Chi sono i nuovi Leader?

numero 11 Novembre 2018 the-newsroom.it

L’Italia con gli occhi di domani, raccontata dagli under 35

POSTE ITALIANE S.P.A. SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - 70% S/CE/16/2018

Chi sono i nuovi Leader?

L'evoluzione della leadership nell'Italia che cambia.

P. 10 intervista a luciano fontana

P. 26 intervista a filippo sensi

PROLOGO

Quando parliamo di leadership stiamo descrivendo la differenza tra saper imporre una novità, un fatto o una tendenza nuova e l'essere un follower, ovvero banalmente saper seguire l'onda.

The New’s Room è nata per raccontare l’Italia e il mondo con gli occhi dei professionisti under 35. Per raggiungere questo obiettivo abbiamo scelto un metodo nuovo, un contest aperto, da cui ha preso forma la redazione per il 2018, il nostro secondo anno. Con questo numero abbiamo deciso di concentrarci sui leader di oggi e di domani, sul metodo con il quale riescono a diventare tali, dalla politica all'economia, allo scenario globale. È un'indagine che lancia molte domande: per esempio, l'Italia avrà una donna presidente del consiglio? Che effetti ha il gap generazionale nelle scelte politiche di un padre e un figlio? C'è un confine tra comunicazione e politica? Le leadership del futuro sono già nate, anche se non sempre siamo in grado di accorgercene.

Per questo il compito di The New's Room è così importante in questa fase storica.

Pierangelo Fabiano, Fondatore

cover story

3

4

the new’s room

INDICE p. 5

Editoriale

p. 8

Facts

di LUCA DE CAROLIS

COVER STORY p. 10

Berlusconi, Renzi, Salvini, Di Maio.

Analogie e differenze tra i leader che hanno definito l’Italia della seconda repubblica.

p. 14

Gap generazionale? Non quando si vota.

p.20

Le ondate populiste. La polarizzazione dello scontro.

Il rischio della marginalizzazione.Che Fare?

p. 23

Leader digitali.

p. 24

Leader under 35.

di SARA D'AGATI

di ROBERTA RUSSO e DANIELE PRIORI

di MAURIZIO FRANCO

di ILARIA DANESI

di ALESSIA TOZZI

FOCUS p. 26

Professione Spin Doctor.

p. 29

La satira ai tempi del populismo.

p. 32

Italia 2023. E se il prossimo premier fosse donna?

p. 34

A una donna gli italiani chiedono di più

p. 36

Women one day will lead the world.

p. 38

Leader si nasce? Scoperto l'antidoto ai populismi.

p. 42

La rapida ascesa e caduta dei leader italiani.

p. 44

La leadership in azienda.

p. 46

La leadership dell'Europa.

p. 48

Chi governa l'Unione Europea?

di ILARIA DANESI

di LORENZO BERNARDI

di LAURA BONAIUTI

di MARGHERITA PUCA

di ALICE MILITELLO

di SIMONE RUBINO

di RICCARDO VENTURI

di RICCARDO MELONI

di GERARDO FORTUNA

di CARLO BRENNER

editoriale

LUCA DE CAROLIS

5

Il Fatto Quotidiano

A

lla ricerca di leader sempre più forti, per una politica sempre più debole. Nell'Italia e in generale in tutto l'Occidente, i partiti assomigliano spesso a ectoplasmi che cercano di sopravvivere a se stessi, falene che sbattono di continuo contro la medesima luce. Innan-

zitutto per i loro errori, ovvio, e il principale era e rimane l'incapacità di leggere la realtà, e di comprendere che senza più muri veri e metaforici, senza quella Guerra fredda che era “il problema” ma pure un alibi perfetto, era necessario cambiare parametri e occhi con cui leggere il mondo fuori

dei Palazzi. E magari avere coraggio, invece smarrito tra deleghe di potere all'Unione europea e sterili lamentazioni contro quei cattivoni dei populisti. Ma la crisi dei partiti, vittime da noi anche della loro fame di occupazione di ogni ambito sociale (e sovente della loro corruzione) viene anche da più lontano. Da una società che ha smarrito il senso del collettivo, dove ogni cittadino ha la sua lista di pretese irrinunciabili. Ormai sempre più frammentata in monadi o piccoli gruppi, che rifiutano la complessità, e per quali parole come mediazione e riflessione sono fumisterie insopportabili. E allora eccola, la rincorsa al leader, all'uomo più o meno forte che possa risolvere le cose. O almeno aggredire a colpi di annunci i temi percepiti come più urgenti, che siano l'immigrazione, la cosiddetta casta o il lavoro. Perché affidarsi a una voce e a un volto preciso è più semplice, veloce come la scrittura di un tweet. L'importante è che i simboli di partito rimangono sullo sfondo, magari fuori dei post e dei volantini. E naturalmente, all'inferno congressi, assemblee e circoli.

Certo, la voglia diffusa di un salvatore della patria non rappresenta affatto una novità. Anzi. Ma la distanza di peso e consenso tra la forma partito e i singoli leader è raramente apparsa così ampia.

Lo ha spiegato con rara chiarezza nei suoi libri lo storico e politologo Giovanni Orsina, che ritroverete su queste pagine. Attento anche nel dimostrare come ormai anche i numeri uno, i prescelti dalle urne siano diventati un prodotto a scadenza limitata. Qualche mese, al massimo due o tre anni, e i vincitori in apparenza intoccabili finiscono in un baratro di sconfitte. E avanti un altro.

Lo racconta anche il direttore del Corriere della Sera Luciano Fontana, da noi intervistato, scrivendo del disorientamento di un Paese che non ha più classe dirigente e che divora protagonisti o aspiranti tali, un'altra differenza epocale con la politica di 20 o 30 anni fa. E lo può raccontare l'analisi degli slogan di ieri e di oggi. Un confronto divertente quanto utile, perché tra i lustrini di pubblicità e campagne elettorali si rintraccia la scia e in parte il senso della politica che cambia, spesso suo malgrado. E a cambiarne caratteri e direzione in Italia è stata anche la Casaleggio associati: una fabbrica del consenso e di eletti-replicanti secondo i critici, un'azienda di illuminati precursori per i 5Stelle e i loro sostenitori. Di certo l'entità che ha in buona parte creato il primo movimento italiano, dandogli una struttura militare sul web (e non) a scapito spesso della democrazia interna. Ma il filo della politica che cambia si può rincorrere anche parlando con i ragazzi che votano solo da qualche anno: sospesi tra orientamenti ereditati dai genitori e la voglia di cambiare, di provare altro. Perché votare significa scegliere: ancora, nonostante tutto.

8

the new’s room

UNO SGUARDO I PIÙ INFLUENTI DEL 2018 ( fonte TIME MAGA ZINE) PIONEERS

ARTIST

LEADERS

ICONS

TITANS

Tiffany Haddish

Nicole Kidman

Satya Nadella

Jennifer Lopez

Roger Federer

The Parkland survivors

Hugh Jackman

Donald Trump

Chadwick Boseman

Oprah Winfrey

Kumail Nanjiani

Gal Gadot

Prince Harry

Rihanna

Jeff Bezos

Cardi B

Ryan Coogler

Meghan Markle

Adam Rippon

Cindy Holland

Nice Nailantei Leng’ete

Sterling K

Carmen Yulín Cruz

Tarana Burke

Kevin Durant

DONNE Vs UOMINI IN ITALIA Donne

Uomini

AMBITO POLITICO 72,8% 27,2%

69,8% 30,2%

Ministri

AMBITO ECONOMICO 82,7% 17,3%

Membri del parlamento

73,3% 26,7%

Membri di assemblee regionali

AMBITO SOCIALE 79,6%

20,4%

Membri del board di grandi aziende quotate o consigli d’amministrazione

30,0% 70,0%

Membri del board della banca centrale

73,1% 26,9%

Membri del board di organizzazioni di raccolta fondi per la ricerca

91,8% 8,2%

Membri del board Membri del Comitato di emittenti per le Olimpiadi con pubbliche per le il maggior potere telecomunicazioni decisionale

ETÀ MEDIA DEI MANAGER NEI PAESI UE 15 IRLANDA

41, 8

BELGIO

42,4

PORTOGALLO

43, 7

UE

44

FR ANCIA

44

REGNO UNITO

4 4,1

AUSTRIA

4 4, 2

OLANDA

4 4, 2

SPAGNA

4 4, 7

GERMANIA

4 4, 8

LUSSEMBURGO

45,6

FINLANDIA

45, 7

GRECIA

45,9

DANIMARCA

46, 2

SVEZIA

46, 3

ITA LIA

47, 8 età

38

39

40

41

42

43

44

45

46

47

48

49

50

9

facts

AI NUMERI

LEA DER SHIP

fonte:

LE 100 DONNE ITALIANE VINCENTI

( fonte FORBES)

1 | ELEONORA

2 | ALBIERA

3 LUISA

4 | ROBERTA

5 | BIANCA

ABBAGNATO

ANTINORI

ARIENTI

ARMANI

BALTI

Étoile dell ’Opéra di Parigi

Presidente Marchesi Antinori

Ceo Sap Italia

Manager Armani

Modella

6 | ORNELLA

7 | FRANCESCA

8 | SABINA

9 | MONICA

10 | MARINA

BARRA

BELLETTINI

BELLI

BELLUCCI

BERLUSCONI

Vice presidente Walgreens

Presidente e ceo

Ceo Pomellato

Attrice

Presidente Arnoldo

BootsAlliance

Yves Saint Laurent

11 ANNAMARIA

12 LAVINIA

13 DARIA

14 | CRISTINA

15 | SONIA

BERNARDINI DE PACE

BIAGIOTTI

BIGNARDI

BOMBASSEI

BONFIGLIOLI

Avvocato

Stilista

Conduttrice televisiva

Executive director Brembo

Presidente Bonf iglioli

16 | PAOLA

17 | DIANA

18 | LAURA

19 | CRISTINA

20 | AZZURRA

BONOMO

BRACCO

BURDESE

CALORI

CALTAGIRONE

Manager A xa Assicurazioni

Presidente e ceo Bracco

GM Profumi e Cosmetici

Presidente e ceo

Vice presidente

Lvmh Italia

W.P. Lavori in Corso

gruppo Caltagirone

Mondadori Ed.

