Archeo n. 475, Settembre 2024

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RIVOLUZIONE CARACALLA

ROMA

ISTITUTO ARCHEOLOGICO GERMANICO

IL NUOVO ISTITUTO ARCHEOLOGICO GERMANICO

ARZACHENA

SCOPERTE

A FANO SULLE ORME DI VITRUVIO

MAIALE

SARDEGNA

FANO

IL TEMPO RITROVATO NEL MUSEO DI ARZACHENA

SPECIALE RAM FESTIVAL DI ROVERETO

IL RAM FILM FESTIVAL 2024

SPECIALE ROVERETO

www.archeo.it

IN EDICOLA IL 7 SETTEMBRE 2024

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RI R CA VO OM RA LUZ A CA IO ww LL NE w. A a rc

2024

Mens. Anno XXXIX n. 475 settembre 2024 € 6,50 Poste Italiane Sped. in A.P. - D.L. 353/2003 conv. L. 46/2004, art. 1, c. 1, LO/MI.

ARCHEO 475 SETTEMBRE

IL RITORNO DELL’ACQUA

TERME DI CARACALLA

€ 6,50



EDITORIALE

LA CONVENZIONE Mentre – spossati da settimane roventi non solo sotto il profilo climatico – ci accingiamo a inviare in stampa questo numero, giunge una «rinfrescante» notizia che ci riguarda (tutti) da vicino: la via Appia, la romana regina viarum, è stata inserita nella World Heritage List, la Lista del Patrimonio mondiale dell’UNESCO. Con questa decisione, ratificata dal Comitato per il patrimonio mondiale riunitosi a Nuova Delhi nella sua 46esima sessione, i siti italiani (di interesse culturale e naturale) riconosciuti dall’agenzia internazionale facente capo alle Nazioni Unite raggiungono quota 60. Un piccolo record. Confesso che la notizia mi ha sorpreso perché, ingenuamente, ritenevo che la regina viarum fosse già parte, ex merito, del prestigioso elenco. Si tratta di una promozione tardiva, dunque, che oltre all’onore comporta oneri da non sottovalutare: il percorso dell’antica strada consolare (che comprende la variante al tracciato originale fatta costruire da Traiano) parte, come è noto, da Roma per arrivare a Brindisi, attraversando quattro regioni (Lazio, Campania, Puglia e Basilicata) e numerose città, provincie, comuni, enti parco, chiamati a svolgere un ruolo di tutela e cura delle 132 miglia (pari a circa 195 km) con rinnovato vigore. Anche perché, come recita lo statuto della World Heritage Convention, una volta ottenuta l’iscrizione nella lista, lo Stato parte della Convenzione è tenuto ad assicurare «misure attive e efficaci per la protezione, la conservazione e la presentazione» del sito. Pena la cancellazione stessa dall’autorevole elenco. Sul ruolo e sulla rilevanza della Convenzione per il patrimonio mondiale, tuttavia, non sono mancate voci che ne hanno contestato l’efficacia e perfino l’utilità. Del tutto velleitarie, infatti, sono apparse le dichiarazioni e gli strumenti messi in atto dall’organizzazione

internazionale, in anni recenti, a fronte di episodi di vilipendio e distruzione di monumenti posti sotto la sua tutela: sarà qui sufficiente ricordare i casi, drammaticamente emblematici, dei Buddha di Bamiyan, in Afghanistan, iscritti nella lista nel 2003, due anni dopo che le gigantesche statue erano state fatte saltare in aria dai talebani; o quello, della città carovaniera di Palmira, in Siria, riconosciuta come patrimonio mondiale sin dal lontano 1980 e devastata dai miliziani dello Stato Islamico nel 2015. Ha suscitato alzate di sopracciglia anche l’inclusione nella lista di alcuni beni cosiddetti immateriali (per esempio: l’opera lirica per l’Italia, la polonaise o danza polacca per la Polonia, la pratica della transumanza per Albania, Andorra, Austria, Croazia, Francia, Grecia, Italia, Lussemburgo [sic], Romania e Spagna, la dieta mediterranea…). Ma per sincerarsi che la Lista non sia – come vorrebbe uno sketch televisivo di qualche anno fa – il risultato dell’arbitrio di qualche annoiato funzionario internazionale che, sfogliando un depliant di viaggi, punta il dito sulle foto piú suggestive, basta verificare in rete, alla voce «UNESCO». Vi si aprirà un mondo, imperfetto ma grandioso. Del quale, nonostante tutto, esserne sempre piú parte deve considerarsi cosa giusta, nonché motivo di vanto.

Nella cartina in alto, la distribuzione dei siti inclusi dall’UNESCO nella World Heritage List.

Andreas M. Steiner


SOMMARIO EDITORIALE

La convenzione

3

di Andreas M. Steiner

Attualità

ACCADEMIE 26

di Luciano Calenda

NOTIZIARIO

6

SCAVI Anomalie rivelatrici

6

di Giampiero Galasso

ALL’OMBRA DEL VULCANO L’ultima dimora di Agrestino

ARCHEOFILATELIA Tesori transadriatici

MONUMENTI

Quelle terme illustri e magnificentissime 34 incontro con Mirella Serlorenzi a cura di Luciano Frazzoni, con contributi di Hannes Peer e Daniela Porro

10

54 MUSEI/ARZACHENA I secoli di un territorio

12

di Marina Lo Blundo e Claudia Tempesta

MOSTRE A scuola d’archeologia

54

di Giuseppe M. Della Fina

di Alessandra Randazzo

FRONTE DEL PORTO Ci vediamo in Capitaneria

DAI. Il «tempio» degli archeologi

64

di Giampiero Galasso

14

di Giuseppe M. Della Fina

16

2024

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ARCHEO 475 SETTEMBRE

Amministrazione amministrazione@timelinepublishing.it

Federico Curti

Comitato Scientifico Internazionale

SCOPERTE

A FANO SULLE ORME DI VITRUVIO

Maxwell L. Anderson, Bernard Andreae, John Boardman, Mounir Bouchenaki, Wim van Es, M’Hamed Fantar, Louis Godart, Svend Hansen, Friedrich W. von Hase, Thomas R. Hester, Donald C. Johanson, Venceslas Kruta, Henry de Lumley, Javier Nieto

SARDEGNA

IL TEMPO RITROVATO NEL MUSEO DI ARZACHENA

arc475_Cop.indd 1

TERME DI CARACALLA

IL RITORNO DELL’ACQUA

In copertina una sala del DAI-Deutsches Archäologisches Institut (Istituto Archeologico Germanico) di Roma.

Presidente

IL NUOVO ISTITUTO ARCHEOLOGICO GERMANICO

Mens. Anno XXXIX n. 475 settembre 2024 € 6,50 Poste Italiane Sped. in A.P. - D.L. 353/2003 conv. L. 46/2004, art. 1, c. 1, LO/MI.

