TICINO WELCOME N° 69

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Svizzera CHF 8,00 / Italia € 6,80 EDIZIONE TICINO WELCOME SAGL

PRIMO PIANO

CULTURA

FINANZA

AUTO

VITTORIO FELTRI Anticonformista sempre

FONDAZIONE BRAGLIA La grandiosità della montagna

SMART WORKING Come cambiano le banche

BENTLEY LUGANO Una famiglia di fuoriclasse




Nuova Flying Spur V8. This is modern alchemy.

Inizi il suo straordinario viaggio su www.lugano.bentleymotors.com Nuova Flying Spur V8 - Ciclo WLTP - Consumo di carburante in l/100km: basso 20.0; medio 13.3; alto 10.8; molto alto 11.2; ciclo combinato 12.7; emissioni CO₂ (ciclo combinato) 288 g/km; autonomia 709 km Il nome “Bentley” e la “B” raffigurata con le ali sono marchi registrati. © 2021 Bentley Motors Limited. Modello illustrato: Nuova Flying Spur V8.

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TICINO WELCOME / EDITORIALE

Un’emozione PER SEMPRE

EDITORE Ticino Welcome Sagl Palazzo Mantegazza, Riva Paradiso 2 CH-6900 Lugano-Paradiso T. +41 (0)91 985 11 88 info@ticinowelcome.ch www.ticinowelcome.ch

DI MARIO MANTEGAZZA

RESPONSABILE EDITORIALE Mario Mantegazza COORDINAMENTO EDITORIALE, PUBBLICITÀ E PUBBLICHE RELAZIONI Paola Chiericati REALIZZAZIONE EDITORIALE Mindonthemove srls LAYOUT E GRAFICA Kyrhian Balmelli, Lorenzo Terzaghi e Giovanni Laghi FOTOGRAFIE Si ringraziano le aziende produttrici, amministrazioni, enti e istituzioni del Ticino. Foto di copertina: Lucrezia Roda

STAMPA FONTANA PRINT SA CH-6963 Pregassona SERVIZIO ABBONAMENTI (4 NUMERI) CHF 32.- (spese postali escluse) T. +41 (0)91 985 11 88 www.ticinowelcome.ch PUBBLICITÀ SVIZZERA TEDESCA E FRANCESE FACHMEDIEN ZÜRICHSEE WERBE AG CH-8712 Stäfa claudio.moffa@fachmedien.ch T. +41 (0)44 928 56 31 COLLABORATORI Benjamin Albertalli, Moreno Bernasconi, Paola Bernasconi, Elisa Bortoluzzi Dubach, Joel Camathias, Paola Cerana, Rudy Chiappini, Franco Citterio, Silvano Coletti, Alessandro De Bon, Ariella Del Rocino, Roberto Giannetti, Keri Gonzato, Andrea Grandi, Eduardo Grottanelli De’ Santi, Marta Lenzi-Repetto, Rocco Lettieri, Dimitri Loringett, Manuela Lozza, Giorgia Mantegazza, Giacomo Newlin, Valentino Odorico, Patrizia Peter Pedevilla, Amanda Prada, Fausto Tenzi, Fabiana Testori, Alessandro Trivilini.

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anti auguri caro Hockey Club Lugano per i tuoi fantastici 80 anni! Cento di questi giorni! Ti ho conosciuto 53 anni fa e sono stati amore e passione a prima vista. Grazie per tutto ciò che mi hai dato e insegnato lungo questo percorso insieme e grazie per i tanti momenti di gloria assoluta, che hanno contribuito a fare di te la più bella e appassionante storia dell’hockey svizzero: la squadra dell’estremo sud, che ha fatto e fa ancora tremare tutte quelle che stanno a nord, regalando al popolo bianconero, gioie e sensazioni che altri non potranno mai provare. Come mi manca, in questo momento, non poter scendere alla Cornèr Arena

per assistere alle partite e come mi dispiace non poter festeggiare insieme questo compleanno così come successe in occasione dei decennali passati. Che il Corona Virus e chi lo ha generato sia maledetto per sempre anche per questo! Comunque, come succede in amore, la distanza rafforza il sentimento e quindi, appena sarà possibile, i miei incitamenti, i miei canti e i miei applausi saranno ancora più forti. Forza Lugano per sempre!

Mario Mantegazza

DISTRIBUZIONE IN TICINO: Abbonamenti, Ticino Turismo, alberghi 4 e 5 stelle, studi medici e dentistici, studi d’avvocatura, studi d’ingegneria e d’architettura, banche e fiduciarie, aziende AITI (Associazione Industrie Ticinesi), aziende Cc-Ti (Camera di commercio, dell’industria e dell’artigianato e dei servizi del Cantone Ticino), Club Rotary Ticino, Club Lions Ticino, edicole del Ticino. IN ITALIA: Nelle fiere turistiche, Aeroporto di Malpensa, Hotel ed esercizi pubblici Provincia di Como e Lombardia. TICINO WELCOME / MAR - MAG 2021

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LUCA BELLANCA Il META si illumina con una stella

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BOAS EREZ USI facciamo conoscenza!

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ROBERTO BADARACCO Promuovere la città a 360 gradi

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DANIEL KAHNEMAN I fattori all’interno dei processi decisionali

Di Mario Mantegazza EDITORIALE 03 Un’emozione per sempre Di Patrizia Peter Pedevilla PRIMO PIANO 06 Luca Bellanca: Il META si illumina con una stella 14 Guida Michelin 2021: Lugano sempre più ai vertici della ristorazione in Svizzera 18 Boas Erez: USI facciamo conoscenza! 22 Roberto Badaracco: Promuovere la città a 360 gradi 26 Daniel Kahneman: I fattori all’interno dei processi decisionali 30 Valerio Lazzeri: Dobbiamo guardare al futuro con fiducia Di Eduardo Grottanelli De’ Santi 34 Vittorio Feltri: Anticonformista sempre 37 Morena Ferrari Gamba: I giovani e la pandemia 38 Riccardo Ruggeri: Una vita al vertice 42 Gianluca Ambrosetti: Il sole ci salverà dall’inquinamento? Di Giorgia Mantegazza 44 Valerie Heimann: Una ticinese ad Amsterdam 48 Karin Valenzano Rossi: Funzione e ruolo della corporate governance Di Moreno Bernasconi GRANDANGOLO 50 Gli algoritmi non sono neutrali Di Gerardo Segat LEADER ALLO SPECCHIO 52 Monica Duca Widmer: L’apparenza inganna (l’energia vivace no) LAC 56 Lingua Madre: Capsule per il futuro 58 MASI: Grandi fotografi e non solo 60 LuganoMusica: Building Bridges 62 OSI e Sol Gabetta CULTURA 64 Kunstmuseum Zürich: I bei paesaggi di Gerhard Richter Di Rudy Chiappini 66 Ernst Ludwing Kirchner: La grandiosità della montagna 70 IMAGO Art Gallery: Art in progress 72 Cortesi Gallery: Come cambia il mondo dell’arte 76 Andrea Fazioli: Lo scrittore ticinese chiamato a una grande impresa Di Franco Citterio FINANZA 80 Ticino For Finance: Il telelavoro svuoterà le citta? 82 Smart Working: Come lo smart working sta cambiando il settore bancario 90 BNP Paribas (Suisse) SA: Accesso unico ai servizi globali 94 Credit Suisse: Sostegno concreto alle imprese 96 BancaStato: Pronti a gestire le sfide del settore TURISMO 98 Come preparare il rilancio Di Marta Lenzi GASTRONOMIA 104 Napoleone: L’imperatore entra in cucina 106 Chaîne des Rôtisseurs: Convivialità buon cibo e vino Di Paola Chiericati 108 Hotel Villa Principe Leopoldo: Un incantevole Relais & Chateaux Di Giacomo Newlin 110 Hotel Villa Principe Leopoldo: Un “fine dining” stellato

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SOMMARIO / N° 69

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GIANLUCA AMBROSETTI Il sole ci salverà dall’inquinamento?

LUSSO 112 114 118 120 FASHION 122 EVENTI 124 AUTO 128 132 134 136 ARCHITETTURA 138 144 146 DOSSIER FONDAZIONI 148 152 154 156 158 AZIENDE 160 164 170 172 176 178 180 183 184 188 190 192 BENESSERE 194 196 SPORT 198

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CARMELO RIFICI Lingua Madre Capsule per il futuro

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BANCASTATO Pronti a gestire le sfide del settore

SWISS LIFE La previdenza per ogni fase della vita

Gübelin: Nel segno dell’eleganza e del lusso Glasshütte Original: Bellezza senza tempo Blancpain: Tradizione dell’innovazione dal 1735 Patek Philippe: Capolavori senza tempo La moda tra movimenti e sostenibilità Simonetta Rota: La passione distingue i leader Bentley: Una famiglia di fuoriclasse Mercedes S 500 4Matic L: Regina del benessere Mercedes AMG GLS 63 4Matic+ Coupé: Un pugno in una carezza Subaru Forester 2.0 E-Boxer: Le sorprese di un’auto “normale” Edilizia Green: La casa del futuro rispetta l’ambiente Wetag Consulting: Posizione, prezzo, qualità? Cos’è prioritario? Fontana Sotheby’s: Cercasi terreno edificabile Elisa Bortoluzzi Dubach e Chiara Tinonin: La relazione generosa Christian Bührle: Promuovere l’arte in tutte le sue forme Suzanne Schenk: Sostenere i progetti con spirito imprenditoriale Kay Horsch: Le nuove frontiere della medicina rigenerativa Massimiliano Pavanello: Sostenere lo sviluppo dei territori Mercato del lavoro: Lavorare da casa, si può Digital Transformation: Il cambiamento è già qui Fidinam: Una consulenza più digitale Swiss Life: La previdenza per ogni fase della vita V-Zug: Passione per i dettagli Liceo Everest Academy Lugano: La scuola che era già oltre Heli Rezia: Inesauribile passione per il volo STRP: Sulle cime da oltre 100 anni Anton Alikhanov: La Russia che vorrei Patrick Tonascia: Abbiamo un bisogno di “community” BPW Switzerland: Le grandi sfide delle donne Gianni Simonato: Perché le donne non fanno la carriera che meritano? Belotti OtticaUdito: Udire è pensare, lo sapevate? Golden Lab: Servizi innovativi per la salute e lo sport Luca Galliano: La forza del team

Di Valentino Odorico

Di Alben Di Alben Di Giacomo Newlin

Di Elisa Bortoluzzi Dubach

Di Elisa Bortoluzzi Dubach Di Rocco Bianchi

Di Fabiana Testori

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PRIMO PIANO / LUCA BELLANCA

IL META SI ILLUMINA CON UNA STELLA

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ietro ad una stella c’è sempre una grande squadra, ma questo non basta, ci vuole la giusta location, un proprietario disponibile e pronto a rischiare, un direttore che accompagna lo chef nella sua avventura con flessibilità, ma pur sempre attento ai costi. È così che il team di Luca Bellanca, Mario Mantegazza - appoggiato dalla sua famiglia - e la direttrice Evelyn Mantegazza, hanno iniziato la loro avventura. La stella? Inaspettata, ma sognata. «Credimi, non me la sarei mai aspettata. Speravamo di entrare nella guida, quello sì, perché per la prima volta, in tanti anni, ci hanno contattato chiedendoci varie informazioni, ma mai e poi mai avremmo pensato di prendere subito una stella». Scusami Luca, ma come fanno a scegliere? Vengono in incognita, oppure si annunciano? «Tu non sai mai se hai un ispettore in sala. Solo una volta abbiamo pensato che potesse esserci un rappresentante della guida Michelin, perché era molto attento a tutto, ma chissà… forse era solo un cliente ipercritico. In ogni caso, guardando la guida, le fotografie indicano che gli ispettori si sono recati più volte al ristorante. Questo è positivo, significa che abbiamo sempre lavorato bene. Comunque, sarò sincero, meglio non sapere se ci sono degli esperti nel ristorante, perché si rischia di perdere la concentrazione e quando si cucina bisogna sempre farlo con l’anima, con la giusta serenità. Se sei nervoso… puoi usare gli stessi in-

gredienti di sempre… ma il piatto non uscirà come d’abitudine (sorride)». Per te è la prima stella… «Si, si è la prima stella (silenzio). È come avere un bambino (ride soddisfatto)». Una stella che ti resterà per sempre? «La stella è legata a me e al META. Se dovessi andarmene, sia io sia il ristorante la perderemmo. La cosa bella è che comunque resterò per sempre uno chef stellato».

ARRIVA LA PRIMA STELLA MICHELIN PER IL RISTORANTE META DI PARADISO. AD AVER CONVINTO LA GUIDA SONO STATI GLI INGREDIENTI LOCALI DEI PIATTI PROPOSTI, LEGATI SÌ ALLA CUCINA MEDITERRANEA, MA ANCHE CON TRATTI ESOTAZICI, CAPACI DI REGALARE INTENSE EMOZIONI. DI PATRIZIA PETER PEDEVILLA

Dal tuo tono si capisce che era un sogno… «Sarei falso a dirti di no, perché ovviamente è quella pacca sulla spalla che hai bisogno di avere. Naturalmente i complimenti dei clienti sono molto importanti, ma quando a dirtelo sono degli esperti del settore, che mangiano nei migliori ristoranti…capirai che è un altissimo riconoscimento». Sei molto giovane, non c’è il rischio di montarsi la testa o di volere sempre di più? «Caratterialmente sono uno con i piedi per terra e spero di non cambiare mai. Sono spesso a contatto con personaggi importanti e quando vedo i camerieri che diventano matti, la gente che vuole fare delle foto con loro… mi rendo conto che io non sono mai stato così, sono uno tranquillo, umile, non voglio cambiare. Sai cosa penso? Noi siamo cuochi, gli eroi sono quelli che salvano le vite. Io posso fare solo una cosa: regalare un momento bello, da ricordare. Tutti i cuochi dovrebbero rendersene conto, anche perché TICINO WELCOME / MAR - MAG 2021

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PRIMO PIANO / LUCA BELLANCA

quindi non ci sembrava essere uno dei momenti più adatti. L’avremmo comunque fatto. Il merito è dei nostri clienti, che hanno creduto in noi e hanno scritto direttamente alla guida, anche questo aspetto è fantastico e mi riempie di orgoglio».

quando inizi a montarti la testa… è la fine per la tua carriera». In che modo hai scoperto di aver ricevuto una stella? «Ero al telefono con la direttrice del META e mi arriva un messaggio: Auguri! Allora richiamo questo amico, non avevo ancora bevuto il caffè, gli chiedo, ma sei impazzito? E lui, ridendo, mi dice, hai preso una stella!». Hai pianto? «Si, certo, e poi ho iniziato a saltare come un matto, c’era il mio gatto che mi guardava allibito. Nessun altro del ristorante in quel momento lo sapeva, allora volevo organizzare una sorpresa ma Evelyn, la gerente, mi ha richiamato dicendo che la guida era uscita… e allora le ho detto: “Guarda che lo so e ci hanno dato anche una stella!”. Ognuno di noi ha vissuto il momento intensamente, abbiamo sudato molto in questi anni e un riconoscimento del genere ci ripaga per tutti gli sforzi fatti».

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TICINO WELCOME / MAR - MAG 2021

Ma scusami voi vi eravate annunciati alla guida Michelin o è stato un caso? «Noi non ci siamo mai annunciati alla guida Michelin perché non ci sentivamo pronti, prima eravamo al piano interrato, poi abbiamo aperto il nuovo ristorante ed è arrivata la pandemia,

Scusami, ma ora dobbiamo chiedere anche al proprietario, Mario Mantegazza ed alla direttrice Evelyn Mantegazza come hanno reagito… «Ho sempre creduto in Luca e sono molto orgoglioso, anche perché non è il primo riconoscimento che il locale riceve. Però, non posso nasconderlo, questa stella Michelin è un’emozione unica. È come vincere la Coppa dei Campioni o le Olimpiadi, tutti ci vorrebbero arrivare, ma pochi ci riescono. Devo anche ringraziare la mia famiglia che mi ha incaricato di occuparmi, fra le varie cose, anche del locale e ha creduto nelle mie idee. Ci tenevo moltissimo a portare qualcosa di speciale all’interno del Palazzo che porta il nostro nome e oltre a mia moglie, che ha curato l’arredamento e si è impegnata ogni giorno al mio fianco, devo ringraziare anche amici, inquilini, clienti abituali, che hanno creduto in noi e ci hanno sostenuto».


PRIMO PIANO / LUCA BELLANCA

Mentre per te Evelyn? Una giovane direttrice che ci sta mettendo il cuore nel suo lavoro e che si vede premiata con una stella… «Io non ho proprio dormito, ho passato la notte in bianco sapendo che il giorno dopo la guida Michelin avrebbe proclamato le nuove Stelle in Svizzera. La mattina, o meglio all’alba, sono andata subito in ufficio e ho cercato online la nuova guida, o almeno qualche indizio. Poi ho sentito Luca, lui lo sapeva già, ma io non volevo crederci poi verso le dieci del mattino, insomma dopo un’eternità, ho sbirciato il profilo Instagram della guida Michelin e ho visto che il nostro ristorante era tra i primi proclamati nella categoria “nuova Stella Michelin”. L’emozione che ho provato è indescrivibile, intensa, un misto tra euforia, esaltazione, incredulità. È stato uno di quei giorni che ricorderò per tutta la mia vita». Torniamo a te Luca, come sei arrivato al META?

“Per me la cucina è amore, star bene, ricordo ancora quando mi svegliavo la mattina e sentivo l’odore delle lasagne fatte in casa, diciamolo… ho giocato facile perché il naso si è affinato, il gusto è preparato… devo dire grazie alla mamma”. «Un po’ per caso. Sono arrivato a Lugano nel 2013, prima ero in Spagna, poi ho lavorato per una ditta di catering nel Bellinzonese e quando una mia amica mi ha detto che il Metamorphosis cercava uno sous chef mi sono candidato. La mia avventura è nata così fino a quando ci siamo trasferiti nel nuovo ristorante con un nuovo nome: META». Quando parli si percepisce questa tua immensa passione per la cucina, da chi l’hai ereditata? «Ho una mamma straordinaria in cucina, ottanta chili di morbidezza e pura passione. La mia famiglia ha origini siciliane e tutto gira attorno alla tavo-

la, al profumo dei prodotti freschi, allo stare assieme, chiacchierare, mangiare. Per me la cucina è amore, star bene, ricordo ancora quando mi svegliavo la mattina e sentivo l’odore delle lasagne fatte in casa, diciamolo… ho giocato facile perché il naso si è affinato, il gusto è preparato… devo dire grazie alla mamma». Un piatto che ti manca? «Ho lavorato tanti anni all’estero e quando rientravo a casa mia mamma mi chiedeva sempre cosa volessi mangiare. Sarebbe stata disposta a cucinarmi il mondo, eppure io volevo sempre la stessa cosa: pasta al pomodoro e lasagne. Piatti semplici, ma di un sapore (guarda il cielo) che non so descriverti, anche perché la conserva di pomodori di mia mamma è unica, non ha rivali!». Per questa ragione sei così attento alla qualità dei prodotti che utilizzi in cucina e ti si vede spesso al mercato… «Ci vado ogni martedì mattina (sorride). Ho un contadino che mi prepara delle erbette, delle mini-verdure, ma non solo… per fare il burro, pensa, vado fino ad Airolo a prendere la panna. Questa è la mia vita, una continua ricerca, uno scovare prodotti locali unici e di ottima qualità». Una tua ultima creazione… «Mi piace contaminare i prodotti del territorio. Abbiamo la fortuna di avere della carne di ottima qualità, del pesce di lago fantastico. Per esempio, durante Sapori Ticino, il mio team ed io abbiamo proposto del ceviche fatto con pesce di lago. In un momento dove TICINO WELCOME / MAR - MAG 2021

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PRIMO PIANO / LUCA BELLANCA

nessuno può viaggiare, abbiamo preparato un piatto rivisitato per regalare una sensazione esotica al cliente». Sei instancabile (ridiamo). Fin da piccolo sapevi di voler dedicare la tua vita alla cucina? «Sì (convinto). Dopo le scuole dell’obbligo ho frequentato la scuola alberghiera a Varese. Ho avuto due professori fantastici. È importantissimo trovare insegnanti bravi e calmi. Ho avuto anche professori che urlavano, lanciavano le padelle, ma non ho mai condiviso i loro metodi. Quando si cucina, si insegna, bisogna metterci l’anima, la mia cucina è fatta di amore e penso che i clienti riescano a percepirlo. Appena ricevuta la stella ho chiamato i mei docenti e gli chef con i quali ho lavorato, li ho ringraziati, perché sono convinto che mai e poi mai dobbiamo dimenticare da dove veniamo e soprattutto dobbiamo sempre ringraziare coloro che hanno reso possibili i nostri successi».

“Un menu è l’insieme di molti fattori, molte volte pensiamo unicamente a chi lo ha ideato, chi lo cucina, ma dietro ai nostri piatti, alla nostra carta dei vini, ci sono agricoltori, viticoltori, ma anche i clienti che con le loro critiche e i loro apprezzamenti ci fanno crescere giorno dopo giorno”. Hai parlato di chef stressati, purtroppo ci sono stati anche grandi chef, conosciuti a livello mondiale, che non ce l’hanno fatta a reggere a tanta pressione… «Non è un segreto, la nostra professione è stressante, soprattutto a certi livelli. Non solo per gli ispettori che possono venire e quindi per la continua pressione di dover far sempre bene, ma anche per i costi: abbiamo la responsabilità di proporre piatti buoni perché i nostri clienti hanno aspettative alte. Quindi puoi immaginare il nostro lavoro è adrenalinico e stressante allo stesso tempo. Per questa ragione non bisogna mai perdere di vista l’amore per la cucina e rendersi conto che sbagliare è possibile, non siamo

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TICINO WELCOME / MAR - MAG 2021

macchine. Detto questo gli sbagli vanno corretti, evitati e solo con un team affiatato e motivato lo si può fare». Parli molto della tua famiglia, sei sposato? «Sono single e felice. Non ci vuole molto per capire che questo lavoro ti assorbe quasi completamente. Lavoriamo sempre, la sera, il fine settimana… è problematico fondare una famiglia, perché, per chi non è del mestiere, è difficile capire. Puoi avere una moglie, dei figli, ma non li vedresti quasi mai; quando tu ti svegli loro non ci sono e quando rientrano a casa tu parti per il lavoro…. Non è facile, non dico che sia impossibile, però è complicato e per ora sto bene così, con il mio gattone».


C O LLE C T I O N

Villeret


PRIMO PIANO / LUCA BELLANCA

Immagino che tu non abbia neanche molto tempo libero… «Poco, poco. I miei amici si lamentano sempre perché devono prenotarsi con mesi di anticipo (ride). E poi il poco tempo libero lo dedico alla mia famiglia, alla quale sono molto legato, quindi non c’è domenica che io non vada a casa dei miei, a Varese, a gustarmi i piatti di mia mamma». Ti capita mai di cucinare per te? «Prima del lockdown non ho mai cucinato. Poi però sono stato costretto ad attrezzare la mia cucina ed ora un qualche piatto me lo preparo, normalmente cose semplici, se invece sono giù di tono mi regalo piatti nuovi, ricercati, che mi assorbano mente e cuore». I tuoi piatti forti? «Io adoro molto le paste, ma devo essere sincero la cucina mi piace a 360 gradi, mi piacciono i dolci, i pesci, le carni, ho la fortuna di dire che mi piace tutto. Sai la nostra cucina è particolare, a volte sbucciamo i piselli ad uno ad uno e anche se ci sono altre

persone che potrebbero farlo al posto mio, la maggior parte delle volte lo faccio io, perché mi fa riflettere, mi rilassa, in quel momento non penso a nulla. Questo per farti capire la varietà di compiti che ci sono in una cucina e che anche lo chef è chiamato a svolgere più compiti». Come cambierà la carta del META dopo questa stella? «Ora il mio desiderio più grande è intensificare l’esperienza di un viaggio tra vari piatti, sapori, odori, sensazioni. Vorrei che i nostri clienti, sedendosi al tavolo, riuscissero a godersi ogni portata». La parola ora anche alla direttrice, Evelyn Mantegazza, cambierà qualcosa dopo questa stella? «La nostra essenza non cambierà, naturalmente studieremo un nuovo menu, come ha appena detto lo chef un viaggio sensoriale e punteremo sempre sulla qualità, sceglieremo i prodotti in base alla stagionalità cercando di trovare la materia a chilometro zero. In

un periodo duro come questo è importante aiutarsi e spronarci a vicenda, anche la gastronomia ha sofferto molto questa pandemia, per questa ragione il nostro desiderio sarà quello di aiutare sempre più le aziende locali. Un menu è l’insieme di molti fattori, molte volte pensiamo unicamente a chi lo ha ideato, chi lo cucina, ma dietro ai nostri piatti, alla nostra carta dei vini, ci sono agricoltori, viticoltori, ma anche i clienti che con le loro critiche e i loro apprezzamenti ci fanno crescere giorno dopo giorno». Vorrei rivolgere un’ultima domanda a Mario Mantegazza, cosa vuol dire per il Ticino, per Lugano, questa nuova stella? «Per la precisione noi siamo a Paradiso (sorride) e abbiamo la grande fortuna di essere davvero affacciati sul lago, divisi da una zona verde appena rinnovata, che regala ai nostri ospiti la sensazione di essere nella zona mediterranea. Quello che mi colpisce davvero è che comunque nel solo Luganese ci siano ben quattro ristoranti stellati, tre dei quali si affacciano sul golfo e il quarto domina dall’alto. Penso che non solo noi, ma tutto il mondo della ristorazione - di tutto il Cantone - stia facendo davvero un grosso lavoro di immagine e di qualità, sorretto dall’enorme sforzo profuso da Sapori Ticino e dall’impegno costante delle associazioni di categoria. Ora è ovvio che tocca alla politica riconoscere il lavoro fatto e allinearsi alle nostre fatiche per promuovere un territorio dove l’eccellenza della proposta enogastronomica locale diventi la locomotiva giusta per trainare il treno del turismo regionale».

Ph: ©Lucrezia Roda


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PRIMO PIANO / GUIDA MICHELIN 2021

LUGANO SEMPRE PIÙ AI VERTICI DELLA RISTORAZIONE IN SVIZZERA 02

Domenico Ruberto I Due Sud

Cristian Moreschi Villa Principe Leopoldo

a nuova edizione della Guida Michelin conferma la ricchezza e il vigore della scena culinaria svizzera, che quest’anno si fregia di ben 24 ristoranti due stelle: un record mai raggiunto in precedenza nel Paese. Gwendal Poullennec, Direttore Internazionale delle Guide Michelin, ha dichiarato: «In un momento storico in cui il settore ha affrontato e continua a fronteggiare enormi sfide legate alla crisi sanitaria, i nostri team sono rimasti colpiti dalla fermezza da parte dei ristoratori svizzeri nel continuare a coltivare la creatività, sviluppare competenze e fornire meravigliose esperienze gastronomiche. Nelle varie cit-

tà, come del resto anche in campagna, i nostri ispettori sono stati conquistati dalla qualità delle proposte culinarie abbinate ad un servizio di altissimo livello. Sulla base di questa osservazione, abbiamo voluto quindi ribadire, attraverso questa nuova selezione, la nostra fiducia nei confronti delle tante insegne locali e incoraggiare i buongustai a ritrovare la strada - appena sarà possibile – verso la buona tavola. È oltremodo incoraggiante e gratificante notare che - anche in questi tempi difficili - nuovi talenti stanno emergendo, con grande vivacità e molta inventiva, sia in termini di identità culinaria, sia nel rendere virtuoso l’ecosistema attorno al piatto».

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Luca Bellanca META

LA GUIDA MICHELIN SVIZZERA PRESENTA UNA SELEZIONE DINAMICA CHE ILLUSTRA TUTTA LA FORZA DELLA SCENA GASTRONOMICA SVIZZERA, NONOSTANTE LA CRITICITÀ DEL CONTESTO.

01 Gwendal Poullennec Direttore Internazionale Guide Michelin Ph: ©Vernier JBV NEWS 02 Ph: ©Lucrezia Roda

TICINO WELCOME / MAR - MAG 2021

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PRIMO PIANO / GUIDA MICHELIN 2021

Mentre i ristoranti Cheval Blanc by Peter Knogl a Basilea, Le Restaurant de l’Hotel de Ville a Crissier e Schloss Schauenstein a Fürstenau mantengono anche quest’anno le loro tre stelle, 4 nuove strutture si sono aggiunte all’elenco dei ristoranti a due stelle, portando a 24 il numero di indirizzi che “meritano una deviazione”: un record nel panorama gastronomico svizzero. Grande vitalità anche nella lista dei ristoranti una stella con ben 16 new entry, che fanno salire a 95 il totale d’insegne con questo riconoscimento. Lugano, la città più grande del Canton Ticino, contribuisce a far parlare di sé con tre nuovi ristoranti una stella. Gli indirizzi che hanno conquistato le papille degli ispettori sono i seguenti: I Due Sud (Hotel Splendide Royal), META e Principe Leopoldo (Hotel Villa Principe Leopoldo). I Due Sud è l›elegante, piccolo, ristorante gourmet dello Splendide Royal: un hotel di lusso e di tradizione, romanticamente affacciato sul Lago Ceresio di cui offre una magnifica vista. La sua cucina mediterranea è stata premiata grazie a Domenico Ruberto, artefice di proposte tipicamente ticinesi, a cui si alternano altre d’impostazione più italiana e nello specifico calabresi.

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TICINO WELCOME / MAR - MAG 2021

La cucina stellata è ora disponibile anche nell’elegante dimora del XIX secolo, Villa Principe Leopoldo. L’hotel offre un ambiente raffinato per una cucina di mediterranea classicità, firmata Christian Moreschi. Presenza conosciuta all’interno dell’albergo dove aveva già lavorato per diversi anni, lo chef di origini italiane prende le redini dei fornelli nell’estate 2019 e, pur mantenendo lo

stile collaudato della cucina, aggiunge quel tocco di freschezza che è – poi – la sua cifra distintiva. Tre aggettivi per sintetizzare al meglio le qualità del ristorante META al piano terra dell’imponente Palazzo Mantegazza. META è l›unico locale ad essere entrato nella selezione 2021, ottenendo immediatamente la stella. La distinzione è un tributo alla cucina mediterranea di Luca Bellanca e della sua brigata. Piatti che si rifanno al Bel Paese, come le radici siciliane dello chef, ma non scevri da influenze internazionali. Tecnica impeccabile e prodotti eccellenti sono i capisaldi delle sue proposte. Oltre alle prelibatezze culinarie, il look moderno e raffinato, nonché il servizio informale – sebbene professionale concorrono a creare un’atmosfera di assoluta piacevolezza.

LA GUIDA MICHELIN 2021 IN CIFRE • 3 ristoranti tre stelle • 24 ristoranti due stelle, di cui 4 nuovi • 95 ristoranti una stella, di cui 16 nuovi • 140 ristoranti Bib Gourmand, di cui 15 nuovi • 277 ristoranti Piatto Michelin, di cui 20 nuovi • 19 ristoranti Stella Verde Michelin per un approccio sostenibile

La Guida MICHELIN Svizzera 2021 è disponibile esclusivamente in formato digitale, sul sito in quattro lingue: Francese: https://guide.michelin.com/ch/fr Tedesco: https://guide.michelin.com/ch/de Italiano: https://guide.michelin.com/ch/it Inglese: https://guide.michelin.com/ch/en App gratuita su IOS: https://apps.apple.com/gb/app/michelin-guide-worldwide/id1541129177


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PRIMO PIANO / BOAS EREZ

USI: FACCIAMO CONOSCENZA! DIPLOMA E DOTTORATO DI RICERCA IN MATEMATICA PRESSO L’UNIVERSITÀ DI GINEVRA. PROFESSORE ASSISTENTE A HARVARD E PROFESSORE ORDINARIO DI MATEMATICA ALL’UNIVERSITÀ DI BORDEAUX, NUMEROSE PUBBLICAZIONI SCIENTIFICHE DI QUALITÀ E GRANDE ESPERIENZA NEL COORDINAMENTO DI PROGETTI DI FORMAZIONE UNIVERSITARIA IN PARTENARIATO INTERNAZIONALE. PRIMA DI DIVENTARE RETTORE DELL’USI, BOAS EREZ HA RICOPERTO NUMEROSI INCARICHI DIRETTIVI E SVOLTO UN’IMPORTANTE ATTIVITÀ DI RICERCA. OGGI CI PARLA DEL 25SIMO DELL’UNIVERSITÀ DELLA SVIZZERA ITALIANA.

L’

USI è una realtà da 25 anni: oggi ha 3’350 studenti provenienti da 100 Paesi, 10.000 alunni nel mondo, è ben presente nei principali ranking internazionali e ottiene fondi di ricerca competitiva per ca. 20 milioni di franchi annui. Ma non si ferma qui il percorso di crescita di una delle più giovani università pubbliche in Svizzera e l’unica di lingua italiana nel Paese. Il futuro, infatti, è ricco di interessanti prospettive, con progetti, iniziative, e soprattutto tante idee e curiosità accademica che andranno ad alimentare l’essenziale attività di ricerca, un’attività, questa, che fornisce un “prodotto” unico: l’USI fa conoscenza. Da un quarto di secolo questa conoscenza percorre tre vie principali: quello della formazione (con la trasmissione del sapere agli studenti), della ricerca (con la scoperta scientifica), e del servizio alla comunità con il cosiddetto “terzo mandato”. Nel corso del 2021, in occasione del suo 25esimo anno d’attività, l’Università della Svizzera italiana propone una serie di eventi rivolti al pubblico, per far conoscere più da vicino la realtà accademica della Svizzera italiana nel suo insieme e per far riconoscere l’USI quale attore essenziale per lo sviluppo socio-culturale ed economico del Cantone e del Paese. Con il Rettore Boas Erez esploriamo queste tre vie e ‘facciamo conoscenza’ con l’USI.

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rofessor Erez, “fare conoscenza” è il Leitmotiv delle celebrazioni per i 25 anni dell’USI. Ci può illustrare questo concetto? «Il “fare” – o creare – conoscenza è la caratteristica fondamentale di un’università. Per l’USI, come per altri istituti, produrre conoscenza e trasmetterla ci legittima nei confronti delle istituzioni e dei cittadini che ci sostengono, e ci nobilita verso la società nel suo insieme. D’altronde, non potremmo fare altro, ed è anche ciò che abbiamo sempre fatto – e che continueremo a fare – perché fare conoscenza resta al centro del nostro interesse naturale. Questa caratteristica non è tuttavia appannaggio dell’USI. Nella Svizzera italiana si è infatti creata – e si crea tuttora – molta conoscenza in differenti ambiti, ma rispetto al passato ci siamo organizzati, siamo più sistematici, e l’istituzione dell’USI ha contribuito molto a questo processo. In definitiva, il 25° anniversario dell’USI rappresenta un’occasione importante per sottolineare il nostro “essere Università”, una novità portata in Ticino verso la fine del millennio scorso e che ha fatto sì che oggi siamo un Cantone universitario a tutti gli effetti. Durante tutto il 2021 proporremo degli eventi pubblici, con un programma variegato che vuole esprimere la ricchezza intrinseca di ciò che siamo

L’USI SI PRESENTA L’Università della Svizzera italiana (USI) è una delle dodici università pubbliche del sistema accademico svizzero, coordinato da swissuniversities. È organizzata in cinque Facoltà e una ventina di Istituti ed è attiva in diverse aree di studio e di ricerca, in particolare: architettura, comunicazione, scienza dei dati, diritto, economia, salute pubblica, informatica, medicina e biomedicina, scienza computazionale e studi umanistici.

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e che facciamo. Il ‘fare conoscenza’ si declinerà anche come ‘farci conoscere, e lo faremo aprendo le porte dei nostri campus sulle nostre molteplici attività di ricerca e sulle nostre ricchezze culturali: si pensi, per fare due esempi, alla nuova biblioteca dell’Accademia di Architettura a Mendrisio e alla preziosa collezione documentale del Fondo Dionisotti presso la Biblioteca universitaria Lugano. Ma non solo, in autunno prevediamo un incontro pubblico con il biochimico svizzero Jacques Dubochet, Premio Nobel 2017 per la chimica, e un grande evento dedicato ai nostri alunni, che a oggi hanno raggiunto quota diecimila nel mondo». L’USI è ben affermata sul piano nazionale e internazionale, ma apparentemente meno nel Cantone. Perché? «Ogni tanto ho l’impressione che in Ticino si prenda per scontato il fatto di avere un’università. Credo, infatti

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che l’USI non sia ancora ‘integrata’ nell’immaginario collettivo, malgrado esista da un quarto di secolo. Nel senso, osservo come le persone tendono a “proiettare” sulla nostra Università delle immagini, o impressioni, precostruite dell’ateneo. Certamente, abbiamo ancora del lavoro da fare per cambiare queste percezioni. In altre regioni della Svizzera, per esempio a Friburgo o a Ginevra, le rispettive realtà universitarie sono ben consolidate e radicate nella collettività – questo grazie alla loro lunga storia e presenza sul territorio, naturalmente. Ma la bella notizia, nonostante la sua giovane età, è che l’USI (e il Ticino come Cantone universitario) non è più ‘tagliata fuori’ dal resto del Paese. Per capirci, nella Berna federale i rappresentanti cantonali sono presenti e partecipano attivamente alle discussioni, alla pari dei rappresentanti degli altri cantoni, e contribuiscono così allo sforzo collettivo di accrescere la conoscenza e

il benessere generale in Svizzera. Aggiungo un breve aneddoto: tempo fa in un’intervista radio con il Rettore (italofono) dell’Università di Berna, il giornalista ha chiesto che cosa ne pensasse dell’USI. La risposta: “È una buona università svizzera”. Questo è il punto, non siamo più un’eccezione, facciamo parte di uno dei migliori sistemi universitari al mondo, e trovo che questo sia un bellissimo risultato. Andrei però oltre: se guardiamo, per esempio, ai benefici in termini socio-economici, da tempo diciamo (e misuriamo) che ogni franco di denaro pubblico speso per l’Università nel nostro Cantone è – grazie anche all’effetto leva – un franco ben speso, il che conferma la fiducia dataci dalle istituzioni e dai cittadini. Inoltre, con la partecipazione nelle discussioni menzionate prima, l’USI contribuisce – assieme ad altri attori privati e pubblici nel Cantone – ad accrescere la credibilità complessiva del Ticino nella ‘Svizzera che conta’».


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Negli obiettivi di medio termine per il quadriennio 2021-24, oltre al consolidamento dei due mandati classici dell’Università (formazione e ricerca), c’è un cosiddetto “terzo mandato”, ovvero il servizio alla comunità. Di che cosa si tratta? «Nel 1996, quando fu istituita l’USI, la priorità era costruire una solida base formativa e far crescere l’università, anche in termini di numero di studenti. In seguito, con l’inizio del nuovo Millennio, si è posto l’accento sulla ricerca accademica, specie quella competitiva, che tra l’altro è un importante fonte di finanziamento dell’Università (oggi raccogliamo ca. 20 milioni di franchi all’anno in fondi di ricerca). Già in questa fase si iniziò a sviluppare iniziative volte a servire la collettività, per esempio l’avvio di programmi di formazione continua, l’accompagnamento di startup nei loro percorsi di sviluppo, ma anche i contributi dei nostri ricercatori e professori nel dibattito pubblico e sui media, così come nelle discussioni istituzionali e aziendali quali esperti nei rispettivi ambiti di competenza. Se allora queste azioni erano caratterizzate da una certa spontaneità, oggi sono più strutturate e definite in modo più chiaro nel “terzo mandato” dell’Università, dopo formazione e

ricerca quindi. Il terzo mandato si fonda su un concetto di apertura e di trasferimento della conoscenza. Non si tratta di attività con delle finalità specifiche, come ad esempio l’apprendimento di una determinata disciplina professionalizzante oppure di una pubblicazione accademica. Sono piuttosto delle attività complementari alla formazione e alla ricerca, una condivisione della conoscenza che nutre così la crescita socio-economica nella regione. E non si tratta solo di fornire competenze in ambiti quale tecnologia, scienza o impresa, ma anche – e sempre più – spunti per la discussione culturale e sociale. Si pensi, per esempio, ai cicli di incontri pubblici del nostro Istituto di studi italiani, che riscuotono sempre molto interesse da parte della popolazione. In un certo senso, la terza via di sviluppo dell’USI dovrebbe favorire quella integrazione dell’Università nell’immaginario collettivo di cui ho parlato prima, e quindi di sfatare il mito della ‘torre d’avorio’ in cui si pensa che risiedano gli accademici». Dall’estate scorsa Lei è stato confermato quale Rettore dell’USI per un secondo mandato. Come si aspetta di vedere l’Università nel 2024?

«Nel 2020 abbiamo pubblicato un corposo documento sulla pianificazione strategica dell’USI per il 2021-24. La direzione in cui vogliamo andare, gli obiettivi che ci siamo posti, travalicano questo termine – un orizzonte temporale che è sempre più vicino. Ci sono naturalmente degli obiettivi organizzativi di breve e medio termine, che sono senz’altro raggiungibili come, ad esempio, quelli relativi al processo di consolidamento dell’Università lungo i tre assi di sviluppo principali discussi prima (formazione, ricerca, servizio alla comunità). Io guarderei tuttavia più lontano e anche più in profondità. Vorrei continuare infatti a operare per rendere questa Università un luogo dove chi vi accede lo fa perché è consapevole del valore che possiamo offrire e dell’opportunità che ha per crescere intellettualmente e in modo responsabile. Per fare un esempio, oggi l’USI non sempre rientra fra le scelte ‘naturali’ dei giovani liceali ticinesi – e soprattutto confederati – nella fase di valutazione delle università svizzere dove continuare gli studi – a prescindere dalla disciplina. L’USI, come tutte le università, non offre percorsi di studio in tutte le discipline accademiche, ma sarebbe davvero bello sentirsi dire, un giorno, da un giovane “peccato che non posso venire all’USI per studiare”».

UN ANNO DI APPUNTAMENTI USI25 si articolerà intorno a due temi principali, intrecciati: #facciamoconoscenza, per contribuire a far conoscere meglio l’USI e sottolineare la pluralità di prospettive con cui contribuisce allo sviluppo del sapere; e #USIisU, per raccontare un’università unica e inaspettata dove da 25 anni si può coltivare il proprio potenziale nell’incontro e nel dialogo.

Quattro i momenti cardine: • Facciamo (cono)Scienza, evento di divulgazione scientifica, 23-24 aprile; • XXV Dies academicus, il “compleanno” dell’Università, 8 maggio; • Alumni & Alumnae Reunion, un’occasione di ritrovo per le laureate e i laureati dell’Università, 3-5 settembre; • Incontro con il Premio Nobel

Jacques Dubochet, biofisico svizzero, 27 settembre. • Intorno a questi momenti diversi iniziative e un calendario con una variegata proposta di altri appuntamenti. Per una panoramica completa: www.usi25.usi.ch

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PROMUOVERE LA CITTÀ A 360 GRADI


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n vista delle prossime Elezioni Comunali del prossimo aprile lei è di nuovo tra i candidati del PLR per una sua seconda legislatura. Con quale bilancio chiude la prima esperienza? «Sono veramente soddisfatto dei risultati raggiunti in questi 5 anni molto arricchenti e stimolanti dal profilo personale e politico. Sedere nel Municipio di Lugano è un grande onore ma anche una grandissima responsabilità. Si dice che nella prima legislatura si impara, nella seconda si semina, nella eventuale terza si raccolgono i frutti. C’è sicuramente del vero in tutto ciò! Mi ritengo fortunato di dirigere un Dicastero con così tante sfaccettature e settori ma con un unico denominatore comune: la promozione della città a tutti i livelli, da quello culturale, sportivo, turistico, agli eventi e ai congressi, con ricadute economiche ed occupazionali importanti in città. La cultura, con il centro culturale del LAC, è letteralmente esplosa: dall’arte al teatro, dalla musica alla danza. Una pianta forte riesce a coinvolgere e ad espandere le proprie radici su tutto il territorio generando un evidente valore aggiunto. Ora in città si respira veramente cultura e i cittadini sono fieri di possedere un tale fiore all’occhiello che ci posiziona a livello nazionale ed internazionale. Per me questa è la soddisfazione più grande. A livello sportivo possediamo un patrimonio inestimabile composto da oltre 130 società attive in tutte le discipline, movimenti giovanili forti (quasi 7000 giovani) e tante persone che praticano esercizio fisico. Senza dimenticare le molte squadre che gareggiano ai massimi livelli nazionali che fanno di Lugano anche una città dello sport. Una tale realtà cittadina, di grande valore sociale, merita strutture adeguate e capienti. Il nuovo Polo sportivo e degli eventi (PSE) rappresenterebbe la casa ideale per tutto ciò.

AVVOCATO E PUBBLICO NOTAIO CON STUDIO PROPRIO DA OLTRE DUE DECENNI, MUNICIPALE DI LUGANO A CAPO DEL DICASTERO CULTURA SPORT ED EVENTI, ROBERTO BADARACCO CREDE FORTEMENTE NEI PROGETTI DI SVILUPPO DELLA CITTÀ COME FATTORI DI CRESCITA E DI SVILUPPO SOCIALE, ECONOMICO, CULTURALE, SPORTIVO E TURISTICO DI TUTTO L’AGGLOMERATO.

Poi vi sono gli eventi e le manifestazioni proposti che riflettono l’alto grado di vivibilità e la buona qualità di vita di Lugano. Chi vi soggiorna dall’estero rimane colpito da una città sempre viva dove l’intrattenimento e il divertimento non mancano mai. Un altro comparto essenziale dal profilo economico sono i congressi e il turismo. Hanno un enorme potenziale che dobbiamo solo sviluppare e rilanciare. Durante questi anni mi sono impegnato a fondo su ogni dossier trattato dal mio Dicastero e sui temi oggetto di discussione in Municipio. Ho sempre cercato di individuare le soluzioni migliori e più equilibrate, condividendole con i colleghi municipali. Chi siede in un esecutivo non può limitarsi ad amministrare il presente, ma deve avere una visione più lungimirante: deve ideare il futuro di una città». Quali sono i progetti che vorrebbe mandare avanti nel corso dei prossimi anni? «Due sono i progetti che mi stanno particolarmente a cuore e che interessano direttamente il mio Dicastero: il Polo sportivo e degli eventi (PSE) di Cornaredo e il Polo congressuale e turistico del Campo Marzio. Se ne parla da anni e non sono nulla di nuovo. È sicuro che senza la loro realizzazione Lugano marcerà sul posto e non avrà possibilità di sviluppo socio-economico nel futuro. Purtroppo tantissimi fanno fatica a rendersene conto e si mettono di traverso. Non si può pensare di progredire ed innovare senza investire. Gli investimenti certamente costano a tutta la collettività ma porteranno così tanti vantaggi da farci cambiare velocemente

idea. Lugano ha enormi potenzialità che potranno svilupparsi solo con strutture moderne, adeguate e capienti. Il PSE non è nulla di faraonico o esagerato. Si tratta semplicemente di adeguare la Città ai requisiti infrastrutturali minimi richiesti dalle federazioni sportive nazionali. Il Polo congressuale genererà invece interessanti ricadute economiche e fungerà da volano per il rilancio turistico della regione. Il partenariato pubblico e privato è attualmente l’unica via a nostra disposizione per poter sopportare gli investimenti finanziari previsti». Lei si è trovato a guidare il Dicastero Cultura, sport ed eventi della Città di Lugano in un anno periodo particolarmente difficile come quello che stiamo vivendo a causa della pandemia. Come avete fatto fronte all’emergenza e quali progetti avete in cantiere per la ripartenza? «La pandemia ha duramente colpito tutte le attività del mio Dicastero. La chiusura dei centri culturali e sportivi, e il blocco degli eventi e delle manifestazioni sono stati difficili da digerire malgrado la grave situazione. La sopravvivenza di chi opera nell’arte, nel teatro, nella danza e nella musica, ma anche nello sport, è stata messa a dura prova. Senza spettatori questo mondo muore. Da qui la necessità di un sostegno forte e concreto da parte delle istituzioni. La funzione sociale della cultura e dello sport è troppo importante per essere facilmente dimenticata. Questo contesto ci ha obbligato a trovare nuove proposte e modalità di fruizione, attraverso un enorme lavoro di adattamento alle decisioni delle autorità. Abbiamo dovuto trovare dei nuoTICINO WELCOME / MAR - MAG 2021

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vi format che sono comunque piaciuti molto alla popolazione e hanno riscosso parecchio successo. Ci auguriamo di poter riaprire prossimamente i centri culturali e sportivi. Siccome la riapertura sarà sicuramente graduale, dovremo nuovamente adattarci alle contingenze ed offrire dei prodotti adatti al contesto e conformi alle disposizioni in vigore». Quali sono le motivazioni ideali che l’hanno indotta ad entrare in politica e quali le principali tappe del suo percorso all’interno del PLR? «L’interesse per la cosa pubblica l’ho avuto fin da piccolo quando seguivo interessanti dibattiti politici in televisione. Ho dato però priorità alla mia formazione professionale e al consolidamento di un’attività lavorativa che mi piacesse. Parallelamente ho svolto molto servizio militare (sono colonnello di Stato Maggiore Generale) che da un lato mi svagava dalla routine della vita civile e dall’altro mi metteva quotidianamente alla prova forgiando il mio carattere. Tutto questo mi è servito tantissimo per fare politica. Quasi per caso, nel 2002, sono stato avvicinato per figurare sulla lista PLR per le elezioni cantonali del 2003. Lì tutto è iniziato. Ho fatto una campagna molto bella in giro per il Ticino. Ho conosciuto tante persone interessanti ed aderenti del partito. Mi sono appassionato e nel 2004 ho dato la mia disponibilità per le elezioni comunali a Lugano. Ho fatto una buona votazione e sono entrato nel Consiglio Comunale. Subito come vice capogruppo e successivamente per altri 8 anni come capogruppo PLR. Nel contempo mi sono affacciato alla politica cantonale e sono stato eletto nel Gran Consiglio ticinese nel 2011, con riconferma nel 2015. Eletto in Municipio di Lugano nel 2016 ho ritenuto indispensabile, per una questione di coerenza e di carico lavorativo, di lasciare la presidenza di varie associazioni e anche il legislativo cantonale.

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Far politica è una missione, non è un lavoro. È anzitutto servire la comunità in cui si vive. Dà grandi soddisfazioni quando incontri cittadini contenti che ti esprimono apprezzamenti sinceri. In sintesi è l’unica via per migliorare la nostra società e le condizioni generali di esistenza. Mi stimola molto contribuire a plasmare la città del presente e del futuro, il più vivibile e godibile possibile e a misura d’uomo. Ma ancor più mi appassiona concretizzare progetti che porteranno benefici alle generazioni future. Lugano è un piccolo magnifico gioiello che merita impegno totale con l’obiettivo di renderla sempre più bella!». Qual è il più importante risultato che è riuscito a raggiungere nel corso del suo mandato, e quale l’impegno che si sente di prendere nei confronti dei cittadini di Lugano? «La soddisfazione maggiore è stato il successo riscontrato dal centro culturale LAC negli ultimi 5 anni. Al momento dell’inaugurazione (nel 2015) nessuno credeva che sarebbe stato possibile raggiungere il numero di circa 250’000 utenti ogni anno, un risultato incredibile ed inaspettato. Invece dall’apertura oltre un milione di persone l’hanno frequentato! Ciò dimostra una volta di più che la città ha visto giusto, malgrado le iniziali criti-

che, e che la cultura è un bisogno primordiale dell’uomo, ne eleva lo spirito e lo fa crescere interiormente. L’unico impegno che posso assumermi nei confronti dei cittadini è quello di dare ogni giorno il massimo delle mie capacità e facoltà per la collettività e il bene pubblico, garantendo parimenti serietà, conoscenza approfondita dei dossier, lealtà e trasparenza in tutto il mio operato». Quali sono gli interessi e come trascorre il suo tempo libero quando non è impegnato nel lavoro o nell’attività politica? «Prima della pandemia il tempo libero, o trascorso a casa, era veramente scarso. Praticamente ogni sera, e anche il fine settimana, ero assorbito da una moltitudine di impegni politici e di rappresentanza che non mi lasciavano scelta. Ora ho più tempo per la famiglia e gli amici, ma prima o poi finirà anche questo periodo. Anche se legati alla mia attività politica, mi piace frequentare eventi culturali e sportivi. Quando ho tempo pratico nuoto, palestra e bici. Amo le passeggiate e i viaggi, e le letture di ogni tipo. La storia mi ha sempre affascinato per gli insegnamenti che porta con sé. L’uomo ripete sempre gli stessi errori e non impara mai dalle esperienze fatte».



I FATTORI UMANI ALL’INTERNO DEI PROCESSI DECISIONALI INTERVISTA A DANIEL KAHNEMAN, PREMIO NOBEL PER LE SCIENZE ECONOMICHE NEL 2002, PER GENTILE CONCESSIONE DI UBS (UBS NOBEL PERSPECTIVES).

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e vogliamo comprendere e modellare il sistema, in primo luogo occorre capire le persone che agiscono al suo interno. Insieme all’amico di lunga data Amos Tversky, Daniel Kahneman ha dedicato la propria vita accademica allo studio dei fenomeni psicologici che interagiscono con i giudizi e i processi decisionali, definendo un nuovo modo di approcciarsi alla valutazione degli errori umani basato su preconcetti ed euristiche. Kahneman è considerato uno dei più importanti economisti oggi viventi, sebbene egli

neghi veemente ciò. Nato nel 1934 a Tel Aviv, all’età di 10 anni ha scritto il suo primo saggio sulla psicologia della religione. La sua principale teoria, Teoria del prospetto (Prospect theory), tratta il problema dell’integrazione della psicologia cognitiva nell’analisi economica. Il suo atteggiamento nei confronti della società contemporanea è profondamente pessimista. Una giornata di pioggia a Manhattam Un appuntamento con Daniel Kahneman può richiedere anche un anno di


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preparazione, e in quest’occasione tutto deve essere perfetto. Ovvero vanno preparati fiori, comode poltrone, il pranzo, anche la giusta temperatura dell’ambiente. Mentre aspetto Kahneman sotto un acquazzone davanti a un hotel nel centro di Manhattan, cercando di avvistare la sua limousine, all’improvviso sento un colpetto sulla spalla: “Ciao, sono Daniel”. Avvolto in un lungo cappotto nero, scuote l’ombrello bagnato. È arrivato a piedi. Prendere un taxi con questo brutto tempo avrebbe potuto portare a risultati migliori, ma Kahneman ammette che la felicità è stata in realtà la più grande delusione della sua carriera, almeno per quanto riguarda la sua ricerca in ambito economico. «Mi aspettavo di ottenere un determinato risultato, invece ho scoperto esattamente l’opposto». Kahneman si riferisce al Day Reconstruction Method (DRM), un processo da lui inventato e tutt’ora utilizzato. Il DRM valuta in che modo le persone trascorrono la giornata e si focalizza sulle loro emozioni. «Eravamo convinti che esaminando la differenza tra gli insegnanti che lavorano nelle migliori scuole e quelli attivi in istituti di qualità inferiore, avremmo riscontrato una differenza nettamente maggiore nelle emozioni piuttosto che nel grado di soddisfazione». Invece, è emerso il contrario. In generale, Kahneman è critico riguardo a come vengono elaborate le indagini sulla felicità. Una domanda di natura politica posta all’inizio può portare a un risultato nel complesso insoddisfacente, oppure una determinata formulazione può cambiare il corso della conversazione. Non è dunque importante solo la domanda, ma anche il modo in cui la si pone. Le singole domande in psicologia sono di grande importanza, ma talvolta generano controversie. Daniel Kahneman menziona, ad esempio, il caso di Linda «Tutto quello che sappiamo di lei è che ha 41 anni, ha studiato filosofia, è stata molto attiva nei movimenti

politici e ha preso parte a manifestazioni contro il nucleare. La domanda è: “Con quale probabilità potrebbe diventare impiegata di banca?” Oppure “Con quale probabilità potrebbe diventare impiegata di banca attiva nel movimento femminista?». Il 90% degli intervistati risponde che è più probabile che diventi impiegata di banca femminista, anche se non è una conseguenza logica. «Perché pur essendo un’impiegata di banca femminista, resta comunque un’impiegata di banca. Non conta solo dunque la domanda, ma il modo in cui viene posta». Possiamo fare affidamento sul nostro intuito? Kahneman si è confrontato con questa domanda mentre prestava servizio nell’esercito israeliano, negli anni ‘50. In quel contesto ebbe modo di rilevare che i reclutatori, quando esaminavano i soldati, si affidavano ampiamente all’intuizione. Il suo primo lavoro come psicologo ha successivamente comportato aggiornamenti significativi al processo, che è tutt’ora in uso. «Alle persone è stato chiesto di non preoccuparsi dell’impressione generale nei confronti dell’altro, ma di porre domande specifiche e molto dettagliate su diversi argomenti. Spiega le sei caratteristiche che sono state valutate, come la puntualità o l’orgoglio maschile. Alla fine, tutti gli intervistati dovevano chiudere gli occhi e scrivere la loro valutazione complessiva. L’intuizione è utile, ma non deve essere applicata precocemente. Oggi stiamo lavorando su questo aspetto. Elaborare istruzioni per coloro che prendono decisioni nelle imprese o a livello governativo. Bisogna scomporre un problema in elementi e ritardare l’intuizione fino alla fine». Perché alcune persone corrono più rischi di altre? Esiste un altro margine di errore frequente riguardo al giudizio e al processo decisionale nelle organizzazioni,

che Kahneman definisce predisposizioni intrinseche. Le persone che crescono in un’organizzazione sono verosimilmente ottimiste. Di solito hanno anche una maggior propensione al rischio. «Sono coloro che fanno in modo che le cose accadano. Basta che alcune decisioni abbiano successo e le persone pensano di poter camminare sull’acqua e vengono promosse ulteriormente». I nostri occhi sono in grado di rivelare quello che stiamo pensando? Per comprendere il processo decisionale, le persone devono prima capire meglio il proprio pensiero. La ricerca di Kahneman su quelli che in seguito avrebbe chiamato i due sistemi è iniziata con un “momento eureka” in un laboratorio e, stranamente, con un occhio. «È la migliore misura dello sforzo mentale - sostiene Kahneman riferendosi all’osservazione della pupilla di un soggetto testo - meglio del battito cardiaco o della pressione sanguigna, uno dei risultati più significativi che abbia mai incontrato. Nel momento in cui è stata posta una domanda, la pupilla si è dilatata e contratta. Ma per caso, ho notato che quando invece il soggetto stava semplicemente parlando tranquillamente seduto nel laboratorio, non succedeva niente. Conversare è dunque più facile che ricordare il proprio numero di telefono. Mi sono interessato in particolare a ciò che risulta essere faticoso e a quello che non richiede nessuno sforzo». Pensare in modo intuitivo, pensare in modo analitico Kahneman in seguito ha sviluppato i due sistemi per descrivere la nostra vita mentale. Il primo sistema definisce la parte intuitiva che non richiede sforzi del nostro pensiero, mentre il secondo sistema spiega il tipo di concentrazione che implica lo sforzo. «Quando ci si impegna in una cosa, non si riesce a fare nient’altro allo TICINO WELCOME / MAR - MAG 2021

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stesso tempo. Il primo sistema non ha questa limitazione, perché nella vita impariamo intuitivamente e mettiamo subito in pratica tali conoscenze. Quando prendiamo decisioni, abbiamo la possibilità di scegliere tra questi sistemi. Si può correre o camminare. La nostra vita mentale è come una camminata lenta, è semplice. Siamo in grado di concentrarci, ma spesso non ci piace, dunque lo evitiamo. Le persone intelligenti in grado di risolvere molti problemi senza sforzo, se la cavano pur essendo più pigri». Come prendere decisioni importanti? Kahneman condivide alcuni consigli su come prendere decisioni importanti. «Dovreste rallentare e ottenere consigli da un particolare tipo di persona. Qualcuno a cui piacete ma a cui non interessano particolarmente i vostri sentimenti. Quella persona è più propensa a darvi buoni consigli». Cosa determina le nostre decisioni? Kahneman sottolinea il fatto che bisogna essere estremamente cauti nelle decisioni finanziarie. Egli definisce rischioso, se non pericoloso, il fatto che persone con una scarsa conoscenza del sistema finanziario debbano prendere decisioni per esempio riguardo alle azioni in cui investire. «Il presupposto che i singoli investitori siano razionali, porta a gravi errori». Tramite la Teoria del prospetto, con cui ha vinto il Premio Nobel, Kahneman ha proposto un cambiamento nel modo in cui pensiamo alle decisioni di fronte al rischio, in particolare quello finanziario. Le persone reagiscono ai cambiamenti in termini di guadagni e perdite. «I guadagni e le perdite sono a breve termine. Sono reazioni emotive immediate. Questo fa un’enorme differenza per la qualità delle decisioni». Quando le persone pensano al futuro, pensano a un futuro molto prossimo piuttosto che a uno lontano. Cambiare

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“La nostra vita mentale è come una camminata lenta, è semplice. Siamo in grado di concentrarci, ma spesso non ci piace, dunque lo evitiamo. Le persone intelligenti in grado di risolvere molti problemi senza sforzo, se la cavano pur essendo più pigri”. la prospettiva da coloro che cercano di ottenere ricchezza a lungo termine, a coloro che non vogliono perdere domani, trasforma in modo significativo la nostra comprensione del comportamento. Le persone danno molto più peso alle perdite che ai guadagni, odiano perdere». Qual è l’origine delle idee politiche? In qualità di psicologo, Kahneman indaga sull’origine delle nostre idee. In particolare leggendo le notizie, confrontandosi con conflitti e discriminazioni religiose e con le drammatiche conseguenze delle scelte politiche, il suo pensiero ritorna alla psicologia di singole domande. «Soggettivamente, sembra di credere in qualcosa perché si hanno degli argomenti a favore. Ma il processo funziona al contrario. Si crede nella conclusione e poi vengono elaborati argomenti a sostegno. Questo è fondamentale». Perché le persone credono a conclusioni erronee? In parte perché coloro che amiamo e di cui ci fidiamo credono nella stessa conclusione. Kahneman definisce questo processo “essere emotivamente coerenti”, cioè psicologicamente coerenti, ma senza fornire prove concrete. Il voto è dunque guidato emotivamente e una delle emozioni più forti è la rabbia. Porta le persone a individuare un nemico comune. A questo proposito, Kahneman racconta un aneddoto della sua infanzia di ragazzo ebreo cresciuto a Parigi, durante la seconda guerra mondiale. «Ero uscito per giocare con un amico e avevo il maglione

con cucita la mia stella. L’avevo indossato a rovescio, quindi nessuno l’avrebbe notata. Ho visto un soldato tedesco con l’uniforme nera e sapevo che coloro che la portavano erano decisamente i peggiori. Camminavamo l’uno verso l’altro e poi mi ha chiamato. Avevo paura che vedesse la stella nella parte interna del maglione, ma non l’ha vista. Mi ha abbracciato e mi ha mostrato le foto di un bambino. E mi ha addirittura dato dei soldi». Entrambi poi si separarono, ma a oggi ricorda ancora l’importanza di quell’interazione. «Quel soldato interpretava tutta la complessità delle persone. Avrebbe potuto uccidermi facilmente, ma in quel contesto era solo il padre di un bambino». Anche nella nostra società attuale, Kahneman sa che la collettività non ha memoria storica. Tutte le parti fanno leva su forti emozioni, fanno presa sulla paura delle persone e guidano la loro rabbia verso l’ignoto. Possiamo imparare dalla storia dell’umanità ed evitare gli errori? Potremo mai arrivare a vivere in un luogo dove gli errori del passato possono essere evitati in futuro? Kahneman sostiene di essere un eterno pessimista e non in grado di risolvere tali problemi. Lui stesso afferma che questo non è il suo lavoro. «Sono solo uno psicologo» dice. Si rimette il cappotto nero, apre l’ombrello ed esce sotto l’acquazzone. In questo contesto non si tratta sicuramente di una decisione presa per pigrizia.


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PRIMO PIANO / MONSIGNOR VALERIO LAZZERI

DOBBIAMO GUARDARE AL FUTURO CON FIDUCIA

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l 2020 è stato senza dubbio uno degli anni più difficili degli ultimi decenni. Quale insegnamento morale ne dovrebbe a suo giudizio trarre l’intera umanità e in particolare il mondo cattolico? «Non penso che i drammi della storia umana abbiano in sé stessi degli insegnamenti morali da dare. Penso che, in circostanze come quelle che tuttora stiamo attraversando, vengano meno molte maniere superficiali di dare senso a quello che facciamo e siamo. Questo può dare la spinta per cercare più in profondità ciò che ci fa realmente vivere. L’anno che abbiamo appena vissuto ha messo in luce la fragilità di un legame tra gli esseri umani basato unicamente sull’utilità e la necessità. Per chi si riconosce cristiano, a questo riguardo c’è il Vangelo di Gesù Cristo da imparare ad ascoltare nella sua radicalità, come mai fatto prima. Per tutti, c’è da sperare che le insufficienze di un modello di vita basato sui bisogni del singolo individuo evidenziate da questa crisi portino a scoprire un fondamento altro, capace di giustificare in maniera incondizionata la ricerca del bene comune».

sulla nostra vita quotidiana. Detto questo è difficile prevedere che impatto avrà quello che stiamo attraversando sul nostro modo futuro di vivere. L’imprevedibile è una componente irriducibile della libertà umana». Di fronte alle paure e alle preoccupazioni di questi mesi, quali speranze si sente di trasmettere ai fedeli della sua Diocesi? «Noi annunciamo sempre e in ogni circostanza la speranza nell’inaudito, che Gesù Cristo, morto e risorto, ha acceso una volta per tutte nella storia umana. È a questa sorgente inesauribile che siamo rimandati con forza in questo momento. Non sono mai solo gli elementi incoraggianti del presente, ultimamente, a farci guardare avanti con fiducia, ma l’adesione a una promessa resa credibile dal fascino di una vita umana piena, donata nella libertà e per amore. Questo è il

IL VESCOVO DI LUGANO PROPONE ALCUNE RIFLESSIONE SULLO DIFFICILE SITUAZIONE CHE LA POPOLAZIONE TICINESE È STATA COSTRETTA AD AFFRONTARE NEGLI ULTIMI MESI E SOTTOLINEA L’IMPEGNO DELLA DIOCESI A FAVORE DELLE FASCE PIÙ DEBOLI E FRAGILI.

Bellinzona: Curia Vescovile, Santa Messa d’entrata nella Comunità parrocchiale di Bellinzona di Don Maurizio Silini 12.09.2020

Da più parti è stato ripetuto che dopo la pandemia non saremo più gli stessi. La convince questa affermazione e in che modo l’uomo sarebbe cambiato? «Non c’è niente di ciò che accade nel tempo che non alteri il nostro modo di vedere la realtà e di abitarvi. Questo vale a maggior ragione per una pandemia, un fenomeno a espansione planetaria capace di incidere a ogni livello TICINO WELCOME / MAR - MAG 2021

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PRIMO PIANO / MONSIGNOR VALERIO LAZZERI

sulle componenti più fragili ed esposte della popolazione. Mi auguro che la campagna di vaccinazione possa avanzare nei tempi previsti e possa portare le persone a non sentirsi così oppresse dal senso di precarietà e di incertezza. Non bisogna dimenticare che l’essere umano può aprire spazi di generosità soltanto quando non è soffocato dall’angoscia della mancanza di una prospettiva praticabile a cui poter contribuire».

seme divino della fede che, con grande realismo, tenendo i piedi ben piantati per terra, ci fa tenere in ogni momento gli occhi fissi sulla Vita, più forte dei fantasmi della disperazione e della morte». La Svizzera e il Ticino rappresentano senza dubbio un’area di benessere economico e sociale. Eppure anche in questo contesto esistono povertà e disagio. Con quali mezzi e progetti la Diocesi di Lugano interviene per fare fronte a queste situazioni? «Siamo consapevoli che il disagio economico e sociale si è ulteriormente acuito anche alle nostre latitudini. La Diocesi di Lugano è presente in questo ambito attraverso le diverse associazioni caritative operanti da molti anni sul territorio, ma anche con le molte iniziative specifiche che sono nate o si sono rafforzate proprio in questo periodo: le raccolte alimentari, il servizio della spesa a domicilio, i centri di ascolto, i gruppi di volontari e volontarie che fungono da antenne per molte situazioni particolari di bisogno che possono sfuggire alle reti ufficiali di aiuto».