GLI UNDER 30 ITALIANI PIÙ INFLUENTI ARTE & CULTUR A

Gilda Ambrosio (26 anni)

Davide Caranchini (27 anni)

Floriano Pellegrino (27 anni)

Lorenzo Uggeri (29 anni)

Cofondatrice, Attico (Milano)

Chef, Ristorante Materia (Como)

Titolare Bros Restaurant (Lecce)

Fondatore, Kooness (Milano)

RETAIL & E-COMMERCE

Matteo Parisi (29 anni)

Simone Ricucci (27 anni) Fondatore,

Cofondatore, Vinhood (Milano)

YouDroop (Torino)

SCIENZA & SALUTE

Giuseppe Cicero (28 anni) e Martina Francesca Ferracane (27 anni) – Cofondatori Oral3D

INDUSTRY

Giovanni Anceschi (28 anni)

Alessio Lorusso (27 anni)Fondatore,

COO, Energ y Way

Roboze (Bari)

MEDIA & MARKETING

Alice Tomassini (29 anni) Filmmaker (Roma)

LEADER E NUMERI DI VOTI DAL 1994 / ELEZIONI POLITICHE + EUROPEE SILVIO BERLUSCONI

131 MLN

ROMANO PRODI

45, 3 MLN

ACHILLE OCCHETTO

19,6 MLN

MATTEO RENZI

17, 3 MLN

BEPPE GRILLO

14,4 MLN

WALTER VELTRONI

14 MLN

FR ANCESCO RUTELLI

13,1 MLN

LUIGI DI MAIO

10, 7 MLN

PIERLUIGI BERSANI DARIO FR ANCESCHINI MARIOTTO SEGNI MATTEO SALVINI MASSIMO D'ALEMA UMBERTO BOSSI

10 MLN 8 MLN 6 MLN 5, 7 MLN 5,4 MLN 3, 7 MLN

PIERFERDINANDO CASINI FR ANCESCO BERTINOTTI numero voti

2,1 MLN 1, 8 MLN 20 MLN

40 MLN

60 MLN

80 MLN

100MLN

120MLN

140MLN

10

the new’s room

Berlusconi, Renzi, Salvini, Di Maio.

Analogie e differenze tra i leader che hanno definito l’Italia della seconda repubblica.

Una chiacchierata con Luciano Fontana, direttore del Corriere della Sera, e autore del libro “Un paese senza leader”. di Sara D'Agati, Direttore Editoriale

Luciano Fontana è un giornalista serio. Appartiene ad un altro mondo, lontano dal giornalismo urlato e sensazionalista di oggi. Lo dice lui stesso. Alle domande risponde in modo lucido e preciso.

Non devo mai chiedergli di fermarsi, o di ripetere un concetto perché non ho fatto in tempo a scrivere, io che non registro mai. Preferisco carta e penna. Le risposte sono fluide, sembrano venir fuori già pronte per essere scritte. Risposte di qualcuno che conosce bene quello di cui parla, e sa renderlo comprensibile a chi lo ascolta senza sforzo. E’ un piacere, intervistare qualcuno come Fontana, perché ti fa venire voglia di fermarti a ragionare, studiare, riflettere di più e più a fondo.

Glielo chiedo come prima cosa, quale sia la caratteristica in comune tra i leader della recente storia Italiana: Silvio Berlusconi, Matteo Renzi, Matteo Salvini e Luigi Di Maio.

Hanno tutti una caratteristica comune: sono figli della politica personalizzata, in cui il leader ha un rapporto diretto con gli elettori. Un modello, questo imposto in Italia da Berlusconi con la fine dei partiti storici. Lui, questo rapporto lo ha stabilito e portato attraverso le televisioni, Renzi, Salvini e Di Maio con i social network. Non amano i corpi intermedi: le segreterie, le associazioni, le discussioni interminabili; ma credono che il consenso sia il misuratore della leadership.In termini generali, Salvini e Di Maio appartengono al nuovo mondo della politica, che non ha più come riferimento la divisione tradizionale tra destra e sinistra.

Il popolo diventa un entità omogenea che si contrappone all'élite, lo stato una categoria che si contrappone all’Europa. Mentre per Renzi e Berlusconi la divisione tra destra e sinistra resta ancora importante.

Oggi l’ascesa dei leader è tanto rapida, quanto rapida è la loro caduta. Viene subito in mente Renzi. Qual è stato il principale errore che ha commesso, secondo lei?

Renzi ha fatto una lettura della realtà che non era esatta. Ha narrato al Paese che ci sarebbe stata una rivoluzione, quella del referendum costituzionale che avrebbe fatto fare all’Italia quel salto di qualità mai ottenuto dal dopoguerra, ma non ha tenuto conto del fatto che gli italiani erano intrappolati in una crisi profonda da oramai dieci anni, dove lavoro, crescita, redistribuzione erano per il popolo molto più importanti della riforma costituzionale. Questo l’ha portato a puntare tutto su una battaglia importante, ma non decisiva. Questo errore di lettura della realtà, unito all’errore di strategia politica di giocare una partita da ‘uno contro tutti’, ha dato potere al fronte dell’opposizione e anche alla minoranza del suo partito che lo osteggiava. Un ultimo errore? Avrebbe dovuto farsi da parte dopo la sconfitta. Restare sulla scena, anche se dietro le quinte gli ha fatto molto male.

cover story

11

E il passo falso, se ne individua uno in particolare, che potrebbe invece portare al rapido declino della nuova leadership Salvini–Di Maio?

Lo stesso passo falso compiuto da Renzi. Ossia pensare che il consenso sia acquisito una volta per tutte. Il consenso degli elettori oggi è molto fluttuante, le opinioni si modificano alla rapidità dei social network. Grandi entusiasmi lasciano spazio rapidamente a grandi delusioni, soprattutto quando vi sarà la prova della realtà. Questo vale soprattutto per i leader del Movimento 5 Stelle, che hanno promesso la luna ai proprio elettori, esponendoli a un ampio margine di delusione.

E qual è invece, secondo lei, il più grosso rischio che corre il Paese sotto la leadership Salvini- Di Maio?

C’è un problema strategico culturale. Un pezzo di questo governo ha un sapore antico, quello di un forte interventismo statale. Coltiva il pensiero che il Paese possa crescere anche se non si alimenta l’impresa, la formazione, il mercato. Un idea di decrescita estremamente pericolosa, questa, radicata nella cultura di governo del 5 stelle. Il secondo rischio è nel non capire che tecnocrati ed Europa non sono un’entità ostile, ma un ancora di salvezza per un paese con un enorme debito pubblico come il nostro, che non può permettersi di apparire incerto, insolvente e spendaccione di fronte ai suoi creditori. Questo è un problema serio che rischia di portare l’Italia fuori della Europa e ai confini del sistema internazionale.

Nel suo editoriale post-elezioni, scriveva che “venticinque anni di seconda repubblica ci hanno consegnato un sistema politico ai limiti del collasso.”

Il rischio è che si tenda sempre a percepire quello che si sta vivendo, come il periodo di crisi più profonda del Paese. Se pensiamo agli ultimi settant’anni, c’è stata la guerra, poi la ricostruzione all’interno dei confini tracciati in Italia dal confronto bipolare, la preminenza della Democrazia Cristiana, gli anni di piombo, poi il Craxismo e, con mani pulite, la fine di un sistema politico e l’ascesa del Berlusconismo. Quello che stiamo vivendo adesso è davvero il periodo di massima crisi del sistema politico in Italia, secondo lei?

E’ un'ottima domanda. Credo che sia il periodo di massima trasformazione, questo sì. Per la prima volta sono quasi scomparse le forse storiche della democrazia italiana del dopoguerra.

In qualche modo anche Forza Italia e il PD erano eredi dei grandi partiti storici della prima repubblica. Le categorie di destra e sinistra oggi non esistono più. Ad esse, nella retorica dei nuovi partiti al governo, si contrappongono esclusi vs élite, identità territoriale vs globalizzazione, Italia vs Europa. Penso che il Paese abbia avuto periodi più drammatici dell’attuale, sebbene la percezione ora sia diversa. Era senz’altro più spaventoso il dopoguerra, così come sono stati terribili gli anni di piombo. Certamente, però, sia nel dopoguerra che negli anni 70 e 80, c’era voglia di cambiamento, un ascensore sociale che ancora funzionava, una spinta alla crescita. Oggi siamo una società che vive meglio, ma in cui manca il fuoco sacro che ci faccia vedere un futuro, e ci faccia venir voglia di costruire. Adagiarsi su questo sentimento di rassegnazione e coltivarlo con il reddito cittadinanza è sbagliato.

Lo dicono in molti, questo. Che i giovani abbiano smesso di partecipare, di costruire spazi di azione ed associazionismo, di agire da gruppo d’interesse compatto e, in buona sostanza, di lottare. Perché, secondo lei?

Ci sono ragioni economiche: un mercato del lavoro frammentato e in declino che non permette ai giovani di costruire e di creare percorsi solidi. Funzionava meglio prima la catena che permetteva ai genitori di investire nella formazione dei figli, sapendo che questo gli avrebbe permesso di costruirsi un futuro adeguato. Oggi il meccanismo si è inceppato.

A questo si unisce una burocrazia tremenda per quel che riguarda le imprese, un sistema istruzione poco permeabile alle novità, e da qui questo senso di immobilità. Manca prospettiva per il futuro, lavorativo soprattutto. Questo genera sfiducia e incertezza, mentre il mondo digitale porta ad esasperare le reazioni di pancia e ad approfondire poco, e questo accentua il problema culturale.

12

the new’s room

Tornando ai leader. Quali sono, secondo lei, le caratteristiche che deve avere il leader del futuro in Italia?

Il leader non è un uomo solo al comando, ma personalità di diversi settori della vita politica, economica e sociale che hanno una visione condivisa di dove vogliono portare il paese. Il leader è colui che riesce ad aggregare queste figure intorno a sé, e a costruire un team dove vi siano le competenze necessarie e la capacità di ascolto per dare al leader ciò che a lui manca, e costruire un progetto di lungo termine capace di generare fiducia e azioni concrete, non soltanto consenso estemporaneo,. Avere una visione, saperla perseguire ed essere in grado di formare e mantenere una classe dirigente a guida del Paese.

Nel contesto delineato, quale ruolo per il giornalismo?

Nel un suo editoriale post-elezioni lei scriveva: “Nei prossimi mesi il giornalismo dovrà dimostrare serietà, raccontando il nuovo, ma dovrà anche essere rigoroso e severo nei giudizi.”

Sta accadendo, secondo lei?

