dati anagrafici (in conformità alla sentenza 15138/15 della Cassazione).
Sono le dieci di domenica mattina. Suono il campanello di una palazzina a Rifredi, quartiere residenziale di Firenze. Elena mi apre imbarazzata nel pigiama di flanella, sua madre è uscita per la preghiera buddista e si è dimenticata di svegliarla. Intorno un forte odore di sigaretta. Andiamo in cucina, un caffè per me e una camomilla per lei. Un gatto accovacciato sul tavolo ci osserva con aria assonnata. «Staremo qui ancora per poco. A novembre ci hanno assegnato una casa popolare, ma la mamma ha un cancro e organizzare il trasloco è complicato». Due anni fa Elena ha avuto un tumore alla laringe: le sono rimaste la voce roca e un’invalidità del 100% che, tuttavia, le ha permesso di entrare in graduatoria per un vero lavoro all’Agenzia delle Dogane. Sì, perché uno5 dei problemi principali di una transgender è trovare un impiego. E avere il nome di donna sul documento non serve se la fi6 sicità tradisce un passato diverso. «Ho fatto tanti colloqui e non sono 7 mai stata richiamata. Se ho trovato qualcosa è stato solo grazie a per8 sone che conoscevo, ho11fatto da badante alla vicina o le pulizie per la 9 ditta dove lavorava mia madre». Per il resto è stata cubista nei locali e attrice teatrale per brevi periodi. «Quando dalla Sicilia mi sono trasferita al Nord, per mantenermi e pagare gli interventi chirurgici mi sono anche prostituita». Elena ha sempre saputo di essere femmina: da bambina prendeva ormoni di nascosto e, guardando Amanda Lear in tv, sognava di scappare all’estero per operarsi. Per il padre era malata di mente, per gli altri “un mezzo e mezzo” di fronte a cui farsi il segno della croce. 9 Desiderava scomparire. All’inizio sembrare donna era un’ossessione, un capello fuori posto avrebbe potuto svelare l’inganno e il e il più severo giudice di sé stessa era sempre lei. «Non ho preso la patente, non ho fatto l’università, ho rinunciato a votare ed evitato l’aereo: non volevo che vedessero me, e poi quel nome da uomo sul documento.» Dopo l’operazione sono arrivate la sentenza per il cambio anagrafico e un’apparente tranquillità. La quotidianità si è semplificata, è vero, ma la carta d’identità non l’ha preservata dai commenti. Allora è stata lei a cambiare prospettiva. «Il sesso è nella testa. Non è quello che sta fra le gambe o su un documento. Io sono una donna a prescindere, diversa, ma pur sempre una donna. Adesso non ho più l’urgenza di mostrarmi femmina a tutti i costi, posso uscire struccata e spettinata». A maggior ragione adesso che le sue giornate scorrono lente: sta aspettando la chiamata per iniziare a lavorare. Mi mostra la sua camera e le foto in cui ha posato per campagne gender, ne cerchiamo una assieme per il pezzo, a breve deve andare via. Deve accompagnare la madre a scegliere la cucina per la casa nuova.
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Testo di Margherita Puca Foto di Isabella Mancioli
L'Aquila
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L’Aquila, la città che insegna la pazienza tra cumuli di macerie e tentativi di ricostruzione, storia di un bar che resiste
È mattina presto, fuori è ancora buio mentre Luca cammina tra i vicoli della sua città. Oggi è costretto a cambiare percorso, la solita via per il centro è bloccata da un grande pannello di legno ed un cartello che recita: “Strada chiusa”. Da anni se ne vedono moltissimi simili ovunque. Il suo giro si allunga di qualche minuto, ma poco importa, non ha fretta. Arrivato nei pressi del suo bar, l’uomo alza le saracinesche, accende le luci, porta all’esterno sedie e tavolini, poi alza gli occhi: i primi rumori di provenienti dal cantiere dall’altro lato della strada gli ricordano dov’è. 11 L’Aquila, gennaio 2018, lunedì. Per tutto corso Vittorio Emanuele riecheggiano rumori di martelli pneumatici e di camion che caricano e scaricano macerie di pietra e di cemento, mentre una gru si sposta sopra i tetti puntellati dei palazzi. Gli operai della ricostruzione camminano tra i muri impolverati e sporchi della città silenziosa, poi entrano nel Bar del Corso. Luca li aspetta puntuali, consapevole del fatto che senza di loro il suo locale rimarrebbe vuoto, nonostante sia uno dei pochissimi aperti per le vie del centro storico. A quasi nove anni da quel 6 aprile le cose sono cambiate, ed alla cieca fiducia in un rapido miglioramento si è sostituita una ras9 segnazione tranquilla. Le promesse delle associazioni di categoria e dell’amministrazione avevano incoraggiato tanti piccoli esercenti, tra cui Luca, a riaprire la propria attività in breve tempo, il necessario per i controlli e la messa in sicurezza. Ma dopo pochi mesi in cui l’economia sembrava andare, drogata da quel turismo dell’emergenza al quale comunque si guardava di buon occhio, l’interesse del paese si è semplicemente spostato altrove. Molti aquilani sono andati via, negli alberghi della Costa Adriatica e nei paesi limitrofi, alla ricerca di un nuovo inizio. Le poche centinaia di persone rimaste tra le mura del centro resistono silenziosamente, aspettando il giorno lontano in cui la loro città riprenderà a vivere. Dietro il bancone Luca pensa ogni giorno di chiudere la sua attività e spostarsi altrove, ma la necessità di lavorare ed i pochi risparmi rimasti non gli lasciano scelta, così rimane qui, perché vivere all’Aquila insegna la pazienza. Ogni giorno, nel tornare a casa a fine giornata, ama fermarsi in Piazza del Duomo, dove una grande scritta su un palazzo in ristrutturazione legge “L’Aquila Rinasce”. Forse.