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TICINO WELCOME / MAR - MAG 2021

In generale, quali sono i problemi più gravi e urgenti con cui deve quotidianamente misurarsi il Vescovo di Lugano? «Sono quelli legati alle difficoltà personali dei presbiteri e degli operatori pastorali attivi nei vari ambiti dell’attività diocesana. Soprattutto in questo tempo di distanziamento e di restrizioni varie è cresciuta l’esigenza di contatti più diretti e frequenti. Ho spesso indicato come prioritario l’obiettivo della formazione di reti di scambio, di vicinanza reciproca e di comunione, non solo tra presbiteri, ma tra famiglie, comunità e singoli fedeli. I tempi che stiamo vivendo non possono che portarmi, come Vescovo, a spendermi ancora di più in questo ambito». Quali principali progetti vorrebbe vedere realizzati a favore della popolazione ticinese nel corso del 2021? «Molto concretamente, in questo momento, mi sembra che il progetto più importante sia quello di impegnarci insieme al superamento di una crisi sanitaria che sta pesando soprattutto

Infine, quali novità e iniziative si annunciano per i prossimi mesi nell’organizzazione della Diocesi di Lugano? «Mi sembra irrealistico proporre per questo anno grandi novità. Ho indicato nella mia ultima lettera pastorale, intitolata Ripartire dal cuore, alcuni elementi che spero possano aiutare a vivere nella pazienza e nella fiducia questo tempo tribolato. Sono partite – per il momento online – alcune iniziative di formazione per laici che si orientano ad assumere compiti di servizio nella Chiesa. Si cerca in ogni ambito di tenere accesa la fiamma, in attesa di poter riprendere una dinamica di incontri e di manifestazioni in presenza. Questa è e sarà la novità permanente del nostro essere Chiesa, ossia ekklesia, che significa convocazione: il miracolo sempre inedito di uomini e donne, convocati dalla Parola e animati dallo Spirito di Cristo, in cammino verso il Regno».


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PRIMO PIANO / VITTORIO FELTRI

ANTICONFORMISTA SEMPRE

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ei suoi editoriali e nei frequenti commenti televisivi, lei è andato esprimendo, con una frequenza sempre maggiore, una profonda disillusione, oltre che una noia, nei confronti di una classe politica la cui cifra, nel suo complesso, sembrano essere l’ignoranza e l’incompetenza. Come spiega questo drammatico vuoto di idee, di competenze, di una solida cultura politica? «Penso che l’Italia non abbia mai avuto nella sua lunga storia un ceto politico così ignorante. Laureati compresi. L’ascesa dell’incompetenza solleva questioni molto delicate e attuali che hanno portato al trionfo del dilettantismo in politica e che stanno creando grossi problemi al Paese. È in atto un’ondata di sentimenti negativi nei confronti del sapere, dell’istruzione, degli esperti e degli intellettuali. Chiunque abbia studiato o fatto esperienze di lavoro significative e formative viene bollato come élite e rifiutato. Siamo orgogliosi di non sapere le cose e siamo arrivati al punto di considerare l’ignoranza, soprattutto per quel che riguarda la conduzione della politica, una virtù. È un sentimento che probabilmente c’è sempre stato in certi settori della società, ma che negli ultimi anni è venuto prepotentemente alla luce e la politica lo ha percepito e cavalcato. I politici attuali sono il risultato di questa spontanea emersione dell’ignoranza, e tutto ciò mette in rilievo la grande distanza che esiste tra il rigore dei competenti e la necessità di ricercare il consenso da parte dei politici, passando anche per il ruolo dei mezzi di informazione. Bi-

sogna dire, in generale, che la persona ignorante o incompetente risulta spesso più simpatica, più naturale, più fresca nel modo di porgersi e di comunicare, insomma più vicina alla gente comune. Sa trasmettere con naturalezza messaggi semplici, apparentemente efficaci, additare colpevoli, e proporre soluzioni, magari irrealizzabili, ma chiare, senza tentennamenti o dubbi. Là dove il dubbio è il pane quotidiano dell’esperto che tende a fare ragionamenti sfumati, probabilistici, privi di quelle certezze che il pubblico, specie quello televisivo, vuole sentirsi raccontare».

DOPO L’ESORDIO SULL’ECO DI BERGAMO, IL GIORNALE DELLA SUA CITTÀ NATALE, E UN PASSAGGIO AL CORRIERE DELLA SERA DI PIERO OTTONE, VITTORIO FELTRI È STATO DIRETTORE DELL’EUROPEO PRIMA E DELL’INDIPENDENTE DOPO; NEL 1994 HA PRESO LE REDINI DE IL GIORNALE DOPO L’ABBANDONO DI MONTANELLI E NEL 2000 HA FONDATO LIBERO, DI CUI È TUTTORA DIRETTORE EDITORIALE. DI EDUARDO GROTTANELLI DE’SANTI

A quando si può fare risalire l’inizio di questa decadenza e come si esce da questa situazione? «Probabilmente bisogna ritornare molto indietro negli anni, almeno fino al crollo del Muro di Berlino, alla caduta delle ideologie e delle contrapposizioni tra partiti che comunque, almeno in Italia, avevano un forte senso dello Stato, e in ogni caso si rispettavano tra loro pur combattendosi in modo acceso e polemico. Si pensi per esempio a partiti tradizionali come la Democrazia Cristiana e al Partito Comunista che avevano precise modalità operative in base alle quali selezionavano la propria classe dirigente, e prassi consolidate e concrete con le quali programmavano e scandinavo la formazione e l’ascesa amministrativa e politica dei propri dirigenti e parlamentari. Altro che “uno vale uno”. Come se ne esce è un problema irrisolvibile, almeno a breve termine. Certamente bisogna ripartire dalla scuola, sulla quale da tempo si è cessato di investire, bollando la meritocrazia come un maTICINO WELCOME / MAR - MAG 2021

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PRIMO PIANO / VITTORIO FELTRI

le da cui era assolutamente necessario liberarsi, con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti: così i nostri migliori cervelli sono costretti a migrare all’estero per ricevere un riconoscimento della propria formazione e una remunerazione dignitosa e adeguata alle proprie competenze». Nel tempo lei non ha risparmiato critiche anche al mondo del giornalismo… «Credo di poter dire per diretta esperienza che in Italia ci sono alcuni (pochi) giornalisti che sanno tenere la schiena ben dritta, ma ce ne sono anche tanti (troppi) asserviti alle indicazioni del governo o dei gruppi editoriali per i quali lavorano. Un discorso a parte merita poi l’Ordine dei giornalisti, dal quale mi sono dimesso dopo oltre 50 anni di carriera ai vertici di vari quotidiani. Mi sono stancato, mi hanno massacrato, mi hanno fatto perdere tempo con polemiche inutili e pretestuose. Mi sono rifiutato di essere continuamente criticato e processato per certe mie espressioni che non vanno a genio a una corporazione che non mi pare sia abilitata a fare processi di questo tipo. L’Ordine dei giornalisti ha cercato di imbavagliarmi e limitarne la mia libertà di pensiero per presunti reati di opinione». Un territorio cui lei è particolarmente legato, Bergamo e la valli circostanti, è risultato essere, almeno nella prima fase della pandemia, uno dei più colpiti, con una vera e propria decimazione della popolazione più anziana. Tutto questo poteva essere evitato? «Credo che la pandemia abbia colpito duro in tutto il Paese, ma certo in questa parte della Lombardia non è stato risparmiato davvero nulla. E non c’è da sorprendersi se si considera la concentrazione di attività industriali e commerciali che si registra nella piana bergamasca e all’imbocco

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TICINO WELCOME / MAR - MAG 2021

delle valli, con un moltiplicarsi di traffici, scambi e dunque occasioni di contagio. Se poi vogliamo allargare il discorso a come è stata, a livello nazionale, affrontata la pandemia, bisogna dire che il virus ha travolto tutto, cogliendo i politici, ma anche i cosiddetti esperti, del tutto impreparati. Ci si è mossi alla giornata, tra dubbi, contraddizioni, improvvise accelerazioni e brusche frenate. Insomma, una grande confusione, anche se la situazione era davvero difficile e fino ad allora totalmente sconosciuta. La realtà italiana sotto il profilo dell’epidemia non è certo meravigliosa, nel senso che il virus seguita a rappresentare una minaccia seria, tuttavia al confronto di ciò che sta accadendo in Europa e in altri continenti non abbiamo motivo di lamentarci troppo. Anzi, il governo tutto sommato ha fatto meglio di parecchi suoi colleghi stranieri. Speriamo che il Governo attuale se ne vada presto da Palazzo Chigi (l’intervista è stata realizzata prima delle dimissioni di Giuseppe Conte, n.d.r.), ma in ogni caso ringraziamolo per aver adottato misure fastidiose, liberticide, che però hanno salvato la pelle a tanta gente». E per quanto riguarda il conflitto esploso, anche a proposito della pandemia, tra governo e regioni? «In Italia abbiamo una straordinaria abilità nel buttare tutto in polemica politica, anche quando sarebbe il caso, piuttosto che litigare e insultarsi, di rimboccarsi le maniche e trovare la soluzione migliore per tutti. Quello che è stato dette e scritto, a livello politico ma anche da parte dei media, contro la Lombardia è stato qualcosa di vergognoso. Ovvio, essendo stata la più colpita in termini numerici dal virus, impiegherà più giorni a risanarsi, ma non per questo va discriminata e colpevolizzata. La densità abitativa di questa terra non ha eguali in Italia, pertanto ha dovuto affrontare problemi gravi, ma lo ha fatto in modo egre-

gio benché pochi le riconoscano di aver agito con abilità e diligenza. Negli ultimi mesi si è accesa una vera e propria ostilità nei confronti della Lombardia, per motivi che sfiorano il razzismo, senza trascurare il desiderio di impadronirsi politicamente della regione pilota del Paese. Conquistarla, magari dopo averla commissariata, significherebbe garantirsi la permanenza per un lungo periodo ai vertici del potere. Difatti il famoso e auspicato rilancio dell’economia in crisi non può che partire da questa regione ferita, ma tuttora organizzata e pronta a risorgere come si evince dai primi segnali registrati a Milano e nelle varie province attorno a questa città». Nei suoi interventi lei ha avuto modo più volte di mostrare un apprezzamento per il “modello Svizzero”. In particolare, che cosa le piace di quel Paese? «Devo premettere che mia madre era originaria del Ticino e che dunque ho avuto modo di frequentare quella regione fin da giovane. Negli anni poi ho stabilito con il Ticino interessanti rapporti professionali, ho avuto molte occasione per incontrare politici ed imprenditori locali e tuttora ho molti amici che vivono in quella fortunata terra. Al di là delle consuete valutazioni positive riguardo alla sicurezza e alla stabilità politica della Svizzera, ciò che trovo apprezzabile è la qualità dell’autonomia che ogni Cantone esprime, pur nel contesto di una struttura statale forte e ben definita. E poi guardo sempre alle popolazioni che abitano di qua e di là delle Alpi: in entrambi i casi si tratta di gente tenace, lavoratrice, concreta nel raggiungimento dei propri obiettivi. Solo che in Italia è frenata e ostacolata in ogni modo da una classe politica e da una burocrazia ottusa e arretrata, mentre in Svizzera le capacita e le competenze delle persone sono valorizzate e sostenute. E queste fa una bella differenza».


PRIMO PIANO / MORENA FERRARI GAMBA

I GIOVANI E LA PANDEMIA

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l tasso di disoccupazione giovanile, all’affacciarsi al mondo del lavoro, alla fine del 2020 in Svizzera era del 7.5% circa, e in Europa anche peggio tra il 17 e il 20%. Sono dati che ci devono preoccupare perché, riprendendo le parole di Draghi, «privare un giovane del futuro è una delle forme più gravi di diseguaglianza». In aggiunta, da un anno la pandemia li ha resi prigionieri in casa, avendogli precluso la normale frequentazione della scuola, ma anche la possibilità di spostarsi altrove per formarsi e lavorare. Sappiamo bene che la forza lavoro giovanile è sempre stata particolarmente vulnerabile alle crisi economiche. Negli ultimi decenni, i sogni e le speranze della gioventù si sono affievoliti lasciando spazio all’ansia e alla preoccupazione per un lavoro che sembra non esserci. Oltretutto, freschi di studio, professionale o universitario, se già

negli ultimi anni era complicato trovare lavoro, la pandemia ne ha quasi azzerato le opportunità, principalmente per un primo impiego, persino da stagista. Come possono i nostri ragazzi immaginare di crearsi e costruire un futuro, rendersi indipendenti, mettere su famiglia, se non gli vengono dati gli strumenti per vivere? Come può una società pensare al un futuro se non investe su chi vivrà quel futuro? Le imprese, sempre più chinate sui conti da far tornare, margini sempre più bassi e una concorrenza mondiale che non lascia scampo, hanno dimenticato la loro responsabilità e dimensione sociale di ruolo di maestri e formatori. Giovani pronti all’uso per il mondo del lavoro non esistono a meno di poter contare su un sodalizio, che già conoscevamo, tra scuola ed impresa. La politica, da parte sua, è sempre in rincorsa verso un’economia che marcia in modo indipendente, non met-

LA CRISI SANITARIA, OLTRE AD AVER COLPITO GRAVEMENTE, E SOPRATTUTTO, GLI ANZIANI NELLA SALUTE, HA CREATO UNA CRISI ECONOMICA EPOCALE PENALIZZANDO PER PRIMI PROPRIO LORO: I GIOVANI (E LE DONNE). LA SITUAZIONE È GRAVE E NON SI PUÒ ELUDERE.

tendo come punto centrale dei suoi investimenti il capitale umano, la formazione e la cultura. Mai come oggi ci si interroga su valori, costumi e mentalità. Mai come oggi alle domande vanno date delle risposte. È ora di concentrarsi sul rischio di una generazione perduta, proponendo misure e politiche audaci, perché i danni causati dureranno a lungo e con conseguenze di impoverimento della società intera, aumentando quelle disuguaglianze che mai avremmo pensato di avere qui nella nostra bella Svizzera. È quindi un dovere morale preoccuparci della sempre maggiore precarietà e rischio di impoverimento della gioventù. Sono i nostri figli, che probabilmente hanno ricevuto molto in termini materiali, ma a cui stiamo consegnando un mondo disastrato. Dovremmo ritrovare quella capacità di visione, di scelte coraggiose e innovative, con lo stesso spirito di sacrificio delle generazioni precedenti, uno spirito che ha permesso ad un Paese di montanari e contadini di diventare uno dei Paesi più avanzati del mondo. Politica e imprese dovrebbero aumentare i loro sforzi, costruire ecosistemi che generino formazione e valore. La pandemia ci insegna che solo un’unità di intenti genera valore e ricchezza, soprattutto in un momento come quello attuale, in cui la crisi economica moltiplica le urgenze sociali e le domande di sostegno. Non cadiamo nell’errore di assuefarci nel vedere i giovani smarriti: investire su di loro è semplicemente investire sul futuro. TICINO WELCOME / MAR - MAG 2021

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PRIMO PIANO / RICCARDO RUGGERI

UNA VITA AL VERTICE

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accontare la sua vita significa scrivere un romanzo perché lei ha attraversato da protagonista gli ultimi decenni della storia imprenditoriale e non solo dell’Italia. Ci vuole aiutare sintetizzando le tappe principali? «La mia storia inizia in una portineria al numero 9 di piazza Vittorio Veneto a Torino. Mio nonno e mio padre (e per un periodo anche mia madre) erano operai della FIAT e anch’io nel 1953 fui assunto come operaio nello stabilimento di Mirafiori. Nella portineria ho avuto una scuola di vita. Ci passavano persone d’ogni tipo: ne ho viste più di qualsiasi altro bambino della mia età. Era uno spaccato sociologico senza pari, un libro aperto». Ma poi la sua carriera all’interno della FIAT è stata rapida e inarrestabile… «Dopo tre anni da operaio, fui promosso impiegato alla progettazione motori. Chiedevo in continuazione ai miei capi nuovi lavori, non sopportavo di stare con le mani in mano, la curiosità mi divorava. Un’esperienza unica: ho imparato a conoscere dal basso la Fiat nelle sue diverse funzioni. Quando Umberto Agnelli all’inizio dei Settanta incaricò una società di consulenza statunitense per suddividere la Fiat in tre comparti - auto, veicoli industriali e imprese diversificate – venni scelto come una delle interfacce degli americani. Il direttore generale Gian Mario Rossignolo mi chiese di preparargli un piano di riorganizzazione aziendale della Componentistica FIAT (oltre 40-000 persone). Glielo consegnai il venerdì sera. La domenica mattina mi convocò a

casa sua: “Lo tenga per sé: il nuovo amministratore delegato, Carlo De Benedetti, mi ha licenziato”». Un incontro decisivo per la sua carriera… «Con l’Ingegnere mi occupai di personale e organizzazione e imparai una cosa fondamentale: i costi sono più importanti dei ricavi. Fui l’unico manager Fiat a lavorare con lui nei suoi 100 giorni. Successivamente divenni amministratore delegato di alcune società del gruppo tecnicamente fallite. Ebbi quindi deleghe totali, un mestiere affascinante risanare aziende, soprattutto libero». Un altro passaggio importante fu la ristrutturazione da lei operata per quanto riguardava il ramo trattori di Fiat e Ford… «Nel 1991 ho integrato tre grandi aziende tecnicamente fallite Fiat Trattori, Fiat Allis, Ford Tractor. Ne nacque un colosso, New Holland, con 21 stabilimenti in quattro continenti, presente con le sue macchine per movimento terra (trattori, mietitrebbie, escavatori) in 140 paesi del mondo. Quando mi lanciai in quest’avventura, New Holland aveva un fatturato di 2,5 miliardi di dollari. Dopo cinque anni, l’avevo portato a 6 miliardi però con la metà dei dipendenti. Il coronamento del piano di salvataggio fu la quotazione a Wall Street, dove le azioni di New Holland arrivarono a toccare una cifra 32 volte più alta del patrimonio netto iniziale. Pochi giorni prima della quotazione, da Torino arrivò nel mio ufficio di Londra un missus dominicus che mi fece gentilmente presente che, avendo 61 anni compiu-

RICCARDO RUGGERI NELLA VITA HA FATTO TANTI MESTIERI: OPERAIO, QUADRO, MANAGER, CEO DI MULTINAZIONALI, CONSULENTE DI BUSINESS, IMPRENDITORE, SCRITTORE, GIORNALISTA, EDITORE E ALTRO ANCORA, DAL SUO EREMO SVIZZERO, DOVE SI È RITIRATO DA OLTRE VENT’ANNI, OSSERVA CON INTERESSE QUANTO ACCADE NELLA VICINA PENISOLA E NON MANCA DI SFERZARE GLI ITALIANI ATTRAVERSO I PUNGENTI COMMENTI PUBBLICATI SUL SUO BLOG. WWW.ZAFFERANO.NEWS ti, avrei dovuto essere in pensione. Umberto Agnelli, sorridendo, coniò una bella locuzione “licenziato per eccesso di successo». Tuttavia gli anni successivi sono stati invece ricchi di altre importanti iniziative imprenditoriali… «Chiusa l’esperienza di una vita da CEO vagabondo, creai alcune start up in business ad alto rischio. Da un’idea di mia nuora Elsa fu creata una start up nel settore di nicchia della moda. Il successo fu tutto merito di Elsa, nominata CEO e di mio figlio e in primis di Rick Owens, un visionario stilista allora sconosciuto, oggi celeberrimo. Scrissi diversi saggi di management e di business, fondai una casa editrice, Grantorino in omaggio alla squadra del Torino e del film. Gli utili dei primi anni furono devoluti a un’organizzazione cristiana creata da Pierre Tami, un ex pilota della Swissair che ha tolto dalla strada 3.000 prostitute e le ha trasformate nella più importante azienda di catering della Cambogia». TICINO WELCOME / MAR - MAG 2021

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PRIMO PIANO / RICCARDO RUGGERI

“Ho fondato il mio primo giornalino quando avevo 16 anni e frequentavo l’Istituto tecnico industriale Amedeo Avogadro di Torino. A 84 anni la passione per il giornalismo mi ha portato a dare vita a una nuova testata alla quale ho voluto dare il nome di una pianta perenne, lo zafferano”. Una delle sue ultime iniziative è stata dare vita a Zafferano.news. Di che cosa si tratta? «Ho fondato il mio primo giornalino quando avevo 16 anni e frequentavo l’Istituto tecnico industriale Amedeo Avogadro di Torino. A 84 anni la passione per il giornalismo mi ha portato a dare vita a una nuova testata alla quale ho voluto dare il nome di una pianta perenne, lo zafferano. Nasce nel pieno della crisi dell’editoria, della carta stampata, dei tentativi digitali per farla ancora vivere. Siamo una dozzina di persone, uomini liberi che vivono del proprio lavoro in aree lontane dal giornalismo, ci reputiamo persone che apprezzano la lettura e la scrittura (ed essere letti), e amiamo, anche fisicamente i giornali, sia cartacei che online. Siamo convinti che questa crisi, identica a quella di altri settori merceologici, sia figlia di un’estensione del concetto di disruptive innovation da parte dei sociopatici di Silicon Valley e del modello culturale, politico, economico che (purtroppo) domina l’Occidente da un quarto di secolo (in tempi non sospetti l’ho battezzato CEO capitalism). Abbiamo così trasformato la nostra “competenza di lettori” in una “competenza dell’execution giornalistica”, attingendo a principi e valori delle nostre passate esperienze professionali. Sappiamo di essere nulla più che degli artigiani del giornalismo, e come tali ci proponiamo: i 15.000 abbonati, dei quali un terzo giovani, in due anni lo consideriamo un grande successo». La vostra formula rappresenta un unicum nel panorama editoriale…

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TICINO WELCOME / MAR - MAG 2021

«Zafferano.news esclude tassativamente dal suo operare il denaro: come editore ho donato la piattaforma digitale, l’abbonamento è gratuito, nessuno è retribuito, la pubblicità è rifiutata, anche se, stante l’altissimo numero di abbonati selezionati, le proposte non mancherebbero. Non abbiamo una sede, operiamo solo via mail, scarso è l’uso del cellulare. Il nostro modo di scrivere vuole essere impeccabile nella forma, documentato, severo, ma sempre leggero e ironico». Lei ha citato il CEO capitalism, oggeto di alcuni suoi recenti libri (Uomini o consumatori, Il Signor CEO, Grantorino Libri, editore in Torino), Ci vuole spiegare meglio questo concetto? «“CEO capitalism”, entrato in una provvisoria fase di declino con la crisi economica del 2008, è il nome che ho voluto dare all’evoluzione culturale, economica e sociale del capitalismo che ha dominato l’Occidente dopo la caduta del muro di Berlino. Finita la contrapposizione tra i due blocchi USA/URSS e senza più un nemico frontale, il capitalismo ha infatti cambiato pelle e sostanza, mescolando culture che non c’entravano niente tra loro, per creare un modello che si incarna nella sua figura simbolo: il CEO, il supermanager che governa aziende immense senza esserne padrone e senza i rischi del padrone. L’idea centrale del CEO Capitalism è la trasformazione dell’uomo, del cittadino e del lavoratore in consumatore. È un sistema capitalistico dove si produce poco e si parla molto (in modo politi-

camente corretto), dove un piccolo gruppo di supermanager guadagna cifre astronomiche mentre la maggior parte delle persone guadagna poco o pochissimo ma pur sempre abbastanza per restare consumatrice seriale di cibo, oggetti e servizi che diventano via via più scadenti. Il CEO capitalism ci ha abituati a prodotti-servizi di scarso valore che costano solo apparentemente poco e che, in realtà, fanno arricchire in modo fantozziano i pochissimi padroni delle ferriere digitali. Tutto si è fatto commodity fino alla gratuità (interessata) del mondo della comunicazione digitale». Da ultimo una domanda spontanea: Per lei che ha a lungo frequentato gli uomini e le donne ai vertici dell’economia e della politica mondiale, che cos’è il potere? «Il potere è la droga delle aziende. Io ammiro i grandi uomini di potere quando si pongono al di sopra dei fatti contingenti. Per esempio Vittorio Valletta in Fiat aveva un immenso potere ma guadagnava pochi soldi, che lasciò in eredità al centro per la diagnosi e la cura dei tumori intitolato alla sua unica figlia però fece sempre gli interessi degli stakeholder. Nelle segrete stanze del potere non si concepiscono grandi disegni strategici. Invece vi si ritrova il medesimo dosaggio di capaci e di incapaci, intelligenti e cretini che si incontrano nella vita di tutti i giorni. Mi auguro che lo shock del post Virus sia uno stimolo ai giovani per riflettere se il mondo che stiamo loro consegnando non abbia bisogno di robuste modifiche, più ascensore sociale, meno cooptazione, più libertà».


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PRIMO PIANO / GIANLUCA AMBROSETTI

IL SOLE CI SALVERÀ DALL’INQUINAMENTO? cipalmente di tecnologia dell’idrogeno. Dopo un periodo nell’industria, durante il quale sono stato direttore tecnico del reparto RFID di nuova costituzione presso Finser Packaging SA, ho quindi iniziato un dottorato presso l’ETH di Losanna nel 2007, che ho completato nel 2010. Dal 2011 al 2015 ho guidato un gruppo di ricerca presso Airlight Energy, una società che si occupava di energia solare. Un’esperienza molto importante poi purtroppo conclusasi con il cambiamento del management e delle strategia della società. Infine, nel 2016 ho co-fondato la società Synhelion».

MOLTI LO CONOSCONO PER LE SUE APPREZZATE ESIBIZIONI JAZZISTICHE INSIEME AL PADRE FRANCO, MA GIANLUCA AMBROSETTI È SOPRATTUTTO UN AFFERMATO RICERCATORE E UN IMPRENDITORE, CEO DI SYNHELION, SPIN-OFF DEL POLITECNICO DI ZURIGO FONDATA NEL 2016 CON L’OBBIETTIVO DI INDIVIDUARE E REALIZZARE SOLUZIONI NEL CAMPO DEI COMBUSTIBILI SOLARI SOSTENIBILI.

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TICINO WELCOME / MAR - MAG 2021

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uale è stato il percorso che l’ha portato ad occuparsi delle possibilità di utilizzo dell’energia solare? «Dopo essermi diplomato al liceo nel 1994, ho studiato sassofono jazz a Boston, Losanna e Parigi fino al 1997, pensando di dedicarmi poi all’attività di musicista professionista. Tra il 1997 e il 2003 ho conseguito tuttavia anche una laurea magistrale in Fisica teorica presso l’Università di Bologna. In qualità di consulente della Camera di Commercio del Ticino, ho poi elaborato una perizia sugli azionamenti di energia alternativa nella circolazione stradale, dove mi sono occupato prin-

Quali sono le finalità di questa società? «Synhelion mira a sostituire i combustibili fossili con combustibili sintetici economicamente sostenibili, compatibili con l’attuale infrastruttura globale di combustibili e ridurre le emissioni nette di CO2 fino al 100%. Le soluzioni di Synhelion combinano sistemi di torri solari all’avanguardia con processi termochimici proprietari ad alta temperatura per la produzione di combustibili solari». Sulla base di quali processi vi proponete di produrre carburante dall’aria e dal sole? «L’impianto sperimentale sul tetto del Politecnico di Zurigo produce un carburante sviluppato a partire da acqua e CO2. Già oggi in linea di principio questo carburante può essere utilizzato come la benzina per riempire il serbatoio di una convenzionale autovettura. L’impianto ricava l’anidride carbonica CO2 e l’H2O necessarie da normalissima aria. Il sistema separa l’ac-


PRIMO PIANO / GIANLUCA AMBROSETTI

qua contenuta nell’aria ambiente e la CO2 in un filtro nanotecnologico sviluppato appositamente. Una volta separati, il sistema conduce entrambi gli elementi in un reattore solare in ceramica, in grado di sopportare un fortissimo calore. Per mezzo di uno specchio parabolico, l’energia solare pura riscalda la miscela di acqua e CO2 a 1500 gradi Celsius. Sottoposte a queste alte temperature, acqua e CO2 vengono convertite in una miscela di idrogeno-monossido di carbonio, che nei passaggi successivi diventa benzina, cherosene o metanolo».

È possibile avanzare una previsione circa i tempi necessari per arrivare ad una commercializzazione di questi carburanti? «La produzione del nostro carburante solare è ancora molto costosa tenendo

conto del fatto che, invece, il prezzo attuale dei combustibili fossili non comprende i costi ambientali esterni per ridurre o addirittura evitare CO2 e altre sostanze nocive che causano l’inquinamento dell’aria e il riscaldamento globale. La sostenibilità deve essere considerata un investimento a lungo termine che le future generazioni sotto forma di un sistema di approvvigionamento energetico rispettoso dell’ambiente. Il combustibile sintetico non può quindi ancora competere con la benzina e il cherosene tradizionali in termini puramente economici. L’obiettivo è ora quello di portare la tecnologia a livello industriale e diventare competitivi. A questo scopo Synhelion collabora con il sostegno dell’Ufficio federale dell’energia e di un altro partner di primo piano. La tecnologia avrà bisogno ancora di un paio di anni per poter produrre in modo più economico. La produzione commerciale sarà quindi possibile al più presto all’inizio del 2022».

La produzione di questi carburanti determina emissioni nocive per l’ambiente? «I nuovi combustibili sintetici risultano essere quasi neutri dal punto di vista climatico, a parte la – poca – energia grigia necessaria per produrre l’impianto solare termico. Durante la combustione del combustibile infatti viene rilasciata solo la quantità di CO2 prelevata dall’aria per la produzione. Il resto dei «gas di scarico» è acqua. Inoltre, l’infrastruttura globale esistente, vale a dire le condutture, le stazioni di rifornimento, i motori ecc., risulta idonea anche per la distribuzione, lo stoccaggio e l’utilizzo dei nuovi combustibili solari». TICINO WELCOME / MAR - MAG 2021

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PRIMO PIANO / VALÉRIE HEIMANN

UNA TICINESE AD AMSTERDAM

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uando hai lasciato il Ticino per la prima volta? «Finito il liceo mi sono trasferita a Zurigo per conseguire gli studi universitari, laureandomi con un Bachelor in Media & Communication, Management & Economics e Sociology. Qui ho imparato in particolare a conoscere nuove forme ibride di pubblicità, efficienti tattiche di Crisis & Risk Communication e le migliori strategie a livello di social media per implementare campagne elettorali di successo. Per unire nozioni accademiche a esperienza pratica, ho effettuato degli stage tra un semestre e l’altro, sia in Ticino che in svizzera tedesca. Ho lavorato presso due diverse testate giornalistiche, alla radio televisione, in un dipartimento aziendale di marketing, al Locarno Film Festival e infine in una media agency situata a Zurigo». Poi hai deciso di partire... «Ho sempre voluto fare un’esperienza all’estero, in quanto sono estremamente convinta del valore aggiunto che conferisce a livello personale, accademico e professionale. L’università di Amsterdam è riconosciuta come prima al mondo per la facoltà di comunicazione e offre più di 5 diversi indirizzi di master all’interno del dipartimento. Il programma di Persuasive Communication si concentrava principalmente su Marketing e Health Communication, un campo, quest’ultimo, pressoché nuovo per me, ma che si è rilevato subito molto interessante».

«Sono una viaggiatrice inarrestabile e dell’Olanda mi ha subito catturato il modo semplice e spontaneo di vivere, di Amsterdam mi sono innamorata per i suoi paesaggi da fiaba e la forte internazionalità di una città popolata da giovani ambiziosi. In azienda sono particolarmente entusiasta del grande spirito di squadra, la curiosità e la dedizione di tutti i colleghi e i capi ai vertici». Non ti occupi di marketing per vendere prodotti, ma per aiutare aziende di livello mondiale a comprendere e comunicare l’impatto del loro operato su aspetti legati alla sostenibilità. Raccontaci del tuo lavoro… «Attualmente lavoro per Global Reporting Initiative (GRI), un’organizzazione internazionale pioniera della pratica del reporting di sostenibilità, con sede principale ad Amsterdam e filiali in America, Asia e Africa. La missione dell’azienda è facilitare decisioni che creano benefici sociali, ambientali ed economici su larga scala. Questo obiettivo viene raggiunto aiutando aziende e governi in tutto il

VALÉRIE HEIMANN, 26ENNE NATA A MENDRISIO E CRESCIUTA A PORZA, DOPO GLI STUDI VOLEVA ANDARE ALL’ESTERO E COSÌ HA FATTO. ORA VIVE AD AMSTERDAM DOVE LAVORA PER GLOBAL REPORTING INITIATIVE (GRI), AIUTANDO AZIENDE E ORGANIZZAZIONI A CAPIRE E COMUNICARE L’IMPATTO DEL LORO BUSINESS SU IMPORTANTI TEMATICHE LEGATE ALLA SOSTENIBILITÀ. DI GIORGIA MANTEGAZZA

Come mai hai deciso di rimanere in Olanda? TICINO WELCOME / MAR - MAG 2021

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PRIMO PIANO / VALÉRIE HEIMANN

mondo a capire e comunicare il loro impatto su importanti problematiche legate alla sostenibilità quali il cambiamento climatico, la governance e il benessere sociale. GRI sviluppa, aggiorna e traduce in molteplici lingue un set di linee guide (chiamate GRI Standards) che ogni azienda, organizzazione o ente interessato può utilizzare per creare un reporting di sostenibilità, ovvero un’analisi della performance del proprio business sotto il profilo dello sviluppo sostenibile. Questa attività innesca azioni volte a implementare o perfezionare pratiche che creano un valore aggiunto per l’impresa, l’ambiente e la società». Qual è il tuo ruolo all’interno dell’azienda? «Il mio ruolo come Conferences & Events Coordinator nel team External Affairs è di coordinare l’organizzazione e la realizzazione di conferenze, simposi, eventi, tavole rotonde e ulteriori appuntamenti sia pubblici che a circolo chiuso, dove vengono illustrati i benefici della pratica del reporting di sostenibilità e lanciati nuovi GRI Standards, oppure ospitate interviste con esponenti di aziende che condividono la propria esperienza con questa procedura. Nei due anni in azienda ho supportato la pianificazione e l’attuazione di 3 Summits americani, di cui il più recente online, un Summit nelle Filippine, l’inaugurazione dell’apertura di un nuovo ufficio a Singapore e diverse tavole rotonde in Europa. Inoltre, sono stata responsabile dello svolgimento sul luogo dell’evento di lancio a Milano della traduzione italiana dei

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GRI Standards e di un incontro a porte chiuse a Bruxelles con una decina di rappresentanti governativi».

vernance e al rafforzamento della reputazione e delle relazioni chiave con gli stakeholders».

Come rispondono le aziende alle vostre proposte? «I GRI Standards sono i primi standards globali per il reporting di sostenibilità e i più largamente adottati a livello mondiale. Dagli inizi di GRI nel 1997 ad oggi abbiamo trasformato questa pratica da un’attività di nicchia ad una procedura utilizzata da una crescente maggioranza di imprese. Infatti, il 93% delle 250 più grandi corporazioni al mondo riportano la loro sustainability performance. In quasi 25 anni di attività GRI ha testimoniato un accresciuto interesse mostrato dalle organizzazioni di tutto il mondo operanti nelle industrie più disparate verso la divulgazione delle proprie informazioni relative all’impatto ambientale, con molte aziende che si sono attivate per istituire internamente veri e propri dipartimenti dedicati a questa tematica. Abbiamo difatti assistito con piacere a un cambio radicale».

Nella tua vita a livello di sostenibilità è cambiato qualcosa? «Sicuramente essendo a stretto contatto ogni giorno con tematiche ambientali la mia consapevolezza del considerevole contributo che come individuo posso dare per salvaguardare l’ambiente si è rafforzata. In generale nella società di oggi si percepisce un’accresciuta sensibilità per il discorso ambientale. In questo senso sia aziende che governi hanno fatto enormi passi in avanti implementando misure a favore di un sistema di produzione più considerevole della realtà circostante. Penso per esempio ad importanti progressi tecnologici che hanno beneficiato l’esplorazione di fonti di energia rinnovabile. Parte integrante di un comportamento responsabile verso la conservazione del pianeta è identificare e utilizzare al meglio il potenziale della realtà in cui si vive e si opera. Se Paesi come India e Cina sono tutt’ora confrontati con importanti numeri legati all’inquinamento, l’Olanda è un ottimo esempio di uso funzionale del territorio, dove si è fatta leva sulla morfologia pianeggiante per incentivare l’utilizzo della bicicletta. Anche in Svizzera, nazione particolarmente attenta e sensibile allo sviluppo sostenibile, si è già fatto molto in questo senso».

Quali sono i benefici che un’organizzazione può trarre da questa pratica? «I benefici sono molteplici: agire in nome della trasparenza porta a ispirare responsabilità, sostenere altre imprese, proteggere l’ambiente e migliorare la società in cui la stessa azienda opera, aiuta a identificare e gestire rischi, così come a cogliere nuove opportunità, senza dimenticare che innesca una spinta economica grazie al perfezionamento della go-

Tornerai mai in Svizzera? «La Svizzera è sempre la mia casa, punto di partenza e punto d’arrivo, è sicuramente la destinazione finale. Il mondo di oggi offre infinite possibilità per giovani curiosi come me e un’esperienza all’estero permette di accumulare un grande bagaglio di conoscenza, padronanza di lingue straniere, accresciuta indipendenza e comprensione di diverse culture, resilienza e molto altro. Questo è un forte mix che mi auguro permetta un rientro in patria con un sapore tutto nuovo, che più che di ritorno alle origini sa di nuova avventura».


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La nostra rete internazionale


PRIMO PIANO / KARIN VALENZANO ROSSI

FUNZIONE E RUOLO DELLA CORPORATE GOVERNANCE LE NUOVE SFIDE DEI CONSIGLI DI AMMINISTRAZIONE: TRA CORPORATE GOVERNACE, RESPONSABILITÀ SOCIALE DELLE IMPRESE E PANDEMIA. IL CONTRIBUTO DI KARIN VALENZANO ROSSI, AVVOCATO, NOTAIO E MEMBRO DI CDA INDIPENDENTE.

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n questi ultimi anni è cresciuta a tutti i livelli la consapevolezza del ruolo e delle responsabilità legate alla funzione di membro di consiglio di amministrazione di aziende e società operative nei vari settori, dalle imprese famigliari, passando dalle piccole e medie imprese – forza trainante che costituisce la spina dorsale dell’economia del nostro paese - per arrivare alle realtà societarie più grandi, quotate in borsa e alle multinazionali. Piano piano si sta delineando vieppiù una funzione con una sua legittimità e valore,

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che finalmente si affranca dai pregiudizi e dalle consuetudini, che vedono nel ruolo del consigliere di amministrazione solo una figura quasi onorifica, ben remunerata senza particolari compiti o responsabilità. Immagine questa errata, poiché offuscata e falsata da leggende metropolitane che adombrano, gettando un velo di sfiducia su una funzione fondamentale, che invece appare centrale per il buon funzionamento societario e aziendale delle molte imprese che costituiscono il tessuto economico e imprenditoriale.


PRIMO PIANO / KARIN VALENZANO ROSSI

Questa evoluzione nella percezione del ruolo fondamentale svolto dall’organo societario di gestione e di alta direzione (il consiglio di amministrazione appunto) è figlia dell’affermarsi, sia a livello internazionale sia a livello nazionale, di concetti di corporate governance sempre più consolidati, condivisi e diffusi. In estrema sintesi, la corporate governance è l’insieme di strumenti, regole, relazioni, processi e sistemi aziendali finalizzati ad una corretta ed efficiente gestione dell’impresa, intesa come sistema di bilanciamento degli interessi, spesso potenzialmente divergenti, di azionisti, di portatori d’interesse e degli organi societari. La struttura della corporate governance esprime quindi le regole e i processi con cui si prendono le decisioni in un’azienda, le modalità con cui vengono decisi gli obiettivi aziendali, i mezzi per il loro raggiungimento e per la misurazione dei risultati. Le regole di corporate governance fanno riferimento sia alle leggi ed ai regolamenti dell’ordinamento giuridico del Paese nel quale l’azienda opera sia alle regole interne all’impresa stessa. Le relazioni si riferiscono in particolare a quelle tra tutti gli attori coinvolti dalle attività societarie: i proprietari (ossia gli azionisti), i manager, gli amministratori, le autorità regolatorie e di vigilanza, i dipendenti e la società civile in senso ampio. I processi e i sistemi si riferiscono ai meccanismi di delega dell’autorità, alla misurazione delle performance, alla sicurezza, al reporting e alla contabilità. Oltre alla corporate governance, complice una sempre maggior sensibilità sociale a livello di opinione pubblica, sta assumendo un ruolo centrale anche la responsabilità sociale d’impresa - corporate social responsablity - che si riferisce all’ambito riguardante le implicazioni di natura etica all’interno della visione strategica d’impresa: una manifestazione della volontà delle grandi, piccole e medie imprese di gestire efficacemente le problematiche

d’impatto sociale ed etico al loro interno e nelle zone di attività. È in sostanza l’esigenza affermatasi di un contesto culturale, intellettuale e sociale in cui si chiede ad un›impresa di adottare un comportamento socialmente responsabile, monitorando e rispondendo alle aspettative economiche, ambientali, sociali di tutti i portatori di interesse con l›obiettivo di cogliere anche un vantaggio competitivo e massimizzare gli utili di lungo periodo. In questo rinnovato contesto di accresciute esigenze normative, regolamentari, comportamentali e sociali, in un mondo economico confrontato con trend disruptivi – come la digitalizzazione e la trasformazione tecnologica - che sconvolgono in tempi brevissimi dinamiche e modelli di lavoro e produzione tradizionali e perfettamente proficui per decenni, sono richieste sempre maggiori competenze e consapevolezza del proprio ruolo, compiti e responsabilità, anche e soprattutto ai consiglieri di amministrazione. Si sta così delineando la figura professionale del consigliere di amministrazione indipendente, formato specificatamente e preparato per poter far parte dell’organo di amministrazione di società e aziende diverse, non per forza tutte necessariamente attive nel medesimo settore di attività economica. Questo naturalmente determina la necessità di avere dei percorsi formativi specifici e di abbandonare la logica delle nomine per meriti di ceto, ruolo, conoscenze personali e ancor meno per riconoscimento di impegno e/o meriti sociali, politici o di altra natura. Finalmente! Il ruolo di consigliere comporta rischi legali e reputazionali diretti, con responsabilità di natura civilistica, amministrativa, fiscale e penale, da cui la necessità di una formazione continua che permetta lo svolgimento ottimale e sereno dei compiti di consigliere e una garanzia di professionalità alle aziende e ai loro azionisti. A livello nazionale e internazionale,

si constata altresì il crescente, seppur lento, coinvolgimento delle donne. L’attività di consigliere di amministratore in seno ad un’azienda non è infatti un lavoro a tempo pieno. L’investimento in termini di tempo dipendende in particolare dalla tipologia di azienda e della sua grandezza e attività, ciò che permette di gestire con una certa flessibilità un portafoglio di alcuni mandati, molto bene conciliabile con le necessità famigliari e di vita, che potrebbe così permettere un’assunzione sempre maggiore di donne in questi ruoli. Anche in Svizzera è stata recentemente introdotta la necessità di garantire all’interno dei consigli di amministrazione, per il momento solo delle società quotate, una diversità di genere di almeno il 30%. Si tratta di un’esigenza che per il momento non determina alcuna conseguenza pecuniaria diretta nella misura in cui non sia rispettata, ma solo la necessità di dare conto nel rapporto annuale sulle remunerazioni del mancato raggiungimento della quota minima, delle relative ragioni e delle conseguenti misure pianificate per raggiungere la quota minima prescritta. Anche se di mera natura esplicativa, questa conseguenza ha senz’altro una valenza importante in termini reputazionali, in particolare alla luce dell’accresciuta sensibilità dell’opinione pubblica, dei media e degli investitori in termini di responsabilità sociale delle imprese ed è quindi benvenuta. E che dire della pandemia? Si tratta, a non averne dubbi, di una situazione straordinaria ed eccezionale, che ha generato un’insicurezza generale, trasformando la gestione delle attività aziendali quotidiane in una permanente gestione di situazione di crisi. Affrontare l’emergenza prolungata per sopravvivere, uscirne al meglio, e magari più forti di prima, è diventata la nuova normalità quotidiana che richiede competenze, tempo, carisma e sangue freddo! TICINO WELCOME / MAR - MAG 2021

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GRANDANGOLO / MORENO BERNASCONI

GLI ALGORITMI NON SONO NEUTRALI

OGNI MESE, OGNI GIORNO CHE PASSA, SI VA ALLARGANDO IL DIVARIO FRA LA REAZIONE A CATENA SOCIO-ECONOMICA SCATENATA DALLA RIVOLUZIONE DIGITALE E UNA GOVERNANCE POLITICA E GIURIDICA SUPERATA DAGLI EVENTI E MINATA DA UN’INCERTEZZA SEMPRE PIÙ PROFONDA QUANTO AI SUOI VALORI FONDANTI. A QUANDO LO STRAPPO? E CON QUALI CONSEGUENZE PER I CAPISALDI DELLE NOSTRE DEMOCRAZIE?

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he ci sia un’urgente necessità di agire è evidente se si guarda all’ampiezza delle trasformazioni dal punto di vista economico e sociale. Durante i “trent’anni gloriosi” del secondo dopoguerra - quando la mobilità fisica individuale era diventata il simbolo della libertà - a dominare i mercati finanziari erano le grandi società produttrici di petrolio, le cosiddette “Sette sorelle”, un paio delle quali rimarranno fra i maggiori gruppi azionari al mondo fino a una decina di an-

ni fa. Ma oggi, a dominare le borse sono tutte le grandi società americane del web Google, Apple, Facebook, Amazon e Microsoft e le loro concorrenti cinesi Baidu, Alibaba, Tencent, Xiaomi e Huawei (l’Europa è fuori gioco), che grazie alle tecnologie digitali hanno fatto dello scambio di informazioni e contatti sulla rete (la mobilità virtuale) e del commercio di dati il principale business del Ventunesimo secolo. Per dare un’idea, nel solo quarto trimestre del 2020 - l’anno della pandemia che ha paralizzato


GRANDANGOLO / MORENO BERNASCONI

il mondo - il gigante delle reti sociali Facebook ha incassato 11 miliardi di dollari di utili, in crescita del 53% rispetto all’anno precedente. I predicatori del nuovo “sole dell’avvenire digitale” vantano il vento rivoluzionario di questa svolta: il fatto che queste aziende non nascono da imperi dinastici come quello dei Rockefeller ma dalle idee geniali di alcuni giovani squattrinati studenti, partorite in un garage di casa o in una stanza del campus di Harvard e trasformate in start up che hanno cambiato il mondo. Si compiacciono che grazie a Google, Apple e Microsoft l’informazione e il sapere non siano più appannaggio di pochi ma siano diffusi e condivisi; che grazie a Wikileaks i potentati politici ed economici siano nudi e grazie ai social network i cambiamenti sociali e la resistenza politica, le Primavere arabe o le rivolte popolari di Hong Kong, siano rese possibili e conosciute nel mondo intero. Nell’era dell’intelligenza interconnessa, l’informazione, l’interazione e addirittura le transazioni economico-finanziarie possono ormai avvenire senza intermediari, da pari a pari, e nell’era digitale una nuova imprenditoria è alla portata di tutti coloro che hanno le idee, la creatività e la tenacia per innovare lanciando una start up. C’è del vero. Anche senza accompagnarla col suono delle trombe, la rivoluzione digitale è effettivamente senza precedenti, paragonabile - dicono alcuni - a quella della ruota e della stampa messi insieme. Ma questa è la faccia creativa e positiva di una rivoluzione che purtroppo sta procedendo senza regole o quasi ad una velocità supersonica. Un processo che corre e si autoalimenta anarchicamente e che mette a dura prova l’apparato politico-istituzionale e giuridico costruito sull’arco di secoli a protezione dei diritti dell’uomo e della democrazia. Se ad esempio i social network permettono di trascendere le frontiere di nazionalità aprendosi agli altri su scala planetaria, d’altra

parte essi configurano una società di tipo neotribale in cui i like e i dislike includono ma anche manipolano pervasivamente i coomportamenti ed escludono clanicamente chi non risponde ai requisiti voluti. In cui i blog, i tweet, le immagini, possono trasmettere angoscia e odio e dove l’informazione non verificata o manipolata può raggiungere una rete capillare di persone per favorire campagne di denigrazione, condanne senza processo e anche il terrorismo. Nei social network dove si accede in modo nominale, il finanziamento avviene tramite la consegna agli inserzionisti dei dati personali e comportamentali degli utenti. La privacy è invasa e la manipolazione dei comportamenti (consumistici ma anche politici) su vasta scala non solo è possibile ma già effettiva. Gli algoritmi, infatti, non sono neutrali. Dove sono finiti i principi fondanti delle nostre istituzioni democratiche come la presunzione di innocenza e il diritto ad essere giudicati da un tribunale e non dalla piazza, magari aizzata, o il diritto all’autodeterminazione tutelato dalla privacy? Oppure semplicemente la tolleranza nei confronti delle opinioni altrui? A simili quesiti sociopolitici che richiederebbero, con adeguate riforme giuridiche, il coraggio e la volontà di non seguire l’onda del popolaccio se ne aggiungono altri di natura economica e fiscale. Di fronte all’odierno strapotere economico-finanziario dei giganti del web (il valore di mercato del cosiddetto GAFAM supera il PIL cumulato della Francia e della Germania) occorre avere la volontà politica di adottare misure incisive simili a quelle della legge votata nel 1890 negli Stati Uniti per contrastare i cartelli della Standard Oil di Rockefeller, l’American Tobacco e il gruppo chimico Du Pont. E trovare inoltre soluzioni internazionali che impediscano un dumping fiscale sistematico. Questa necessità di non subire ma di governare la rivoluzione digitale e i

suoi sviluppi - se si vogliono preservare valori fondamentali per l’individuo e la democrazia - non trova oggi un terreno particolarmente propizio. Infatti, il primo corno del gigante economico digitale è statunitense. Ciò significa che la rete è controllata e usata dai servizi di intelligence e dalle società americane in funzione degli interessi strategici (e venali) della prima economia mondiale. Il secondo corno è cinese. Ciò significa che la rete è controllata pervasivamente e usata come strumento di potere da un governo autoritario per il quale la privacy, l’autodeterminazione personale e della società civile, i diritti democratici, sono repressi perché considerati d’intralcio al progresso “armonico”, economico e sociale, di un Paese gigantesco che mira a diventare economicamente egemone nel mondo. E che utilizza anche a questo scopo i formidabili strumenti di controllo su scala mondiale che offre la propria tecnologia digitale. L’Europa, che in questo campo strategico è a rimorchio, non potrà non scegliere da che parte stare. Ma mi auguro altresì che sappia investire le proprie energie migliori per cercare da un lato di recuperare il terreno tecnologico perduto e dall’altro per contribuire a dare a una rivoluzione foriera anche di serie minacce un quadro etico-giuridico internazionale indispensabile e urgente.

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LEADER ALLO SPECCHIO / MONICA DUCA WIDMER

L’APPARENZA INGANNA (L’ENERGIA VIVACE NO) “TENTIAMO L’ESPERIMENTO! QUALE CAPPELLO PREFERISCE CHE INDOSSI PER L’INTERVISTA: USI, RUAG, ALTRO?” “NESSUNO, GRAZIE. SEMPLICEMENTE LEI E LA SUA UMANITÀ”.

DI GERARDO SEGAT

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eccellenza, nelle sue competenze, conoscenze e abilità. L’autenticità, rispetto ai suoi valori, opinioni, identità e anche desideri, emozioni, fragilità. Lo scopo altruistico, il fine ultimo di ciò che fa, che esula da sé stessa e i suoi cari. A quale di queste tre spinte evolutive del leader desidera rispondere maggiormente in futuro rispetto a quanto già fa oggi? «Alla più forte: l’autenticità. Ciò che faccio lo faccio perché ci credo, lo sento, lo penso e lo voglio così. Perché sono io».

“Alla leadership ticinese regalo sicuramente il fare squadra per vincere, accordandosi”. 52

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Si parla molto di autenticità del leader e si fa molta fatica ad uscire dalla propria area di comfort. Fin dove la prima si spinge in lei come leader?

«Fino al massimo possibile, nei limiti della democrazia ovvero di visioni e idee diverse che possono prevalere. Nei miei mandati porto avanti ciò che sento e ritengo giusto e se d’un tratto mi ritrovo a dover portare avanti cose in cui veramente non credo, allora preferisco lasciare il campo». Come la pandemia ha cambiato il suo stile di leadership? «L’ha cambiato tanto. La mancanza di interscambio umano colloquiale ha reso il mio stile molto formale. C’è maggior preparazione delle riunioni perché niente può andare storto, quasi non si può più sbagliare. L’ha reso più freddo, veloce e razionale e meno umano. Si va agli estremi, o bianco o nero, mentre quando si è assieme accanto c’è tutto un mondo colorato».


LEADER ALLO SPECCHIO / MONICA DUCA WIDMER

La pandemia è stata un promemoria di vulnerabilità e incertezza per tutti: in che modo lo è stato per lei, come individuo e come leader? «Mi ha portato a frenare e riflettere sul mio modo di vita: ma come facevo a correre sempre così tanto?». Le porgo questo specchio. C’è lei e la sua immagine riflessa. Se io la guardassi come sta facendo lei, con i suoi occhi, cosa vedrei di diverso che da qui fuori non vedo? «Vedrebbe che la rigidità che ho professionalmente verso gli altri l’ho anche con me stessa, utilizzo la stessa scala». Immagini che questo specchio rifletta la sua anima. Com’è e come vorrebbe fosse diversa? «La mia anima deve avere un sorriso alto così e mi piacerebbe che fosse un po’ meno ottimista, ingenua e più prudente, cauta nei contatti umani». Guardandosi allo specchio, cosa non vede o non vuole vedere di sé? «Non vorrei vedere che gli anni passano: che gioia mi vedessi avere sette anni!». Di intimo e rilevante per me, non sapete ancora che… «…il progetto meglio riuscito della mia vita sono i miei due figli. Molti non sanno che sono anche una mamma». Cosa di lei la fa sorridere e cosa di lei, invece, la intristisce? «Sorrido al mio sorriso, alla mia positività. Mi rattrista la mia voglia di fare troppo e faccio fatica a cambiare regime. Prima o poi ci sarà un conto da pagare, arriverà il giorno. Sono nata un secolo troppo presto, avrei potuto fare di più e più velocemente». Gira la ruota delle avversità e si ferma sull’incertezza, la più grande sinora nella sua vita. A suo tempo, nella situazione che ha in mente ora, come ne trasse beneficio?

«Facendo una scelta. Fu una lotta con me stessa, mi ricordo che non riuscivo più ad avere il mio solito sorriso. Nessuno mi poteva aiutare, solo io potevo. Nell’incertezza devi muoverti tu, richiede di scegliere. E così feci». In ogni negatività, grande o piccola, c’è del positivo, grande e piccolo. Cosa le ha regalato di bello, grande e piccolo, il virus? «Sono stata felicissima che la Svizzera abbia ricevuto una forte spinta nella digitalizzazione grazie ad una rinnovata consapevolezza di nuove modalità di comunicazione e di mobilità. Di piccolo, invece, ho accolto la possibilità di passare più tempo a casa con i miei famigliari». In passato, come ha rimediato ad un torto rilevante fatto o ad un errore significativo commesso e cosa ne è derivato? «Nel modo più semplice ed efficace: chiedendo scusa, più di una volta. Mi ha fatto sentire più leggera, più sollevata e ha consolidato i rapporti umani» Torni a quel momento in cui ha chiesto un aiuto importante: come ha vinto i timori e che impatto ha avuto nella sua vita? «Non ho avuto timori perché l’aiuto era per una buona causa, non per me stessa. Mi ha rasserenata e chi me lo ha dato si è rafforzato perché ha capito l’intento». Mi ha appena detto che l’impazienza è un suo punto debole influente. Immaginiamo che sia il mio. Siamo amici e vengo da lei per un consiglio: Monica, come faccio a trasformarlo in un punto di forza? «Gerardo, guardalo come un’opportunità per imparare a frenare la lingua ed essere gentile con le persone mettendole a loro agio. Da una parte lascia andare di più e considera che ci sono cose più importanti, dall’altra valuta bene se anche gli altri devono correre, se ha effettivamente valore aggiunto».

Immagini di avere tre mesi di vita. Cosa cambia della sua quotidianità? Quale sogno tira fuori dal cassetto? Che emozioni prova? A chi dà l’ultima carezza? «Continuo a fare ciò che faccio se posso, con più attenzione verso i miei cari. Poter passare gli ultimi mesi con le persone che sanno farmi ridere, che mi sono accanto e a cui sono grata è il mio sogno. L’ultima carezza è un’unica lunga carezza a mio marito e ai miei due figli tutti insieme». Torni a quel momento in cui ha pianto col singhiozzo e lo visualizzi: quelle lacrime, potessero parlare, cosa le direbbero? «Nella vita, Monica, devi sempre essere positiva, vedere il bello degli altri, dirglielo e ringraziarli». Mi faccio piccolo, così piccolo da entrare in lei e camminare fino al suo cuore. Apro la porta, accendo la luce: cosa vedo? «Vede un luogo affollato (non conforme alle restrizioni Covid!). Tanta gente che aiuta a pompare sangue e mi dà l’energia per andare avanti. Vede anche una parete di fotografie appese delle persone che non ci sono più, la parte del cuore che soffre». Quale è la sua fragilità e come la accoglie nella sua quotidianità? «Anche se non sembra, sono molto sensibile e soffro quando vengo tradita o delusa dalle persone. Faccio molta fatica a gestirla e lo faccio preavvisandoli, dicendoglielo prima che accada con l’auspicio di prevenirla». Com’è un mondo senza rancori, con maggiore consapevolezza della propria responsabilità, empatia e accettazione di sé stessi e degli altri? «Sicuramente un bel mondo, soprattutto se si previene il rancore piuttosto che rimediarlo con il perdono». TICINO WELCOME / MAR - MAG 2021

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LEADER ALLO SPECCHIO / MONICA DUCA WIDMER

E un mondo che funziona ad obiettivi emozionali invece che fattuali o numerici? «Le emozioni sono molto importanti ma ci devono essere tutte le componenti, anche la razionalità. L’emotivo è di passaggio, il razionale è ciò che resta». Le dono una bacchetta magica prepagata per uno specifico desiderio: quale nuova qualità regala alla leadership ticinese di tutti gli ambiti, non solo quello politico, che oggi non vede? «Alla leadership ticinese regalo sicuramente il fare squadra per vincere, accordandosi».

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Rifarebbe quello che ha fatto? «Sì». Che sensazioni le ha dato questa chiacchierata? «Spero esca che sono una persona totalmente normale. Mi vedono rigida, che tartasso ma non sono solo quello, è solo l’immagine mia che appare. Spesso mi sento dire “non pensavo che fossi così” quando mi conoscono meglio. Faccio mille cose, sono un po’ agitata, richiedo velocità, anche con me stessa. Quando risponderò maggiormente all’autenticità penso che gli altri mi vedranno di più per chi sono, anche una madre di famiglia ad esempio. Questo è anche il senso di questa piacevole chiacchierata».

sa, che di solito non mi capita nella giornata. Ho risposto a domande che normalmente non mi faccio ed è stato come leggere sei libri tutti assieme». Riprenda per favore lo specchio. In conclusione, cosa sussurra nell’orecchio della sua immagine riflessa? E in quello di chi la sta leggendo in questo istante? «Difficile questa. A me sussurro “prenditi più tempo per te stessa”. A te lettore “non lasciarti vincolare da stereotipi e fai ciò che senti”».

Che domanda vuole che le faccia in dirittura d’arrivo? «Rifarebbe quello che ha fatto?».

Che valore particolare ha avuto per lei? «Mi sono raccontata per chi sono veramente. Mi sono fermata un attimo, è stata un’occasione per riflettere, diver-

A partire da aprile, l’azienda familiare Kurz offrirà una vasta gamma di orologi esclusivi di alta qualità e numerose collezioni di gioielli, sotto i portici storici di via Nassa, al numero 5, nel cuore di Lugano. «Dal 1948, il marchio Kurz nella Svizzera tedesca e francese è sinonimo di gioielleria di qualità, nonché di orologi e gioielli esclusivi. Sono molto lieta di annunciare la nuova presenza del nostro marchio in Ticino, in questa magnifica boutique storica. Il marchio Kurz è sinonimo di lusso accessibile e coltiva valori come l’ospitalità e la soddisfazione del cliente», ha dichiarato Doris Mancari, CEO di Kurz SA. Giovanni Frey (62 anni), forte della sua pluriennale esperienza a livello locale come store e branch manager di

La gioielleria Kurz apre a Lugano

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rinomate boutique di gioielli a Lugano, è stato nominato direttore di filiale. Frey userà la sua esperienza e le sue capacità per accompagnare lo sviluppo della nuova boutique Kurz: «Sono felice di accettare questa nuova sfida e di contribuire con la mia esperienza, la mia passione e le mie competenze nel campo dell’orologeria e della gioielleria per promuovere Kurz nella Svizzera italiana». La gioiellieria KURZ conta attualmente otto boutique nelle regioni di Zurigo, Basilea, Berna, Lucerna e Ginevra e impiega complessivamente circa 100 persone. La gamma dei suoi prodotti comprende alcune linee di

gioielli di alta qualità, con diamanti, oro, perle e gemme colorate, così come una collezione esclusiva di fedi nuziali Kurz. In tutte le sue boutique, propone gioielli dal design contemporaneo e fornisce una consulenza completa in materia di stile. Kurz commercializza i modelli di 21 grandi marche di orologi. Fondata nel 1948 da Armin Kurz a Zurigo, da settembre 2020 l’azienda appartiene all’impresa familiare svizzera IGS SA.



LAC / LINGUA MADRE

CAPSULE PER IL FUTURO 01

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UN PROGETTO SUGGERITO DALL’URGENZA DEL TEMPO PRESENTE, IDEATO DA CARMELO RIFICI, DIRETTORE ARTISTICO DEL LAC E DA PAOLA TRIPOLI, DIRETTRICE ARTISTICA DEL FIT FESTIVAL INTERNAZIONALE DEL TEATRO E DELLA SCENA CONTEMPORANEA.

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l 2020 si è rivelato essere un anno drammatico, un anno segnato da una crisi che ha coinvolto il pianeta nella sua interezza, svelando quello che potremmo definire “il dramma” globale dell’umanità. In un momento come questo, ognuno deve continuare a fare la sua parte. Obbligato alla sospensione della stagione artistica, il LAC ha scelto la strada della riflessione, cogliendo un’opportunità, seppur nata da spiacevoli circostanze. Si è sentita forte la necessità di continuare con le attività, ma non nella modalità più ovvia o “facile”, ovvero trasferendo online ciò che di norma si fa sul palcoscenico, ma credendo in un progetto di ricerca che coinvolge pensatori, artisti e intellettuali. Ci si è chiesti come un’istituzione così giovane potesse dare il suo contributo e adempiere al proprio mandato sociale ed etico attraverso un progetto di alto valore culturale. Il progetto Lingua Madre – Capsule per il futuro vuole percorrere una strada sconosciuta, fatta di palcoscenici diversi, drammaturgie nuove e immagini azzardate. Un progetto editoriale, un ‘contenitore di pensiero’ che intende valorizzare, ripensandola, la creazione artistica nel suo farsi, focalizzando l’attenzione sui processi mentali, artistici e filosofici che ne sono l’essenza. Lingua Madre amplifica una visione dell’arte che da anni Carmelo Rifici e Paola Tripoli condividono, espressa da un vero e proprio manifesto, una dichiarazione d’intenti. I contenuti del progetto sono affidati alla cura di un comitato editoriale formato da Angela Dematté, che accompagna il lavoro di Rifici da tempo; Riccardo Favaro, finalista al Premio Riccione e recente vincitore del Premio Scenario; Francesca Sangalli autrice di teatro, cinema e televisione; Lorenzo Conti che si

occupa di curatela e formazione nel campo della danza contemporanea. Accanto a loro, in un grande lavoro di squadra, sono impegnate tutte le professionalità del LAC – l’ufficio produzione e programmazione, la comunicazione, la mediazione culturale, il settore tecnico e le maestranze – al fianco di artisti e operatori culturali del territorio, in linea di continuità con l’intenso lavoro di produzione realizzato finora. I numerosi artisti del territorio coinvolti contribuiranno a realizzare e sviluppare i contenuti di Lingua Madre: Trickster-p, Alan Alpenfelt e Zeno Gabaglio seguendo la produzione di creazioni sonore; Associazione REC realizzando opere audiovisive di qualità; interpreti come Camilla Parini, Anahì Traversi, Igor Horvat, Massimiliano Zampetti, Simon Waldvogel dando corpo e voce ai progetti. Le proposte di Lingua Madre saranno arricchite e completate dal lavoro di artisti e intellettuali cari al LAC come Annie Hanauer, Stefan Kaegi, Rudi van der Merwe, Alessio Maria Romano, Marta Ciappina, Leda Kreider, Alfonso De Vreese, Annamaria Ajmone, Stefano Tomassini, Ruggero Dondi, Tindaro Granata, Giovanni Crippa, Marco Martinelli, Carlotta Viscovo accanto ad ospiti come Chiara Bersani, Alessandro Sciarroni, Cosimo Terlizzi, Caterina Serra, Monica Piseddu, Valentino Villa, Fabio Condemi, Silvia Masotti, Camilla Zorzi, Marleen Scholten, Alessandro Conti, Danila Gambettola, Ginevra Ghironi perfomer e studenti IUAV di Venezia, Catherine Bertoni. Francesco Maruccia, Giulia Di Renzi, Roberta Ricciardi, Sebastian Luque Herrera, Alberto Pierazzini, Giacomo Toccaceli, Alberto Marcello, Emilia Tiburzi, allievi della Scuola di Teatro Luca Ronconi


LAC / LINGUA MADRE

del Piccolo di Milano e molti altri… Lingua Madre, nella sua sostanza ‘fisica’, è un progetto capace di creare relazioni, che, grazie ad un virtuoso scambio di contenuti, darà vita a temi e formati espressi grazie alla scrittura critica, drammaturgica, scenica, e creerà esperimenti audio e video – progetti in forma di webdoc, ipertesto, creazioni sonore originali, conferenze e tanto altro. Un processo di lavoro che utilizza la tecnologia, la rete e le sue enormi potenzialità, per realizzare un articolato palinsesto di idee, che saranno raccolte e catalogate in una libreria digitale accessibile a tutti. L’azione di Lingua Madre si svilupperà in tre macro aree tematiche: Corpo, Linguaggio, Rito. È evidente che il primo soggetto ad essere toccato da quello che è accaduto e sta tuttora accadendo è il corpo, messo in crisi dal possibile contagio, ma anche dell’isolamento che ci è stato imposto. Lingua Madre intende ragionare sul tema del corpo nella sua complessità; è così che verrà analizzato descrivendolo dal punto di vista anatomico, nelle sue potenzialità espressive, come nella sua assenza. Parte da questa riflessione un approfondimento sul tema della ritualità, sui riti di passaggio, momenti che attraversano la vita di tutti noi, segnandone i cambiamenti. Nella ritua-

lità si esperisce il mondo, in essa si fonda la radice del teatro. Mai come oggi, immersi in un mondo perennemente connesso, si esprime l’ambiguità del linguaggio sia che venga espresso in forma scenica sia in forma sintattica e grammaticale; partendo da questa constatazione si indagherà il ruolo e la potenza della parola sia grazie all’analisi logica sia grazie alla sperimentazione sul corpo. Lingua Madre nel suo sviluppo permetterà inoltre di creare dei collegamenti con mondi differenti dal nostro, luoghi in cui il rapporto tra linguaggio creati-

vo e linguaggio politico sono in una zona di pericolo. Il progetto porterà testimonianze di realtà teatrali esempi di buone pratiche, si elaboreranno modalità, esperimenti, indagini sul recente passato, senza trascurare ‘zone di recupero’ dedicate alla satira e alla comicità. Lingua Madre vuole creare contenuti e linguaggi molteplici, da confezionare con cura in capsule per il futuro, dei ‘message in a bottle’, destinati a tutti, per un hic et nunc, ma soprattutto per chi abiterà strade, piazze, mercati, teatri futuri. Il LAC attualmente è casa espansa di Lingua Madre, cuore pulsante delle sue azioni e sperimentazioni che ospita nei suoi suggestivi spazi, nutrendone la nascita e lo sviluppo. La produzione dei singoli progetti è appena iniziata e si svilupperà nel corso della primavera; i contenuti del progetto – tutti ad accesso libero – saranno pubblicati su www.luganolac.ch/lingua-madre.