Io spero, e credo, che il Corriere lo stia facendo seguendo la sua tradizione di giornale fattuale, non fazioso o improntato al pregiudizio, basato sul pluralismo delle opinioni. E’ fondamentale, oggi più che mai, far capire che non esiste un opinione unica attraverso cui inquadrare un fatto. La realtà è estremamente complessa, e il giornalismo ha il dovere di catturare tale complessità, pur rendendola in mood semplice ai lettori. Ma è anche importante essere severi, da un punto di vista dell’analisi, quando si percepisce un rischio. Naturalmente non è semplice, perché anche giornalisti a volte si fanno trascinare dalle emozioni o dal gorgo dei social e si perdono, ma credo il Corriere ci stia in massima parte riuscendo.

Che consiglio vuole dare a un giovane che intraprende la strada del giornalismo oggi?

Di togliersi dalla testa che tutti possano essere giornalisti, il giornalismo è una professione che comporta un percorso di studi serio, una formazione, la capacità di lavorare su diverse piattaforme e livelli. Questa diversificazione culturale deve fondarsi su una solida preparazione culturale ed un’etica altrettanto solida. Non farsi travolgere dall’onda facile dell’emozione e dei social network. E’ molto semplice avere un opinione urlata su tutto, molto più difficile è essere seri e rigorosi, documentarsi. Non ci sono soluzioni facili per questioni difficili, e raccontare bene un fatto o esaminare e comprendere una situazione economica non è semplice.

Dobbiamo creare una nuova generazione di giornalisti. Una delle cose di cui vado orgoglioso di questo mio periodo di direzione, è che aver riportato il giornale in una situazione economica positiva mi ha permesso di assumere qualche giovane. Questo mi ha dato un barlume di speranza, mi ha ricordato di quando questa era la prassi, la normalità. Mi ha ricordato di come io stesso sono entrato.

cover story

13

Share with us

www.baglionihotels.com

14

the new’s room

Gap generazionale?

Non quando si vota.

L'85% dei figli in Italia sviluppa e conserva lo stesso orientamento politico dei genitori.

Su cento genitori che votano un partito di sinistra, 75 hanno figli che li imitano; mentre a destra sono 60 i figli che votano come i genitori.

di Roberta Russo e Daniele Priori Foto di Ilaria La Gioia

cover story

15

16

the new’s room

17

cover story

M5S FIGLI: Emilio e Annalisa

MADRE: Mina Siniscalco

Emilio e Annalisa Molaro sono nati a Pomigliano D’A rco e hanno rispettivamente 28 e 25 anni. Concittadini ed elettori di Luigi Di Maio, Emilio alle medie era uno studente della mamma del vice premier pentastellato, Paola Esposito.

Pensionata, gestiva un ristorante a Pomigliano d’A rco. Alle utime elezioni ha votato Movimento 5 Stelle.

Cosa fate per vivere?

E • Appassionato di cultura, territorio, tradizioni, usi e costumi; attualmente sono curatore in un museo abruzzese in provincia di Teramo.

A • Faccio l’educatrice.

Alle ultime elezioni come avete votato?

E/A: Movimento 5 Stelle.

Perché?

In passato ho sempre partiti di sinistra, attualmente ho voglia di cambiamento ed ho deciso di votare un partito nuovo per rottamare la vecchia classe politica.

Come si informa?

Internet, social network

Perché?

E • Perché ritengo che la vecchia classe politica tenga poco ai diritti dei più deboli e debba essere cambiata.

A • Il Movimento 5 stelle è attualmente l'unico spiraglio, è molto vicino alle classi deboli. I vecchi partiti hanno considerato solo gli aspetti aziendali e della classe media, ignorando i milioni di italiani che vivono ai limiti della povertà.

Come vi informate?

E / A • Principalmente su quotidiani e siti web.

PD GENITORI: Grazia e Gianluca

FIGLIO: Federico

Grazia e Gianluca sono rispettivamente un’impiegata e un operaio. Grazia non si interessa di politica, e dichiara di aver votato Pd solo per far contento Federico. Il papa’, invece, la pensa diversamente. E’ di destra e alle ultime elezioni ha votato Berlusconi. “Quando parliamo di politica mi dice che sono bravo”, spiega Federico, “ma che spera che il mio partito fallisca.”

Federico Lobuono, 18 anni, di Lecce. Fondatore di Pischelli In Cammino, una comunità che nasce con lo scopo di far avvicinare i ragazzi alla politica, gestisce un blog che racconta il futuro, “BreakingTech”, e un giorno vorrebbe fare il giornalista. A 16 anni ha detto all’allora premier, Matteo Renzi di smettere di fare le convention nelle hall degli alberghi e che il voto dei giovani lo avrebbe conquistato alle fiere del videogioco.

Come vi informate?

Principalmente sui media tradizionali: giornali, radio, televisione. Diffidiamo dalle cose lette online.

Alle ultime elezioni come hai votato?

Purtroppo non ho votato perché il 4 marzo ero ancora minorenne.

Ho compiuto 18 anni un mese dopo. Ma se avessi potuto avrei votato senza dubbio Matteo Renzi.

Perché?

Perché credo ancora che sia l’unico leader possibile per il fronte democratico.

Come ti informi?

Principalmente sui social. La televisione non la guardo mai e se c’è un programma che mi interessa in modo particolare lo guardo in streaming sul computer.

18

the new’s room

19

cover story

LEGA FIGLIA: Chiara

GENITORI: Federica e Matteo

Chiara, 29 anni, di Arcore. Insegna italiano alle scuole medie. E’ sempre stata una berlusconiania convinta, ha votato Silvio Berlusconi dal principio. Solo queste ultime elezioni, ha fatto una scelta diversa.

Matteo fa il commercialista, Federica era anche lei un insegnate, oggi è in pensione. Sono loro che hanno avvicinato Chiara alla politica, il padre in particolare. “Ricordo l’entusiasmo che c’era nei suoi occhi quando parlava di Berlusconi.” Racconta Chiara, “Mia madre, invece, applaudiva ogni volta che lo vedeva in televisione.”

Alle ultime elezioni come hai votato?

Lega.

Perché?

Perché un conto è la politica, altra cosa è l’ideologia. Io quando si tratta di votare analizzo la realtà e cerco un leader che rispecchi il mio orientamento etico-sociale. In Matteo Salvini ho visto questo e quindi l’ho votato.

E’ questa la distanza che corre tra voto ideologico e voto ragionato.

Come ti informi?

Principalmente leggo testate vicine al mio orientamento politico, ma guardo anche talk politici e soprattutto leggo i programmi elettorali dei candidati di destra. Mi piace avere un quadro completo della realtà e sapere se una volta eletto il leader che ho scelto rispetterà i punti del programma. Quello che non faccio è informarmi sui social, infatti non ho neppure un profilo facebook.

Come vi informate?

Ci informiamo insieme. La mattina leggiamo i giornali prima di uscire da casa e la sera guardiamo la televisione insieme. Lo stesso vale per i talk show politici, li commentiamo ad alta voce e da fuori potrebbe sembrare quasi che stiamo vedendo una partita di calcio, invece magari ci stiamo arrabbiando per i soliti discorsi di qualche esponente di sinistra.

20

the new’s room

Le ondate populiste.

La polarizzazione dello scontro.

Il rischio della marginalizzazione.

Che fare?

Lo abbiamo chiesto a Giovanni Orsina, docente di Storia dei Partiti e autore di diversi libri illuminanti sul tema. di Maurizio Franco

Confini, sfruttamento, frontiere invalicabili e un senso di rinnovato spaesamento che travolge gli steccati ideologici, tramutandosi in condizione esistenziale. C'è paura. E un'ostinata voglia di stabilità per milioni di persone le cui certezze si sono sgretolate nel 2008 sui tabelloni cibernetici di Piazza Affari.

Crisi ed emergenza sono le parole d'ordine del potere. Nuovi paradigmi e vecchi fantasmi, mentre la politica è sempre più subordinata ai vincoli esterni e alle pretese di un sistema economico che impone, ordina e disciplina. Allora focalizziamo l'attenzione sui leader: Berlusconi, Renzi, Di Maio e Salvini.

Metonimia della politica, il capo carismatico che tutto risolve.

E la domanda è: in questo periodo storico, travagliato da conflitti laceranti, è giusto parlare ancora di leader?

“Assolutamente sì” dichiara Giovanni Orsina, docente di Storia comparata dei sistemi politici europei e di Storia del giornalismo e dei media elettronici alla Luiss. Citando pensatori come Alexis de Tocqueville o Josè Ortega y Gasset - “mi appoggio sulle spalle di giganti” dichiara, parafrasando Isaac Newton - lo storico ci fornisce un profilo analitico della politica in Italia e dei suoi protagonisti, tanto cari alle democrazie liberali contemporanee.“Noi stiamo vivendo in una fase della crisi della dimensione politica: una mancanza di elaborazione di idee per il futuro da incastrare in percorsi di pensiero e di valore. La politica fatica molto a dare delle risposte di senso. Nel Novecento questo non succedeva. Ciò significa che, se deperisce la sostanza della politica, ne esplode la parte teatrale. E quindi la politica spettacolo e il leader ridotto ad una maschera sul palcoscenico: qualcuno la cui funzione non è dare risposte, ma è quella di intrattenerci, di farci appassionare o indignare. Tale metamorfosi non è legata soltanto alla figura della leadership, ma soprattutto alle trasformazioni della politica”.

Un miles gloriosus o un corifeo della tragedia greca che strimpella sui social network impersonando figure diverse nello spappolamento dei codici classici. Secondo Orsina, le cause sono ben piantate nella nostra storia.

“Negli ultimi 50 anni, la parte dell'autodeterminazione individuale ha preso molto piede.

Con ovviamente il deperire di alcuni meccanismi collettivi. La politica ha bisogno di identità, ma oggi noi le identità le stiamo de-costruendo tutte. Ciascuno di noi può intraprendere il percorso che vuole. Da liberale dico 'ben venga'. Però le difficoltà affiorano e quando il povero politico ha bisogno di mobilitare le identità collettive, cosa si trova? Non ci sono più i proletari, non ci sono più i borghesi, non ci sono più gli italiani, non ci sono più i padani, non c'è più niente. Tutto è fluido”. Un processo che genera inevitabilmente un cortocircuito. “In Italia, le conseguenze sono fenomeni patologici di leader sostanzialmente inamovibili perché non c'è un'istituzione in grado di rigenerarsi. Il partito è il leader. Oppure fenomeni di leader

cover story

21

che esplodono e poi implodono rapidamente. Quindi la sostituzione avviene in maniera disordinata”.