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I post-pensionati 45°N
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Testo di Gerardo Fortuna Foto di Isabella Mancioli
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I numeri • 442.000 il numero di pensionati che risultano occupati stabilmente in Italia • 1,578 milioni il numero di pensionati sopra i 59 anni che hanno lavorato almeno un giorno nell'ultimo anno di riferimento in Italia • 15% l’incremento percentuale di lavoratori over 65 in Italia nel decennio di riferimento Ocse 20042014 Rentarentner, piattaforma internet nata in Svizzera sulla quale è possibile affittare pensionati a ore per le più svariate mansioni.
l'italia di quelli che non vogliono tirarsi fuori dal mondo del lavoro, raccontati dalla generazione che non riesce ad entrarci
Uno dei vezzi cinici più in voga tra i giovanissimi è quello di considerare la pensione come un animale fantastico. C’è però un’Italia che la pensione l’avrebbe pure raggiunta, ma di uscire dal mercato del lavoro proprio non ne vuol sapere. Dimenticate gli umarell, gli anziani che passano le giornate a guardare i lavori nei cantieri: il post-pensionato ha preso molto seriamente l’allungamento delle aspettative di vita e il fatto che i nipoti da accudire siano sempre di meno. 11 Ventiquattr’ore nella giornata di chi non riesce a smettere possono iniziare molto presto, come nel caso dell’impiegato in banca che si è reinventato bioagricoltore una volta chiesta la pensione anticipata. La vecchia portinaia finisce di spazzare le scale e dà il buongiorno all’amministratrice locale, una vita passata in politica e riciclatasi a 70 anni in un incarico di minor pregio. A ora di pranzo i volontari over65 di una Onlus distribuiscono pasti a disabili con problemi di deambulazione, mentre nel primo pomeriggio il Professore emerito trova il tempo di andare a lezione, destreggiandosi tra oneri e onori dei suoi numerosi incarichi in facoltà. E torna a casa verso le 18.00 l’operaio pensiona- to talmente specializzato, che l’azienda gli ha chiesto di poter 9 continuare part-time non essendo riusciti a trovare un altro come lui. I post-pensionati sono dappertutto e vivono in mezzo a noi. Li trovi sui siti degli annunci di lavoro, dove compaiono spesso accanto alla parola “tuttofare”, tra fattorini automuniti, giardinieri, antennisti, muratori per lavori di ristrutturazione. Un mondo fatto anche di consulenze ben retribuite per (ex?) liberi professionisti, ma anche fatto di tanto lavoro nero, specie tra i pensionati di provincia che vanno a rimpolpare la quota dei 3 milioni di lavoratori irregolari in Italia. Sono 442mila i pensionati che si dichiarano “occupati”, in calo rispetto al 2011. Ma a lavorare sono circa 1,5 milioni se consideriamo la categoria di persone “attive”, cioè chi ha lavorato almeno un giorno nell’ultima annualità di riferimento. Se la crisi può aver acuito il fenomeno, quasi mai il motivo che li spinge è solo quello di integrare assegni sociali insufficienti al sostentamento familiare. Molti semplicemente hanno ancora voglia di fare e credono che lavorando si invecchi meglio. Altri non riescono a distaccarsi da una routine che li ha tenuti impegnati per tutta la vita, palesando la difficoltà di concepire l’età del ritiro come veniva vista un tempo.
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Testo di Antonio Carnevale Foto di Isabella Mancioli
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I millennials si connettono in prevalenza da mobile (il 93% delle volte), ma usano anche il tablet (il 47%) e il pc (il 30%). L’85% di loro considera in qualche modo importante restare aggiornati, il 60% lo fa attraverso i social. Amano il messaging, tanto che il 75% preferisce questa forma di comunicazione a quella vocale. La maggior parte degli over 65 quando si connette lo fa soprattutto attraverso uno smartphone: il 13,5% degli intervistati uomini e il 13,2% delle donne. Però tra coloro che lo usano, ben il 90% lo usa almeno una volta al giorno, rispetto al 72% degli anziani europei.
24 ore con una nonna hi-tech ovvero, l’italia al tempo dei gruppi whatsapp delle mamme
Vi è mia capitato di avere a che fare con una nonna “hi-tech”? O con una mamma alle prese con l’acquisto di un nuovo smartphone? Eh sì, probabilmente tutti ci siamo prima o poi imbattuti in una richiesta d’aiuto da parte di parenti in difficoltà con l’invio di una email con allegato, piuttosto che con la registrazione di una nota vocale su Whatsapp. Cosa fare in questi casi? Non ho buone notizie per voi. L’unica soluzione è rassegnarsi. Lo di11 cono i dati: nel nostro paese manca ancora una vera cultura del digitale. E, secondo le ultime rilevazioni Istat, una delle fasce più penalizzate è proprio quella che va dai 55 ai 74 anni. Ne siamo testimoni quotidianamente, quando abbiamo a che fare con parenti o colleghi alle prese con novità tecnologiche che il più delle volte non riescono a comprendere. Ma ugualmente sono costretti (o scelgono) di usare, per lavoro o piacere. Facendo, nella migliore delle ipotesi, delle gaffe esilaranti. Attenzione. Ciò non vuol dire che i giovani siano tutti, indistintamente, dei guru dell’informatica. Sfatiamo questa leggenda secondo la quale «da quando hanno due anni sanno già utilizzare lo smartphone meglio di noi» (detto necessariamente con aria fintamente stupita e oc9 chio lucido da mamma orgogliosa). È ovvio. I bambini hanno una curva di apprendimento più breve, amano sperimentare e conoscere cose nuove. Questo non vuol dire che cresceranno come giovani educati all’utilizzo delle nuove tecnologie, che sapranno approcciarsi al mezzo con spirito critico e, ad esempio, che saranno in grado di distinguere una fake-news da una notizia vera. Vi racconto un fatto: pochi giorni fa, praticamente all’alba, mi arriva un messaggio Whatsapp. Era mia madre. Apro. “Buongiornissimo!!!”. Ok, manteniamo la calma. Poi dieci video (che ovviamente non apro) e un messaggio lunghissimo che recita, più o meno, così: “ATTENZIONE! Da domani Whatsapp diventerà a pagamento…”. Neanche 40 secondi e squilla il telefono. È lei. Preoccupatissima. Le successive 24 ore le ho dovute passare a liberare il suo pc da malware di ogni tipo, ripristinare la sua casella email (“il mio sito”) del quale aveva dimenticato la password (o “pasvud” che dir si voglia) e spiegarle come allineare il testo all’interno di un file Word. Poi siamo passati allo smartphone. Del resto, questo Whatsapp non va, “non ci sono tutte le mie amiche”, “non mi fa inviare lo stesso messaggio a tutta la rubrica” e, per di più, “la suoneria dei messaggi è troppo bassa” (Insomma, ma questi in Silicon Valley a che pensano tutto il giorno? ). Alla fine ce l’abbiamo fatta (almeno fino alla prossima email). Ci vuole una birra! Prendo il telefono, apro whatsapp. Nel gruppo dei miei amici - “Trentenni disperati” - lampeggiano già ben 357 messaggi. Magari ci hanno pensato già loro ad organizzare la serata. Apro. “ATTENZIONE! Da domani Whatsapp diventerà a pagamento…”. A questo punto, potrebbe non essere una cattiva idea.