SPECIALE RAM FESTIVAL DI ROVERETO

Impaginazione Davide Tesei

FANO

Lorella Cecilia (ricerca iconografica) l.cecilia@timelinepublishing.it

MAIALE

Redazione Stefano Mammini s.mammini@timelinepublishing.it

ARZACHENA

Direttore responsabile Andreas M. Steiner a.m.steiner@timelinepublishing.it

€ 6,50

ROMA

ISTITUTO ARCHEOLOGICO GERMANICO

Editore Timeline Publishing S.r.l. Via Angelo Poliziano, 76 – 00184 Roma tel. 06 86932068 – e-mail: info@timelinepublishing.it

RIVOLUZIONE CARACALLA

Anno XL, n. 475 - settembre 2024 Registrazione al tribunale di Milano n. 255 del 07.04.1990

64

34 www.archeo.it

24

RIV CA O ROM RA LUZ A CA IO LL NE A

MOSTRE Faraoni in Versilia

IN EDICOLA IL 7 SETTEMBRE 2024

di Mara Sternini

o. it

A TUTTO CAMPO Un lignaggio nobile e colto

SPECIALE ROVERETO

IL RAM FILM FESTIVAL 2024

02/08/24 11:12

Comitato Scientifico Italiano

Enrico Acquaro, Carla Alfano, Ermanno A. Arslan, Andrea Augenti, Sandro Filippo Bondí, Francesco Buranelli, Carlo Casi, Francesca Ceci, Francesco D’Andria, Giuseppe M. Della Fina, Paolo Delogu, Francesca Ghedini, Piero Alfredo Gianfrotta, Pier Giovanni Guzzo, Eugenio La Rocca, Daniele Manacorda, Danilo Mazzoleni, Cristiana Morigi Govi, Lorenzo Nigro, Giulio Paolucci, Sergio Pernigotti, Sergio Ribichini, Claudio Saporetti, Giovanni Scichilone, Paolo Sommella, Romolo A. Staccioli, Jacopo Tabolli, Giovanni Verardi, Massimo Vidale, Andrea Zifferero Hanno collaborato a questo numero: Claudia Beretta è curatrice del programma e responsabile dell’Ufficio Stampa del RAM Film Festival. Luciano Calenda è consigliere del CIFT, Centro Italiano Filatelia Tematica. Domenico Camardo è archeologo dell’Herculaneum Conservation Project. Francesca Ceci è archeologa presso la Direzione dei Musei Capitolini di Roma. Francesco Colotta è giornalista. Giuseppe M. Della Fina è vice presidente della Fondazione per il Museo «Claudio Faina» di Orvieto. Luciano Frazzoni è archeologo. Giampiero Galasso è giornalista. Marina Lo Blundo è funzionaria archeologa del Parco archeologico di Ostia antica. Maria Rosaria Luberto è ricercatrice in archeologia e storia dell’arte greca e romana all’Università degli Studi di Siena. Mario Notomista è archeologo dell’Herculaneum Conservation Project. Alessandra Randazzo è giornalista. Claudia Tempesta è funzionaria archeologa del Parco archeologico di Ostia antica.


STORIA

50 sfumature di sapore

72

di Domenico Camardo e Mario Notomista

SCAVI

Vitruvio è stato qui

82

di Giampiero Galasso

82 Rubriche L’ALTRA FACCIA DELLA MEDAGLIA

Bellezza e mistero

90 110

di Francesca Ceci

LIBRI

112

SPECIALE

RAM FILM FESTIVAL Archeologia e memorie

90

di Claudia Beretta

Illustrazioni e immagini: Cortesia Istituto Archeologico Germanico, Roma: copertina (e p. 54) e pp. 55, 56, 57 (alto), 58-61 – Doc. red.: pp. 3, 38-41, 50, 56/57, 80/81 – Cortesia Soprintendenza ABAP per le province di Ancona e Pesaro e Urbino: pp. 6-8, 82, 84-85, 86, 88 – Parco Archeologico di Pompei: pp. 10-11 – Parco Archeologico di Ostia antica: pp. 12-13 – Cortesia École française de Rome: Andrea Belardinelli: pp. 14 (alto, a sinistra), 15 (alto); Daniele Molajoli: p. 14 (alto, a destra); Joseph Ballu: p. 14 (basso); Paolo Tomassini: p. 15 (basso) – Cortesia Direzione regionale Musei della Toscana, Museo Archeologico Nazionale, Firenze: pp. 16, 18 (basso) – Cortesia Uffici Stampa: pp. 24-25 – Cortesia Soprintendenza Speciale ABAP di Roma: pp. 34-37, 42, 44/45, 48 – Shutterstock: pp. 46, 51 – Mondadori Portfolio: The Print Collector/ Heritage Images: pp. 48/49; Mauritius Images/ImagoDens: p 75 (alto); CM Dixon/Heritage Images: p. 76 (alto); Heritage Images: pp. 78/79 – National Gallery of Art, Washington: p. 52 – Cortesia Soprintendenza ABAP per le province di Sassari e Nuoro: pp. 64/65, 66, 66/67, 67, 68-69 – Cortesia degli autori: pp. 72-73, 74, 75 (basso), 76 (basso), 77, 78, 110-111 – Ufficio Stampa del RAM film festival di Rovereto: pp. 90-91, 92/93, 94-109 – Cippigraphix: cartine e rielaborazioni grafiche alle pp. 43, 66, 83 e 92.

Riguardo alle illustrazioni, la redazione si è curata della relativa autorizzazione degli aventi diritto. Nel caso che questi siano stati irreperibili, si resta comunque a disposizione per regolare eventuali spettanze.

Pubblicità e marketing Rita Cusani e-mail: cusanimedia@gmail.com – tel. 335 8437534 Distribuzione in Italia Press-Di - Distribuzione, Stampa e Multimedia srl Via Mondadori, 1 - 20090 Segrate (MI) Stampa Roto3 Industria Grafica srl via Turbigo 11/B - 20022 Castano Primo (MI) Servizio Abbonamenti È possibile richiedere informazioni e sottoscrivere un abbonamento tramite sito web: www.abbonamenti.it/archeo; e-mail: abbonamenti@directchannel.it; telefono: 02 49572016 [lun-ven, 9-18; costo della chiamata in base al proprio piano tariffario]; oppure tramite posta scrivendo a: Direct Channel SpA Casella Postale 97 – Via Dalmazia, 13 – 25126 Brescia (BS) L’abbonamento può avere inizio in qualsiasi momento dell’anno. Arretrati Il Servizio Arretrati è a cura di: Press-Di - Distribuzione, Stampa e Multimedia Srl - 20090 Segrate (MI) I clienti privati possono richiedere copie degli arretrati tramite e-mail agli indirizzi: collez@mondadori.it e arretrati@mondadori.it Per le edicole e i distributori è inoltre disponibile il sito: https://arretrati. pressdi.it

L’indice di «Archeo» 1985-2023 è disponibile sul sito https://ulissenet.comperio.it/ Registrandosi sulla home page si ottengono le credenziali per la consultazione di prova


n otiz iari o SCAVI Marche

ANOMALIE RIVELATRICI

l

a località di Sterpeto, nel territorio di Cantiano (Pesaro e Urbino) è stata oggetto di indagini archeologiche volte a verificare la presenza di strutture già da tempo supposte per via di numerosi rinvenimenti occasionali avvenuti nell’area. Ci troviamo 2 km circa a nord-ovest del nucleo urbano moderno, nell’area dell’antico centro di Luceolis, situato lungo la via Flaminia, non lontano dalla pieve medievale di S. Crescentino, in un campo alle pendici di una zona collinare posta a 364 m di altitudine, sulla destra idrografica del torrente Balbano e 1 km circa a ovest della strada consolare. L’intera area riveste perciò un notevole interesse dal punto di vista archeologico ed è nota anche per numerosi ritrovamenti di epoca preistorica. «Prima dello scavo – afferma Diego Voltolini, funzionario archeologo responsabile di zona – abbiamo deciso di effettuare una campagna di prospezioni geofisiche utilizzando il metodo magnetico. Le indagini sono state realizzate con l’obiettivo di verificare la reale presenza di strutture sepolte e