In sintesi: la forma partito degenera, perché incapace di organizzare una società atomizzata, molteplice ed eterogenea. Ma la politica come si arma per sopravvivere a simili intemperie?

“La Lega ha creato un percorso parallelo. Salvini è sovrapposto alla Lega: è una cosa diversa. Qui c'è un partito strutturato e tradizionale.

Però i voti li prende Salvini. Il Movimento 5 stelle è un'utopia. Fare politica senza un'istituzione. Si è costruito un meccanismo metodologico che fa si che la delega sia rinnovata ogni momento, cioè la democrazia diretta via web. Quindi l'idea è: non si crea un'istituzione tradizionale, ma si cerca di rappresentare la realtà mentre cambia. Il movimento 5 stelle vince perché è una risposta sensata. Solo che è impossibile e contraddittoria alla prova dei fatti”.

E il partito democratico?

“Ha una struttura organizzativa che è stata fatta e pensata per un'altra epoca storica. Quindi un partito nel quale l'apparato è molto importante e ragione di se stesso. Poi la scelta di Renzi, un leader post-moderno, antitesi della forma apparato. Due realtà agli antipodi e in contrasto. E l'alieno, il mix estemporaneo, è fallito. Inoltre gli esponenti del partito democratico non sono riusciti a capire quest'esplosione di rivolta contro il funzionamento della società così come è oggi. Una rivolta che richiede protezione e identità. E invece la sinistra diventa (non solo in Italia) la sinistra dei processi di globalizzazione, e del protagonismo dell'individuo”.

Risposte immediate a domande strutturali. Sono istantanei i tempi della politica. Con il capro espiatorio tra le mani, su cui scaricare le contraddizioni e le inadempienze dell'eterno presente. Se alle richieste della società non c'è risposta il cambio è repentino. Nuovi leader e nuove organizzazioni. Per Giovanni Orsina gli ultimi avvenimenti parlano chiaro.

“L'Italia ha bruciato tutta una serie di possibili classi politiche che mano mano si sono presentate a valle della prima grande distruzione dei politici di professione: era il 1992 con Tangentopoli. A quel punto, l'unica soluzione possibile è il tentativo di fare a meno di una classe politica. Li abbiamo provati tutti: i tecnocrati, i manager, i giudici, i politici di professione. Hanno fallito tutti. Chi altro? La risposta di Renzi, ad esempio, è i giovani. Andiamo con i giovani, non andiamo con categorie 'socio-professionali', ma con categorie generazionali.

I giovani però non hanno funzionato e cosa resta? L'utopia di fare a meno di un'elite”.

Allora, la domanda sorge spontanea. Che fare?

“Il sistema istituzionale italiano deve essere cambiato in modo tale da produrre leadership il sistema politico italiano continua a vivere ruotando attorno ad un leader. La politica italiana ruota sempre attorno ad un individuo perché, le istituzioni non sono in grado di dare stabilità. E la stabilità la da il leader. O con lui o contro di lui. Leader polarizzanti che costruiscono questo discorso. Per quanto possiamo andare avanti così? Questa è una buona domanda”.

22

the new’s room

23

cover story

Leader digitali.

Visibilità, popolarità, engagement: il web è un grande strumento di comunicazione, ma chi lo sfrutta davvero? L’algoritmo I-leader Index di AGI ha scovato i campioni della comunicazione digitale.

di Ilaria Danesi

GIORNALISMO Enrico Mentana Il Direttore si è cancellato da Twitter, ma con la sua verve spopola su Facebook e Instagram. Seguono altri giornalisti “mediatici”, come Saviano, Travaglio e Scanzi.

BRAND Ferrari Trionfa la casa di Maranello, con TIM e Intesa San Paolo sul podio. Solo dal settimo posto in giù troviamo i marchi del food, Ferrero Rocher, Nutella e Kinder.

POLITICA Di Maio e Salvini Se per tutto il 2017 il più seguito sui social è stato Renzi, incalzato da Grillo e Di Battista, negli ultimi mesi è stata poderosa l’ascesa politica e mediatica di Di Maio e Salvini.

Chiuderanno loro in testa il 2018?

SPORT Valentino Rossi e Neymar Effetto nostalgia nella top ten italiana, che assieme al pilota di Tavullia vede tanti ex (o quasi) calciatori come Buffon, Del Piero, Pirlo e Totti. A livello globale Neymar si afferma nuovo O’Rey del web, davanti a Leo Messi e al sempreverde Beckham.

SHOWBIZ Belen Rodriguez e Fedez Nella categoria donne primeggia la showgirl grazie ad Instagram; tra gli uomini Fedez è il più multicanale. Poi quasi solo cantanti (Laura Pausini, Emma Marrone, Alessandra Amoroso; Ligabue, Vasco Rossi, Tiziano Ferro, Gianni Morandi), con le eccezioni Marcuzzi, Paolo Ruffini e Beppe Grillo.

WEBSTAR Chiara Ferragni e Gianluca Vacchi Trionfo scontato per la regina delle influencer; tra gli uomini fa il pieno di follower la bella vita di Vacchi. Seguono, staccati, youtuber, modelli e gruppi comici, come The Jackal, Gli Autogol, Mariano Di Vaio, Favji e Clio Make Up.

BUSINESS Stefano Gabbana e Elon Musk In Italia lo stilista conquista i millenials con Instagram, nel mondo spiccano Elon Musk e il patron di Virgin Richard Branson.

Fonte: AGI e DOING, I-leader Index, report 2017

INSTAGRAM INFLUENCER (followers) CHIAR A FERR AGNI

1 2, 3 MLN

GIANLUCA VACCHI

11, 5 MLN

MARIANO DI VAIO

6, 3 MLN

FEDEZ

5, 2 MLN

CHIAR A BIASI VALENTINA FERR AGNI CHIAR A NASTI MYHOUSEIDEAS STEFANO TR ATTO ANDREA DENVER

4,4 MLN 1, 8 MLN 1,6 MLN 1, 5 MLN 1,4 MLN

24

the new’s room

cover story

Leader under 35

25

di Alessia Tozzi

ELLY SCHLEIN 33 anni, politica (Lugano). Dal 2014 Europarlamentare eletta nelle liste del PD, poi passata a Possibile. Impegnata sui temi dell’immigrazione, della conversione ecologica e della lotta alla corruzione e alle mafie. Nel 2017 vince il premio Mep Awards per il Deputato dell’anno sui temi dello sviluppo.

MICHELE RECH pseudonimo di ZEROCALCARE, 35 anni, fumettista (Arezzo). Realizza i suoi primi lavori appena dopo le scuole superiori, realizzando un racconto a fumetti delle giornate del G8 di Genova del 2001. Ha collaborato con il quotidiano Liberazione e con le riviste Carta, Repubblica XL e Internazionale.

DIEGO CIMINO 26 anni, segretario di legazione (Catania). Laureato in Giurisprudenza all’Università di Catania, ha seguito il corso alla preparazione diplomatica dell’ISPI, superando il concorso a soli 25 anni. È attualmente il più giovane diplomatico italiano.

CRISTIANO VENTURINI 35 anni, CFO di iGuzzini Illuminazione spa. Laureato in Business Administration all’Università Bocconi di Milano. Ha vinto il Premio Giovane Manager 2017, è stato nominato manager a soli 31 anni. Docente di economia all’Università di Macerata.

VELIA SICILIANO 35 anni, scienziata (Napoli). Premiata nel 2018 dalla rivista americana MIT Technology Review. Attualmente impegnata in un progetto di ricerca sulla lotta ai tumori partendo da specifiche modifiche di alcune cellule del sistema immunitario.

DARIO CORALLO 30 anni, responsabile comunicazione dei Giovani Democratici (Roma). La sua militanza inizia al liceo, nelle fila della Sinistra Giovanile prima e nei Giovani Democratici poi. Si è candidato a sorpresa alle primarie del PD per guidare il partito come rottamatore 2.0.

SALVATORE ARANZULLA 28 anni, divulgatore informatico (Catania). Fondatore di Aranzulla.it, punto di riferimento per i dummies della tecnologia e 29esimo sito più seguito d’Italia.

FEDERICA D'ALESSANDRA 30 anni, consulente legale specializzata in diritti umani (Caltanissetta). Attualmente residente a New York dove lavora come ufficiale per l'Associazione Legale Internazionale.

FRANCESCO SPINA 33 anni, ingegnere aerospaziale (Brindisi). Premiato dalla NASA e dall'ESA, nominato uno dei 15 migliori innovatori under 35 del 2017 dalla rivista americana MIT Technology Review.

ELIA BOMBARDELLI 29 anni, docente di matematica e fisica (Trento). Nel 2012 apre un canale YouTube da usare come contenitore per le sue lezioni di matematica LessThan3Math. Il canale conta oltre 180mila iscritti.

26

the new’s room

Professione Spin Doctor.

Intervista a Filippo Sensi.

Giornalista che con una sua inchiesta ha fatto dimettere un ministro britannico, blogger di successo, oggi parlamentare. Ma soprattutto, l’uomo che ha costruito e gestito la comunicazione di Renzi e poi di Gentiloni.

di Ilaria Danesi

Un tempo era il partito, con i suoi simboli e i suoi ruoli. Oggi sotto i riflettori è lui, il leader politico, capace di tenere la scena, trasmettere, emozionare e convincere. Se non esiste politica senza comunicazione, non esiste leader politico che possa prescindere da una comunicazione vincente. Quanto lavoro c’è dietro l’immagine di un leader, e dove sta andando la comunicazione politica? L’abbiamo chiesto a Filippo Sensi, giornalista, blogger, deputato, portavoce e capo ufficio stampa di Renzi e Gentiloni.

Dal giornalismo, ad un famoso blog (Nomfup), a portavoce del Premier. Lei è stato il primo “spin doctor” noto in Italia: che significa, di fatto, essere uno spin doctor?

La caratteristica distintiva degli spin doctor è quella di non ammettere di esserlo. Se vi rispondono che non lo sono, state certi di trovarvi di fronte a uno spin doctor. Il mio lavoro è stato per anni a cavallo tra la comunicazione e l'informazione. Ho avuto il privilegio in questi anni di lavorare a Palazzo Chigi a fianco di Matteo Renzi prima, e di Paolo Gentiloni poi, occupandomi principalmente dei rapporti con i media. Difficile stilare una giornata tipo, visto il numero di questioni che ogni giorno si trova ad affrontare chi lavora per il governo, per la mia esperienza posso dire che occorre fare uno sforzo per evitare che le giornate vengano ingoiate e monopolizzate dal day by day e per provare a dare ordine e prospettiva al lavoro quotidiano.