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Torpignattara in tutte le lingue del mondo
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Sono le sette del mattino a Torpignattara, periferia sud-est di Roma. Il quartiere si sveglia all’alba al suono delle saracinesche che si alzano sulla strada. Le insegne sono scritte in tutte le lingue del mondo. Alcune, indecifrabili. I binari del tram di Via Casilina dividono la zona a metà. Da una parte, Via di Torpignattara, che termina con l’acquedotto romano, e dall’altra Via della Maranella. Nel centro del quartiere sono sopravvissuti alcuni negozi italiani, dove gli stessi italiani si ritrovano tra loro. Intanto, come tante piccole formiche, gruppi di stranieri posteggiano i furgoni, aprono i tendoni bianchi su Via Casilina, montano i banchi e ci ammassano sopra i vestiti usati. Pasolini su Torpignattara scriveva: “Una Shangai di orticelli, strade, (…) gruppi di palazzoni”. Era il 1955. Nessuno là aveva ancora mai visto uno straniero, né tantomeno un’insegna in un’altra lingua. Da qualche anno, invece, i romani del quartiere parlano di “invasione”. Adesso Torpignattara è una babele di lingue, religioni, colori e odori di cibi di ogni parte del mondo. Nella zona si notano tabernacoli cattolici che convivono con cartelli, scritte e foto di personaggi di divinità religiose induiste. Ci sono 5 moschee ufficiali nel raggio di 700 metri, dove, specialmente il venerdì, le persone arrivano in massa, sostano sull’entrata per togliersi scarpe e calzini, poi scompaiono nel corridoio che porta alla stanza della preghiera. Alcuni romani esagerano: «Questi li addestrano per farsi saltare tutti in aria». Ma gli islamici non sono gli unici ad avere i loro luoghi sacri. In Via della Maranella, un tempio cinese con insegne indecifrabili convive con la moschea di Quba a due metri di distanza, sullo stesso lato della strada. Italiani e stranieri a Torpignattara viaggiano su binari paralleli che non si incontrano mai, come quelli del tram di Via Casilina. Ogni comunità ha i suoi negozi, la sua clientela, i suoi luoghi di ritrovo. L’unico modo per sopravvivere senza scontri. E la politica? La risposta dei romani è unanime: «A votare si va sempre, è un dovere. Ma questo voto non si sa bene a chi darlo». Intanto, l’unica sede di partito del quartiere resta quella del PD, dove verso sera sugli scalini sotto la bandiera un uomo fa il pediluvio, risvolti dei pantaloni tirati su e bacinella con acqua calda. Accanto al fruttivendolo nepalese.
Testo di Laura Bonaiuti Foto di Isabella Mancioli
Roma
I numeri • Torpignattara è l’area urbanistica 6A del Municipio V di Roma. • Estensione: 2,35 Km quadrati • Abitanti: 48462 (al 2016) • Gli stranieri presenti nel Municipio V sono 20.234 su una popolazione di 118.399. • Il municipio V di cui fa parte Torpignattara ha la più alta quota di imprese costituite come imprese individuali (64%) e la quota più alta di imprese che operano nel commercio (40%) di tutti i municipi romani. Film girati a Torpignattara – "Fortunata” Sergio Castellitto, 2017 – "Amore Tossico" di Claudio Caligari, 1983 – “La Luna che vorrei” di Franco Bernabei, film documentario del 2012 prodotto dal comitato di quartiere di Torpignattara.
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Testo di Riccardo Venturi Foto di Isabella Mancioli
Roma
I numeri • 97.071 i calciatori tesserati nel Lazio 1.232 campi da calcio nel Lazio • 61 / 1 Rapporto popolazione / calciatori tesserati nel Lazio • 1.139 Società calcistiche totali nel Lazio • 70 Impianti sportivi di proprietà di Roma Capitale • 19 Impianti calcistici di proprietà di Roma Capitale • 5 le società calcistiche di Roma che militano dalla Serie D in su.
Questa notte non è più nostra un'estate senza mondiali
Non ci credo. Ho lavorato tutta la settimana, ieri sera sono rientrato tardi e ho dormito ininterrottamente fino ad ora. Che sbornia. E stasera ho anche un compleanno. Guardo il telefono: sabato 16 giugno 2018, ore 16.00. Un senso di vuoto improvviso mi coglie e si trasforma in un déjà-vu. Dormivo anche quella sera d’estate del 1994, quando Baggio spedì il pallone nel cielo d’A merica. Brasil tetracampeão. «Mamma, abbiamo vinto?». «No tesoro, torna a dormire». 11 1998 è il primo mondiale che ho seguito davvero, l’ultimo Francia a casa vecchia, ormai piena di album di figurine ed almanacchi. Del 2002 mi ricordo la rivalità con Yann, compagno di classe francese. Totti contro Zidane. La rabbia per Moreno e il senso di ingiustizia, la delusione e le lacrime. 2006. Il cielo è azzurro sopra Berlino, ma anche sopra Londra, e io sono immortale. Rigore di Grosso, campioni del Mondo, Piccadilly Circus è il Circo Massimo, ma non noto la differenza. Esulto con Jacopo, il mio migliore amico del liceo. Abbraccio la mia ragazza dell’epoca e anche diversi sconosciuti, ci avvolgia9 mo nel tricolore. Il primo mondiale con l’amore della tua vita, quello del 2010, non si dimentica mai. Lo so, è andata male, ma cosa vuoi che sia? Nel 2014 sono pronto a ripartire per Londra, stavolta per fermarmi più a lungo, e battiamo proprio l’Inghilterra. Costa Rica e Uruguay mi riportano alla dura realtà, è una vita difficile. Tornerò quattro anni dopo. “Quattro anni dopo (…)” Improvvisamente ecco tornare quel senso di vuoto. Che fare, come scandire i futuri ricordi di quest’estate? Tocca pur tifare per qualcuno. I francesi? Mai e poi mai. Brasile e Germania ci lascerebbero indietro nelle vittorie. Gli spagnoli ultimamente sono troppo gasati, ma mica hanno quattro stelle sul petto, loro. Forse l’A rgentina. In fondo gli argentini sono italiani che parlano spagnolo con accento italiano e poi c’è lui, il più forte di tutti. Vincila Leo, finché puoi. Passo a prendere lei, arriviamo in spiaggia e facciamo gli auguri di rito. Al chiosco un televisore trasmette Perù-Danimarca. Tento di ignorarlo, ma sento un urlo. Tanto vale riderci su, mi avvicino e chiedo «scusi, chi ha fatto palo?». È ancora 0-0. Sono cresciuto, ci sarà sempre una festa, ma questa notte non è magica. Questa notte non è più nostra.