6 archeo

individuarne con precisione la localizzazione e l’estensione. Non conoscendo l’ubicazione del sito, la prospezione è stata condotta su una superficie complessiva di circa due ettari: una volta identificata la presenza e l’estensione delle strutture, si è proceduto a realizzare un’indagine piú mirata ad alta intensità di acquisizioni, cosí da avere un

maggior dettaglio nella planimetria dell’edificio. Grazie a questa indagine è stato possibile individuare numerose anomalie attribuibili a strutture sepolte che hanno confermato l’esistenza di un grande edificio esteso su 2000 mq e interpretabile, probabilmente, come una grande villa rustica di età romana. Al suo interno la villa risulta


In alto: la piramide a gradoni di Djoser (III dinastia, 2680-2660 a.C.). A destra: la piramide romboidale di Snefru (IV dinastia, 2639-2604 a.C.) In basso, sulle due pagine: la Piramide Rossa, detta anche Piramide Nord, nella necropoli di Dahshur.

caratterizzata da una complessa articolazione in ambienti, che sono il risultato delle varie fasi di frequentazione dell’edificio. I dati geofisici mostrano chiaramente anche anomalie riconducibili a punti di calore, come per esempio fornaci o calcare, che quindi ci farebbero presupporre anche la presenza di attività produttive e artigianali connesse alla villa. E, visti i risultati ottenuti con le prospezioni, si è deciso di

intervenire con saggi di scavo mirati a verificare le anomalie: sono state eseguite sei trincee posizionate in corrispondenza del perimetro dell’edificio e delle principali anomalie evidenziate dall’indagine non invasiva. Lo scavo ha confermato la presenza del vasto edificio di età romana imperiale, mettendone in

In alto: una fase della pulizia delle strutture murarie portate alla luce. In basso: strutture murarie a livello di fondazione, rinvenute con lo scavo, che confermano i dati geofisici.

Nella pagina accanto, in alto: veduta generale dell’area su cui è stata effettuata la prospezione geofisica. Nella pagina accanto, in basso: planimetria dell’edificio individuato grazie all’indagine magnetica.

archeo 7


n otiz iario

Da sinistra, in senso orario: un frammento di lucerna del tipo Firmalampen; un bollo su un frammento di ceramica sigillata italica; un frammento di glirarium, termine che designa giare caratterizzate internamente da scanalature a spirale e da numerosi fori, nelle quali si allevavano i ghiri, considerati una prelibatezza.

luce le murature e anche tracce relative alla fase successiva al suo abbandono, avvenuto forse dopo il IV-V secolo d.C. Pur in assenza di una stratigrafia orizzontale dovuta ai lavori agricoli e a forti fenomeni di erosione e di dilavamento, oltre ad attività di spoliazione avvenute in epoca tardo-antica e medievale, le strutture scoperte sono risultate conservate solo a livello di fondazione, mentre non si sono intercettati i piani di calpestio. È però probabile che in altri settori dell’edificio le strutture siano meglio conservate, come farebbe ben sperare lo scavo di una delle

8 archeo

trincee dove è stato messo in luce un ampio stato di crollo. I dati rilevati nel corso dello scavo attestano la presenza di almeno tre fasi: due di età romano-imperiale e una terza, di epoca piú tarda, costituita da un focolare, una massicciata fatta di frammenti laterizi e alcune buche inquadrabili in un momento successivo all’abbandono della villa. Gli unici indicatori cronologici finora in nostro possesso sono costituiti da un bollo su sigillata italica, un frammento di lucerna tipo Firmalampen e da alcuni frammenti di un glirarium che indicherebbero genericamente un contesto cronologico con un range compreso tra il I e il III secolo d.C.». Lo scavo è stato eseguito dagli archeologi della Tecne srl ed è stato

indirizzato esclusivamente alla verifica dei dati forniti dall’archeologa specializzata in prospezioni geofisiche Laura Cerri, con la messa in luce delle strutture archeologiche, la loro pulizia e documentazione. «In futuro c’è però l’intenzione da parte del Comune e della Soprintendenza di proseguire le ricerche con un progetto di scavo esteso e di valorizzazione dell’area», conclude Ilaria Rossetti, funzionaria archeologa SABAP per le province di Ancona e Pesaro e Urbino. Le indagini si sono svolte grazie a un finanziamento comunale e sotto la direzione scientifica della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Ancona e Pesaro e Urbino. Giampiero Galasso



ALL’OMBRA DEL VULCANO di Alessandra Randazzo

L’ULTIMA DIMORA DI AGRESTINO L’ISCRIZIONE SU UNA TOMBA SCOPERTA DI RECENTE NEI PRESSI DI PORTA STABIA RIPERCORRE IL CURSUS HONORUM DEL SUO PROPRIETARIO. CHE DOPO LA CARRIERA MILITARE RICOPRÍ IMPORTANTI RUOLI CIVILI E POLITICI

I

n occasione dei lavori per la realizzazione di un cunicolo di ventilazione sul lato est dell’edificio di San Paolino adiacente alla necropoli di Porta Stabia, nuova sede della biblioteca del Parco Archeologico di Pompei, gli archeologi hanno portato alla luce una tomba a schola, un tipo noto nella città vesuviana che consiste in un sedile di tufo di Nocera, con schienale ricurvo e terminazioni a zampe leonine. La tipologia risale alla prima età imperiale e appare esclusiva di Pompei, non essendo noti altri confronti coevi con il resto dell’impero. Il personaggio è citato nell’iscrizione che corre lungo tutto il sedile, che recita: N(umerio) AGRESTINO N(umerii) F(ilio) EQUITIO PULCHRO TRIB(uno) MIL(itum) PRAEF(ecto) AUTRYGON(um) PRAEF(ecto) FABR(um) II D(uum) V(iro) I(ure) D(icundo) ITER(um) LOCUS SEPULTURAE DATUS D(ecreto) D(ecurionum) Si tratta dunque di un notabile, presumibilmente di rango equestre, che fece carriera militare sotto il

principato di Augusto. Il testo riporta il cursus honorum in maniera schematica e senza un preciso riferimento su dove Agrestinus operò militarmente. La sua carriera però, non si limitò solo alle varie schiere che prestavano servizio nei numerosi teatri di conquista dei Romani, ma, a livello civico, Agrestinus fu anche duoviro iure dicundo (per due volte) a Pompei, sebbene non sia chiaro se prima o dopo la In questa pagina: una veduta dall’alto della tomba di Numerio Agrestino e, a sinistra, un particolare dell’iscrizione che riporta il cursus honorum del defunto.

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Ancora due immagini dello scavo della tomba di Numerio Agrestino. carriera militare. Uno dei suoi ruoli civili fu quello di praefectus fabrum, una funzione spesso definita dagli studiosi come un comando di unità del genio militare, di tipo logistico amministrativo e ricoperta al servizio di un magistrato con imperium.