L’hanno paragonata ad Alastair Campbell, capo ufficio stampa di Tony Blair: ci fa un parallelo tra comunicazione politica italiana ed estera?

Alastair Campbell per me è un mito, nessun paragone possibile, non scherziamo! Negli anni la comunicazione politica italiana e quella estera -intesa come americana o inglese- tendono a somigliarsi sempre più. Sono diverse per cultura, sistema dei media, ambiente social, ma alcune linee di tendenza attraversano ormai anche il nostro Paese: l'aggressività del dibattito pubblico, la velocità dovuta all'impatto della rete e dei social, l'impatto mediatico della personalizzazione della leadership, per citarne solo alcune. E la crescente consapevolezza della disintermediazione come re-intermediazione, vedi il dilagare delle fake news.

Lei viene da una formazione giornalistica, oggi i politici si affidano sempre di più a esperti di marketing e social media, come Luca Morisi, “social-megafono” di Salvini. Come legge questa tendenza?

Non c'è una sola ricetta. Ci sono comunicatori che vengono da un curriculum giornalistico e che hanno affrontato positivamente questo sconfinamento, altri da percorsi orientati sin

focus

27

dall’inizio alla comunicazione tout court, con casi virtuosi o meno in un senso e nell'altro. In generale non credo a un’eclissi della politica e vedo grandi possibilità per la comunicazione politica, perché anche nel mondo egemonizzato dal cosiddetto GAFA (Google, Apple, Facebook, Amazon) ci sarà sempre bisogno di confronto e rappresentanza, di difesa dei diritti e bilanciamento di interessi. E la politica avrà sempre bisogno di definirsi e comunicarsi.

Renzi ha vissuto uno straordinario successo mediatico, ma anche una rapida parabola: c’è stato un momento in cui vi siete resi conto che il gradimento verso il Premier stava mutando? È una questione di mera delusione politica, o cambierebbe qualcosa a livello comunicativo, a posteriori?

Io credo che l’importante numero di riforme messo in campo dai Governi Renzi e Gentiloni resterà, nonostante i tentativi dell’attuale maggioranza di cancellare il lavoro fatto. Mi pare che l'esecutivo attuale oscilli tra damnatio memoriae e conferma delle soluzioni trovate dai nostri governi, per il semplice motivo che funzionano. Basti pensare a quanto fatto sull'immigrazione da Minniti. In generale credo che le traiettorie delle leadership politiche vadano valutate in un arco di tempo allargato vista la velocità dei cambiamenti. E il tempo è galantuomo. Per quanto riguarda errori comunicativi, figurarsi: ne ho fatti tanti nel corso della mia vita professionale e me ne prendo la responsabilità, come è giusto che sia. Mai sopportato gli uffici stampa che “lo avevo detto io”.

Berlusconi, Renzi, Salvini e Di Maio. Quali le principali differenze tra questi leader lato comunicazione?

Intanto, un dato generazionale: pensi a Berlusconi e ti viene in mente subito la televisione, per Renzi, Salvini o Di Maio l’environment mediatico è molto diverso, ibrido tra tv e social. Le differenze tra questi ultimi tre per me sono enormi, ma io sono di parte. Renzi è uno straordinario comunicatore, un performer naturale, che però studia e non parla a vanvera, non saprei dire lo stesso degli altri due.

Salvini è sicuramente molto efficace sui social, in tv la presenza pressoché quotidiana ha fatto premio sulla qualità. Di Maio sui social non mi pare un fenomeno, non è il suo nonostante la natura del suo Movimento, mentre mi pare più a suo agio negli studi televisivi.

Cosa accomuna la comunicazione di Lega e 5 Stelle, e qual è oggi il segreto del loro successo?

Per entrambe vale il volume di fuoco quotidiano, sia in rete che in tv. Per i 5 Stelle ha funzionato il vergognoso diktat televisivo che per anni ha impedito a chiunque di confrontarsi direttamente con loro.

Per la Lega esattamente il contrario: l’essere sempre negli studi televisivi a combattere ha forgiato la loro classe dirigente, preparandola mediamente meglio rispetto ai colleghi di governo. Sia per i grillini, sia per la Lega, fa premio il continuo indicare un nemico. Non c'è affermazione tweet o comunicato in cui non ne indichino uno, additandolo come un capro espiatorio su cui sfogare la rabbia di follower e telespettatori.

28

the new’s room

L’obiettivo di Pete Souza offriva un’immagine familiare del presidente Obama; questa estate abbiamo assistito ad una campagna elettorale “balneare” da parte di Salvini su Instagram. Quanto è importante l’uso emotivo dell’immagine? Ha dei modelli in questo senso?

Evocare Pete Souza per l'uso dei social di Salvini è come mettere insieme Antonioni e l'Esorciccio! Souza ha reinventato con sobrietà e genio visivo la fotografia istituzionale ed è un modello per chiunque abbia il compito di raccontare una leadership. Non mi pare il caso di Salvini. Io credo che le immagini debbano essere oneste, e non emotive. Se sono oneste, sono anche emotive. Su questo ci sarebbe molto da dire, ma penso che il lavoro fatto da Tiberio Barchielli (e Filippo Attili per i video) a Palazzo Chigi, o che fanno Adam Scotti con Justin Trudeau e Soazig de la Moissoniere con Macron, siano di riferimento a livello internazionale.

Ipotizziamo di costruire oggi, da zero, l’immagine di un leader: che consigli gli darebbe?

Non ci sono consigli valevoli per tutti. Penso che la comunicazione di un leader debba somigliargli, non sia un abito da sovrapporgli o imporgli, ma un tessuto capace di adattarsi, di resistere all'usura e alle macchie e far sentire a proprio agio chi lo indossa. “Sibi constet” è un monito antico e credo che valga anche oggi. Senza indulgenze per carità, ma con realismo e un pizzico di disincanto -solo un pizzico- che non guasta mai.

focus

29

La satira ai tempi del populismo.

Un tempo si sfottevano i leader, oggi la satira prende in giro il popolo. di Lorenzo Bernardi

La pagina facebook è uno spettacolo. Al Oggi, con il populismo al governo - ovvero centro della foto profilo, un Matteo Salvini l'ultimo stadio della democrazia – il potere in cravatta verde che sorride, incamiciato e non è più rappresentato soltanto dal leader, rassicurante. Sullo sfondo, due mani a mi- ma dal popolo stesso. C'è chi sostiene che la mare il gesto del cuore. Sotto, il nome: “Noi disintermediazione fra leader e la massa – fiche amiamo il Capitano Matteo”. Nella time- glia in buona parte della rivoluzione digitale line scorrono a getto continuo collage dove – abbia abbassato i “capi” al livello della “genalle immagini del “Capitano” si affiancano te”. Certo è che la “gente” ha acquisito un poPadre Pio, Chiara Ferragni, Gesù Cristo e tere nuovo, quello di esprimersi allo stesso gattini di internet. C'è perfino una canzone, livello dei leader. E la satira non poteva non “Capitano pensaci tu”. Nei post, un profluvio attaccare questo potere. Lo hanno fatto gli di apologia. Si ringrazia Salvini di aver eli- intellettuali in modo convenzionale (si pensi minato le accise sulla benzina, gli si augura al troll Napalm51 di Crozza), ma lo ha fatto il buongiorno e il buon riposo, lo si difende anche la “gente” stessa. Dal basso, dai social. dagli attacchi dei giudici, dei “rosiconi” e dei Per esempio con “Noi che amiamo il Capita“buonisti del Piddi”. Si propone addirittura no Matteo”. un mini reddito di cittadinanza di 138 euro per chi adotta un cagnolino con gli occhi Il capolavoro di questo nuovo genere di satiluccicosi. Ovviamente è tutto per finta, è un ra è che si auto-alimenta. Sfugge al controllo gigantesco sfottò. di chi la crea, diventa proprietà di tutti, anche di chi non la capisce. Diventa una schegOvviamente? In realtà, nel mondo dei so- gia impazzita che può produrre qualunque cial non c'è nulla di ovvio: perché per molti effetto, anche quello contrario all'intento quella non è una parodia, ma una vera pagi- iniziale. Un esempio? La canzone “Capitano na fan. Lo dimostrano le condivisioni, molte pensaci tu” può davvero fare propaganda delle quali fatte da veri supporter di Salvini a Salvini. E la fa perché l'ironia, sui social, è (spesso senza capire l'intento satirico del spesso incomprensibile. Sta qui il capolavopost, come si evince dai commenti). Avvie- ro: è la “ggente” che prende in giro se stessa, ne anche l'opposto: persone che odiano la inconsapevolmente. È anche la satira che Lega e condividono sdegnate, con i gestori sfotte se stessa. della pagina che alimentano il cortocircuito.

“Buongiorno rosicona! Malox?” suggeriscono Certo, anche gli intellettuali regalano straoralla signora scandalizzata. dinari numeri satirici contro “il popolo”. Forse il più riuscito l'ha firmato Jon Gnarr. Un Si dice spesso che la satira deve sempre comico islandese che nel 2010, subito dopo schierarsi dalla parte del popolo, ma non è la drammatica crisi economica che ha colpivero. La satira, l'hanno precisato in molti, to l'isola, ha fondato il “Partito Migliore” e si è fra cui Daniele Luttazzi, “deve essere contro candidato a sindaco di Reykjavik. Sfruttanogni potere.” Eventualmente, anche contro il do la cosiddetta “ondata di protesta” ha vinto. potere del popolo.

E ha governato – a quanto pare, neppure così

30

the new’s room

male – senza rinunciare alle sue provocazioni, come quando ha posto come condizione, per entrare in giunta, l'aver visto tutte le cinque stagioni della serie tv “The wire”.

Si dirà che diventare sindaco di una città di 120mila abitanti è una cosa, prendersi il vero potere è altro. La dimostrazione che non è così è proprio l'Italia. Beppe Grillo, da comico, è diventato leader indiscusso del primo partito del Paese, che lui stesso aveva fondato. Ognuno lo consideri come vuole: una salvezza o una iattura. Ma forse un genio della satira come Grillo, in qualche parte (molto nascosta) del suo cuore, lo considera il più grande numero comico mai concluso.