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Testo di Carmen Baffi e Ilaria Danesi Foto di Isabella Mancioli Cosenza
I numeri • 711.739 abitanti • 2378 avvocati totali iscritti all'albo • 258 praticanti abilitati iscritti all'albo • 88 bandi di concorsi nel 2017 pubblicati solo da ASP COSENZA
Sintomi di un precario alla ricerca ossessiva di un lavoro (qualunque)
Lorenzo ha 28 anni, una laurea in giurisprudenza e il tipico sintomo del giovane precario: la ricerca ossessivo-compulsiva di un lavoro. In un anno la sua vita è passata dall’essere quella di un comune studente universitario, a quella di un comune precario italiano. Subito dopo la corona d’alloro, aveva deciso di fare l’avvocato. «Mi svegliavo e andavo in tribunale, prendevo la presenza alle udienze e scrivevo gli atti. Finita l’udienza andavo allo studio, mangiavo un panino e il pomeriggio andavo a lavorare in nero in un’agenzia pubblicitaria. Pochi spiccioli ma ci pagavo la benzina, la birra il venerdì e la palestra». Poi l’agenzia ha chiuso e il sintomo di Lorenzo si è aggravato. È caduto nel vortice dei concorsoni, ma non sono stati d’aiuto. Ne ha provati diversi e tra quesiti iper-specifici e dilemmi del tipo: “Quanto calzava Carlo Martello?”. Quando i concorsi non ci sono, lavora senza sosta: «Aggiorno il profilo su Linkedin e Job Search, mi iscrivo ad agenzie e newsletter, faccio applications, mando curricula, resume e lettere di presentazione, a seconda delle esigenze. Ognuno targettizzato per la posizione per cui mi candido, formato europeo o qualcos’altro, con i patentini del corso di informatica e le lingue B1, B2, B3 e chi più ne ha più ne metta. Ho imparato anche a usare un programma di grafica per rederlo più accattivante. Non mi risponde nessuno.» Eppure non riesce neppure a sentire il vuoto, tanto cercare un lavoro è diventato esso stesso un lavoro; soltanto tanta frustrazione. Riuscirà Lorenzo a guarire dalla sua ossessione? Forse arriverà la scheda del concorso giusto anche per lui o magari il vecchio Carlo Martello in sogno deciderà di svelargli quanto calzava. Bonus: il colore di calzini che preferiva. Non si sa mai.
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focus
IL MOLISE OBESO
che ha ancora voglia di crescere
di Daniele Priori Foto Focus Ilaria Lagioia
ventiquattro ore col candidato fabrizio ortis per le strade di campobasso: “il mio impegno politico per consegnare a mio figlio un paese nuovo”
Sono un flyer e sono cool. Sono trandy e sono young. Il mio look è basic ed easy, il mio claim è up and over. Vota Vito.
Il 2018 in Molise è una maratona tra un’elezione e un’altra. Le politiche e poi le regionali. Perché tra i saliscendi caratteristici dei borghi di Campobasso e Isernia non c’è stato verso di provare a risparmiare un po’ di soldi unendo i turni elettorali in una giornata sola. Sarà perché “il Molise non esiste” come ammicca ironicamente una delle tante pagine satiriche di Facebook o perché da queste parti anche il clima ci tiene a differenziarsi, con i suoi “undici mesi di freddo e uno di fresco”, come ripete l’adagio popolare. O forse perché i consiglieri regionali “non intendono rinunciare nemmeno a uno stipendio” come scherza amaro Fabrizio Ortis, il candidato senatore del M5S che ci guida tra le stradine di Campobasso strette tra il fiume Biferno e la rocca di Castel Monforte, simbolo della città. Fabrizio, 46 anni, informatico, dal capoluogo molisano, dove è nato, guarda alla capitale, sperando che suo figlio, oggi di pochi mesi, possa crescere in Molise, motivo per cui ha deciso di candidarsi. La sveglia al mattino suona presto. La prima tappa è l’asilo nido, poi l’ufficio di una delle sue società. Ortis gestisce una srl che digitalizza gli esami clinici e fa corsi di informatica agli operatori socio-sanitari. Due attività che lo mettono a confronto con due facce impegnative di una medaglia graffiata comunque la giri: la sanità e l’occupazione. Così Fabrizio ci racconta come, di fatto, il Molise in ambito sanitario sia “una regione campione” dove “stanno via via provando a sostituire il pubblico, divenuto una sorta di bad company, con il privato, soprattutto per gli esami più costosi, sui quali si può guadagnare meglio”. Una terra piccola, nascosta, sconosciuta ai più, anche in Italia, dove la politica ha messo le mani ovunque sostituendosi addirittura agli imprenditori. “Non è stata creata la possibilità di fare impresa, mentre dovremmo sfrut-
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OLD but GOLD
tare turismo, bellezza, siti archeologici, gioielli come Castel San Vincenzo sede di una delle abbazie più importanti d’Europa”. A pranzo si torna a casa a piedi. Attraversiamo via Ferrari “la strada dei pub” dove ci riporteremo all’ora dell’aperitivo ma prima c’è un pomeriggio di campagna elettorale ad aspettarci che passa tra le idee del programma e i problemi delle persone che sembrano apprezzare l’impegno di questo papà diviso tra computer e politica. La serata si conclude in una trattoria del centro, dove assaggiare le squisitezze campobassane: dai cavatelli alla carne di porco fino alla pizza e minestra, piatti che, ad anni alterni, fanno vincere al Molise il record di regione più sovrappeso d’Italia, fortunatamente senza vergogna né alcuna voglia di dimagrire ma piuttosto di crescere ancora più di un po’. •
Io non sono un volantino qualunque. Io non racconto bubbole. Sono leggero ma ho un certo peso, ti offro la speranza del cambiamento e non prometto ma mantengo. E adesso ripeti insieme a me: Forza Vito, Viva Vito, Vota Vito (Trullalà).