PER DUE VOLTE PREFETTO Questi prefetti provenivano spesso dai ranghi dell’esercito, dalle élites provinciali o italiche. In generale, l’ottenimento della prefettura era frutto di politiche clientelari nella promozione delle aristocrazie italiche nell’ordine equestre riformato da Augusto. L’iscrizione non permette di conoscere presso chi e per quanto tempo Agrestinus ricoprí questo ruolo; l’unico dato certo è che fu praefectus fabrum per due volte. Ancora, le cariche successive sono quelle di una prefettura Autrygonum e di tribunus militum, ma, anche in questo caso, spicca l’assenza di specificazione dell’unità nella quale fu esercitato il tribunato, una costante dell’epigrafia dei primi decenni del principato. Interessante appare invece la carica di praefectus Autrygonum, unico elemento che permette di localizzare il nostro personaggio durante il suo servizio militare. Come riporta Strabone, gli Autrigones o Allotrigones furono un popolo celtiberico della Cantabria, localizzata nella zona montana a nord dell’attuale Burgos. La carica è da mettere in relazione alla formazione delle prefetture distrettuali iberiche negli anni successivi alle guerre cantabriche augustee. Bisogna ridimensionare però il suo ruolo politico. I compiti di Agrestinus dovevano essere piuttosto quelli di un controllo del difficile territorio montuoso degli Autrigones e non di ruolo militare o comando. Il tribunato fu esercitato probabilmente in contemporanea alla prefettura, non avendo altre indicazioni dall’iscrizione epigrafica e andando solo di confronto con le cariche dei titolari delle altre prefetture distrettuali ispaniche. Non sappiamo dove furono deposte le ceneri alla sua morte. Agrestinus appare anche in un’iscrizione funeraria su una tomba della necropoli di Porta Nocera, fatta realizzare dalla moglie, Veia Barchilla tra il 30 e l’11 a.C.: VEIA N(umerii) F(ilia) BARCHILLA SIBI ET

N(umerio) AGRESTINO EQUITIO PULCHRO VIRO SUO È ancora una volta l’epigrafia a mostrare ulteriori personaggi della vita politica pompeiana. La moglie di Agrestinus doveva essere infatti figlia di un Numerio Barca, noto candidato politico già all’interno dei programmata antiquiores. A Pompei possiamo imbatterci in due tipologie di programmata: gli antiquissima e i recentiora. I primi risalenti al periodo precedente la fondazione della colonia (quindi prima dell’80 a.C.), mentre gli altri sono quelli che si datano agli ultimi 17 anni della vita della città. Il nome Barchilla rende l’idea di una «piccolina di Barca» e quindi si potrebbe presupporre il legame con il piú noto candidato pompeiano. Il cognomen Barca riconduce inoltre alla ben nota famiglia cartaginese di Amilcare e Annibale (i nemici di Roma durante la seconda guerra punica 218-202 a.C.) ben lontani dalla storia in cui si calano i personaggi di Agrestinus e della sua famiglia.

LA PIÚ ALTA CARICA AMMINISTRATIVA A Pompei Barca non è piú un cognomen ma, nel I secolo d.C., denota piuttosto un nomen, suggerito anche dai formulari dei dipinti elettorali. La Spagna legherebbe Barchilla al marito Agrestinus, ma nessun dato ci permette di conoscere come e quando i due si conobbero. Alla luce di quanto scoperto, Numerius Agrestinus Equitio Pulcher, il cui nome peraltro fa supporre che, a un certo punto, fu adottato dalla gens Agrestina, ha ricoperto a Pompei la piú alta carica dell’amministrazione locale, quella del duumvir iure dicundo e racconta di connessioni sempre piú ampie che a partire dal II secolo a.C. portarono Roma ad affacciarsi su tutto il bacino del Mediterraneo. Hanno contribuito alla lettura e interpretazione dell’iscrizione Maria Chiara Scappaticcio, professoressa ordinaria di lingua e letteratura latina all’Università Federico II di Napoli e Alberto Dalla Rosa, professore ordinario di storia romana all’Université Bordeaux Montaigne. Per notizie e aggiornamenti su Pompei: pompeiisites. org; Facebook: Pompeii-Parco Archeologico; Instagram: Pompeii-Parco Archeologico; X: Pompeii Sites; YouTube: Pompeii Sites.

a r c h e o 11


FRONTE DEL PORTO a cura di Claudia Tempesta e Cristina Genovese

CI VEDIAMO IN CAPITANERIA L’EDIFICIO TRADIZIONALMENTE IDENTIFICATO CON UNO DEI CENTRI NEVRALGICI DEL PORTO DI CLAUDIO È AL CENTRO DI UN AMPIO PROGETTO DI STUDIO E DI INDAGINE, IN VISTA DELLA SUA RIAPERTURA AL PUBBLICO

A

lle spalle del monumento ai Caduti di Kindu, presso l’Aeroporto «Leonardo Da Vinci» e il Museo delle Navi di Fiumicino, gli scavi degli anni Sessanta del Novecento hanno portato in luce la testata della banchina orientale del porto marittimo costruito da Claudio e le strutture che insistono su di essa: una doppia fila di ambienti, forse destinati allo stoccaggio, sviluppati su due piani, accessibili sul retro da una rampa funzionale alle operazioni di carico e scarico delle merci. Quegli scavi, dovuti ai lavori per la costruzione dell’aeroporto, furono fondamentali per conoscere il Porto di Claudio: oltre alla banchina orientale vennero infatti in luce il molo settentrionale –

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L’edificio della cosiddetta «Capitaneria di Porto». In basso, da sinistra: l’ambiente riscaldato e affrescato; attività di monitoraggio microclimatico. ancora visibile per lungo tratto – e i relitti oggi esposti nel Museo delle Navi, innalzato proprio sul luogo del loro rinvenimento. Costruito nel II secolo d.C., l’edificio posto sulla banchina orientale subí, tra III e IV secolo d.C., notevoli rifacimenti, che ne modificarono in

parte anche la funzione; ciò si rileva soprattutto dalla configurazione del vano principale, a pianta quadrata, che fu dotato di pareti riscaldate da tubuli di terracotta e di una volta a crociera dipinta. Sul soffitto, a sfondo giallo-rosato e ripartito in quattro scomparti dalla


Particolare dell’affresco con la raffigurazione del faro di Portus e le personificazioni dei venti. rappresentazione di altrettanti timoni – chiaro riferimento alla navigazione –, sono raffigurati il grande faro di Portus e due teste, probabili personificazioni dei venti. Le quattro vele sono decorate con ghirlande in bianco e figurine miniaturistiche di cavalieri e di aquile in volo in rosso, inquadrate da elementi architettonici molto schematici. A oggi, quest’opera pittorica è un unicum a Portus, sia perché non sono noti altri affreschi dal porto di Roma imperiale, sia perché il tema figurativo è unico nel panorama ostiense. La posizione e le peculiarità della decorazione hanno permesso di ipotizzare che nell’edificio si svolgessero operazioni di dogana e sono all’origine del nome di «Capitaneria di Porto» con cui è tradizionalmente conosciuto. Già al momento dello scavo, nel 1961, fu avviato un articolato intervento di restauro, nell’ambito del quale il vano principale venne interamente ricostruito e il soffitto dipinto, rinvenuto in crollo, fu ricomposto e ricollocato sulla volta. Sebbene tale intervento fosse finalizzato a restituire il monumento alla pubblica fruizione, in realtà il complesso è sempre rimasto chiuso al pubblico.

Grazie alla collaborazione con Aeroporti di Roma, che ha provveduto allo sfalcio dell’area circostante la Capitaneria e alla ricostruzione della scaletta di accesso al vano principale, e, soprattutto, al finanziamento accordato da Lazio Innova (società in house della Regione Lazio) al progetto «S.T.Ar.T. Ostia-Soluzioni Tecnologiche per l’ARcheologia e il Territorio», nell’ambito del bando DTC-Intervento 2-Ricerca e sviluppo di tecnologie per la valorizzazione del patrimonio culturale (vedi «Archeo» n. 469, marzo 2024; on line su issuu.com) è stato avviato un progetto di studio e di indagini propedeutico al restauro e all’apertura al pubblico del complesso.