31

focus

sinergie.org

Agenzia di Live Communication esperta in grandi eventi B2B e viaggi incentive

centoeventi.it

special-incentive.com

Strategie di comunicazione integrata B2C dalla forte componente creativa

Esperienze uniche tailor made per viaggi incentive di alto profilo

twico.it

lievita.eu

Progetti di comunicazione digital & new technologies per eventi

Sviluppo di concept, format e consulenza nel settore food & wine

32

the new’s room

ITALIA

di Laura Bonaiuti

E se il prossimo premier fosse una donna?

Testa:

Bocca:

Piedi:

RAZIONALE SI,

LINGUAGGIO SEMPLICE,

PRAGMATICA,

‘INTELLETTUALE’, MAI.

SORRISO APERTO.

BEN PIANTATA A TERRA.

Una donna i 50 e i 60, “che abbia lavorato sodo per conquistarsi una posizione” Deve avere studiato, ma non troppo. La laurea non è per forza un requisito necessario. “Preferisco una donna che si è spaccata la schiena lavorando, piuttosto che un’intellettuale che non sappia cosa vuol dire dover arrivare alla fine del mese.”.

Il linguaggio fermo, sicuro e semplice. Deve sorridere, parlare con la gente, essere presente sui social e in televisione, certo, ma soprattutto andare nelle strade, nelle piazze, nelle scuole, nelle zone colpite da catastrofi naturali; non rinchiudersi nei palazzi.

Deve “conoscere i problemi dei cittadini”, aver “lavorato sodo per conquistarsi una posizione” e soprattutto offrire soluzioni concrete”. Meno parole e più fatti.

2 02 3 focus

33

Ipotizziamo che si andasse alle elezioni di nuovo nel 2023, e che a vincere fosse una donna. “Esiste un tipo ideale di donna adatta a ricoprire la carica di Presidente della Repubblica o del Consiglio in Italia? Quali caratteristiche deve avere?". Lo abbiamo chiesto a decine di cittadini della Capitale, provenienti da diversi quartieri e classi sociali, e abbiamo così costruito un identikit dell’ipotetica donna premier.

Pancia:

Gambe:

Cuore:

MADRE SI,

CURATA,

SENSIBILE,

MA DI FIGLI ADULTI.

MA NATURALE.

MA NON TROPPO.

Deve avere dei figli, ma i figli devono essere già grandi. Impossibile conciliare altrimenti. Devono comparire in occasioni pubbliche “Come faceva Obama con la moglie e la famiglia”.

Naturalmente deve avere un marito autorevole che la sostenga e compaia al suo fianco.

Deve essere piacente, ma non troppo. “Non deve mettersi a piangere come Avere un corpo femminile, ma non la Fornero, ma nemmeno ignorare le giunonico, né troppo grassa né trop- implicazioni emotive che certi fatti, po magra. Un look sobrio, da prima misure o crisi possano avere sui citrepubblica. Guai a mostrare capi tadini.” Deve consolare, non come costosi e grandi marche, altrimenti azione materna fine a se stessa, ma si potrebbe pensare che sia così che consolare per capire fino in fondo, spende “i soldi degli italiani”. trasmettere speranza, risolvere problemi.

34

the new’s room

A una donna gli italiani chiedono di più. di Margherita Puca

I sessantacinque governi che si sono succeduti nel nostro paese, dalla nascita della Repubblica Italiana ad oggi, sono stati presieduti da uomini. La politica è sempre stata una questione prettamente maschile: per essere un leader bisogna avere polso fermo, possedere intraprendenza, lucidità, forza.

Negli anni, tuttavia, il clima sembra essersi rapidamente evoluto: è infatti aumentata la presenza di donne all’interno dei palazzi del potere, a partire dal nostro Parlamento, composto al 30% da deputate e senatrici, ai Consigli e dalle Giunte Regionali, fino ad arrivare ai Consigli d’A mministrazione delle imprese. E allora, perché non pensare che la prossima a dirigere i lavori a Palazzo Chigi debba essere proprio una donna?

Alla nuova Presidente del Consiglio è richiesto di essere matura: la sua età non potrà essere inferiore ai cinquantacinque, sessanta anni. Va bene la rivoluzione della donna premier, ma una giovane donna premier, sarebbe troppo per questa Italia che va lenta, soprattutto quando si tratta di spostare confini. Matura e di bell’aspetto quanto basta, che laddove non lo fosse affatto, sarebbe oggetto continuo dello scherno che il nostro Paese, a tutti i livelli, riserva alle donne poco attraenti in posizioni di potere, ma se lo fosse quel tantino in più, passerebbe il suo tempo a smentire che la sua scalata verso l’apice sia stata favorita da favori concessi alle persone giuste, da rapporti accuratamente coltivati, da dinamiche di do ut des sapientemente concordate.

Moglie e madre, guai a non esserlo. Che sia in grado di incarnare i valori sui quali si basa l’idea di femminilità nel nostro paese: la sensibilità, la dolcezza, la grande capacità

di ascolto e di cura, la bella presenza, la propensione all’assistenza e all’aiuto. La Presidente sarà d’esempio per tutte le donne che dovranno impegnarsi tanto per avere dei figli, a prescindere dalle loro aspirazioni lavorative e dalle loro condizioni economiche.

Che lei stessa, però, si dimentichi di allargare ancora la propria famiglia: il congedo di maternità potrebbe non esserle accordato, come accade alle tante lavoratrici che, proprio per questa ragione, vengono licenziate, o alle quali non vengono rinnovati i contratti in scadenza.

Il Governo dovrà essere guidato da una personalità competente, tanto quanto un uomo?

No, molto di più: dovrà mostrarsi indipendente ed autonoma, autorevole quando serve. Le sarà richiesto di conciliare il suo lato femminile con la sua immagine di leader, richiedendole di impersonare due ruoli tra loro contrapposti, di farlo bene, senza lasciare troppo spazio alla sua personale identità.

In sintesi? Alle donne, gli italiani chiedono di più. Se soltanto si fosse chiesto un terzo di quanto è emerso agli uomini che oggi ci rappresentano, la situazione sarebbe certo ben diversa. La prima Presidente del Consiglio, quindi, non dovrà essere altro che la dimostrazione che ad oggi non ci sia più nessun soffitto di cristallo da abbattere, nessuna disuguaglianza di genere da superare, nessun bisogno di riaffermare la piena parità tra i sessi. Una sorta di eccezione virtuosa, che conferma la regola. O forse no.

focus / approfondimento

35

36

the new’s room

POLITICS

Emma Bonino Politica e attivista italiana.

70 anni, nata a Bra (Cuneo), dopo una laurea in Bocconi in lingue e letterature straniere con una tesi su Malcom X, a soli 28 anni entra in Parlamento come capolista del Partito dei Radicali e a 30 è eletta al Parlamento Europeo. Nel 2006 ricopre la carica di Ministro del Commercio e delle Politiche Europee e poi di Ministro degli Esteri nel 2013. Oggi è promotrice della lista +Europa.

Tra le sue battaglie quella per l’aborto, per il divorzio, contro le mutilazoni genitali femminili, contro la pena di morte e, oggi, per l’Europa e per l’accoglienza. Nel 2011 è l'unica italiana inclusa dalla rivista Newsweek nell'elenco delle "150 donne che muovono il mondo". Tra le varie lingue che parla è in grado di comprendere l'arabo. Non è sposata e non ha figli per scelta.

Angela Merkel Cancelliere federale della Germania.

64 anni, nata ad Amburgo. Oggi al suo quarto mandato, è la prima donna cancelliere della Germania. Dopo il Master in Science all’Università di Leiptzig, ha ottenuto un PhD in Chimica Quantistica presso l'Accademia delle Scienze di Berlino. Nel 2007 è stata presidente del Consiglio Europeo, ed è stata la seconda donna a presiedere il G-8 dopo Margaret Thatcher. Ha giocato un ruolo cruciale nei negoziati per il Trattato di Lisbona. «Forbes Magazine» l’ha definita la donna più potente al mondo. È sposata.

Ha una passione sfrenata per il calcio e sin da giovane parla il russo fluentemente.

Wo m one will the w

Biografie di donne al potere.

INNOVATION AND TECH

Silvia Candiani CEO, Microsoft Italia.

47 anni, milanese, una laurea in Bocconi e poi un MBA presso l’Insead di Fontainebleau. Prima di Microsoft, è passata per la consulenza in McKinsey, poi ha fatto carriere in Vodafone e San Paolo Imi. Oggi impegnata nel sostenere la leadership al femminile è tra le fondatrici di ValoreD, prima associazione di imprese che promuove il talento delle donne per la crescita delle aziende e del Paese. Membro del CdA di Cofide, Gruppo De Benedetti SpA. Sposata, con due figli. Nel tempo libero ama viaggiare con la sua famiglia.

Susan Wojcicki CEO, Youtube Global.

50 anni, nata a Los Altos, California. Una laurea ad Harvard, poi un Master in Science all’Università di Santa Cruz e, infine, un MBA presso la Anderson School of Management. Inizia in Google nel 1999, è tra i primi 16 impiegati del colosso. Ha diretto tutto il marketing e il commerciale e ha sostenuto l'acquisizione di YouTube da parte di Google per $1,65 miliardi nel 2006. Oggi il sito ha un valore stimato di circa 90 miliardi di dollari, la Wojcicki è CEO dal 2014. Sposata con 4 figli. Come gestisce le migliaia di email che riceve? Le tiene in un unico box senza mai cancellarle.

Eo In un universo declinato ancora al maschile, dove il divario tra i sessi si manifesta anche in termini economici a parità di ruoli, abbiamo provato a tracciare 8 profili di donne leader, a livello

37

focus

men day lead

world.

COMMUNICATION

Lilli Gruber Giornalista, scrittrice e conduttrice TV. 61 anni, di Bolzano, si laurea a Venezia in lingue e letterature straniere, svolge il praticantato giornalistico a Telebolzano e scrive per i quotidiani «L'Adige» e «Alto Adige». La sua gavetta continua in RAI, dapprima per Sender Bozen, il canale in lingua tedesca; nel 1986 passa al Tg2 e qualche anno più tardi alla conduzione del Tg1 delle ore 20. Nel 2004 lascia la Rai, denunciando l’assenza di libertà d'informazione sotto il governo Berlusconi. Si candida con l'Ulivo e viene eletta al Parlamento Europeo con oltre 1milione di voti. Nel 2008 si dimette da eurodeputata e riprende la sua carriera giornalistica con la conduzione di Otto e mezzo su La7.

Parla italiano, tedesco, inglese e francese. È sposata con il giornalista francese Jacques Charmelot e non ha figli per scelta.