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ripartiamo dalle relazioni per costruire una buona politica. come una volta di Nicolò Rosato
Io non sono un volantino qualunque. Io non racconto bubbole. Sono leggero ma ho un certo peso, ti offro la speranza del cambiamento e non prometto ma mantengo. E adesso ripeti insieme a me: Forza Vito, Viva Vito, Vota Vito (Trullalà).
Oggi non sarà a Roma. È rientrato a Trieste dalla Capitale perché la sua esperienza in Parlamento è finita: per ora torna a casa dove, in un certo senso, ricomincia da capo. Non ha certezze: davanti a sé l’unico punto fermo è la campagna elettorale per il Partito Democratico. Un viaggio alla (ri)scoperta del suo territorio, un viaggio tra le cose fatte e quelle che avrebbe potuto fare. Un viaggio di racconti: quelli suoi e quelli delle persone che incontra, pieno di volti unici, di facce e sguardi che ti raccontano una storia. Ore 7.39 – È già sull’autobus, mano nella mano con Emma, sua figlia, che racconta l’ultimo episodio del cartone preferito. La sta accompagnando a scuola e capisce quanto, quel momento, gli sia mancato: la schiettezza dei bambini, la loro sincerità, la spontaneità di quello sguardo che, se ti deve dire una cosa, lo fa. Da un certo punto di vista è la sua interlocutrice preferita, quella perfetta per capire se una cosa va fatta o meno. Poi è chiaro: non può aiutarti in tutto, ma sulle cose importanti non sbaglia. Ore 8.32 – La mattina, quando riesce, prende il caffè con i suoi fratelli. Ogni giorno, tutti i giorni, stessa storia, stesso bar. Solo una volta c’è stato un “fuori-onda”. – Senatore, mi scusi. Volevo ringraziarla, per come ha lavorato a Roma, per quello che ha fatto per questa città. Io la voto – È una signora: lo ha riconosciuto giusto prima che uscisse dal bar. Non è un episodio isolato: più volte è stato fermato, sono tante le volte che lo hanno ringraziato come tante quelle in cui lo hanno attaccato e insultato. Ma poche volte è successo di vedere una faccia emozionata, decisamente felice, solo perché è riuscita ad esprimere la propria gratitudine verso chi, per la città, si è speso. Ore 17.00 – Di fronte ha una platea strana: in sala ci sono molti giovani. Saranno sessan-
ta, più o meno, e sono lì perché sanno di essere ascoltati. Ha una grande fortuna: è riuscito ad intercettare la voce di chi, pian piano, sta eliminando la politica dalla propria quotidianità: non la legge sui giornali, non la ascolta in televisione e non la vede sui social. Ora, però, si trova in mano un’occasione unica: può pensare e progettare il domani con chi, del domani, sarà protagonista. Inizia lui: introduce, spiega chi è e perché sono lì, poi si siede. E non si alza finché l’ultimo dei ragazzi in sala non avrà finito di parlare. Li ascolta uno ad uno, ma sul serio. Ore 22.17 – Accende il computer, apre internet e inizia a scrivere, perché ormai la politica si fa anche online. Risponde a commenti, manda tweet e scrive email, racconta il “perché” e spiega il “come”. Vicino al messaggio vede una foto, non un vero e proprio volto. Ma sa che seppur virtuale, lì dietro c’è una persona, e quel lavoro ne vale la pena. Ore 00.21 – Spegne il telefono e lo mette in carica. Un giro di chiavi al portone e finalmente a letto. Ma la testa è già al giorno dopo: la gente da incontrare, le mani da stringere e le storie da ascoltare. Impegnandosi perché queste 24 ore non siano un’eccezione ma diventino una bella abitudine. •
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di Carlo Brenner
Materiale di propaganda
Radio
9%
7,5 %
In generale, guardando i dati del Censis in occasione delle elezioni politiche 2013 (che hanno dato vita alla XVII legislatura) osserviamo che i giovani si sono informati prevalentemente su blog e Facebook (il 14,2%) oppure consultando direttamente i siti web di partiti e movimenti (il 7,6%). Dai dati emerge anche che nelle ultime elezioni il 55,3% degli intervistati ha formato la propria opinione at-
Manifestazioni pubbliche
Giornali 22,2 %
Nei due focus che seguono l’abbiamo chiesto direttamente a due categorie di elettori: i ragazzi del ’99 e del 2000, per la prima volta al voto, e i neo genitori.
4%
Televisione
Quanto e come ci siamo informati prima di votare alle elezioni? Pensateci adesso. Un aiuto: nel 2016, secondo ISTAT, in occasione del referendum sulle trivelle e delle elezioni amministrative il 3,6% degli elettori ha partecipato a comizi, il 17,7% ha ascoltato un dibattito e solo lo 0,8% ha fatto volontariato per un partito. E voi? come avete preso la decisione di chi governerà il nostro Paese per i prossimi 5 anni?
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55,3 %
Gli strumenti di informazione più vicini a noi
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traverso la televisione, il 22,2% tramite i giornali, il 9% leggendo i materiali di propaganda dei partiti, il 7,5% ascoltando i programmi radiofonici e, alla fine della classifica, troviamo il 4% che ha partecipato direttamente alle manifestazioni pubbliche organizzate dai partiti. Io credo che più che l’astensionismo il problema sia il metodo che usano i votanti per formare la propria opinione. Dai dati sopraesposti emerge che pochi partecipano attivamente alla politica, quasi tutti si informano solo prima delle elezioni. Di questa distanza solitamente si colpevolizza l’elettore per non interessarsi, raramente si incolpa il politico per non interessare. In molti hanno dimenticato che i partiti politici hanno un ruolo costituzionale: essere l’anello di congiunzione tra le istituzioni e i cittadini, dovrebbero occuparsi di informare i cittadini e renderli partecipi delle scelte che compiono in loro vece. Oggi, invece, vediamo solo partiti inconsistenti che non si occupano per niente degli elettori. •
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è la nuova concessionaria di pubblicità di
di Francesca del Vecchio
Via Francesco Melzi d’Eril, 29 20154 Milano info@emotionalsrl.com Tel: 02/76318838
al voto per la prima volta
Non importa come mi usi. Sarò per te comunque utile, leggero o importante. Fatti furbo e datti da fare. Ma lasciami fare. Poi con te sempre io sarò. Vota Vito!