INDAGINI DIAGNOSTICHE Nella scorsa primavera, è stato ultimato il rilievo planoaltimetrico dell’edificio, attraverso fotogrammetria e laser scanner, mentre a breve verranno avviate le indagini diagnostiche sugli affreschi della volta, finalizzate a valutare lo stato conservativo e la caratterizzazione dei materiali, e, infine, la diagnostica strutturale sulla volta e sulle murature moderne. Tutti i dati raccolti,

compresi gli esiti del monitoraggio microclimatico, confluiranno nella piattaforma GIS del Parco archeologico e verranno messi a sistema al fine di predisporre un progetto di restauro del complesso, con l’obiettivo di riaprire al pubblico l’edificio, anche in considerazione della sua centralità all’interno dei percorsi di visita che si snodano tra l’Aeroporto di Fiumicino, dove sono esposte lungo il corpo di collegamento verso il Molo A opere scultoree provenienti da Ostia (vedi «Archeo» n. 449, luglio 2022; on line su issuu. com), e il Museo delle Navi, recentemente riaperto al pubblico (vedi «Archeo» n. 439, settembre 2021; on line su issuu.com). All’interno del progetto è prevista anche la realizzazione di un video nel quale verranno proposte ricostruzioni virtuali non solo dell’edificio, ma anche del contesto circostante, con la finalità di restituire la piena percezione dell’aspetto e della funzione del Porto di Claudio, oggi profondamente alterata dall’avanzamento della linea di costa e dal conseguente interramento del bacino. Marina Lo Blundo e Claudia Tempesta

a r c h e o 13


n otiz iario

MOSTRE Roma

A SCUOLA D’ARCHEOLOGIA

L

e sede di piazza Navona dell’École française de Rome ospita la mostra «Un museo per l’Ècole. La collezione di antichità dell’Ècole française de Rome», che ripercorre i tempi e i modi della

formazione della collezione di antichità dell’istituzione fondata nel 1875. La raccolta venne voluta dal suo primo direttore Auguste Geoffroy (1820-1895), allo scopo di contribuire alla formazione di giovani storici e archeologi. I curatori, Christian Mazet e Paolo Tomassini, hanno lavorato sia sulla documentazione di archivio, che si è conservata, sia sui reperti.

Ne è scaturita la ricostruzione di una storia interessante tra archeologia e collezionismo, che vede coinvolti personaggi di primo piano del mondo antiquario del tempo, come Wolfgang Helbig e Augusto Castellani. Auguste Geoffroy riuscí a raccogliere piú di 300 reperti greci, etruschi e romani, collocabili in un arco cronologico assai ampio, che

A sinistra: il Salone Rosso di Palazzo Farnese: in alto, un ritratto di Auguste Geoffroy, primo direttore dell’École française de Rome; in basso, reperti scultorei facenti parte della collezione di antichità dell’istituzione. Qui sotto: vasellame di varia foggia e tipologia esposto nella mostra. In basso: la vetrina della mostra dedicata ai materiali fittili.

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A sinistra: fronte di sarcofago paleocristiano collocata nella loggia di Palazzo Farnese. In basso: un frammento di terracotta architettonica con tracce della policromia originaria.

riescono a dare un’idea della vivacità culturale dell’Italia antica: un altro degli scopi che l’ideatore della raccolta voleva raggiungere. Tra le ceramiche si possono menzionare, in particolare, una trentina di vasi greci e etruschi che il mercante di antichità Augusto Castellani, già ricordato, donò all’École nel marzo del 1879. La gran parte di essi fu rinvenuta probabilmente dai fratelli Calabresi nella necropoli della Banditaccia a Cerveteri. Altre ceramiche arrivarono per vie diverse: vi figurano vasellame in impasto, buccheri, vasi a figure nere e rosse. Alcuni di essi erano stati restaurati già prima di entrare

sarcofago paleocristiano adorna ancora oggi la loggia. I pezzi riuniti risultano databili dal II secolo a.C. al IV secolo d.C. Nella raccolta figurano anche numerose terrecotte votive di produzione etrusco-laziale: statue in frammenti, teste, figure di animali e ex voto anatomici databili tra il IV e il II secolo a.C. Alcune di esse si conservano ancora come erano state ritrovate nel terreno non essendo state oggetto di nessun intervento di ripulitura. Altri reperti provengono dai primi scavi ufficiali dell’Ècole Française de Rome che vennero eseguiti nel santuario di Ercole a Palestrina nel febbraio del 1878. Nella raccolta sono presenti infine numerosi frammenti di vario genere allo scopo di farli esaminare in maniera ravvicinata dagli allievi della Scuola, cosí da avvicinarli all’artigianato artistico antico e consentire di conoscere materiali e tecniche di lavorazione. I curatori della mostra hanno segnalato come tale approccio fosse pienamente in linea con le indicazioni suggerite nella formazione archeologica di livello universitario in Francia alla fine dell’Ottocento. Anzi, in proposito, Auguste Geoffroy appare un precursore. Giuseppe M. Della Fina

DOVE E QUANDO nella raccolta. Altri – come ha suggerito un restauro recente – erano assemblaggi di parti di vasi diversi, o si trattava di veri e propri pastiches. Un’ampia sezione è dedicata alla scultura antica e i pezzi migliori hanno ornato a lungo i saloni del secondo piano di Palazzo Farnese. Un eccezionale

«Un Museo per l’École» Roma, École française de Rome. piazza Navona 62 fino al 20 dicembre Orario lu-ve, 10,00-19,00, sa, 10,00-13,00; chiusure straordinarie: 1° e 11 novembre Info www.efrome.it

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A TUTTO CAMPO Maria Rosaria Luberto

UN LIGNAGGIO NOBILE E COLTO LO STUDIO DELLA COLLEZIONE PASSERINI, ATTUALMENTE IN ESPOSIZIONE A FIRENZE, È L’OCCASIONE PER RICOSTRUIRE LA STORIA DI UNA FAMIGLIA ALLA QUALE APPARTENNERO CHIERICI, MILITARI, MECENATI E ILLUSTRI SCIENZIATI

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n un precedente intervento ci siamo occupati della mostra «Tesori dalle terre d’Etruria» (tuttora visitabile nel Museo Archeologico Nazionale di Firenze), dedicata alla collezione dei conti Passerini, frutto, in particolare, delle acquisizioni di Napoleone Pio (vedi «Archeo» n. 461, luglio 2023; on line su

issuu.com). L’esposizione offre l’opportunità di conoscere un complesso di oggetti di grande pregio storico e culturale, reso ancora piú interessante per le informazioni sui poco noti contesti di provenienza. Le ricerche che hanno portato all’edizione dei reperti sono state peraltro l’occasione per far luce sulla

A sinistra: Napoleone Passerini da giovane. Fotografia di Giacomo Brogi (Scandicci, Firenze). Scandicci, proprietà privata di Alessandro Tramagli. A destra: Napoleone Passerini in età avanzata davanti a Villa «Le Rondini». 1945-1951. Scandicci, proprietà privata di Alessandro Tramagli.

complessa storia dei proprietari, appartenenti a una delle piú illustri famiglie toscane, per varie ragioni rimasta misconosciuta. Il nome dei Passerini è attestato dal XII secolo: Levaldo, detto «Passerino» (donde il cognome), era il padre di Benincasa, consigliere del Comune di Firenze nel 1172. Da lui derivano quattro linee di discendenza, molte delle quali estinte tra XIV e XVI secolo. È presumibile che quella di Giovanni e di suo figlio Passerino sia alle origini della famiglia di collezionisti, un cui membro potrebbe essere stato l’illustre «cardinal di Cortona» Silvio Passerini (1469-1581).