Oprah Gail Winfrey Conduttrice, autrice, attrice e filantropa.

64 anni, nata a Montecito (California). Si è laureata in Scienze della Comunicazione all’Università del Tennessee. Nel 2013 ha ricevuto la Medaglia della Libertà dal presidente Obama e due dottorati honoris causa dalle Università di Duke e Harvard.

Nota per il suo talk show The Oprah Winfrey Show, il primo e il più famoso nel suo genere, in onda dal 1986 al 2011. Ha vinto il Golden Globe alla carriera, ha lanciato il canale via cavo OWN e nel corso della sua carriera ha donato 425 milioni di dollari, compresi oltre 100 milioni alla Oprah Winfrey Leadership Academy for Girls in Sud Africa. Dal 1996 è legata sentimentalmente a Stedman Graham Jr.

BUSINESS AND ENTREPRENEURSHIP di Alice Militello

oggi? italiano e internazionale, che occupano posizioni di primo piano nei settori della politica, della tecnologia, comunicazione ed economia.

Segni particolari?

Alta formazione e tanta gavetta.

Miuccia Prada Stilista e imprenditrice.

70 anni, nata a Milano. Nel 1971 si laurea in Scienze Politiche alla Statale di Milano ed entra subito da Prada. Agli inizi degli anni '80, disegna una collezione di borse nere in fine nylon che diventano presto un must. Nel 1988 comuncia la scalata verso il successo con la sua prima linea di prêt-à-porter. Nel 2000 ha ricevuto l'Honorary Doctorate del Royal College of Art di Londra e l'Honorary Award del New Museum of Contemporary Art di New York per il lavoro innovativo ed originale. Nel 2005 «Time Magazine» l'ha inserisce tra scelta tra le 100 persone più influenti al mondo. Sposata, ha due figli. Non indossa mai abiti disegnati da altri.

Mary Barra CEO, General Motors.

57 anni, nata a Waterford, Stati Uniti. Di tutta l’industria automobilistica è la prima donna ad occupare questa carica al mondo.

Diplomata alla Waterford Mott High School, a 18 anni inizia come apprendista alla catena di montaggio di General Motors per pagarsi gli studi universitari alla General Motors Institute (oggi Kettering University). Si laurea in ingegneria elettrica e nel 1990 consegue un MBA a Stanford. Rientrata in General Motors, fa tutta la carriere interna da direttore di uno stabilimento a CEO dell'azienda nel 2013. Barra è sposata e ha due figli. Le sue macchine preferite sono la Chevrolet Camaro e la Pontiac Firebird.

38

the new’s room

Leader si nasce?

Scoperto l'antidoto ai populismi: i bambini.

Uno studio delle Università di Trento e dell'Illinos ha dimostrato come a nemmeno due anni un bambino sappia già riconoscere la differenza fra un bullo ed un leader.

Si sente spesso dire che, che per ritrovare i leader “sognati”, si debba ripartire dalle generazioni che verranno perché “Il futuro appartiene a loro”.

A partire dai bambini, che nella loro purezza, hanno un'infinita capacità di sorprendersi e di sorprendere. E la meraviglia è tanto più grande quanto più loro sono piccoli, anche in tema di leadership. Lo studio condotto dal ricercatore post-doc Francesco Margoni e dal professor Luca Surian del Dipartimento di Psicologia e Scienze cognitive dell'Università di Trento, insieme alla professoressa Renée Baillargeon dell'Università dell'Illinois, “Infants distinguish between leaders and bullies”, pubblicato lo scorso settembre, ha dimostrato che, «rompendo con tutta la tradizione psicoanalitica che vede il bambino come soggetto capace solo di recepire, quindi interiorizzare le regole sociali e morali del comportamento di convivenza» sottolinea Margoni; i bambini sono in realtà in grado di comprendere la differenza, tra un leader e un bullo.

L'enorme lavoro di analisi compiuto dal 2015 compiendo test, nei laboratori italiani ed americani, su 100 bambini di 20-21 mesi, mostra infatti che, a nemmeno due anni, un bambino sa riconoscere la differenza di potere fra un bullo ed un leader. Un'asimmetria di dominanza che lo porta a diffidare del primo ed a rispettare il secondo, marcando il divario fra un'autorità dettata dall'autorevolezza piuttosto che dalla paura: «Nessuno aveva mai operato questa distinzione” spiega Margoni, “eppure è fondamentale perché già a quell'età i bambini hanno delle aspettative».

di Simone Rubino

La ricerca è stata complessa e costruita attraverso strumenti differenti fra loro. Ai piccoli sono stati mostrati dei video animati registrando le loro reazioni. «Il bimbo capisce tante cose del mondo fisico, psicologico e sociale che lo circonda ed è in grado di elaborare molte informazioni, anche sofisticate» continua Margoni. Ciò che è profondamente interessante, secondo il ricercatore “è che la comprensione di tali dinamiche ci restituisce anche un'immagine di noi stessi, delle aspettative con le quali nasciamo».

Curioso che l'idea di questo studio sia partita nell'incrocio fra la letteratura psicologica e la filosofia politica: Margoni è laureato in Filosofia ed ha trovato ispirazione anche in un testo sacro come “Il Leviatano” di Thomas Hobbes. Chissà che non si possa imparare qualcosa dai bambini, in tema di leadership, dato che imparare dalla storia per noi sembra essere impossibile.

focus

39

40

the new’s room

focus

41

42

the new’s room

La rapida ascesa e caduta dei leader italiani.

La profonda quanto passeggera ed effimera, passione degli italiani per il leader carismatico è forse l’unica vera forma di coerenza sociale del nostro Paese.

L’Italia e l’uomo forte: il connubio politico per eccellenza. Senza andare a scomodare teorie cognitiviste applicabili in termini culturali più ampi, nel corso degli anni si è cercato di risalire ai fattori oggettivi che da sempre legano il contesto italiano al culto del leader.

L’evidenza più significativa dell’impatto dei leader politici italiani è la contraddizione tra la breve durata dei governi (dal 1946 ad oggi si sono alternati ben sessantacinque esecutivi per una durata media di un anno e un mese) e le lunghe esperienze a Palazzo Chigi di alcuni presidenti del consiglio come De Gasperi (2807 giorni in carica), Andreotti (2678) e Berlusconi (3339). Solo nella travagliata epoca repubblicana, la durata media in carica di ciascun capo di governo sale a due anni e sette mesi.

In generale, tutto l’arco della nostra storia è stato dominato dall’alternanza di personaggi che hanno trasfigurato prima la loro missione rappresentativa e poi il loro ruolo istituzionale, cambiando in modo consapevole, brusco e strutturale non solo il corso degli eventi, ma anche il volto contemporaneo della società.

Tuttavia, vero nodo gordiano spesso ignorato nell’analisi dei fatti, le ragioni di questa peculiarità storica sono da ricercare nel comune denominatore della repentina ascesa e dell’inevitabile caduta dell’uomo forte.

Per restringere ulteriormente il campo, bisogna quindi distinguere tra i cicli dei leader di epoca “ideologica” e di epoca contemporanea.

Durante gli anni della Guerra Fredda infatti, una spaccatura valoriale polarizzava la so-

di Riccardo Venturi

cietà e il paese si reggeva su un sistema consociativo. Il leader assecondava in pubblico le istanze di un gruppo, mentre la sua fortuna politica oscillava morbidamente in funzione della loro specifica rilevanza interna.

Silvio Berlusconi prima, Beppe Grillo, Matteo Renzi e Matteo Salvini poi, hanno invece plasmato a loro immagine e convenienza un’attualità senza riferimenti ideologici, ma piena di più complessi cambiamenti. Tutti hanno così vissuto il loro momento (o, a seconda dei casi, i loro anni) di gloria e scalato velocemente le classifiche di gradimento, rimpiazzandosi a vicenda.

Ovviamente, il carisma inteso in senso weberiano di qualità di capo naturale accomuna tutti i leader, non solo in Italia. Allo stesso tempo, alcuni sono stati in grado di leggere le tendenze meglio degli altri e, cosa che ha sicuramente favorito la loro rapida ascesa, hanno rilanciato l’uno sull’altro, spingendosi oltre i limiti retorici dei predecessori e cementando così il proprio successo sull’effetto messianico della novità.

Ma quel che è più importante, cosa che hanno finalmente iniziato ad osservare anche in America con l’elezione di Trump e in tutta Europa con la Brexit, i nostri leader politici hanno costantemente sacrificato il loro stesso campo politico sull’altare del consenso personale.

Lo ha fatto Renzi seguendo la scia del boom antipolitico grillino, ma proponendo una più costruttiva rottamazione della sinistra.

L’inaspettato capitale politico inziale delle europee è stato però velocemente sprecato quando, convinto di avere ormai accentrato su di sé tutte le alternative elettorali, ha

focus

imposto unilateralmente la propria agenda, creando involontariamente uno spazio di opposizione trasversale che si appellava proprio alla sua stessa retorica iniziale.

Lo sta facendo più strategicamente l’ex-padano nonché attuale ministro Salvini, offrendosi come portavoce di un nuovo campo identitario e statalista che giustifica e rassicura chi, tentando di esorcizzare le sue autentiche paure, difende più o meno inconsciamente gli innati privilegi di una società idealmente chiusa.

Un gioco pericoloso che, come già successo in passato, funziona perfettamente finché non scende in campo qualcuno più bravo a fare promesse o ad utilizzare gli strumenti di comunicazione di turno.

43

44

the new’s room

La leadership in azienda.

TIM per The New's Room

Negli ultimi anni abbiamo assistito a un’accelerazione e variazione delle sfide che i leader sono chiamati ad affrontare: pianificazioni a breve e brevissimo termine, flessibilità fuori dal comune per riorientare strategie a fronte di repentini cambiamenti tecnologici e di business, resilienza nel gestire situazioni poco lineari, corretta interpretazione di situazioni e contesti ambigui che richiedono nuovi paradigmi di lettura, gestione di gruppi di persone sempre più diversi tra loro per età, genere, cultura etc.

Pertanto, va ripensata non solo la definizione delle capacità dei leader ma anche le modalità con cui sceglierli e prepararli, azioni che sono diventate esse stesse sfide estremamente complesse e su cui Tim sta già lavorando.