I NATI NEL 2000
“Questi ragazzi non sono come noi alla loro età: alla politica non ci pensano”, sono le parole di un genitore. A questo naufrago ideologico – come molti della sua generazione (quella degli anni ‘70) – rispondono tre giovani nati tra il ‘99 e il 2000 che il 4 marzo scorso si sono confrontati per la prima volta con le urne. Circa 500 mila i nuovi maggiorenni aventi diritto; molti quelli che hanno deciso di non esercitarlo. E per i motivi più disparati: l’impreparazione – come in una verifica scolastica – ha fatto il maggior numero di vittime: «Il voto è un dovere, oltre che un diritto – dice Chiara – Purtroppo informarsi è stato difficile: telegiornali e quotidiani sono confusi. E i social non sono attendibili». Ma non è tutto: il tramonto delle ideologie ha fatto il resto. Stando ai sondaggisti, quella che è andata a votare è una generazione molto lontana dalla politica, non solo per questioni anagrafiche. Oltre all’individuale disinteresse, anche la scarsa e poco diffusa educazione
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al tema: «Ho provato a parlarne con alcuni coetanei – dice Francesco, rappresentante degli studenti nel Consiglio d’Istituto del Liceo Scientifico di Telese Terme (Benevento) – pochi sembrano disposti ad affrontare l’argomento. Forse non sono abituati a parlarne con i genitori». «Non sono mai stata un’appassionata di politica. – dice Barbara – Per questo ho fatto fatica a formarmi un’opinione». A sentirla parlare, però, “anche i più esperti sembravano essere in difficoltà questa volta, e questo non ci ha incoraggiati”. •
Sono lo specchio dei tuoi tempi. Tienimi con te fino a quel giorno. Poi dimenticami, ma ricordami, fino a quel giorno tienimi stretto nei tuoi pensieri, dopo sarò felice di essere dimenticato. Un Voto a Vito non è un Voto per Vito. Vota Vito!
in collaborazione con
Management Communication Programs
i primi corsi di alta formazione organizzati da MARPI e AGOL in collaborazione con i manager delle piu importanti aziende italiane
Scientific Director: Prof.ssa Stefania Romenti Executive Director: Pierangelo Fabiano
il corso è una iniziativa del Master in RP d’Impresa della Scuola di Comunicazione IULM
Corso in
Corso in
Corso in
Brand and communication strategy
Crisis management
Event management
Direttore
Direttore
Direttore
carlotta ventura
maurizio abet
giangiacomo pierini
Corso in
Corso in
Media relations
Public affairs e comunicazione istituzionale
Direttore
Direttore
simone cantagallo
giuseppe meduri
primo corso in partenza
date
Public affairs e comunicazione istituzionale
20-21 aprile 11-12 maggio 25-26 maggio
15-16 giugno 29-30 giugno 13-14 luglio
per info e per iscrizioni contattare la Segreteria Organizzativa, Università IULM Via Carlo Bo, 1 - Milano | master.rpimpresa@iulm.it - 02 89 141 2698
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NEO GENITORI AL VOTO il tempo presente e l'ipotesi futuro
Il tuo futuro, bimbo bello, è appeso alle parole scritte sulla leggerezza della mia carta riciclata al 100%. Tu non sai cosa ti aspetta. Lascialo immaginare a me, per il tuo domani, per latua vita. Un voto per Vito è un voto per la tua vita. Papà Vota Vito! Non confondermi con un'offerta speciale che dura un giorno. Io sono un investimento a costo zero che dura nel tempo. Non accetto sconti e non faccio sconti, ma è proprio quello che vuoi sentirti dire e io te lo dico. Vota Vito!
di Alice Militello
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La crisi, iniziata nel 2008, continua a debilitare il tessuto economico e sociale del Paese, delegando a “tempi migliori” la prospettiva di un figlio. Nonostante ciò, una fetta di popolazione sceglie di trasformare la vita a due in una formula a tre. Giulio e Leticia, di base a Siracusa, raccontano come l’arrivo di Fernanda abbia stravolto la loro vita: «In positivo, si intende!. Se da un lato un figlio scompagina la dimensione spazio temporale; dall’altro scopri dentro di te una forza inaspettata.» Alessandra, bolzanina acquisita, mi assicura che abitare in una città diversa da quella di origine complica la gestione di sua figlia Arianna, non potendo contare sui parenti o sul supporto di strutture educative (se non private) a cui affidarla in orari compatibili con l’ufficio. Per Alberto e Claudia, entrambi lavoratori a Roma, l’aiuto dei nonni per il loro Ludovico è fondamentale ma, sottolineano, «I nipoti
devono essere un piacere e non un lavoro». Da nord a sud, le voci rivelano l’assenza dello Stato nel sostenere la genitorialità. Nessuno degli interpellati ricorda di avere letto nei programmi elettorali, al di là di bonus economici, la rimodulazione di una struttura sociale mirata a ragionare concretamente sui ritmi professionali imposti dalla società odierna, su misure in grado di livellare l’asimmetria nei ruoli uomo-donna. Nessuno delle voci riprese si è dichiarata a favore dell’assistenzialismo/parassitismo, proposto da alcune parti politiche. Per tali ragioni, il 4 marzo, ciascuno di essi si è recato alle urne con una necessità di presente, cioè di svolgere le proprie mansioni di lavoratore/trice prima; di genitore, conseguentemente. C’è un altro aspetto che ha mosso il voto di Alberto: la speranza che suo figlio possa crescere in un Paese che crede ancora nell’Europa unita. •
6,8
23,8
29,1
21,3
14,9
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approfondimenti
I numeri del futuro Fonte: #Truenumbers
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Vivono con i genitori in Italia 25–29
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35–39 ANNI Centro CentroNord Nord Sud Sud
30 82,3%
22,3%
53,2%
9,6%
40 20
30 10 69,7%
92,5%
33,7%
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2.1
Vivono con i genitori confronto Italia/USA
15–19 anni 10
2.2
24–24 anni
30–34 anni
35–39 anni
94,2 85,3
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59,7 20,1
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10,6 9,4