INCARICHI DI PRESTIGIO Inviato alla corte medicea, Silvio è sodale del cardinale Giovanni dei Medici, figlio di Lorenzo e Clarice Orsini (il futuro papa Leone X), e ne ottiene varie cariche prestigiose. Uomo ambizioso, noto e influente sulla scena politica dell’epoca, nutre anche interessi artistici e culturali. Sotto di lui lavorano infatti Andrea del Sarto (per la realizzazione, insieme a Raffaellino del Garbo, di un parato liturgico in occasione della visita di Leone X a Cortona, nel 1515) e Luca Signorelli, che affresca la cappella privata della villa in località Fontecumula,

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sempre a Cortona. I due fratelli del cardinale, Cosimo e Valerio, con bolla del 1519 ottengono la signoria feudale sulle Poste di Petrognano (oggi Petrignano), in Umbria. La linea di discendenza di Valerio arriva fino a Napoleone Pio, il cui nome completo è Napoleone Raffaello Pietro Luigi Carlo Maria. Figlio naturale di Elisabetta Gherardi e di Pietro (senatore dell’effimero Parlamento di Toscana nel 1848), nasce a Firenze il 23 marzo 1862. Come unico erede dei beni di famiglia, gli sono riconosciuti i titoli nobiliari di conte e patrizio di Cortona, nonché il diritto a utilizzare lo stemma di famiglia, del quale si conoscono diverse versioni, con l’abituale motto della famiglia: Montibus aequatis rectus procumbit ad orbem, «Raggiunti/ eguagliati i monti, il giusto si abbassa verso il mondo». È un eufemismo dire che il patrimonio di Napoleone fosse ingente, tanto che è difficile ricostruirne l’esatta consistenza: tenute, ville e possedimenti sono documentati in tutte le province dellaToscana, a Scandicci, Bettolle, Manzano, Lorenzana,Treggiaia e Pantano e, in particolare, a Firenze, nelle località di Casellina eTorri, Brozzi, Sesto Fiorentino (luogo noto come Case Passerini, oggi al centro di molte polemiche per la presenza di un impianto di compostaggio dei rifiuti), Campi Bisenzio, senza tralasciare l’area pisana (Santa Luce, Palaia e Pisa stessa).

MULTIFORME INGEGNO Napoleone fu uomo colto, versatile e attivo, fondatore e professore dell’Istituto Agrario Sperimentale di Scandicci, libero docente e professore di agronomia nell’Università di Pisa e direttore della Scuola Superiore di Agricoltura, poi annessa

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dalla carica nel 1948, per una sentenza della Corte di Cassazione che ne aveva accertato l’adesione al movimento fascista. Sposa Vittoria Matilde Ghetti in prime nozze e, in seguito alla sua morte, Eleonora degli Albizi. Dalla prima moglie ha due figlie (Onorina e Lina) e tre figli (Gino, Mario e Lapo). Tra essi, Onorina, Gino e Mario sembrano aver ereditato l’inclinazione alle scienze e la versatilità del padre.

UNA VIAGGIATRICE INSTANCABILE all’Università, nella stessa città. Numerose le sue partecipazioni, con cariche diverse, a importanti società e accademie italiane. Nel 1910 diviene senatore del Regno per regio decreto, decadendo tuttavia In alto: stemma della famiglia Passerini, Codice n. 389 (Tommaso Braccioli), 1563. Cortona, Biblioteca del Comune e dell’Accademia Etrusca. In basso: l’Istituto Passerini di Scandicci in una cartolina dei primi del Novecento. Firenze, proprietà privata di Sara Passerini.

Onorina Passerini, divenuta Barbagli Petrucci con il matrimonio, è stata ricercatrice botanica e instancabile viaggiatrice: ha risalito il Nilo e ha esplorato la Cirenaica, la Libia, il Sudan e la Tripolitania. Qui, nel 1932, arriva a Murzuck e poi a Brach, unica donna bianca a essere riuscita nell’impresa dopo l’altrettanto avventurosa duchessa Elena d’Orléans. Onorina ha scritto molto, e non solo per professione: i suoi diari di viaggio sono ricchi di descrizioni sugli usi e costumi locali, oltre a esprimere un forte carattere personale nei toni, dai quali emerge la figura di una donna ricca, colta, intraprendente, autonoma ed emancipata. Il secondogenito di Napoleone, Gino, è stato professore di idraulica e ha fondato, sempre a Firenze, la Società Italiana di Scienze del Suolo. Di carattere opposto a quello di Onorina, del fratello Mario si ricorda l’indole riservata, simile a quella del padre. Mario è stato docente di chimica nell’Università di Firenze e a lui si deve la scoperta di un’importante reazione di chimica organica, nota come «reazione Passerini». Una famiglia ricca di figure di alto livello, dunque, che merita di essere ricordata. (mariarosaria.luberto@unisi.it)



ARCHEOEXPERIENCE: I 14 PARCHI ARCHEOLOGICI SICILIANI PROTAGONISTI AD AGRIGENTO DAL 26 AL 29 SETTEMBRE

Area archeologica di Agrigento, tempio della Concordia, con, in primo piano, un particolare di Icaro, scultura di Igor Mitoraj

A

rcheoExperience nell’Isola dei Tesori si aprirà presso il Teatro Pirandello nel segno della memoria con la lettura magistrale «La storia dell’iscrizione della Valle dei Templi di Agrigento nella Lista del Patrimonio Mondiale UNESCO» a cura di Mounir Bouchenaki, al quale sarà conferita la

Sant’Angelo Muxaro, Tomba del Principe

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cittadinanza onoraria: infatti, nel 1996 quale Direttore della Divisione Patrimonio Culturale UNESCO ne accertò il merito della candidatura, accolta nella 21a Sessione del World Heritage Committee a Napoli nei primi giorni del dicembre 1997. Per l’occasione i club Lions e Rotary consegneranno al neo Presidente del

Piazza Armerina, Villa del Casale


Agrigento, Teatro Pirandello

Consiglio del Parco Archeologico e Paesaggistico della Valle dei Templi, Giuseppe Parello, un contributo finalizzato alla valorizzazione del patrimonio esistente. Per gli studenti delle Scuole Superiori gli

Agrigento, Museo Archeologico Regionale «Pietro Griffo»

Agrigento, la Cattedrale

ArcheoIncontri per la conoscenza dei Parchi Archeologici siciliani, l’educazione al patrimonio, la presentazione dell’offerta formativa nei beni culturali con la partecipazione dei divulgatori Syusy Blady, Patrizio Roversi, Mario Tozzi. ArcheoVirtual, presso la sala multimediale adiacente il Telamone offrirà una grande proiezione a parete del video Il sogno di Olimpia sulla ricostruzione in 3D del Tempio di Zeus Olimpio, mentre presso la chiesa di S. Sofia ci saranno installazioni di realtà virtuale. Conferenze e Riunioni saranno occasione di confronto tra l’Assessorato Beni culturali con i Parchi e Musei Statali, i piccoli Comuni, i Gal, l’Università sulla governance del patrimonio archeologico e sui processi da attuare a beneficio del potenziale dei territori e dei siti culturali, cosí come il tema del volontariato sarà affrontato dal sistema regionale delle Associazioni professionali e culturali di