01 Carmelo Rifici © LAC 2018 02 Paola Tripoli 03 © LAC 2020 03

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LAC / MASI

LA PRIMAVERA 2021 AL MASI DI LUGANO SI PROSPETTA RICCA DI NOVITÀ: DAI PROGETTI INTERNAZIONALI, CON LA COLLEZIONE FOTOGRAFICA THOMAS WALTHER DEL MUSEUM OF MODERN ART DI NEW YORK (MOMA) E LA PERSONALE DEDICATA ALL’ARTISTA SVIZZERO NICOLAS PARTY, ALLA PRIMA RETROSPETTIVA NAZIONALE DEL PITTORE E DISEGNATORE LUIGI PERICLE.

01 André Kertész Mondrian's Glasses and Pipe 1926 Stampa alla gelatina ai sali d’argento 7.9 x 9.3 cm The Museum of Modern Art, New York Thomas Walther Collection. Grace M. Mayer Fund © Estate of André Kertész Digital Image © 2021 The Museum of Modern Art, New York/Scala, Florence 02 Nicolas Party Sunset 2017 Gessetto su tela 150 x 130 cm MASI Lugano, deposito ProMuseo 03 Luigi Pericle Il segno della trasformazione (Matri Dei d.d.d.) 1964 Tecnica mista su tela Collezione Dr. iur. M. Caroni, Svizzera Ph: © Marco Beck Peccoz

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GRANDI FOTOGRAFI E NON SOLO 01

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rrivano direttamente da New York le foto della straordinaria raccolta del collezionista Thomas Walther, acquisita dal Museum of Modern Art, New York. Presentata in Europa per la prima volta, la mostra raccoglie una selezione di oltre 200 scatti iconici realizzati da maestri della fotografia quali Alfred Stieglitz, Edward Weston Berenice Abbott, Aleksandr Rodchenko, Florence Henri e André Kertész. Il progetto esposi-

tivo, concepito dal Museum of Modern Art di New York (MoMA), esplora in maniera approfondita un periodo chiave: l’arco cronologico compreso tra la Prima e la Seconda guerra mondiale, epoca contraddistinta da importanti innovazioni tecnologiche. Le oltre duecento opere in mostra sono presentate suddivise in sei sezioni tematiche indipendenti, in un racconto visivo tra similitudini e sinergie tra Vecchio e Nuovo continente. Accanto agli scatti in bianco e nero di


LAC / MASI 02

prima retrospettiva in Svizzera dedicata a Luigi Pericle (1916-2001), realizzata in collaborazione con l’Archivio Luigi Pericle e il Museo Villa dei Cedri di Bellinzona. Artista enigmatico, nato a Basilea ma di origine italiana, Luigi Pericle ha partecipato a un capitolo importante dell’arte del secondo Novecento, esprimendosi attraverso un personale astrattismo informale e tecniche di lavorazione particolari. Dopo un percorso di successo a livello internazionale, in cui sfugge alle classificazioni e si rivela artista professionista tanto quanto illustratore di talento, alla fine del 1965 decide fermamente di uscire dal sistema dell’arte pur continuando a produrre e a studiare le civiltà del passato, le filosofie e le lingue orientali, l’esoterismo, l’astrologia e le medicine naturali, fonti inesauribili di ispirazione per la sua indagine creativa. Attraverso un’accurata selezione di documenti, dipinti e chine, la mostra ripercorre la ricerca artistica astratta di Pericle dagli anni 1960 agli anni 1980, evidenziando lo sviluppo del suo originale linguaggio espressivo. Per la programmazione completa consultare il sito www.masilugano.ch inizio Novecento, arrivano a Lugano i colori sgargianti di Nicolas Party, giovane artista svizzero di Losanna, da diversi anni attivo a New York. Il progetto espositivo è concepito dall’artista stesso, in relazione alla struttura della grande sala situata al piano interrato del MASI. La mostra è allestita in uno spazio architettonico a pianta centrale progettato ad hoc, suddiviso in cinque ambienti distinti nei quali verranno presentate opere relative ai temi sui quali l’artista ha incentrato la propria ricerca artistica: la natura morta, il ritratto e il paesaggio. L’allestimento include dipinti a pastello e sculture dipinte, opere realizzate tra il 2013 e oggi, alcune delle quali saranno presentate per la prima volta al pubblico. Un’accurata selezione che evidenzia la predilezione di Party per una pa-

letta cromatica estremamente vivace e una figurazione semplificata con soggetti delineati da campiture di colore circoscritte e contrastanti. L’artista interviene ulteriormente sullo spazio espositivo attraverso dipinti murali site-specific, pitture trompe l’oeil che si rifanno a marmi policromi e boiserie, e campiture di colori contrastanti. Questa modalità di presentazione è centrale nel pensiero di Party, che concepisce le sue esposizioni come un’opportunità per mettere in scena i suoi dipinti e le sue sculture in un ambiente in grado di attivare nuove possibilità di lettura delle sue opere, ponendole in relazione non solo le une alle altre, ma anche allo scenario nel quale sono presentate. Accanto alle proposte della scena internazionale ci sarà spazio anche per la 03 TICINO WELCOME / MAR - MAG 2021

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LAC / LUGANOMUSICA

BUILDING BRIDGES IL NUOVO CANALE LUGANOMUSICA DIGITAL S'INAUGURA CON LA MARATONA PIANISTICA DI QUATTRO GIOVANI TALENTI.

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uganoMusica non rinuncia al suo pubblico e sbarca sul web con una nuova serie di concerti digitali trasmessi gratuitamente in streaming. Sebbene, nel momento in cui scriviamo, rimangano in vigore le disposizioni che limitano l’attività in presenza, torna la musica della prestigiosa stagione del LAC con la serie LuganoMusica Digital, un ricco calendario di appuntamenti online che nei prossimi mesi permetterà agli appassionati di seguire i concerti della stagione digitale in alta definizione, e con un suono eccellente, dal computer, tablet o smartphone, attraverso il sito internet www.luganomusica.ch, il canale dedicato Youtube e i social media ufficiali. I contenuti resteranno disponibili anche successivamente per poter accedere in qualunque momento. Il ciclo s’inaugura a metà marzo con i primi quattro appuntamenti, uno a settimana ogni martedì alle 19.30, e presenta i talenti di Building Bridges, progetto attraverso cui il celebre pianista Sir András Schiff sostiene, ogni anno, l’avvio della carriera musicale di giovani pianisti, guidandoli nella scelta di programmi che possano valorizzare l’unicità di ciascuno. Con la collaborazione del Conservatorio della Svizzera Italiana, Elena Nefedova, Jean-Sélim Abdelmoula, Chiara Opalio e Gile Bae sono dunque i protagonisti di quattro concerti con brani celebri della letteratura pianistica, da Bach a Schubert; da Schumann a Brahms, introducendone l’ascolto. Il programma prosegue ad aprile e maggio con i Concerti di Pasqua, gli appuntamenti di Nuova Generazione, il ciclo dedicato alle giovani scoperte del panorama

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musicale, e quello dedicato ai Quartetti d’archi più innovativi. Ogni anno in residenza a Lugano per i Concerti di Pasqua, i solisti dell’Orchestra Mozart saranno protagonisti di due esclusivi appuntamenti da camera, trasmessi domenica 4 e lunedì 5 aprile alle 19.30. Nelle settimane successive, tra gli artisti ospiti di LuganoMusica Digital ci saranno talenti giovani e già affermati a livello internazionale, come la violinista olandese Noa Wildschut, il violinista Dmitrij Smirnov, il soprano Rinnat Moriah e alcuni tra i musicisti più amati dal pubblico di Lugano come il clarinettista Fabio Di Càsola e il violoncellista Enrico Dindo. Sarà online anche l’approfondimento che ogni anno LuganoMusica dedica al genere da camera per eccellenza con i concerti del Quartetto Artemis, Quartetto Van Kuijk e AleaEnsemble. Le date saranno annunciate di mese in mese, tenendo conto dell’andamento della situazione epidemiologica, il calendario sarà costantemente aggiornato sul sito internet di LuganoMusica e comunicato attraverso i social media. La piattaforma ospiterà inoltre i contenuti realizzati per LuganoMusica dai suoi artisti più amati con interviste, approfondimenti, conversazioni sulla musica, per restituire in digitale la ricchezza di mondi sonori cui le stagioni musicali di LuganoMusica ci hanno abituato. Tutti i contenuti sono gratuiti, gli spettatori potranno tuttavia fare una donazione spontanea per sostenere LuganoMusica e gli artisti coinvolti nel progetto. www.luganomusica.ch

I PROTAGONISTI DEGLI APPUNTAMENTI ONLINE Building Bridges Elena Nefedova, pianoforte

Building Bridges Jean-Sélim Abdelmoula, pianoforte


LAC / LUGANOMUSICA

Building Bridges Chiara Opalio, pianoforte

Nuova Generazione Noa Wildschut, violino Elisabeth Brauss, pianoforte

Recital Fabio Di Casola, clarinetto Benjamin Engeli, pianoforte

Building Bridges Gile Bae, pianoforte

Nuova Generazione Dmitrij Smirnov, violino Marco Scilironi, pianoforte

Quartetti d’archi Quartetto Artemis Quartetti d’archi Quartetto Van Kuijk Quartetti d’archi AleaEnsemble Nuova Generazione Timothy Ridout, viola Tom Poster, pianoforte Early night modern Ruth Killius, viola

Concerto di Pasqua Solisti dell’Orchestra Mozart da domenica 04.04.21 ore 19.30

Nuova Generazione Rinnat Moriah, soprano Michael Wendeberg, pianoforte

Concerto del lunedi di Pasqua Solisti dell’Orchestra Mozart da lunedì 05.04.21 ore 19.30 Recital Enrico Dindo, violoncello Monica Cattarossi, pianoforte

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LAC / OSI E SOL GABETTA

UNA PRESENZA PER RISCOPRIRE IL PASSATO 01

LA CELEBRE VIOLONCELLISTA SOL GABETTA E IL COMPAGNO BALTHAZAR SOULIER, RISPETTIVAMENTE DIRETTRICE ARTISTICA E CURATORE DI PRESENZA, SPIEGANO IL SENSO DI UN ESPERIMENTO MUSICALE SENZA PRECEDENTI CON L’OSI. UNA PRIMA ANTICIPAZIONE SI SVOLGERÀ AL LAC DI LUGANO NEL FINE SETTIMANA DI PENTECOSTE, IN ATTESA DEL FESTIVAL VERO E PROPRIO PRESENZA 2022 CHE PRENDERÀ IL VIA A PARTIRE DAL PROSSIMO ANNO

Sol Gabetta Ph: ©Julia Wesely

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n cosa consiste esattamente un brano musicale? Il compositore ci ha lasciato “solo” dei segni neri sulla carta, che possono venire eseguiti in infinite versioni. Ma tutte queste varianti sono ancora la stessa opera? Oppure ogni interpretazione è una nuova creazione? Dove si trova quella originaria? Nel manoscritto del compositore? Nella prima edizione? Nelle mani degli interpreti? O piuttosto nelle orecchie degli ascoltatori? Con i concerti di Presenza, a fine maggio a Lugano al LAC, vogliamo affrontare insieme artisticamente questa affascinante questione ontologica relativa alla musica, in particolare alla musica classica del XIX e XX secolo». L’idea di principio di questo progetto è semplice quanto coinvolgente: proporre un nuovo modo di fruire i concerti di musica classica, ricreando la cornice

originaria in cui quei brani (soprattutto del XIX e XX secolo) sono stati composti, concepiti ed eseguiti. È innegabile che, con il passare dei secoli, il modo di ascoltare e organizzare concerti sia pian piano mutato, fino a consolidarsi a fine Ottocento in una prassi valida ancora oggi (quasi un “rituale” potremmo dire) che prevede ordine, silenzio, applausi solo in determinati momenti e una serie precisa di regole, non scritte ma rigorosamente rispettate. Secondo Sol Gabetta, tutto ciò non è di per sé sbagliato: ma certo non è l’unico modo per ascoltare un concerto. È uno dei tanti modi possibili, diventato usuale solo molto tardi nella storia della musica. Dal punto di vista dei solisti, poi, la situazione è ancora più limitante: poca voce in capitolo nella scelta dei programmi (che vengono stabiliti soprattutto da sovrintendenti e direttori d’orchestra) e un coinvolgimento diretto solo in occasione del concerto, spesso con poche ore di prove a disposizione. Ora Sol Gabetta ha detto basta a questa routine e ha scelto proprio Lugano e l’Orchestra della Svizzera italiana per iniziare un inedito ciclo di concerti sperimentali (per un periodo iniziale di tre anni) con cui riportare i grandi capolavori della classica alle condizioni originarie in cui sono stati ascoltati per la prima volta. Non si parla solo di strumenti d’epoca o di conoscenza delle antiche formazioni orchestrali: su questi aspetti la ricerca filologica si è già mossa da decenni. Con Presenza, Sol Gabetta, Balthazar Soulier e l’OSI vogliono piuttosto in-


LAC / OSI E SOL GABETTA

dagare tutte le dimensioni che stanno attorno a un’opera musicale. «Un concerto – sottolineano - non è solo un evento “acustico”, ma giocano un ruolo importante anche la dimensione visiva, sociale, teatrale, storica: tutte dimensioni che interagiscono fra loro. Vogliamo rafforzare queste interazioni e coinvolgere in ciò anche il pubblico, aiutandolo a rendersi conto che è esso stesso una parte importante del tutto, che può persino contribuire all’interpretazione degli artisti». La duttilità dell’OSI e gli spazi multifunzionali del LAC costituiscono le premesse ideali per questo impegno. È nota l’attitudine dell’OSI a sperimentare, a innovare già da anni, prima sotto la guida di Denise Fedeli, ideatrice del progetto-festival, e ora del grigionese Christian Weidmann, che ne ha ripreso il testimone. Fondamentale il ruolo del maestro sul podio, il Direttore principale Markus Poschner, che collabora con entusiasmo al pro-

getto, apprezzatissimo da Sol Gabetta e Balthazar Soulier. La sede del LAC promette da parte sua soluzioni creative e inedite, grazie alle molteplici opportunità offerte dalla grande Sala Teatro, dalle sale attigue, dalla stessa hall, senza dimenticare la vicinanza tra sala da concerto e museo: tutti luoghi ideali per sperimentare. In concreto, cosa succederà? «Innanzitutto – spiega Sol Gabetta – avremo tutto il tempo necessario per le prove: giorni interi al LAC insieme all’OSI e a Markus Poschner per riflettere, modellare, creare. Siamo convinti che anche con piccoli adattamenti al tipico “rituale” e al programma di un concerto si potrà ottenere un grande effetto, sorprendendo piacevolmente il pubblico. Dal punto di vista del repertorio, con l’OSI potremo riscoprire tutta una serie di pagine del XIX secolo per violoncello, ispirate per esempio a famose arie d’opera, che oggi non vengono più suonate ma

rappresentano creazioni di grande valore purtroppo dimenticate». Tutte le proposte e gli esperimenti dovranno in ogni caso avere prima di tutto senso dal punto di vista musicale. Non è prevista invece una particolare attenzione alla musica contemporanea, su cui si concentrano già numerosi festival e forme di concerto sperimentali: alla coppia artistica Gabetta-Soulier interessa di più concentrarsi sulla musica del XVIII e XIX secolo, il cui contesto esecutivo in sé è andato perduto. In queste settimane ferve il lavoro per mettere a punto il programma preciso della tre-giorni di concerti. A causa della lunga emergenza Covid l’OSI, come molte altre orchestre, ha dovuto fare di necessità virtù ed è diventata maestra nella programmazione a breve termine: un’abilità messa ora al servizio di un progetto nuovo, che può essere consultato nei suoi sviluppi in tempo reale sul sito dell’orchestra, al link www.osi.swiss/presenza TICINO WELCOME / MAR - MAG 2021

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CULTURA / KUNSTHAUS ZÜRICH

I BEI PAESAGGI DI GERHARD RICHTER 01

DAL 26 MARZO AL 25 LUGLIO 2021 IL KUNSTHAUS ZÜRICH CELEBRA GERHARD RICHTER. È LA PRIMA MOSTRA PERSONALE CHE IL KUNSTHAUS DEDICA AL PIÙ IMPORTANTE ARTISTA TEDESCO CONTEMPORANEO.

01 St. Moritz 1992 Olio su tela 72 x 102 cm Collezione privata, Svizzera 02 Veduta di città F 1968 Olio su tela 200 x 200 cm Städel Museum, Francoforte sul Meno, prestito permanente della Deutsche Bundesbank. Ph: ©Wolfganz Günzel 03 Paesaggio astratto 1969 Olio su tela 30 x 40 cm Collezione privata, Monaco di Baviera

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L’

esibizione è incentrata su uno dei suoi generi principali, ovvero la pittura di paesaggio. Delle 130 opere in mostra, la maggior parte sono in Svizzera per la prima volta oppure sono nuovamente fruibili dal pubblico dopo diversi decenni: basti citare la «Veduta di città PX» (1968), gli spettacolari «Paesaggi marini» provenienti da Berlino e da Bilbao e l’«Immagine della giungla» (1971), carica di energia, in prestito da una collezione privata. Accanto a 80 quadri sono in mostra disegni, collage fotografici, fotografie dipinte, stampe e libri d’artista. La mostra presenta una struttura tematica. Su 1200 metri quadri i visitatori potranno vedere uno spaccato del processo creativo di Richter dal 1957

al 2018. Fin dall’inizio Richter osserva il paesaggio attraverso la lente meccanica della fotografia. Alla base dei suoi quadri vi sono soprattutto scatti realizzati dall’artista stesso. Egli di fatto non rappresenta paesaggi, bensì fotografie di paesaggi. Rimane visibile a colpo d’occhio l’estetica spiccatamente fotografica del dettaglio, della struttura e del colore, come ad esempio nel quadro ad olio «Casa nella foresta» (2004), che presenta uno scorcio dell’edificio per il personale del celebre hotel di Sils Maria. Prende così avvio la sua riflessione critica sulle opportunità perdute della pittura. Il romanticismo tedesco di pittori quali Caspar David Friedrich costituisce per Richter un centrale punto di riferimento in alcuni suoi quadri. Egli cerca di attingere all’estetica di tali opere tramite cieli sconfinati e orizzonti bassi, intensi tramonti, paesaggi avvolti nella nebbia, immagini di nuvole e arcobaleni. Al contempo, tuttavia, si vede costretto a rielaborare la tradizione romantica in opere come «Ghiaccio» (1981), che se da una parte si riallaccia al «Mare di ghiaccio» (1823) di Friedrich, dall’altra non può essere – come in Friedrich – una manifestazione visibile del divino. Poiché tuttavia i suoi quadri paesaggistici carichi di atmosfera vengono percepiti da molti come romantici, l’artista li definisce degli «innesti». Soprattutto negli anni Sessanta e Settanta l’artista realizzò quadri altamente astratti di montagne, parchi e città, che esplorano ulteriormente le possibilità pittoriche offerte da un’astrazione basata originariamente sulla fotografia. Tali opere oscillano tra motivi paesaggistici rappresentati in modo


CULTURA / KUNSTHAUS ZÜRICH 02

figurativo e una materialità autoreferenziale del colore applicato con ampie pennellate. In tale dicotomia non si cela l’astrazione classica, intesa come emancipazione della forma, bensì vi si esplorano le potenzialità offerte da un percorso di emancipazione che parte dalla fotografia. L’opera bipartita «San Gallo» (1989), dalle dimensioni 250 x 680 cm, è a uno stadio talmente avanzato di astrazione che neanche gli abitanti della città ne riconoscono i tratti topografici o architettonici. Negli anni Settanta e Novanta Richter crea anche paesaggi in forma di costrutti fittizi. Con quadri ad olio, stampe, collage fotografici e un’opera tridimensionale, rappresenta paesaggi e spazi monumentali non riscontrabili nella realtà. La composizione delle immagini del mare, delle montagne e delle nubi trascende ogni tipo di esperienza reale quanto alle dimensioni o alla collocazione degli elementi. Dal 1965 in poi, l’artista dà vita a dipinti ad olio astratti su base fotografica utilizzando un ampio spettro di tecniche accomunate da spiccata fisicità, quali la decalcomania, la raschiatura, la diffusione di colore con la spatola e con la racla. Attraverso la fotografia di paesaggio viene presentato un motivo figurativo mentre in superficie viene applicata una materia cromatica astratta. Questi due piani – anche in opere prive di riferimenti topografici come «10.Apr.2015» (2015) – si fondono a creare un’unità composita avvincente, eppure rarefatta.

Nel 1981 Richter disse dei suoi paesaggi: tali opere mostrano la mia «nostalgia», sono il «sogno di un ordine classico e di un mondo ideale». E in effetti quando parliamo di paesaggio, di solito lo facciamo in un’accezione positiva. Dalla prospettiva dell’osservatore, i più concorderanno sul fatto che i paesaggi di Richter non contraddicono la nostra concezione del «bello». La dichiarazione resa da Richter nel 1970 di voler dipingere «qualcosa di bello» tramite i paesaggi era per certi versi sovversiva, come giustamente evidenziato dallo storico dell’arte Dietmar Elger, biografo di Richter e direttore dell’archivio di Dresda a lui dedicato. Infatti, all’epoca erano preponderanti altri movimenti artistici quali la pop art e l’arte concettuale, come pure le opere politicamente impegnate. Con la sua pittura Richter andava controcorrente. La nostra ammirazione del paesaggio e delle sue qualità estetiche aumenta con l’avvio dell’industrializzazione nell’Ottocento. Tale apprezzamento cresce ancora a seguito delle devasta-

zioni causate da guerre e da catastrofi ecologiche. L’evocazione di sentimenti forti accomuna l’osservazione tanto dell’arte quanto del paesaggio. Il 2021 è ancora segnato dalla crisi del coronavirus, con conseguenze assai avvertite sul piano personale, quali il distanziamento fisico e la drastica riduzione della mobilità. La programmazione della mostra in questo periodo offre un barlume di speranza. Una visita al Kunsthaus Zürich mostra l’importanza delle esperienze sensoriali in un percorso di ricezione condiviso, soprattutto quando, come nel caso dei paesaggi di Gerhard Richter, divengono uno sfondo per la proiezione delle nostre nostalgie.

KUNSTHAUS ZÜRICH Heimplatz 1 CH-8001 Zürich Per informazioni: Kristin Steiner kristin.steiner@kunsthaus.ch, T. +41 (0)44 253 84 13

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CULTURA / ERNST LUDWING KIRCHNER

LA GRANDIOSITÀ DELLA MONTAGNA 02

OLTRE SESSANTA OPERE TRA DIPINTI, ACQUARELLI, DISEGNI E INCISIONI COSTITUISCONO L’OMAGGIO (DAL 1. APRILE FINO AL 31 LUGLIO) DELLA FONDAZIONE GABRIELE E ANNA BRAGLIA A ERNST LUDWIG KIRCHNER IL PITTORE TEDESCO CHE PIÙ DI OGNI ALTRO HA INCARNATO LA FIGURA DELL’ARTISTA ESPRESSIONISTA FACENDOSI INTERPRETE DEL FRENETICO RITMO DELLA VITA CITTADINA E AL TEMPO STESSO DELL’INTIMO BISOGNO DI INTERIORITÀ CHE L’UOMO RITROVA SOLTANTO IMMERGENDOSI NELLA NATURA. DI RUDY CHIAPPINI

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roprio a quest’ultimo aspetto è dedicata la mostra promossa dalla Fondazione in collaborazione con il Kirchner Museum Davos e l’Ernst Ludwig Kirchner Archiv, Wichtrach/ Bern che incentra la sua indagine sull’ultima stagione dell’artista che nel 1917, fisicamente e psichicamente debilitato dagli eventi bellici e dallo smarrimento morale di una società allo sbando, abbandona le metropoli tedesche per rifugiarsi a Davos alla ricerca di una nuova dimensione spirituale e soprattutto della pace interiore. Difficile dire se la trovò veramente: il paesaggio alpino rurale e la coesione di una comunità ristretta erano decisamente estranei alla sua esperienza ma allo stesso tempo, proprio per que-

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sto, estremamente affascinanti. Nei Grigioni scoprì di certo un’atmosfera più semplice e frugale, incentrata sul pieno contatto con la natura, in cui risaltava in tutta la sua ampiezza la vitalità umana. Lo spettacolo grandioso delle alpi grigionesi lo seduce, lo porta a idealizzare la sublime maestosità della montagna, evocando una vita sognata più che vissuta. Kirchner è ossessionato da tanta bellezza e dall’idea di tradurla in pittura. La natura diventa un simbolo della vita interiore. Il linguaggio artistico si fa progressivamente più astratto, pacato, simbolico; la pennellata meno drammatica e nervosa, come a voler esprimere una ricerca di quiete profonda che, paradossalmente, solo la monumentalità del paesaggio montano o la


CULTURA / ERNST LUDWING KIRCHNER 03

semplicità dei costumi possono donare. I colori, verde, blu, arancione, viola, sono concepiti nella loro purezza più estrema per conferire maggiore espressività ai suoi quadri, la prospettiva e le proporzioni vengono rivoluzionate a favore dell’immediatezza. L’artista è altresì affascinato dalla comunità paesana, dagli alpigiani, che ritrae nella loro quotidianità o al pascolo con i loro animali, approdando nelle sue opere ad una struttura narrativa che lo porta a mitizzare l’immagine bucolica di una esistenza fatta di lavoro manuale, in armonia con la natura. Per di più, influenzato dalle nuove teorie di Sigmund Freud, Kirchner, entra definitivamente in una nuova dimensione espressiva e traduce in pittura anche i suoi momenti di introspezione. Lo fa con una serie di interni: la camera, la cucina, l’atelier. Come per affermare che esiste una vita di fuori e una di dentro. La bella e intensa mostra, allestita con grande senso della misura alla Fondazione Braglia, grazie alla diversità dei vari mezzi espressivi complementari tra loro, consente di penetrare l’intimità del mondo visionario e alpino di Kirchner e di apprendere il suo desiderio di una vita ricondotta alle origini, in stretto e armonico rapporto con un paesaggio incontaminato e primordiale. Infatti in dipinti realizzati attorno gli anni Venti come Heimkehrende Ziegenherde (Gregge di capre che torna a casa) e Berghirte im Herbst (Berghirte mit Ziegen) [Pastore di montagna in autunno (Pastore di montagna con capre)], opere dal cromatismo fresco e vivace, l’artista ripropone e sembra condividere momenti di vita quotidiana che scandiscono la giornata dei contadini e dei pastori. In altre opere maggiori come Landschaft mit blauen Felsen und Wasserfall (Paesaggio con rupi blu e cascata) o Mondaufgang auf der Stafelalp (Luna che sorge sulla Stafelalp) il paesaggio alpino appare al tempo stesso in tutta 04 TICINO WELCOME / MAR - MAG 2021

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sione dei sentimenti. Quelli del grande artista tedesco, col passaggio dall’indagine sulla realtà al riflesso della propria interiorità, sono splendidi esempi di “paesaggio dell’anima” in cui l’artista si rispecchia per ritrovare sè stesso in un intimo dialogo esistenziale.

01 Berghirte im Herbst (Berghirte mit Ziegen) [Pastore di montagna in autunno (Pastore di montagna con capre)] 1921 Olio su tela 120 x 90,5 cm Courtesy Galerie Henze & Ketterer, Wichtrach/Berna 02 Die drei alten Frauen (Le tre vecchie signore) 1925–1926 Olio su tela 110 x 130 cm Kirchner Museum Davos, donazione del Lascito Ernst Ludwig Kirchner 1990 Ph: Jakob Jägli

la sua sacralità come rifugio e nuova patria spirituale. Un contesto rappacificante che rappresenta per l’artista un fecondo altrove, scandito unicamente dal susseguirsi immutabile del giorno e della notte, dallo scorrere delle stagioni in una travolgente estasi di colori che restituisce la sontuosa monumentalità dell’ambiente montano. Nell’imponente visione di Tinzenhorn; Zügenschlucht bei Monstein (Tinzenhorn; La gola dello Zügen a Monstein) l’iconica vetta della montagna incorniciata da un alone di luce crepuscolare ne celebra una volta di più la dimensione di trascendenza. Anche nei ritratti Kirchner mette in scena la sublimazione del soggetto attraverso una visione utopica e per certi aspetti romantica, assai diffusa all’inizio del XX secolo, secondo la quale la

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natura monumentale e spirituale delle montagne determinasse, forgiandola, la vita interiore della popolazione indigena. Die drei alten Frauen (Le tre vecchie Signore) rappresentano una sintesi perfetta di questa sua concezione. Tra le donne ritratte e il paesaggio retrostante il rapporto è simbiotico. Nei loro volti segnati dalla fatica e dal tempo si ritrova la fierezza austera di un carattere temprato dalla comunione con quelle montagne incombenti. Nell’ultimo di Kirchner, prima della sua tragica fine, la natura assolve appieno la sua funzione di stimolante confronto. I luoghi del maestoso scenario alpino assumono una bellezza struggente che celebra l’intesa fra uomo e ambiente, abbattendo definitivamente le frontiere fra rappresentazione dello spettacolo naturale ed espres-

03 Alpleben (Vita alpina) 1922 Gessetto nero su cartoncino color camoscio 50 x 39,6 cm Courtesy Galerie Henze & Ketterer, Wichtrach/Berna 04 Heimkehrende Ziegenherde (Gregge di capre che torna a casa) 1920 Olio su tela 80 x 90,5 cm Fondazione Gabriele e Anna Braglia, Lugano Ph: Roberto Pellegrini 05 Tinzenhorn; Zügenschlucht bei Monstein (Tinzenhorn; La gola dello Zügen a Monstein) 1919–1920 Olio su tela 119 x 119 cm Kirchner Museum Davos, donazione Lea Steegmann-Morosani, Davos 1991 Ph: Stephan Bösch



CULTURA / IMAGO ART GALLERY

ART IN PROGRESS

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LA GALLERIA LUGANESE APPROFITTA DI QUESTI MESI DI CHIUSURA PER RIORGANIZZARE I SUOI SPAZI ESPOSITIVI, CHE RIAPRIRANNO AL PUBBLICO CON UNA SELEZIONE DI NUOVE OPERE DEI SUOI ARTISTI DI PUNTA.

A 01 Matteo Pugliese La promessa 2020 02 Dialogues 3D Tour 03 Alessandro Busci Iceberg_Ukiyoe 2020 04 Alfa Romeo 1900C SS Vignale “la flèche” del 1955. Ph: © M. Vannetti e S. Silvestrini

d ormai più di un anno dall’inizio della pandemia, che vede quello culturale come uno tra i settori più colpiti, la mancanza dell’arte dal vivo si fa sentire. IMAGO Art Gallery ha approfittato di questi mesi di chiusura per una riorganizzazione del proprio prestigioso spazio espositivo nel cuore di via Nassa, attraverso un restyling interno e la sostituzione delle opere degli artisti in mostra: inaugurerà a metà aprile la nuova mostra “Confronti”. Come gli altri attori di questo settore, anche la galleria IMAGO ha inoltre iniziato il suo processo di digitalizzazione: già prima dello stop forzato, infatti, c’erano evidenti segnali del fatto che il mercato dell’arte si stesse muovendo, in linea con la globalizzazione

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e l’evoluzione delle tecnologie, verso un incremento dei contenuti online. Il Covid-19 non ha fatto altro che velocizzare questo processo: per quanto fosse difficile da immaginare, è ora possibile per i collezionisti acquistare opere del più alto calibro anche sul web e fruire dell’esperienza di visita di una mostra a distanza. IMAGO si inscrive totalmente con le sue risorse in questo solco: oltre ad aver rinnovato il sito web, dà ora la possibilità di visitare le sue mostre sia su quest’ultimo sia sulla piattaforma Artland attraverso un tour virtuale (3D), tecnologia tanto avanzata da permettere anche la creazione di mostre esistenti esclusivamente nella realtà digitale. Tuttavia, siamo tutti consapevoli di come la presenza fisica, di fronte alla potenza di un’opera d’arte, non potrà mai essere sostituita. Di fatti la galleria non vede l’ora di riaprire le porte al suo pubblico: per l’occasione nella nuova mostra “Confronti” a partire da metà aprile presenterà nuovi lavori dei suoi artisti di punta. Nello specifico, chi andrà a visitarla avrà l’opportunità di ammirare un’inedita versione in marmo de “La Promessa” di Matteo Pugliese,


CULTURA / IMAGO ART GALLERY

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del suo showroom, esponendo alcuni lavori di Antonio Natale – l’unico pittore al mondo che dipinge su banconote – scelto dagli organizzatori dell’evento per presentare una macchina d’epoca sulla quale è intervenuto con la sua pittura.

una delle opere iconiche dell’artista, la cui versione in bronzo venne battuta in asta con successo da Dorotheum già nel 2010. Inoltre saranno presentati due nuovi imponenti lavori su corten di Alessandro Busci raffiguranti dei ghiacciai, soggetto nuovo per l’artista milanese – presente alla Biennale di Venezia nel 2011 – che gli permette di operare una ricerca sul bianco. La solitudine dovuta alla pandemia, spiega l’artista, gli ha ricordato quei grandi spazi dove a regnare è il silenzio e l’attesa, nei quali i ghiacciai restano im-

mobili nel disperato tentativo di non sciogliersi: un appello, questo, dichiaratamente in linea con la tematica più che mai attuale della sensibilizzazione ambientale molto cara all’artista. IMAGO Art Gallery, inoltre, non cessa nella sua missione di essere capillarmente presente sul territorio: parteciperà infatti come sponsor alla seconda edizione del “Concorso di Eleganza Città di Lugano” che si terrà nell’area pedonale del centro di Lugano il prossimo 8 maggio. La galleria metterà a disposizione per l’occasione parte

IMAGO ART GALLERY Via Nassa 46 CH-6900 Lugano +41 (0)91 921 43 54 www.imago-artgallery.com TICINO WELCOME / MAR - MAG 2021

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CULTURA / CORTESI GALLERY 02

COME CAMBIA IL MONDO DELL’ARTE LE RIFLESSIONI DI STEFANO CORTESI RIGUARDO ALLE SOLUZIONI CON CUI GALLERIE E MUSEI HANNO CERCATO DI FARE FRONTE ALLA CRISI AL FINE DI MANTENERE UN CONTATTO CON COLLEZIONISTI E APPASSIONATI D’ARTE.

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ome sta reagendo il mondo dell’arte di fronte alla pandemia che perdurando ancora in questi primi mesi dell’anno rischia di sconvolgere la programmazione dell’attività anche per il 2021? «Nella prima parte del 2021, il mondo dell’arte è purtroppo ancora fortemente condizionato dalla pandemia e dalla scarsa mobilità e possibilità di socialità delle persone. Le programmazioni all’interno dei musei, delle gallerie d’arte e nelle fiere si stanno posizionando da settembre in avanti. Nel frattempo si stanno sviluppando sistemi di comunicazione e fruizione delle opere d’arte in via virtuale tramite strategie sempre più sofisticate. Anche noi come galleria d’arte ci siamo posizionati per raggiungere i nostri collezionisti e gli appassionati attraverso piattaforme online, presentazioni virtuali, collega-

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menti social, ecc. Un esempio più concreto è quello del servizio di rendering: stiamo infatti lavorando sull’opportunità di una presentazione delle opere di potenziale interesse dei nostri clienti contestualizzandole nelle loro abitazioni, un servizio che normalmente possiamo trovare all’interno degli studi di architettura d’interni. Tra le iniziative che sono state svilup-

pate per adattarsi al periodo storico, ci sentiamo di promuovere un metodo molto efficace come quello della realtà aumentata. Lo studio di Art Consulting di Vera Canevazzi ha lanciato un nuovo servizio questo gennaio, denominato Augmented Reality, rivolto a gallerie, art advisor e collezionisti. Il progetto include un portfolio di artisti emergenti, consolidati e storici, mostre curatoriali, monografiche o collettive, tutte fruibili direttamente nelle abitazioni di ogni utente e già posizionate sulle pareti di casa». In che misura l’utilizzo dell’online può supportare, in questa situazione d’emergenza, la vostra attività? «Da un lato senz’altro per tenere vivi i contatti con i collezionisti che in particolare vivono in altri Paesi e Nazioni e che di fatto non possono viaggiare; inoltre possiamo dire che sulle opere 01 TICINO WELCOME / MAR - MAG 2021

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CULTURA / CORTESI GALLERY 04

di tipo seriale e di facile visibilità c’è comunque la possibilità di concludere la transazione anche a distanza, dunque senza che il cliente abbia visto fisicamente l’opera. Chiaramente accostando un supporto di immagini e di informazioni di prima qualità che possano mettere l’acquirente in posizione di concludere la transazione». In particolare, qual è il suo giudizio riguardo al ricorso alle fiere online, quali sono i loro limiti e i vantaggi che se ne possono ricavare? «Le fiere online rappresentano forse la parte con i risultati più deludenti. Nonostante gli investimenti, la qualità delle immagini e l’informativa, purtroppo l’efficienza della navigazione attraverso questi sistemi non riesce a sostituire l’insieme delle emozioni e degli approfondimenti. Infatti mentre un collezionista dedica un’intera giornata all’interno di un padiglione fieristico, sulla piattaforma digitale vi dedica molto meno tempo per perdita di interesse. Proprio a causa dello scarso coinvolgimento suscitato dalle fiere online, in vista di Art Basel Hong Kong è nata una nuova iniziativa chiamata Ghost Booth. Il progetto prevede la presentazione di una mostra curatoriale all’interno di uno stand autonomo che verrà gestito dal personale di Art Basel. Gli espositori non saranno dunque presenti in stand a causa delle restrizioni, ma un membro del team della galleria dovrà essere a disposizione telematicamente durante l’orario di apertura al pubblico. L’assenza delle fiere fisiche rappresenta forse la mancanza maggiore in questo periodo per una galleria d’arte, sia per una questione relativa al business che per le relazioni sociali». In questo quadro generale, siete riusciti a programmare l’attività dei prossimi mesi equali esposizioni potete già annunciare per le sedi di Milano e di Lugano? «Al momento la programmazione è tenuta in sospeso e si concentra sull’e-

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sposizione di opere d’arte di qualità di artisti primari. Le prime idee relative a programmi si posizionano a settembre 2021. Il progetto principale riguarderà la sede milanese con la mostra curatoriale dedicata all’artista Piero Dorazio e al collegamento intercorso con il gruppo ZERO iniziato con l’esposizione al Kunstverein di Düsseldorf nel 1961. Questa sarà in assoluto la prima mostra ufficiale supportata dal nuovo archivio Piero Dorazio. Più in generale, quando finalmente sarà terminata questa pandemia, che cosa ritiene sarà definitivamente cambiato nel mondo dell’arte o invece tutto tornerà come prima? «Diciamo che certamente gli investimenti fatti sulla comunicazione e sulla virtualità della trasmissione delle immagini potranno dare un beneficio a lungo termine nei contatti con i collezionisti; ma l’arte vive di fisicità, di incontri, di socialità e di emozioni che certamente riprenderanno a pandemia conclusa. Probabilmente ci sarà un rallentamento nella globalizzazione e nell’eccessiva quantità di eventi, ma il mondo dell’arte ha bisogno di mostre fisiche in galleria e nei musei, nonchè di fiere e di aste. Un ritorno alla normalità andrebbe sicuramente a beneficio di artisti più giovani che in questa fase incontrano grossi problemi a far conoscere il proprio lavoro e a trovare musei o gallerie disposti a organizzare loro delle mostre. Se come si può immaginare la mobilità delle persone rimarrà limitata o condizionata per pa-

recchio tempo, si assisterà a una concentrazione delle gallerie e degli eventi nelle città e località più popolate e più ricche. Già di recente si stavano sviluppando esposizioni Pop Up di gallerie nei grandi centri come New York, Londra, Parigi o località come Palm Beach frequentate da persone abbienti».

01 Esempio di rendering proposto da Cortesi Gallery 02 Piero Dorazio Corpus II 1959 Olio su tela 60 x 60 cm 03 Esempio di Augmented Reality attraverso tablet, Art Consulting di Vera Canevazzi 04 Mappatura di Cortesi Gallery sulla piattaforma di Brafa in The Galleries Online

CORTESI GALLERY, LUGANO Via Nassa 62 CH-6900 Lugano T. +41 (0)91 921 40 00 www.cortesigallery.com




CULTURA / ANDREA FAZIOLI

LO SCRITTORE TICINESE CHIAMATO A UNA GRANDE IMPRESA IMMAGINATE CHE VENGA RITROVATO UN INEDITO INCOMPIUTO DI CAMILLERI, SIMENON O DÜRRENMATT E CHE PROPRIO A VOI SIA CHIESTO DI COMPLETARE L’OPERA. È APPENA ACCADUTO A UNO DEI GIALLISTI PIÙ APPREZZATI DEL MOMENTO, ANDREA FAZIOLI. NOI NE ABBIAMO APPROFITTATO PER SAPERE TUTTO SU DI LUI DI MANUELA LOZZA

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embra impossibile e invece non lo è: nelle librerie svizzere e italiane è appena uscito un nuovo romanzo di Friedrich Glauser, Le vacanze di Studer. Ma come può essere se l’autore svizzero-tedesco, nato a Vienna nel 1896, è morto a Nervi nel ’39? L’idea è stata dell’editore ticinese Casagrande, che avendo a disposizione un manoscritto incompiuto di Glauser, ha proposto ad Andrea Fazioli, il noto ideatore della serie di Elia Contini, di completarlo. Il 42enne nato a Bellinzona ha all’attivo una dozzina di romanzi molto apprezzati dal pubblico e dalla critica. Per forza, ha iniziato a scrivere davvero presto: «Sono sempre stato un bambino goloso di storie da ascoltare. Da lì il passo per cominciare a scrivere è stato breve: mi sono semplicemente accorto di amare il ruolo di narratore. Ero a mio agio con le parole, provavo piacere nel maneggiarle. Ho cominciato a scrivere racconti già alle elementari, ricordo che usavo la macchina da scrivere. Non mi sono più fermato e nel 1998, durante il liceo, ho vinto il Premio Chiara giovani».

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a lì in poi lei è stato sempre uno scrittore di professione? «La scrittura è il mio lavoro principale, sì. Però coltivo anche altri due impegni che in parte rientrano nel campo della narrazione: sono un professore di italiano e un giornalista per la RSI, ultimamente in particolare per la radio. E poi coltivo davvero tante passioni. Cammino ovunque: in montagna se posso, ma anche in città. Mi alleno sulla bici da corsa (ma usa la bici anche come mezzo di trasporto: all’inizio della nostra intervista è particolarmente scompigliato

perché è appena sceso di sella. N.d.R.). Ascolto molto jazz e suono il sax tenore. Passo tanto tempo con le mie due figlie e adoriamo i giochi da tavolo, quelli più narrativi. Amo viaggiare, fumo la pipa…». Poi alle volte lavoro e passioni si fondono… «Sì, è il caso della mia relativamente recente passione per lo studi della lingua araba, adoro i poeti arabi classici e proprio grazie a questo ho vinto una borsa di studio per scrivere un romanzo/saggio dedicato a due figure storiche e letterarie della classicità araba, davvero poco note al mondo

occidentale. Ma la passione per questa “alterità” mi ha anche portato a scrivere nel 2020 la raccolta Il commissario e la badante (ed. Mondatoi N.d.R.), incentrata su due personaggi, uno appunto affiorante dal tipico mondo occidentale e l’altro sradicato dalla sua cultura araba». Come lei, anche suo padre – Michela Fazioli – è un personaggio molto noto in Ticino. Come vive professionalmente questa riconoscibilità famigliare? «La scrittura è un campo inesplorato nella nostra famiglia, mio padre si è TICINO WELCOME / MAR - MAG 2021

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CULTURA / ANDREA FAZIOLI 01

«Insomma… Avevo un certo timore nell’approcciarmi a questo autore, uno dei padri della letteratura svizzera e in generale tedescofona. Ho chiesto di poter leggere il testo tradotto. Me ne sono innamorato, ma ho anche capito immediatamente che non sarebbe stata un’impresa facile. Lo scritto originale è in una fase primordiale: appunti, annotazioni, incipit diversi. “Cosa tenere?”, mi sono chiesto. “Tutto!”, ho subito risposto. A quel punto ovviamente ho dovuto trovare un escamotage letterario per poter mantenere per intero l’originale e così ho scritto una sorta di lunga introduzione, nella quelle parlando di me in prima persona, racconto i fatti che mi hanno portato a scrivere a 4 mani con Glauser, mischiando verità e fiction. In fondo al romanzo poi, una nota definisce esattamente quali sono le parti originali».

occupato d’altro per lavoro. I miei nonni erano persone di estrazione popolare, ma la nonna paterna aveva sviluppato una passione sua per la letteratura. La nonna materna invece leggeva meno, ma aveva un grande amore per la narrazione popolare. A partire da questa comune sensibilità, mio padre e io abbiamo percorso strade parallele ma di stanti, a volte con itinerari simili. Abbiamo poi verso il lavoro un piglio diverso, un approccio differente, eppure molti ci dicono che la voce, la gestualità, ci rendono fortemente riconoscibili come padre e figlio. Ma in generale, il fatto di non avere due carriere gemelle ci ha permesso di essere percepiti sempre come singoli professionisti. A differenza di altri colleghi che hanno seguito esplicitamente le orme dei genitori, a me capita raramente per esempio che mi chiedano riguardo al nostro rapporto». Arriviamo a Le vacanze di Studer: ha detto subito sì, senza esitazioni?

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Il romanzo è ambientato nella Svizzera italofona, ad Ascona, sulle rive del Lago Maggiore, e l’ambiente è forse, insieme a Studer, protagonista della vicenda. «Glauser ambientò la vicenda lì, nel 1921. Siamo quindi più o meno al centro della linea temporale creata dall’autore per il suo protagonista seriale. Perché all’ora il romanzo non segue la cronologia e non è ambientato più avanti, quando Studer era più in là con gli anni? Perché Glauser vuole parlare proprio di quell’anno, anno in cui lui stesso aveva vissuto al Monte di Pietà. Siamo vicini al momento in cui fondò insieme ad altri il dadaismo, è forse il punto in cui la sua vita è più immersa nell’arte e in quel momento le rive svizzere del Lago Maggiore erano un crogiolo fertilissimo: persone del popolo che abitavano lì, artisti, rifugiati, danzatori. Ma anche pacifisti, vegani, hippy ante litteram insomma… La guerra era appena finita e c’era un grande fermento, un grande ottimismo. Glauser voleva mettere tutto questo ne Le vacanze di Studer».

Poi però c’è anche altro, in particolare c’è la trama gialla, il poliziesco, che qui è come un sentiero che ti accompagna a conoscere un luogo e un momento storico. «Certo, Glauser era un giallista. Ma, a differenza per esempio di Dürrenmatt – che pure amo – era meno attento all’aspetto razionale e più immersivo. I protagonisti raccontano all’ispettore di aver trovato il cadavere proprio sulla via che collega il paese alle residenze degli artisti e loro stessi sono persone la cui collocazione professionale è davvero incerta. E così anche la morta. Glauser ama raccontare questo ambiente che forse per lui era più congeniale e che invece è fuori dalla confort zone del suo protagonista, l’ispettore Studer». Che tipo è Studer? «Nei romanzi è un serio ispettore della polizia cantonale di Berna, che però con vari escamotage Glauser fa viaggiare un po’ in tutto il Mediterraneo, dall’Egitto al Lago Maggiore, appunto. È un uomo che incute un certo timore, di estrazione popolare, ancora a suo agio nei bar fumosi dove può ascoltare il chiacchiericcio della gente. In lui c’è tutta l’esperienza dell’autore: Friedrich Glauser fu un artista influente, fondò per esempio il dadaismo a Zurigo , fu nella legione straniera – esperienza che ho usato per dare input al lavoro a 4 mani – , finirà in manicomio, dipendente dalla morfina: un uomo insomma che di certo aveva un grande bagaglio di esperienze personali da mettere nei suoi romanzi. E che forse, data la sua indole libera e particolarissima, apprezzerebbe il mio tentativo un po’ folle di portare a compimento il suo ultimo romanzo».

01 Le vacanze di Studer Un poliziesco ritrovato Friedrich Glauser, Andrea Fazioli Traduttore: Gabriella De’ Grandi Editore: Casagrande Collana: Scrittori Anno edizione: 2021 Pagine: 192


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FINANZA / TICINO FOR FINANCE

IL TELELAVORO SVUOTERÀ LE CITTÀ? NON SOLO GLI ANALISTI MA ANCHE LE IMPRESE SONO ANCORA PIUTTOSTO DISCORDI SULLA PORTATA DEL LAVORO DA CASA. SI TRATTERÀ DI UNA RIVOLUZIONE O DI UN’EVOLUZIONE? LA TAVOLA ROTONDA ONLINE, ORGANIZZATA LO SCORSO 2 FEBBRAIO DA TICINO FOR FINANCE, HA VOLUTO FORNIRE UNA VISIONE D’INSIEME SULLA TEMATICA ED APPROFONDIRE I VARI ASPETTI IN AMBITO BANCARIO, GIURIDICO, INFORMATICO E IMMOBILIARE DELLA PIAZZA FINANZIARIA TICINESE. DI FRANCO CITTERIO

CHE COS'É TICINO FOR FINANCE? Ticino for Finance è l’Associazione per la promozione della piazza finanziaria volta a favorire l’insediamento di attività finanziarie ad alto valore aggiunto in Canton Ticino. Nata su iniziativa dell’Associazione Bancaria Ticinese e del Dipartimento delle finanze e dell’economia del Canton Ticino, l’associazione raggruppa partner istituzionali pubblici e privati e agisce in maniera svincolata da interessi particolari e logiche commerciali.

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a pandemia continua a fare la parte del leone nei titoli di giornale e ha ripercussioni sulla nostra vita e sul nostro lavoro. Il virus ha innescato la più grande emergenza economica dalla crisi petrolifera degli Anni Settanta e una forte incertezza in merito agli ulteriori sviluppi. Il telelavoro, per alcuni settori e per alcune regioni, rappresenta una soluzione transitoria accettata sia dalle imprese sia dai lavoratori. Ma sul medio e lungo termine quali saranno le nuove forme di lavoro che si imporranno? Quale sarà l’impatto di questa tendenza nel breve-medio termine sul piano giuridico e dell’organizzazione aziendale? Quale ruolo sta avendo la digitalizzazione nell’accompagnare questi processi? Il COVID-19 lascerà tracce anche sul mercato immobiliare, di cui è testimone la visibile riluttanza degli investitori nei confronti degli strumenti d’investimento orientati alle superfici commerciali? Karin Valenzano Rossi (01), avvocato e membro CdA di Raiffeisen Svizzera, ha fornito dapprima una distinzione giuridica tra i vari termini utilizzati. «Il Codice delle obbligazioni parla di lavoro a domicilio. Siccome si riferisce a lavori artigianali le sue norme non sono direttamente applicabili al telelavoro, che invece è definito come lo svolgimento a casa delle mansioni d’ufficio. Lo smart working invece è un concetto più ampio, che si riferisce alle tecnologie di supporto che permettono di lavorare fuori ufficio in modo agile. Ad esempio spazi di coworking, o il domicilio. Anche se non esistono normative specifiche per queste due forme di lavoro, tutte le

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norme di protezione del collaboratore previste oggi dalla legge rimangono applicabili». Anche se il Consiglio Federale ha detto che non è necessario rinnovare le norme sul lavoro «è estremamente importante che il datore di lavoro codifichi questi aspetti per avere regole chiare per tutti e per garantire una conduzione dei collaboratori più facile». Pietro Soldini (02), responsabile risorse umane di Banca Stato, ha ribadito come il settore bancario negli scorsi mesi abbia dovuto organizzarsi per continuare a lavorare garantendo la sicurezza sanitaria di collaboratori e clienti. «In effetti la pandemia è stato un grosso laboratorio per nuove forme organizzative. C’è stata una buona reazione da parte di clienti e collabora-


FINANZA / TICINO FOR FINANCE 02

tori, al contempo la comunicazione riguardo ai cambiamenti in atto è stata determinante. Alcuni equilibri si sono modificati: ad esempio come ci si relaziona con i colleghi, o come si concilia lavoro e tempo libero. Sono aspetti che anche in futuro non andranno dati per scontati, anche se abbiamo già vissuto questa esperienza». Sara Carnazzi Weber (03), analista di Credit Suisse, ha sottolineato come il telelavoro non offra solo vantaggi (tempi di percorrenza ridotti, conciliabilità con la famiglia, risparmi delle superfici per il datore di lavoro) ma anche svantaggi in termini di difficoltà a relazionarsi con i colleghi e di

controllo sociale, di motivazione, e alla lunga di capacità di innovazione. «Penso quindi che si imporranno piuttosto delle forme di lavoro misto tra casa e ufficio. A livello immobiliare prevediamo che entro dieci anni la domanda di spazi per uffici calerà del 15%. A soffrire saranno soprattutto le ubicazioni periferiche, in quanto la disponibilità di offerte gastronomiche, negozi, attività ricreative alla persona, trasporti sono fattori importanti di soddisfazione per i collaboratori. Per quanto riguarda le abitazioni private invece, le forme di lavoro miste possono favorire ubicazioni più lontane dai grossi centri. Anche in senso lato: tipo il Ticino, dove molti confederati hanno una casa di vacanza, e visto che con AlpTransit le distanze con altre regioni si sono notevolmente accorciate». Carlo Hildenbrand (04), responsabile Business Ticino di Swisscom, ha infine rimarcato come il telelavoro solleva anche un’importante questione di gestione delle risorse umane. Vari studi hanno mostrato che le persone in telelavoro sono più produttive che in ufficio. Inoltre molte aziende non controllano proattivamente gli orari di lavoro dei propri collaboratori. Secondo Hildenbrand perciò a volte c’è il problema di ricordare ai dipendenti di fare le giuste pause e di preoccuparsi del loro livello di stress lavorati-

vo. Soprattutto visto che il telelavoro impone una gestione del personale diversa da quando si è in ufficio. Altrimenti, come affermato in conclusione da Soldini «rischiamo di trovarci con collaboratori connessi ma scollegati dall’azienda. L’identificazione aziendale a casa rischia di perdersi, mentre è altrettanto importante della responsabilità individuale nel gestire le proprie mansioni».

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TICINO FOR FINANCE Villa Negroni CH-6943 Vezia www.ticinoforfinance.ch TICINO WELCOME / MAR - MAG 2021

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FINANZA / SMART WORKING

COME LO SMART WORKING STA CAMBIANDO IL SETTORE BANCARIO

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andamento della pandemia ha confermato lo smart working come elemento fondamentale per il funzionamento degli istituti bancari e per la sicurezza di tutti gli occupati del settore. Le banche hanno risposto con tempestività ed efficacia all’emergenza e il «lavoro agile» ha contribuito in misura importante a ridurre la presenza nei luoghi di lavoro. I protocolli hanno consentito il funzionamento del settore e garantito l’apertura delle agenzie. Molte banche hanno varato progetti pilota di lavoro flessibile, quote importanti di personale hanno lavorato da casa, il rientro è ed è stato graduale. Inoltre, accordi aziendali sono stati positivamente conclusi con tutti i principali gruppi. Al di là dall’emergenza, tuttavia, per lo smart working occorrono regole dettagliate, affinché non possa essere usato strumentalmente dalle banche per giustificare il ridimensionamento degli organici tenendo conto del fatto che molte attività possono essere svolte a distanza. Rispetto al lavoro agile, molti aspetti sembrano essere apprezzati dai lavoratori. Ma è indispensabile ricordare una serie di problematiche: conflitto fra lavoro e famiglia, tecnostress e dipendenza tecnologica, percorsi di carriera frenati, impatti negativi su relazioni e scambi professionali. Per le banche, invece, vantaggi derivanti dalla dematerializzazione del luogo di lavoro, legati ai minori costi

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e alla maggiore flessibilità delle prestazioni professionali. Oggi lo smart working risulta fondamentale per gestire l’emergenza, ma al tempo stesso questo cambiamento organizzativo diventa uno dei fondamenti della trasformazione del business digitale. Questo perché cambiare la natura di un’organizzazione significa cambiare il modo in cui le persone lavorano, sfidando il loro modo di pensare, i processi di lavoro quotidiani e le strategie su cui fanno affidamento. Siamo dunque di fronte a un nuovo modo di approcciare il lavoro quoti-

diano di ognuno e molto probabilmente comporterà l’uscita dal comfort zone e l’apprendimento di nuove competenze anche per chi, nell’azienda, si fa regista di questo processo di cambiamento. Quando un’organizzazione inizia un percorso di digital transformation si rende conto aver bisogno di set di competenze diverse da quelle tradizionali, per soddisfare le esigenze del cambiamento tecnologico. Le nuove tecnologie possono portare a nuove forme di consapevolezza, coinvolgimento e conversione.


FINANZA / SMART WORKING

HANNO PARTECIPATO ALL’INCHIESTA:

FABRIZIO MASSELLA (F.M.) Vicedirettore Responsabile Ufficio Risorse Umane BPS (SUISSE)

PAOLO ZELLA (P.Z.) Responsabile clientela aziendale Ticino di Banca Migros SA

ANGELO CRESTA (A.C.) Responsabile dell’area organizzazione e IT di Banca del Sempione

GABRIELE CORTE (G.C.) Direttore Generale Banca del Ceresio SA

MARZIO GRASSI (M.G.) Responsabile Regione Ticino di Credit Suisse

LUCA PEDROTTI (L.P.) Direttore Regionale UBS Ticino.

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al suo osservatorio privilegiato quale impatto sta avendo lo smart working sui processi di digitalizzazione delle banche? F.M.: «Lo smart working ha sicuramente accelerato la digitalizzazione dei processi aziendali, che in BPS (SUISSE) si tramuta anche in efficienza, sviluppo e nuove sfide. Il cambiamento però più significativo dal punto di visto delle Risorse Umane, è quello sociale e culturale che, in un certo senso, rafforza il ruolo delle relazioni umane e pubbliche. C’è davvero più tempo per occuparsi delle Persone? Riusciamo ad accompagnare Colleghe e Colleghi

nella loro crescita professionale? Dare oggi una risposta a queste semplici domande non è evidente. La vera sfida è riuscire a mantenere alta la motivazione, la passione nel fare il proprio lavoro, ma soprattutto garantire i posti di lavoro. La Direzione Generale di BPS (SUISSE) monitorizza costantemente le dinamiche dello smart working con particolare attenzione agli aspetti legati alle Risorse Umane. A noi Ufficio Risorse Umane, mettere in piedi sistemi e approccio che favoriscano l’uguaglianza sociale e di genere, evitando così rischi legati alla salute psicofisica». P.Z.: «La digitalizzazione è un tema molto importante per le banche e per le società in generale. Da

FABIO SPINELLI (F.S.) Direttore della filiale di BNP Paribas a Lugano

diversi anni un’evoluzione tecnologica in costante crescita ha spinto i diversi attori dell’economia a cambiare la propria mentalità ed il proprio approccio alla vita in generale. Per il settore bancario il processo di digitalizzazione è un tema focale e nel corso degli anni ha gradualmente inserito processi digitali rendendo più “smart” l’attività bancaria nel suo complesso e dando autonomia ai propri clienti. Se fino a qualche anno fa uno dei primi passi nel mondo della tecnologia era unicamente l’online banking oggi i clienti in Banca Migros hanno la possibilità di aprire i conti, richiedere finanziamenti ipotecari/ commerciali, leasing e altro ancora, il tutto online. Questo ha diminuito notevolmente il contatto umano tra conTICINO WELCOME / MAR - MAG 2021

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FINANZA / SMART WORKING

sulente e cliente, agevolando pertanto l’implementazione del lavoro agile all’interno degli istituti bancari. Il lavoro agile imposto a causa della Pandemia ha permesso di evidenziare alcune lacune relative ai processi di digitalizzazione all’interno delle banche, o meglio, delle aziende in generale. Non tutti hanno potuto adattarsi alle misure imposte dalla Confederazione con tempestività e correttezza, rendendo difficoltosa la continuità delle prestazioni. È importante evidenziare che integrare dei processi più tecnologici e digitali che permettano di attuare il lavoro agile richiede, non solo un costo non indifferente da sostenere, ma anche una alfabetizzazione digitale da parte dei collaboratori (e clienti) e una rivisitazione dei processi lavorativi. Lo smart working è una delle componenti che rendono Banca Migros digitale. Già da alcuni anni infatti è stato attuato un processo di cambiamento, adattamento e di sviluppo delle competenze digitali che ha reso possibile integrare questa modalità di lavoro con una discreta facilità. Ai collaboratori di Banca Migros, ad esempio, erano già stati forniti di tutti gli strumenti necessari per lo svolgimento della propria attività al di fuori delle mura dell’Istituto, ancora prima che il tema dello smart work diventasse così noto. Da sottolineare che il grado di alfabetizzazione digitale tra i collaboratori era già molto elevato». A.C.: «La necessità di lavorare da casa, o comunque non fisicamente al proprio posto di lavoro, ha chiaramente accelerato il processo di digitalizzazione. Gli istituti che hanno beneficiato maggiormente da questa “spinta” sono quelli che già si erano mossi in tale direzione, ed avevano i sistemi pronti e il personale formato. Questo perché l’acquisizione di tecnologie nuove, così come la formazione, in situazioni di emergenza co-

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me quelle vissute risultano essere più complicate. La digitalizzazione, specialmente quella in ambito operativo e di processi, è ormai da qualche anno oggetto di analisi ed implementazione all’interno delle banche: parte chiave di questa trasformazione è l’interazione tra i collaboratori, così come la modalità con cui accedono ai documenti o fruiscono dei servizi interni. Durante i periodi di lockdown la percentuale di personale che lavorava da casa è stata tra l’80 ed il 90% (fonte FINMA) facendo quindi emergere priorità diverse da quelle pianificate. Infatti, da una parte abbiamo la spinta data dallo smart working, dall’altra la necessità di digitalizzare flussi che, prima della pandemia, non erano prioritari come alcuni processi interni, e non volti alla clientela» F.S.: «Negli ultimi 3 anni BNP Paribas ha investito EUR 2,7 miliardi per accelerare il processo di trasformazione digitale. In pochi anni, la banca ha cambiato da un universo analogico ad un ambito principalmente digitale. Il budget informatico attuale supera i EUR 6 miliardi all’anno. BNP Paribas ha quindi iniziato a digitalizzare i processi e le modalità di funzionamento molto prima dell’epidemia di Covid-19. Per anticipare costantemente le nuove esigenze ed abitudini digitali dei nostri clienti, BNP Paribas investe continuamente nella trasformazione digitale, nella gestione dati e nelle migliori tecnologie. Come naturale conseguenza, il Gruppo sviluppa continuamente offerte e servizi innovativi e attua nuove esperienze per i propri clienti garantendo in ogni momento il massimo livello di sicurezza operativa. Il gruppo BNP Paribas si è sviluppato negli ultimi 200 anni tramite l’acquisizione di banche profondamente radicate nelle economie europee e mondiali. Ci stiamo costantemente adattati alle sfide e abbiamo

servito e sostenuto i nostri clienti nei momenti storici di grande cambiamento. L’obiettivo di BNP Paribas rimane lo stesso ancora oggi: La banca per un mondo che cambia, la banca di domani». G.C.: «Innanzitutto occorre mettere in sequenza gli eventi: i processi di digitalizzazione nel mondo bancario sono in corso da decenni. Ecco perché pochi istituti si sono trovati impreparati a gestire lo “smart working”, chiara conseguenza della situazione pandemica che stiamo vivendo da un anno. Occorre anche notare che la situazione vissuta ha ben poco di “smart”, in quanto si è stati forzati a far lavorare a distanza un numero notevole di collaboratori, situazione impensabile sul lungo periodo. Quando la situazione sanitaria si sarà normalizzata, basandoci sull’esperienza attuale, probabilmente si troverà un equilibrio “smart” tra lavoro da casa ed in ufficio. In sostanza la situazione forzosa in atto ha sicuramente accelerato i processi di digitalizzazione delle banche, ed ha permesso di testare una situazione di lavoro delocalizzato estrema. In questo contesto ogni istituto ha avuto un’occasione d’oro per valutare in che direzione spingere i propri sviluppi in ambito digitale, forse riassumibili in tre categorie: digitalizzazione di processo, della comunicazione e dell’esperienza cliente. In sostanza si lavora su processi di lavoro concepiti integralmente in formato digitale, dove ad esempio la carta o la firma fisica tendono completamente a sparire. Si sviluppano nuove modalità di comunicazione, che permettano di mantenere l’interazione tra colleghi e con i clienti, superando le forme asettiche e impersonali tipiche del dialogo a distanza. Infine si lavora sull’esperienza provata dal cliente, e dal collaboratore, quando entra in contatto con la sua banca, partendo dal presupposto che potranno mancare alcuni


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elementi tradizionali a cui si è probabilmente abituato. Pur nella drammaticità della situazione, la pandemia ha sicuramente dato un’occasione di rinnovo positivo del nostro settore, facendogli recuperare un ritardo nel confronto di altri segmenti del terziario». M.G.: «La situazione in cui si siamo ritrovati un anno fa, ha contribuito ad accelerare i processi di digitalizzazione in atto. Il nostro settore IT, per esempio, ha lavorato egregiamente per permettere a circa il 90% dei collaboratori di Credit Suisse di lavorare da casa senza problemi maggiori. Un’ulteriore sfida – i crediti Covid della Confederazione da mettere a disposizione delle aziende in modo semplice e veloce – è stata superata perfettamente, proprio lavorando in gran parte da casa. Siamo riusciti in pochissimo tempo a creare una soluzione digitale grazie alla quale è stato possibile erogare i crediti in poche ore, il più veloce entro 18 minuti dalla richiesta. Anche le soluzioni di pagamento senza contanti hanno registrato un’impennata: pensiamo per esempio a TWINT che permette di pagare tramite telefono cellulare o le carte di credito e di debito, sempre più richieste, mentre calano le transazioni agli sportelli e ai bancomat. Non da ultimo, recentemente abbiamo lanciato CSX, il nuovo conto digitale di Credit Suisse, disponibile su un’apposita app con l’intero processo digitalizzato, dall’apertura alle transazioni effettuabili». L.P.: «La pandemia di Coronavirus in corso ha sicuramente accelerato il processo di digitalizzazione e l’adozione dello smart working. Il nostro istituto ha introdotto l’UBS Digital Office, il cui obiettivo è quello di creare un ambiente digitalizzato per i collaboratori in Svizzera. Finora i processi chiave erano basati prevalen-

temente su documenti fisici, mentre ora miriamo ad eliminare il più possibile la carta e il lavoro manuale. Per riuscirci, è necessario mettere in atto un grande cambiamento e adottare un nuovo modo di lavorare, ad esempio automatizzando e semplificando in maniera intelligente i processi interni. Questo produce effetti positivi sia sull’ambiente, in termini di sostenibilità, sia in termini di risparmio per il nostro istituto. Con UBS Digital Office, stiamo risparmiando un importo cumulativo a tre cifre (calcolato su 5 anni, 2023-2027) grazie ad una maggiore efficienza, a processi più rapidi e ad una diminuzione degli errori. Offriamo a tutti i nostri segmenti di clientela processi digitali dalla A alla Z (end-to-end), molto apprezzati in quanto snelliscono le procedure». Quali sono i principali ostacoli che clienti o potenziali clienti incontrano di fronte alla diffusione dello smart working nel settore bancario? F.M.: «Lo smart working promuove metodi di lavoro e forme di collaborazione innovativi e interdisciplinari, impensabili fino a qualche anno fa, accettati e ormai assimilatati anche dalla Clientela. Chiaramente non tutti i clienti sono predisposti al cambiamento allo stesso modo e, occorre saper bilanciare l’erogazione del servizio, a seconda di chi ci troviamo di fronte: la soddisfazione del cliente deve essere sempre al primo posto. Tuttavia, l’evidenza di questi mesi ci mostra che la gran parte della clientela si è adattata al cambiamento: la dinamicità, la flessibilità, la ricerca di reciprocità sono state percepite e questo è probabilmente il miglior modo per costruire e alimentare la fiducia con i Clienti. Diverso è l’approccio con la clientela potenziale. Salvo per attività e servizi semplici, l’acquisizione, la reciproca conoscenza per creare un rapporto di fiducia, l’onboarding, richiedono anco-

ra contatto personale e tempo. Non è evidentemente uguale, aprire online un conto stipendio rispetto a strutturare una pratica di un credito di costruzione o a definire una asset allocation. Si può fare anche in smart working, ma non è (ancora) la stessa cosa rispetto ad un rapporto personale». P.Z.: «Uno dei punti più importanti per i collaboratori della banca è riuscire ad instaurare un rapporto di fiducia e trasmettere le proprie competenze ed esperienze nei confronti dei clienti (o potenziali). Gli incontri personali, gli eventi, i pranzi… permettono di far crescere questo rapporto consulente-cliente e costruire delle relazioni solide e durature. Con l’esecuzione di incontri “virtuali” è difficile riuscire a trasmettere le sfumature che un incontro personale è in grado di evidenziare, permettendo di conseguenza di differenziarsi dalla concorrenza. I clienti non sempre scelgono la banca a seconda del prezzo, del servizio o dalla modalità in cui esso viene erogato, ma scelgono di affidarsi ad un partner che possa sostenerli, supportarli e consigliarli correttamente. È importante riuscire a non perdere questo elemento con l’integrazione di processi digitali ma, al contrario, di svilupparlo ulteriormente. Il concetto di “smart work” non significa sostituire i colloqui personali con delle videoconferenze o dare completa autonomia ai clienti nelle prestazioni bancarie, rendendo non dispensabili i collaboratori della banca. Questo termine è molto più ampio e si basa su un concetto di flessibilità, permettendo una maggiore conciliazione degli impegni personali e famigliari con quelli professionali. Grazie allo smart work è possibile gestire meglio il tempo, ridurre gli spostamenti e incontrare i propri clienti al di fuori dell’Istituto bancario, facendo ad esempio delle consulenze al domicilio del cliente o presso le aziende». TICINO WELCOME / MAR - MAG 2021

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A.C.: «Gli ostacoli principali incontrati nel settore bancario, che generalmente è rimasto attivo, sono stati quelli che prevedevano incontri fisici come l’accesso alle cassette di sicurezza o la firma di documentazione. Queste attività, seppur possibili, necessitano di un preavviso e di accorgimenti più importanti. L’offerta di nuovi prodotti digitali, quali ad esempio, la firma elettronica, la video identificazione o l’apertura di conti online, è in continuo divenire, permettendo di fornire nuovi servizi ai (potenziali) clienti, aggirando, di fatto, alcuni degli ostacoli che si sono palesati». F.S.: «BNP Paribas offre ai clienti lo stesso livello di servizio, indipendentemente dal fatto che i collaboratori lavorino presso i nostri uffici o, a causa dell’attuale crisi sanitaria, da casa. Siamo al servizio dei nostri clienti e del mondo in cui viviamo. L’attuale contesto potrebbe richiedere ulteriore agilità e flessibilità da parte della banca e dei propri collaboratori rispetto a prima della pandemia. Per continuare a servire in maniera eccellente i clienti, occorrerà maggiore flessibilità e resilienza. A tutti noi manca certamente il contatto umano e diretto con i nostri clienti e colleghi. Il valore sociale ed economico di uno scambio personale, ed il senso di appartenenza che ne deriva, non possono essere sostituiti da incontri virtuali e sale digitali». G.C.: «Facendo tesoro di quanto risposto precedentemente, esistono due principali forme di ostacolo potenziale: l’adeguatezza della struttura informatica e il blocco culturale nell’accettare una forma diversa di organizzazione del lavoro. Per quanto concerne il primo ostacolo, chi non era avvezzo, già prima della

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pandemia, ad un dialogo digitale a distanza ha sicuramente patito e fatto patire disservizi nella fase iniziale di introduzione forzosa dello smart working. Essendo noi un Gruppo di piccole dimensioni, siamo abituati a lavorare in teams dislocati sull’asse Londra, Lugano, Milano, con comunicazioni video quotidiane a tutti i livelli. Lo smart working ha “solo” aumentato il numero di snodi da collegare, non necessariamente la forma di comunicazione da adottare. Questo ci ha permesso da un lato di non dover investire tempo prezioso nel dover costruire una nuova infrastruttura e dall’altro di portare l’esperienza accumulata a sevizio dei clienti, talvolta meno usi a certe forme di comunicazione. Il tema dell’ostacolo culturale è quello che tutti temevano, ma che in pratica raramente si è verificato: il cliente è abituato a trovarti in ufficio e a visitarti all’interno di un contesto istituzionale. La vera sorpresa è stata la rapidità d’adozione di una nuova modalità di interazione, da parte di ogni fascia d’età. La videoconferenza, anche per la semplicità d’utilizzo, è diventata rapidamente un mezzo non solo accettato ma ampiamente apprezzato, facendo in molti casi aumentare notevolmente l’interazione con i clienti. Molto in fretta sono sparite le barriere mentali, facendo prevalere l’aspetto della praticità e della frequenza delle informazioni ottenute. Mi permetto un’osservazione banale ma concreta: siamo passati da incontri molto formali all’interno di contesti istituzionali, a dialoghi a distanza dalle rispettive abitazioni private con cravatte ben riposte nei rispettivi cassetti. Ribadisco un tema toccato in precedenza: l’ostacolo da sormontare sta nel medio periodo, ovvero come far provare l’esperienza della tua banca in un contesto dove questa è fisicamente sparita. Intorno a questo punto si giocherà buona parte della sfida che le banche hanno di fronte».