94,2 85,3
86 43,7
59,7 20,1
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10,6 9,4
82,8 61,6 28,1 11,7 94,2 86 59,7 26 51,2 18,5 4,2 2,5 85,3 con i genitori non 43,7 20,1 confronto Italia/USA 11 Vivono occupati, non sposati
15–19 anni
2.3
25–29 anni
24–24 anni
25–29 anni
30–34 anni
5,6 10,6 1,8 9,4 35–39 anni
82,8 51,2
61,6 18,5
28,1 4,2
11,7 2,5
5,6 1,8
82,8 3,4 51,2 6,8
61,6 8,4 18,5 23,8
28,1 19,2 4,2 29,1
11,7 28,2 2,5 21,3
5,6 20,3 1,8 14,9
3,4 6,8
8,4 23,8
19,2 29,1
28,2 21,3
20,3 14,9
Vivono con i genitori occupati, non sposati, confronto Italia/USA
15–19 anni
24–24 anni
3,4 6,8
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25–29 anni
8,4 23,8
25–29
30–34 anni
19,2 29,1
Italia USA
35–39 anni
28,2 21,3
30–34
Italia USA
20,3 14,9
Italia USA
35–39 ANNI Centro Nord Sud
82,3%
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22,3%
53,2%
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9,6%
35–39 ANNI
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Tassi di Disoccupazione in Italia per 25–34enni
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Chi ha paura di fallire? Il diritto di cadere per poi rialzarsi (ma non in Italia) Dieci anni fa all’incirca. Tony Blair è a pranzo con Cisco e una decina di protagonisti dell’hi-tech Usa, tra cui quelli di Google. Blair – allora primo ministro del Regno Unito – domanda: «Come posso importare il modello della Silicon Valley a Londra?». Steve Jobs, il cofondatore di Apple, alza la mano e dice: «C’è una cosa che abbiamo tutti in comune: il fallimento di almeno una delle nostre attività», – nel suo caso pensava probabilmente a Next. L’America ha un rapporto speciale con il fallimento, è visto come un’esperienza, non un errore. Si presume che senza fallire si abbiano meno opportunità di imparare e produrre resilienza. L’episodio lo ha raccontato Vinton G. Cerf, uno dei padri di Internet. Ancora oggi, una delle più grandi differenze tra un businessman europeo e uno americano è che il primo non darebbe mai credito a un imprenditore che è fallito, il secondo non presterebbe soldi a chi non è fallito almeno una volta nella vita. Fallire fa parte del processo di rischio. In Italia una ricerca di I-Come ha analizzato l'ecosistema delle stat up: se nel 2013 erano solo 824, alla fine del 2017 ne risultano 8.381. Il trend positivo che riguarda soprattutto i più giovani si scontra, però, con un difficile accesso ai finanziamenti e un ecosistema che non spinge gli investitori privati a scommettere sull’innovazione. Il Sud è quello che investe meno in ricerca e sviluppo (appena l’1%, contro l’1,6% delle regioni del Nord e una media nazionale dell’1,4%). Senza una cultura che accetta il fallimento come un’esperienza, si limita il rischio. E quindi non si
di Sofia Gorgoni
innova e non c’è crescita. Nel nostro Paese fallire significa macchiarsi la reputazione. Non c’è nulla di bello nel fallimento, ma è la percezione che fa la differenza. Permettersi di fallire significa essere liberi, anche di sbagliare e imparare dai propri errori. Quando le cose non vanno, a fallire non siamo noi, ma l’immagine che ci siamo dati. La consapevolezza del fallimento diventa la chiave d’accesso alla libertà di provarci. Solo così si cambia il mondo. «La grandezza — diceva Confucio — non si raggiunge non fallendo mai, ma rialzandosi ogni volta che si cade». La paura del fallimento spesso è legata alla paura del giudizio, al timore di deludere se stessi e gli altri. Il salto nel buio paralizza quando l’idea del successo è un'immagine di sé vincente, incapace di considerare l'esistenza come un viaggio, fatto di alti e bassi, di cambiamenti e sperimentazione. E così lo stigma del fallimento blocca l’iniziativa, è una forza negativa che frustra la creatività, che sacrifica la crescita economica e i consumi. Se il concetto di successo è correlato all'idea di dover far bene, allora un nuovo progetto non potrà che terrorizzarci. Eppure è la nostra capacità di cadere che ci rende così umani. Perché ancora una volta potremo rialzarci.
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the new’s room
Oltre 350mila followers su Instagram, 245 mila su Facebook, e centinana di migliaia di visualizzazioni su Youtube. Speaker radiofonica su Radio 2, protagonista di Pink Different, una serie tutta al femminile per FoxLife, e tanti altri progetti in cantiere. Camihawke odia definirsi una influencer, o una blogger. E a ben vedere, in effetti, è molto più. Di outfit e affini, non gliene importa molto. Che sia bella, è evidente; ma la cosa passa completamente in secondo piano quando si leggono i suoi post, o si guardano i suoi video. Perché la verità è che Camihawke fa veramente ridere. Fa ridere dall’inizio alla fine. Fa ridere donne, uomini, anziani, adolescenti, bambini. E parliamoci chiaro, far ridere non è affatto semplice e, a volte, se sei bella, lo è ancora di meno. Fatto sta che lei ci riesce. Ci riesce con le didascalie alle sue foto, con i suoi video su Snapchat dove elenca gli abbordaggi bom-
ber dei molliconi online, le sue ricette di torte mal riuscite, i 10 modi per procrastinare la tesi; quando da’ consigli sentimentali via radio che, come dice lei “sono di base inutili, se non controproducenti”. Fa ridere soprattutto quando fa l’oroscopo su Youtube, dove spara a zero su tutti i segni, chi più chi meno, la vergine e l’ariete risultano senz’altro i più bistrattati, inframmezzati da meme di Tina Cipollari che lascia lo studio di Uomini e Donne, facce di Verdone e personaggi psicolabili di Games of Thrones. Ci siamo sentite praticamente all’alba di sabato, lei era già sveglia dalle 5 per registrare in Radio, io mi ero appena fatta il bibitone di acqua calda limone e zenzero che ti consigliano tutti i sitisalutistibioperviveresaniebelli, nella speranza che mi facesse lo stesso effetto dell’oki post-venerdì. Poi alla fine l’intervista è stata divertente, e non ci ho pensato più.