Mounir Bouchenaki

Agrigento, Museo Diocesano

Giardino della Kolymbethra

La dea di Morgantina

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Agrigento, Casa Barbadoro

Agrigento, chiesa di S. Nicola

promozione sociale. L’Educational dedicato ai buyer europei e alla stampa presenterà itinerari ricchi di aspetti materiali e immateriali dell’offerta territoriale, da Selinunte alla Villa Romana del Casale di Piazza Armerina con il Museo di Aidone, dall’anfiteatro di Siracusa ai Monti Sicani con Sant’Angelo Muxaro, passando per l’Ecomuseo dei 5 Sensi a Sciacca per finire con la visita ai beni ecclesiastici dell’Arcidiocesi nell’antica Girgenti a Casa Barbadoro, immobile rurale da poco restaurato a pochi metri dal Tempio della Concordia, per la degustazione dei prodotti a marchio Diodoros, recente progetto culturale di riconversione dei 1300 ettari del Parco, «narrazione di una agricoltura biologica antica», che commercializza le produzioni agricole del Parco: vino, olio, grani, miele, marmellate

Agrigento, Casa Barbadoro

di agrumi, succhi e frutta candita, capperi, cioccolato, creme dolci di mandorle e pistacchi, zafferano. Inoltre, un salone espositivo presso l’atrio del Comune con i 14 Parchi Archeologici siciliani e il Museo Salinas di Palermo e un’area area di 100 mq presso il Telamone, il gigante di pietra di recente tornato in piedi, con Laboratori di Archeologia Sperimentale, dove 26 rievocatori faranno rivivere le civiltà antiche e le tecniche di produzione dei manufatti di uso quotidiano dei nostri antenati. Il Workshop con i buyer europei interessati alle destinazioni turistico-culturali siciliane nell’incontro B2B con gli operatori turistici dell’offerta, nel pomeriggio di sabato 28 settembre, sarà preceduto dall’assemblea regionale degli agenti di viaggio della Fiavet. E per facilitare la mobilità tra centro storico e sito UNESCO (da Agrigento Centrale perTempio di Vulcano/ Giardini della Kolymbethra sabato 28 e domenica 29 settembre) ilTreno Storico deiTempli con locomotiva elettrica e carrozze «Centoporte» degli anniTrenta per emozioni dal sapore antico, grazie all’accordo tra Fondazione FS Italiane e Regione Siciliana.

ArcheoExperience nell’Isola dei Tesori è promosso e organizzato dall’Assessorato dei Beni culturali dell’identità siciliana della Regione Siciliana, ideato e diretto dalla BMTA, la Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico, marchio registrato della Leader srl.

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n otiz iario

MOSTRE Toscana

FARAONI IN VERSILIA

D

al rapporto instaurato dalla Fondazione Villa Bertelli e dal Comune di Forte dei Marmi con il Museo Egizio di Torino è nata l’unica esposizione organizzata in spazi esterni al museo torinese nell’anno del suo bicentenario. «La mostra – ha dichiarato Christian Greco, direttore del Museo Egizio – intende sollecitare la curiosità, illustrando la complessità di quello che presentiamo. Gli oggetti esposti ci parlano di cultura funeraria, non perché gli Egizi fossero ossessionati dalla morte. Noi conosciamo la loro cultura materiale principalmente per aver scavato in necropoli e questa è la nostra principale chiave di accesso alla cultura dell’antico Egitto. Il racconto che facciamo qui, grazie a un approccio prosopografico, vuole invece presentare le persone, oltre l’oggetto. Sono quindi felicissimo che, oltre coloro che potranno visitare la mostra d’estate, la comunità si possa appropriare di questa esposizione e la possa utilizzare per capire come quella memoria materiale, che proviene da un luogo distante, in realtà predetermini chi siamo noi oggi e ci proietti in quest’ottica mediterranea, dove la civiltà

A destra: maschera funeraria in cartonnage in stile egizio, da Assiut. Epoca romana. Il reperto è stato scelto come immagine guida della mostra di Forte dei Marmi. Qui sotto: papiro usato come amuleto protettivo da mettere al collo della mummia, con la formula 100 del Libro dei Morti, da Tebe. Epoca tardaepoca tolemaica.

In alto: doluptu sanduntium eossint quaesto dolorest, ut exereca taspisci. A sinistra: dida finta doluptu sanduntium eossint quaesto dolorest, Parthenos doluptu sanduntium eossint quaesto dolorest, ut exereca.

A sinistra: vasi canopi in alabastro di Ptahotep, forse da Menfi. Terzo Periodo Intermedio, XXI dinastia. nilotica ha avuto un ruolo fondamentale». Immagine guida dell’esposizione è una maschera funeraria di età romana (30 a.C.-395 d.C.) proveniente da Assiut: una riproduzione idealizzata del volto del defunto, realizzata in cartonnage (materiale simile alla cartapesta) e destinata alla protezione magica della mummia.

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In alto: modellino in legno e stucco di panificazione e birrificazione, da Assiut. Medio Regno, prima metà della XII dinastia. In alto: modellino in legno e stucco di un’imbarcazione con il suo equipaggio (ricomposto), da Assiut. Primo Periodo Intermedio, Nuovo Regno. Uno dei lati dello scafo è decorato con l’occhio udjat, a protezione della barca. A sinistra: amuleto in calcedonio in forma di ippopotamo. Epoca tarda. Tra i reperti in mostra, un tipico modellino di imbarcazione dei corredi funerari del Primo Periodo Intermedio (2118-1980 a.C.), in legno stuccato e dipinto, decorato con la coppia di occhi udjat a protezione dello scafo. Queste imbarcazioni in genere rappresentano il viaggio del defunto verso la città sacra di Abido. Dalla Galleria della Cultura materiale dell’Egizio proviene invece il set completo di vasi canopi in alabastro di Ptahhotep, vissuto durante il Terzo Periodo Intermedio (1076-722 a.C.). I 4 vasi sono chiusi da coperchi che ritraggono i Figli di Horus, con teste zoomorfe, utilizzati per conservare separatamente gli organi del defunto. Il percorso espositivo è, inoltre, arricchito da infografiche e installazioni multimediali, con approfondimenti storico-scientifici

sui reperti e sui diversi periodi storici, e da due significative riproduzioni provenienti dal Museo Egizio – la statua monumentale di Ramesse II e il sarcofago di Butehamon – per offrire testimonianza di reperti inamovibili, ma di grande interesse storico e artistico. All’esterno del Fortino, la riproduzione della statua di Ramesse II invita i passanti ad accedere al museo. Realizzata in vetroresina in scala 2:1, l’opera costituisce un modello di bellezza assoluto per l’arte egizia, paragonata dal padre dell’egittologia moderna, Jean-François Champollion, all’Apollo del Belvedere. Il terzo piano del Fortino, invece, è riservato al sarcofago di Butehamon, per consentire ai visitatori di prendere idealmente

parte allo studio scientifico del reperto, accedendo a contenuti multimediali. Riprodotto in scala 1:1 a partire dai rilievi condotti dal Politecnico di Milano e stampato in 3D, il sarcofago offre una concreta testimonianza di come i dati invisibili raccolti durante l’analisi di un reperto possano trovare una manifestazione materiale. Un sistema di mapping consente, infatti, di raccontare in modo dinamico come il manufatto fu concepito, costruito e successivamente restaurato. (red.)