“Molti ritengono che i leader debbano avere carisma . Tuttavia, per essere efficaci non occorre carisma. Molti grandi leader non si affannano a costruirsi un’immagine carismatica; sono amabili, spesso semplici, e mostrano un reale interesse per clienti e dipendenti." (Philip Kotler) Quali nuovi criteri per scegliere un talento o un leader? I criteri più tradizionali sono costruiti su role model del passato e per definizione sono superati. Oggi ci sono competenze ritenute particolarmente rilevanti che TIM sta già valorizzando: cultura digitale, capacità di innovazione, capacità di adottare nuove strategie di apprendimento continuo, nuove modalità di comunicazione, capacità di co-creare e condividere conoscenze e soluzioni, velocità di ideazione e testing di prototipi, apertura alla contaminazione, allo scambio e alla collaborazione, autentica capacità di influenzare, ispirare, ingaggiare le persone e ascoltare e soddisfare i clienti.

Quali sono i cambi di passo organizzativi e gestionali richiesti? In Tim stiamo già affiancando gli approcci e le soluzioni più tradizionali con interventi alternativi quali, ad esempio, l’implementazione di soluzioni meta-organizzative che possano attraversare la tradizionale struttura gerarchica per accelerare e velocizzare il cambiamento: community trasversali di esperti per guidare lo sviluppo delle aree di competenza aziendali più strategiche quali big data, cybersecurity, IoT, intelligenza artificiale etc., creazione di comitati interfunzionali e definizione delle responsabilità ‘end to end’ dei processi. Inoltre, i manager sono già chiamati a mettere in campo le prime significative azioni di cambio di approccio attraverso l’applicazione di metodologie DevOps, Agile e Lean.

Quali azioni di formazione? I manager TIM sono impegnati in percorsi di apprendimento su scenari e trend (sociali, demografici, tecnologici e di business), skill digitali, aumento di autoconsapevolezza e ridefinizione del ruolo del capo. I percorsi sono realizzati attraverso formule miste di aula tradizionale, flipped classroom, prodotti digitali multi-device sincroni e asincroni, workshop e incontri/scambi con stakeholder esterni.

Infine, a supporto dell’ingaggio e della creazione di senso per le persone, richiesto a tutti i leader, sono già attive iniziative di comunicazione, scambio inter-generazionale, hackathon, idea sharing e contest con premi e riconoscimenti, tutti a supporto delle strategie di business e volte a mobilitare l’energia che le persone sono spesso pronte a mettere in campo quando condividono il purpose e sono chiamati a dare il meglio di sé.

Riccardo Meloni, EVP Human Resources & Organizational Development di TIM

focus

45

46

the new’s room

La leadership dell'Europa.

Quanto contano le decisioni dell’Ue a livello internazionale? L’Europa è davvero capace di influenzare gli altri Stati? di Gerardo Fortuna

A rond-point Schuman, cuore pulsante dell’eurocrazia bruxellese, si fronteggiano il palazzo Justus Lipsius, gigante corallo opaco sede del Consiglio, e il Berlaymont, casa di cemento e acciaio della Commissione europea. Più defilato, svetta un palazzone di vetro, il Triangle building, che ospita gli uffici di quasi tutto lo staff della macchina diplomatica Ue, il Servizio europeo azione esterna (SEAE).

Quando c’è da relazionarsi con i Paesi terzi, è soprattutto attraverso queste tre istituzioni che l’Europa ci mette la faccia. Il SEAE è l’ultimo arrivato tra i promotori della leadership Ue nel mondo. Nato nel 2010, nelle intenzioni originarie doveva essere un vero e proprio ministero degli esteri, idea poi bocciata dagli elettori francesi e olandesi assieme al resto della carta costituente europea. Nel trattato “riparatore” di Lisbona ha perso la qualifica di ministero, per un più neutro servizio diplomatico con a capo un Alto rappresentante.

“Anche se percepito come un consesso di ambasciatori, dall’interno è più evidente il suo ruolo di indirizzo delle politiche degli Stati membri”, dice Daniela parlando della sua esperienza al SEAE conclusasi a luglio.

“Il SEAE funge soprattutto da equilibratore tra interessi nazionali, correggendo spesso il tiro per evitare che la posizione Ue su certi temi sia sbilanciata,” continua.

Un compito politico, insomma, che aiuta il blocco europeo a cercare una terza via e ad apportare qualcosa in più rispetto alle altre voci dell’Occidente. Come successo nel caso dell’accordo nucleare iraniano, dove l’Alto rappresentante Federica Mogherini

ha potuto esercitare un ruolo cruciale di mediatore, di chi fa sedere al tavolo i litiganti aiutandoli a ricomporre la controversia.

La grande difficoltà è che l’azione Ue deve essere sempre cooperazione, tanto è difficile smuoversi dalla gestione intergovernativa della cosa pubblica europea. Quando si parla di leadership Ue nel mondo, bisogna andarci sempre cauti per non offuscare gli ultimi barlumi di rappresentatività diplomatica dei singoli Stati membri.

E rafforzare questa leadership vuol dire soprattutto confrontarsi con i due difetti atavici dell’Unione nel suo relazionarsi con il mondo esterno: l’incapacità di parlare a una voce e l’irrilevanza geopolitica. Quest’ultimo aspetto si è manifestato in tutta la sua evidenza nel referendum sul nome della Macedonia. Mentre l’Ue non poteva metterci bocca, diplomazia e servizi segreti di Stati Uniti e Russia si sono confrontati per espandere la propria influenza su di un pezzo di territorio europeo.

Anche per arrivare a parlare a una voce, servirà tempo. L’Ue ha recentemente abdicato a una leadership internazionale ambientale, frenata dal protagonismo del presidente francese Macron seguito alla COP21. Ed anche le continue minacce populiste alla costruzione europea rendono tutto più difficile. Approdare a un’Europa unita non è più considerato un percorso necessario, a cui arrivare comunque per eterogenesi dei fini. Servirà, al contrario, impegno e volontà politica, considerando che a più di 60 anni dai Trattati istitutivi c’è ancora da fare sia l’Europa che gli europei.

focus

47

48

the new’s room

Chi governa l'Unione Europea?

Definito lo stato dell’arte della leadership Europa nel mondo, ora proviamo a guardare dentro la macchina Ue, per capire quali sono i meccanismi che la muovono. di Carlo Brenner

Partiamo da una sicurezza: non esiste un leader europeo in senso assoluto. In Europa esistono diverse figure influenti che, ognuna a modo suo, esercitano una forma di leadership. Questo deriva dalla natura stessa dell’Unione Europea. Essa non è uno stato, né una federazione e neanche una confederazione. L’Unione Europea è un'unione economica e politica, unica nel suo genere, tra 28 stati (tra poco 27) indipendenti e democratici. Inoltre l’UE ha sia un funzionamento autonomo, attraverso Commissione e Parlamento, che un funzionamento dipendente dalle scelte dei singoli governi, tramite il Consiglio europeo. Su alcune materie, anche se la Commissione e il Parlamento sono d’accordo, una decisione può essere bloccata anche da un solo Paese che voti contro in Consiglio.

Si possono quindi distinguere due tipi di leadership: (I) di fatto; (II) di funzione.

La leadership di fatto è attribuibile a chi esercita un potere effettivo, nel senso che le sue parole o le sue decisioni producono, di fatto, qualcosa. Questo tipo di leadership non è istituzionalizzata, non corrisponde cioè ad un ruolo nella gerarchia dell’Unione, ma deriva dal peso politico del soggetto.

In questo caso non è difficile immaginare chi corrisponde all’identikit: il paese più popoloso e ricco d’Europa è la Germania e dunque il suo è il leader designato. Eppure le dimensioni del Paese e il suo potere economico non bastano da soli a spiegare tutto, ci sono altri fattori che concorrono a creare un leader Europeo: il tempo passato al governo, la sua abilità personale a creare legami con altri soggetti, il suo apprezzamento nel Paese di provenienza. Rispetto a questo

ultimo aspetto Angela Merkel sta avendo delle grosse difficoltà. La sua leadership in Germania non è più così solida, il suo stesso partito ha preso delle iniziative contro di lei, e questo si riflette anche nella sua capacità di dettare l’agenda europea.

Passando al secondo tipo di leadership, quella di funzione, parliamo di chi dovrebbe ufficialmente essere il leader europeo: il Presidente della Commissione. Che potere esercita veramente questa figura? La Commissione ha il potere di iniziativa legislativa ma poi sono Parlamento e Consiglio europeo a modificare e approvare i testi. Anche il potere di Jean-Claude Junker è, quindi, dipendente da una serie di fattori. Non ultimo quello della sua legittimità. Per questo, nelle scorse elezioni, è stato introdotto il sistema dello Spitzenkandidaten, ovvero il candidato designato dal partito prima delle elezioni. In questo modo il voto dei cittadini è maggiormente legato alla figura del leader e lo aiuta a legittimarsi verso le altre istituzioni. Questo lo rende il leader dell’Europa?

No, ma se in futuro l’Unione Europea sarà più forte anche il suo Presidente potrà svolgere un ruolo di indirizzo maggiore.

focus

49

50

the new’s room

ADV NAPPA

tim

L’Italia con gli occhi di domani, raccontata dagli under 35

fondatori

Pierangelo Fabiano Raffaele Dipierdomenico direttore responsabile

Sofia Gorgoni

art direction progetto grafico

Andrea Altellini art direction progetto digital

Dodicidi

direttore editoriale

Sara D’agati

responsabile comunicazione

advisor editoriale

Beniamino Pagliaro

Sofia Piomboni pr

editore

The New’s Room Srl

Stefano Ragugini social media manager

coach di questo numero

Luca De Carolis

Francesco Turri crediti fotografici

la redazione

Carmen Baffi Vittoria Becci Lorenzo Bernardi Laura Bonaiuti Carlo Brenner Antonio Carnevale Riccardo Ceccarelli Ilaria Danesi Francesca Del Vecchio Gerardo Fortuna Maurizio Franco Fiorella Elisa Georgel Alessia Laudati Alice Militello Mirko Paradiso Daniele Priori Margherita Puca Nicolò Rosato Simone Rubino Roberta Russo Alessia Tozzi Lorenzo Sassi Riccardo Venturi

Ilaria La Gioia stampato presso

Grafica Nappa Srl Via Antonio Gramsci, 19 81031 Aversa (CE) pubblicità

The new's room S.r.l.

Via Isonzo, 34 - 20154 Roma 06/97848156 pubblicità@the-newsroom.it per informazioni

thenewsroom@agol.it Registrazione Tribunale di Roma N.68 Del 6/04/2017

51

52

the new’s room

Entra a far parte della nostra redazione 2019

SCOPRI COME SU www.the-newsroom.it