di Sara D'Agati
Camihawke
la ragazza che fa impazzire ( ma soprattutto ridere ) il web
Ariete Tenace Cocciuto Toro Altruista Troppo riflessivo Gemelli Simpatici Lunatici Cancro Sensibile Lamentoso Leone Egocentrico Leader Vergine Arrogante positivo non c’è! ahahah Bilancia Equilibrato Passivo Scorpione Leale Machiavellico Sagittario Buoni amici Egoista Capricorno Combattivo Introverso Acquario Generoso Ignavo Pesci Dolci Piagnoni
©Alessio Albi
Nome Camilla Cognome Preferisco non dirlo, per tutti sono Camihawke Età 27 Nata a Monza Vive a Milano Segno zodiacale Gemelli ascendente Leone Colore preferito Verde Piatto preferito pasta al forno Musica preferita Rock Gruppo preferito Fast Animals and Slow Kids Serie tv preferita Peaki Blinders Attore preferito Leonardo di Caprio Attrice preferita Kate Winslet. Anzi no, dai, facciamo Marion Cotillard così evitiamo l’effetto Titanic
OROSCOPHAWKE
approfondimento
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Che lavoro fai? Creo contenuti per il web e faccio la speaker radiofonica. Tua nonna che lavoro crede tu faccia? Nonna non ne ha idea. Per lei “mi si vede sugli schermi”. Che lavoro volevi fare da piccola? La neonatologa. (….!?) Poi ho scelto giurisprudenza perché non sono entrata al test di medicina. Ho odiato profondamente ciascuno di quei cinque anni. Come hai iniziato a fare quello che fai? Pubblicando uno video di 15 secondi sul fatto che L’Esselunga facesse la promozione coi punti fragola. Che progetti stai portando avanti adesso? Conduco un programma, Girl’s solving, su Radio 2. La gente scrive se ha problemi d’amore, se deve cambiare la gomma della macchina, se non sa come si fa una ricetta. Sei una problem solver, quindi? No, no. Sono più i problemi che creo di quelli che risolvo, do risposte inutili di base. Poi? Poi faccio un programma per Vodafone TV, Dear Camihawake. Anche qui rispondo a lettere su problemi sentimentali. Ancora più inutile dell’altro, propongo soluzioni del tutto impraticabili. Parliamo un po’ dell’Oroscophawke. Come è nata l’idea? Mi piaceva l’idea di fare un video che coinvolgesse gli spettatori, che ci si potessero riconoscere. Poi mi fa ridere perché è trash, è parte della tradizione, ci posso inserire di tutto, da Fantozzi ai personaggi di Games of Thrones. E tu, che personaggio di Games of Thrones sei? Il nano. (…Tyrion Lannister?) Paolo Fox o Brezsny? Ovviamente nel chiederglielo lo pronuncio malissimo (ndr.) Brezsny, senza dubbio. Non ci capisco nulla, può voler dire tutto e niente. È perfetto. La caratteristica dei Gemelli che più ti rappresenta? La creatività, l’estro. Il suo segno preferito? In amicizia Gemelli. Con i Gemelli vado sempre molto d’accordo. In amore in teoria la Bilancia, poi di fatto sono attratta dalla Vergine. Il segno che odi di più in assoluto? Vergine, è quello che amo e odio di più. Sei innamorata? Ci stiamo lavorando.
Dai, ti faccio un po’ di domande in stile Cioè. Sei romantica? Moltissimo, troppo. La prima cosa che guardi in un uomo? I denti. Caratterialmente? Deve farmi ridere. Cosa non deve assolutamente fare? Usare Paco Rabanne come profumo. Il tuo appuntamento ideale. Tutto, purché si mangi. Ti senti bella? Mi sento carina, ma credo ci siano ragazzo molto più belle. Non è quello su cui voglio puntare. Carine siamo tante, troppe. O trovi un modo per fare la differenza, o conti come il 2 di coppe, anche perché non ho il physique du role per fare la modella, sono normale. La cosa che ami più di te? La resilienza che ho sviluppato negli anni. La mia capacità di rialzarmi, sempre. La cosa che odi? La mia irascibilità e impulsività. Cosa non sopporti nelle persone? La maleducazione. La prima cosa che fai appena sveglia? Ritardo la sveglia. Abiti da sola a Milano? Si, felicemente. Cosa ti piace di Milano? L’Esselunga. E di Roma? So che vieni spesso. Amo tutto di Roma. Le cose che ho amato di più sono a Roma. Anche meta’ dei miei partenti sono lì. È una città piena di ricordi felici. Sei un ottimista? No, per niente. Sono una pessimista cronica, ma sto cercando di cambiare anche perché non sopporto chi comunica negatività. Perfezionista? Sul lavoro si, nella vita affatto. Un Viaggio che vorresti fare? Quello che sto per fare: Vietnam, zaino in spalla. La cosa più bella che ti abbia detto un fan (o follower)? Quando mi dicono che hanno avuto una brutta giornata, e guardando un mio contenuto si son fatti una risata. Questo è lo scopo di quelle che faccio. Sei felice? Moltissimo Un consiglio ai nostri lettori/lettrici? Prendetevi (prendiamoci) meno sul serio!
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cover story the-newsroom.it
Bimestrale tematico anno 2 – numero 7 marzo/aprile 2018 fondatori
Pierangelo Fabiano Raffaele Dipierdomenico
art direction progetto editoriale
Anna Mercurio Raffaele Di Ruzza
direttore responsabile
Sofia Gorgoni
fotografia cover story
Isabella Mancioli
direttore editoriale
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Carmen Baffi Lorenzo Bernardi Laura Bonaiuti Carlo Brenner Antonio Carnevale Ilaria Danesi Francesca Del Vecchio Gerardo Fortuna Maurizio Franco Fiorella Elisa Georgel Arianna Marchente Alice Militello Mirko Paradiso Daniele Priori Margherita Puca Gabriele Rosana Nicolò Rosato Simone Rubino Roberta Russo Alessia Tozzi Lorenzo Sassi Riccardo Venturi
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Coca-Cola, la bottiglia contour e il disco rosso sono marchi registrati della The Coca-Cola Company.
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FERROVIE DELLO STATO ITALIANE BEST EMPLOYER OF CHOICE ITALY 2018
PER CHI GUARDA AL FUTURO NON C’È PARTENZA MIGLIORE. PER IL QUARTO ANNO CONSECUTIVO L’AZIENDA PIÙ DESIDERATA DAI NEOLAUREATI ITALIANI.