M.G.: «Da parte nostra non abbiamo registrato problemi particolari incontrati dai clienti. Ci sono funzioni chiave all’interno dell’istituto bancario che non è possibile svolgere da casa. Per esempio, gli sportelli sono aperti normalmente e i collaboratori devono essere presenti sul posto. Poi ci sono servizi – come il trading, che richiede una moltitudine di schermi e programmi informatici speciali, o i crediti documentari ancora per lo più erogati su base cartacea – che vanno espletati in sede. È invece possibile svolgere da casa la grande maggioranza dei servizi che offriamo. Quello che forse manca di più ai clienti – e anche a noi – sono gli incontri di persona. È chiaro che oggi possiamo offrire anche la consulenza alla clientela tramite Zoom o altri canali online. Sento comunque che molti sono un po’ stanchi di seguire conferenze online e parlarsi tramite lo schermo e attendono con impazienza di potersi di nuovo incontrare di persona». L.P.: «nostra clientela utilizza sempre più i canali digitali per effettuare le operazioni bancarie e assistiamo ad un notevole aumento dei pagamenti senza contanti. Ne consegue una comprensibile diminuzione delle classiche operazioni bancarie allo sportello e delle visite dei clienti nelle filiali: ovviamente la pandemia in corso ha velocizzato questa tendenza. Le persone hanno acquisito una maggiore dimestichezza con gli strumenti digitali e hanno imparato a comunicare tramite canali alternativi. La consulenza tramite telefono e videochiamata rappresenta una nuova, efficace ed apprezzata forma di assistenza, che permette ai clienti di chiarire le questioni meno complesse in modo rapido e pratico. Il nostro obiettivo è quello di offrire alla clientela servizi capaci di soddisfare le loro mutate esigenze: ecco perché stiamo ampliando ed estendendo le nostre competenze in tali ambiti».


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Quali sono le principali iniziative di formazione che avete attivato all’interno del vostro istituto al fine di fronteggiare le nuove esigenze di digitalizzazione della vostra organizzazione? F.M.: «BPS (SUISSE) non ha mai perso di vista l’obiettivo formazione; ha solo cambiato metodologia, rafforzando l’aspetto didattico grazie al virtuale. In collaborazione con enti esterni tra cui l’USI Lugano, alcuni anni fa, abbiamo cercato di approfondire alcuni importanti aspetti legati alla formazione a distanza, coinvolgendo nel progetto alcune Collaboratrici e alcuni Collaboratori. In questo siamo stati precursori di un processo oggi di uso comune. In BPS (SUISSE) abbiamo proseguito nella formazione tecnico specialistica e normativa. Abbiamo sviluppato una piattaforma accessibile a tutti, “BPS Academy”, quale contenitore mantello per poter organizzare formazioni a tema, con interventi di accompagnamento mirati. Si lavora molto sulla fiducia, sulla responsabilizzazione, il fare rete e lo scambio di informazioni. Nel mondo del lavoro di oggi, ma soprattutto in quello di domani, c’è bisogno di avere sempre più autonomia e imprenditorialità». P.Z.: «Il tema della formazione è per Banca Migros molto importante. Da tempo il nostro Istituto ha intrapreso misure per permettere a tutti i collaboratori di essere preparati e pronti ad affrontare le esigenze di digitalizzazione, organizzando corsi di formazione chiamati digital fintess day aventi lo scopo di ottimizzare l’utilizzo delle nuove tecnologie. Ad esempio, ad inizio pandemia è stata invitata una conduttrice televisiva per illustrarci alcuni “trucchetti” su come mostrarsi e comportarsi davanti ad una

telecamera nell’ambito delle videoconferenze, oggi diventate la quotidianità anche con i clienti». A.C.: «Come già detto, la digitalizzazione dei processi interni alla banca, fortunatamente, era iniziata prima della pandemia e pertanto non abbiamo dovuto avere ulteriori sessioni di formazione specifiche sullo strumento, né su come interagire o percorre i vari flussi. Abbiamo, invece, supportato ed istruito il personale su come collegarsi in modo sicuro all’infrastruttura, su come accedere al proprio telefono e come richiedere o partecipare a riunioni virtuali o conference call. La disponibilità continua di un help-desk IT ed organizzativa così come l’utilizzo di strumenti e devices preconfigurate “user-friendly” hanno facilitato ulteriormente l’adozione di queste tecnologie e mitigato gli accresciuti rischi cyber». F.S.: «Prevedere i cambiamenti, per BNP Paribas significa trasformarli in opportunità per i propri clienti e fornire loro servizi che hanno scopo, rilevanza e impatto nel mondo che li circonda. I collaboratori della banca sono essenziali per compiere questa missione. Di conseguenza, presso BNP Paribas ogni singolo collaboratore è costantemente incoraggiato a richiedere nuove competenze, ad approfondire le proprie conoscenze e ad acquisire ulteriori qualifiche. Solo così potremo garantire di rimanere la principale banca dell’area euro e una delle più importante istituzioni bancarie internazionali. Presso BNP Paribas, accanto alle ampie offerte di formazione di cui i dipendenti beneficiano sistematicamente, attribuiamo grande importanza al concetto di «Social learning» attraverso la nostra accademia «Swiss Academy», che condivide e trasmette le proprie conoscenze ai colleghi e garantisce che il potenzia-

le già esistente all’interno della banca sia condiviso con tutti. BNP Paribas è senza dubbio una banca che promuove una cultura dinamica del lavoro e dell’apprendimento». G.C.: «Come anticipato, il cuore dello smart working risiede nella capacità di mantenere unito un gruppo abituato a lavorare in presenza. L’aspetto della comunicazione a distanza ci ha toccato meno in quanto abbastanza insito nell’esperienza del Gruppo e ha quindi necessitato di poca formazione. Questo ci ha anche aiutato nel diffondere rapidamente, a livello di singoli teams, le necessarie innovazioni di processo legate al lavoro a distanza. Anche la formazione programmata è semplicemente passata dall’aula al digitale, con bassa perdita di contenuti rispetto all’esperienza passata. Il vero salto formativo penso sia più legato ad aspetti culturali generici e aziendali, ovvero mantenere viva l’identità del tuo istituto anche in assenza di presenza fisica al suo interno. Questo è un passo fondamentale, sui cui stiamo lavorando, per permettere a tutti di sentirsi parte del Gruppo e permettere a controparti esterne, tipicamente i clienti, di vivere l’esperienza “Ceresio Investors”, indipendentemente dalla forma d’interazione scelta». M.G.: «Sul fronte della formazione eravamo già attrezzati da tempo. Ogni collaboratore deve da anni obbligatoriamente svolgere delle formazioni online, per esempio sull’importante tema della sicurezza informatica. Anche l’introduzione di nuove offerte per i clienti – incluse quelle digitali – è spesso accompagnata da apposite formazioni online. Abbiamo invece intensificato l’offerta formativa digitale su temi più vicini alle esigenze dei collaboratori che lavorano da casa, per esempio, corsi di TICINO WELCOME / MAR - MAG 2021

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“mindfulness” (consapevolezza), alimentazione sana e veloce, o esercizio fisico da fare in casa con la supervisione di un coach. Queste offerte sono state particolarmente apprezzate». L.P.: «Per riuscire a stare al passo con i tempi e a cavalcare l’onda della rivoluzione digitale, è necessario un importante cambiamento di cultura: proprio per questo motivo proponiamo ai nostri collaboratori un’importante e ampia offerta di formazione, con particolare attenzione su competenze chiave quali l’agilità nel mondo digitale. La nostra offerta include lo sviluppo continuo dei collaboratori e del management, la formazione di consulenza e di vendita, le migliori certificazioni del settore e, non da ultimo, lo sviluppo di nuove competenze relative alla salute e al benessere. Collaboriamo con le migliori università, al fine di assicurarci costantemente che le nostre conoscenze siano all’avanguardia. Durante la pandemia abbiamo offerto ai collaboratori che lavorano da casa un’apposita formazione sull’home working. Altro aspetto importante è quello di gestire al meglio i talenti ed offrire delle interessanti opportunità di carriera. UBS dispone di uno strumento di mobilità, che consente ai collaboratori di esplorare percorsi di carriera, cercare lavoro e connettersi con colleghi che lavorano in ruoli che corrispondono ai loro interessi, aiutando al contempo i nostri recruiter a reperire più facilmente i talenti interni». La digitalizzazione è un processo non solo tecnologico ma anche culturale: in che modo si può favorire la diffusione a livello generale di questo nuovo e diverso approccio? F.M.: «Cambiano i paradigmi di pensiero. Cambiano i dogmi, cambiano le abitudini, gli atteggia-

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menti e i metodi di lavoro. In BPS (SUISSE), grazie alla partecipazione e al supporto di tutti, manteniamo viva la nostra cultura aziendale, senza dimenticarci delle sue radici. Quella cultura che ci fa raggiungere il successo, dapprima quello umano e poi, quale logica conseguenza naturale, quello economico e finanziario. In questo contesto, la digitalizzazione viene utilizzata quale strumento di diffusione della nostra cultura aziendale». P.Z.: «È proprio il cambiamento culturale e le abitudini della popolazione che hanno permesso di integrare in modo decisivo dei processi digitali. Non sono infatti i clienti che si adattano alle esigenze della banca ma piuttosto la banca che adegua i suoi processi ai bisogni dei suoi clienti”. Le abitudini dei clienti e il loro stile di vita hanno subito molti cambiamenti: infatti il tempo a disposizione per recarsi in banca e avere una consulenza o un colloquio personale durante i canonici orari di apertura è sempre minore a causa dei molteplici impegni professionali e personali che tendono a sovrapporsi. Oggi, grazie alla digitalizzazione, Banca Migros è in grado di offrire un servizio di base 24 ore su 24. Per favorire questo nuovo approccio è innanzitutto stato necessario sviluppare e migliorare le competenze digitali dei collaboratori per riuscire a garantire un supporto ottimale al cliente e “sponsorizzare” con entusiasmo e con il giusto approccio i canali digitali. Possiamo distinguere tra due categorie: “clienti digitalizzati” e “clienti non digitalizzati”. Per coloro che sono già alfabetizzati a livello digitale, integrare dei processi bancari più smart, più tecnologici e all’avanguardia, non rappresenta troppi problemi. Per coloro che hanno difficoltà ad adattarsi ai nuovi processi per ragioni di diversa natura, è importante utilizzare le competenze dei consulenti per riuscire ad

integrare e supportare i clienti con meno conoscenze e portarli ad una digitalizzazione graduale». A.C.: «L’adozione sarà tanto più veloce e semplice tanto più gli strumenti saranno intuitivi e di facile utilizzo. Come per l’intelligenza artificiale, che è ormai insita in apparecchiature e applicativi ma “trasparente” all’utente finale, anche questa trasformazione dovrà avvenire come “naturale” estensione di un processo. Pertanto, perché si diffonda a livello generale, anche il beneficio d’adozione deve esserlo: se una banca, un’azienda, lo stato stesso con gli sportelli virtuali ne trovano giovamento, anche il cliente, il dipendente, il cittadino devono poterne giovare. Questo beneficio può sì essere la “non presenza fisica” da una parte, ma dall’altra dovrà portare con sé un risparmio, sia esso monetario, di tempo o di complicazione all’utilizzatore: si pensi ad esempio alla possibilità di effettuare un bonifico tramite uno smartphone, che risulta essere sia immediato che efficiente dal punto di vista dei costi (sia per la banca che per il cliente)». F.S.:: «La digitalizzazione è fondamentale nel mondo di oggi, così come l’innovazione e la trasformazione. Per BNP Paribas l’innovazione è al centro del modello economico della banca e sostiene fortemente il nostro piano di sviluppo. È sempre stata la massima priorità della banca semplificare ed accelerare le operazioni bancarie modellando servizi innovativi e soluzioni digitali che garantiscono in ogni momento la sicurezza di ogni transazione ed i dati dei nostri clienti. Il mondo diventerà senza dubbio sempre più digitalizzato. Più profonda è la cultura della digitalizzazione di un’impresa, più sarà possibile garantire il futuro all’impresa stessa».


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G.C.: «Abbiamo già toccato il tema culturale nelle precedenti risposte e vorrei quindi approfondire due argomenti correlati. La diffusione di una nuova cultura dell’organizzazione del lavoro passa, forse, da due snodi principali: capire bene i limiti del concetto di “smart working” e ripensare al concetto di fiducia reciproca. Per quanto concerne il primo, è indubbio che la flessibilità lavorativa comporta una serie di fattori positivi che vanno dal miglior bilanciamento lavoro – vita privata, ad una riduzione dei tempi morti legati tipicamente agli spostamenti, ad una riduzione degli elementi di disturbo tipici di un’attività svolta in gruppo. Potremmo aggiungerne molti altri ma, a mio avviso, la loro somma non porterebbe alla conclusione che debba esistere in futuro solo l’azienda diffusa. Ricordando Aristotele, non possiamo dimenticare che l’uomo è un animale sociale ed ha bisogno dell’interazione e del confronto con terzi. L’immedesimarsi nell’azienda per cui lavoro è una parte fondamentale del riconoscimento personale, da qui la necessità di sentirsi parte della stessa anche “fisicamente. Introducendo una visione imprenditoriale, aggiungo che, nella fase più dura della pandemia, con quasi tutti i collaboratori a casa, la componente procedurale del lavoro ha funzionato perfettamente; la creazione di nuove idee molto meno, anche perché queste sono sovente figlie del confronto e del dialogo spontanei, molto più rari ed efficaci se svolti a distanza. Riassumendo, i vantaggi di questo “nuovo” approccio sono indubbi, ma bisogna saperne tarare la frequenza, in maniera da ottimizzare gli aspetti positivi, senza dover correre il rischio di trasformarsi in una catena di montaggio digitale. Il tema della fiducia è forse ancora più importante, perché obbliga davvero ad una nuova forma di governo del lavoro e ad un arricchimento della responsabilizzazione del singolo. Il lavorare a

distanza presuppone, infatti, un diverso patto di fiducia con i propri collaboratori. Un esempio banale ma concreto: come misurare le ore di straordinario in assenza di un controllo sistematico, ma soprattuto sociale, del tempo effettivamente lavorato? Qui arriviamo all’aspetto “cultura” vero, ovvero la consapevolezza del singolo del ruolo che gli compete all’interno della società per cui lavora. Qui bisogna investire tempo e risorse per far si che lo “smart working” diventi, quando concesso, una forma di arricchimento personale ed aziendale, legato alla responsabilizzazione del singolo, votata al raggiungimento di un obiettivo comune, moralmente ed intellettualmente ancora più alto dei concreti vantaggi personali ricevuti». M.G.: «In quest’ultimo anno tutti noi siamo stati obbligati dalle circostanze a familiarizzarci maggiormente con gli strumenti digitali, sia sul posto di lavoro, sia privatamente. Pensiamo, per esempio, al balzo registrato dall’e-commerce in seguito alla chiusura dei negozi oppure alle persone anziane che hanno imparato a usare telefoni e tablet per fare videochiamate con i propri nipoti nell’impossibilità di vederli di persona. Credo quindi che alla base ci debba essere un’esigenza del singolo da soddisfare o un evidente

vantaggio che lo spinga a utilizzare i processi digitali. Ciò non toglie che nella nostra cultura la normalità è fatta anche di incontri personali che continueranno a essere importanti negli affari e nella vita privata». L.P.: «La digitalizzazione va innanzitutto accolta, con flessibilità e grande spirito di adattamento: è soprattutto una questione mentale. È quindi necessario garantire un’adeguata informazione, che permetta di avvicinare anche le persone più reticenti a questo nuovo mondo, i cui ambiti sono quasi completamente permeati dall’automazione. Bisogna guardare con positività al cambiamento e cogliere gli aspetti vantaggiosi di questo fenomeno: la rivoluzione tecnologica velocizza e snellisce i processi, con conseguente giovamento in termini economici, connette le persone, permette una maggiore flessibilità e aiuta la sostenibilità ambientale. Ovviamente il cambiamento di mentalità non è immediato, ma la digitalizzazione, che ha una crescita e un’evoluzione rapidissime, ci costringe a rompere i nostri schemi e ad adottarne di nuovi in maniera repentina. Ecco perché è fondamentale lavorare sulla nostra duttilità e restare sempre aggiornati, ad esempio tramite corsi e offerte di formazione».

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ACCESSO UNICO AI SERVIZI GLOBALI DEL GRUPPO BNP PARIBAS

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NP Paribas è presente in Svizzera dal 1872. Quale importanza ha la Svizzera per la sua Istituzione? «La Svizzera rappresenta un mercato fondamentale all’interno del Gruppo vista la stabilità economica e politica che la rende strategica nel panorama internazionale. Il multiculturalismo, la dedizione alla tutela ed al rispetto della privacy, la tradizione e la competenza nella fornitura di servizi a livello internazionale, fanno della Svizzera uno dei principali hub finanziari al mondo».

FABIO SPINELLI, DIRETTORE DELLA FILIALE DI BNP PARIBAS A LUGANO DAL 2019, PARLA DEL RUOLO DELLA SEDE DI LUGANO COME ACCESSO ESCLUSIVO AI SERVIZI GLOBALI DELLA BANCA LEADER NELLA ZONA EURO PER AZIENDE, CLIENTELA ISTITUZIONALE E PRIVATI.

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BNP Paribas è un’istituzione bancaria internazionale globale. Qual è il ruolo della Banca svizzera all’interno del Gruppo BNP Paribas? «BNP Paribas è una delle banche internazionali leader al mondo ed anche in Svizzera grazie al proprio modello bancario ben diversificato. BNP Paribas Svizzera beneficia della rete internazionale del Gruppo ed ha un ruolo cruciale nel servirlo per soddisfare le esigenze della clientela istituzionale, aziendale e privata». Qual è la strategia di BNP Paribas in Svizzera? «Il nostro obiettivo è servire il mercato svizzero espandendo la nostre relazioni con controparti aziendali, istituzionali e di gestione della ricchezza privata in cui la nostra vasta gamma di servizi e prodotti ci distingue dalle altre banche locali ed internazionali. L’obiettivo di

BNP Paribas è inoltre quello di fornire soluzioni di finanziamento per una crescita sostenibile e responsabile, agire da impresa impegnata ed innovativa per costruire un mondo migliore. In linea con tale impegno e con gli obiettivi di sviluppo sostenibili delle Nazioni Unite, abbiamo pertanto sviluppato i servizi (Impact Solutions) di gestione e di consulenza. Grazie a questa nuova gamma di soluzioni, i nostri clienti possono beneficiare di un elevato livello di personalizzazione che consente loro di allineare gli investimenti ai propri valori personali. Oltre all’analisi finanziaria tradizionale, questo approccio crea anche un valore a lungo termine, anticipando i rischi sociali ed ambientali e catturando le opportunità degli investimenti sostenibili». Cosa propone la banca con i servizi di Corporate e Institutional Banking? «BNP Paribas si posizione come «One Bank for Corporates». Ad aziende ed istituzioni offriamo soluzioni globali sui mercati dei capitali, in ambito dei servizi finanziari, dei finanziamenti, della gestione della tesoreria e della consulenza finanziaria ad-hoc. La nostra esperienza in più discipline ci consente di fungere da ponte tra le esigenze di finanziamento delle imprese e quelle di investimento degli investitori istituzionali. Grazie alle forti relazioni che intratteniamo con i nostri clienti, conosciamo le sfide che devono affrontare e possiamo adattare i


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nostri servizi e le nostre soluzioni. In questo modo possiamo sostenere le imprese e le istituzioni con una consulenza adeguata, assistendoli nel loro sviluppo a livello internazionale. BNP Paribas si impegna a operare in modo sostenibile e socialmente responsabile a tutti i livelli. Per questo motivo la banca opera in stretta collaborazione con i propri clienti per comprendere sia le sfide che le opportunità: BNP Paribas ha infatti svolto un ruolo particolarmente attivo nello sviluppo del mercato delle obbligazioni green ed ha fra l’altro una conoscenza approfondita del mercato delle energie rinnovabili. Grazie a questo know-how aiutiamo i nostri partner ad anticipare ed ad adattarsi all’evoluzione del quadro internazionale, ecologico e normativo».

Enna Pariset, Head of Corporate & Institutional Banking Switzerland: «BNP Paribas in Svizzera porta letteralmente il mondo ai nostri clienti aziendali ed istituzionali svizzeri, riuscendo a soddisfare le loro esigenze grazie alla nostra presenza locale in oltre 70 paesi del mondo. Siamo sia locali sia internazionali, proprio come i nostri clienti».

BNP Paribas è anche attiva nella gestione della ricchezza. Che cosa proponete rispetto agli altri wealth managers? «Il modello integrato del gruppo BNP Paribas ci consente, in qualità di gestori globali della ricchezza dei clienti, di offrire loro la stabilità finanziaria di una banca leader in Europa con una piattaforma di servizi e prodotti a livel-

lo internazionale. Al contempo, BNP Paribas è pioniere nel campo degli investimenti sostenibili e della finanza green. La sostenibilità è al centro della nostra strategia. Offriamo soluzioni di investimento che tengano conto della responsabilità verso le generazioni future, dell’ambiente e della società in cui viviamo. Siamo convinti che la continua ricerca di soluzioni innovative di sostenibilità non solo sia compatibile con i rendimenti attesi degli investimenti, ma sia anche in grado di offrire delle opportunità sempre più numerose che diano un valore aggiunto economico-sociale ed ambientale alla gestione attiva della ricchezza dei clienti».

Hubert Musseau, Head of Wealth Mangament Switzerland: «Grazie ai nostri tre siti di Ginevra, Lugano e Zurigo, BNP Paribas è presente nelle tre principali regioni linguistiche del paese. Questo è un enorme vantaggio perché ci permette di essere vicini sia ai nostri clienti locali che agli specialisti del nostro gruppo in tutto il mondo».

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Qual è la strategia e l’offerta di BNP Paribas a Lugano? «BNP Paribas a Lugano, in linea con la strategia della Banca in Svizzera, ha il chiaro obiettivo di accelerare la propria crescita in Ticino in base a quattro nuovi principi cardine: internazionalizzazione; maggiore diversificazione della clientela (privata, aziendale ed istituzionale), un’offerta globale di soluzioni d’investimento sostenibili (ESG) ad hoc e l’accesso esclusivo a nuovi servizi del Gruppo BNP Paribas nel mondo. Siamo focalizzati sulla clientela svizzera ed internazionale. Clienti svizzeri con esigenze internazionali di investimenti personali, di crescita all’estero della propria azienda o di sviluppo di nuove relazioni commerciali o istituzionali. Clientela internazionale che già opera sui mercati esteri e che intende beneficiare di un unico centro di competenze e di gestione dei propri interessi personali ed aziendali. Tutto questo direttamente da Lugano in relazione con gli oltre 70 paesi del mondo in cui opera il Gruppo BNPP Paribas. Una maggiore diversificazione ed un ampliamento della nostra base clienti è inoltre fondamentale per uno sviluppo armonico della filiale di Lugano. In qualità di Banca europea di riferimento con una forte presenza in tutti i mercati locali confinanti con la Svizzera, stiamo vivendo una richiesta crescente per i nostri servizi dedicati alle aziende ed agli Investitori Istituzionali. Con oltre 20 anni di track record negli investimenti sostenibili ed un approccio realmente globale, BNP Paribas integra la ricerca e l’analisi ESG in tutte le strategie, asset class ed aree geografiche nelle quali il Gruppo opera attivamente. Abbiamo pertanto creato il Sustainability Centre, un gruppo multidisciplinare di professionisti con esperienza finanziaria, economica, legale ed abbiamo implementato una gamma completa di fondi Enhanced ESG, impact, tematici focalizzati principalmente sulla transizione ener-

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getica e sul cambiamento climatico. La nostra offerta di Wealth Management integra la sostenibilità in ogni servizio: sia attraverso mandati discrezionali tailor made sia tramite il servizio esclusivo di Sustainable Advisory. Per aiutare i clienti ad individuare le tematiche che sono per loro più rilevanti, abbiamo sviluppato myImpact, una app dedicata che consente di scoprire il mondo degli investimenti sostenibili e di definire, monitorare e personalizzare dinamicamente il profilo d’investitore responsabile di ogni cliente. Grazie al nostro approccio «One Bank», i nostri clienti in Ticino hanno accesso diretto ai servizi esclusivi del Gruppo BNP Paribas ed, in particolare al nuovo servizio di wealth planning internazionale; all’attività integrata di M&A Corporate Advisory ed alle soluzioni specifiche in ambito di Real Estate. Il team Wealth Planning Solutions fornisce un’assistenza globale e transfrontaliera basata su un modello di architettura aperta caratterizzato da

un duplice approccio: orientato al cliente ed indipendente allo stesso tempo. I clienti a Lugano hanno inoltre a loro disposizione i team specializzati di M&A Corporate Advisory presenti nei vari paesi europei, in nord-america e nei principali paesi dell’America Latina. Infine, in sinergia con BNPP Real Estate Investment Group, selezioniamo, analizziamo e gestiamo i portafogli immobiliari dei clienti. Intermediamo e finanziamo ogni singolo immobile cosi da creare un portafoglio diversificato globale (residenziale e/o commerciale) ad hoc per ciascun cliente; tutto cio’ tramite un’unica relazione bancaria con BNP Paribas Lugano, grazie alle sinergie implementate con la rete capillare di banche commerciali del Gruppo BNPP nel mondo».

BNP PARIBAS (SUISSE) SA Riva Caccia 1a CH-6907 Lugano T. +41 58 212 41 11 www.bnpparibas.ch


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BANCARIO, FINANZIARIO E ASSICURATIVO

Dal 1977 in Svizzera nei servizi alle imprese nell’ambito delle Risorse Umane

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Alberto Largader Senior Partner

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FINANZA / CREDIT SUISSE

SOSTEGNO CONCRETO ALLE IMPRESE

SIN DALLA SUA FONDAZIONE NEL 1856, CREDIT SUISSE SOSTIENE L’IMPRENDITORIA IN SVIZZERA CON L’OBIETTIVO DI OFFRIRE PRODOTTI E SERVIZI ORIENTATI ALLA SODDISFAZIONE DELLE ESIGENZE DEI SUOI CLIENTI. NE PARLIAMO CON FRANCO CANCELLARA, RESPONSABILE DEL TEAM ENTREPRENEURS AND EXECUTIVES DELLA REGIONE TICINO.

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he cosa significa essere una “Banca per gli imprenditori”? «Nel 1856 Alfred Escher fondò Credit Suisse con l’obiettivo di sostenere il più grande progetto ferroviario del tempo: la linea del San Gottardo che finalmente unì Nord e Sud delle Alpi. Da allora, l’imprenditoria è parte del DNA di Credit Suisse. Essere “Banca per gli imprenditori” oggi significa ancora molto di più: il titolare della ditta è sempre anche una persona fisica. Con la nostra strategia seguiamo gli imprenditori e le imprenditrici adottando un approccio globale. Ciò significa che accompagniamo le aziende in tutte le

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fasi della vita: dalla fondazione alla fase di espansione, fino alla successione. Al tempo stesso aiutiamo gli imprenditori a costruire e a conservare il loro patrimonio privato, perfettamente in linea con i piani aziendali e privati. Con la nostra consulenza, siamo in grado di soddisfare le complesse esigenze del cliente, proponendoci come interlocutore unico, perché al nostro interno abbiamo gli specialisti in grado di risolvere tutte le questioni aziendali e private. Vogliamo capire a fondo l’imprenditore e le sue sfide. Solo in questo modo possiamo offrire in ogni situazione la soluzione giusta, sia per l’impresa, sia per il patrimonio privato». Il suo team si occupa di imprenditori e dirigenti. Come hanno reagito questi ultimi all’evolversi della situazione e come li sostenete in questo contesto? «Il nostro team Entrepreneurs and Executives sa bene che per molti il cuore del patrimonio privato è costituito dalla propria attività aziendale. L’anno scorso, nel pieno della pandemia, ci siamo subito attivati per affiancare gli imprenditori insieme ai consulenti della clientela aziendale per facilitare, dove necessario, il loro accesso ai crediti ponte garantiti dalla Confederazione. Il processo era talmente facile e rapido al punto che la maggior parte delle aziende ha ricevuto i fondi necessari entro poche ore con un record di 18 minuti dal momento della richiesta. Le aziende hanno reagito alla situazione con grande flessibilità, alcune hanno approfittato per rivedere la loro strategia o per affrontare temi che da tempo rimandavano, come

per esempio la successione aziendale. Noi ci teniamo particolarmente a offrire ai clienti un servizio di eccellenza, che è parte della nostra cultura aziendale, anche e soprattutto in un momento difficile come quello attuale». Può farci un esempio concreto di consulenza finanziaria globale? «Un ottimo esempio può essere la regolamentazione della successione: supponiamo che il titolare di una società decida di passare il timone a sua figlia. Prima, però, desidera svincolare per sé stesso una parte del patrimonio aziendale. La figlia, quindi, come nuova azionista di maggioranza, necessita di un finanziamento per l’acquisto delle azioni, di cui si occupa il nostro settore per gli affari con la clientela commerciale. Il padre ottiene la liquidazione di un determinato importo e aiuta la figlia a finanziare l’acquisto delle azioni mediante l’importo immobilizzato. Siamo quindi già tornati automaticamente nella sfera privata. Una volta ricevuto il denaro, di che alternative dispone il padre? Come affronta la questione della previdenza per la vecchiaia? In che modo può ottimizzare gli investimenti suoi e dell’azienda? Con i nostri consulenti e gli specialisti troviamo le soluzioni più appropriate». In quale fase della vita di un’azienda dovrebbe iniziare idealmente l’assistenza globale da parte della banca? «Ciò può avvenire già al momento della costituzione o in un secondo tempo. Dipende dalle dimensioni e dalla crescita dell’impresa. A questo proposito


FINANZA / CREDIT SUISSE

digitalizzazione dei certificati azionari o la costituzione di azioni digitali. Il Corporate Housekeeping crea così le condizioni per opzioni strategiche. La professionalizzazione delle strutture correlate alle partecipazioni azionarie costituisce un’ideale base di partenza per i trasferimenti di proprietà: dall’accettazione di nuovi investitori, alla quotazione in borsa o a operazioni di fusione e acquisizione, sistemi di partecipazione dei collaboratori, fino a soluzioni di successione o eredità».

occorre sapere che la maggior parte dei titolari non dispone di molta liquidità, poiché gli utili spesso vengono subito reinvestiti. Vediamo spesso amministratori così assorbiti dalla gestione ordinaria della loro azienda da non avere tempo di pensare ad altro. Tuttavia è importante ragionare sulla propria strategia patrimoniale e sottoporla alla verifica di esperti, al fine di rilevare per tempo i rischi per l’impresa e per la famiglia, ma anche di identificare opportunità per il futuro».

li non soggette agli stessi cicli di rischio della sua ditta. Per quanto concerne le opportunità ci sono per esempio i piani di previdenza 1e tramite i quali le aziende possono offrire ai dipendenti maggiore libertà nella gestione previdenziale e al tempo stesso usufruire di interessanti vantaggi, ad esempio alleggerire il bilancio aziendale. Inoltre, offriamo anche una gestione professionale della partecipazione azionaria che può aprire la strada a un ulteriore sviluppo dell’attività imprenditoriale».

Riguardo al rischio e alle opportunità di cui sopra, quali sono gli aspetti principali da considerare? «Per i rischi, oltre a una regolamentazione della successione ben pianificata, troviamo soprattutto la previdenza per la vecchiaia. Gli imprenditori preferiscono tenere i loro fondi previdenziali in azienda, una scelta comprensibile, ma indubbiamente rischiosa. Tutte le imprese implicano rischi, che non sempre sono prevedibili. L’imprenditore deve esserne consapevole e valutare se esistono anche altre soluzioni previdenzia-

Che cosa intende per gestione della partecipazione azionaria? «La nostra consulenza qualificata nel campo del Corporate Housekeeping è pensata per rispondere a domande del tipo: “Come si può custodire in modo sicuro e trasferire in modo efficiente la propria partecipazione azionaria?”. Grazie al sostegno dei nostri consulenti alla clientela e con l’ausilio dei nostri esperti si avvia un processo di consulenza sistematico per trovare la chiave per rispondere a queste domande. Per esempio, valutiamo una soluzione di

Tra le altre sfide che vive un imprenditore oggi per la sua azienda ci sono anche i tassi negativi. «Si, in questo ambito affrontiamo il tema partendo da un punto di vista più ampio, rivedendo la modalità di utilizzo e la gestione della liquidità in eccesso non necessaria per l’esercizio all’interno delle PMI. Nell’attuale contesto economico le strategie d’investimento a basso rischio non consentono di conseguire rendimenti interessanti. Inoltre, è difficile riuscire a conservare il valore dei portafogli obbligazionari. Per questo motivo offriamo la nostra consulenza in materia di investimento della liquidità non necessaria per permettere da un lato di evitare i tassi negativi, ma anche di ottenere un rendimento e contenere le oscillazioni di valore a fine anno. Se la liquidità viene investita direttamente dalla società è possibile approfittare dei vantaggi fiscali offerti dal principio del valore contabile: è vero che gli utili di capitale sono fiscalmente imponibili, ma in contropartita le perdite di capitale possono essere compensate con gli utili».

PER SAPERNE DI PIÙ Dal 1856 ad oggi, e in futuro, la nostra ambizione resta quella di affiancare e soddisfare tutte le esigenze finanziarie dei nostri clienti, sia professionali che private.

Per ulteriori informazioni: https://www.credit-suisse.com

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FINANZA / BANCASTATO

PRONTI A GESTIRE LE SFIDE DEL SETTORE

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lasse 1970, De Gottardi dirige la nuova Area Prodotti e Servizi e nella sua ventennale carriera nel settore bancario – tutta svolta a BancaStato – è sempre stato spronato da un obiettivo per lui cruciale: lavorare a favore del suo amato Ticino. Gli abbiamo rivolto alcune domande.

UN MERCATO SEMPRE PIÙ DIFFICILE, MUTEVOLE E COMPLESSO ESIGE PROATTIVITÀ, VELOCITÀ E CAPACITÀ DI ADATTAMENTO. È CON QUESTA CONSAPEVOLEZZA CHE DA GENNAIO CURZIO DE GOTTARDI È ENTRATO NELLA DIREZIONE GENERALE DI BANCASTATO.

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Gli ultimi anni sono stati molto turbolenti per il settore bancario. Quali sono stati gli effetti sui prodotti e sui servizi delle banche? «Nell’ultimo decennio le banche svizzere si sono trovate ad affrontare molte sfide importanti. Penso in primis a tutti gli aspetti legati alle innumerevoli esigenze normative nazionali e internazionali, alla strategia del denaro dichiarato e alle particolari evoluzioni congiunturali che hanno progressivamente portato i tassi di interesse di riferimento prima vicino allo zero e poi sotto di esso. In pochi anni il mondo bancario al quale si era abituati si è praticamente capovolto. Ma non solo: l’ultimo decennio ha portato con sé nuove abitudini e nuovi paradigmi che hanno impattato fortemente sulle abitudini e sulle aspettative dei clienti. Le nuove tecnologie hanno avuto un ruolo determinante in tal senso. Oggigiorno è impensabile che la propria banca di riferimento non offra prodotti e servizi digitali: e non penso unicamente all’e-banking – un prodotto che è già diventato per molti versi “tradizionale” – ma anche alle molteplici varietà di pagamenti “smart”, alle piattaforme con cui interagire con il proprio istituto a distanza per tutte le esigenze, alle varie intelligen-


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ze artificiali applicate per rendere più snella ed efficiente l’esperienza bancaria della clientela, e tanto altro ancora. Insomma: il processo di “digitalizzazione”, di cui si parla molto, e a giusta ragione, ha coinvolto capillarmente anche la maniera di “fare banca”: sia per quanto riguarda l’offerta finale alla clientela, sia per la gestione interna stessa degli istituti. Basti pensare che nel mondo esistono ormai anche banche completamente digitali, in cui non ci si reca mai fisicamente. Di fronte a questa sfida immensa chi si ferma è perduto». Come si conciliano questi cambiamenti globali con realtà locali come BancaStato? «Naturalmente anche il nostro territorio non è stato immune ai cambiamenti della tecnologia e delle aspettative della clientela. E anche una banca locale, fortemente orientata al territorio, con un’ampia rete di vendita fisica come BancaStato, ha man mano arricchito la sua offerta con prodotti e canali al passo coi tempi. Lo scopo non è mai cambiato: farsi trovare là dove i ticinesi ci cercano, dare loro la possibilità di relazionarsi con noi nella modalità che prediligono. Un simile approccio ha sempre contraddistinto l’operato di BancaStato, che in oltre cento anni di vita ha dovuto adattarsi costantemente alle evoluzioni sociali ed economiche del Ticino. Ma nell’ultimo decennio i cambiamenti nel settore bancario hanno subito una netta accelerazione. Anche per questo motivo è stato deciso di creare la nuova Area Prodotti e Servizi, inaugurata a gennaio 2021 e che ho l’onore di coordinare. Il suo obiettivo principale è appunto quello di gestire al meglio il processo di trasformazione digitale e l’evoluzione del modello operativo, accrescendo anche qualità ed efficienza. Proattività, velocità e capacità di adattamento sono le chiavi di volta».

Parlando di efficienza: BancaStato in passato è stata spesso criticata proprio su questo aspetto… «Questo era in parte vero anche per ragioni storiche, dovute a una legge che limitava il suo campo di attività e che ha frenato il suo sviluppo. La legge, però, è stata modificata e l’istituto non senza difficoltà si è fortemente rimboccato le maniche per recuperare il terreno perso. BancaStato è molto cambiata negli ultimi anni. I responsabili, tutte le collaboratrici e tutti i collaboratori hanno lavorato moltissimo in tal senso e l’istituto è un vero e proprio gioiello di proprietà dei ticinesi: lo dimostrano anche i risultati finanziari dell’ultimo decennio, ottenuti tra l’altro in condizioni di mercato particolarmente difficili». Ora qualche domanda più personale… come ha accolto il nuovo incarico? «Entrare nella Direzione generale è un onore, fonte di grande orgoglio e di molteplici emozioni. Ho sempre lavorato a BancaStato e questo per me si sposa perfettamente con il mio forte senso di appartenenza al Ticino. Credo che sia molto gratificante in quanto responsabile poter far convergere l’amore per il proprio territorio con il proprio lavoro. BancaStato ha un chiaro mandato pubblico e tutti coloro che ci lavorano sono orgogliosi di avere una missione così speciale. Ciò è stato particolarmente vero durante il 2020: BancaStato si è subito attivata per sostenere in vari modi l’ecosistema economico cantonale, messo a dura prova dall’emergenza sanitaria. Siamo tutti molto fieri del grande lavoro svolto».

fessionisti, fortemente motivati. La squadra è compatta e ben determinata a raggiungere importanti obiettivi. Sono molto ottimista per il futuro. Insomma: non potrei chiedere collaboratrici e collaboratori migliori. Sono anche particolarmente felice dell’ottimo clima, della coesione e della collegialità che vigono all’interno della Direzione generale». Come ogni alto dirigente, una grande parte del suo tempo è dedicato alla sua professione. Come sono le giornate al di fuori della banca? «Mi verrebbe da dire: corte! Ironia a parte, ho una splendida famiglia, con tre figli che crescono, e una grande passione per il rampichino che mi porta non appena posso a percorrere i sentieri del nostro bel territorio. Da quest’anno termina invece un’altra attività a cui ho dedicato cuore ed energie: la carica di sindaco di Lumino. Dopo 16 anni è arrivato il momento di passare il testimone». Come vede BancaStato tra dieci anni? «In un decennio sicuramente vi saranno molti cambiamenti dal punto di vista dell’offerta alla clientela e delle modalità di lavoro. Ma BancaStato sarà sempre e comunque contraddistinta dalla sua vicinanza e prossimità con il territorio e con chi lo abita. I canali e i prodotti si evolvono: il nostro mandato pubblico resta inalterato».

È già possibile tracciare un primissimo bilancio della sua attività? «Sicuramente sì da un punto di vista qualitativo. Ogni nuovo importante cambiamento comporta naturalmente anche qualche difficoltà, ma nei primi tre mesi ho avuto la conferma di poter lavorare con eccellenti proTICINO WELCOME / MAR - MAG 2021

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TURISMO / UN SETTORE IN EVOLUZIONE

COME PREPARARE IL RILANCIO

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i è chiuso un anno sicuramente tra i più difficili per il settore del turismo che ha risentito pesantemente delle chiusure imposte dalla pandemia e della notevole riduzione dei flussi turistici, soprattutto internazionali. Dopo un’estate che aveva mostrato incoraggianti segnali di ripresa, settembre ha segnato l’inizio dell’anno scolastico e quello che per molti sembrava poter essere un “vero” ritorno alla normalità, ben presto è stato offuscato dalla seconda ondata della pandemia. In questo contesto quanto mai precario, anche il turismo continua e vivere un momento molto delicato e si sta profilando un altro periodo caratterizzato da assoluta incertezza. Per gli operatori del settore e per gli enti preposti alla promozione delle attività turistica si apre dunque un anno dove alla voglia di ripartire si contrappongono i rischi connessi ad una pianificazione delle attività che può essere suscetti-

bile di rinvii, ritardi o annullamenti. Che anno sarà dunque il 2021? Lo abbiamo chiesto a chi, pur con ruoli e responsabilità diverse, opera direttamente all’interno del settore, nella

convinzione che i periodi di incertezza e difficoltà sono proprio quelli in cui è più necessario gettare le basi per progettare e poi avviare, speriamo molto presto, un solido e duraturo rilancio.

HANNO PARTECIPATO ALL’INCHIESTA:

ANGELO TROTTA (A.T.) Direttore di Ticino Turismo

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ALESSANDRO STELLA (A.S.) Direttore dell’Ente Turistico del Luganese

NADIA LUPI (N.L.) Direttrice Organizzazione Turistica Mendrisiotto e Basso Ceresio

LORENZO PIANEZZI (L.P.) Presidente Hotellerie Suisse Ticino


TURISMO / UN SETTORE IN EVOLUZIONE

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uali sono le strategie per far fronte alla situazione di crisi pandemica che imperversa ancora nei primi mesi del 2021, con il perdurare di chiusure e restrizioni? A.T.: «Di fronte a una situazione che resta permeata dall’incertezza, appare evidente che anche nel 2021 il mercato più importante verso il quale concentrare i nostri sforzi rimane quello interno, con la speranza di poter essere di nuovo attivi sui mercati esteri a partire dal secondo semestre dell’anno. Il nostro Piano attività marketing 2021, scaricabile dal nostro sito, cerca di dare delle risposte a due macrotendenze: le vacanze a corto raggio e la ricerca di un certa tipologia di prodotto turistico. Il visitatore dell’era post coronavirus è caratterizzato da una maggiore predisposizione verso i soggiorni nella natura e i luoghi meno conosciuti e poco frequentati. Dal punto di vista strategico, nelle prossime settimane lanceremo una piattaforma con orizzonte 2030 dove verranno presentati i target, le priorità e i segmenti prioritari condivisi con le quattro Organizzazioni turistiche regionali».

A.S.: «L’Ente Turistico del Luganese ha rivisto la sua strategia focalizzandosi maggiormente sulle attività di marketing digitale e sui sociali media, per adeguare in modo puntuale l’informazione, la comunicazione e promuovere la destinazione verso il mercato svizzero nel pieno rispetto delle normative vigenti. Seguendo quanto effettuato nel 2020, nei primi mesi del 2021, oltre ad assicurare l’operatività aziendale e la salute di tutti i collaboratori, ci stiamo focalizzando sulla promozione digitale mirata a mantenere vivo l’interesse per la destinazione ed essere pronti a promuovere tutta l’offerta turistica regionale in primavera».

N.L.: «A breve termine è chiaro che nessuno può fare nulla d’impattante per sbloccare un sistema turistico che è compromesso a livello mondiale dalla pandemia, ma i progetti di comunicazione e non solo, sono in elaborazione con l’obiettivo di farsi trovare pronti quando sarà il momento. A livello nazionale è stata elaborata una specifica strategia che definisce il piano d’azione e di comunicazione convenuto e condiviso con le destinazioni cantonali, che viene regolarmente aggiornato tenendo in conto i cambiamenti in atto. A livello cantonale Ticino Turismo e le quattro OTR lavorano insieme per definire il piano d’attività operativo, ma nel frattempo si lavora insieme per ragionare in maniera sistemica a progetti strategici di sviluppo di prodotti. Si pensa al 2022 e si ragiona insieme sul tema delle nuove opportunità. A livello regionale per quanto concerne la nostra OTR, collaboriamo con le altre OTR e con Ticino Turismo consapevoli del cambiamento in atto nel mondo del turismo, confrontandoci con molta più frequenza che in passato. Abbiamo inoltre alcuni progetti nostri ed altri di partner con i quali collaboriamo, che sono stati consolidati nel corso del 2020 e che riteniamo potremo portare a realizzazione nel 2021, con l’obiettivo di migliorare e completare l’offerta turistica regionale, rispondendo nel contempo ai bisogni del turista locale, come del turista nazionale e di quello futuro». L.P.: «Le strategie messe in atto fino ad oggi vanno riassunte nelle richieste di risarcimento che sia a livello federale che cantonale vengono riproposte a più riprese e regolarmente dalla nostra Associazione di categoria, HotellerieSuisse Ticino, che presiedo. È comunque risaputo che il mondo imprenditoriale, sia cantonale che federale, preferirebbe di gran lunga essere rassicurato in previsione di

un’imminente riapertura delle attività chiuse e di allentamenti che ci portano verso una totale riapertura. I risarcimenti, attualmente, sono l’unica strada che possiamo percorrere per tutelare i nostri Associati e l’Albergheria in generale. Dal punto di vista delle OTR o ATT, gli Albergatori presenti nei vari gremi, sono ben attenti all’evolversi della situazione per fare in modo di ripartire con una promozione come si deve, ovviamente è ancora preponderante il mercanto interno anche per questo 2021, non appena si evince chiaramente un trend che ci porti verso un ridimensionamento forte della pandemia». In attesa di vedere quale potrà essere la situazione dei prossimi mesi, quali sono le attività su cui avete scelto di concentrarvi? A.T.: «Oltre al marketing, si continua a lavorare sul prodotto e sulla qualità dell’offerta in generale. Abbiamo anche approfittato del periodo Covid per calibrare la strategia. Per noi è stato molto importante essere riusciti a riconfermare Ticino Ticket per il prossimo triennio. Si tratta di un grosso valore aggiunto per i nostri turisti e lo sarà ancora di più in questo 2021 caratterizzato dalla nuova galleria di base del Ceneri. In un futuro non troppo lontano il Ticket sarà erogato in forma digitale e questo lo renderà un potente strumento di marketing che ci permetterà di conoscere più da vicino gli spostamenti, le abitudini e le preferenze dei nostri ospiti. Un altro progetto importante che ci sta coinvolgendo da vicino è la valorizzazione di tutto il segmento bike che sarà sempre più cruciale nell’offerta turistica ticinese». A.S.: «La natura e l’ambiente, amati da chi visita il Ticino, hanno assunto ancora più importanza a TICINO WELCOME / MAR - MAG 2021

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seguito della pandemia e sono diventati un must nell’esperienza dell’ospite di una destinazione. Per questa ragione, il nostro Ente in collaborazione con i Comuni, i Patriziati, gli enti e i partner dei settori pubblico e privato della regione continua a concentrarsi ed investire in progetti legati al tema “bike”, a realizzare nuovi sentieri tematici nella Regione e a valorizzare le risorse naturalistiche del territorio, tra cui il Parco San Grato».

che in piena prima ondata i videomessaggi che preparavo erano a scadenza quotidiana. Per quanto riguarda la promozione sosteniamo e quindi chiediamo una continua promozione del nostro territorio, ovviamente il tutto attualmente viene concentrato in campagne social delle varie OTR e ATT, ci si muove per ricordare ai potenziali turisti, con i corretti contenuti relativi alla situazione attuale, che il Ticino è a loro portata di mano».

N.L.: «Da un lato vi sono i discorsi di coordinamento e di ragionamenti sistemici con le altre OTR e Ticino Turismo, oltre chiaramente alle attività di routine ed allo sviluppo della comunicazione digitale che sta chiaramente assumendo un ruolo predominante e per questo motivo va seguita e sviluppata con professionalità. Per questo motivo abbiamo già organizzato alcuni corsi allargati anche ai nostri partner e probabilmente ne faremo altri. Lavoriamo allo sviluppo dell’offerta e quindi in particolare ad alcuni progetti che consideriamo importanti per la valorizzazione della regione. Quattro sono sul Monte Generoso e due sul Monte San Giorgio e dovrebbero vedere la luce nel 2021. Questi progetti hanno in comune il tema della ricerca di opportunità di qualità e della messa in rete, che riteniamo indispensabile e premessa anche per un’ottimale attività di comunicazione e promozione».

Dal vostro osservatorio, quali sono i segmenti del comparto turistico che accusano maggiori difficoltà e quali interventi andrebbero favoriti per fronteggiare questo difficile momento?

L.P.: «A livello associativo la concentrazione è attiva ai massimi livelli per quanto riguarda la rappresentazione e la difesa degli interessi della nostra categoria, siano essi di natura economica, rappresentativa e di continua, costante e attuale informazione verso gli associati, tramite risposte dirette e/o videomessaggi che preparo almeno settimanalmente per informare i colleghi albergatori, ricordo

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A.T.: «Il nostro settore è stato tra quelli più toccati dall’emergenza sanitaria. Non mi riferisco solo alle strutture ricettive e ai ristoranti, ma a tutta la filiera. Il turismo rappresenta oltre il 10% del Pil del nostro Cantone e questa importante percentuale racchiude una miriade di piccole e grandi realtà: trasporti, impianti di risalita, filiera agroalimentare, organizzatori di eventi, guide, grandi e piccoli attrattori turistici, negozi, piccoli commerci e molto altro. Le autorità federali e cantonali hanno messo in atto una serie di misure per fronteggiare questa difficile situazione. Molto dipenderà dalla possibilità o meno di ripartire nelle prossime settimane. Al momento attuale è ancora presto per capire se gli aiuti stanziati sino ad ora siano sufficienti oppure no». A.S.: «Tutti i segmenti del comparto turistico sono stati e sono tuttora confrontati con il calo della domanda, dovuto alle restrizioni e all’impossibilità di spostamento delle persone tra le nazioni. Tuttavia, nel Luganese dovrebbero essere sostenuti il settore congressuale,

quello della cultura e quello degli eventi, che sono importanti tasselli dell’offerta turistica variegata della regione e di tutto il Cantone. Nell’ambito della promozione, nel 2021 si farà anche leva sull’offerta enogastronomica, che sappiamo essere una peculiarità del Luganese. Il prestigioso riconoscimento della Guida Michelin Svizzera 2021, che ha assegnato una stella a tre nuovi ristoranti “I Due Sud”, “Principe Leopoldo” e “META”, che vanno ad aggiungersi al ristorante “Arté al Lago”, si è presentata come un’opportunità per dar ancor più risalto alla tradizione e all’eccellenza gastronomica in un momento estremamente difficile per il settore della ristorazione e dell’hotellerie. Da parte del nostro Ente sosterremo il settore con campagne di marketing mirate a chi ricerca questa parte dell’esperienza di viaggio». N.L.: «Il sistema turistico è stato fortemente toccato dalla pandemia e dalle misure sanitarie che hanno dovuto essere introdotte. Non si tratta di avere un punto di vista sulla situazione o di definire un parere, come non si tratta di un problema ticinese o che potremo risolvere in Ticino. I comportamenti sono cambiati, influenzati da nuove abitudini introdotte dalle restrizioni e precauzioni adottate, ma vi sono e vi saranno anche cambiamenti economici, cambiamenti sistemici, cambiamenti nel consumo di viaggi… Personalmente credo che l’unica cosa che possiamo fare è quella di prepararci a una nuova normalità senza pensare che le cose torneranno come prima e quindi affrontando con la massima flessibilità e volontà di adattamento anche i cambiamenti che ci saranno richiesti. Per il settore turistico è chiaro che al centro vi è sempre la domanda del cliente, ma è fortemente probabile che per interpretarla qualcosa dovremo cambiare e questa disponibilità di principio credo sia fondamentale».


TURISMO / UN SETTORE IN EVOLUZIONE

L.P.: «È purtroppo chiarissima la tendenza del completo fermo per quanto riguarda il turismo congressuale e seminariale, è praticamente dal 25 febbraio 2020 che non assistiamo e non ospitiamo più un congresso e/o seminario. Tutto ciò che era in programma per il 2020, dopo il 25 febbraio 2020, è stato inesorabilmente annullato. Se l’Albergheria leisure ha potuto godere di un 2020 tutto sommato interessante, a causa (o grazie) alla pausa che la pandemia ci ha concesso da giugno a ottobre 2020, che rappresenta esattamente la finestra temporale dell’attività leisure, con comunque l’assenza marcata della Pasqua, l’Albergheria business invece è più attiva durante tutto l’arco dell’anno. Gli interventi che andrebbero favoriti non vedono, nostro malgrado, una possibilità odierna per fronteggiare il difficile momento… gli interventi vanno invece concentrati con una visione chiara del futuro: i congressi e i seminari riprenderanno e verranno ancora organizzati, gli sforzi attuali che devono essere messi in gioco ora, si riassumono nel preparare sale e spazi che possano accogliere seminari e congressi in relazione alle nuove norme di cui la pandemia ha voluto dotarci, come le distanze sociali (vale a dire sale grandi e capienti) le norme igieniche e i disinfettanti solo per ricordare le più banali. Chi si occupa di queste organiz-

zazioni deve già oggi aver messo in campo tutto il necessario per farsi trovare pronto, non appena il mercato del turismo d’affari ripartirà». È possibile ipotizzare che la prossima primavera possa essere il momento di un autentico rilancio turistico e quali azioni andrebbero promosse in proposito? A.T.: «Il nostro auspicio è proprio quello di ripartire con slancio già nel corso delle ultime settimane invernali, se la situazione epidemiologica lo permetterà. Il mese di marzo è previsto il lancio di una campagna marketing potente, rivolta alla Svizzera interna e alla Romandia, incentrata sulla maggiore vicinanza al Ticino grazie alla nuova galleria di base del Ceneri. Le varie attività previste, che faranno leva sul duplice concetto “Schneller im Tessin” e “Mehr #ticinomoments erleben”, avranno come obiettivo quello di promuovere il Ticino come destinazione esotica a portata di mano. Inoltre, grazie a una migliore mobilità all’interno del Cantone, sarà possibile vivere in poco tempo più esperienze tra il Sopra e il Sottoceneri. La campagna farà leva su immagini e video di forte impatto, dove la contrapposizione tra paesaggi nordici e mediterraneità la farà da padrone. I messaggi saranno veicolati attraverso l’impiego combinato di vari strumenti

di comunicazione (spot televisivi, cartellonistica, campagne social media), sia tradizionali che digitali». A.S.: «Fare una previsione sull’andamento della primavera è ancora prematuro e anche i dati che possono essere letti in tempo reale dai tool digitali H-Benchmark e Travel Appeal, variano sensibilmente a corto termine. Ciononostante, rispetto allo scorso anno, le notizie degli esperti del settore medico-scientifico lasciano ben sperare e si auspica che i prossimi mesi siano caratterizzati da una graduale e costante “ripartenza” del turismo, seppur ancora limitata in una prima fase agli arrivi dal mercato nazionale e dai mercati limitrofi. Tra le azioni previste vi è la promozione legata all’apertura della galleria di base del Ceneri, che ha avvicinato il Luganese al resto della Svizzera: i collegamenti ferroviari più rapidi e diretti da Lugano verso il nord della Svizzera e all’interno del Cantone Ticino, consentiranno a Lugano di essere il polo ideale, da cui partire alla scoperta delle bellezze paesaggistiche e culturali e delle eccellenze enogastronomiche della regione e del Ticino». N.L.: «Non è possibile fare ipotesi di questo genere. Se anche in parte vi saranno meno restrizioni a livello cantonale e nazionale, il mercato internazionale dei viaggiatori dovrà attendere ancora molto prima di tornare. Quello che è sicuro è che dobbiamo restare positivi e quindi agire facendoci trovare pronti per accogliere i turisti che potranno arrivare, siano questi ticinesi alla ricerca di svago e di luoghi a loro ancora sconosciuti, come anche svizzeri che non avendo la possibilità di andare all’estero consumano vacanze in Ticino, come è accaduto lo scorso anno. Noi stiamo preparando prodotti-offerte che saranno disponibili dalla TICINO WELCOME / MAR - MAG 2021

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TURISMO / UN SETTORE IN EVOLUZIONE

primavera-estate 2021 e quindi auspichiamo che queste novità possano essere proposte ai visitatori della nostra regione. Con le altre OTR e con Ticino Turismo il gruppo di lavoro dedicato alla comunicazione sta comunque lavorando piani diversi per tipologie di opportunità diverse. Quello che è sicuro quindi è che stiamo dimostrando di essere flessibili e capaci di adattarci ai cambiamenti in atto e pronti ad attivarci considerando le diverse prospettive come delle diverse opportunità». L.P.: «Noi auspichiamo una Pasqua a pieno regime. Questo significa che per il 1 marzo 2021 desideriamo vedere degli allentamenti chiari e un ritorno del turismo in generale, così da poter seminare in marzo quella tranquillità sensoriale che porterà i nostri turisti a frequentare il Ticino per la stagione primaverile, iniziando con buone occupazioni dei nostri alberghi dalla Pasqua. Le attività di promozione devono continuare e subire un adeguamento all’accentuazione in relazione agli allentamenti, maggiori saranno gli allentamenti, maggiore deve essere l’impegno nella promozione del territorio, anche se devo ammettere che personalmente sono un fautore della promozione anche in periodi di crisi. Il nostro turista non può e non deve dimenticare il Ticino, neanche nei momenti in cui sembra impossibile spostarsi, anche solo da Cantone a Cantone». In generale, come cambierà nei prossimi mesi e anni, il mondo del turismo? A.T.: «Ritengo che l’emergenza coronavirus contribuirà ad accelerare dei cambiamenti che erano già in atto. Penso in particolare all’attenzione per la sostenibilità in tutti gli ambiti e per il “Km 0” nell’offerta

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enogastronomica. Vi sarà sempre maggior attenzione verso il turismo cosiddetto “esperienziale”. I visitatori già oggi chiedono di poter vivere esperienze con un forte coinvolgimento emotivo, sociale, intellettuale con le persone, la storia e le tradizioni del luogo. Questo favorirà i flussi turistici interni, la riscoperta dei valori e delle ricchezze che i nostri stessi Paesi hanno da offrire. Molti opinano inoltre che stiamo assistendo all’inizio della fine del turismo di massa, di quello mordi e fuggi, insomma che l’era postCoronavirus sarà marcata da un turismo più lento e responsabile. Di questo non sono così sicuro. Tuttavia, da parte nostra, come destinazione continueremo a puntare ancora di più su un turismo di qualità, consapevole, responsabile e sostenibile». A.S.: «Come si è potuto osservare durante la scorsa estate, la sicurezza e la salute, la qualità del servizio, il desiderio di scoprire il patrimonio e le tradizioni locali sono e saranno i criteri sempre più ricercati dai turisti nazionali ed internazionali. L’obiettivo del nostro Ente sarà quello di far sì che, in collaborazione con i nostri partner, le nostre attività pongano al centro l’ospite della destinazione e le sue esigenze». N.L.: «Nel mondo vi sono analisti e ricercatori di ogni genere che stanno ipotizzano scenari diversi, senza però avere delle certezze, ma credo che i mega trend sono stati ormai disegnati. Tutto muta, tutto cambia e il Covid è stato un “influencer” importante del cambiamento, che è avvenuto in maniera improvvisa e molto veloce. Quindi, se attitudini e percezione dei bisogni, ma anche l’appagamento stesso dei bisogni potrebbe cambiare in funzione di “quest’esperienza” che stiamo tutti vivendo, per il settore turistico non sarà da

sottovalutare il tema dei cambiamenti in atto per le compagnie aeree, per i controlli doganali e per le economie dei diversi paesi, che influenzeranno il modo di consumare turismo anche in Ticino. Sarà un mondo da scoprire e da vivere, ma sicuramente un mondo che richiederà un ulteriore sforzo di adattamento per il nostro settore, che non dobbiamo temere, ma affrontare con consapevolezza e con la volontà di riuscire, tenendoci pronti ad investire per rispondere alla nuova domanda del turista». L.P.: «Il mondo del turismo è destinato a subire un forte cambiamento. Questa crisi ha generato difficoltà a tutte quelle imprese che sopravvivevano, senza generare grandi servizi di qualità alla propria clientela. Penso in particolar modo alle compagnie aeree low cost, dove solo la distanza sociale che abbiamo imparato a conoscere sarà sufficiente per decretarne la fine. Non vedremo più aerei stipati di persone e compagnie aeree che calcolano i centimetri per inserire il maggior numero di sedili in un aeromobile. Il medesimo discorso vale per tutte le altre attività legate al turismo: dai bar ristoranti, ai centri wellness e a tutto ciò che compone un soggiorno turistico. Si ritornerà quindi ad un turismo attento alla qualità più che alla quantità e questo porterà sicuramente un aumento dei costi per quanto riguarda viaggi e soggiorni, il che non è assolutamente un male. Chi vive il nostro mestiere conosce bene il significato di qualità e impegnarsi al massimo offrendo servizi che possano soddisfare tutto il soggiorno del nostro cliente, a partire da quando lascia il proprio domicilio per arrivare nei nostri alberghi, non può che incontrare la nostra piena comprensione e soddisfazione. Il futuro ci porterà maggiore qualità, abbinata ad un continuo adattamento della digitalizzazione, verso un servizio di prim’ordine ovunque».


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GASTRONOMIA / NAPOLEONE

L’IMPERATORE ENTRA IN CUCINA

L’ 2021, ANNO NAPOLEONICO: A 200 ANNI DALLA SUA MORTE, UN ITINERARIO TRA LEGGENDA E PROGETTI DI UN PERSONAGGIO POLIEDRICO E COMPLESSO. DI MARTA LENZI REPETTO

influenza di Napoleone spazia dalla tattica alla politica, dal diritto con il famoso Code Napoléon alle mode nel vestiario, dalla diplomazia come mediatore della Repubblica elvetica sino all’ispirazione di opere letterarie. È stato un grande appassionato di filosofia e scienza, giardinaggio e ingegneria e per sostenere le proprie abitudini di studioso e pensatore, fece in modo di organizzare in quasi tutte le città, lungo il percorso dei suoi spostamenti, una dimora che fosse punto di riferimento e oasi di quiete. Accanto alla “Grande Storia” esiste quella che viene definita la “Piccola Storia”, composta da fatti minori, di episodi di vita quotidiana. Così Napoleone contribuì anche al cambiamento sociale e alimentare del suo periodo. Con il sostegno della coltivazione della barbabietola da zucchero, permise lo sviluppo della pasticceria e una continua curiosità portò alla scoperta di nuovi sistemi di conservazione migliorando la vita quotidiana. Fu infatti durante le campagne napoleoniche che si cominciò a sperimentare il cibo in scatola, un metodo per impedire il deterioramento delle provviste di cibo dei militari. Nel 1800 creò un bando di concorso, il cui vincitore fu il pasticciere Nicolas François Appert, premiato con 12 mila franchi, che ideò un metodo di cottura del cibo in vasetti di vetro a chiusura ermetica, la cosiddetta “appertizzazione”. Conservare il cibo era una priorità, e per farlo era necessario ridurne l’umidità o isolarlo dall’aria. Nel 1795 il pasticciere riuscì a mettere a punto un sistema di sterilizzazione

che bloccava la fermentazione e la putrefazione degli alimenti, in particolare della carne: consisteva nel bollire i prodotti, carni o verdure, riporli in un contenitore di vetro sigillato con la pece e sottoporre lo stesso ad ulteriore bollitura in acqua bollente. Il manuale pubblicato da Appert nel 1810, L’arte di conservare tutte le sostanze animali e vegetali, venne tradotto in inglese e in tedesco e fece scuola ovunque. Parlare di Napoleone a tavola è quasi più arduo che raccontare le sue gesta. Napoleone non fu un buongustaio. Mentre in Francia trionfavano i grandi cuochi come Antonin Carême, portato anche al Congresso di Vienna dal suo ministro Talleyrand, e l’arte del banchetto aveva raggiunto il suo apice, nella sua essenza di militare e di uomo d’azione, ebbe poca considerazione del cibo, che riteneva solo una necessità a cui dedicare meno tempo possibile. Commensale sbrigativo e disattento, consumava il pasto in pochi minuti e i suoi ospiti non riuscivano a seguire il ritmo vertiginoso con cui lui lo divorava. Anche per l’etichetta lasciava molto a desiderare, aiutandosi con le mani e, qualche volta, facendo la “scarpetta” col suo pezzo di pane nell’intingolo del vicino. Riusciva a saltare i pasti con grande disinvoltura, arrivava sempre con grande ritardo ai pranzi a cui era invitato, trovando gli ospiti, che lo attendevano, sfiniti e affamati. Alla fine, insieme a loro trangugiava qualcosa. Napoleone prediligeva una cucina semplice ed essenziale da cui era bandito ogni apparato di formalità, come le zuppe di patate, fagioli e cipolle, nobilitate da puro olio d’oliva. Oltre alle semplici zuppe, si narra fosse appassionato di manzo bollito. Apprezzava


GASTRONOMIA / NAPOLEONE

la carne di pollo, montone alla griglia, le cotolette, ma era esigentissimo per quello che riguardava il pane, probabilmente in assoluto l’unica cosa di cui era ghiotto: guai a sbagliare cottura, guai se trovava residui di macina, guai alle imperfezioni nella mollica o se il pane non era abbastanza bianco. Il suo formaggio preferito era il Pont l’Évêque di Normandia. Tanti furono i cuochi che si avvicendarono nelle sue cucine. In dieci anni undici chef, inutilmente, tentarono di ingentilire il suo palato e trasformarlo in un gourmand. Provò ad essere un esempio di buone maniere quando sposò Maria Luisa d’Asburgo, figlia dell’imperatore d’Austria Francesco I. Fu per amore della giovane viennese che si impegnò a rimanere a tavola composto, il più a lungo possibile, cercando di apprezzare tutte le portate che l’imperiale menu prevedeva. Un pasto normale di Maria Luisa d’Austria consisteva di quattro entrées, potage, due secondi, dessert, formaggio, vino preferibilmente dolce, golosa com’era, ma anche Champagne e Bordeaux, e per finire caffè, che ormai tra Vienna e Parigi spopolava. Napoleone, dal canto suo, concedeva a sua moglie il privilegio di sedere con lei per mangiare, sorseggiando Chambertin di Borgogna, puro o annacquato. Un vino che adorava e che volle con sé anche nella difficile campagna d’Egitto. Al

contrario, dolci e liquori mai. È comunque una ricetta a base di pollo che unisce Napoleone alla storia della gastronomia. Una ricetta improvvisata che ha enfatizzato una importante vittoria dell’epopea napoleonica: la battaglia di Marengo, località a sud di Torino, nell’odierna provincia di Alessandria, dove Napoleone sconfisse il 14 Giugno 1800 gli Austriaci, nel corso della seconda campagna d’Italia, durante la guerra della seconda coalizione. Per soddisfare l’appetito di Napoleone, che mangiava soltanto al termine di ogni battaglia, lo chef Dunand mandò i suoi aiutanti di cucina in perlustrazione. Trovare nelle cascine qualcosa di commestibile era molto difficile, in quanto i fattori erano spariti con tutto quanto di buono possedevano. Tornarono con un piccolo pollo, qualche gambero di fiume, uova, olio, aglio e pomodori. Dunand non si perse d’animo e usò tecnica e fantasia. Fece saltare il pollo nell’olio insaporito dall’aglio, aggiunse i pomodori; a cottura ultimata compose nel piatto il pollo, guarnendolo con uova fritte e con i gamberi cotti al vapore, cospargendolo con un po’ del Cognac di Napoleone. Fu subito un successo a cui Bonaparte non volle più rinunciare. Dunand ben sapeva che il cognac ed i gamberi di fiume non c’entravano nulla con questo piatto e quando lo preparò di nuovo, sostituì il cognac con del vino bianco e eliminò completa-

mente i gamberi di fiume aggiungendo dei funghi. Napoleone si arrabbiò moltissimo e rimandò il piatto indietro dicendo che mancavano i gamberi ed essendo molto superstizioso, era certo che ciò gli avrebbe portato sfortuna. Non sappiamo se tutto ciò è vero o se sia soltanto leggenda; quello che è certo è che il piatto è diventato parte della tradizione gastronomica piemontese. La ricetta è stata anche inserita da Pellegrino Artusi nel suo famoso libro La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene. Appassionato di giardinaggio e viticoltura, durante il suo esilio all’isola d’Elba, Napoleone progettò anche la realizzazione di un’azienda vitivinicola a San Martino, dove fece impiantare diversi vitigni immaginando la produzione di due etichette di vino: il rosso Côte de Rio, ispirato al colore rosso delle montagne ricche di minerali, e il bianco Monte Giove che richiamava il granito dell’omonima cima; e promosse la cura degli oliveti da cui oggi si produce ancora ottimo olio extravergine. Venendo dalla Francia per trascorrere il suo esilio sull’isola, aveva portato con sé, tra l’altro, un sontuoso servizio composto da 1152 pezzi di porcellana di Sèvres e posateria in argento e in oro. Nonostante lo sfarzo con cui era imbandita la sua tavola, Bonaparte continuava a mangiare però in modo molto sbrigativo e frugale. Anche i cuochi vissero in prima persona la parabola dell’astro napoleonico, fino alla tristezza e alla solitudine dell’esilio nell’isola di Sant’Elena. Anche qui, in un piccolo fazzoletto di terra, non era capace di arrivare puntuale a tavola, nella sala da pranzo di Villa Longwood, domicilio assegnatogli dagli inglesi. Chandelier, l’ultimo cuoco che lo aveva accompagnato in questa sua ultima desolata residenza, aveva l’ordine, quando non c’erano ospiti, di preparargli la zuppa del soldato, una specie di rancio, fatto con brodo, pane e verdure. TICINO WELCOME / MAR - MAG 2021

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GASTRONOMIA / CHAÎNE DES RÔTISSEURS

CONVIVIALITÀ, BUON CIBO E VINO LA CHAÎNE DES RÔTISSEURS È UNA SOCIETÀ GASTRONOMICA INTERNAZIONALE FONDATA A PARIGI NEL 1950, CHE SI BASA SULLE TRADIZIONI E LE PRATICHE DELL›ANTICA CORPORAZIONE REALE FRANCESE DEGLI “ARROSTITORI” D’OCA.

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a Chaîne des Rôtisseurs ha come scopo promuovere il buon cibo e preservare la convivialità e i piaceri della tavola. La Chaîne affonda le sue origini nelle tradizioni e nell’operato dell’antica corporazione reale francese degli Ayeurs (coloro che arrostivano solo oche e volatili allo spiedo) ma le sue attribuzioni si ampliarono progressivamente tanto da includere l’arrosto di tutti i volatili, carni e selvaggina. La fondazione della corporazione “des Ayeurs” o “Arrostitori di oche” risale all’anno 1248. In quell’epoca Luigi IX, successivamente divenuto Luigi il Santo, affidò a Etienne Boileau il ruolo di Sindaco di Parigi, con l’incarico di riportare ordine nell’organizzazione delle attività commerciali e delle corporazioni. Per cinque secoli, la Confraternita ha difeso l’arte culinaria, prima di essere sciolta nel 1793, durante la Rivoluzione francese. Successivamente, il suo oblio durò sino al 1950 quando tre gastronomi, Auguste Bécart, Maurice-Edmond Sailland detto Curnosnky, Jean Valby, e due professionisti della cucina, Louis Giraudon e Marcel Morin, si proposero di riportare all’antico splendore lo “spiedo”, recuperando i valori e le tradizioni dell’antica corporazione “Des Rôtisseurs” con tutti i privilegi e obblighi connessi - ivi comprese le insegne

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araldiche - e aprendola non solo ai professionisti ma anche ai buongustai e alle signore onde affinarne il gusto. Nell’agosto dello stesso anno, nacque così la “Confrérie de la Chaîne des Rôtisseurs”, i cui statuti furono depositati alla Prefettura di Parigi e l’atto di costituzione pubblicato sul “Journal Officiel” della Repubblica Francese. Scopo fondante della “Confrérie” è quello di riunire i gastronomi di professione e i buongustai in piacevoli incontri conviviali aventi lo scopo di valorizzare e far conoscere le particolarità della cucina dei singoli paesi o nazioni, di svilupparne le tecniche, di promuoverne nel senso più ampio del termine i valori gastronomici e la “cultura” della tavola. Ma la risorta associazione era nata in un certo senso monca: in effetti se il cibo ha assunto una sempre maggior importanza nel contesto del vivere civile, non bisogna dimenticare che solo un vino genuino, non adulterato, permette

al palato di apprezzare in tutto il suo valore il sapore di una vivanda. Muovendo da queste considerazioni, Jean Valby diede vita nel settembre 1963 all’ “Ordre Mondial des Gourmets Degustateurs. Come la Chaîne per la cucina, così l’Ordre ha nella sua ragione fondante le motivazioni del suo esistere: raggruppare i gastronomi, i produttori, i negozianti, i ristoratori, in una parola tutti coloro che amano e apprezzano nella giusta misura i vini genuini, le acquaviti di origine, i liquori e gli alcolici di alta qualità. Come si vede le due associazioni si completano a vicenda perché è ormai assodato che come non si può apprezzare un buon pasto se non accompagnato da vini che ne siano all’altezza, così è difficile assaporare un buon vino senza che questo sia accompagnato da cibi che ne esaltino l’aroma e il profumo. La Chaîne e l’Ordre sono diffusi in tutto il mondo ed i suoi soci divisi in


GASTRONOMIA / CHAÎNE DES RÔTISSEURS

due grandi categorie: gli “Amateurs” - gli amanti della buona tavola e del buon bere - e i “Professionnels” i grandi maestri della cucina e della produzione di vini e liquori. Sotto il profilo amministrativo la “Chaîne des Rôtisseurs” e l’Ordre Mondial des Gourmets Dégustateurs” hanno la sede ufficiale a Parigi, (7 rue d’Aumale) e sono retti: da un “Conseil d’Administration” di 15 membri; da un “Conseil Magistral” composto da 50 membri internazionali. L’ammissione avviene per cooptazione: ogni socio ha la possibilità di invitare alle riunioni conviviali suoi conoscenti o amici che siano interessati alla buona cucina e al buon bere oppure che svolgano la loro attività professionale in questi campi; nel corso di tali riunioni conviviali gli ospiti potranno valutare se gli scopi e le finalità dell’associazione rispondono alle loro esigenze ed aspirazioni. In caso positivo possono richiedere di farne parte, il che avverrà naturalmente previa approvazione del “Consiglio” del Bailliage interessato ed è subordinato al versamento di una quota di iscrizione. Ogni anno ed in ciascuna nazione ha luogo una assemblea generale degli iscritti chiamata “Chapitre” in tale occasione avviene l’ammissione “ufficiale” dei nuovi “Confrères” con la cerimonia della “Intronizzazione” nel corso della quale vengono consegnate all’interessato le insegne del grado al quale è ammesso, insegne che dovranno essere portate ogni qualvolta il socio presenzia ad una manifestazione gastronomica ufficiale. Per i “professionnels”, qualora si presenti nel loro locale un altro membro dell’associazione che si faccia riconoscere mediante l’esibizione della tessera, vige l’obbligo di indossare il collare del suo grado, porgergli un cordiale “benvenuto” e, naturalmente, servirlo al meglio delle sue capacità. Oggi la Chaîne des Rôtisseurs conta circa 30 mila componenti, provenienti da circa 70 Paesi del mondo.

GIORGIO CATTANEO, NEO ARGENTIER NATIONAL DELL’ASSOCIAZIONE CHAÎNE DES RÔTISSEURS, RACCONTA LA FONDAZIONE NEO 1951 DEL BAILLIAGE (SEZIONE) NAZIONALE SVIZZERO, E L’ATTIVITÀ IN TICINO. Con i Bailliages regionali di Ginevra, Vaud e Vallese fu fondato, il 26 maggio 1951, il primo Bailliage Nazionale all’estero. Attualmente in Svizzera contiamo circa 2.000 membri, 400 professionnels e 1.600 amateurs. In Ticino, abbiamo due bailliages, la sezione Sottoceneri e Sopraceneri, con circa 150 membri attivi, ripartiti in egual misura. Sul piano regionale, i pranzi e le cene amicali, organizzate presso locali appartenenti alla Chaîne, permettono di mantenere e intensificare i contatti amichevoli tra i membri. Il territorio ticinese permette a tutti i soci professionells del Cantone di proporre un loro evento, e dall’altra dà la possibilità a tutti gli amateurs di poter partecipare alle cene offerte nei nostri programmi. Come Bailliage del Ticino Sottoceneri, organizziamo anche delle scuole di cucina e degli incontri per meglio imparare ed apprezzare l’accostamento dei vini con determinati cibi. Durante lo Chapître di Losanna sono stato nominato «Argentier national» in seno al Conseil national svizzero. Dopo un periodo d’apprendimento, è mia intenzione visitare le varie sezioni cantonali per poter capire le loro esigenze. La scelta dei ristoranti viene delegata ai Bailliages locali, che meglio conoscono il territorio e sanno intercettare adeguatamente le realtà degne d’attenzione. Se ci sono i requisiti, il locale può entrare a fare parte della grande famiglia della Chaîne. I rappresentanti verranno poi insigniti durante il Chapitre nazionale della coccarda di Membres professionells e della placca bronzea da

esibire all’entrata del locale, che ne attesta la garanzia di qualità. La finalità è di aiutare il più possibile i ristoratori. La forza di un piatto è legata alla territorialità e alla cultura del cibo indigeno. Per poter capire e più facilmente interpretare il cibo dobbiamo attivare al meglio ed allenare i nostri sensi, imparare a comprendere le caratteristiche organolettiche degli alimenti, distinguere le consistenze, tutti fattori che oggigiorno gli chef ben conoscono per comporre con sapienza i loro piatti. Ma la maggior parte delle persone hanno un palato abituato male che fatica a riconoscere le varie sfaccettature dei gusti. Cibo e vino sono per me molto più di un semplice nutrimento. Amo pensare alla cucina come ad un’officina del gusto, dove i profumi che escono dalle pentole e gli aromi utilizzati riempiono di emozioni così grandi da trasportarci in un viaggio inebriante tra i vari sapori.

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GASTRONOMIA / HOTEL VILLA PRINCIPE LEOPOLDO

UN INCANTEVOLE RELAIS & CHATEAUX SONO PASSATI 35 ANNI DALL’INAUGURAZIONE DI VILLA PRINCIPE LEOPOLDO, MA LA STORICA DIMORA DI PRIMO NOVECENTO, UN TEMPO RESIDENZA ESTIVA DI FEDERICO LEOPOLDO DI HOHENZOLLERN, PRINCIPE DI PRUSSIA, NON PERDE IL SUO FASCINO, ANZI CON GLI ANNI SE NE APPREZZA SEMPRE PIÙ L’ATMOSFERA ACCOGLIENTE, RAFFINATA E FAMIGLIARE. DI PAOLA CHIERICATI

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escrivere questo luogo, incantevole anche per la sua ubicazione sul promontorio di Collina D’oro e la sua vista sul lago di Lugano, ad un pubblico non solo internazionale, ma anche di prossimità, non è banale perché nonostante le sue porte siano state aperte a tanti ospiti, attraverso gli eventi e i ricevimenti realizzati nel corso degli anni, Villa Principe Leopoldo rimane un’icona, un sogno, un traguardo molto ambito. Frequentarlo significa immergersi in un viaggio fatto di piaceri che appagano tutti i sensi. All’accoglienza non manca il sorriso e la professionalità della sua direttrice, Barbara Gibellini, manager dallo spirito dinamico e innovativo, attenta ad ogni particolare per evitare nella sinfonia del suo Relais & Chateaux una qualsiasi nota stonata. Con la sua eleganza e con la sua cortesia ci accoglie facendoci immergere in una favola. La suite che mette a disposizione è molto spaziosa e luminosa, con una vista aperta sul panorama della città, ed è decorata con finiture in marmo e arredi raffinati, curati in ogni dettaglio. Non a caso nelle 37 sinuose suite hanno soggiornato nel corso degli anni personaggi e artisti di fama internazionale, provenienti anche da oltre oceano ed è simpatico poterne citare alcuni, descritti anche nel libro realizzato per i 30 anni di attività, ognuno dei quali ha lasciato un suo pensiero e un suo particolare ringraziamento: Roberto Benigni, Antony Hopkins, Robert Redford, Ray Charles, il quale dopo il suo concerto in occasione di Estival Jazz, prima di coricarsi si è messo al pianoforte e ha suonato per la clientela dell’hotel,


GASTRONOMIA / HOTEL VILLA PRINCIPE LEOPOLDO

solo per il puro piacere di farlo; Robert De Niro, Joe Cocker, Patti Smith, che in occasione di un suo tour in Europa, nel 2003, fece tappa in Ticino per rendere omaggio ad Hermann Hesse, con una sua esibizione nel piazzale di Montagnola; Gianna Nannini la quale autografò la sua firma sulla giacca dell’allora chef in carica Dario Ranza; Laura Pausini, che si lasciò andare alla tentazione di un assaggio del foie gras della casa, apprezzandolo a dismisura. L’elenco di personalità note si può estendere aggiungendo i membri delle diverse famiglie reali, i massimi esponenti del mondo della finanza, della politica e dell’imprenditoria. Alcuni di questi personaggi hanno potuto anche godere dei piaceri della DOT Spa, situata in prossimità delle diverse suite, tutte sullo stesso piano e rivolte verso il lago. Tempio dedicato alla bellezza e al benessere nel quale concedersi un momento di relax in totale privacy, di piccole dimensioni ma dotata di sauna, hammam, idromassaggio e zona relax, la Spa è affidata ad un personale molto abile, capace di mettere a proprio agio e che sa rispondere con grande energia alle richieste di svariati trattamenti per il viso e per

il corpo. I massaggi sono effettuati con prodotti di esclusive linee cosmetiche internazionali. Volendosi dedicare all’attività sportiva o per prolungare i momenti di relax, ci si può immergere nelle due piscine riscaldate, oppure usufruire dei campi da tennis o della palestra del vicino Park Hotel Principe, anch’esso membro di Ticino Hotels Group, una società che gestisce un’esclusiva collezione di quattro strutture sul lago di Lugano, tra cui figura Villa Principe Leopoldo, cinque

stelle lusso e suo fiore all’occhiello. Anche le escursioni nei dintorni sono interessanti, come il sentiero di Hermann Hesse che parte da Gentilino, a soli dieci minuti a piedi dalla villa, per terminare al museo dedicato allo scrittore situato a Montagnola. Villa Principe Leopoldo è anche scelta per incontri di lavoro, per festeggiare matrimoni o per banchetti, essendo dotata di moderne sale conferenze che possono ospitare sino a 250 persone, con tecnologie all’avanguardia. Tutte le sale sono ben illuminate dalla luce naturale e alcune di esse godono di una bella vista sul lago di Lugano e sulle montagne circostanti. L’hotel è attento anche all’ambiente e ha stretto un accordo con Tesla per fornire ai proprietari di queste autovetture e a chi viaggia con auto elettriche, comode apposite soluzioni di ricarica.

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GASTRONOMIA / HOTEL VILLA PRINCIPE LEOPOLDO

UN “FINE DINING” STELLATO

SINERGIA TRA ALTA QUALITÀ IN SALA E IN CUCINA PUÒ ESSERE LA DEFINIZIONE DI “FINE DINING” RIFERITA ALLA RISTORAZIONE DELL’HOTEL VILLA PRINCIPE LEOPOLDO (VPL). DI GIACOMO NEWLIN

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pilastri di questa sinergia sono le persone che operano per la piena soddisfazione dell’ospite. Lavorare da oltre 20 e 30 anni alla VPL significa amare la propria professione, avvantaggiati dal fatto di svolgere l’attività in una casa dal grande fascino. La prima persona che una trentina di anni fa ha raccolto la sfida di portare la ristorazione ad alti livelli è stato il maître Claudio Recchia, che nell’Associazione di categoria ricopre il prestigioso ruolo di Cancelliere dei grandi maître. Claudio nel 1990 ebbe un’idea semplice ma geniale che porta frutti a tutt’oggi e cioè: una riunione informale giornaliera durante la cena, con lo chef che ai tempi era già Dario Ranza, con il sommelier Gabriele Speziale e con lo chef barman Mario Lanfranconi, per con-

frontarsi, conoscersi meglio e stemperare le tensioni della giornata. Si è creato così negli anni un sano e proficuo clima professionale e solidale che l’ospite attento percepisce gradevolmente. Per il 2021 la guida rossa ha insignito di una stella il giovane chef Cristian Moreschi, sostenuto in pasticceria dalle delicate ed estrose realizzazioni di Carole Flückiger. Cristian riesce egregiamente a coniugare tradizione e innovazione attraverso la selezione di materie prime di qualità indiscussa, nel rispetto della stagionalità e con un occhio attento alla valorizzazione delle eccellenze del nostro territorio. Anche se la tendenza che si esprime nel concetto di “Fine Dining” non è nuova, basti pensare a fine ‘800 a Escoffier al Ritz di Parigi, da qualche anno questa


GASTRONOMIA / HOTEL VILLA PRINCIPE LEOPOLDO

tendenza ha preso piede nei grandi alberghi con chef rinomati e stellati e affascina sempre di più. Ora alla VPL si può parlare a pieno titolo di “Fine Dining” poiché, come detto, ha finalmente ottenuto quest’anno la stella Michelin, anche se comunque una stella era già presente nel cuore dei suoi clienti, che di questo luogo apprezzano l’eleganza, la posizione, la discrezione, ma soprattutto il felice connubio tra cucina e sala. L’esperienza culinaria all’Hotel Villa Principe Leopoldo è quindi a tutto tondo: la sollecitudine e la grande professionalità del sommelier Gabriele Speziale nella scelta del più appropriato abbinamento cibo-vino, anche il più difficile, come pure i preziosi consigli e le coccole del maître Claudio Recchia e l’abilità e la discrezione del servizio di Wilma Broggi e colleghi, non hanno prezzo (Wilma è presente alla VPL sin dall’apertura nel 1986). Nel manuale immaginario utile a determinare le stelle, quelle personali, quelle del cuore, il menu con gli abbinamenti dell’altra sera figurerebbe al suo interno, anche perché era incluso un desiderio, quello di due piatti terminati alla lampada, ovvero flambé, da Claudio Recchia e Gabriele Speziale. Ebbene eccolo il menu proposto dallo chef Cristian Moreschi: Calamari ripieni su letto di crema di burrata e patata blu; Tagliolini al nero di seppia con puntarelle e gamberi (flambati);

Filetto di vitello in crosta di pane e carciofi (commovente e indimenticabile la tenerezza della carne) e per terminare le mitiche Crêpes Suzette (ovviamente flambé). Per quanto è relativo a vini e liquori, la cantina offre una notevole scelta, con etichette prestigiose e anche introvabili, capaci di mandare in solluchero i più esigenti estimatori. Tuttavia per l’occasione è stato il territorio ad ispirare la scelta: l’elegante spumante Castello di Cantone Blanc de Blanc Metodo Classico Pas Dosé 2016; la scoperta (per me) del Merlot Arca Rubra Ticino Doc 2017 di Matteo Huber e il dolce e gradevole “Sweet Dreams” 2014 di Guido Brivio, assemblaggio di Chardonnay, Sauvignon e Sémillon. Il valore

aggiunto di una cena già di per sé straordinaria di gusto, equilibrio e leggerezza è stato lo spettacolo delle due preparazioni la cui cottura è terminata in sala davanti al cliente, con quella fiammata elegante e coinvolgente che dura pochi secondi, che è come i piaceri che spesso nella vita durano poco, ma che ogni volta affascinano ed emozionano, forse anche per il loro primordiale richiamo al fuoco, alla passione. Passione, piacere per il proprio lavoro e fedeltà sono gli ingredienti del successo della ristorazione dell’Hotel Villa Principe Leopoldo.

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LUSSO / GÜBELIN

NEL SEGNO DELL’ELEGANZA E DEL LUSSO

I ROBERTO ROTA, BOUTIQUE MANAGER GÜBELIN LUGANO, PRESENTA UN PUNTO VENDITA DA SEMPRE NEL CUORE DEI TICINESI E DI TURISTI DA TUTTO IL MONDO.

n un periodo particolare come quello che stiamo vivendo, qual è l’andamento delle vendite in un negozio come il vostro che ben interpreta il concetto di lusso nella gioiellerie e nell’orologeria? «La nostra boutique di Lugano è stata aperta nel 1967 e da oltre 50 anni accogliamo clienti locali e ospiti da tutto il mondo. Siamo conosciuti per un servizio eccellente e una consulenza indipendente che soprattutto apprezzano molto i clienti locali, che rappresentano il punto di forza del tessuto economico e sociale del Ticino. I clienti locali sono sempre stati molto importanti per noi e vogliamo continuamente approfondire la nostra relazione». Qual è la vostra strategia di comunicazione e che ruolo rivestono eventi come quello organizzato lo scorso 17 settembre? «Fin dalla fondazione di Gübelin, nel 1854, siamo impegnati a conoscere sempre meglio il nostro mestie-

re e desideriamo condividere la nostra passione, competenza e ispirazione. Questo fa parte della nostra filosofia Deeply Inspired. Eventi come quello delle scorso settembre ci permettono di condividere in modo diretto con i nostri ospiti la nostra esperienza, in questo caso l’orologeria, e attraverso altre manifestazioni le competenze gemmologiche e le nostre creazioni di gioielleria. Questi eventi aiutano a stabilire un rapporto personale e reciproco con i nostri clienti. Abbiamo accolto gli appassionati di orologi per scoprire le novità di questo periodo. Gli ospiti erano entusiasti di vedere gli ultimi modelli e le innovazioni proposte dai diversi marchi dell’assortimento boutique, presentati e spiegati in prima persona dai rappresentanti delle case produttrici e dai consulenti Gübelin. Gli ospiti hanno apprezzato l’atmosfera stimolante e, naturalmente, l’opportunità di essere tra i primi ad ammirare orologi che non sono ancora sul mercato». Quali altre iniziative avete programmato per i prossimi mesi? «A novembre abbiamo presentato un servizio innovativo: il Gübelin Gemstone Rating. La valutazione fornisce un orientamento per privati e professionisti che desiderano ottenere una classificazione semplice e completa per le loro pietre preziose, espressa in numeri di facile comprensione: i Punti Gübelin. Paragonabile alle valutazioni sui vini, i consumatori finali e i professionisti traggono vantaggio

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LUSSO / GÜBELIN

Jewellery e Akris a collaborare alla nuova linea floreale Lily Dew e alla sciarpa da collezione 2020. Queste novità sono ora disponibili nella nostra boutique. Con la linea Lily Dew miglioriamo e ampliamo il nostro assortimento di gioielli».

da una maggiore trasparenza delle informazioni che aiutano a comprendere e valorizzare un bene complesso. Tutto ciò infonde maggiore fiducia quando si tratta di acquistare gioielli o investire in pietre preziose. Oltre alla valutazione delle pietre preziose e agli eventi, condividiamo anche la nostra conoscenza online.

La nostra Gübelin Academy ha lanciato i suoi corsi in rete attraverso i quali è possibile approfondire la le proprie conoscenze in materia. Inoltre, abbiamo condiviso la nostra ispirazione con la casa di moda Akris. Una spettacolare fotomicrografia che rivela la vita interiore di un raro zaffiro padparadscha ha ispirato Gübelin

Lugano e il lusso: quali iniziative andrebbero prese a livello di amministrazione pubblica e di operatori privati per rendere la città sempre più attrattiva? «Lugano è la capitale finanziaria e culturale del Ticino. Da tempo siamo di casa qui e nel 2016 abbiamo trasferito la boutique in uno splendido palazzo situato in piazza Carlo Battaglini sulla via Nassa. Nel cuore di Lugano e della via dello shopping più famosa del Ticino, di fronte al lago e a pochi passi da istituzioni culturali come il LAC, la boutique spaziosa e moderna senza tempo invita e ispira le persone a scoprire il nostro assortimento e sperimentare un più profondo senso di lusso».

INSIEME PER SVILUPPARE L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE Gübelin Gem Lab ha collaborato con il Centre Suisse d’Electronique et Microtechnique, per sviluppare una potente piattaforma di apprendimento automatico che fa avanzare i metodi attuali utilizzati per determinare l’autenticità e l’origine delle pietre preziose. Un aspetto chiave dell’industria della gioielleria è infatti la corretta determinazione del Paese di origine e dell’autenticità di una pietra preziosa. Oggi, questo processo si basa in gran parte sul giudizio e sull’analisi degli esperti. In qualità di pioniere in questo campo, Gübelin Gem Lab ha collaborato con CSEM per automatizzare questi pro-

cessi utilizzando l’apprendimento automatico, un’area chiave dell’intelligenza artificiale (AI). Questo nuovo approccio AI mira ad aumentare la coerenza e l’affidabilità dell’interpretazione dei dati, ridurre i potenziali errori umani e risparmiare tempo. Recentemente, i metodi di intelligenza artificiale sono entrati in diversi aspetti della vita quotidiana. A parte la loro applicazione in aree come le ricerche di mercato e sui consumatori, i metodi di intelligenza artificiale stanno penetrando sempre più in vari settori che integrano le competenze basate sull’uomo. In gemmologia, l’uso di metodi auto-

matizzati di valutazione dei dati è ancora agli inizi ed è finora utilizzato come strumento di supporto per gli esperti. Il Gübelin Gem Lab si è avventurato nella disciplina delle tecnologie automatizzate di valutazione dei dati circa dieci anni fa, in particolare per la valutazione di grandi set di dati chimici e per armonizzare le interpretazioni delle pietre preziose. Ora per portare la gemmologia a un nuovo livello, il Gübelin Gem Lab ha collaborato con CSEM per sviluppare e trasferire tecnologie di gestione dei dati di livello mondiale basate sull’intelligenza artificiale e sul deep learning utilizzando reti neurali».

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LUSSO / GLASHÜTTE ORIGINAL

BELLEZZA SENZA TEMPO

GLASHÜTTE ORIGINAL È LA MANIFATTURA CHE MEGLIO INCARNA E PRESERVA CON LA PROPRIA ATTIVITÀ LA SECOLARE TRADIZIONE DELL’OROLOGERIA SASSONE.

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lashütte, un piccolo borgo a una trentina di chilometri da Dresda, aveva costruito la sua ricchezza sull’estrazione dell’argentite sin dal 1506, data in cui era stata aperta la prima miniera di quel prezioso minerale. Nella prima metà del 19° secolo, però, allorché i giacimenti si esaurirono, questa parte della Sassonia precipitò in grandi difficoltà economiche. E fu proprio in questo fosco scenario di grande crisi economica che qualcosa di nuovo prese vita e portò allo sviluppo dell’industria orologiera di Glashütte, avviata nel 1845 da un

manipolo di illuminati e coraggiosi maestri orologiai della regione, che vollero fortemente creare in quel piccolo borgo un distretto produttivo di orologi di alta qualità. Dopo le prime difficoltà legate all’avvio di un’industria completamente nuova per quelle terre, la forte determinazione di quei “padri fondatori”, assieme all’entusiasmo e al grande impegno della popolazione locale, fece sì che il nome di Glashütte diventasse in pochi decenni sinonimo a livello internazionale di orologeria di precisione. E a tal punto che nel 1878 si ebbe anche la necessità di creare una scuola locale di


LUSSO / GLASHÜTTE ORIGINAL

Original si fonda sul desiderio di mantenere viva e far evolvere l’orologeria sviluppatasi in questa parte di Sassonia, resa unica ed inimitabile dalle sue tipiche peculiarità. E basta uno sguardo ai segnatempo di questa manifattura per rendersene conto: in ogni suo orologio possiamo infatti trovare innumerevoli elementi caratterizzanti che fanno intuire anche all’osservatore più distratto la particolarità “territoriale” dei suoi segnatempo. E volendone fare una sorta di elenco per poter capire in cosa consista questa unicità dell’orologeria sassone, potremmo indicare i seguenti elementi come quelli più importanti, in quanto presenti negli orologi prodotti a Glashütte sin dagli albori: orologeria per poter far fronte all’incessante bisogno di nuovi orologiai per i vari laboratori di orologeria sviluppatisi nel piccolo borgo: fu proprio in questa scuola che si definirono e si tramandarono alle future generazioni quelle che ancor oggi vengono considerate le caratteristiche peculiari dell’orologeria sassone, prima fra tutte la platina a ¾. Alla fine della II Guerra Mondiale, Glashütte era ridotta ad un cumulo di macerie e la sua gloriosa industria orologiera completamente azzerata, ma ancora una volta le difficoltà acuirono ancor di più la resilienza della popolazione locale che non si perse d’animo e con entusiasmo riorganizzò la produzione di orologi, che in pochi anni ritornò ad essere l’attività principale di questo piccolo borgo della Valle del Muglitz. E ancor oggi è così. Nonostante la storia non abbia risparmiato a queste terre grandi prove e profondi cambiamenti, l’industria orologiera è dal 1845 la regina indiscussa dell’economia di questa piccola valle sassone e la manifattura Glashütte Original è la realtà produttiva che custodisce e mantiene in vita tutta la secolare tradizione orologiera locale. Dal 2000, la manifattura Glashütte Original fa parte di The Swatch

Group, che, assieme al Comune di questo piccolo borgo della Sassonia, ha anche dato vita nel 2008 al Museo dell’Orologeria di Glashütte, per celebrare e diffondere l’illustre ed affascinante storia della sua orologeria. La filosofia produttiva di Glashütte

Platina a ¾: i componenti del meccanismo non sono visibili ad eccezione del bilanciere e dello scappamento. Una platina, infatti, copre gran parte del movimento col duplice scopo di proteggere i componenti stessi e rendere il loro funzionamento più stabile.

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LUSSO / GLASHÜTTE ORIGINAL

Collo di Cigno: tutti i movimenti meccanici di Glashütte Original hanno la regolazione micrometrica a collo di cigno, singolo o doppio. Il collo di cigno è una molla di ritegno che ricorda con la sua forma il collo, appunto, di un cigno ed è usata per regolare la precisione dell’orologio in modo estremamente accurato. Rubini fissati con castoni d’oro: i rubini sintetici che fanno da controperno agli assi delle ruote del movimento sono inseriti nella platina con castoni in oro, fissati da microscopiche viti. Questa soluzione tecnica venne sviluppata per evitare di dover smontare l’intero movimento nel caso in cui fosse necessario sostituire un rubino. A questi 3 singoli elementi si sono poi affiancate nel corso del tempo alcune innovazioni tecniche di gran pregio, divenute anch’esse elementi distintivi della Manifattura Glashütte Original. Tourbillon volante: tutti i tourbillon di Glashütte Original adottano la versione volante inventata nel 1920 da Alfred Helwig, maestro orologiaio e docente della Scuola di Orologeria di Glashütte. Si tratta di un meccanismo dall’alta complessità tecnica che rese ancor più affascinante e spettacolare il tradizionale dispositivo tourbillon, inventato per aumentare la precisione degli orologi.

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Gran Data: più che una funzione, una vera e propria complicazione, sviluppata in modo attento da Glashütte Original che, servendosi di due dischi complanari e concentrici, ha reso possibile l’affissione della data con cifre grandi e ben visibili e, non da poco, all’interno di un’unica finestrella intagliata nel quadrante. Nel 2020 la manifattura Glashütte Original ha realizzato uno speciale tourbillon volante per omaggiare i cent’anni della sua invenzione ad opera del maestro orologiaio sassone Alfred Helwig, famoso orologiaio e direttore della Scuola di Orologeria di Glashütte negli Anni ‘20.

Disponibile in soli 25 esemplari si ispira a uno degli orologi da tasca costruiti dal maestro e ne ripropone in modo fedele il dispositivo del tourbillon volante con tutti i componenti realizzati e lucidati interamente a mano. Anche il quadrante è stato realizzato con una tecnica tradizionale: l’argentatura a freddo. Con una spazzola e grande pazienza si distribuisce uniformemente polvere d’argento sul disco in oro che farà da quadrante all’orologio. L’intero processo richiede molte ore di lavoro e, soprattutto, una maestria non comune. Sempre ispirato dalla ricca tradizione sassone è poi il Senator Chronometer, un orologio da polso che declina la tipica estetica dei famosi e ricercatissimi cronometri da marina realizzati in passato a Glashütte. Coniugando materiali preziosi ed una raffinata meccanica, questo segnatempo è in grado di deliziare anche i più esigenti collezionisti, che non resteranno di certo insensibili all’inedito meccanismo che consente la perfetta sincronizzazione tra sfera dei secondi e quella dei minuti allorché si estragga la corona per mettere in ora l’orologio. La continua ricerca stilistica e tecnologica di Glashütte Original ha porta-


LUSSO / GLASHÜTTE ORIGINAL

to alla creazione negli anni recenti della nuova collezione Spezialist, una linea che accoglie segnatempo pensati per attività sportive e il tempo libero, ma senza per questo rinunciare all’alto contenuto tecnico orologiero tipico di questa Manifattura. Il primo modello apparso in questa collezione è stato il SeaQ: un segnatempo subacqueo professionale che trae la sua ispirazione dallo Spezimatic Type RP TS 200 del 1969, il primo “diver” costruito dalla Manifattura. Disponibile in varie versioni, non si tratta di un semplice remake di un pezzo del passato, ma di un moderno orologio sportivo costruito per passare i più severi test di qualità, come quelli previsti dalle normative internazionali ISO 6425 e quelli stabiliti dalle esigenti norme tedesche DIN 8306. Ogni SeaQ viene testato per controllarne impermeabilità, tenuta all’aria in condizioni di sovrappressione e sottopressione, resistenza agli urti, resistenza all’azione corrosiva dell’acqua salata, leggibilità in immersione e fuori dall’acqua e tanto altro ancora. Inoltre il SeaQ Panorama Date, animato dal calibro 36-13 con spirale in silicio e autonomia di marcia di 100 ore, è sottoposto ad un test cro-

nometrico supplementare della durata di 24 giorni. Un certificato individuale attesta l’avvenuto superamento del controllo della precisione e un codice identificativo univoco consentirà al proprietario dell’orologio di collegarsi ad un’area riservata del sito Glashütte Original per esaminare i risultati dei test a cui è stato sottoposto il proprio segnatempo. Altra dimostrazione dell’energia con cui Glashütte Original fa esprimere la tradizione di cui è depositaria è la creazione dei nuovi intensi colori dei quadranti di alcuni modelli iconici come i Sixties Annual Edition o i PanoMatic Lunar Green. I primi sono orologi che si ispirano allo Spezimatik, l’indiscusso best seller dell’orologeria sassone negli Anni ’60, riprendendone gli elementi stilistici caratterizzanti, quali il vetro ed il quadrante bombati, ma vestendoli di nuovi quadranti colorati a mano. Ogni anno il colore cambia ed il 2020 è stata la volta dell”azzurro ghiaccio”, ispirato dalla cangiante tonalità dei ghiacciai perenni. I Lunar, invece, sono i segnatempo dall’inconfondibile impostazione decentrata del quadrante, veri e propri portabandiera dell’orologeria di

Glashütte Original, ora resi ancora più ricercati da un quadrante dal colore dei boschi che circondano il piccolo borgo sassone: un verde intenso, come le foglie degli alberi in piena stagione estiva. Dietro alla bellezza dei quadranti si cela, come sempre nei segnatempo di questa Manifattura, la bellezza dei movimenti, meticolosamente rifiniti per la gioia degli occhi e sapientemente realizzati per garantirne la massima precisione ed affidabilità. Fedele, infatti, ai principi da sempre ispiratori dell’orologeria sassone, Glashütte Original crea segnatempo che possano essere utili ed affidabili strumenti d’uso quotidiano dalla bellezza senza tempo.

UNA SCUOLA PER IMPARARE L’ARTE DELL’OROLOGERIA Glashutte Original non costruisce solo alta orologeria, ma ne preserva la conoscenza occupandosi anche di formare internamente coloro che lavorano nella propria manifattura tramite la Scuola di Orologeria Alfred Helwig. Ridando vita nel 2001 alla Scuola di Orologeria, che aveva ininterrottamente funzionato nel borgo dal 1878 al 1989, Glashutte Original ha voluto ripristinare anche quell’autonomia formativa che da sempre ha permesso all’orologeria sassone

di mantenere la propria unicità. Durante la formazione gli insegnanti si assicurano che gli studenti imparino come creare i componenti più minuscoli, comprendano le complesse relazioni meccaniche che li legano e maturino una passione per la precisione e i valori che la Manifattura incarna. Quale marchio di orologi di fama mondiale Glashütte Original pone un accento particolare sugli standard internazionali di istruzione nel settore

orologiero – un fatto sottolineato dalla sua partnership, unica in Germania, con la scuola di orologeria svizzera WOSTEP (Watchmakers of Switzerland Training and Educational Program). Grazie a questo accordo gli studenti che si diplomano alla Scuola Alfred Helwig possono anche sostenere gli esami finali dell’istituto svizzero e guadagnare, oltre al diploma rilasciato dalla Manifattura, quello emesso da WOSTEP.

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LUSSO / BLANCPAIN

TRADIZIONE DELL’INNOVAZIONE DAL 1735

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FONDATO NEL 1735 DA JEHAN-JACQUES BLANCPAIN NEL GIURA SVIZZERO, IL MARCHIO OROLOGIERO BLANCPAIN È IL PIÙ ANTICO DEL MONDO ED È PROPOSTO DALLA BOUTIQUE TOURBILLON DI LUGANO, IN VIA NASSA 3.

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empre fedele alla sua tradizione dell’innovazione, provata da innumerevoli complicazioni inventate nel tempo, la manifattura continua a spingersi oltre i limiti dell’orologeria per portare quest’arte ad apici mai visti. Espressione di una visione a lungo termine, l’impegno per il rinnovamento dell’orologeria meccanica si manifesta attraverso la trasmissione del know-how inestimabile da una generazione all’altra e gli investimenti programmatici nelle risorse umane, nei mezzi di produzione e nella ricerca. Le costanti innovazioni e la maestria di esecuzione in ogni fase del processo di produzione consentono a Blancpain di godere di una totale libertà nella creazione. Grazie alla concezione e alla produzione della maggior parte dei componenti e utensili all’interno dell’azienda, all’assemblaggio manuale di ogni movimento da parte di un solo orologiaio, alle raffinate finizioni realizzate a mano fino al minimo dettaglio, la forza della manifattura risiede nella capacità di creare segnatempo tanto innovanti quanto rispettosi della tradizione orologiera svizzera. Questa filosofia si riscontra in ogni modello di ogni collezione del marchio, dal segnatempo classico della collezione Villeret, passando dai rappresentativi orologi subacquei Fifty Fathoms e dai preziosi modelli Women fino agli eccezionali orologi Métiers d’Art. Quest’anno reinterpreta il suo Quantième Complet diametro 38 mm con fasi lunari. Il datario completo è fra le complicazioni più importanti realizza-


LUSSO / BLANCPAIN

L’orologio subacqueo Fifty Fathoms Bathyscaphe fa parte dei must di Blancpain. Deve la sua fama alle sue rimarchevoli prestazioni e alla sua robustezza, ma anche al suo stile unico, che ha saputo evolversi negli anni, sempre rispettando il DNA della collezione. Il Bathyscaphe si presenta oggi in una versione cronografo inedita, vestita di verde dal quadrante alla lunetta: una tinta sublimata dalle competenze e un know-how ineguagliabili in materia di produzione dei quadranti.

te da Blancpain. Delle piccole aperture consentono la presentazione dei giorni della settimana e dei mesi. Il Villeret Quantième Complet celebra l’eredità dell’orologeria meccanica nonostante riporti i tratti contemporanei della collezione. È disponibile in acciaio con quadrante bianco e in oro rosso con quadrante opaline e con diamanti sul quadrante e sulla lunetta. Tutti i modelli Villeret sono caratterizzati dalla purezza delle loro linee, dall’eleganza senza tempo e dalla tecnicità dei loro movimenti manifattura. Questi innegabili punti di forza oggi vengono messi in evidenza anche dal nuovo modello Villeret Extraplate ora adornato da un sublime quadrante blu notte abbinato ad una cassa in oro rosso. Dopo il nero, il grigio meteora e il blu, il modello Fifty Fathoms Bathyscaphe Chronographe Flyback passa al verde. Questo nuovo segnatempo color della natura è un grande alleato in tutte le situazioni, tanto in acqua quanto sulla terra ferma o in volo.

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LUSSO / PATEK PHILIPPE

CAPOLAVORI SENZA TEMPO

UNO STRAORDINARIO OROLOGIOBRACCIALETTO PATEK PHILIPPE, PEZZO UNICO FIRMATO GÜBELIN, È STATO UNO DEI PROTAGONISTI ASSOLUTI DELL’ASTA DI OROLOGI DA COLLEZIONE TENUTASI NELLO SCORSO ANNO A HONG KONG.

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L’

asta, con oltre 260 lotti, e comprendente decine di pezzi esclusivi vintage e moderni dei più prestigiosi produttori, ha rappresentato secondo Thomas Perazzi, Head of Watches, Phillips Asia, «un’importante pietra miliare nella storia del collezionismo, stabilendo un numero straordinario di record mondiali per i prezzi di vendita battutti. La passione per gli orologi più rari e da collezione è in continua crescita e lo ha confermato la partecipazione sia dei presenti in sala d’asta che i collezionisti e gli investitori

collegati per telefono oppure on linea da tutto il mondo Di questa incredibile selezione di capolavori da collezione facevano parte alcuni tra i più importanti orologi da polso Patek Philippe moderni e vintage, tra cui il ben conservato Riferimento 2499/100, quarta serie, in oro giallo, e un pezzo probabilmente unico, Riferimento 3448/14 in oro bianco 18 carati, offerto direttamente dalla famiglia del suo primo proprietario. Questo stupendo orologio è stato alla fine battutto al prezzo di 3.750.000 dollari di Hong Kong, corrispondenti a circa 455.250 CHF.


LUSSO / PATEK PHILIPPE

Dal 1839, senza interruzioni, Patek Philippe si impegna a tramandare la grande arte dell’orologeria tradizionale ginevrina. La maison gode di un’assoluta libertà creativa che le permette di progettare, sviluppare e realizzare quelli che gli intenditori sono concordi nel riconoscere come i migliori orologi del mondo, in linea con l’impegno preso dai fondatori Antoine Norbert de Patek e Adrien Philippe. Oltre al suo straordinario savoir-faire, Patek Philippe porta avanti anche una tradizione d’innovazione, coronata dal deposito di oltre cento brevetti. Patek Philippe è una manifattura indipendente con una produzione verticalmente integrata e una divisione di ricerca e sviluppo interna, in grado di progettare e creare tutti i suoi movimenti e l’abbigliamento dei suoi orologi nei propri laboratori. Ogni singola parte dei movimenti e della casse è prodotta, finita e assemblata in-house, che si tratti dei modelli più semplici, di quelli complicati o delle grandi complicazioni. Questo savoir-faire accompagna ogni esemplare per tutto il suo ciclo di vita, dai primi bozzetti all’assemblaggio finale. Patek Philippe esegue interventi e riparazioni su tutti gli orologi realizzati dalla maison dal 1839. L’azienda è di proprietà della famiglia Stern dal 1932 e oggi le redini sono nelle mani di Thierry Stern (Presidente), di Philippe Stern (Presidente Ono-

rario) e di Claude Peny (CEO). Philippe Stern ha dato forma alla storia della manifattura attraverso progetti immobiliari ambiziosi, come il Patek Philippe Museum, e realizzando straordinari strumenti del tempo come il Calibro 89. Il figlio Thierry Stern si è impegnato a salvaguardare la leadership tecnologica di Patek Philippe per migliorare senza sosta la qualità e l’affidabilità a lungo termine dei suoi segnatempo. Patek Philippe è fermamente convinta che la propria indipendenza vada preservata. Ragion per cui la maison basa il suo sviluppo sulle proprie forze, investendo nel futuro e nella macchina produttiva. Tutti i principali progetti, come la manifattura di Plan-les-Ouates e l’edificio annesso, gli esclusivi Saloni di

Ginevra, Parigi e Londra, il Patek Philippe Museum, i laboratori e le unità nella regione del Giura sono sempre stati autofinanziati. Lo scopo di Patek Philippe è quello di proseguire sul cammino che l’ha portata al successo, tutelando la propria indipendenza.

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FASHION / SFILATE PRIMAVERA-ESTATE

LA MODA TRA MOVIMENTO E SOSTENIBILITÀ 01

LA BELLA STAGIONE BUSSA ALLA PORTA E ORA PIÙ CHE MAI LA MODA RACCONTA UNA VOGLIA DI RINASCITA. DI VALENTINO ODORICO

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L

a donna, nella sua visione di movimento, si copre con capi dalle forme e volumi inusuali, in un gioco di tagli e grandezze particolari. Le mini giacche, come quelle presentate da Genny, si colorano nei toni degli iris viola e del glicine, coordinate agli shorts. La giacca diventa spolverino, vestaglia, pigiama, camicia per offrire momenti di composto relax. Andrea Pompilio è il portavoce di una tendenza che si è osservata su varie passerelle: proposte create e pensate

sia per lui, sia per lei. Look androgeni e tagli sartoriali che si mescolano nel guardaroba in modo naturale, per un nuovo concetto di “pulizia”; tessuti classici, shorts e giacche monopetto, un racconto di stili tra urban e country, tra eleganza e sportività. Forte anche il concetto di eco-sostenibilità green: singolare il progetto di Gilberto Calzolari che propone l’approccio season-less; un’estetica marcatamente contemporanea per lo “scontro” tra tagli femminili e maschili. Il tutto è utilizzando in maniera estre-


FASHION / SFILATE PRIMAVERA-ESTATE 02

mamente attenta ai materiali, in uno statement contro i meccanismi di produzione di massa che produce continuamente scarti e sprechi, a partire dalla partnership con C.L.A.S.S. (Creativity, Lifestyle And Sustainable Synergy). Per la collezione è stato deciso di attingere alla loro nuovissima area “Back in the loop” dedicata a soluzioni di vera economia circolare attraverso la partnership con Maeba International, leader nella selezione e nella riproposizione di tessuti italiani di alta qualità totalmente tracciabili. A questi si aggiunge l’uso di tessuti sostenibili tecnologicamente avanzati, come il canvas di cotone in mischia con Amni Soul Eco®, la prima poliammide 6.6. a biodegradazione accelerata; il poliestere interamente riciclato da plastiche recuperate dal mare, o il poliestere NewlifeTM, 100% made in Italy, riciclato meccanicamente a

partire da bottigliette di plastica con catena tracciabile e trasparente. Per Salvatore Piccione i fiori e foglie, in disegni micro, vanno a dar vita ad un prato primaverile leggero e romantico. Gocce e bolle sui toni dell’azzurro e verde acqua sono stampati sul leggero chiffon che rendono fluidi quei vestiti che profumano di primavera. «Il messaggio è di positività e l’ironia dei disegni e la gioia nei colori sono volutamente enfatizzati perché abbiamo tutti bisogno di riprendere a sognare. Ho lanciato questo progetto pochi mesi, utilizzando il mio nome e cognome», queste le parole del designer. Per Mario Dice l’ispirazione nasce dal concetto di un amore libero dalle forme, dai vincoli e dalle sovrastrutture sociali. Ecco che i tessuti come denim, lino, cotone e canvas vengono arricchiti da pizzi e ricami sangallo in una scala di nuances cromatiche che vanno dai più caldi e materici mattone e caramello fino al tono acceso del corallo. Anche nella moda maschile si ha un ritorno all’essenziale. Un esempio è la collezione di Luca Larenza: il look irriverente della strada inglese è mixato al più sofisticato stile italiano sartoriale. Il trench, pensato in tagli morbidi e scivolati, è abbinato a polo in maglia caratterizzate da delicate nuance. La sperimentazione sulla maglieria porta alla elaborazione di delicati intrecci in seta e lino, utilizzati per la costruzione di raffinate polo con dettagli in contrasto e di gilet dal taglio morbido. Anche la collezione di Canali è un viaggio immaginario nel guardaroba maschile alla scoperta di sé stessi. Come in un’ideale macchina del tempo, la giornata inizia nella luce magica di una metropoli cosmopolita circondata dalla natura, prosegue sulle sabbie dorate di una spiaggia inondata dalla luce del mezzogiorno e si conclude al crepuscolo nella vegetazione lussureggiante di un’oasi lontana. Ogni momento va affrontato con

stile, inventiva e passione. E per chi cerca un sogno d’evasione? Ci pensa Donatella Versace facendoci immergere nell’immaginaria città sommersa di Versacepolis, il luogo dove ciò che è conosciuto e l’ignoto si incontrano. Come il mondo si adatta con resilienza alla nuova normalità, questo mondo sottomarino offre l’opportunità di abbandonarsi alla fantasia e di nuotare in un paesaggio immaginario.

01 Mario Dice 02 Andrea Pompilio 03 Versace

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EVENTI / SIMONETTA ROTA

LA PASSIONE DISTINGUE I LEADER LA PASSIONE È QUEL PONTE CHE PERMETTE AL MANAGER CALCOLATORE E AL FREDDO IMPRENDITORE DI FARE UN SALTO NEL FANTASTICO MONDO DELL’IRRAZIONALITÀ.

«U

no pensa che siano dei superman o delle wonder woman. Gente con i superpoteri, con la vita già scritta in un copione fatto di successi, episodi eccezionali, abilità che i più neanche immaginano. Dei predestinati. Invece no, sono “semplicemente” dei “leader”: persone che esplorano il percorso sul quale poi gli altri vanno a camminare. Si è portati a pensarli diversi dal resto del mondo (e forse in parte, un po’ lo sono…). Fondamentalmente, però, sono persone come le altre: due mani, due occhi, un naso, una bocca, emozioni. In più hanno la capacità di estrarre dal proprio interno un’energia straordinaria che la massa neanche sa o pensa di avere. Hanno la benzina che serve a mettere in moto processi importanti, progetti ambiziosi, roba che ti cade la mascella quando la vedi, conosci e realizzi. Non i soldi, non la fame di potere o successo li comandano. C’è un sentimento, un trasporto particolare, un qualcosa che sta più in alto e regola i loro comportamenti, le decisioni e la maniera con cui i veri leader agiscono: la passione. È un qualcosa che ti inebria, che mette adrenalina in circolo, che ti fa ritrovare vittima felice di ciò che stai facendo». Recita così il nuovo numero di PLUS, il nostro Magazine dedicato al mondo

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EVENTI / SIMONETTA ROTA

L’ASSOCIAZIONE REW SI PRESENTA

SABINA GATTO Socia Fondatrice/Web e nuovi progetti CEO di Sit Immobiliare

LAURA POGGIOLI Membro di Comitato/Segreteria Founder La Relocation

ILARIA ROVEDA Socia Fondatrice/Tesoriera Founder di Reva

SIMONETTA ROTA Membro di Comitato Eventi e Comunicazione Founder SR-More Than Events

GEMMA DE FILIPPIS Membro di Comitato/Formazione e Sponsor – CEO di Point Service

ASSOCIAZIONE REW info@associazionerew.ch www.associazionerew.ch

degli eventi, in questa edizione dedicato proprio ai Leader. Perché nei momenti più bui abbiamo bisogno di guide lungimiranti. Abbiamo bisogno di luce. Abbiamo bisogno di leader. E quando a scendere in campo con questa passione è una donna, ecco che si aggiunge anche qualche caratteristica distintiva! L’abilità di ascoltare, l’empatia, l’intelligenza emotiva e sociale, il sesto senso, la capacità innata di comprendere i segnali deboli del contesto, accoglierli e portarli alla ribalta. La cura. L’amore, che è energia, sensibilità, entusiasmo, è visione, è disponibilità, è apertura. Caratteristiche tradizionalmente (e anche stereotipicamente) più femminili, diventate oggi un know how implicito dell’identità di genere, esplicabili anche nei ruoli organizzativi. Quello che ci aspetta, a mio avviso, è un mondo che vada progressivamente a includere i ruoli che siamo abituati a conoscere, sostituendo al pregiudizio la necessità, al genere la meritocrazia, ai soli supermen la giusta presenza e integrazione di vertici aziendali femminili, che assieme ai leader possono creare un perfetto mix&match di valore aggiunto. E nella potenza delle donne leader credo così fortemente che già da qualche anno mi “preparo” a questa graduale e ormai necessaria integrazione dei poli attraverso lo strumento che a mio avviso è quello più efficace: il confronto con altre donne. Sono orgogliosa di essere membro del Comitato direttivo di Associazione REW con il ruolo di Responsabile della Comunicazione ed Eventi. REW è una Community al femminile che riconosce nelle nostre affiliate non solo un’affermazione professionale ed un percorso di responsabilità, capacità imprenditoriali e manageriali in diversi ambiti, ma anche un’autonomia decisionale e una predisposizione altruistica forte e coesa. Un’associazione di donne, pronte a mettersi in gioco in prima persona in un cammino di creTICINO WELCOME / MAR - MAG 2021

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EVENTI / SIMONETTA ROTA

scita aperto e orientato a fare network e a condividere esperienze professionali e di vita. L’associazione ha lo scopo di promuovere, rafforzare e sostenere le donne attive professionalmente in diversi ambiti, favorire la creazione di una solida rete di contatti in ambito professionale promuovendo lo scambio di relazioni e lo sviluppo di sinergie. Si distingue per l’impegno verso le proprie associate in una proposta di incontri formativi erogati da autorevoli formatori e per il sostegno convinto di iniziative a fine benefico. Per facilitare networking e collaborazioni, abbiamo un ricco calendario di incontri online, ma non vediamo l’ora di poterci incontrare nuovamente negli eventi dal vivo. Memorabile è il nostro “Women Gala Party” che si tiene il 3 dicembre di ogni anno. Un evento che organizziamo con il cuore e la cura che contrad-

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distingue la mia agenzia, dove ogni minimo dettaglio è studiato ad hoc. Nell’ultima edizione abbiamo infatti realizzato a mano tutte le candele, ricoprendole di glitter nella palette colori del logo REW, per impreziosire e dare identità femminile alla mise en place e realizzato ad uno ad uno i cadeau per le gentili ospiti. Questo gala è una serata dedicata alle donne, che celebra l’eleganza, la leggerezza, la generosità e il divertimento, dove gli unici ospiti maschili consentiti sono stati il Sindaco di Lugano e l’artista Fabrizio Vendramin, di cui l’agenzia Simonetta Rota – more than events ha l’esclusiva per la Svizzera. Vendramin è un vero “uomo performer”, i suoi ritratti in stile pop art sono un’esperienza emozionante da vivere e da veder nascere sotto i propri occhi, proprio come ha fatto durante il Gala Party REW, dipingendo a ritmo di musica l’iconica Marylin Monroe, come

dono inaspettato per le signore in sala. E in questo anno così “particolare”, stiamo già lavorando ad un secondo evento live che si terrà in estate. Un party che vuole onorare la Vita e la gioia di stare insieme…rigorosamente only for women!

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Fuggivo dalla guerra.

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Resto qui, grazie alla mia formazione. Sahilemariam (18 anni), figlia, Etiopia

Tsehay, madre

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Concludere un apprendistato, mettersi in proprio, creare posti di lavoro. Ecco come donne e uomini cambiano le loro vite con il vostro sostegno. L’istruzione pone fine alla povertà. Donate adesso: helvetas.org

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AUTO / BENTLEY

UNA FAMIGLIA DI FUORICLASSE

BENTLEY MOTORS SI È SEMPRE IMPEGNATA A SVILUPPARE E REALIZZARE LE VETTURE AD ALTE PRESTAZIONI PIÙ DESIDERABILI AL MONDO. NE SONO UNA CONFERMA LE TRE VETTURE CHE CONTRADDISTINGUONO ATTUALMENTE LA FLOTTA BENTLEY: SULLA FLOTTA ATTUALE BENTLEY: NEW BENTAYGA V8, NEW FLYING SPUR V8 E NEW CONTINENTAL GT E GTC.

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ondata nel 1919 da W.O Bentley, la missione della casa automobilistica era “Costruire vetture eccellenti, vetture veloci, le migliori della loro classe”. Queste parole sono ancora attuali e ben si adattano a vetture lussuose, reattive e potenti che fanno bella mostra di sé presso lo show room di Kessel Auto a Lugano, e che certamente incontreranno l’apprezzamento dei tanti estimatori ticinesi della casa automobilistica britannica. Anche se oggi la gamma vanta diversi modelli, le Bentley realizzate artigianalmente restano infatti sempre inconfondibili. Basta uno sguardo ai doppi fana-

li anteriori, alla calandra a nido d’ape o alla linea di cintura rialzata per riconoscere immediatamente una Bentley. La New Bentayga V8 ha solidi argomenti per legittimare le sue due caratteristiche principali, apparentemente inconciliabili: essere una vera Bentley e una vera suv. La parte frontale della Bentley Bentayga la rende inconfondibile ancor prima di vedere il marchio con la B maiuscola che sovrasta con discrezione l’imponente griglia anteriore. Sotto il cofano trovano posto diversi motori, tutti turbo e a benzina. Il 4.0 V8 biturbo sprigiona 549 CV e 770 Nm, e spinge un’auto che pesa meno (88 kg). Per chi volesse cimentarsi nel


AUTO / BENTLEY

fuori strada c’è poi anche il pacchetto All Terrain, che alle quattro modalità di guida selezionabili di serie (Sport, Comfort, raccomandato da Bentley e personalizzabile) ne aggiunge altrettante, secondo il tipo di terreno che ci si ritrova a percorrere: neve/erba bagnata, sterrato/ghiaia, fango/grandi ostacoli, sabbia. Non manca, ovviamente, il dispositivo che mantiene costante la velocità della vettura nelle discese ripide. Per un utilizzo prevalente nel traffico intenso conviene invece scegliere il pacchetto City, che provvede aiuti elettronici ulteriori per rilevare la segnaletica, l’avvicinarsi di pedoni, e un’immagine virtuale della vettura dall’alto visualizzata sullo schermo del navigatore. Il pacchetto Touring, infine, è fatto per chi effettua lunghe percorrenze, soprattutto in autostrada, e comprende ulteriori aiuti elettronici, come il cruise control adattativo che prevede anche l’avvicinarsi delle curve, rallentando di conseguenza, o le telecamere a raggi infrarossi per la guida. Da segnalare l’impegno profuso dalla Bentley per limitare per quanto possibile i consumi e avere una buona autonomia, voci dolenti per un veicolo a trazione integrale che pesa circa 2500 kg in ordine di marcia e raggiunge le tre tonnellate quando viaggia a pieno carico. Quando è inserita una delle ul-

time 4 marce, inoltre, se il conducente rilascia il gas la vettura procede al minimo come se fosse “in folle”, salvo riprendere l’uso del cambio (con conseguente “freno motore” in rilascio) non appena si preme di nuovo l’acceleratore o s’imbocca una discesa. Le dimensioni sono davvero ragguardevoli, ma la Bentley Flying Spur ha un carattere sportivo; in pratica, è la versione a quattro porte della coupé Continental. La sportività si esplica

nelle prestazioni (con i suoi 333 km/h dichiarati, è la berlina più veloce oggi a listino) e nelle doti di guida (la trazione integrale, il retrotreno sterzante e le sospensioni pneumatiche con barre antirollio elettroniche contrastano con una certa efficacia la massa e gli ingombri). E poi, ci sono le proporzioni: la Flying Spur è relativamente bassa, e un profilo filante; lo mettono in risalto le enormi ruote (fino a 22”) e dettagli come i fari, lavorati internamente così da assomigliare a dei diamanti, e la luccicante e luminosa “B” alata simbolo del marchio, che sbuca dal cofano anteriore quando si sbloccano le porte. L’abitacolo è quello che ci si può aspettare da una Bentley dei giorni nostri: morbida pelle, spessa moquette e una miscela di legnami pregiati e inserti in metallo lucido si abbinano armonicamente a componenti moderni: come il cruscotto digitale di 12,3” e il display centrale (che, optional, può ruotare su se stesso per mostrare tre piccoli strumenti analogici). La sua “voce” del potente motore V8, non particolarmente “cattiva”, è sempre ben insonorizzata, e in autostrada non lo si sente proprio, dato an-

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AUTO / BENTLEY

che che le due ultime marce del cambio robotizzato a doppia frizione sono “di riposo”. Ottimo il comfort, e non mancano gli aiuti elettronici alla guida; Difficile trovare auto rifinite con la stessa cura riservata a questa coupé, dall’eleganza tipicamente britannica: l’abitacolo della Bentley Continental GT è un tripudio di pelli con impunture a vista, vero metallo e legno pregiato. Il 4.0 è un classico otto cilindri a V. A dispetto del peso rilevante, la Bentley Continental GT è decisamente maneggevole: a questo risultato concorrono positivamente le sospensioni ad aria e della trazione integrale con una ripartizione della potenza che privilegia le ruote posteriori. Promosso pienamente il cambio a doppia frizione con otto marce: tanto dolce quanto rapido. Nata per macinare velocemente un chilometro via l’altro, questa granturismo assolve alla perfezione il suo compito: le poltrone sono ampie e confortevoli e le sospensioni “lisciano” l’asfalto. Nella versione cabriolet la Bentley Continental 8V GTC acquista ulteriore fascino, e vanta una linea equilibrata ed elegante; la capote chiusa è particolarmente ben integrata, e quando la si

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apre praticamente “scompare” dietro i due sedili posteriori (che garantiscono un discreto comfort). Come nella versione coupé, la scelta dei materiali e la cura riservata ai particolari è degna del prezzo di listino: l’abitacolo è rivestito con morbida pelle lavorata in base al gusto del cliente, metalli scintillanti, legni pregiati (ma anche, volendo, fibra di carbonio) e folta moquette. I rinforzi alla scocca tipici delle auto con il tetto apribile comportano un peso maggiore di 170 kg rispetto alla Bentley Continental GT, ma alla guida lo si nota po-

co. Grazie alla meccanica molto raffinata (sospensioni pneumatiche e trazione integrale con una ripartizione della potenza che privilegia le ruote posteriori) la GTC è abbastanza maneggevole, oltre che stabile. La Bentley Continental GTC può superare i 300 km/h con facilità. Per i giorni estivi ci sono i sedili ventilati, mentre quando la temperatura esterna scende si possono sfruttare il bracciolo e la corona del volante riscaldabili, nonché un leggero flusso di aria calda che esce dai sedili nella zona del collo.


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AUTO / MERCEDES S 500 4MATIC L

L

’ammiraglia è tornata. E nella sua forma migliore: affusolata, classica nelle proporzioni quanto moderna e levigata nella sua estrema suggestione stilistica; ancor più spaziosa e ricercata, naturalmente, nonché contraddistinta da un livello tecnologico di riferimento per l’intera categoria. La Classe S riesce ad andare oltre ogni aspettativa, anche le più elevate, e in ogni dettaglio, anche dove meno te l’aspetti: l’evoluzione è significativa non tanto - o meglio, non soltanto - a livello di qualità di marcia, ma in special misura nell’interfaccia uomo-macchina e nel grado di assistenza attiva a disposizione. Ad esempio, lo stesso cruscotto dedicato al guidatore è affidato ad uno schermo digitale tridimensionale, in grado cogliere le informazioni presentate con la stessa profondità di campo che si avrebbe in natura; l’effetto è sorprendente, specie visualizzando ad esempio la mappa di navigazione con vista 3D: oltre allo stupore aggiunge il vantaggio di conservare il fuoco visivo più lontano, dunque con ritorno più immediato e facile alla vista sulla

strada. Cresce inoltre la potenza di calcolo per offrire comandi vocali e non soltanto. La nuova interfaccia MBUX seconda generazione aggiunge infatti la capacità di interpretare non solo la voce naturale ma anche i movimenti stessi del conducente (direzione della testa, movimenti delle mani, linguaggio corporeo) per suggerire o attivare direttamente le funzionalità correlate. Siamo al volante della prestigiosa S 500 L, a passo lungo, ed i suoi 5,29 metri di ingombro longitudinale combinati al passo maggiorato da quasi 3,22 m possono forse destare apprensione in manovra, eppure colpiscono agilità e facilità di manovra: la manovrabilità è insospettabile a dispetto della mole. C’è il trucco, ed è costituito dalla sterzata sull’asse posteriore fino a 10 gradi, che consente di guadagnare fino a 2 metri sul diametro di volta. Anche per questi dettagli, la Classe S è la berlina di lusso più diffusa al mondo, e con quest’ultima generazione mostra tutte le qualità necessarie per restare in questa posizione invidiabile. La stessa guida è quanto mai docile, fluida, vellutata; il sei cilin-

dri di tre litri, combinato alla spinta aggiuntiva del sistema micro-ibrido a 48V, permette di variare rapidamente l’andatura con modeste pressioni sull’acceleratore, oltre a lasciare spazio per uno scatto da fermo da sportiva. Le raffinate sospensioni pneumatiche a controllo elettronico rendono inoltre quasi inavvertibili i movimenti del corpo vettura tra le curve, ma al contempo assorbono ogni lieve imperfezione con efficacia irreale. La guida stessa lascia il campo ad una precisione che invita ad un dinamismo godibile, col contributo di un volante dal diametro insolitamente ridotto per il genere d’auto. Ed il silenzio a bordo è tale da accorgersi dello strusciare dei propri abiti sulla pelle dei sedili, quando si aggiusta leggermente la postura. L’inusuale generosità degli spazi e la raffinatezza di finitura che accompagnano la zona posteriore, che definire “lounge” appare persino riduttivo, meriterebbero un’esperienza di viaggio con autista. Dal punto di vista anteriore, il conducente si “consola” però con il grandioso schermo centrale verticale da 12,8”, con i dieci programmi di massaggio e con la guida semiautonoma di livello 3 a partire da metà 2021, che consentirà alla Classe S (inizialmente solo in Germania) di viaggiare realmente da sola in autostrada senza richiedere l’attenzione del guidatore.

ALCUNI DATI TECNICI DELLA MERCEDES S 500 4MATIC L Motore 6 cilindri, biturbo con sistema micro-ibrido Cilindrata cm3 2.999 Carburante Benzina Potenza max. 435 cv (320 kW) + 22 cv (16 kW) Coppia max. 520 Nm a 1800-5500 giri/min.

Velocità max. 250 km/h Accelerazione 0-100 km/h 4,9 secondi Capacità serbatoio 70 litri Peso totale 2.045 kg Trazione Integrale

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UN PUGNO IN UNA CAREZZA

ALLE PRESTAZIONI FUORI DALL’ORDINARIO COMBINA LOOK POSSENTE E DISTINTIVO CON GUIDA ALTAMENTE DINAMICA, MA SA ANCHE ESSERE ALTRETTANTO DOCILE ED ACCOGLIENTE PER VIAGGIARE IN UN COMFORT ESCLUSIVO. DI ALBEN


AUTO / MERCEDES-AMG GLE 63 S 4MATIC+ COUPÉ

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MG e Suv: un connubio senza dubbio suggerito subito dalle linee inconfondibilmente espressive della GLE Coupé, vettura che come poche riesce a trasmettere al primo sguardo tutte le speciali qualità dinamiche assicurate dalla prestigiosa divisione sportiva Mercedes. Il profilo filante, un puro stile Gran Turismo, è la nota più in vista della vettura: cattura l’attenzione e, nel suo fluire del profilo a goccia, collega idealmente il frontale deciso e possente con la coda rastremata, suggerendo velocità e dinamismo. E tutto ciò in combinazione con i numerosi dettagli aerodinamici che aggiungono funzionalità insieme ad ulteriori tocchi di personalità. Le grembialature sottoporta assicurano inoltre protezione e contribuiscono a vivacizzare le fiancate, mentre in coda spiccano i sottili gruppi ottici così come il generoso diffusore inferiore, che divide i terminali di scarico sdoppiati. Le ruote standard da 22 pollici assicurano infine tutta la presa al suolo necessaria per garantire massima tenuta e piacere di guida. Internamente, l’ambiente è altrettanto distintivo e personalizzato per sottolineare l’esclusiva sportività del modello, senza tuttavia perdere di vista eleganza ed armonia d’insieme: il colpo d’occhio è appagante e suggestivo, suggerendo in pari misura prestazioni di livello superiore ma anche comfort ed accoglienza ai massimi livelli. Il volante vanta un diametro piuttosto compatto, ideale per il controllo, ed è

una vera e propria centrale di controllo: a portata di dita si trovano i principali comandi inclusi i pulsanti che permettono di accedere direttamente alle regolazioni di assetto e modalità di marcia, per poter variare pressoché all’istante il carattere della vettura al proprio umore o alla situazione stradale. I grandi schermi nella zona superiore della plancia offrono la massima configurabilità e permettono di tenere tutto sotto controllo con un agile colpo d’occhio, mentre lo spazio di notevole respiro accoglie generose poltrone anteriori sportive così come un divano posteriore altrettanto invitante; la stessa atmosfera di bordo viene trattata tramite ionizzazione e depurazione. Fiore all’occhiello della della 63 S Coupé resta in ogni caso il comparto meccanico, nel suo complesso: la raffinatezza e le prestazioni del potente V8 biturbo in versione S, da oltre 600 cavalli, richiedono altrettanta tecnologia di punta per telaio e trazione integrale. Le sospensioni pneumatiche permettono tre tarature, a loro volta combinate alla modalità di marcia Comfort cui si aggiungono tre strategie sportive e due specialistiche per affrontare i terreni ad aderenza ridotta; il sistema 4x4 4Matic+ porta la “firma” Performance AMG grazie ad un’evoluzione specifica, con passaggio dalla trazione posteriore a quella integrale regolato senza interruzioni ed in modo istantaneo ed influenzato dallo specifico programma di regolazione della dinamica di marcia 4ETS,

completato al retrotreno dal differenziale autobloccante anch’esso pilotato elettronicamente. Al top anche i freni: dischi anteriori da ben 400 mm con pinze a sei pistoncini in tinta rossa, a richiesta per i più esuberanti in tema di staccate l’impianto con dischi ceramici. Nonostante l’esuberanza decisa, la 63 S Coupé lascia però spazio anche alle carezze: il V8 ha un’erogazione quanto mai dolce ed elastica, oltre a vantare l’apporto del sistema micro-ibrido 48V nelle accelerazioni lievi nonché della disattivazione selettiva dei cilindri nella marcia a carico parziale, in modo da ottimizzare l’efficienza di funzionamento.

ALCUNI DATI TECNICI DELLA MERCEDES-AMG GLE 63 S 4MATIC+ COUPÉ Motore 8 cilindri a V, biturbo Cilindrata cm3 3.982 Carburante Benzina Potenza max. 612 cv (450 kW) + 22 cv (16 kW) Coppia max. 850 Nm a 2.500-4.500 giri/min.

Velocità max. 280 km/h Accelerazione 0-100 km/h 3,8 secondi Capacità serbatoio 74 litri Peso totale 2.665 kg Trazione Integrale

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AUTO / SUBARU FORESTER 2.0 E-BOXER

LE SORPRESE DI UN’AUTO «NORMALE»

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LA SUBARU FORESTER È UNA VETTURA PERFETTA PER ANDARE OVUNQUE SI VOGLIA. SOLIDAMENTE COSTRUITA, COMPATTA E MANEGGEVOLE, MA SPAZIOSA E CONFORTEVOLE. DI GIACOMO NEWLIN

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n una società che corre senza sapere esattamente quale sia il traguardo, trovare una persona “normale” non è un’impresa facile. Tutti e tutto dev’essere straordinario. Questa riflessione l’ho accostata, forse un po’ arditamente, all’auto che ho avuto l’occasione di provare nel viaggio da Lugano a St. Moritz e ritorno, in occasione dell’annuale Gourmet Festival che si è svolto nel mese di febbraio dell’anno passato. Finora le auto per questa occasione sono state direi straordinarie, mentre l’anno scorso era una Subaru Forester 2.0 EBoxer, un’auto di una marca che non mi diceva granché, ovvero un’auto che prima della prova potevo considerare “ordinaria”, cioè normale, ma che poi si è rivelata straordinaria per uno come me che attribuisce maggior valore a certi fattori più che ad altri; ad esempio, per me è più importante la sicurezza rispetto all’estetica. Potrei osare a questo punto una metafora prendendo a prestito l’aforisma dello scrittore e commediografo britannico William Somerset Maugham che recita: “L’uomo elegante è quello di cui non noti mai il vestito”. Ebbene per molto tempo non ho notato il “vestito”, ma la sicurezza che esprime la Subaru Forester 2.0 E-Boxer si traduce in una sensazione piacevole che accompagna tutto il viaggio. Seduto a bordo scopri man mano altri pregi, che se vogliamo rappresentano piccole cose che sommate insieme danno un grande risultato. Mi sovviene l’aforisma di un anonimo che recita così: “L’amicizia non è una grande co-

sa, è un milione di piccole cose”. Ora mi sono accorto di quest’auto con la quale ho quindi fatto amicizia. Non posso citare tutte le piccole cose che regala la Subaru E-Boxer, ma alcune sì: un’accelerazione vigorosa, una guida confortevole e silenziosa, il generoso spazio interno, vibrazioni quasi nulle anche “off road”, la decisione automatica quando dalla propulsione termica si deve passare a quella elettrica, il sistema chiamato “EyeSight” che dallo sguardo del conducente rileva sintomi di stanchezza, il dispositivo che in retromarcia frena automaticamente se i sensori rilevano un ostacolo, ecc.


AUTO / SUBARU FORESTER 2.0 E-BOXER

1954 iniziare con la produzione delle prime auto. Non sapevo che il modello Subaru Legacy con trazione integrale, il cui debutto risale al 1989, è il veicolo più venduto al mondo e che nello sport automobilistico la Subaru negli anni ’90 ha collezionato diverse vittorie nei campionati mondiali di Rally. Insomma non è proprio un’auto qualunque! Come succede con le persone che non puoi giudicare a prima vista, così anche le auto non le puoi giudicare di primo acchito, poiché se le provi e con curiosità e interesse ne approfondisci la conoscenza, scopri con sorpresa qualità nascoste e impensate.

L’azienda del Sol Levante, che come simbolo ha le Pleiadi, si è imposta per le proprie vetture entro il 2030, un obiettivo molto ambizioso, ovvero l’azzeramento degli incidenti stradali con

vittime. Andando poi a frugare nella storia di questa azienda nata lontano da noi, in Giappone, ho scoperto che l’attività è partita nel 1917 con la costruzione di aerei militari per poi nel


ARCHITETTURA / EDILIZIA GREEN

LA CASA DEL FUTURO RISPETTA L’AMBIENTE

L’

orientamento dei clienti è sempre più chiaro e definito: vogliono una casa sostenibile progettata e costruita per garantire un uso razionale delle risorse. Non dovrebbero poi mancare sistemi di gestione e automazioni per il risparmio energetico, così come dovrebbero essere inclusi impianti per l’autoproduzione elettrica. Oggi, i costi di realizzazione di una casa sostenibile sono molto più accessibili. Complice la diffusione di materiali sempre più innovativi e di una maggiore consapevolezza ambientale. Quando parliamo di una casa sostenibile, facciamo riferimento a un’abitazione che incarna i buoni principi della bioedilizia. Parliamo di un’abitazione in cui gli abitanti assumono un atteggiamento rispettoso dell’ambiente. A livello descrittivo, possiamo ridurre i principi di una casa sostenibile in alcune semplici caratteristiche. Il sole è la fonte di energia più antica che abbiamo. Con un pannello solare è possibile produrre acqua calda e soddisfare il fabbisogno domestico. Il solar cooling, inoltre, riesce a raffreddare la casa in estate oltre che risaldarla d’inverno. L’illuminazione rappresenta il 20% del consumo di elettricità mondiale. Le lampade a LED, anche se arrivano a costare 10 volte in più delle alogene o delle lampadine a incandescenza, durano da 8 a 10 volte in più e consumano molto meno. Per risparmiare ulteriormente si può contare sulla domotica con timer o sensori che regolano l’accensione e lo spegnimento di lampade. Anche ogni elettrodomestico e apparecchiatura elettrica dovrebbe essere opportunamente dimensionata. L’eti-

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chetta energetica è un buon punto di riferimento per chi vuole arredare una casa sostenibile. E, ancora, un’abitazione priva di isolamento aumenta i costi di riscaldamento e aria condizionata. La coibentazione consente invece di ridurre drasticamente i consumi energetici. In realtà, gran parte dei principi dell’architettura sostenibile vertono sul garantire un buon isolamento per abbassare il fabbisogno energetico dell’intera struttura edilizia. In questo settore sono di fondamentale importanza i materiali di costruzione e la presenza di un involucro edilizio opportunamente progettato. Il calore si può disperdere soprattutto a causa dei serramenti e gli infissi rappresentano l’anello debole dell’isolamento termico. Un’abitazione sostenibile presenta dunque infissi e vetrate intelligenti che consentono l’illuminazione naturale e garantiscono un buon isolamento. Impiegando serramenti in materiale isolante, il fabbisogno elettrico della casa, calerà di almeno il 30%. Idealmente, una casa sostenibile do-

vrebbe poi avere uno spazio verde, un giardino verticale o un orto in balcone dove poter coltivare e consumare a km zero. Il tetto verde estensivo o intensivo, è una soluzione ottimale per la casa sostenibile che sorge in città. Il tetto verde, in più, offre un ottimo grado di isolamento e regala aria pulita lungo il perimetro della casa. In alternativa è possibile realizzare dei giardini pensili o verticali. Nelle condizioni ideali, una casa sostenibile deve avere il 30-40% di superficie lorda orientata a sud così da massimizzare le radiazioni solari in inverno ed evitare i fenomeni di surriscaldamento in estate. Un’abitazione ecologica progettata per avere un basso impatto ambientale dovrebbe in ogni caso sorgere in un contesto paesaggistico adeguato. Non ultimo, dovrebbe essere realizzata con materiali a basso impatto ambientale. Parliamo di materiali atossici, sicuri per la salute degli abitanti e per l’ambiente. Dei materiali, in fase di progetto, bisognerà valutare anche la durata e la garanzia delle performance termiche.


ARCHITETTURA / EDILIZIA GREEN

HANNO PARTECIPATO ALL’INCHIESTA:

FABIO BREDA (F.B.) Fisico Dipl. ETH/SIA, Direttore di EcoControl SA

MARCO MIGLIORI (M.M.) Consulenza Architettonica & Ambiente CA&A Sagl

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n base alle sue valutazioni, in che misura il patrimonio abitativo ticinese risulta essere adeguato rispetto ai principi di un’edilizia ecocompatibile? F.B.: «Il patrimonio edilizio ticinese in buona parte appartiene ad uno standard edilizio risalente agli anni 60 e 70. Pertanto comprende edifici con isolamento termico scarso e riscaldati ancora in buona parte con derivati del petrolio (olio combustibile o gas). In tal senso c’è ancora molto da fare per rendere questi edifici meno “energivori”. Per questo motivo sia Cantone che Confederazione, negli ultimi anni, hanno votato degli importanti crediti destinati ad incentivare il risanamento energetico degli edifici e la conversione degli impianti a energie fossili ad impianti che utilizzano energie rinnovabili. Quindi la strada per rendere il patrimonio edilizio ticinese ecocompatibile è ancora lunga, ma credo che abbiamo intrapreso la retta via». M.M.: «La maggior parte degli edifici ticinesi, nei principali centri urbani, è stata costruita negli anni

LUCA RENZETTI (L.R.) Direttore Renzetti & Partners SA

70-80 e pertanto con un concetto edile e impiantistico che risulta assai lacunoso riguardo l’ecosostenibilità. È peraltro vero che gli edifici costruiti dagli anni 2000 vengono isolati in modo migliore e, con l’introduzione nel 2008 del Regolamento sull’utilizzazione dell’energia (RUEn), è stato effettuato un ulteriore step. Con il RUEn si è voluto dare una visione globale dell’immobile sia per l’involucro edilizio sia a livello impiantistico, incoraggiando l’utilizzo di energie cosiddette rinnovabili quali pompe di calore e caldaie a legna, il tutto supportato da impianti fotovoltaici per la produzione di elettricità e/o di collettori solari termici per la produzione di acqua calda sanitaria. Anche il risanamento degli stabili esistenti deve sottostare, quando possibile (per es. esistono delle eccezioni per quanto riguarda gli edifici tutelati) alle indicazioni presenti nel RUEn sia per quanto riguarda l’isolamento sia per quanto concerne il rinnovamento completo degli impianti di riscaldamento e produzione di acqua calda sanitaria». L.R.: «Partirei da 2 dati statistici. Sulle circa 245.000 abitazioni presenti in Ticino, meno di

GIUSEPPE MUSSIO (G.M.) Responsabile Rigips regione Ticino

21.000 sono state costruite dopo il 2008 (USTAT 31.12.2019), data in cui è entrata in vigore la RUEn (Regolamento sull’utilizzazione dell’energia). Questo regolamento è un po’ la pietra miliare sulla costruzione “ecosostenibile”, infatti il regolamento definisce le condizioni quadro atte a favorire l’utilizzazione razionale e parsimoniosa dell’energia, l’impiego delle energie rinnovabili e lo sfruttamento del calore residuo, in particolare nell’edilizia. Questo semplice dato ci fa comprendere come meno del 10% delle abitazioni presenti sul territorio ticinesi siano state concepite seguendo degli standard energetici ben definiti e di buon livello. Ovviamente questo dato non prende in considerazione tutti gli edifici che hanno effettuato un risanamento energetico. Nonostante questo, secondo uno studio di Swissinfo.ch (https:// www.swissinfo.ch/ita/emissioni-edifici-svizzera-risanamento-energeticoclima/45378228) più di 1 milione di edifici in svizzera, su un totale di 1.7 milioni, sono “non isolati” o scarsamente isolati, questo significa che circa il 60% degli edifici risulta scarsamente dotato dal punto di vista energetico. Fatte queste premesse, la risposta è sicuramente negativa, tenuto conto che il parco immobiliare ticineTICINO WELCOME / MAR - MAG 2021

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se risulta piuttosto datato (come del resto in tutta Europa) ed anche se nelle realtà immobiliari di più recente costruzione sono state applicate le normative svizzere che prevedono standard elevati in termini energetici. Annualmente, infatti, viene risanato circa l’1% del parco immobiliare ticinese, quindi i tempi previsti per l’aggiornamento complessivo si prospettano piuttosto lunghi». G.M.: «L’armonia del paesaggio svizzero è attualmente minacciata da due fattori: l’aumento di popolazione, che porterà inevitabilmente ad uno sviluppo verticale degli agglomerati urbani, e dal gusto architettonico post-moderno. Le strutture edificate nel corso dei passati decenni per far fronte alla continua crescita della popolazione - nonostante i tantissimi appartamenti sfitti - risultano essere spesso brutte, disarmoniche e incongrue col paesaggio. Risulta dunque sempre più importante salvaguardare i nuclei ticinesi da un’edilizia scriteriata, che ne annienterebbe i valori architettonici e paesaggistici, oltre che offenderne la coerenza costruttiva e storica. Questo discorso andrebbe però esteso anche a tutte le zone residenziali e, soprattutto, quelle turistiche». In che modo si sono andate trasformando nel corso degli ultimi anni le esigenze e le richieste della clientela nella prospettiva di abitazioni sempre più rispettose di una sostenibilità ambientale? F.B.: «Negli ultimi anni è notevolmente aumentata la clientela che è più sensibile alle tematiche di risparmio energetico e di conseguenza anche ambientali. Questo è stato in modo significativo incentivato dalle leggi e regolamentazioni energetiche che negli ultimi 20 anni sono diventa-

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te sempre più restrittive ed esigenti. Un ruolo importante lo rivestono anche i progettisti (architetti, ingegneri, fisici della costruzione, ecc.) che grazie alla loro formazione sempre più “ecosostenibile” spingono i committenti verso scelte più ponderate energeticamente». M.M.: «Nell’ultimo periodo, il nostro studio si è trovato a seguire la progettazione di numerosi edifici, dalle mono-famigliari alle più complesse pluri-famigliari, con strutture in legno sia con tecnologia Xlam sia con sistema a telaio. L’utilizzo di questi sistemi come elementi portanti ha ridotto in modo massiccio il consumo di calcestruzzo. Questo è un chiaro indicatore dell’orientamento dei committenti verso strutture ecosostenibili. Sono inoltre in aumento, non come nei cantoni germanofoni o francofoni, ma il trend è più che positivo, anche i clienti con esigenze ancor maggiori e che decidono di costruire o ammodernare le proprie abitazioni con standard Minergie». L.R.: «Negli ultimi anni è innegabile uno straordinario aumento dell’interesse sull’aspetto energetico da parte del cliente finale, sia che questi acquisti la propria abitazione sia che decida di andare ad abitare in affitto, anche sull’onda di un’accresciuta sensibilità verso i temi dell’inquinamento e della sostenibilità. Va tenuto in conto, inoltre, che un crescente numero di cittadini ticinesi si è orientato verso la mobilità elettrica (nel primo semestre 2020 la prima casa automobilistica in Svizzera è un operatore di auto elettriche). E già sin d’ora si può rivelare che la mobilità elettrica aumenta drasticamente la richiesta di energia negli edifici. Fino a 10/15 anni fa chi investiva sull’aspetto energetico ed ambientale era un pioniere. In Ticino un esem-

pio su tutti è la prima casa monofamiliare Minergie-P ad Osco, costruita nel 2007 da Fabrizio Pedrinis. Oggi invece, nel 2020, un fondo d’investimento svizzero sta costruendo 2 torri a Lugano per un totale di 153 appartamenti destinati al mercato locativo, certificate Minergie-P: solo 13 anni dopo una differenza di approccio abissale verso la problematica! Questo dato sottolinea il cambiamento delle esigenze della clientela finale: oggi avere un edificio energeticamente sostenibile diventa un fattore chiave della vendita/affitto di un immobile che non può essere assolutamente trascurato». G.M.: «Negli ultimi anni abbiamo registrato una continua crescita di sensibilità nei confronti di tutte le tematiche della sostenibilità ambientale applicate all’edilizia. Le aree di intervento hanno posto l’attenzione sul risparmio energetico e sulla sostenibilità ambientale, promuovendo interventi tanto sull’involucro quanto sull’impianto, rivolti all’organismo edilizio nel suo complesso, riducendo le emissioni inquinanti (con la diminuzione dei consumi e con lo sviluppo delle fonti rinnovabili), migliorando il comfort abitativo (termico, acustico, ottico, ecc.), promuovendo gli indirizzi di progettazione propri della bioclimatica e del risparmio idrico». A suo giudizio quali forme di incentivazione andrebbero sostenute a favore di una trasformazione ecosostenibile del patrimonio edilizio oggi esistente? F.B.: «Purtroppo ma anche comprensibilmente, il fattore limitante per incentivare una trasformazione ecosostenibile del patrimonio edilizio, penso in modo particolare alle abitazioni private, è l’aspetto fi-


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teniamo pertanto lo sforzo a livello delle autorità cantonali e comunali difficilmente migliorabile anche tenendo conto della possibilità dell’aumento della SUL (Superficie Utile Lorda) per standard CECE AB, Minergie-P ecc. È però una realtà che buona parte del parco immobiliare è costituito da “vecchi stabili” a reddito nei quali i proprietari, tendono a risanare energeticamente solo dove e quando si verificano delle problematiche dovute all’obsolescenza del manufatto e non intervengano sull’intero immobile con un risanamento completo, per una vera e propria riduzione del consumo energetico».

nanziario. Quindi i cospicui sussidi che sono messi a disposizione dagli enti pubblici sono probabilmente la miglior “locomotiva” per trainare la trasformazione degli edifici esistenti da “divoratori di energia fossile ed emettitori di inquinanti” a “costruzioni climatizzate ad energia zero o addirittura ad energia positiva (cioè produttori di energia)”. Ritengo inoltre che una spinta particolare debba essere dedicata allo sfruttamento delle superfici dei tetti per la posa di impianti solari (principalmente fotovoltaici). Questo per compensare il sempre maggior consumo elettrico dovuto agli apparecchi domestici ma anche agli impianti di produzione di caldo e freddo. In tal senso mi preme sottolineare che attualmente i consumi elettrici dovuti alla climatizzazione

estiva stanno soppiantando quelli dovuti al riscaldamento invernale e, a volte, la posa di un impianto fotovoltaico diventa un alibi per compensare i consumi causati da un nuovo impianto per la climatizzazione estiva e non un mezzo per produrre più energia “gratuitamente”». M.M.: «Nel 2020 sono stati stanziati circa 35 mio di franchi (senza contare le richieste non ancora elaborate) a livello cantonale ed è in previsione di continuare in questa direzione anche negli anni a venire. Sono inoltre disponibili anche incentivi a livello comunale per quanto riguarda il risanamento dell’involucro e degli impianti come pure per la certificazione CECE. Ri-

L.R.: «Questa è una domanda difficile. Nonostante gli incentivi statali possano coprire fino al 30% dell’investimento per il risanamento dell’edificio ed ogni anno vengano rinnovati i sussidi comunali, cantonali e federali ed inoltre sono pronti ad essere messi a disposizione del cittadino nuovi pacchetti, uno su tutti quello che nel 2021 dovrebbe arrivare inerente alla mobilità elettrica, come detto precedentemente, ogni anno solo un edificio su 100 viene risanato. Molto probabilmente c’è bisogno di una maggiore informazione e comunicazione sia verso i proprietari sia verso gli specialisti del settore. Alle volte, per carenza di informazione, nonostante siano già programmati degli interventi di miglioria dello stabile, non si prendono in considerazione i benefici che vanno dall’innalzamento del valore dell’immobile, alla possibilità di usufruire di incentivi, oltre che di diminuire anche le spese di gestione future. L’isolamento termico dell’involucro dell’edificio e la produzione di elettricità mediante pannelli solari per esempio, hanno un grandissimo impatto sui consumi e le spese dell’edificio. Con una buona progettazione e attingendo ai sussidi disponibili è possibile rientrare dell’investimento anTICINO WELCOME / MAR - MAG 2021

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che in molto meno di 10 anni. Oggi lo Stato mette a disposizioni fondi e un quadro normativo davvero molto interessanti sull’argomento energetico, ma parlando con i proprietari, questo aspetto è ancora avvolto nel mistero per la maggior parte di essi». G.M.: Se si considera che un terzo del consumo di energia utile in Svizzera è destinato al riscaldamento degli ambienti e, con una quota del 45%, quasi la metà delle emissioni di CO2 è dovuta al consumo di elettricità degli edifici. Il risanamento energetico degli immobili e la sostituzione dell’impianto di riscaldamento offrono spesso un doppio vantaggio: se l’edificio e gli impianti sono tecnologicamente all’avanguardia, di norma si riducono le spese per l’approvvigionamento di energia e la manutenzione. Allo stesso tempo si può beneficiare di incentivi pubblici. La Confederazione, i cantoni e i comuni sostengono infatti le opere di costruzione e risanamento rispettose dell’ambiente con diverse misure, soprattutto con l’obiettivo di ridurre le emissioni di CO2 dannose per il clima». In che misura le nuove promozioni immobiliari rispettano i requisiti indispensabili di risparmio energetico e rispetto dell’ambiente? F.B.: «Nell’ambito delle nuove costruzioni, le regolamentazioni attualmente in vigore e previste per il futuro risultano sufficientemente “severe” per imporre ai committenti delle scelte energeticamente interessanti e sostenibili ecologicamente. Ritengo tuttavia che le certificazioni energetiche (label energetici tipo Minergie) non siano ancora sufficientemente considerate dai promotori privati, mentre lo sono da parte degli enti pubblici, in quanto rese obbligatorie per legge».

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M.M.: «Dal nostro punto di vista, si è arrivati a dei soddisfacenti requisiti costruttivi per una riduzione dei consumi durante il periodo invernale, ma per le nuove edificazioni non si tiene sufficientemente conto dell’esigente abitative per quanto concerne il benessere termico estivo, seppur previsto dalle norme vigenti. Difatti, in molti casi, si sopperisce a lacune o scelte architettoniche con l’impiego di unità termoclimatiche (facciamo comunque osservare che il RUEn in qualche modo ne limita l’utilizzo), anziché pensare e progettare un edificio a 360° (per es. l’orientamento dei serramenti o lo studio di aggetti atti a proteggerli dall’irraggiamento diretto del sole durante le stagioni più calde)». L.R.: «Come detto inizialmente, le nuove promozioni immobiliari devono rispettare il RUEn (Regolamento sull’utilizzazione dell’energia), il quale prende in considerazione sia l’isolamento termico dell’involucro che la produzione di energia rinnovabile, da questa (già buona) base, é possibile alzare il livello con una certificazione Minergie o con un’etichetta energetica CECE di tipo “A”, etichettatura paragonabile a quella utilizzata per gli elettrodomestici o le autovetture, da “A” a “G”. In tale ottica, pur applicando i requisiti minimi, è possibile immettere sul mercato immobili che energeticamente arrivano a superare del 50% l’efficienza degli edifici costruiti prima del 2000 (dati Svizzera Energia). Oggi con una più attenta progettazione e applicazione dei parametri energetici è possibile perseguire quello che viene definito “nZEB” (near Zero Energy Building), traguardo che si prefigge la quasi totale autonomia energetica dell’edificio. In quest’ottica va citata la normativa svizzera definita RCP (Raggruppamento ai fini del Consumo Proprio), emanata nel 2018 tra i primi Paesi nel

Mondo, che consente ai proprietari di organizzarsi in Comunità Energetiche in grado di produrre, consumare e vendere energia, spingendo sulla leva di un decentramento energetico che oltre ad offrire benefici economici, consentirà uno straordinario accrescimento del livello di sensibilizzazione e consapevolezza da parte del cliente finale. Ormai il futuro di edifici energeticamente autosufficienti, economicamente interessanti ed integrati con la mobilità elettrica sta diventando realtà». G.M.: «Ritengo che attualmente sia pressoché impossibile avviare un processo di costruzione di un edificio senza prendere in considerazione tutti i criteri, le metodologie e le soluzioni che vanno nel senso del risparmio energetico e della responsabilità ambientale. In questo senso una grande attenzione va crescendo anche nei confronti dell’adozione di materiali sempre più performanti. Costruire in modo responsabile non implica solo gli aspetti pianificatori, architettonici e costruttivi. Anche la provenienza, la produzione, la lavorazione e il susseguente smaltimento dei materiali da costruzione impiegati condizionano l’ambiente, il clima e alla fine anche la qualità di vita. Il gesso, per esempio, è una delle poche risorse naturali che abbondano in Svizzera. Nelle cave della Rigips SA l’estrazione avviene secondo severe disposizioni federali e cantonali, nonché secondo piani approvati dalle autorità. Il gesso è, nel senso ecologico e biologico-costruttivo, il materiale da costruzione ideale. Non tossico, pH neutro e non infiammabile, assorbe l’umidità in esubero negli ambienti e la restituisce all’occorrenza. Siccome per il trasporto e la lavorazione dei sistemi di costruzione a secco di gesso si utilizza molto meno energia e acqua rispetto alla costruzione massiccia, l’ambiente viene ulteriormente rispettato».


ARCHITETTURA / EDILIZIA GREEN

GLI ASPETTI BIO-ECOLOGICI DEL GESSO Giuseppe Mussio, Responsabile Rigips regione Ticino, presenta un materiale con interessanti proprietà da sfruttare in una prospettiva di edilizia biosostenibile. La parola gesso viene associata alla scuola, ove è proprio questo elemento che ci veicola le informazioni che gli insegnanti trasmettono. L’universo “gesso”, però, non finisce qui: esso è, infatti, uno dei materiali più usati e diffusi nella vita quotidiana, tanto che si può definire la sua presenza discreta ma costante. Ma non tutti sanno che il 75% della produzione di gesso è assorbito dal mercato dei materiali da costruzione, e le sue prestazioni si estendono anche all’industria del cemento ai161244811813_215x138, TW (2021_02).pdf

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dove viene adoperato come ritardante. Un’applicazione affine si ha anche nella fabbricazione della ceramica, ove viene sfruttato per realizzare gli stampi. Tra le numerose applicazioni del gesso in edilizia, le lastre da costruzione completamente reinventate Rigips® Habito rendono oggi superflua ogni muratura. Infatti soddisfano senza problemi i severi requisiti di sicurezza, antincendio, insonorizzazione, resistenza meccanica e sostenibilità che in considerazione di un futuro inasprimento delle norme. Inoltre permettono massima flessibilità, sia nella configurazione della pianta e nella scelta delle superfici che nelle successive conversioni d’uso. In aggiunta sono molto più rapide da montare di una parete in muratura. 04.02.2021

Realizzate in gesso privo di sostanze nocive, inodore e con additivi naturali, esse assicurano inoltre un microclima interno gradevole e sicuro sotto l’aspetto bio-edile migliorando l’efficienza energetica. Rispetto alle costruzioni in muratura le lastre in gesso permettono altresì di ridurre notevolmente l’inquinamento ambientale e lo spreco di risorse. Da ultimo, gli scarti di lastre di gesso come pure gli intonaci di fondo in gesso possono essere raccolti e portati in appositi luoghi di smistamento. Questi prodotti di riciclaggio vengono poi reimmessi nei processi di produzione. Il gesso recuperato viene riutilizzato al 100% negli stabilimenti per la produzione di nuove lastre di gesso.

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ARCHITETTURA / WETAG CONSULTING 01

POSIZIONE, PREZZO, QUALITÀ: COS’È PRIORITARIO?

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osizione. Posizione. Posizione. Abbiamo sentito ripetere quest’espressione moltissime volte per indicare i fattori più importati da tenere in considerazione quando si acquista una casa. Potremmo definirlo una sorta di Sacro Graal, che tutti gli agenti immobiliari devono rispettare quando sono impegnati a cercare le migliori proprietà da proporre ai loro clienti. Un’affermazione che ci sembra essere molto sensata. Tuttavia, poiché oggi non vogliamo proporvi unicamente ovvie considerazioni, permetteteci di presentarvi alcuni argomenti per contestare questo punto: ossia la posizione. Pensiamo alla triade: Prezzo. Prezzo. Prezzo! Suona anch’essa come principale considerazione per gli acquirenti alla ri-

UELI SCHNORF E PHILIPP PETER, TITOLARI DI WETAG CONSULTING, RACCONTANO - ATTRAVERSO UNA DIVERTENTE LETTERA AI POTENZIALI ACQUIRENTI - QUALI SONO I CRITERI DA TENERE SEMPRE IN CONSIDERAZIONE QUANDO SI SCEGLIE UNA CASA.

Da sinistra: Philipp Peter e Ueli Schnorf

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cerca di una casa. Oppure: Qualità. Qualità. Qualità! Anche in questo caso potrebbe essere il criterio numero uno su cui concentrarsi per facilitare la ricerca della casa dei propri sogni. La realtà è che ognuno dei tre riferimenti: posizione, prezzo e qualità è un parametro importante e va considerato nell’iter di selezione. In poche parole il successo di una ricerca è quello di poter proporre al proprio cliente la casa migliore dal punto di vista costruttivo, al miglior prezzo e nella migliore posizione. Peccato però che il pacchetto ideale non esista e chi si fa influenzare da troppe richieste rischia di perdere di vista i criteri più importanti. Quindi, ad un certo punto, sarà necessario scendere a compromessi e stabilire le proprie priorità. Queste priorità


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si basano sulle esigenze, sui desideri e sui mezzi a disposizione di ciascuno. Ogni persona collocherà gli elementi posizione, prezzo e qualità nell’ordine che più le aggrada. È importate ascoltare le argomentazioni del vostro agente immobiliare, ma attenzione, non lasciate che quest’ultimo vi convinca a seguire le regole standard, perché non ci sono regole, è l’acquirente che le detta. In generale, ciò che va collocato al primo posto, sia che si tratti di posizione, prezzo o qualità, dipende dalle finanze disponibili in relazione al mercato immobiliare e all’inventario regionale degli oggetti in vendita. Più soldi si hanno, maggiori sono le opportunità di scelta e più facile è avvicinarsi a un magico win-win-win. Ma facciamo un esempio concreto. Supponete di avere un budget mediobasso e di avere una famiglia con due figli. Ovviamente vi piacerebbe vivere dove vive il vostro capo e godervi i comfort di una casa progettata e realizzata da un architetto rinomato. Detto così sembra un sogno, anche perché rischiate che il vostro agente immobiliare vi offra una piccola e squallida abitazione, in una buona posizione… unicamente per rispettare due criteri: posizione e prezzo. Ma che ne è della qualità? Dove starà la tua famiglia, dove troverai il tuo comfort, i tuoi spazi. Probabilmente a molti è capitato di vivere una situazione del genere, magari quando avete affittato il primo appartamento, il sogno era quello di avere un posto in una zona rinomata, come ad esempio nell’elegante Seefeld zurighese o nel centro storico, poi invece si è finiti a scegliere un appartamento in periferia, ma con spazi vivibili e piacevoli. In questo caso, come spesso capita, è stato il prezzo il fattore determinante! In poche parole non avevate scelta perché il budget a disposizione era definito a priori. Capirete dunque che i criteri di scelta sono direttamente influenzati da quanti soldi abbiamo a disposizione: più liquidità abbiamo a disposizio-

ne più possiamo pretendere e più facile sarà soddisfare le nostre richieste riguardanti posizione e qualità. Questo non significa che i soldi vadano sprecati, bisogna sempre pensare di fare un investimento sicuro e duraturo nel tempo. Per questa ragione la posizione diventa un fattore estremamente importante, anzi basilare. La miglior posizione di un’abitazione è assicurata da un ambiente circostante migliore, da una vista strepitosa, più privacy, scuole prestigiose e molto altro, mentre la qualità, a certi livelli, deve essere un must. Difficile definire con esattezza dove si situa la fascia alta, anche perché in alcune regioni un investimento di 2 milioni di franchi può già indicare un’abitazione elitaria, mentre in altre zone si parte dai 3,5 milioni di franchi. In ogni caso ricordate che, indipendentemente da dove vi trovate, dovete sempre esigere qualità nel design, nei materiali, nella costruzione, oltre ad una posizione esclusiva. Purtroppo abbiamo visto molte volte grandi case multimilionarie invecchiare sul mercato, con una posizione eccezionale (che le situava nella fascia di prezzo alto), ma che non rispettavano i criteri qualità e prezzo. La casa che sceglierete dovrà essere capace di rendervi orgogliosi, di rispecchiare i vo-

stri gusti, il vostro stile di vita, di farvi sentire appagati e felici. Se siete alla ricerca della vostra casa dei sogni iniziate subito a pensare in che ordine mettereste posizione, prezzo e qualità e non perdeteli mai di vista! 01 Bissone, rif. 88726, CHF 10’500'000 02 Muralto, rif. 88740, CHF 2’760’000 03 Paradiso, rif. LUG1006, CHF 4’800'000

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ARCHITETTURA / FONTANA SOTHEBY’S

CERCASI TERRENO EDIFICABILE

DEBORAH FONTANA, SALES DIRECTOR DI FONTANA SOTHEBY’S, ESAMINA LE PROBLEMATICHE DA AFFRONTARE PER PORTARE A TERMINE UN’EDIFICAZIONE, A COMINCIARE DALLA SCELTA E DALL’ACQUISTO DEI TERRENI.

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ostruire la propria casa dei sogni è ancora in voga? «Senz’altro, da sempre poter costruire la propria casa su misura, assecondando i desideri e le esigenze personali resta la soluzione preferita. Non solo si può dare sfogo alla fantasia architettonica ma anche organizzare gli spazi abitativi in maniera ottimale. Purtroppo però costruire oggi la propria casa resta comunque un sogno. Non facile da realizzare».


ARCHITETTURA / FONTANA SOTHEBY’S

Per quale motivo? «Principalmente occorre confrontarsi con la scarsità di terreni edificabili nelle vicinanze dei centri urbani. La forte domanda condiziona i prezzi dei terreni che spesso sono proibitivi, incidendo in modo considerevole sul costo complessivo dell’edificazione. Inoltre su alcuni terreni si trovano costruzioni già esistenti in stato precario che implicano lavori di demolizione e di smaltimento, e anche questi ultimi vanno a gravare ulteriormente sull’acquirente. Un’altra tematica da non sottovalutare, per chi desidera costruire la propria casa di vacanza, sono i vincoli imposti dalla recente Lex-Weber che limita l’edificazione di residenze secondarie». Di che prezzi parliamo? «Ad esempio trovare oggi un terreno al di sotto dei CHF 1000 al metro quadrato nelle vicinanze di centri urbani diventa veramente difficile. Le richieste sono principalmente incentrate su terreni in una buona posizione sia di soleggiamento che panoramico, e ancor meglio se con vista lago. Anche l’accesso e la vicinanza ai servizi sono di primaria importanza. Ci sono delle ubicazioni particolarmente richieste, anche per le ville, che comprendono il Monte Brè, la Collina d’Oro, la Collina di Porza e Morcote. In queste località i prezzi si situano tra i CHF 1500 e i CHF 2500 al metro quadrato. Trovare un fondo direttamente a lago oggi è quasi impossibile ed il costo in questo segmento supera facilmente i CHF 2500 al metro quadrato».

Dall’acquisto del terreno alla realizzazione della casa, con cosa occorre confrontarsi? «Realizzato il progetto ed inoltrato all’autorità cantonale e comunale, trascorre un periodi di circa tre mesi sempre se non prolungato da possibili ricorsi da parte dei confinanti, oggi sempre più frequenti. Superato questo iter si dovrà affrontare l’edificazione dell’immobile che senza intoppi in media dura circa 18 mesi. Dunque dal momento dell’acquisto all’entrata in casa si devono calcolare circa due anni. I tempi incerti e l’incognita di possibili ricorsi, spesso fanno optare per l’acquisto di case già esistenti per le quali nella mag-

gior parte dei casi sono necessarie delle opere di ristrutturazione che comportano tempi più ridotti, ma che per contro vincolano l’aspetto architettonico e richiedono una maggiore flessibilità nell’organizzazione degli spazi interni». Che consiglio dare dunque a chi desidera acquistare un terreno? «Orientarsi su terreni che non vanno ad incidere in modo sproporzionato sull’edificazione e rivolgersi preferibilmente al mediatore di fiducia che potrà dare da subito un quadro completo sull’edificabilità, sui vincoli pianificatori, sui diritti ed oneri nonché sul corretto prezzo di mercato».

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DOSSIER FONDAZIONI / ELISA BORTOLUZZI DUBACH E CHIARA TINONIN

LA RELAZIONE GENEROSA IL MECENATISMO E LA FILANTROPIA DEL FUTURO GUARDANO ALL’ETICA, AL BENESSERE E ALLA STRATEGIA.

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l nuovo libro di Elisa Bortoluzzi Dubach e Chiara Tinonin “La relazione generosa”. Guida alla collaborazione con filantropi e mecenati (FrancoAngeli, 2020) mette a sistema le traiettorie evolutive del settore del mecenatismo e, più in generale, della filantropia con i nuovi approcci di studio alla generosità e con le più avanzate tecniche di fundraising. Il risultato è un manuale agile per chi

Elisa Bortoluzzi Dubach è docente universitario e consulente di relazioni pubbliche, sponsorizzazioni e fondazioni. È autrice di articoli e libri sullo sponsoring, le fondazioni erogative, il mecenatismo (www.elisabortoluzzi.com).

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cerca una donazione filantropica, ma anche un saggio ricco di spunti utili per i mecenati e per chi desidera impegnarsi di più nel sostenere la crescita della propria comunità. Abbiamo incontrato le autrici per esplorare più da vicino un ambito – il donare agli altri e impegnarsi per uno sviluppo sostenibile – che è sempre più centrale nelle agende dei paesi avanzati. 01 La relazione generosa. Guida alla collaborazione con filantropi e mecenati FrancoAngeli, 2020 pp.185, 23 euro

Chiara Tinonin è consulente di fondazioni e organizzazioni non profit in ambito artistico e culturale. Scrive di mecenatismo, filantropia e politiche culturali.


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E. Bortoluzzi Dubach, C. Tinonin La relazione generosa

Elisa Bortoluzzi Dubach Chiara Tinonin

La relazione generosa Guida alla collaborazione con filantropi e mecenati

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DOSSIER FONDAZIONI / ELISA BORTOLUZZI DUBACH E CHIARA TINONIN

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n che modo il mecenatismo è cambiato negli ultimi anni? EBD: «A partire dagli anni ’90 del secolo scorso il mecenatismo e la filantropia hanno avviato un percorso di grande espansione, sia in termini dimensionali (attori e investimenti) sia processuali (strategie e modelli di intervento). Questo è stato reso possibile da alcuni fattori chiave come la rivoluzione di internet, il cui flusso continuo di informazioni ha reso possibile una sensibilizzazione in tempo reale sui problemi e i progetti di utilità sociale, la globalizzazione con le sue grandi sfide e la creazione di reti internazionali, la digitalizzazione e le migliori e più veloci modalità di connessione di mecenati e filantropi con i progetti e le organizzazioni che decidono di sostenere. Oggi si aggiungono altri due elementi significativi: il massiccio trasferimento di ricchezza alle giovani generazioni che apre a nuove mentalità e quindi al cambiamento, e la straordinaria competenza strategica con cui vengono gestiti gli investimenti filantropici che si muovono verso l’applicazione di modelli sistemici, basati cioè sulla concertazione di tutti gli attori sociali per lavorare direttamente alle radici dei problemi». In questo contesto, perché scrivere un libro come La relazione generosa? CT: «All’interno del grande universo della filantropia, in questo libro ci siamo interessate alla dimensione del mecenatismo, a quella particolare condizione di generosità in cui un individuo sceglie di investire denaro, tempo o reti, a favore di un artista o di un’organizzazione non profit per favorirne l’andamento o per portare a termine progetti specifici. Oggi si avverte ancora troppa separazione tra chi cerca una donazione filantropica e chi dona, e questo è dovuto soprattutto a una serie di falsi miti, o modi rigidi di guardare al mecenatismo, che il libro scardina uno a uno. Secondo il nostro punto di vista, per esempio, l’artista che necessita di sostegno per realizzare la sua ope-

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ra non sta chiedendo, ma sta soprattutto offrendo qualcosa al mecenate che, a sua volta, partecipa alla realizzazione del progetto non solo elargendo denaro, ma vivendo un’esperienza che potrà addirittura cambiarlo per sempre. L’atto generoso è estremamente generativo e gli studi sul cervello ci dicono che innalza i livelli di benessere fisiologico di chi lo esercita». Nel libro citate neuroscienze, psicologia, economia comportamentale: sguardi diversi sullo stesso tema, quello della generosità. Perché secondo lei è necessario aprirsi a una visione pluridisciplinare della filantropia? CT: «ll mecenatismo abbraccia contemporaneamente più dimensioni: è un fatto individuale, legato a valori e desideri personali, ed è anche un’attività con importanti risvolti sociali ed economici. Poter studiare il mecenatismo intersecando scienze diverse è una grande conquista e per noi è stato straordinario osservare quanto il tema della generosità sia oggi centrale in moltissime discipline, che spesso lavorano congiuntamente per esplorare scenari ancora ignoti. Ne è esempio lo studio dell’economista Ernst Fehr, dell’Università di Zurigo, che nella postfazione del libro spiega come ha condotto la sua importante ricerca sulla correlazione tra mecenatismo e felicità insieme a un team internazionale di neuroscienziati». In quali aree mecenati e filantropi sono particolarmente attivi a livello nazionale e internazionale? EBD: «Secondo l’ultimo rapporto “Spotlight on Major Giving” di Wealth-X, a livello globale l’istruzione è il settore più importante, con circa un terzo dei filantropi che investono almeno una parte dei loro impegni filantropici in programmi come borse di studio, corsi di sensibilizzazione e formazione degli insegnanti. Altre aree privilegiate sono la salute e i servizi sociali,

come la lotta alla povertà e alle disuguaglianze, l’arte e la cultura». Come si individua un mecenate? EBD: «Muovendosi in due direzioni: una esterna, analizzando e valutando gli studi di settore, le riviste specializzate, le banche dati per individuare chi esattamente può sviluppare un interesse reale per la tematica; e una interna, cioè conoscendo perfettamente gli aspetti distintivi della propria organizzazione o progetto. Troppo spesso si dà per scontata quest’ultima dimensione e ci si trova impreparati nel comunicare efficacemente visione e obiettivi di cosa si intende realizzare. Solo maturando la consapevolezza di ciò che si può offrire in una “relazione generosa”, si riuscirà a incontrare il mecenate giusto con cui collaborare. Questo è un ulteriore passo fondamentale e, in un certo senso, rivoluzionario del libro: trasformare un mecenate non solo in un “donatore”, ma soprattutto in un “ricevente”». Quando la relazione con un mecenate si trasforma in una “relazione generosa”? CT: «Quando oltre alla bidirezionalità del legame tra beneficiario e mecenate si inserisce anche un terzo soggetto, cioè la comunità o porzioni di comunità che beneficiano della realizzazione del progetto. Le organizzazioni non profit, così come gli artisti e gli stessi mecenati, sono sempre più attente all’utilità sociale del loro agire e all’impatto positivo che possono esercitare sui loro territori. Lo sviluppo e la condivisione di obiettivi chiari e di una visione comune tra beneficiario e mecenate può favorire il cambiamento sostenibile e per questo realizzarsi, appunto, come una relazione generosa». La pandemia di Covid-19 è in questo senso una grande sfida che ci riguarda tutti. Come hanno reagito i mecenati all’emergenza sanitaria?


DOSSIER FONDAZIONI / ELISA BORTOLUZZI DUBACH E CHIARA TINONIN

EBD: «Filantropi e mecenati si sono fortemente impegnati fin dall’inizio della diffusione del virus e in diversi modi. Nell’estate 2020 si registrava già un significativo aumento delle donazioni filantropiche. Lo studio Billionaires Insights “Riding the Storm” condotto da PwC e UBS ha rilevato che un buon quinto dei miliardari del mondo si stava impegnando di più nel settore della salute. Le cifre complessive vedevano a luglio 2020 circa 209 miliardari donare un totale di 7,2 miliardi di dollari. Secondo lo stesso studio 5,5 miliardi di dollari sono stati donati a fondazioni, ospedali o altre organizzazioni in ambito sanitario. Ventiquattro filantropi hanno concentrato le loro attività sulla produzione di dispositivi di protezione individuale o ventilatori polmonari, investendo un totale di 1,4 miliardi di dollari. Altri 10 mecenati hanno sostenuto principal-

mente iniziative specifiche, come la costruzione di impianti per la produzione di vaccini. Altre donazioni hanno assunto la forma di contributi non monetari, come la fornitura di dispositivi di protezione individuale». Qual è la vostra visione per il futuro, come si svilupperà la scena filantropica nei prossimi mesi? EBD-CT: «La crisi che seguirà l’emergenza sanitaria ci imporrà un cambiamento che si manifesti non solo in nuovi comportamenti, pratiche e procedure, ma anche in un radicale rinnovamento di mentalità. In questo senso, ci chiediamo se non sia arrivato il momento di mettere in discussione le cause dei problemi in modo più radicale. Perché, ad esempio, il sistema del settore culturale e delle industrie creative e culturali si è rivelato così fragile durante la pandemia? Sarebbe sensato, ad esempio, metter-

si al lavoro concertando operatori e professionisti del settore, con attori pubblici e mecenati per studiare interventi mirati per risolvere i problemi invece di finanziare solo singoli progetti e misure per contrastare l’emergenza? La crisi ci darà l’opportunità di costruire una nuova visione per la cultura e per la sua sostenibilità finanziaria, proprio grazie alla filantropia e al nuovo modo di guardare alla generosità come potente alleato per la nostra salute».


DOSSIER FONDAZIONI / CHRISTIAN BÜHRLE

PROMUOVERE L’ARTE IN TUTTE LE SUE FORME

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hristian Bührle, quando ha capito che l’arte avrebbe avuto un ruolo centrale nella sua vita? «Non è stato un evento specifico, piuttosto un processo graduale che è durato per anni. Fin da piccolo ho amato la pittura, l’architettura, la musica classica e il teatro, e questo mio interesse non ha potuto che intensificarsi nel tempo. Ancora oggi ricordo il viaggio per il conseguimento del diploma lungo la cosiddetta “Strada Romantica” e il mio primo incontro con le opere di Tilman Riemenschneider, Balthasar Neumann e Giambattista Tiepolo. Tre soggiorni di un mese a Firenze e Roma sono stati particolarmente formativi, nel corso dei quali ho potuto conoscere più da vicino la storia e le opere d’arte di queste due immortali città d’arte».

Ph: © Alexandre Zveiger, Lugano

LA FILANTROPIA PER L’ARTE E LA CULTURA IN TEMPI DI CORONAVIRUS: L’ESPERIENZA DI CHRISTIAN BÜHRLE*, PRESIDENTE DELLA FONDAZIONE GOETHE PER L’ARTE E LA SCIENZA. DI ELISA BORTOLUZZI DUBACH

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Quando si è avvicinato, invece, alla filantropia? «Sono arrivato alla filantropia, che intendo più nel senso illuminista che in quello caritatevole, essenzialmente attraverso i miei molti anni di lavoro per la Fondazione Goethe per l’Arte e la Scienza, prima come consigliere, poi come segretario e presidente». Ancora oggi presiede la Fondazione Goethe: quali sono le pietre miliari nella storia della fondazione e qual è il suo scopo? «La Fondazione Goethe prende il nome da Johann Wolfgang von Goethe, che fu un "homo universalis" nel senso rinascimentale del termine: non solo poeta, ma anche naturalista, viaggiatore, disegnatore, romanziere,

regista teatrale e statista. Le sue diverse iniziative orientano anche la scelta delle attività della Fondazione Goethe. Lo scopo della fondazione è definito in termini molto generali nello Statuto: promuovere l’arte e sostenere gli sforzi scientifici nel territorio della Confederazione Svizzera. Una pietra miliare nella sua storia è stato certamente il restauro completo della Certosa di Ittingen, nel Canton Turgovia. Per portare a termine questo progetto la Fondazione Goethe ha approvato un contributo molto elevato rispetto ai suoi standard finanziari. Tra gli altri progetti significativi cofinanziati dalla Fondazione, ma che non definirei pietre miliari, citerei lo studio cronologico-scientifico in otto volumi “Goethes Leben von Tag zu Tag”, il restauro della Collegiata di Beromünster con le sue case canoniche, le tournée della Orchestra Sinfonica Svizzera della Gioventù, la Gstaad Conducting Academy, i cataloghi ragionati delle opere di Cuno Amiet e Félix Vallotton e la pubblicazione della corrispondenza completa di Ferdinand Hodler». Quali progetti sostiene la Fondazione Goethe in Ticino? «La Fondazione Goethe è attiva nelle seguenti aree: letteratura e saggistica scientifica, teatro, musica, conservazione dei monumenti e ricerca scientifica, anche se in quest’ultimo caso preferiamo essere coinvolti in programmi di tutela e promozione delle specie di fauna e flora. La Fondazione riceve in media circa 175 richieste di progetti all’anno, di cui 12-15 vengono approvati, preferibilmente quelli che possono realizzare un impatto positivo e sostenibile.


DOSSIER FONDAZIONI / CHRISTIAN BÜHRLE

Vivendo a Lugano da diversi anni, il supporto di progetti in Ticino mi sta molto a cuore. Non voglio tuttavia suscitare l’impressione che preferiamo un Cantone all’altro: tutti sono trattati allo stesso modo. In Ticino, la Fondazione Goethe ha co-finanziato negli ultimi anni diversi progetti di restauro, soprattutto in Valle Maggia. Inoltre, abbiamo conferito negli anni ripetutamente borse di studio a giovani musicisti del Conservatorio della Svizzera Italiana. Nel 2020, la Fondazione Goethe ha stanziato un grande contributo per un concerto dell’Orchestra della Svizzera Italiana (OSI), che purtroppo non ha potuto aver luogo a causa del Coronavirus». Che cosa pensa della filantropia strategica? Che cosa dovrebbero fare donatori e mecenati per diventare motori dell’innovazione nelle arti? «Adottare una mentalità strategica permette di raggiungere determinati obiettivi, ma questo può essere applicato alle fondazioni solo in misura limitata. Dotarsi di linee guida chiare aiuta a “separare il grano dalla pula” quando si tratta di valutare le richieste di contributo: di norma, il nostro lavoro resta un’attività reattiva, quella cioè di selezionare quelle richieste che corrispondono allo scopo della fondazione. Per diventare un motore di innovazione, tuttavia, un approccio proattivo sarebbe un prerequisito ai miei occhi indispensabile. La maggior parte delle fondazioni - compresa la Fondazione Goethe - non sono probabilmente in grado di agire in questo modo a causa delle disposizioni dei loro statuti. I mecenati che non si avvalgono di una fondazione sono avvantaggiati da questo punto di vista, perché non sono obbligati a rendere conto all’Autorità federale di vigilanza sulle fondazioni».

Spesso le speranze per la soluzione di molti problemi poggiano sui mecenati. Che cosa dovrebbe fare il settore pubblico per incoraggiare più individui ad attivarsi e divenire mecenati? «Da quasi un anno ormai, la pandemia di Covid-19 ha impedito la maggior parte degli eventi in cui molte persone si riuniscono in uno spazio ristretto. Mi riferisco in particolare alle arti performative, come concerti e spettacoli teatrali. Nel 2020, quindi, la Fondazione Goethe si è concentrata soprattutto sulle pubblicazioni e sui progetti scientifici, la cui realizzazione è stata garantita anche durante il Coronavirus. Non appena sarà possibile eseguire concerti e spettacoli dal vivo senza restrizioni, la nostra fondazione sarà di nuovo - e sempre più - coinvolta nel sostegno di questi ultimi. Una volta superata la pandemia, ci sarà probabilmente un vero e proprio diluvio di nuovi progetti. Fondazioni e mecenati vivranno la sfida di fare la scelta “giusta” tra le molte richieste». Secondo il suo punto di vista di filantropo, quale impatto ha avuto la pandemia sul mondo dell’arte e della cultura? «Il problema è che la spesa pubblica è in costante aumento, soprattutto nel settore sociale. Gli aumenti conseguenti delle necessità finanziarie dello Stato e dei comuni comportano che i cittadini siano sempre più percepiti come semplici contribuenti. Ai miei occhi si tratta di uno sviluppo disastroso e controproducente. Il settore pubblico dovrebbe tornare a vedere il cittadino come un partner che, se deve essere incoraggiato a divenire un mecenate delle arti, deve essere incentivato, per esempio grazie a sgravi fiscali. Purtroppo il settore pubblico è spesso miope in questo senso, incapace di riconoscere che una concessione a potenziali mecenati porterebbe a rendimenti di gran lunga maggiori nel lungo termine».

Qual è il suo messaggio diretto ai mecenati per affrontare meglio la crisi? «La pandemia ci ha costretto a rinunciare a molte cose, ma - nonostante tutta la sofferenza - ci ha anche portato a guardare più da vicino e a mettere in discussione le nostre azioni precedenti, a pensare a che cosa potremmo cambiare e migliorare rispetto a quanto fatto finora. Il fatto che noi filantropi possiamo contribuire a superare la crisi è una questione che vorrei lasciare aperta. Come presidente della Fondazione Goethe per le Arti e le Scienze, tuttavia, sono consapevole che, una volta superata la crisi, dovremo impegnarci più che mai nella cura e nella conservazione del ricco e vario patrimonio culturale europeo. La pandemia e i suoi effetti sulla vita culturale (musei, sale da concerto e teatri chiusi) hanno reso evidente che questa è in pericolo e ha bisogno di sostegno».

*Christian Bührle ha studiato storia dell’arte e archeologia classica all’Università di Zurigo, laureandosi con una tesi dal titolo “Die Zürcher Richard-Wagner-Bühne”. Dal 1989 al 1998 ha lavorato all’Istituto svizzero di storia dell’arte; dal 1997 al 2002 è stato curatore della collezione Emil Bührle. Dal 1994 è direttore della Fondazione Goethe per l’Arte e la Scienza. Nel 2013 è curatore della mostra “Valchirie su Zurigo - 150 anni di spettacoli wagneriani a Zurigo” al Kunsthaus Zürich. Nel 2020 è stato pubblicato il volume “Prachtgemäuer - Wagner-Orte in Zürich, Luzern, Tribschen und Venedig”, di cui è co-autore. Attualmente si sta dedicando a un grande libro sugli architetti ticinesi a Roma (Domenico Fontana, Carlo Maderno, Francesco Borromini).

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DOSSIER FONDAZIONI / SUZANNE SCHENK

SOSTENERE I PROGETTI CON SPIRITO IMPRENDITORIALE INTERVISTA ALLA DR.SSA SUZANNE SCHENK, VICE-DIRETTRICE DELLA FONDAZIONE ERNST GÖHNER.

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ei ha avuto una brillante carriera professionale. Vuole raccontare quali sono state le tappe più importanti? «Ho trascorso i primi anni di vita negli Stati Uniti con i miei genitori e mio

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fratello maggiore. Ricordo che già all’età di 4 anni iniziai a suonare il violino e da allora mi è rimasto sempre un grande amore per la musica classica. Dopo aver frequentato il liceo a Zurigo ho poi intrapreso studi di Diritto all’Università di San Gallo (HSG), conclusi nel 1991 con un dottorato. Mentre stavo ancora completando il mio dottorato, mi è stata offerta l’opportunità di entrare nell’ufficio legale di Bank Leu a Zurigo, dove ho trascorso complessivamente 10 anni istruttivi ed entusiasmanti come avvocato. Successivamente sono entrata nell’ufficio legale del Credit Suisse. Durante questo periodo sono nati i miei due figli e ho avuto la fortuna che entrambi gli istituti bancari fossero aperti a sostenere le giovani madri, in modo da potermi occupare die figli e curare al tempo stesso la mia carriera professionale. Nel 2001 mi è stato chiesto di entrare a far parte della Fondazione Ernst Göhner per rafforzare il settore della erogazione fondi e, in particolare, per sviluppare l’area sociale, ambientale, educativa e scientifica della fondazione. Qualche anno fa sono stata infine nominata vicedirettore generale della fondazione». La Fondazione Ernst Göhner è una delle più importanti della Svizzera. Com`è nata e qual’è il suo scopo statutario? «La Fondazione Ernst Göhner è stata istituita nel 1957 dall’imprenditore zurighese Ernst Göhner e vanta dun-

que una lunga tradizione. È una fondazione filantropica che sostiene progetti nei settori della cultura, dell’ambiente, degli affari sociali, dell’istruzione e della scienza. Definisce il suo scopo come fondazione aziendale, di sviluppo e familiare. Negli anni ha sostenuto oltre 30.000 progetti di pubblica utilità e distribuito oltre 610 milioni di franchi svizzeri. Secondo lo statuto il patrimonio della fondazione deve essere gestito secondo principi imprenditoriali e attraverso iniziative imprenditoriali. Dagli scopi statutari si evince dunque una distinzione fondamentale tra attività imprenditoriali e caritative. Di conseguenza, il patrimonio viene investito in modo ampiamente diversificato in partecipazioni societarie, immobili e investimenti finanziari, il che ha spinto la fondazione undici anni fa - in considerazione delle sue dimensioni - a dotarsi di una struttura adeguata anche alle sue due controllate al 100% EGS Beteiligungen AG (partecipazioni societarie ad eccezione di DSV Panalpina A/S, che è detenuta direttamente dalla fondazione) e Seewarte Holding AG (investimenti immobiliari)». Qual è la strategia attuale della Fondazione e in quali settori è attiva? «Nel rispetto del proprio scopo statutario, la fondazione è attiva ad ampio raggio in tutta la Svizzera e promuove la pluralità e la diversificazione, il che si riflette non solo nella gamma dei temi sostenuti - cultura, affari sociali, ambiente, istruzione e scienza - ma anche nella diversa entità dei contributi versati. Le singole aree tematiche sono a loro volta suddivise in diverse subaree. Nel 2020 sono pervenute quasi 2.800 richieste di contributo, la maggior parte delle quali nel settore cultura. Circa il 50% delle domande trattate sono state approvate. La nostra fondazione è attiva in tutta la Svizzera, tuttavia vengono presi in considerazione anche progetti selezionati all’estero e


DOSSIER FONDAZIONI / SUZANNE SCHENK

di cui sia dimostrato il legame con la Svizzera o con l’attività imprenditoriale della fondazione. La Fondazione Ernst Göhner promuove inoltre anche progetti particolarmente innovativi, creativi e non convenzionali, di carattere pionieristico o sperimentale, che rispondono ai cambiamenti e alle nuove esigenze della società, dove il successo non è garantito o immediatamente prevedibile e che quindi hanno difficoltà ad ottenere finanziamenti. Uno di questi è “Venture Kick” per promuovere il trasferimento dell’innovazione e l’imprenditorialità giovanile nelle università svizzere. Sono membro del consiglio strategico di “Venture Kick” da diversi anni e sono orgogliosa di come questa iniziativa si sia sviluppata in modo eccellente». Quali criteri utilizzate per selezionare i progetti da sostenere?

«La fondazione opera fondamentalmente sostenendo progetti, sia sulla base di richieste di terzi, sia sulla base di una propria valutazione dei settori di attività più idonei. Può anche avviare e sviluppare progetti e realizzarli in collaborazione con altre organizzazioni che perseguono obiettivi simili, ma è attiva come fondazione operativa solo in casi eccezionali. I criteri per il finanziamento delle attività sono la qualità, l’efficacia, la sostenibilità, l’innovazione e l’indipendenza, nonché l’attenzione alle esigenze della società civile». Quali progetti avete sostenuto in Ticino negli ultimi anni? «Siamo molto attivi in Ticino e abbiamo sostenuto una molteplicità di progetti che spaziano dalla cultura al sociale anche se indubbiamente il sostegno alla cultura è stato predominante

(vedi box). Abbiamo ovviamente seguito con particolare attenzione tutte le vicende e i progetti legati al Covid 19». Che cosa consiglia alle istituzioni culturali e sociali che vogliono lavorare con la Fondazione Göhner? «Per collaborare in maniera efficiente con la nostra fondazione raccomando innazitutto un’attenta verifica di tutte le informazioni presenti nella homepage, in particolare la lista degli ambiti e dei progetti che non sosteniamo. In caso di dubbi o interrogativi, suggerisco di fare una telefonata per accertarsi. All’atto dell’inoltro della richiesta formale di contributo, è importante verificare che la descrizione del progetto e gli altri documenti siano il più possibile completi e comprensibili. Inoltre occorre dotarsi di pazienza. I nostri uffici esaminano ogni richiesta in entrata e per questo ci vuole tempo per poter rispondere».

ALCUNI PROGETTI SOSTENUTI DALLA FONDAZIONE ERNST GÖHNER IN TICINO Area Cultura • Locarno Film Festival (Accademia e campo base). • Diverse produzioni di documentari, in particolare quelle di Ventura Film. • Orchestra della Svizzera Italiana (programmi di educazione musicale). • LuganoMusica (serie di concerti con musicisti svizzeri). • Festival Ticino Musica (concerti estivi in tutto il Cantone Ticino). • Casa della Letteratura per la Svizzera Italiana, Lugano. • Restauro della chiesa di San Lorenzo Martire (1735-1741) a Ligornetto. • Trasformazione della proprietà di Càsoro a Lugano in un centro di produzione e di incontro per il teatro. • Festival “La Via Lattea”, per lo più nella regione di Lugano.

• Museo Vincenzo Vela, Lugano: programma di sostegno in occasione del 200° anniversario della nascita dello scultore ticinese (1820-1891); mostra e catalogo “Julian Charrière. Verso nessun polo terrestre”, MASI Lugano, 27.10.2019-14.3.2020. • “CaronAntica, Festival di Musica Antica a Carona” (7 concerti), sedi varie, autunno 2020-primavera 2021). • Ristrutturazione completa della casa degli artisti „Casa Sciaredo“ (1932), Barbengo-Lugano, 2015-2023. Area Ambiente • Collaborazione con la Patenschaft Berggeimeinden: Nuova scuola elementare a Novaggio. • In collaborazione con il Fondo

Paesaggio Svizzero: Patriziato di Prato, interventi di valorizzazione del paesaggio in Val di Prato. • Comune di Serravalle, interventi di restauro su beni culturali di valore storico come i muretti a secco e interventi di valorizzazione paesaggistica nella Val Patriziato di Giumaglio, interventi di riqualificazione paesaggistica sul territorio del comune. Area Sociale • Fondazione Provvida Madre, nuovo edificio con ulteriori spazi residenziali per adulti con gravi disabilità fisiche e mentali. • Fondazione Casa Marta, trasformazione di un edificio storico in un rifugio per i senzatetto di Bellinzona.

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DOSSIER FONDAZIONI / KAY HORSCH

LE NUOVE FRONTIERE DELLA MEDICINA RIGENERATIVA

L INTERVISTA AL DR. KAY HORSCH* DIRETTORE DELLA ON FOUNDATION.

*Kay Horsch, originariamente ricercatore nell’ambito del cancro e dell’osteoporosi, ha deciso 15 anni fa di dedicarsi alla medicina rigenerativa e alla filantropa. Una decisione questa che si basava sul suo credo nel networking e nelle partnership strategiche come parte integrante dei processi di innovazione. Il suo motto infatti è «Innovation happens where people think different».

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ei è il direttore della ON Foundation, che si occupa di medicina rigenerativa. Di che cosa si tratta? «La medicina rigenerativa è un’area sempre più importante della medicina che mira a ripristinare i tessuti e gli organi danneggiati stimolando e sostenendo i meccanismi di riparazione del corpo. I tessuti o gli organi che in precedenza erano ritenuti irreparabili possono così guarire in modo funzionale e, se possibile, essere riportati al loro stato originale. Nel campo dell’ortopedia, per esempio, la cartilagine articolare danneggiata o i dischi intervertebrali vengono ricostruiti invece di sostituire l’articolazione con una protesi di titanio o irrigidire la colonna vertebrale. In questo possiamo parlare di “ortogenesi”. “ON” nel nostro nome sta appunto per Orthoregeneration Network». Quali sono le principali tappe nella storia della fondazione e qual è il suo scopo? «La nostra è una fondazione molto giovane, è stata infatti istituita nel 2019. Una pietra miliare nel dare vita a questa fondazione è stato, oltre alla visione del nostro filantropo, il fatto che alcuni prestigiosi luminari e pionieri del settore, si siano messi a disposizione con entusiasmo per fare parte del Consiglio di fondazione. Un grande riconoscimento del lavoro che

abbiamo fatto finora è l’aver stabilito delle partnership strategiche con alcune delle più importanti società professionali in Europa e negli Stati Uniti: la nostra rete comprende già 2000 esperti in medicina e ricerca. Sulla base di questa rete in continua crescita, la nostra missione è quella di far progredire il campo dell’ortopedia rigenerativa. Vogliamo promuovere l’innovazione e, con l’aiuto dei medici, fornire ai pazienti nuove soluzioni rigenerative che migliorino permanentemente la loro qualità di vita». Qual è la vostra strategia di cooperazione con altre fondazioni, e quella nei confronti dei mecenati? «Nei tre anni dalla nostra istituzione, abbiamo costruito una rete di esperti nel campo dell’ortopedia rigenerativa e stabilito processi per promuovere la ricerca e consentire la formazione continua dei medici. Il nostro è un campo altamente dinamico, il numero di questioni aperte e di studi importanti supera le nostre risorse sia in termini economici che di capitale umano. Ma non si tratta solo di questo, siamo convinti che la collaborazione con altre fondazioni e mecenati, che credono anche nella rigenerazione e vogliono fare la differenza a beneficio del paziente, sia un’opportunità significativia. In un dialogo continuo e costruttivo con loro, non solo nascono processi di apprendimento reciproco,


DOSSIER FONDAZIONI / KAY HORSCH

ma possiamo selezionare i progetti ideali e utilizzare i fondi in modo molto mirato (ad esempio la rigenerazione dei nervi dopo le lesioni spinali, la formazione continua dei medici dei paesi emergenti, ecc.)». In quali aree è attiva la fondazione? «Attualmente, siamo impegnati principalmente nell’area del finanziamento della ricerca e nello sviluppo di format di post-formazione innovativi e performanti che mettiamo a disposizione in formato digitale. Con le nostre borse di ricerca, sosteniamo principalmente progetti pilota di piccole e medie dimensioni che testano approcci terapeutici innovativi. In futuro, vogliamo aiutare i migliori approcci terapeutici a compiere una svolta. Non appena la pandemia lo permetterà di nuovo, siamo decisi a sostenere anche giovani medici e scienziati, in numero sempre maggiore, con borse di studio».

Perché, anche nel vostro settore, le fondazioni dovrebbero fare rete e quali sono i vantaggi per la società civile? «L’innovazione in campo medico ha bisogno di una rete di esperti da un lato, e dall’altro di fondi sufficienti per permettere la ricerca. Con il calo degli investimenti da parte delle industrie farmaceutiche e delle istituzioni governative, le fondazioni stanno diventando sempre più importanti in questo settore. Il massimo impatto per la società civile può essere raggiunto quando fondazioni finanziariamente forti cooperano con fondazioni che hanno la massima competenza e le strutture necessarie negli ambiti che devono essere sostenuti».

sti processi continueranno per tutto il 2021. I cambiamenti in corso saranno dirompenti anche per molte fondazioni. Molte delle inizative che le fondazioni avevano deciso di sostenere non potranno essere realizzate quest’anno, pensiamo solo agli eventi culturali o, nel nostro ambito, ad alcune tipologie di seminari di formazione continua, borse di studio nella pratica clinica, ecc. Allo stesso tempo, c’è un bisogno accresciuto di fondi da parte delle fondazioni. Per tutte quelle organizzazioni del settore non profit che riescono ad essere agili e adattare i programmi, questa è un’opportunità. L’esplosione della digitalizzazione avrà anche un impatto positivo e può aumentare l’impatto delle nostre attività e ridurre i costi».

Secondo lei, quali sono i temi più importanti che saranno al centro del dibattito sulla fondazione nel 2021? «La pandemia ha dato vita ad una serie di profonde trasformazioni e que-

Benvenuti nello storico Hotel International au Lac, situato in una posizione incantevole fra Via Nassa, il LAC e le sponde del Ceresio. • Confortevoli camere, in parte completamente ristrutturate, con vista lago e balcone • In esclusiva - Camera Belle-Époque con arredo originale Louis XVI, letto a baldacchino e bagno vintage anni ’50. Un’idea regalo veramente originale e unica. • Museo del centenario dell’hotel • Giardino con piscina e area giochi • Sale riunioni con luce naturale • Garage sotterraneo Ci rallegriamo di accogliervi. Hotel International au Lac • Fam. Schmid, propr. dir. • Via Nassa 68 • CH-Lugano Tel. +41 91 922 75 41 • info@hotel-international.ch • www.hotel-international.ch


DOSSIER FONDAZIONI / MASSIMILIANO PAVANELLO

SOSTENERE LO SVILUPPO DEI TERRITORI

C INTERVISTA CON MASSIMILIANO PAVANELLO, SEGRETARIO GENERALE DELLA FONDAZIONE COMUNITARIA DEL VARESOTTO. DI ELISA BORTOLUZZI DUBACH

ome nasce la Fondazione Comunitaria del Varesotto e quali sono i suoi scopi statutari? «La Fondazione Comunitaria del Varesotto, come le altre fondazioni analoghe di area lombarda, ha origine alla fine degli anni Novanta del secolo scorso su ispirazione dell’allora presidente della Fondazione Cariplo Giuseppe Guzzetti. Nata da poco come fondazione di origine bancaria, con lo scorporo del patrimonio dalla gestione della Cassa di Risparmio, si era posta il problema di come mantenere un legame stretto su un territorio di 11 milioni di abitanti (tutta la Lombardia e le due province piemontesi di Novara e Verbania) non potendo più avvalersi degli sportelli della banca. La scelta avrebbe potuto essere quella di un decentramento amministrativo creando uffici provinciali. Si preferì, dopo avere opportunamente studiato l’esperienza ultradecennale analoga di alcune realtà statunitensi, promuovere la nascita di fondazioni che rappresentassero le comunità provinciali stimolando i soggetti locali (privati, comuni, aziende, ecc.) a sostenere queste nuove iniziative anche tramite il meccanismo della cosiddetta “sfida”, ovvero mettendo a disposizione per ogni euro raccolto un altro euro fino a giungere a 10 milioni. Sfida raccolta e conseguita, fu così che nel 2002 la Fondazione del Varesotto cominciò la sua missione». Qual è la vostra relazione operativa con Fondazione Cariplo?

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«Pur essendo un organismo giuridicamente autonomo, la Fondazione Comunitaria mantiene uno stretto legame con la Fondazione Cariplo con la quale collabora in diversi modi facendo da tramite con il territorio. Si pensi ad esempio alle cosiddette sovvenzioni territoriali. Cariplo ha riservato per sé la gestione delle erogazioni più significative, legate a progetti dal valore superiore ai 100.000 euro. Coinvolge però le fondazioni comunitarie nell’esame e nella valutazione relative a richieste di contributi sui bandi cosiddetti “emblematici”. Soprattutto gestisce in piena autonomia, pur sottostando a linee di indirizzo concordate, la gestione dei cosiddetti fondi territoriali che vengono messi a disposizione ogni anno per i progetti di minore entità. Anche nell’anno appena trascorso Cariplo ha stanziato alla Fondazione del Varesotto circa un milione e mezzo di euro per tale finalità». Parliamo di diritti di fondatori e mecenati: avete dato vita con Fondazione Cariplo a una mostra sul mecenatismo varesino. Colpisce il numero e l’intensità dell’attività di questi mecenati a favore della città. Varese ha una cultura del mecenatismo anche oggi e che cosa differenzia i mecenati di allora da quelli di oggi? «La nostra provincia ha avuto una forte tradizione in passato sia di mecenatismo che di attenzione al sociale. Nel secondo dopoguerra questa propensione è stata messa un po’ in sordina, non eclissata del tutto ma certamente


DOSSIER FONDAZIONI / MASSIMILIANO PAVANELLO

meno valorizzata. I mecenati di fine ottocento facevano un punto d’onore delle loro scelte quasi fosse una dovuta restituzione di parte di quelle risorse che con il loro genio e la loro operosità avevano accumulato. Oggi il fenomeno è altrettanto presente ma vissuto con più discrezione, dopo lunghi anni di attacchi strumentali frutto di ideologie pauperiste. Per certi versi si sta assistendo ad una ripresa che va incoraggiata ad aiutata anche per ricostruire la condivisione di una cultura del dono che tutti accumuna». Come ha vissuto personalmente questo periodo di pandemia e che impressione le ha fatto la grande ondata di solidarietà che ha visto coinvolte centinaia di persone in Italia per una raccolta fondi senza precedenti? «La pandemia è stata un’esperienza inattesa e sconvolgente che ci ha messo di fronte alle nostre debolezze e alla necessità di rideclinare valori e priorità. Oltre al timore per la propria salute e la stessa vita, ha molto pesato il clima di incertezza economica che ha portato molte famiglie a scivolare da una vita normale alle soglie della povertà». A quali progetti ha dato vita la vostra fondazione a Varese nella prima fase della pandemia e ora in questa seconda fase e perché? «Durante la prima fase primaverile della pandemia, la Fondazione del Varesotto ha lanciato una raccolta fondi straordinaria, denominata “Insieme per Varese”, finalizzata a sostenere iniziative legate all’irrompere della

pandemia e a rispondere ai bisogni anche drammatici che ne scaturivano: potenziare e/o attivare servizi di prossimità a supporto della domiciliarità forzata di soggetti in condizioni di fragilità permanente o temporanea; gestire servizi di assistenza per quelle categorie di utenti e/o operatori rimaste scoperte dai servizi ordinari; sostenere acquisto di strumentazione e apparecchiatura a supporto delle strutture e delle organizzazioni impegnate in prima linea per l’assistenza sanitaria; riattivare iniziative di socialità comunitaria, non appena l’emergenza finirà. Successivamente è stata lanciata una seconda raccolta fondi e soprattutto si sono modulati i bandi ordinari per venire incontro alle esigenze anche indirette causate dalla situazione che la società stava vivendo. Si sono presi pertanto in considerazione progetti finalizzati a: saldare i legami e le collaborazioni delle organizzazioni del terzo settore con i diversi soggetti (singoli individui, reti famigliari, comunità ed enti pubblici) che vivono e operano nei contesti di vita, specie i più critici e vulnerabili, per favorire la ricomposizione delle risorse e la messa a sistema delle risposte; riprogrammare e ripartire dopo la sospensione, il ridimensionamento e il ripensamento dei servizi alla persona imposti dall’emergenza Covid-19, creando anche occasioni di rielaborazione dell’esperienza e delle fratture create nelle nostre comunità; costruire la fiducia, il senso di appartenenza e la solidarietà fra le persone che vivono le comunità e i territori. Per fare un esempio si sono presi in carico i progetti per i campi estivi dei

bambini che avevano la necessità di uscire da un isolamento terapeutico durato mesi». Che cosa avete imparato dalla pandemia in termini di operatività e come si modificherà il vostro modo di lavorare con il mondo non profit? «Sotto il profilo operativo la pandemia ha costretto la Fondazione ha fare parecchi passi in avanti. Penso all’uso delle tecnologie, che pure preesistevano ma che non sempre erano sfruttare al pieno della loro potenzialità. Non potendosi vedere in presenza i consiglieri hanno cominciato ad incontrarsi in via telematica moltiplicando le occasioni e le riunioni. Questo ha consentito anche di sveltire le procedure per l’erogazione dando risposte certe in tempi brevi. La stessa comunicazione ne ha beneficiato aumentando il numero dei fruitori». Che cosa si aspetta dalle istituzioni che state sostenendo in termini di progettualità e di rendicontazione? «Penso che le istituzioni, penso non solo agli enti locali, ma anche alle aziende sanitarie ed ospedaliere, si siano rese conto dell’importanza di stabilire collaborazioni strutturate non episodiche. Siamo stati riconosciuti come alleati credibili ed affidabili in un momento così delicato». Qual è la sua visione, che cosa deve cambiare nella filantropia internazionale perché quest’ultima diventi ancora più efficiente? «Occorre ancora fare molto per accrescere la trasparenza in modo da aumentare la reputazione. La nostra gente è ben predisposta a donare ma vuole avere la garanzia che il suo gesto vada a buon fine. Questo non sempre avviene, a volte per pressapochismo, altre volte per motivi truffaldini. Bisogna fare di tutto per mostrarsi affidabili, esserlo veramente nonché saper cogliere i bisogni più rilevanti di ogni momento storico». TICINO WELCOME / MAR - MAG 2021

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AZIENDE / MERCATO DEL LAVORO

LAVORARE DA CASA, SI PUÒ SECONDO IL RAPPORTO “THE FUTURE OF JOBS 2020” PUBBLICATO DAL WORLD ECONOMIC FORUM, IL COVID-19 HA CAMBIATO IL MERCATO DEL LAVORO PIÙ RAPIDAMENTE DEL PREVISTO, E QUELLO CHE FINO ALL’ANNO SCORSO ERA CONSIDERATO FUTURO È GIÀ QUI. DI ROCCO BIANCHI

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a pratica del telelavoro, o smart working che dir si voglia ammesso e non concesso che siano la stessa cosa, ha subito un’espansione massiccia. A fronte degli indubbi vantaggi e del gradimento testimoniato dai lavoratori (stando a un sondaggio commissionato dal sindacato Syndicom, durante il lockdown della scorsa primavera l’80% degli intervistati si è detta molto o piuttosto soddisfatta del lavoro a domicilio), emergono diversi interrogativi, cui prima o poi bisognerà dare una risposta. Da un punto di vista economico infatti rischiano di essere numerosi i settori che rischiano di essere penalizzati, in particolare quelli che vivono dei consumi dei lavoratori durante una normale giornata lavorativa (ristoranti, bar, piccoli negozi ecc.), mentre da quello sociale bisognerà analizzare l’impatto che avrà una diversa vita comunitaria e un’altra gestione del tempo, con una maggiore promiscuità tra quello lavorativo e quello libero. Senza dimenticare la politica, che sarà chiamata a gestire l’evoluzione dall’attuale modello lavorativo (anche economico?) a un altro. Piccola premessa, nella maggior parte dei casi imprese e pubblica amministrazione hanno fatto ricorso al telelavoro, non allo smart working (che letteralmente significa lavoro intelligente, non da casa). La questione non ha solo rilevanza lessicale, poiché fraintendendo il significato delle parole si rischia di non afferrare completamente il cambiamento che esse suggeriscono. In estrema sintesi, il telelavoro è solo, si fa per dire, un diverso modo di intendere lo svolgi-

mento della prestazione professionale, la cui natura tuttavia rimane sostanzialmente invariata e si svolge come in azienda. È una specie di delocalizzazione, o meglio domiciliarizzazione del lavoro, un fenomeno già in crescita prima del Covid 19 e che adesso ha subito un’accelerazione e un’impennata. Lo smart working è invece altra cosa, e presuppone una disciplina di produzione agile, che permette al lavoratore di organizzare le proprie mansioni in forma sostanzialmente indipendente, in cui la produzione è organizzata per fasi, cicli e obiettivi e i vincoli (i vincoli, non le regole, sia ben chiaro), in particolare per presenza e orario, sono molto più labili. Si passa dall’ufficio di una volta con le foto di famiglia sulla scrivania a tavoli sotto gli alberi con i laptop, in cui il lavoro è basato sulla contaminazione e la condivisione delle conoscenze in una comunità che è sì virtuale ma allo stesso tempo anche reale. Non per nulla a inizio secolo a San Francisco e nella Sylicon Valley, nel tempo e là dove il fenomeno fece udire i suoi primi vagiti, fu constatato un aumento non solo della produttività, ma anche della creatività. Filosofeggiando un po’, stiamo forse assistendo ai primi passi di un cambiamento della nozione stessa di lavoro, di conseguenza al declino della figura su cui si è retto il nostro modello economico negli ultimi secoli, l’homo faber. Lungi dall’esserci spinti tanto in là, quello che abbiamo vissuto la scorsa primavera durante il lockdown e stiamo vivendo in parte anche adesso è dunque una forma di telelavoro. Per di più dettata dall›emergenza, dun-


AZIENDE / MERCATO DEL LAVORO

que non pianificata e, in diversi casi, poco organizzata. Se da un lato questo ha comunque permesso di continuare a portare avanti le attività, ha fatto anche emergere alcune criticità. L’Università Bocconi ha svolto diversi studi su telelavoro e smart working: nel pre-pandemia erano stati registrati effetti positivi su produttività, benessere del lavoratore e bilanciamento di vita, effetti che tuttavia sono scemati, fin quasi ad annullarsi, nel post, con sovraccarichi di lavoro, perdita di socializzazione e capacità relazionali, aumento dello stress e conseguente calo della produttività. Più che lavoratori smart, dunque, i dipendenti sono diventati cottimisti con scarso entusiasmo e ancor meno idee. Un’evoluzione tuttavia che gli studiosi fanno risalire più all’improvvisazione senza protocolli e prassi che al telelavoro in senso stretto. Da questo punto di vista prendere l’esempio del lockdown come forma lavorativa smart cui guardare è di conseguenza del tutto sbagliato. Eppure secondo l’Ufficio federale di

Statistica la percentuale dei dipendenti svizzeri che lavorano da casa è raddoppiata dal 25 al 50% dall’inizio della pandemia, una curva destinata a continuare, anche se forse non con la stessa intensità, pure in futuro. Una prospettiva che solleva questioni pratiche e giuridiche, ché in Svizzera non esiste il diritto al lavoro a domicilio, per cui - potrà anche sembrare paradossale - ma chi lavora da casa senza il consenso del datore di lavoro rischia sanzioni. Addirittura stando alle norme in vigore anche durante una pandemia i membri di un gruppo a rischio possono essere obbligati a essere presenti al lavoro, purché il datore di lavoro adempia al suo dovere di diligenza e protegga adeguatamente i dipendenti. Allo stesso tempo non esiste però alcun obbligo di telelavoro, per cui in teoria anche durante una pandemia ci si potrebbe rifiutare di lavorare da casa. In teoria, appunto, ché un dipendente sottostà comunque anche al “dovere di lealtà” verso chi gli versa lo stipendio, per cui la questione è dubbia. Senza dimenticare che il licenziamento è comunque sempre dietro l’angolo. È invece indiscutibile che il diritto del lavoro (leggi, ordinanze e contratti individuali e collettivi) si applichi anche al lavoro a domicilio, per cui, ad esempio, il diritto alle pause rimane valido tanto quanto le restrizioni sul lavoro notturno e domenicale. Malgrado ciò i sindacati chiedono regole più chiare. Punti dolenti, secondo l’Unione Sindacale Svizzera, sono la protezione della salute dei lavoratori, che rischiano stress e “workalcholism” (la dipendenza dal lavoro), e i costi del materiale d’ufficio, per cui chiede che nei contratti sia specificato che l’azienda mette a disposizione degli spazi lavorativi e che lo scambio e i contatti sociali siano garantiti. Anche orari e raggiungibilità dovrebbero essere regolamentati: sembra incredibile, ma in pochi mesi siamo passati

dalla necessità di riconoscere il “diritto alla connessione” a quella di introdurre il “diritto alla disconnessione”. Potere della pandemia. Da parte sua Travail.Suisse teme che alcune aziende considerino l’home office come un programma di risparmio, per cui chiede indennizzi e che gli eventuali risparmi siano equamente ripartiti tra le parti. Di tutt’altro avviso le organizzazioni padronali. Ad esempio l’Unione svizzera degli imprenditori ha recentemente pubblicato delle linee guida per i suoi associati, in cui si stabilisce che, salvo rare eccezioni e solo dietro consegna delle relative ricevute, tutti i costi per il telelavoro sono a carico dei dipendenti. Anche se la letteratura manageriale propone una visione win-win per lavoratori e per imprese ed enfatizza alcuni indubbi vantaggi competitivi, è dunque probabile che a dirimere questa e altre questioni sarà chiamata la politica, se non addirittura, come recentemente accaduto, i tribunali. Economisti, sindacalisti e imprenditori sono invece d’accordo su una cosa: il cambiamento non sarà indolore. Ad esempio il rapporto del WEF citato in apertura afferma che entro il 2025 verranno persi 85 milioni di posti di lavoro in tutto il mondo. A fronte di 97 milioni di posti creati, è vero; tuttavia la sostituzione non sarà né potrà essere automatica: c’è chi si adatterà, certo, ma c’è anche chi soccomberà. La posta in gioco è dunque alta; in particolare bisognerà fare attenzione a non confondere l’urgente con l’importante, il vantaggio immediato con quello a lungo termine. In ultima analisi, il vivere con il sopravvivere.

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AZIENDE / MERCATO DEL LAVORO

ALCUNI CONSIGLI INFORMATICI

Ph: ©Niccolò Caranti

La digitalizzazione del mondo del lavoro in ogni caso non si arresterà. Per questo diverrà indispensabile adottare accresciuti protocolli di sicurezza informatici. Fisica anzitutto, come ci ha spiegato Paolo “Il disinformatico” Attivissimo. Non tanto per gli uomini ma per le macchine, che al domicilio privato si trovano esposte molto più che in ufficio a possibili danni, da parte ad esempio di bambini o animali. Non per nulla la casa è, stando alle statistiche della SUVA, il luogo principale dove gli essere umani si infortunano; volete che non lo sia anche per i PC? La connessione dal domicilio all’azienda invece non pone soverchi problemi: i rischi di essere infettati da un virus o di subire un’intrusione da parte di malintenzionati possono infatti essere evitati con normali procedure indipendentemente dal luogo in cui si lavora. Purché naturalmente si usi il computer aziendale e non quello privato (dunque le due reti siano nettamente divise), ché

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altrimenti lo cose cambiano, e di molto, tanto che la sicurezza da intrusioni e infezioni da virus non può più essere garantita: il computer privato del dipendente, usato anche per le attività di tutti i giorni (social, videogiochi, internet, chat ecc.), può infatti essere un perfetto cavallo di Troia per entrare nella rete aziendale. Diverso il caso dell’interdizione del servizio (in gergo DDoS), ossia un attacco in cui si fanno esaurire deliberatamente le risorse di un sistema o un sito web fino a renderlo non più in grado di erogare il servizio proposto. Lo scopo è ovviamente farsi pagare per ripristinarne la piena funzionalità. Un ricatto informatico, in estrema sintesi, relativamente più facile da effettuarsi su una linea casalinga che su quella di un ufficio. A tutto questo si aggiunge che l’isolamento dal luogo di lavoro, venendo appunto a mancare il contatto costante con i colleghi e quindi quelle piccole, automatiche e preziosissime verifiche interne che si svolgono spontaneamente tra una scrivania e

l’altra o in pausa caffè, può rendere più facile il lavoro ai truffatori informatici. La cronaca di questi mesi ne è un esempio lampante. Per questo Attivissimo consiglia di adeguare la formazione dei dipendenti: non solo tecnica, ma anche informazione sui pericoli della rete, dove abbondano truffatori e malintenzionati di ogni taglia e specie. Un giretto sulla pagina di Melani, il Centro nazionale per la cibersicurezza, in questo senso può essere molto istruttivo (www.melani.admin.ch).


NEWS

La Prairie celebra la rinnovata Platinum Rare Collection attraverso l’arte “Il platino, il più nobile dei metalli, ha avuto origine dall’eccezionale collisione di due stelle di neutroni in un angolo lontano dell’Universo, dove la gravità è estrema. Secondo la teoria della relatività di Albert Einstein, più alta è la gravità, più lento trascorre il tempo. Di conseguenza, il platino proviene da un luogo in cui il tempo è sospeso. Ha colpito la Terra in una pioggia di meteore più di 3,5 miliardi di anni fa portando con sé la propria dimensione del tempo: il Platinum

Moment”. È con l’obiettivo di rompere le regole dello scorrere del tempo che La Prairie rinnova la sua iconica linea Platinum Rare Collection, che si propone come primo capito della “scienza dell’Haute-Rejuvenation” grazie al Complesso Cellulare Esclusivo brevettato di La Prairie e al nuovo ed esclusivo Multi-Peptide al Platino, appositamente sviluppato per la Platinum Rare Collection. Rinnovata anche nel packaging, la nuova collezione è celebrata attraverso una colla-

Impiantistica e gestione razionale dell’energia

borazione tra l’artista giapponese Nobuhiro Nakanishi e il compositore britannico Max Richter. L’istallazione Echo of Time, è una scultura a più livelli costituita da una sequenza di fotografie delle alpi svizzere, scattate al tramonto da Nakanishi, ed accompagnata dall’epica colonna musicale Platinum realizzata da Richter esclusivamente per La Prairie.

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AZIENDE / DIGITAL TRANSFORMATION

IL CAMBIAMENTO È GIÀ QUI

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a tecnologia ha svolto un ruolo fondamentale nella crescita del digital marketing nel corso degli ultimi anni e le tecnologie che ora consideriamo più innovative saranno sempre più presenti nella nostra vita quotidiana. La convergenza tra marketing e tecnologia è dunque un tema caldo che anima il dibattito all’interno dell’affollato ecosistema delle applicazioni digitali per l’ottimizzazione delle performance e delle conversioni delle strategie di digital marketing. Rappresenta il terreno su cui si gioca la sfida della modernizzazione e della digital transformation delle aziende. La digital transformation è infatti il profondo cambiamento delle attività e dei processi organizzativi, delle competenze e dei modelli di business, che si effettua per sfruttare appieno, in modo strategico e prioritario, i cambiamenti e le opportunità che il mix di tecnologie digitali e il loro impatto accelerato hanno apportato alla società, avendo chiaro il percorso di cambiamento da implementare nell’organiz-

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zazione nel breve e nel lungo periodo. Mentre quando si parla di digital transformation ci si riferisce prevalentemente a un contesto di business, l’impatto delle tecnologie e dell’innovazione che essa porta influisce anche su altre organizzazioni come governi, agenzie del settore pubblico e organizzazioni che sono coinvolte nell’affrontare le sfide della società come l’inquinamento o l’invecchiamento della popolazione. Lo sviluppo di nuove competenze ruota attorno alle capacità di essere più agili, orientate alle persone, innovativi, attenti al cliente, snelli, efficienti e in grado di indurre / sfruttare le opportunità per cambiare lo status quo n maniera rapida e generare ricavi grazie a nuove informazioni e servizi che nascono. Il digital marketing diventa così parte integrante delle strategie di trasformazione delle aziende perché rappresenta un nuovo modo di comunicare, di raccontare la storia del proprio brand o anche semplicemente un nuovo modo di vendere attraverso canali e tecnologie nuove, più immediate, veloci ed efficienti.

Innovare significa, quindi, rompere gli schemi e introdurre processi e strategie che cambino il modo di approcciare proprio mercato di riferimento, al fine di creare ecosistemi imprenditoriali funzionali ed in grado di produrre risultati soddisfacenti. Le tecnologie dai big data, cloud, IoT e l’intelligenza artificiale stanno aiutando gli imprenditori a sviluppare nuovi modelli di business e a cambiare in modo radicale il modo usuale di gestire le operation interne all’azienda. Utilizzare la marketing technology, non significa però semplicemente adottare nuove tecnologie. È un complesso percorso di change management dei processi dell’organizzazione e della cultura aziendale. È un vero e proprio progetto di trasformazione digitale che comporta la revisione dei modelli e dei processi di business. Il cambiamento organizzativo è il fondamento della trasformazione del business digitale. Questo perché cambiare la natura di un’organizzazione significa cambiare il modo in cui le persone lavorano, sfidando il loro modo di pensare, i processi di lavoro quotidiani e le strategie su cui fanno affidamento. Siamo dunque di fronte a un nuovo modo di approcciare il lavoro quotidiano di ognuno e molto probabilmente comporterà l’uscita dalla comfort zone e l’apprendimento di nuove competenze anche per chi, nell’azienda, si fa regista di questo processo di cambiamento. Quando un’organizzazione inizia un percorso di digital transformation si rende conto aver bisogno di set di competenze diverse da quelle tradizionali, per soddisfare le esigenze del cambiamento tecnologico. Le nuove tecnologie possono portare ad una nuova era di marketing esperienziale che integra consapevolezza, coinvolgimento e conversione.


AZIENDE / DIGITAL TRANSFORMATION

HANNO PARTECIPATO ALL’INCHIESTA:

ALE AGOSTINI (A.A.) Client Partner & Director EU

PAOLO TAOSO (P.T.) Strategic Marketing Manager presso Comac Spa

ROBERTO RAZETO (R.R.) Head of International Affairs presso IULM Università

LUISELLA GIANI (L.G.) Head of Industry, Strategy and Transformation EMEA

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al suo osservatorio privilegiato quali nuove tecnologie o tendenze avranno un impatto maggiore sui processi di digitalizzazione delle aziende nel corso dei prossimi mesi? A.A.: «Per molte aziende, i clienti sono già migrati al digitale. I dipendenti stanno già lavorando

completamente da remoto e sono totalmente o parzialmente in un regime di lavoro “agile”. Le aziende hanno già implementato iniziative di analisi e intelligenza artificiale (AI) nelle loro attività. I dipartimenti IT hanno accelerato ad un ritmo mai visto prima, ma per la maggior parte delle aziende, le modifiche fatte fino ad oggi rappresentano solo una prima fase dei cambiamenti che saranno necessari nel prossimo futuro. È necessario rifocalizzare e accelerare gli investimenti di-

PAOLO COSTA (P.C.) Digital Manager di Sacchi Giuseppe Spa

gitali in risposta alle esigenze in continua evoluzione dei clienti, utilizzare nuovi dati e l’intelligenza artificiale per migliorare le operazioni aziendali, modernizzare selettivamente le capacità tecnologiche per aumentare la velocità di sviluppo e potenziare l'agilità organizzativa per delivery più rapide». P.T.: «Sicuramente nei prossimi anni vedremo un mercato sempre più data driven, mi riferisco alla TICINO WELCOME / MAR - MAG 2021

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AZIENDE / DIGITAL TRANSFORMATION

reportistica a supporto delle strategie aziendali e alle previsioni a supporto delle attività di marketing o di postvendita. I dati serviranno per creare e fornire soluzioni su misura in base alle reali necessità in un’ottica sempre più customer centric. Anche l’utilizzo delle blockchain, soprattutto per la gestione dei dati, sarà sempre più diffuso. Essa, infatti, garantisce trasparenza e immutabilità dei dati e soprattutto la crittografia degli stessi». P.C.: «È un momento particolarmente florido per parlare di nuove tecnologie, accelerato nostro malgrado dal periodo storico che stiamo vivendo; una delle tendenze che, a mio avviso, sta avendo maggiore impatto sulla digitalizzazione delle aziende è rappresentata dagli strumenti di collaboration, non solo come tools di condivisione di informazioni o di formazione ma come luoghi di lavoro immersivi dove poter esprimere il potenziale umano con naturalezza ad esempio realtà aumentata e realtà virtuale, supportata da un'altra forte innovazione quale il 5G. Un altro “trend topic” che vorrei evidenziare è la gestione del dato attraverso l’evoluzione dell’intelligenza artificiale, dove l’algoritmo elabora e reagisce in autonomia senza l’ausilio dell’uomo, in intelligenza aumentata, dove l’uomo ritorna al centro del focus sfruttando gli algoritmi per prendere decisioni». R.R.: «Saranno diverse le tecnologie che avranno un’influenza significativa sulla trasformazione digitale. Una tra queste sarà l’implementazione di quelle tecnologie dedicate alla realtà aumentata. La possibilità di aumentare la potenzialità dei nostri sensi per poter leggere e interpretare il mondo circostante attraverso un maggior numero di informazioni, con una capacità di delocalizzare la nostra presenza, con l’opportunità di

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interpretare la realtà in maniera più approfondita e articolata, credo sia una risposta efficiente a una società globale che ha nella complessità la sua caratteristica principale. La realtà aumentata ci permetterà di verificare il nostro posto nella società, estendendo la nostra presenza attraverso protesi che sin ora sono state confinate allo schermo, che sia del computer o del telefono cellulare». L.G.: «Gli assistenti digitali si stanno affermando come importante modalità di interazione con il cliente che può migliorare la soddisfazione e l’esperienza utente. Dallo studio AI at Work, condotto da Oracle e Future Workplace, - oltre 12.000 persone intervistate in 11 nazioni tra cui l’Italia - emerge che il 2020, per l’85% degli interpellati, è l’anno più stressante della propria vita lavorativa e che il 68% preferirebbe confidarsi con un chatbot, piuttosto che con il proprio manager per problematiche relative a stress e ansia. Il chatbot è sempre disponibile, non giudica ed è molto semplice uscire dalla conversazione. La tecnologia Oracle è stata adottata dal Gruppo Mondadori per offrire sostegno agli oltre 2.000 dipendenti durante la crisi sanitaria. Le soluzioni Oracle Digital Assistant, sotto forma di chatbot, hanno consentito di rispondere a tante domande – dove fare l’esame sierologico, le norme anti-Covid ecc.- riscuotendo un grandissimo successo: oltre 34.900 ‘conversazioni’ in soli 3 mesi. Nel caso Mondadori, il success rate è stato del 92%: ossia l’assistente digitale 92 volte su 100 è stato in grado di rispondere correttamente». La digitalizzazione è un problema fondamentale per le aziende, ma quali sono i principali ostacoli che esse incontrano nella comprensione delle esigenze dei clienti o potenziali clienti?

A.A.: «La questione principale in questo senso è il tempo: lo shift della domanda dei consumatori, velocizzata dal “new normal” dettato dal Covid, ha costretto le aziende ad adattarsi in fretta al nuovo scenario. Il punto di partenza per operare nel modo corretto in termini di digitalizzazione è sempre rappresentato dalla strategia, che deve necessariamente basarsi sia su un corretto assessment della situazione attuale sia su una visione futura dei mercati, in modo tale da creare roadmap che includano punti di criticità e miglioramenti da attuare per migliorare la performance. Una strategia di business vincente deve sempre tenere in considerazione sia le risorse che gli obiettivi a lungo termine. Un’azienda che fa dell’efficienza e della capacità di adattarsi con rapidità alle evoluzioni del mercato i suoi principali punti di forza potrà agire con prontezza e persino anticipare le tendenze future, anche se il Covid è stato – ed è ancora – un fenomeno davvero imprevedibile». P.T.: «I principali ostacoli della digitalizzazione nella comprensione delle esigenze dei clienti sono legati al fatto che molto spesso si sceglie di affidarsi a strumenti già pronti, mi riferisco al CRM per esempio. Ce ne sono tanti e tutti altamente affidabili e personalizzabili, ma la cosa che più conta in una fase di popolazione di CRM è suddividere i lead nella maniera corretta. Credo fortemente nel fattore umano, nel legare con le persone, ecco quindi che bisogna creare relazioni vere, anche se sono di tipo digitale. È solo con relazioni vere che si riesce a capire cosa cerca il cliente. Non bisogna concentrare le energie su una vendita puntuale, ma cercare di conoscere il cliente nel dettaglio per capire come servirlo al meglio e come accoglierlo in un’offerta più ampia di valori aziendali e quindi di prodotti».


P.C.: «Il processo di digitalizzazione richiede, nella maggior parte dei casi, un forte impegno in termini di risorse economiche e fisiche; il moltiplicarsi dei punti di contatto e la mole di dati che vengono generati mette costantemente a dura prova la capacità decisionale del management. Spesso gli strumenti adottati nel tentativo di comprendere e misurare l’intera gamma delle esperienze che il cliente vive nei confronti del brand, non sono parte di una strategia ma soluzioni temporanee a problemi contingenti». R.R.: «I principali ostacoli sono tre:

1. La mancanza di uso integrato. Le tecnologie devono essere utilizzate in integrazione completa con il proprio business, rispetto al mercato di riferimento, conoscendo i clienti attuali e potenziali. Se ne devono comprendere le potenzialità e sapere utilizzare tali potenzialità nella loro pienezza. Ciò significa studio e apprendimento. 2. La mancanza di uso responsabile. Le tecnologie possono essere invasive per il consumatore, non rispettandone la sensibilità e l’alveo della privacy. Le potenzialità delle tecnologie sono tecnicamente infinite: conoscerle significa sapere come usarle e fino a che punto spingersi nell’utilizzo. 3. La mancanza di aggiornamento. Conoscere i trend e gli standard è importante per sapere muoversi sul mercato in maniera compatibile con esso e consapevole dei flussi dello stesso. Aggiornare le proprie tecnologie significa sapere come si evolve il mercato, saperlo leggere e implementare e/o trasformare quando ce n'è bisogno. Come il mercato della moda, sapere cosa andrà nella prossima stagione per essere, per l’appunto, alla moda».

L.G.: «Spesso le aziende considerano la digitalizzazione come un’attività separata rispetto agli obiettivi dell’azienda. Nessuna realtà che voglia essere competitiva nei prossimi 5 o 10 anni, può considerare la digitalizzazione come secondaria. Oltre a una mancanza di visione strategica, spesso molte aziende si scontrano con l’esecuzione delle strategie digitali. Alcune regole? 1. selezionare un partner tecnologico con esperienza di settore, affidabile, che permetta l’accesso ad un ecosistema 2. capire quali sono le competenze necessarie per l’esecuzione della digitalizzazione, decidendo quali attività eseguire in autonomia, o quali esternalizzare 3. incentivare l’adozione dei nuovi strumenti digitali, anche con iniziative a ‘premi’, identificando all’interno dell’azienda gli ‘ambassador’ incaricati di promuovere una vera e propria innovazione culturale».

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Quali sono le strategie di marketing digitale che incidono più profondamente nell’organizzazione delle aziende e determinano i maggiori risultati in termini economici? A.A.: «Molte aziende stanno accelerando un passaggio molto veloce ai modelli digital first. Quanti negozi fisici, ad esempio, si sono trasformati in e-commerce pienamente funzionanti negli ultimi mesi? Tantissimi, da piccole realtà locali a grandi catene retail. Ma non si tratta solo di digitalizzare. Le aziende devono anche reinventare le customer journey, per ridurre gli ostacoli, accelerare il passaggio ai canali digitali e seguire i nuovi protocolli di sicurezza. Ad esempio, le compagnie aeree stanno rapidamente reinventando l'espe

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rienza dei loro passeggeri con viaggi contactless, incentrati sulla salute e la sicurezza dei viaggiatori per far sentire i clienti a proprio agio durante i voli in questo preciso momento storico». P.T.: «Tecnicamente qualsiasi attività nel mondo digital ha fortissimi impatti nelle organizzazioni, non credo si possa definirne una più incisiva dell’altra, questo infatti dipende dal contesto in cui opera l’azienda. Con qualsiasi attività digitale è certo che si ha la possibilità di avere molti dati, è quindi possibile misurare ogni singola attività per capirne l’andamento e in caso cambiare la direzione. Il risultato economico è solo una componente del risultato aziendale, credo che l’unica vera strategia sia quella di mettere il cliente al centro di tutte le decisioni». P.C.: «Quando si parla di strategia di marketing digitale è buona prassi differenziare il mercato di applicazione: esistono certamente degli approcci replicabili che seguono i drivers convenzionali della consumer value, tra cui spicca la brand awarness. Questo si traduce in tutte quelle strategie rivolte a personalizzare quanto più possibile l’esperienza del cliente basata, qui come in precedenza, su una conoscenza estremamente approfondita del comportamento su tutti i canali che l’azienda mette a disposizione: dal web, all’ecommerce, al negozio fisico, alla newsletter…». R.R.: «Sono quelle integrate, multipiattaforma e multi canale. Le strategie devono comprendere una cosa fondamentale. La rete forma degli hub di interesse (bolle), suddivisi in sub-hub e a loro volta ancora in livelli ulteriormente nidificati. Sapere muoversi attraverso i vari hub, significa mantenere una stra-

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tegia fluida e incisiva e riuscire a raggiungere target definiti e massimizzare così gli investimenti». L.G.: «Anche in reazione alla crisi sanitaria, molte aziende B2B stanno adottando un approccio “digital e mobile first” sostituendo i canali tradizionali di vendita e marketing con canali digitali e-commerce, o assistenti digitali. Le attività di content marketing diventano ancora più importanti in quanto, per essere efficaci, i contenuti devono essere altamente personalizzati, raggiungendo il cliente, proprio quando sta cercando quell’informazione». In che modo la comunicazione digitale può migliorare i rapporti con i clienti? A.A.: «In questo scenario, la comunicazione si intreccia profondamente con la customer experience: il cliente non si limita più alla semplice relazione con il prodotto, ma interagisce con il brand e intraprende una comunicazione bidirezionale sempre più personalizzata sulle sue esigenze. Attraverso l’impiego sistematico di app, piattaforme digitali e una comunicazione tagliata su misura del nostro tempo, si potrà arrivare ad offrire al cliente un servizio sempre più efficiente ed efficace. Il fine ultimo è sempre lo stesso: un maggior grado di soddisfazione al proprio interlocutore. Allo stesso tempo, nell’ottica della comunicazione digitale, pensiamo che sia centrale anche il tema della sostenibilità e l’efficienza energetica: far bene al pianeta significa fare bene anche al cliente in quanto persona. Per questo abbiamo creato il Progetto Karma Metrix, che misura e certifica le emissioni di CO2 dei siti web e permettere alle aziende di intraprendere percorsi virtuosi digitali verso un approccio green su Internet».

P.T.: «La comunicazione digitale può essere un motivo di avvicinamento ma anche di distaccamento, può migliorare i rapporti solo se curata, ma soprattutto se viene inserita in un contesto di strategia digital. Mi spiego meglio, non sempre le aziende devono vendere qualcosa quando sono presenti sul web, ma devono soprattutto comunicare valori, informazioni, mantenere relazioni e dare supporto. Servono vari strumenti per riuscire in questo arduo compito, solo per citarne alcuni, è evidente che il sito web di un’azienda è la prima vetrina dove trovare informazioni sui prodotti. Un altro punto di contatto è il blog aziendale dove si condividono storie e consigli, un luogo virtuale dove si vuole accrescere la Brand Awareness attraverso uno scambio di idee e di informazioni. Poi arrivano le piattaforme di comunicazione social, dove si è sempre reperibili e disponibili per utenti in tutto il mondo. È chiaro che la comunicazione non può essere vista come una attività fine a sé stessa, ma è trasversale all’azienda intera. Anche il customer service, magari con una chat online, potrebbe creare un nuovo modo di comunicare immediato e funzionale, l’importante è che venga integrato correttamente nella strategia di comunicazione aziendale». P.C.: «La comunicazione digitale ha il grosso vantaggio di raggiungere una grossa quantità di utenti in modo veloce e, se ben costruita, con un ritorno sull’investimento facilmente misurabile. Il cliente, se correttamente profilato, beneficia di contenuti realmente utili per lui e per il suo business e restituisce una quantità di dati che alimentano un circolo virtuoso azienda-cliente». R.R.: «Profilando il messaggio e soddisfacendo le esigenze di tempo, spazio e servizio di cui il cliente ha bisogno».


AZIENDE / DIGITAL TRANSFORMATION

lo, ma figure con determinate skills che inserite nel contesto aiuteranno al raggiungimento degli obbiettivi».

L.G.: «Negli ultimi mesi si sta diffondendo una nuova modalità di rapportarsi con i propri clienti, il Caring: prendersi cura della clientela superando l’ottica di customer service. Questo è possibile grazie all’analisi avanzata dei dati e all’applicazione di algoritmi predittivi, di machine learning. L’empatia digitale si basa su una forte conoscenza del cliente che permette di offrirgli quello di cui ha bisogno al momento giusto. Ad esempio proporre risultati di ricerca personalizzati: non più centinaia di risultati, ma solo 5 che rispondano esattamente a quei servizi di cui il cliente ha bisogno. Oppure un chatbot in grado di chiedere, in modo proattivo, se il cliente vuole aiuto, in caso di esitazione prima di finalizzare un acquisto».

ternet of Things, l’Intelligenza Artificiale, il Cloud e di tutti quegli avanzati strumenti che favoriscono risposte più puntuali ai cambiamenti e alle richieste di un mercato globale i costante evoluzione, dove la competitività cresce di giorno in giorno. Questa digitalizzazione è un concetto che implica un’intrinseca rivoluzione per le aziende, in particolar modo quando le tecnologie digitali servono anche per migliorare l’esperienza dei dipendenti, dei fornitori, dei partner e di tutti gli attori all’interno della catena del valore aziendale. Nel processo è incluso anche un cambiamento di leadership, inteso come strutturazione di nuovi modelli di business per il miglioramento dell’esperienza di tutte le figure direttamente o indirettamente connesse all’azienda».

La digitalizzazione è un processo non solo tecnologico ma anche culturale: in che modo si può favorire la diffusione a livello aziendale di questo nuovo e diverso approccio?

P.T.: «Credo che la formazione e nuovi modelli organizzativi siano la chiave per avere successo in questo processo. Con nuovi modelli organizzativi mi riferisco soprattutto ad approcci snelli detti “agili” dove le gerarchie vengono appiattite e sostituite da gruppi funzionali con figure che lavorano su più progetti contemporaneamente. Ecco, quindi, che non avremo più figure specifiche per quel ruo-

A.A.: «La digital tansformation è una evoluzione prima di tutto culturale, che si focalizza sull’innovazione delle aziende attraverso l’impiego di tecnologie digitali quali l’In-

P.C.: «Per mia esperienza personale è fondamentale un committement da parte dei più alti livelli aziendali e un coinvolgimento costante di tutto il c-level nei processi di trasformazione. È una condizione necessaria, senza la quale “trasformazione digitale” si trasformerebbe in uno slogan dopo breve tempo. Inoltre, come spesso accade, in molte aziende la trasformazione digitale viene associata a funzioni come ICT o Marketing, tralasciando l’importanza dell’Hr nel processo di trasformazione. Quest’ultimo diventa essenziale nell’accompagnare l’accrescimento delle competenze digitali di ogni singolo dipendente che poi diventerà esso stesso un digital ambassador». R.R.: «Mantenendo l’attenzione sui trend sociali e cercando di trasferirli, in maniera adeguata e profilata, nella realtà aziendale di riferimento. Il successo di Netflix, per fare un esempio mainstream degli ultimi anni, si basa su un utilizzo delle tecnologie, adattate alle esigenze sociali, che trasformano il modello lavorativo esperito dai dipendenti. Una formula che è un mix di alta competenza, responsabilità, trasparenza, flessibilità e libertà. Ovviamente, come quanto detto prima, questo necessita di un costante studio e apprendimento». L.G.: «Conoscenza, condivisione, collaborazione. I percorsi di formazione, sono più efficaci se affiancati da attività che stimolino la conversazione, la condivisione, che facciano sentire parte di una community. Un esempio? Il digital Monday. Ogni lunedì mattina 30 minuti dedicati ad approfondire un tema digitale di interesse comune». TICINO WELCOME / MAR - MAG 2021

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AZIENDE / FIDINAM

UNA CONSULENZA SEMPRE PIÙ DIGITALE

Q ROBERTO GRASSI, DIRETTORE GENERALE, SOTTOLINEA COME LA DIGITALIZZAZIONE COSTITUISCA UNO DEI PUNTI QUALIFICANTI DELLA STRATEGIA DI CRESCITA DEL GRUPPO FIDINAM.

uali sono i principali contenuti dell’accordo di collaborazione di recente concluso tra PwC Svizzera e il Gruppo Fidinam? «Il Gruppo Fidinam ha avviato una collaborazione con PwC Svizzera per rilevare l’intero settore di implementazione di piattaforme ERP (contabili e amministrative) su software Abacus in Svizzera. Si tratta di circa 25 collaboratori dislocati in 5 città Svizzere: Zurigo, Berna, Lucerna, Ginevra, Basilea. Allo stesso tempo, PwC Svizzera rimarrà il principale cliente del Gruppo Fidinam in questo nuovo business. In questo modo, rafforziamo la nostra presenza nel resto della Svizzera e potenziamo le nostre competenze nel digitale, un’area di business strategica per tutto il Gruppo». Con questo accordo Fidinam rafforza la sua presenza in Svizzera e acquisisce importanti competenze in un’area di business strategica. Si può parlare di un riposizionamento del vostro Gruppo?

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«Direi che si tratta di un adattamento ai tempi e alle tecnologie, più che un riposizionamento. Il campo digitale è ormai diventato un orientamento fondamentale nelle attività amministrative di piccole e medie aziende, e la razionalizzazione dei processi e dei costi un elemento concorrenziale. Noi crediamo che il nostro ruolo di consulenti e prestatori di servizi nel futuro si baserà essenzialmente in queste nuove forme di prestazione e quindi vogliamo esserci per tempo, nell’interesse dei nostri clienti e nostro. Con questa operazione, acquisiamo delle competenze in una piattaforma ERP già ampiamente diffusa oltre Gottardo, rafforzando le nostre competenze in campo digitale». Su quali aree e attraverso quali servizi si articola attualmente la consulenza integrata e interdisciplinare offerta da Fidinam ad aziende, imprenditori e privati? «Da oltre vent’anni abbiamo raggruppato la nostra consulenza in tre aree: fiscale, amministrativo, immo-


AZIENDE / FIDINAM

mostrato una validità che travalica la straordinarietà della situazione contribuendo al mantenimento dei risultati ai livelli dell’anno precedente. Immaginiamo che questa pandemia abbia di fatto cambiato completamente il paradigma del lavoro e del rapporto con il cliente, orientato sempre di più ad un confronto sulla prestazione. Siamo comunque del parere che nulla può sostituire il beneficio tratto dall’interazione fra i professionisti e dallo scambio di esperienze e conoscenze in occasione di spontanei incontri sul posto di lavoro. Per questo manterremo sempre la presenza in ufficio quale regola nello svolgimento del proprio lavoro».

biliare. Ora abbiamo creato una nuova divisione digitale, valorizzando le competenze che stiamo acquisendo in questo comparto. L’integralità della nostra proposta sta proprio nell’offrire supporto a tutte le attività che caratterizzano l’amministrazione di un’azienda, dalla sua contabilità alle paghe, alle assicurazioni, e ovviamente anche alla sua fiscalità. E già da qualche anno ci siamo orientati alla digitalizzazione con Fidigit SA, società che abbiamo costituito nel 2019, apportando soluzioni digitali per le nostre unità e per i nostri clienti, e proposto nuovi prodotti

orientati all’automazione di processi amministrativi a basso valore aggiunto o ripetitivi, migliorando le funzionalità per gli utenti».

Con quali prospettive vi accingete ad affrontare il 2021 e quali sono a vostro giudizio le principali problematiche che le aziende dovranno affrontare nei prossimi mesi per avviare una fase di rilancio delle proprie attività? «La pandemia ha sicuramente rafforzato la spinta alla digitalizzazione: in questo senso, la bravura non sta più soltanto nell’anticipare i tempi, ma anche nel cogliere con prontezza le opportunità che si presentano sul mercato. In tutti i settori constatiamo la necessità di ottimizzare i propri processi e di renderli accessibili nelle forme più efficienti. Le sfide principali sono quindi legate ai nuovi mezzi e modalità di collaborazione, comunicazione e creazione di valore, che saranno sempre più influenzati dalla digitalizzazione».

In che modo la pandemia ha modificato lo svolgimento della vostra attività e con quale bilancio avete chiuso il 2020? «Il lock down ha accelerato una tendenza alla flessibilità del lavoro e al lavoro remoto, temi che stavamo già affrontando. La reazione dei nostri collaboratori e dei nostri clienti è stata molto favorevole e, accanto alle inevitabili inefficienze iniziali, ha diTICINO WELCOME / MAR - MAG 2021

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AZIENDE / SWISS LIFE

LA PREVIDENZA GIUSTA PER OGNI FASE DELLA VITA SWISS LIFE OFFRE UNA CONSULENZA PERSONALE A 360 GRADI PER SOSTENERE I CLIENTI A VIVERE LA LORO VITA IN PIENA LIBERTÀ DI SCELTA.

Roberto Russi, Agente Generale, Agenzia Generale Svizzera italiana

S

e c’è una cosa che abbiamo veramente imparato in quest’anno, è convivere con l’incertezza. Un evento imprevisto può limitare la nostra vita quotidiana in modo considerevole. Da un giorno all’altro, la nostra libertà di scelta può ridursi drasticamente. Per far fronte a una situazione del genere, è importante puntare le attenzioni sulle proprie responsabilità e riflettere sulle proprie esigenze. Swiss Life mette a disposizione prodotti previdenziali e finanziari all’avanguardia, che completano perfettamente il regime assicurativo del 1° e 2° pilastro. Il sistema svizzero dei 3 pilastri Il sistema previdenziale svizzero è composto da 3 pilastri: la previdenza statale, quella professionale e quella privata. Il 1° pilastro, l’AVS (Assicurazione per la vecchiaia, i superstiti e l’invalidità), garantisce il minimo vitale durante la vecchiaia o in caso di de-

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cesso e di invalidità. In linea di principio tutte le persone che lavorano e vivono in Svizzera sono coperte dal 1° pilastro previdenziale Il 2° pilastro, la previdenza professionale (LPP), si propone di mantenere invariato il tenore di vita abituale nella vecchiaia. Nel linguaggio comune viene chiamata spesso anche «cassa pensione». La previdenza professionale ha come obiettivo quello di integrare le prestazioni dell’AVS/AI durante la vecchiaia, in caso di invalidità e di decesso e di garantire che possa essere mantenuto il tenore di vita abituale. Ogni lavoratore dipendente con un reddito superiore al salario annuo soggetto all’AVS (salario annuo minimo ai sensi della LPP) è assicurato dalla cassa pensione scelta dal datore di lavoro, che detrae automaticamente i contributi LPP. Sia il 1° che il 2° pilastro sono obbligatori. Il 3° pilastro è facoltativo. Si tratta di un complemento volontario alle pre-

stazioni dell’AVS/AI e della previdenza professionale. Consente di costituire una previdenza privata con cui tutelarsi per la vecchiaia, ma anche risparmiare sulle imposte e assicurare rischi quali decesso e incapacità di guadagno. Il 3° pilastro è composto dalla previdenza vincolata 3a nonché dalla previdenza libera 3b. I contributi alla previdenza vincolata 3a sono fiscalmente agevolati e possono essere dedotti dal reddito imponibile fino a un determinato importo massimo. Risparmiare sulle imposte e provvedere alla terza età L’obiettivo del 3° pilastro non è solo quello di colmare eventuali lacune previdenziali che non sono coperte dalla rendita AVS/AI e dalla rendita LPP. Propone inoltre di consentire il soddisfacimento dei propri desideri per vivere la terza età in piena libertà di scelta. Ed è qui che rientra il tema del risparmio sulle imposte. Il 3° pilastro si suddivide in previdenza vincolata 3a e previdenza libera 3b. I versamenti nella previdenza 3a vengono detratti direttamente dal reddito imponibile. La previdenza libera 3b permette di beneficiare di agevolazioni fiscali solo a determinate condizioni. Ci sono diverse modalità per risparmiare sulle imposte con una soluzione del pilastro 3a. Ad esempio è possibile dedurre dal reddito imponibile i contributi versati nella previdenza vincolata 3a fino a un determinato importo massimo. Ma esistono anche altri modi per


AZIENDE / SWISS LIFE

risparmiare sulle imposte con il pilastro 3a. Nel corso della durata, ad esempio, i proventi (interessi ed eccedenze) sono esenti dall’imposta sul reddito. I versamenti anticipati di capitale vengono tassati applicando un’aliquota speciale ridotta. Inoltre, il capitale previdenziale accumulato non è soggetto all’imposta sulla sostanza. Anche la previdenza libera 3b offre possibilità di risparmio fiscale. Sono ad esempio esenti da imposte sul reddito le assicurazioni sulla vita con finanziamento periodico e formazione di capitale, nonché le polizze a premio unico. A differenza delle rendite di vecchiaia versate dal pilastro 3a, che vengono tassate al 100%, le rendite della previdenza libera 3b sono tassate solo al 40%.

re la situazione attuale e gli obbiettivi finanziari del cliente. Vengono tenuti in considerazione tutti i temi importanti come l’ottimizzazione delle prestazioni previdenziali, la data del pensionamento, la verifica della sostenibilità finanziaria dell’abitazione di proprietà e possibili ottimizzazioni fiscali. Così riusciamo a fare dei calcoli fatti su misura per pianificazione finanziaria del cliente. Per realizzare gli obbiettivi, Swiss Life segue il cliente negli anni a venire, dato che ci può sempre essere un eventuale mutamento delle esigenze personali.

La pianificazione finanziaria offre una panoramica sulla situazione attuale. Non dimentichiamoci di eventi inattesi come malattia e infortuni Le assicurazioni di rischio proteggono noi e i nostri cari dalle conseguenze finanziarie legate a un’incapacità di guadagno in seguito a malattia o infortunio, nel caso in cui si necessiti di cure o in caso di decesso. Ci sono varie opzioni. Con un’assicurazione in caso di decesso per esempio, si stabilisce un ammontare di capitale in caso di morte. Cosi si tutela finanziariamente la famiglia o gli altri beneficiari. È possibile aggiungere al caso di decesso un’assicurazione in caso di incapacità al guadagno. Questo prodotto versa una rendita se viene presentata un’incapacità di guadagno in seguito a infortunio o a malattia. L’ammontare della prestazione dipende dal grado d’incapacità di guadagno e dalla prestazione assicurata. Infine, si può scegliere anche un’assicurazione di rendita in caso di necessità di cure. In caso di Swiss life, questo prodotto offre un’unica combinazione tra rendita e servizi di assistenza. Garantiamo la indipendenza finanziaria del cliente e assicuriamo il tenore di vita desiderato in caso di cura.

Il 3° pilastro permette agevolazioni fiscali La pianificazione finanziaria è strategica per la previdenza privata La pianificazione delle finanze per la terza età aiuta a capire le proprie esigenze, e a crearsi una panoramica sull’andamento delle entrate, delle uscite e del patrimonio. Per questo tipo di strategia Swiss Life offre la cosiddetta “pianificazione finanziaria”. Nel corso di un colloquio personale i nostri esperti si occupano di analizzaTICINO WELCOME / MAR - MAG 2021

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AZIENDE / SWISS LIFE

Chi prima arriva, meglio alloggia Una cosa è certa: le rendite versate dal 1° pilastro e spesso anche dal 2° pilastro non bastano oggi a mantenere inalterato il tenore di vita abituale durante la vecchiaia. Per vivere una vita in piena libertà di scelta bisogna non solo effettuare versamenti in una previdenza privata del 3° pilastro, ma anche concretizzare i propri bisogni e riflettere sulla situazione finanziaria attuale. Una pianificazione finanziaria aiuta a capire le proprie possibilità finanziarie, a tener d’occhio i rischi che possono manifestarsi in futuro e a schiarire le idee sul da farsi. Per vivere in piena libertà di scelta bisogna riflettere sul futuro. Una storia di successo con oltre 100 anni di esperienza Swiss Life si è trasformata in un’azienda che concentra la propria strategia su concetti di consulenza e accompagnamento. Oggigiorno la cosa più importante non è il prodotto, bensì verificare se la copertura assicurativa del prodotto è conforme alle esigenze e ai rischi reali dei clienti. È auspicabile analizzare la situazione previdenziale del cliente a tempo debito, per poter gettare le basi per un futuro tranquillo. Swiss Life offre una gamma di prodotti adatti a questo tipo di consulenza come per esempio la pianificazione del pensionamento o finanziaria. Questi tipi di prodotti servono a determinare la tranquillità finanziaria dei clienti. Inoltre, mettiamo a disposizione un ampio know how nel settore immobiliare. I nostri esperti accompagnano i nostri clienti in piena sicurezza dalla scelta dell’immobile, all’assistenza ipotecaria, fino alla firma del contratto di compravendita. Verso un futuro propenso alla digitalizzazione e alla longevità Il futuro della vita nella fase della terza età sta già subendo un processo di totale cambiamento. Questo grazie anche ad una nuova generazione pro-

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pensa alla digitalizzazione. Affinché le nuove opportunità di organizzazione della vita possano essere opportunamente sfruttate, bisogna riflettere su questo punto. Inoltre, il coronavirus ha e continua a limitare la nostra vita quotidiana in modo considerevole. Questa malattia ci impone una situazione attuale caratterizzata da molta incertezza. La nostra vita può cambiare da un giorno all’altro. Questo ci pone di fronte a nuove sfide e solleva numerose domande. A maggior ragione una consulenza personalizzata è indispensabile per continuare a godere di una buona copertura assicurativa e vivere la vita in piena libertà di scelta. Ma a essere chiamata all’impegno non è solo la società: infatti anche le condizioni economiche e politiche devono essere adeguate all’era della longevità. Per poter vivere domani non solo più a lungo ma anche bene. Swiss Life si confronta in modo approfondito con queste tematiche e desidera farsi promotrice di un dibattito approfondito a questo proposito. Offriamo i nostri servizi in piena sicurezza in tutta la svizzera italiana La situazione attuale ci pone di fronte a nuove sfide e solleva numerose domande soprattutto da parte dei nostri clienti: Quali prestazioni ho assicurato? Quali ripercussioni hanno le attuali turbolenze sui mercati finanziari sul mio prodotto? Swiss Life fornisce le risposte, sfruttando le opportunità che

ci offrono le nuove tecnologie. Siamo lieti di rispondere a tutte le domande. Venite a trovarci nell’Agenzia Generale della Svizzera italiana a Lugano o in uno dei nostri uffici di Bellinzona, Locarno o Chiasso. I nostri esperti saranno lieti di accogliervi anche a Biasca, Pregassona, Manno e Grono. L’Agenzia Generale della Svizzera Italiana è divisa in quattro gruppi, ognuno con un responsabile delle vendite. Il nostro obiettivo è essere vicini ai nostri clienti, per garantire competenza e massima professionalità. A tal fine, mettiamo a vostra disposizione in ogni ramo previdenziale specialisti per una previdenza a 360 gradi. Cogliete l’occasione per prendere un appuntamento con uno dei nostri specialisti oggi stesso. Saremo felici di essere a vostra disposizione.

SWISS LIFE AGENZIA GENERALE SVIZZERA ITALIANA Roberto Russi (Agente generale) Via Pietro Peri 18 CH-6900 Lugano +41 (0)91 911 99 11


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AZIENDE / V-ZUG

PASSIONE PER I DETTAGLI

L’

innovazione costituisce da sempre uno dei principali punti di forza di V-ZUG… «Da oltre un secolo il nostro impegno è quello di offrire elettrodomestici innovativi e di elevato livello qualitativo. Qualunque sia la necessità, V-ZUG garantisce elettrodomestici superiori alla media. In quanto leader di mercato in Svizzera, ci identifichiamo nei valori nazionali, esportati in tutto il mondo. È questo ciò che intendiamo con il motto «La perfezione svizzera a casa vostra». Ancora oggi infatti il nostro marchio rappresenta la fierezza delle origini: «V» significa «Verzinkerei», per ricordare la nostra storia di zincatori, e «ZUG» richiama l'appartenenza alla regione di Zugo e alla Svizzera in generale».

Da sinistra: Luca Fochetti e Eros Mercolli

AZIENDA LEADER NEL MERCATO DEGLI ELETTRODOMESTICI, V-ZUG LANCIA EXCELLENCE LINE, IL SEGMENTO DI PRODOTTI RIVOLTI AI CLIENTI PIÙ ESIGENTI IN FATTO DI DESIGN, FUNZIONALITÀ, EFFICIENZA ENERGETICA, SOLIDITÀ, LONGEVITÀ E PRESTAZIONI. CE NE PARLANO EROS MERCOLLI E LUCA FOCHETTI, ACCOUNT MANAGERS PER TICINO E MOESANO DI V-ZUG.

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Quali caratteristiche contraddistinguono gli elettrodomestici Excellence Line? «I prodotti di questa linea sono innovativi, precisi, affidabili. Con i loro materiali di pregio e la purezza del design, questi elettrodomestici si integrano perfettamente in ogni cucina. Per esempio, con i nuovi forni tradizionali e a vapore della Excellence Line, dal 1° marzo 2021 effettueremo il più grande cambiamento di generazione di elettrodomestici. Questi prodotti termici sono apprezzati per il loro sistema di comando completamente nuovo, il design purista e frontali con vetro a specchio». Un’attenzione particolare è stata posta al design di questi prodotti…


«Il design per noi è l’arte di combinare funzionalità ed estetica per creare un’esperienza d’uso positiva. L’interazione con i nostri apparecchi è naturale e intuitiva: all’utente bastano pochi comandi per ottenere l’impostazione

corretta. Tutto ciò lo esprimiamo con il concetto di «simplexity». L’utilizzo è semplificato anche grazie a un display accattivante che guida l’utente nella scelta delle impostazioni. Gli elementi che caratterizzano il nostro design sono alta qualità, eleganza, atemporalità, swissness e integrabilità. Poiché i nostri apparecchi sono sinonimo di qualità e longevità, anche il design deve convincere a lungo nel tempo. Questo approccio include anche la scelta dei materiali: anche in questo caso privilegiamo la qualità e utilizziamo esclusivamente solo materiali nobili». V-ZUG ha scelto la protezione dell’ambiente come proprio obbiettivo prioritario… «Assolutamente sì. Consideriamo nostra precisa responsabilità impegnarci a livello locale e internazionale per un’economia, una società e un ambiente sostenibili. Gli elettrodomestici costituiscono infatti una voce significativa nel consumo giornaliero di energia e acqua, di conseguenza l’efficienza rappresenta un elemento importante nella decisione di acquisto. Investire in una dei nostri modernissi-

mi prodotti significa risparmiare ogni giorno risorse preziose. Anche per questo abbiamo inserito tutta una serie di funzioni che consentono di verificare direttamente il consumo di corrente e acqua degli elettrodomestici e di utilizzare con consapevolezza i programmi per il risparmio». Questa sostenibilità consapevole inizia già in fase di produzione? «Infatti. Nel nostro stabilimento di Zugo perseguiamo l’ambizioso obiettivo di ridurre continuamente le emissioni CO2. E siamo sulla buona strada: già oggi infatti l’energia necessaria alla produzione viene ricavata al 100% da una fonte rinnovabile come l’idroelettrico. E nel centro logistico ZUGgate gestiamo uno degli impianti fotovoltaici privati più grandi del Cantone: insieme ad altre misure di risparmio energetico, questo rende l’intero complesso energeticamente autosufficiente ed ecologico».

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AZIENDE / LICEO EVEREST ACADEMY LUGANO

LA SCUOLA CHE ERA GIÀ OLTRE IL DIRETTORE, MARCO MESCHINI, PRESENTA EVEREST ACADEMY, UN ISTITUTO CHE PER MOLTI ASPETTI HA SAPUTO DISTINGUERSI NEL PANORAMA DEGLI STUDI LICEALI.

E

verest Academy è nota per l’innovazione dal punto di vista tecnologico in ambito scolastico: quali ne sono gli elementi di maggior spicco? «Direi le lezioni in realtà virtuale ma, a livello quotidiano, sono fondamentali gli iPad gestiti dal Liceo: con un unico device si risolvono molti problemi, come l’accesso immediato a informazioni e materiali. E naturalmente in un ambiente protetto, nel senso che gli studenti accedono solo ad App e siti autorizzati, dunque riducendo praticamente a 0 le distrazioni. Né va dimenticato il peso – infinitamente inferiore – di cui si caricano le spalle degli studenti».

I

l Ticino è, in molti campi, un luogo di innovazione. Una terra crocevia tra il nord e il sud, e non solo in termini economici e finanziari, ma anche di ricerca e sviluppo in molti campi. E lo è anche nel settore della formazione, dove per esempio il polo universitario, di recente costituzione, sta dando grande spinta propulsiva al territorio. Ma, in questo settore chiave per il futuro delle giovani generazioni e del territorio, c’è un’altra realtà che, ormai da un decennio, sta portando una ventata di novità e aria fresca: si tratta del Liceo Everest Academy Lugano, che dal 2011 prepara studenti e studentesse per la Maturità Federale.

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Ma esistono materiali di studio ad hoc? «Nel quadro del programma federale, i nostri materiali – statici e dinamici, inte-

rattivi e adattivi – sono per la maggior parte generati dai nostri docenti. Con un grande vantaggio competitivo: sono materiali, percorsi e metodi didattici con un design unitario. Dunque non un collage mal composto di elementi disparati, ma un insieme ordinato e finalizzato. È per questo che i nostri docenti vengono selezionati e formati con cura: perché tutto ciò non si può improvvisare, ma è frutto di due elementi imprescindibili: qualità personali e formazione costante». Ed è anche di un sistema efficace? «Guardi, uno dei problemi principali di ogni studente è questo: quando decido di studiare, dove trovo i materiali su cui lavorare, e cosa devo fare? Everest Academy ha risposto centralizzando il tutto in un unico luogo virtuale: con un solo click, i nostri studenti accedono praticamente a tutto ciò che serve loro, cosicché il tempo e le energie, quando vengono attivate, sono immediatamente finalizzate. Idem per le comunicazioni scuola-famiglia: all’inizio del nostro percorso quadriennale, studente e famiglia ricevono un link unico dal quale accederanno a tutte le informazioni che li riguardano: calendario e orario, note, pagelle, comunicazioni, registro didattico e altro ancora. E quest’anno abbiamo integrato una novità unica nel suo genere, l’archivio digitale delle verifiche». Di cosa si tratta? «Per gli studenti poter capire in dettaglio cosa hanno imparato e cosa invece necessita di ulteriore studio è fondamentale. Dunque abbiamo creato un sistema con cui accedere via web allo “storico” delle verifiche.


AZIENDE / LICEO EVEREST ACADEMY LUGANO

Insomma, è possibile re-imparare (anche) dai propri errori – naturalmente, adeguatamente corretti». Come avete reagito durante il lockdown per il Covid? Questa impostazione vi ha aiutato? «L’Academy è stata fondata nel 2011 e, fin da allora, ha scommesso fortemente sul digitale e così, senza saperlo, ci stavamo già preparando anche a questo scenario drammatico. In tal senso la sfida è stata affrontata e superata direi brillantemente: è stato sufficiente integrare una piattaforma di videolezioni live, perché il resto era già pronto. Dunque abbiamo continuato a svolgere lezioni regolari, a verificare conoscenze e competenze acquisite e validarle alla fine dell’anno con gli esami finali. Insomma, anche se è stato molto impegnativo, abbiamo superato la prova con energia e con la voglia di migliorare ancora».

In che senso? «Alla ripresa delle lezioni in presenza, abbiamo capito subito che una eventuale assenza per Covid avrebbe causato agli studenti una perdita grave in termini di progresso degli studi. Così abbiamo integrato nelle aule sistemi avanzati di videoconferenza, consentendo ai ragazzi di seguire anche da casa il 100% delle lezioni. E la cosa è tornata più che utile anche nei casi più semplici, come un raffreddore o una storta. L’obiettivo è ridurre il più possibile l’impatto delle “assenze in presenza”, che diventano così “presenze in digitale”». Insomma il digitale è la chiave? «Sì, nel senso che è il “linguaggio” di oggi e di domani, e penso che il mondo della formazione debba essere al passo con i tempi. No, invece, se pensassimo che sia una panacea assoluta. Perché il digitale dia frutti è infatti ne-

cessaria, anzitutto, una forte presenza umana. È per questo che le nostre classi ospitano un numero limitato di studenti (di solito 12): perché il rapporto umano tra studenti e docenti sia qualificante, e sostenuto anche da una specifica attività di coaching. E anche perché, per immaginare il futuro, bisogna essere consci del passato e vivere a fondo il presente: insomma, solo fondendo con tocco umano la migliore tradizione con la più avanzata innovazione è possibile trovare l’equilibrio che ci consente di crescere davvero, dentro le sfide della vita».

everest academy l ug a no www.everest-lugano.ch


AZIENDE / HELI REZIA

RENATO BELLOLI, DIRETTORE, E GIANNI TESTA, HEAD OF TRAINING, PRESENTANO L’ATTIVITÀ DI HELI REZIA, SPECIALIZZATA IN OGNI GENERE DI INTERVENTO E DI TRASPORTO DI PERSONE E MERCI, UTILIZZANDO LA PROPRIA FLOTTA DI ELICOTTERI.

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INESAURIBILE PASSIONE PER IL VOLO


AZIENDE / HELI REZIA

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ome è nata l’idea di costituire Heli Rezia? «La società nasce nel 1989 da un gruppo di imprenditori e di professionisti del mondo dell’ala rotante. Negli anni abbiamo affinato tecniche e capacità di muoverci sul mercato dedicato, sia esso relativo al lavoro aereo, alla scuola, al trasporto passeggeri, alla manutenzione, ai servizi speciali. Abbiamo la nostra sede principale ad Ambrì, ai piedi del San Gottardo; inoltre, siamo alle porte di Bellinzona con la base di San Vittore; nei pressi del lago Lemano con la base di Leysin e per l’apertura verso l’Europa con la base di Guanzate (CO)».

mato in base a specifiche richieste. Dai laghi ai ghiacciai passando per le valli e le vette più belle proponiamo un’ampia selezione di spettacolari destinazioni. Così, per esempio, si può decollare dalla base di Ambrì, sorvolare la regione Nufenen e AletschArena e atterrare sul ghiacciaio dell’Aletsch ai piedi dell’os-

servatorio della Jungfraujoch a 3.450 metri slm. Oppure si possono raggiungere l’Unterrothorn o il Testa Grigia, ai piedi del Matterhorn/Cervino. E, ancora, decollando dalla base di San Vittore, proponiamo un volo panoramico sul lago Maggiore o Ceresio, con atterraggio al grotto o ristorante per pranzo o cena. Naturalmente è poi sempre possibile raggiungere destinazioni come Lugano, Berna, CransMontana, Ginevra, Gstaad, Sion, Altenrhein (St. Gallo), Samedan (St. Moritz), Zermatt, Raron o Zurigo. Qualora ci sia richiesto, possiamo offrire l’impiego di elicotteri bimotore con allestimento in configurazione VIP e idoneità al volo strumentale». Che cos’è La scuola volo Heli Rezia/Avilù? «Il progetto nasce dalla volontà di due società ticinesi, leader nel settore, di mettere assieme le reciproche conoscenze ed esperienze acquisite nel cor

Quali sono i principali servizi che garantite con i vostri elicotteri? «Disponendo di 3 AS350B3 di ultima generazione offriamo un ventaglio completo per poter soddisfare, oltre ai voli passeggeri ed ai variegati lavori di trasporto al gancio, ogni singola e particolare richiesta. Ad esempio: operazioni di volo speciali, lotta agli incendi di bosco, cantieristica, sport, formazione professionale, ecc.». I voli passeggeri costituiscono il vostro fiore all’occhiello… «Qualunque sia l’esigenza del cliente, per ragioni professionali, di lavoro o di piacere, siamo sempre in grado di organizzare un volo in elicottero programTICINO WELCOME / MAR - MAG 2021

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AZIENDE / HELI REZIA

so degli anni per la formazione professionale dei futuri piloti. Heli Rezia vanta infatti oltre 30 anni di attività nel campo dei servizi aerei con elicotteri, mentre Avilù ha un’esperienza ultraventennale di alto livello nella formazione di piloti d’aeroplano. Questa partnership è riunita in una scuola volo ATO (Approved Training Organisation) riconosciuta dall’Ufficio Federale dell’Aviazione Civile (UFAC) in base alle norme europee EASA. Presso la nostra organizzazione è possibile ottenere le licenze di volo dal pilota di elicottero privato al commerciale, ai relativi Type Rating e all’estensione per gli atterraggi in montagna sopra i 1’100 metri, basate sulle più aggiornate e recenti norme elvetiche ed europee, grazie alla grande esperienza di volo degli istruttori presenti in grado di condurre i corsi in 7 lingue. Si vuole condividere anche l’ebbrezza e la bellezza del volo con professionisti di altri settori che non intendono conse-

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guire la licenza, con dei voli in doppio comando e con dei corsi tipo pilota per un giorno, in modo di rendere accessibile a tutti questo affascinante mondo. La direzione della scuola è stata affidata ad un pilota di grandissima esperienza come Gianni Testa, che vanta oltre 16.500 ore di volo alla guida di jet e 6.500 ore su elicotteri mono e plurimotori IFR. Gianni Testa è inoltre istruttore per il volo in montagna ed esaminatore federale».

stre sedi di Agno e San Vittore, in un ambiente famigliare e a stretto contatto con l’attività aviatoria. Per la formazione pratica dei piloti impieghiamo elicotteri del tipo Guimbal Cabri G2 oppure AS350B2 Ecureuil. Sotto la ATO oltre alla formazione di pilota d’elicottero si possono seguire altre formazioni specifiche di perfezionamento o licenze per pilota d’aereo, mongolfiera e nautica. Disponiamo di istruttori di grande esperienza in ogni settore».

Come è organizzata questa scuola di volo? «La formazione per ottenere la licenza di pilota privato di elicottero comporta una parte teorica e una parte pratica. La durata del periodo di formazione dipende dalla disponibilità di tempo dell’allievo. Esperienze dimostrano che è possibile completare la formazione in un lasso di tempo variabile tra 6 e 24 mesi. La pratica di volo e i corsi teorici si tengono principalmente presso le no-

Qual è l’età minima per iniziare una formazione come pilota? «È necessario avere almeno 17 anni per presentarsi all’esame di pilota privato e almeno 18 per quello di pilota commerciale. La formazione può iniziare comunque già prima. Il primo volo solo, senza istruttore a bordo, può avvenire esclusivamente dopo il compimento dei 16 anni». www.helirezia.ch


AZIENDE / STRP SOCIETÀ TICINESE DI RELAZIONI PUBBLICHE

SULLE CIME DA OLTRE 100 ANNI

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elebrare il 130° anniversario del primo impianto di risalita turistico di tutto il Ticino proprio nel 2020 è stato – malgrado la pandemia di coronavirus e le limitazioni – un traguardo, anche perché non è mai venuta meno la voglia di continuare a offrire attività di vario tipo, oltre al panorama mozzafiato dal monte simbolo di Lugano, conosciuto come il Pan di zucchero della Svizzera.

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ome fate a suscitare continuamente interesse? «Per una meta come la nostra è fondamentale la diversificazione dell’offerta di destinazione: un intento che negli anni è stato portato avanti, tramite numerosi mezzi e misure, proponendo iniziative di carattere temporaneo e permanente. Anche l’anniversario del 130° ha potuto godere di svariati eventi duranti i quali siamo riusciti con determinazione a concretizzare i nostri progetti. Con la diversificazione, appunto, ri-

teniamo di costituire una piattaforma ideale che permetta di divulgare i valori e le eccellenze che la nostra regione sa offrire a un pubblico trasversale. Tutto quello che realizziamo è quindi sempre correlato con il nostro territorio, la montagna, l’impianto di risalita, la storia del monte, il panorama. Inoltre le nostre attività rispecchiano evidentemente la volontà di dimostrare all’ospite cura nei dettagli, professionalità, accoglienza, dinamicità e creatività».

DI AMANDA PRADA

Avete messo in atto collaborazioni a tutto campo, esplorando ambiti e sinergie, per esempio con il Conservatorio della Svizzera italiana per il concerto all’alba d’estate… «Da sempre siamo aperti a valutare proposte di collaborazione con enti pubblici e privati. In questo senso nel tempo abbiamo presentato iniziative esclusive con interlocutori diversi sia per un pubblico di adulti sia per bambini e famiglie».

continuato a garantire un’apprezzata offerta ai nostri ospiti, mantenendo nel periodo invernale l’accessibilità alla vetta in funicolare più il servizio d’asporto per il ristorante».

Nella lunga storia della funicolare per la prima volta a dicembre 2019 avete lanciato l’apertura invernale. «È stata una vera e propria novità strategica che ha fornito riscontri andati oltre ogni più rosea aspettativa, a dimostrazione del fatto che la lungimiranza, il coraggio e lo spirito dinamico orientato al mercato che la nostra società ha saputo dimostrare sono stati paganti. I riscontri quantitativi e qualitativi ci hanno dato ragione. Purtroppo l’apertura invernale 2020-2021 è stata pesantemente condizionata dalle chiusure forzate che hanno visto in particolare la ristorazione soffrire della situazione; tuttavia abbiamo

INCONTRO CON FELICE PELLEGRINI, DIRETTORE DELLA FUNICOLARE DEL MONTE SAN SALVATORE E MEMBRO DELLA STRP-SOCIETÀ TICINESE DI RELAZIONI PUBBLICHE DA OLTRE 35 ANNI, CHE HA LAVORATO, PRIMA DI APPRODARE AL SETTORE TURISTICO, IN QUELLO FARMACEUTICO E BANCARIO, CON ESPERIENZE ALL’ESTERO FIN DA GIOVANISSIMO.

Come gestite la “coabitazione” con le altre vette del nostro territorio e, in particolare, con quelle più vicine? «Storicamente la nostra è una società anonima privata, ma di pubblica utilità. Non godiamo di sostegni dell’ente pubblico per la gestione corrente e sappiamo cosa significhi il rischio imprenditoriale. Nel corso degli anni abbiamo effettuato importanti investimenti sull’impianto e sulle imprese accessorie. Il San Salvatore, simbolo di Lugano per antonomasia, è conosciuto anche come il “Top of Lugano” e turisticamente è un reale valore aggiunto per la nostra regione. Con la nostra offerta ci inseriamo in maniera complementare agli altri prestatori di servizio sul territorio».

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AZIENDE / ANTON ALIKHANOV

VISITA ALL’INCOMPIUTA CASA DEI SOVIET DI KALININGRAD IN COMPAGNIA DEL GOVERNATORE DELLA REGIONE ANTON ALIKHANOV. PROSPETTIVE E AMBIZIONI ECONOMICHE DELL’EXCLAVE RUSSA NEL CENTRO D’EUROPA. DI FABIANA TESTORI

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ramai al calar della sera fa freddo e io ho dimenticato i guanti. Cerco di ritrovare l’acciottolato, fiocamente illuminato, che mi conduce alla Casa dei Soviet, attorno a me, i recenti scavi che hanno riportato alla luce le fondamenta del maestoso castello di Königsberg. Davanti a me invece, avvolto in una nebbia sottile, si erge il “Robot sepolto”, è così che viene chiamato l’imponente palazzo, oggi fatiscente e mai terminato, che, nel periodo sovietico avrebbe dovuto ospitare gli uffici governativi della regione di Kaliningrad. La sua costruzione iniziò nel 1967 proprio sulle rovine del catello prussiano raso al suolo dai bombardamenti inglesi durante la Seconda Guerra Mondiale, ma non venne mai conclusa, prima per mancanza di soldi, in seguito per la dissoluzione dell’Unione Sovietica. Nato dall’idea dell’architetto ucraino Yulian Shvartsbreim, il cui progetto prevedeva 28 piani di cui però solo 21 furono completati, la Casa dei Soviet di Kaliningrad domina gran parte della città e rappresenta un tipico esempio di architettura brutalista sovietica. Ai piedi del “Robot”, il Goveratore Anton Alikhanov mi sta aspettando. Ha accettato di assecondare la mia cu-

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LA RUSSIA CHE VORREI riosità e di realizzare l’intervista durante la visita della Casa dei Soviet. Con lui, oltre all’autista, che lo aspetterà a bordo di un furgoncino nero, c`è il guardiano del sito, oramai inaccessibile, un po’ per le pessime condizioni del palazzo, un po’ perché i lavori di abbattimento cominceranno a breve, e Andrey Tolmachev, Direttore generale della Corporazione dedita allo sviluppo della regione, il quale segue da vicino i lavori di trasformazione della struttura previsti per quest’anno. Il progetto relativo alla Casa dei Soviet riflette bene l’ondata di cambiamento che da qualche anno sta investendo la regione, cioè da quando alla sua testa siede il giovane Governatore Anton Alikhanov, classe 1986. Nominato direttamente dal Presidente Putin in qualità di Governatore ad interim nel 2016 all’età di 30 anni (allora il più giovane di tutta la Federazione Russa), Anton Alikhanov è stato ufficialmente riconfermato dalla popolazione di Kaliningrad un anno dopo, ottenendo ben l’81% delle preferenze. Il giovane Governatore, per anno di nascita e per il sangue che gli scorre nelle vene, incarna l’essenza stessa,

multiculturale e multietnica, tipica di quella che fu l’Unione Sovietica e che, ancora oggi, è la Russia. Di radici, da parte di madre, russe e georgiane e, da quella di padre, russe (discendente dei Cosacchi del Don) e greche (Greci del Ponto), Anton Alikhanov è nato a Sukhumi, sul Mar Nero, nell’allora Repubblica socialista sovietica autonoma di Abkhazia. I moti nazionalisti successivi alla dissoluzione dell’URSS, soprattutto nella zona del Caucaso e il loro sfociare in molteplici conflitti, fra cui appunto la sanguinosa guerra georgiano-abcasa del 1992, obbligarono la famiglia Alikhanov a fuggire frettolosamente a Mosca in cerca di riparo. Il Governatore di Kaliningrad non è un politico della “nomenklatura”, non appartiene all’establishment e non si è appoggiato su nomi altisonanti della classe politica russa per la sua ascesa professionale e politica. Al contrario, propone un’immagine di sé progressista, dinamica e innovatrice. Fin dall’infanzia, nella follia di Mosca e della Russia degli anni ‘90, il suo percorso non può considerarsi privilegiato. Arrivata nella capitale, la fami-


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erché dopo aver concluso egregiamente gli studi proprio la scelta dello Stato e non una carriera nel settore privato? «Ho semplicemente deciso di tentare, di cominciare dallo Stato. La possibilità di cambiare eventualmente direzione l’avrei sempre avuta, ma già dopo i primi tempi ho capito che ciò che stavo facendo mi piaceva. Progressivamente, avanzavo. Dal Ministero di Giustizia sono passato a quello dell’Industria e del Commercio, poi è arrivata la proposta di venire a Kaliningrad, di rendermi utile qui. L’aspetto salariale, inizialmente magari più allettante nel settore privato, non è mai stato preponderante nelle mie scelte, per me era più importante fare, adempiere a qualcosa di valido».

glia Alikhanov è stata obbligata a ricominciare da zero, con pochi mezzi e ancor meno certezze. Si dice che il giovane Anton studiasse e si allenasse nelle arti marziali giorno e notte. La sua caparbietà e la sua risolutezza lo hanno guidato fino alla carica di Governatore di Kaliningrad. Menzionato l’anno scorso nella lista dei 127 leader con meno di 40 anni impegnati a cambiare il mondo stilata dal WEF (Young Global Leaders), Anton Alikhanov vanta un curriculum notevole. Laureato in finanza e giurisprudenza presso l’Università di finanza del Governo della Federazione Russa di Mosca, ha immediatamente cominciato a lavorare in seno al Ministero della Giustizia. Nel 2012 ha discusso la tesi di dottorato in economia. Dal 2013 è nominato prima Vicedirettore, poi Direttore, all’interno del Ministero dell’Industria e del Commercio per le questioni relative agli scambi commerciali con l’estero. Nel 2015, poco prima di essere assegnato all’estremo ovest della Federazione, Anton Alikhanov diventa membro del sottocomitato per la politica commerciale del Consiglio consultivo commerciale della Commissione economica eurasiatica.

Ambizioso e perfezionista, il giovane originario di Sukhumi è recentemente entrato a far parte della classifica dei 20 migliori governatori della Federazione Russa (sono 85 in totale) e fra i primi 10 della cosiddetta nouvelle vague della politica del grande paese, per la sua vicinanza ai cittadini, per la velocità di risoluzione dei problemi e l’efficienza nella gestione del lavoro. Energia, determinazione, fermezza sono tratti che riconosco mentre saliamo le scale dei 21 piani di una delle torri della Casa dei Soviet. Fra una domanda e l’altra Anton Alikhanov si assicura che io non metta un piede in fallo, che la torcia del suo e del cellulare di Andrey Tolmachev riescano ad illuminare perfettamente il percorso che dobbiamo percorrere fino alla cima, così che io non debba preoccuparmi di nulla. Ed è così che abbiamo parlato del suo lavoro, della Russia di oggi e soprattutto del futuro della regione di Kaliningrad. Lui che si sposta in bicicletta, preferisce muoversi senza guardie del corpo, suona la chitarra quando vuole rilassarsi e non si sottrae mai se qualche cittadino lo interpella per la strada, non ha avuto esitazione nel rispondere a domande dirette sul suo percorso e le sue scelte di vita:

Grinta e sicurezza sembrano essere tratti marcanti del suo carattere. Alla domanda come diventare Governatore a 30 anni, risponde: «Vuoi diventare Governatore? Diventa Governatore» come se fosse una semplice questione di volontà…. «Evidentemente non si tratta semplicemente di forza di volontà. Altrettanto rilevanti sono elementi quali la fortuna e le coincidenze, ma nessun traguardo, nessun livello si può raggiungere senza passione e ambizione nel voler crescere, avanzare e mostrare il risultato. La sola ambizione è insufficiente e proprio per questo è importante costruire delle fondamenta solide, come una formazione appropriata. Per quanto riguarda il mio lavoro è essenziale lavorare sodo e bene, costantemente. La professionalità paga sempre». Nelle sue parole non sembrano esserci tentennamenti. Quanto l’esperienza di dover abbandonare la propria città natale, il crollo disastroso dell’URSS, la disperazione degli anni ‘90 e le conseguenti privazioni nella vita quotidiana hanno influenzato il suo sguardo sul futuro? TICINO WELCOME / MAR - MAG 2021

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«Sono convinto del fatto che più difficoltà una persona attraversa, più queste la renderanno forte. Nella formazione della mia personalità, del mio carattere, la mia infanzia non facilissima, è stata certamente incisiva. Ancora di più però sono state per me le esperienze vissute dai miei genitori. A trent’anni passati sono stati obbligati a lasciare tutto, a ricominciare da zero a Mosca in un momento storico durissimo per la Russia. E ce l’hanno fatta. Professionalmente hanno ritrovato il successo che avevano già prima di partire dall’Abkhazia. Loro sono stati per me un esempio importantissimo di come non arrendersi mai. Indipendentemente dalle avversità che la vita può presentare, è sempre possibile rimettersi in pari». Sukhumi-Mosca-Kaliningrad. Oltre al successo personale ottenuto alle elezioni regionali nel 2017, è innegabile che dal suo arrivo a Kaliningrad le migliorie siano state molte. .. «Non si deve pensare che i progetti realizzati a Kaliningrad negli ultimi anni siano nuovi. Si tratta di idee e piani esistenti da decenni. La maggioranza di essi rimonta agli anni ‘90 o agli anni 2000. Noi ci siamo limitati a metterli in pratica, ad attuarli. Dell’idea di rilanciare la SEZ, la zona economica a statuto speciale oppure quella di creare una zona offshore (SAR), si discuteva da molto tempo. Noi abbiamo fatto delle proposte e siamo stati sostenuti. Scherzo spesso sul fatto che a Kaliningrad è difficile essere “creativi”. Tanti progetti formulati nel passato sono rimasti sulla carta molto tempo prima di vedere la luce. Da parte mia, ho semplicemente avuto sufficiente convinzione, sicurezza e fede per concretizzarli. Evidentemente, si è trattato di un processo in cui l’appoggio del Presidente e del Governo regionale sono stati fondamentali. Ora è importante portare a termine tutto ciò che ci siamo prefissati già prima delle elezioni, come la costruzione del Centro oncologico, dell’Ospe-

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dale infantile regionale, l’ammodernamento di attrezzature e macchinari per gli ospedali, ma anche la realizzazione di strade e ponti particolarmente rilevanti per migliorare la circolazione viaria e ancora i parchi industriali, dove ottimizzare produzione, logistica, trasporti e processi di lavorazione». Kaliningrad ha fra i suoi obiettivi anche quello di attirare investitori e residenti stranieri, i quali, stabilendosi e sviluppando le proprie attività nella regione possono beneficiare di numerosi vantaggi, quali i più interessanti? «I rapporti fra Kaliningrad e gli stranieri e, in particolare, con i nostri vicini europei, sono di vecchia data. Molte aziende estere lavorano nella nostra regione da anni, penso alla ditta di omogeneizzati HIPP, ma anche a BMW, a HYUNDAI e molte altre. Da poco si è presentata una società franco-americana che produrrà formaggio qui da noi. È stato un grande orgoglio per me accogliere a Kaliningrad nel 2019 la prestigiosa azienda svizzero-svedese ABB, leader mondiale nell’ automazione industriale e nello sviluppo di soluzioni energetiche. ABB ha aperto il suo primo centro ingegneristico in Russia proprio nella nostra regione. Essa impiega più di 50 persone ed è intenzionata ad intensificare la propria presenza. Le società che decidono di stabilirsi a Kaliningrad possono godere degli incentivi offerti dalla zona economica a statuto speciale (SEZ), primo fra tutti, quello fiscale. Nei primi sei anni di attività le tasse su profitti e proprietà sono pari a 0%. In più, si può contare su procedure semplificate per l’ottenimento dei visti da parte del personale straniero, oltre a sovvenzioni per il supporto del mercato del lavoro e ad altre misure di tutela. Oltre alla SEZ, è ora presente a Kaliningrad, sul territorio dell’”Isola Oktyabrsky”, vicino al nuovo stadio, una zona offshore (SAR – Special administrative region). L’area conta un centinaio di ettari ed è stata inizialmente concepita per

facilitare il rientro di capitali russi locati in altre giurisdizioni, ma è ovviamente aperta anche a società estere. Investendo 50 milioni di rubli (circa 600mila euro) è possibile stabilire la propria attività sull’”Isola dell’Ottobre”. Gli attraenti benefici in termini di fiscalità e di infrastrutture sono conseguenti. Ad oggi sono 34 le società internazionali che si sono stabilite sull “Isola” e per il futuro possiamo solo essere ottimisti». Kaliningrad può vantare un patrimonio storico-culturale senza pari. Le testimonianze ancora presenti della ricchissima Königsberg sono numerose. Inoltre, l’intero complesso balneare delle coste e un ecosistema di flora e fauna unico al mondo ne fanno una regione particolarmente interessante da un punto di vista turistico. Cosa ci si aspetta e quanto è stata importante l’introduzione a luglio 2019 del visto turistico elettronico di 8 giorni? «L’idea del visto elettronico al fine di facilitare l’arrivo dei turisti a Kaliningrad si ventilava da tempo. Siamo felici di essere stati fra i primi nel paese a trasformarla in realtà. Il nostro potenziale turistico è grande, abbiamo una media di 1,5 milioni di visitatori all’anno, russi e stranieri, senza contare il vero e proprio boom di turismo interno vissuto durante la pandemia. Dall’introduzione del visto elettronico e fino alla chiusura delle frontiere a causa del Covid-19, più di 70 mila turisti stranieri sono giunti nella nostra regione. Kaliningrad può contare su oltre duecento strutture alberghiere, più di mille ristoranti e bar, molti eventi culturali, fra cui festival musicali e cinematografici. Da un punto di vista storico, la regione rappresenta un unicum in Russia per gli eventi che l’hanno vista protagonista. L’eredità ancora visibile è multipla e straordinaria: russa, sovietica, prussiana. Numerosi sono infatti i monumenti, i castelli, i forti, le chiese e le cattedrali che custodiscono una bellezza senza tempo. La ricostruzione e la


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conservazione degli edifici sono una parte importante dell’agenda politica della nostra regione anche perché la rilevanza turistica connessa è innegabile. Riconosciamo di possedere delle vere e proprie perle legate al passato. Il lavoro non manca e cercheremo di coinvolgere sempre più persone nella rivalorizzazione di questa ricchezza storica estesa su tutto il territorio». Kaliningrad russa e aperta all’Europa si distingue per iniziativa e dinamismo. Anche lei in quanto giovane Governatore si distingue per iniziativa e dinamismo, ma non è il solo nella Federazione. La scelta di rappresentati di giovane età è in controtendenza con moltissime realtà europee dove la classe politica è spesso anziana. Secondo lei, la Russia, oltre a dare più spazio alle nuove generazioni, si può considerare terra fertile anche in termini di possibilità e di crescita?

«La scelta di mettere alla prova i giovani politici nelle regioni, quindi sul campo, non è nuova e nemmeno unica della Russia. Essa era già presente durante l’Unione Sovietica e la si trova spesso anche in Asia. È fondamentale cimentarsi in contesti diversi, lontani e allo stesso tempo a diretto contatto con la popolazione. In questo modo si è in grado di paragonare, di percepire i dettagli. Quello che si crede essere il miglior progetto preparato nel proprio ufficio moscovita dietro ad una scrivania ha un impatto completamente diverso una volta che si decide di adottarlo in una specifica regione, perché la percezione nella realtà è completamente diversa. Non posso definire la Russia una locomotiva economica. È difficile fare paragoni con altri paesi, si tratterebbe di un esercizio senza senso, però avanziamo, facendo del nostro meglio, secondo le nostre capacità e al nostro passo, il quale non deve forzatamente ricalcare modelli prestabiliti o già esistenti.

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Purtroppo, rispetto ad altri contesti, penso agli Stati Uniti o all’Asia, l’Europa è rimasta indietro in materia di innovazione. Credo fermamente che oggi più che mai sia indispensabile creare ed investire nelle nuove tecnologie, nelle nuove idee, senza paure o reticenze». Il Presidente Putin mette alla prova i giovani politici nelle regioni, preparandoli alle sfide future. La Russia economica si apre sempre più al mondo, intensificando scambi e cooperazioni. Il Governatore Anton Alikhanov volge uno sguardo positivo e fiducioso al futuro sviluppo della Russia più europea di tutte, Kaliningrad. Ed è proprio dalla cima della Casa dei Soviet, quando finalmente camminando sul tetto ammiriamo la vista mozzafiato su tutta la città, penso che forse il Governatore ha ragione e magari anche il celebre attore francese Gérard Depardieu, dal 2013 cittadino russo, quando dice che oggi, La Dolce Vita, si trova in Russia.


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atrick Tonascia vanta approfondite competenze per innovare modelli di business, esplorare nuove opportunità di crescita, aumentare il vantaggio competitivo e sfruttare appieno le opportunità che la digitalizzazione può portare in tutti i settori di business indipendentemente dalle dimensioni. Ha ricoperto ruoli di Senior Executives in aziende come Fortune 500 Industrial/Energy, General Electric, SIEMENS e ABB. Recentemente; inoltre è stato Chief Operating Officer presso la Radiotelevisione Svizzera (SSR SRG RSI), azienda televisiva, radiofonica e multimediale focalizzata sull’innovazione digitale per i clienti.

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Il Covid-19 è emerso a fine 2019 ed è rapidamente diventato una crisi globale che minaccia la salute degli individui ed il benessere delle società su vasta scala. Le incertezze continue e profonde creano grandi sfide per le aziende. I dirigenti, i consigli di amministrazione, gli investitori i collaboratori dovranno comprendere in tempi rapidi quale sarà la giusta strategia ed il comportamento da adottare e in che tempi e modalità dovranno affrontare queste fasi di difficile interpretazione e di ambiguità. Affrontare questa situazione in modo responsabile e sistematico è un imperativo morale ed economico, per i governi, le imprese, gli investitori ed i singoli individui. La priorità a breve termine è quella di cercare di trattare il Covid-19 come una questione di salute pubblica. Ciò avverrà ad un costo, almeno a breve termine ed avrà un impatto importante sulla tenuta economica e sociale del nostro paese e non solo. Fondamentale sarà mantenere una prospettiva a lungo termine, il tutto non si fermerà in qualche settimana o in qualche mese, anzi i tempi saranno ben più lunghi, è ragionevole parlare di anni. Probabilmente quanto sto per dire

non troverà immediatamente un consenso unanime e forse sarà (dai più) anche ritenuto prematuro, ma credo fermamente che nonostante le crescenti pressioni economiche, sia le imprese che gli investitori dovrebbero evitare di concentrarsi sulla crisi in termini di implicazioni a breve termine. È qui che un orizzonte temporale esteso, e forse una base dell’etica e nei valori più in generale, dovrebbero guidare le risposte delle aziende, degli investitori e dello stato! La prima priorità sarà garantire la sostenibilità e la resilienza finanziaria delle aziende. Il discorso vale sia per le grandi aziende che per le PMI. L’attuale crisi si tradurrà in stress finanziario ed incertezza. Si dovranno affrontare questioni delicate quale una nuova l’allocazione delle risorse finanziarie e umane, la valutazione di compromessi laddove sia necessario. Si dovranno prendere decisioni difficili, forti, come la necessità di rivedere i budget, il controllo dei costi, per chi non lo ha ancora fatto potrebbe essere l’occasione per rivedere la trasformazione della propria azienda nell’era digitale. Il tutto sarà estremamente complesso in quanto le aziende sono e saranno esposte a minacce in termini finanziarie e di sviluppo a breve termine. Il mondo economico, lo stato, tutte le associazioni e organizzazioni di categoria dovranno trovare tutti insieme una soluzione globale e creare un ecosistema che permetta a tutti o quasi tutti di sopravvivere in questo momento epocale e senza precedenti. Nel limite del possibile nessuno dovrà


AZIENDE / PATRICK TONASCIA

sentirsi sfavorito o penalizzato. Bisogna incoraggiare la società ad intraprendere un percorso di solidarietà e di sviluppo di opportunità dove ognuno possa trovare il suo spazio. Dovremo pensare fuori dagli schemi! Pensare immediatamente ad una nuova azione strategica non è un “Nice to have” ma un “Must”! per tutti. Fino a poco tempo fa, Covid-19 è stato per la maggior parte delle aziende e degli individui un proverbiale “sconosciuto”. Dovremo creare un ecosistema dove fondamentale sarà avere un impatto sull’ambiente, creare un tessuto economico e sociale significativo sia per gli individui che per le comunità. Tre saranno a mio modo di vedere i campi su cui operare in tempi brevi: Sociale: identificare i bisogni degli individui e considerare il loro benessere, non solo economico ma anche morale e spirituale. Comprendere l’impatto demografico che stabilisce la cultura,

l’onestà, lo sviluppo della prossima generazione e la salute. Senza dimenticare la valorizzazione della diversità che non riguarda solo il genere, ma anche il modo di pensare, di comunicare, le competenze e la cultura. Ambientale: proteggere e conservare sia la biodiversità che l’ambiente, riducendo i rifiuti, prevenendo l’inquinamento e utilizzando l’acqua e altre risorse naturali nel modo più efficiente possibile. Trasformando il nostro modo di operare, riducendo il superfluo e ottimizzando i consumi. Economico: l’importanza di una crescita economica stabile, adottando misure dall’occupazione equa e gratificante fino alla valorizzazione della competitività. Dovremo avere bene in chiaro lo scopo della missione che andremo ad intraprendere, ergo risollevarsi da questa difficile situazione. Un’opportunità nella drammaticità

della situazione che ci consente di andare oltre gli effetti disumanizzanti che enfatizzano eccessivamente l’efficienza e il valore per gli azionisti, ma che invece deve fornire motivazione e ispirazione ai collaboratori, clienti e “stakeholders” del nuovo ecosistema che andremo a creare. Gli sforzi collettivi di allineamento tra accademici, industrie, le banche, i settori di servizi, governi e altre parti interessate genereranno e finanzieranno l’innovazione che creerà una cultura in cui i progressi potranno e dovranno essere a beneficio di tutti. Tutto ciò richiede un’efficace capacità di gestione delle crisi, nonché la capacità di pensare in termini di pianificazione dello scenario e nella valutazione degli impatti sulle attività a 360°. Ora non ci tocca che iniziare questo percorso di stabilizzazione e crescita poi, in modo individuale ognuno di noi può e deve fare la differenza.

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AZIENDE / BUSINESS & PROFESSIONAL WOMEN (BPW)

LE DONNE NON GODONO ANCORA - ALLO STESSO MODO DEGLI UOMINI - DEI FRUTTI DEL LORO LAVORO, DELLE LORO CAPACITÀ INTELLETTUALI E DEI LORO SOGNI. LE IDEE E I PROGETTI PORTATI AVANTI DA BUSINESS & PROFESSIONAL WOMEN (BPW) TICINO.

01 Da sinistra Elisabetta Aiazzone, Benedetta Lepori, Federica Guerra, Cèline Cavallo de Paoli, Rosanna Bertuccio, Monica Pugnaloni, Luisanna Tedde, Gaia Marniga, Laura Incandela

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LE GRANDI SFIDE DELLE DONNE

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a perché? Questo è senz’altro un “domandone” a cui si cerca in genere di dare risposte troppo evasive. E invece occorrerebbe meno ambiguità e più schiettezza nell’affrontare il tema della diseguaglianza tra generi che interessa metà della popolazione mondiale. La Business & Professional Women (BPW) è in prima linea, ed è un esempio lampante di quanto possa essere potente la collaborazione tra donne. Presente sul territorio a livello nazionale e cantonale la BPW cerca le giuste risposte ma fa qualcosa di più concreto, mette in campo donne, idee, volontà e il necessario coraggio di osare, lanciandosi nelle sfide più difficili. Gli obiettivi raggiunti, in termini di parità di genere, sono pochi ma di sostanza: da gennaio 2021, anche in Svizzera ci sono le quote rosa. Le grandi imprese quotate in borsa con sede in territorio elvetico dovranno introdurre il 30 % di donne nei Consigli di Amministrazione (CdA) e il 20% di presenza femminile ai livelli manageriali apicali. Sempre da quest’anno parte il congedo paternità, le famiglie potranno usufruire di due settimane. Va da sé che le madri avranno un maggiore incentivo a continuare a lavorare e il lavoro domestico e di assistenza potrà essere distribuito equamente. «I risultati non piovono mai dal cielo - dice la copresidentessa Gaia Marniga - sono frutto di un impegno assiduo delle associazioni femminili, delle campagne di sensibilizzazione sui media e delle donne impegnate sul fronte politico. BPW Ticino sta facendo la sua parte. Adesso il nuovo traguardo è ottenere il 50% delle donne nei Consi-

gli di Amministrazione di tutte le medie e grandi aziende. Il battage del progetto Women on Boards, “…e le donne?”, ideato dal nostro club, ha sortito i suoi effetti. Sui social emerge un sentimento favorevole da parte dell’opinione pubblica femminile e in parte anche di quella maschile, ad avere più donne ai vertici aziendali. La campagna è partita lo scorso anno a Lugano, un bus gira in lungo e il largo in città, con un gigantesco adesivo sul retro, la foto di un CdA tutto al maschile, un’istantanea che si commenta da sé. L’intento è sempre lo stesso, far comprendere che valorizzare il merito e il talento delle donne è l’optimum per il raggiungimento di una società più equa e produttiva». Il Club BPW Ticino è stato fondato nel 1983, a Lugano, e conta attualmente 70 socie che provengono da ambiti professionali diversi. Un grande gruppo, che negli ultimi tre anni é cresciuto notevolmente, quasi triplicando il numero delle socie e delle simpatizzanti. Da questo laboratorio di idee ed esperienze condivise nascono progetti come il Mentoring. In collaborazione con USI career e USI Servizio Gender, BPW Ticino ha lanciato il programma Professional Mentoring@ USI, destinato a studentesse del secondo anno del Master in Finanza, Economia ed Informatica. Questa esperienza era iniziata un anno fa con il Dipartimento di economia aziendale, sanità e sociale della SUPSI. Il mentoring è uno scambio stimolante di esperienze e vissuti tra una persona più senior con maggiori competenze, la mentor, e una persona più junior, la mentee. La mentee beneficia dell’esperienza della mentor, che a sua volta si


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arricchisce mediante la condivisione di conoscenze ed esperienze. Tra i progetti del 2021 del BPW proseguirà la campagna Women on Boards che si realizzerà nella collaborazione per un Corso di Formazione per Membri dei CdA. Il BPW Ticino, in collaborazione con il Centro di Competenze Tributarie di SUPSI ed Alma Impact AG (società attiva nell’ambito della formazione aziendale) sarà partner del primo corso di formazione in lingua italiana in Ticino in questo ambito. Il corso sarà aperto a uomini e donne, professionisti che vogliono essere preparati professionalmente per entrare a far parte dei Consigli di Amministrazione delle aziende con le adeguate competenze: avrà una durata di 48 ore totali divise in 6 moduli equamente bilanciati tra teoria e casi pratici, con testimonianze finali dal mondo aziendale. Il BPW Ticino, grazie ai suoi sponsor istituzionali, UBS ed IBSA, darà un contributo finanziario alle socie che vorranno iscriversi al corso, con la finalità di favorire la partecipazione femminile nell’ambito della formazione continua e raggiungere una migliore rappresentatività delle donne nei CdA e nelle Direzioni Aziendali.

Il corso avrà inizio ad aprile 2021 e si concluderà il 19 giugno 2021, con l’esame per ottenere la certificazione valida sia in Svizzera che a livello internazionale. In aggiunta si conferma l’Equal Pay Day, un’iniziativa europea e cavallo di battaglia del BPW, megafono della disparità di retribuzione tra uomini e donne, che si svolge ogni anno in febbraio per sottolineare che le donne per guadagnare il salario che gli uomini percepiscono in un anno, devono lavorare due mesi in più. «In Svizzera - racconta Federica Guerra, copresidentessa BPW Ticino e responsabile EPD – lo scarto salariale nel settore privato è del 14,4%, vale a dire che le donne guadagnano 949 franchi al mese meno degli uomini. I dati dell’Ufficio Federale di Statistica si riferiscono al 2018. La differenza salariale esiste già al momento dell’accesso al mercato del lavoro, e coinvolge anche le donne in posizioni dirigenziali; subiscono perdite di guadagno non appena diventano madri, e per quanto riguarda l’aspetto delle pensioni, la forbice è fortemente distanziata rispetto agli uomini». La storia dell’associazione femminile BPW parte lontana nel tempo. Le pri-

me donne BPW si unirono nel 1919 in Kentucky, negli Stati Uniti. BPW International fu fondata a Ginevra nel 1930 dalla giurista americana Dr. Lena Madesin Phillips. In un momento politicamente ed economicamente difficile. L’11 settembre 1947 presso l’Hotel Königsstuhl di Zurigo alla presenza di 29 donne fu fondata BPW Switzerland. Tredici donne entrarono a farne parte ed elessero come prima presidente l’industriale di Horgen Elisabeth Feller (1910-1973). La stretta collaborazione con la nota pediatra Marie Meierhofer diede vita ad un asilo nido tutt’oggi all’avanguardia. In veste di datrice di lavoro, Elisabeth Feller esercitò per anni pressioni per applicare il postulato «uguaglianza di retribuzione per un lavoro di uguale valore». L’imprenditrice di successo fu una delle prime donne nel consiglio di amministrazione di importanti banche e compagnie assicurative. Fu anche una convinta sostenitrice di un’ampia politica di sviluppo e a favore dei rifugiati. Fu la prima presidente di lingua non inglese della Federation of Business and Professional Women e, tramite questa sua attività, fu collaboratrice di diversi dipartimenti dell’ONU, vicepresidente della Commissione svizzera dell’UNESCO, membro della Commissione svizzera per la cooperazione tecnica e del Comitato della Fondazione svizzera per la cooperazione tecnica allo sviluppo. Oggi l’associazione è presente in oltre 100 paesi nel mondo. In Svizzera ci sono 2’300 socie e 40 club che coprono tutto il territorio elvetico.

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AZIENDE / GIANNI SIMONATO

PERCHÉ LE DONNE NON FANNO LA CARRIERA CHE MERITANO? A QUESTA DOMANDA, NATA DURANTE I PER-CORSI DI MYACADEMY, CON L’80% DI PARTECIPANTI DONNE (IMPRENDITRICI, MANAGER, PROFESSIONISTE) RISPONDE GIANNI SIMONATO, CHIEF DIGITAL OFFICER MYACADEMY GMBH DI LUGANO.

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na sera, ascoltando i WhiteHeart, “Unchain”, una parte della canzone recitava “Scatena i miei sogni, scatena la mia vita”. E se fosse qui la soluzione? Mi sono chiesto cosa dovrebbero fare le donne nel pianeta per colmare il gap che ancora esiste nel mondo del lavoro. Le carriere al femminile crescono come dovrebbero? Ci sono ancora disparità economiche? Le donne non possono aspettarsi riconoscimenti che vengano dall’alto, ma debbono essere loro stesse le protagoniste del cambiamento. È un cambiamento che deve venire dalla base. Mi piacerebbe che ogni donna fosse il cambiamento che vuole vedere nel mondo, e che facesse tutto quanto in suo possesso perché ciò accada. Sollecitati da alcune donne abbiamo creato a questo scopo un Per-Corso specifico che si chiama Donne&Carriera ed allena tre abilità fondamentali: autostima, leadership, intelligenza emotiva. E in questo PerCorso c’è il loro mentore che le accompagna, non sono sole in questo cambiamento. Il primo punto da allenare è l’autostima. Che potrebbe essere troppo bassa o troppo alta. La variante più comune è la parte bassa. In questo caso i segnali esterni che si manifestano si trasformano in un senso di inadeguatezza. Si percepiscono molto più i propri lati negativi e non si

valorizzano quelli positivi. In questo caso va rafforzato il proprio dialogo interiore, parte tutto da qua. L’autostima dipende da come parliamo a noi stessi. Il dialogo interiore si può allenare, ma il vero problema è riconoscerlo. E lo si può fare solo con un mentore a fianco, perché il dialogo interiore, per definizione, non passa all’esterno. Passano le conseguenze, ma non le cause. Il mentore aiuta ad estrarre e modificare il dialogo interiore per ottenere una maggiore autostima. Cambia il tuo dialogo interiore e cambierà la tua autostima. Quale leadership serve oggi? Di lineare e sicuro non è rimasto nulla, occorre quindi avere capacità di visione, di immaginare un percorso futuro verso il quale portare il proprio team. Perché è compito del leader ispirare e tracciare il percorso verso il cambiamento. Quali abilità servono per immaginare il futuro, per essere pronti ai cambiamenti in corsa, agli imprevisti? Il leader di un tempo, solido e roccioso, era abituato a governare un mondo lineare, pianificato, dove l’efficienza era la parola d’ordine. Leadership tipicamente maschile. Il mondo perfetto, il mondo certo, il mondo che puoi scegliere come potresti fare con un film di Netflix: scelgo genere, titolo, durata e me lo guardo secondo i miei tempi. Poi un bel giorno ci siamo svegliati impauriti, incerti, in balìa di eventi inizialmente banali ma devastanti a


AZIENDE / GIANNI SIMONATO

livello mondiale. Dopo la globalizzazione dell’economia abbiamo scoperto la globalizzazione della pandemia, che corre più veloce ed è più pervasiva di qualsiasi scelta economica. Abbiamo scoperto che il valore più importante è la salute, e di conseguenza stanno cambiando le scale di priorità nella società. Forse meglio una leadership al femminile per governare un mondo così incerto? Meno direttiva ma più partecipativa, più inclusiva e capace di ascoltare etnie e generazioni diverse tra loro. Ma la leadership al femminile deve essere allenata per aiutare le donne ad essere capaci e preparate ad ispirare gli altri. Una leadership strutturata che si basa su idee, su principi, su valori, su visioni del mondo del leader che vengono poi efficacemente comunicate agli altri sia con canali fisici che

digitali. Stiamo scoprendo che l’esercizio della leadership digitale ha linguaggi e sistemi del tutto particolari. Immagino donne leader come Malala Yousafzai giovane attivista pakistana, la più giovane premio Nobel per la Pace, impegnata per il riconoscimento dei diritti civili e per il diritto per l’istruzione per tutti. «Non mi importa di dovermi sedere sul pavimento a scuola. Tutto ciò che voglio è istruzione. E non ho paura di nessuno.» O Ellen Eugenia Johnson Sirleaf, detta Mamma Ellen, madre di quattro figli e nonna di sei nipoti, prima donna eletta capo di Stato in Africa, in Liberia, Premio Nobel per la Pace con la motivazione: «per la battaglia non violenta a favore della sicurezza delle donne e del diritto alla piena partecipazione nell’opera di costruzione della pace». O donne leader come Oprah Winfrey, soprannominata la “Regina di tutti i media”, considerata tra le donne più potenti al mondo, conduttrice televisiva, autrice e attrice, che ha donato 40 milioni di dollari per costruire una scuola per ragazze povere in Sudafrica. Tutte donne con grandi difficoltà alle spalle, con una vita non facile, costellata spesso di sofferenze. E come mai ce l’hanno fatta? Possiamo allenare la leadership, portando a bordo più donne leader? Questa la mia missione. Il terzo punto da allenare è l’intelligenza emotiva. Trattata la prima volta nel 1990 dai professori Salovey e Mayer e ripresa anni dopo da Daniel Goleman è definita mettendo insieme competenze personali e competenze sociali. Ecco un bell’esempio per capire in pratica di cosa si tratta. Hai mai incontrato un leader che semplicemente “non lo capisce”? Mi riferisco a qualcuno che sembra disconnesso dalle persone che guida. Non sto parlando di qualcuno che non ha talento o non è intellettualmente dotato, ma quando si tratta di capire cosa stia realmente succeden-

do alle persone che guidano, sembrano incapaci. La connessione con gli altri è forse la caratteristica primaria dell’intelligenza emotiva. Quindi, chi meglio di una donna può capire? Care donne, il vostro potenziale c’è tutto. Il mondo attuale ha bisogno di questo potenziale, dovete solo allenare meglio come esprimerlo. Su 200 Paesi nel mondo solo 18 hanno un leader donna a capo. Non c’è tempo da perdere, il futuro è già iniziato e ha bisogno di donne leader, al motto di “Scatena i miei sogni, Scatena la mia vita” Fammi sapere la tua opinione a info@myacademypmi.com

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BENESSERE / BELOTTI OTTICAUDITO

UDIRE È PENSARE, LO SAPEVATE? NEI CENTRI BELOTTI LA TECNOLOGIA D’AVANGUARDIA BRAINHEARING™

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bbiamo voluto approfondire il tema dell’Udito, il suo meccanismo e la sua stretta relazione con il nostro cervello, rivolgendoci ai tecnici audioprotesisti dei Centri BELOTTI OtticaUdito, leader incontrastato di settore in Ticino da oltre trent’anni. Se è vero che un buon udito aiuta il cervello a stare in forma e ad evitare molti problemi di salute, allora significa che la salute del cervello corrisponde alla salute dell’udito.

trasformarsi in problemi vitali. Tutto ciò è legato al funzionamento dell’udito all’interno del centro uditivo del cervello. Gli audioprotesisti di BELOTTI ci hanno spiegato che il suono viaggia dalle nostre orecchie al centro uditivo del nostro cervello. All’interno di questo due sottosistemi lavorano costantemente per aiutarci a capire lo scenario sonoro che ci circonda: il sottosistema dell’Orientamento e il sottosistema del Focus.

I tecnici ci hanno spiegato che se il nostro cervello non ottiene le informazioni sonore di cui ha bisogno, ci sarà più difficile capire quello che dicono le persone e cosa succede intorno a noi. Un problema uditivo diventa un problema cerebrale, che a sua volta può

Il primo tiene sotto controllo l’ambiente circostante per creare una panoramica completa dello scenario sonoro. Quando ascoltiamo, questo sottosistema analizza tutti i suoni circostanti, indipendentemente dalla loro natura o direzione, offrendoci una

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panoramica di tutte le sorgenti sonore che ci circondano. Il cervello viene così a trovarsi nelle condizioni ottimali per scegliere gli elementi su cui focalizzarsi, quelli da ascoltare. Il secondo seleziona e filtra quali suoni ascoltare. Tramite questo identifichiamo il suono a cui dedicarci, quello da ascoltare o a cui comunque rivolgere l'attenzione, tralasciando i suoni irrilevanti.


BENESSERE / BELOTTI OTTICAUDITO

Vediamo ora cosa avviene con la perdita dell’udito: le informazioni sonore che arrivano al cervello dalle orecchie non sono sufficienti oppure la loro qualità è scadente. Il cervello fa molta più fatica a orientarsi nell'ambiente circostante e ciò rende ancora più difficile concentrarsi su ciò che è importante. Il cervello è costretto a sforzarsi molto di più ed ha così molte meno risorse mentali per ricordare altro. Poiché l'udito è un processo mentale, la perdita uditiva non trattata o gestita male può avere conseguenze negative sul cervello e sulla nostra salute psicofisica. Come abbiamo visto, per funzionare bene, il cervello ha bisogno di uno scenario sonoro completo. Un accesso limitato del cervello al suono può portare a gravi problemi come ad esempio isolamento sociale e depressione. Cosa si può fare per mantenere un cervello sano? Il consiglio di BELOTTI è quello di ricorrere ad un professionista dell’udito, eseguire un test dell'udito e ricevere un trattamento adeguato in caso di perdita uditiva. Nei Centri BELOTTI audioprotesisti qualificati possono controllare l’udito per rilevare eventuali segnali di perdita uditiva e consigliare la soluzione audiologica più adeguata. In particolare, gli apparecchi acustici "a misura di cervello" con tecnologia BrainHearing™ di Oticon disponibili nei Centri BELOTTI rappresentano l’ultima frontiera tecnologica del settore, offrendo al cervello uno scenario sonoro circostante completo, per far sì che questo lavori in modo più efficace. Si tratta di apparecchi d’avanguardia in grado di assicurare al cervello le informazioni sonore di qualità necessarie a rimanere in forma.

possa fare per consentire al cervello di svolgere le sue funzioni in modo naturale. Quando i suoni raggiungono l'orecchio interno vengono convertiti in un segnale, che a sua volta viene inviato al cervello. Questo processo, denominato "codice neurale", si basa sull'invio di dati al centro uditivo del cervello, la corteccia uditiva, attraverso il nervo uditivo. Quindi, questi codici neurali diventano suoni di senso compiuto su cui i sottosistemi, dell'orientamento e del focus, possono iniziare a lavorare. I vantaggi di BrainHearing™ possono riassumersi pertanto in: miglior attenzione selettiva, più indizi vocali al cervello, maggior capacità di ricordare, minor sforzo di ascolto e migliore comprensione vocale, offrendo al cervello le condizioni necessarie per dare un senso ai suoni, anziché sovraccaricarlo aumentando il volume.

La tecnologia BrainHearing™ aiuta in definitiva il cervello a dare un senso ai suoni della sua vita per: SENTIRE, CAPIRE, ORIENTARSI, EMOZIONARSI: nei Centri BELOTTI OtticaUdito queste sono le parole chiave che noi traduciamo nell’apparecchio acustico su misura per le sue specifiche esigenze, semplice da usare, ricaricabile e connettivo, in grado di generare una stimolazione cerebrale.

Da BELOTTI ci hanno spiegato che la filosofia BrainHearing™ piuttosto che focalizzarsi solo sui suoni o sulle orecchie, si concentra in primis sul cervello e d’altra parte la ricerca scientifica dimostra che fornire lo scenario sonoro completo è quanto di meglio si TICINO WELCOME / MAR - MAG 2021

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BENESSERE / GOLDEN LAB

SERVIZI INNOVATIVI PER LA SALUTE E LO SPORT MATHIAS KOMBATÈ, FISIOTERAPISTA E GENERAL MANAGER PRESENTA GOLDEN LAB, UN’INTERESSANTE PROGETTO FINALIZZATO AD AMPLIARE I SERVIZI OFFERTI IN CAMPO SANITARIO E DI MEDICINA DELLO SPORT.

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ome nasce l’idea di dare vita al progetto Golden Lab? «Il progetto nasce dal rapporto di amicizia e stima reciproca tra me e Ruby Belge che avendo avviato un nuovo progetto relativo alla palestra Golden Gloves Gym, ha avanzato la proposta di integrare la nuova attività con un servizio di fisioterapia». Quali sono i partner e le risorse umane di cui potrà avvalersi questa nuova struttura? «Golden lab si avvale di una stretta collaborazione sinergica con la Golden Gloves Gym: i suoi servizi innovativi non convenzionali potranno nel tempo fungere da piattaforma per sviluppare importanti collaborazioni con varie società sportive ed atleti di alto livello.

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L’organico di Golden Lab è costituito in partenza da tre fisioterapisti specializzati, un ergoterapista, un massaggiatore medicale ed una segretaria. I servizi specifici offerti saranno integrati con la cooperazione dei personal trainers della Golden Golves Gym». Quali sono i principali servizi convenzionali di fisioterapia ed ergoterapia legati al sistema sanitario che saranno erogati da Golden Lab? «Grazie al profilo qualificato e le competenze dei suoi operatori, Golden Lab è in grado di erogare servizi di alta qualità, riconosciuti dalle casse malati, legati alle molteplici problematiche fisioterapiche ed ergoterapiche in ambito ortopedico, reumatologico, neurologico, geriatrico, oncologico e del dolore cronico»


BENESSERE / GOLDEN LAB

Possiamo descrivere come sarà fisicamente strutturato Golden Lab? «Golden Lab dispone di un’ampia struttura di 200 mq con ottima visibilità in zona universitaria a pochi minuti dal centro città, facilmente accessibile con i mezzi pubblici e ben collegata alle arterie autostradali. Il centro è composto da una luminosa sala d’attesa, una spaziosa palestra riabilitativa, un’area per la riabilitazione cardio respiratoria, quattro box per i trattamenti individuali, uno studio per le valutazioni specifiche e le consulenze ed un ampio spazio esterno attrezzato con erba sintetica professionale». È prevista anche l’istituzione di un esclusivo servizio di valutazione e monitoraggio multidimensionale delle prestazioni personali. Di che cosa si tratta? «Utilizziamo strumenti innovativi e all’avanguardia quali: Kineo System, di cui Golden Lab è centro di referenza per la Svizzera, atto alla valutazione delle prestazioni muscoloscheletriche e l’elaborazione di programmi riabilitativi e sportivi specifici.

Cosmed Fit Mate Pro per la valutazione delle performance sistemiche, quali test da sforzo con VO2 max e l’individuazione delle soglie cardiache di allenamento.

Iver Vision Analysis software per Bike Fit unitamente a moderni sensori di movimento per l’analisi del gesto della pedalata e la postura del ciclista. Wunder WBA 300 per la rilevazione dei parametri biometrici e l’analisi di composizione corporea BIA I dati raccolti integrati da una approfondita valutazione dello stile di vita, ci permettono di concordare obiettivi specifici per ottimizzare sia le performance individuali legate alle attività della vita quotidiana che le prestazioni sportive». Quali sono i destinatari dei servizi erogati e quali collaborazioni sinergiche avete in programma di stabilire? «L’ampia gamma di servizi erogati sono rivolti a tutte le persone, sportivi e non, che desiderano risolvere determinate problematiche di salute, migliorare la propria qualità di vita ed ottimizzare le proprie prestazioni».

www.goldenlab.ch TICINO WELCOME / MAR - MAG 2021

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SPORT / LUCA GALLIANO

LA FORZA DEL TEAM

LA RUBRICA DI ARIELLA DEL ROCINO, DEDICATA AL GOLF TICINESE, PROSEGUE CON LA PRESENTAZIONE DI LUCA GALLIANO, UNO DEI GIOCATORI PROFESSIONISTI PIÙ VINCENTI DELLA SVIZZERA.

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ei ha cominciato a giocare a golf da giovanissimo. Quali sono state le tappe che l’hanno portato a diventare un professionista di questo sport? «Ho iniziato a giocare a 10 anni con i miei genitori. Poi ho preso parte dapprima alle gare di circolo, quindi a quelle di livello nazionale per poi decidere, grazie anche ad un libro che mi diede mio padre, di intraprendere la carriera da professionista. Inizialmente come Maestro e poi a 30 anni da giocatore».

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TICINO WELCOME / MAR - MAG 2021

Che cosa significa entrare a fare parte dei più importanti circuiti golfistici europei? «Riuscire a raggiungerlo è motivo di grande orgoglio e soddisfazione. Io ho potuto in questi anni partecipare solo a pochissime tappe del circuito maggiore (EuropeanTour) e sicuramente l’obiettivo è quello di giocare in pianta stabile quel tipo di gare». Quali sono stati i più prestigiosi risultati conseguiti in carriera? «Sicuramente ricordo con piacere il taglio passato all’Omega Masters svoltosi a Crans nel 2017. È stata un’esperienza stupenda dove ho avuto la fortuna di confrontarmi con grandissimi campioni e poter capire dove migliorarmi. Poi i due Omnium (Campionati Assoluti Svizzeri) vinti per due anni di fila nel 2018 e nel 2019».


SPORT / LUCA GALLIANO

centro del progetto e questo fa molto piacere perché ti senti considerato e ti da quella spinta necessaria poi per dare il 110% per ottenere i risultati. Sicuramente si potrebbe parlare molto più di questo splendido sport per poter avvicinare tanti giovani. È uno sport che insegna molto e soprattutto è uno sport anche per ragazzi! Si possono creare dei bellissimi rapporti di amicizie, provare per credere».

Fortuna e talento. Quanto contano questi elementi nel successo di uno sportivo? «Sono due aspetti che sicuramente contano quando si fa sport ma poi sta all’atleta sfruttarli. Se non sei pronto o non ti sacrifichi abbastanza, quando arriverà il momento non basteranno a portarti in alto».

Come giudica lo stato organizzativo delle sport golfistico in Svizzera e in Ticino? «Negli ultimi anni c’è stato un deciso cambio di passo in federazione e questo va dato merito a chi ha lavorato e sta lavorando. Per quanto riguarda l’aspetto professionistico c’è molta voglia di fare e ci sentiamo messi al

29 GIUGNO 2021 Quest’anno il Golf Club Gerre Losone ospiterà i campionati ticinesi assoluti, promossi dalla Federazione Golf Ticino. I campioni in carica, Carlotta Scialanga e Leonardo Bono, entrambi soci del Golf Club Lugano, difenderanno il loro titolo, conquistato nel 2020 ad Ascona.

Come si allena per mantenersi in forma ed essere pronto ad affrontare le competizioni? «Questo è un aspetto importantissimo e sono contento della domanda. Non è stato facile ma negli anni mi sono costruito un Team del quale mi fido cecamente poiché sono un’eccellenza nel loro campo. Io mi avvalgo di un preparatore atletico (Enzo Di Costanza) che ormai mi segue da quando sono ragazzo e mi conosce benissimo e con il quale ho un rapporto speciale. Devo molto a lui. Poi di un coach sulla tecnica (Gianluca Patuzzo) e un coach per l’allenamento (Roberto Francioni) con i quali sto lavorando da più di un anno e di cui sono veramente molto contento». TICINO WELCOME / MAR - MAG 2021

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