DOVE E QUANDO «Gli Egizi e i doni del Nilo» Forte dei Marmi (LU), Fortino Leopoldo I fino al 2 febbraio 2025 Orario dal 2 agosto al 15 settembre, 10,00-13,00 e 17,00-24,00; chiuso il martedí e il 28 agosto; successive aperture disponibili sui siti web (vedi info) Info tel. 0584 280292; e-mail: forteinfo@comunefdm.it www.villabertelli.it, www.visitforte.com, www.museoegizio.it

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n otiz iario

ARCHEOFILATELIA

Luciano Calenda

TESORI TRANSADRIATICI Sembra che tra le mete piú gettonate dell’estate 2024 ci sia stata l’Albania: per la vicinanza, per il contenuto costo della vita e per la 1 2 buona accessibilità alle località turistiche marinare, come Dhermi (1) e interne, come il Parco nazionale di Valbona (2). Ma c’è anche un altro fattore che, forse, è stato quello effettivamente trainante: la ricchezza di siti archeologici, principalmente di epoca romana, come il portico di Durazzo (3), 3 4 5 ma anche greche, come il magnifico teatro di Butrinto (4). Le prime occupazioni militari romane risalgono infatti al II secolo a.C. e, con l’avvento di Giulio Cesare, la terra di Albania venne compresa nella provincia dell’Illiria. Le molte vestigia sparse nel Paese sono la piú viva testimonianza di quel periodo e le 6 maggiori mete turistico-culturali. Il centro di questo ricco patrimonio è il parco archeologico 7 8 di Butrinto con l’agorà (5) e con il già citato teatro di origini greche (6), nei cui dintorni sono stati ritrovati molti notevoli oggetti d’arte, tra cui una statua raffigurante Afrodite ribattezzata «la dea di Butrinto» (7), una testa marmorea di Giove (8) e numerosi mosaici, che impreziosivano i pavimenti dei resti degli edifici visibili all’interno del parco (9). Molto di quanto oggi si può 9 10 ammirare è merito dell’attività dell’archeologo italiano Luigi Maria Ugolini, che cominciò a lavorare a Butrinto nel 1924 (vedi «Archeo» n. 462, agosto 2023; on line su issuu.com). Vestigia romane sono presenti anche in altri parchi archeologici, come quelli di 11 12 Antigonea (10) o di Orikumit (11) e nei numerosi siti del Paese, come, per esempio, 13 Apollonia (12), con i suoi magnifici mosaici (13). Alla base dell’«attrazione» esercitata dalla terra delle aquile e da Butrinto in particolare, almeno per noi Italiani, c’è anche un motivo «storico/letterario. Nell’Eneide, infatti, Virgilio (14) narra che Enea, fuggiasco da Troia (15) e proveniente da Corfú, si 14 15 imbatté in una placida laguna della terraferma (16), dove esuli 16 troiani guidati da Eleno, che aveva sposato Andromaca, e che IL CIFT. Questa rubrica erano giunti lí prima di lui avevano fondato una piccola città, appunto è curata dal CIFT (Centro Italiano di Butrinto. Nel libro III dell’Eneide Virgilio racconta poi che lo stesso Filatelia Tematica); per Eleno incontra Enea e gli predice un lungo viaggio verso la terra ulteriori chiarimenti stabilita, l’Ausonia, cioè l’Italia (17). Questo è il primo collegamento o informazioni, si può scrivere alla redazione 17 che unisce Troia e Roma, avallando quindi, secondo il poeta di «Archeo» o al CIFT, mantovano, la narrazione secondo la quale Roma sarebbe stata anche per qualsiasi altro fondata per volere degli dèi che avevano disposto la caduta di Troia e tema, ai seguenti indirizzi: protetto la fuga di Enea. Virgilio legava cosí Roma al Segreteria c/o Luciano Calenda mito di Omero ed esaltava i valori romani tradizionali, Sergio De Benedictis C.P. 17037 - Grottarossa legittimando l’imperatore Augusto e la dinastia giulio- Corso Cavour, 60 - 70121 Bari 00189 Roma claudia come discendente dei fondatori comuni, eroi segreteria@cift.club lcalenda@yahoo.it oppure www.cift.it e dèi, di Roma e Troia.

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CALENDARIO

Italia ROMA Tlapitzalli

Riti e suoni del Messico antico Scuderie del Quirinale fino al 15.09.24

Teatro

Autori, attori e pubblico nell’antica Roma Museo dell’Ara Pacis fino al 03.11.24

Un museo per l’École

La collezione di antichità dell’École française de Rome École française de Rome, Galleria (piazza Navona, 62) fino al 20.12.24

FORTE DEI MARMI (LUCCA) Gli Egizi e i doni del Nilo Fortino Leopoldo I fino al 02.02.25

GAVARDO (BRESCIA) L’età del Legno. 4000 anni fa al Lucone

Manufatti in legno e tessuti dal sito palafitticolo dell’età del Bronzo Museo Archeologico della Valle Sabbia fino al 31.12.24

GUBBIO Interno Pompeiano

Fotografie di Luigi Spina Palazzo Ducale fino al 06.10.24

DeVoti Etruschi

Da Veio a Modena e ritorno Museo delle Antichità etrusche e italiche. Sapienza Università di Roma fino al 31.03.25

CARRARA Romana marmora

Storie di imperatori, dèi e cavatori CARMI, Museo Carrara e Michelangelo fino al 12.01.25

ISERNIA La forma dell’oro

Storie di gioielli dall’Italia antica Museo Archeologico di Santa Maria delle Monache fino all’08.09.24

POMPEI L’altra Pompei

Vite comuni all’ombra del Vesuvio Parco Archeologico di Pompei,Palestra grande fino al 15.12.24

COMO Il catalogo del mondo

Plinio il Vecchio e la Storia della Natura Ex chiesa di S. Pietro in Atrio e Palazzo del Broletto fino al 31.08.24 28 a r c h e o


Sarà gradito l’invio di informazioni da parte dei direttori di scavi, musei e altre iniziative, ai fini della completezza di questo notiziario.

RIO NELL’ELBA (LIVORNO) Gladiatori Museo Archeologico del Distretto Minerario fino al 01.11.24

SESTO FIORENTINO Archeologia svelata a Sesto Fiorentino

Francia PARIGI L’olimpismo

Un’invenzione moderna, un’eredità dell’antico Museo del Louvre fino al 16.09.24

Momenti di vita nella piana prima, durante e dopo gli Etruschi Biblioteca Ernesto Ragionieri fino al 16.03.26 (prorogata)

Capolavori della Collezione Torlonia

SIRACUSA Il regno di Ahhijawa

Nella Senna

TORINO La Scandalosa e la Magnifica

Il Met al Louvre

I Micenei e la Sicilia Museo Archeologico Regionale «Paolo Orsi» fino al 09.10.24

300 anni di ricerche su Industria e sul culto di Iside in Piemonte Galleria Sabauda, Spazio Scoperte fino al 10.11.24

Museo del Louvre fino all’11.11.24

Ritrovamenti dalla preistoria ai giorni nostri Crypte archéologique de l’île de la Cité fino al 31.12.24 Dialoghi di antichità orientali Museo del Louvre fino al 29.09.25

NÎMES Achille e la guerra di Troia Musée de la Romanité fino al 05.01.25

Germania BERLINO Elefantina

Isola dei millenni James-Simon-Galerie e Neues Museum fino al 27.10.24

TRENTO Con Spada e Croce

Longobardi a Civezzano Castello del Buonconsiglio fino al 20.10.24

TRENTO SAN MICHELE ALL’ADIGE Sciamani

Regno Unito LONDRA Le vie della Seta

British Museum fino al 23.02.25 (dal 26.09.24)

Comunicare con l’invisibile Palazzo delle Albere (Trento) METS-Museo etnografico trentino San Michele (San Michele all’Adige) fino al 06.10.24

TRIESTE Un tesoro ritrovato

Banditi e carovane sul Carso nel Medioevo Museo d’Antichità «J.J. Winckelmann» fino al 29.09.24 a r c h e o 29


AN L’ TI ART CH E E M DE O LLE NE TE

LA NUOVA MONOGRAFIA DI ARCHEO

L’ALTRA FACCIA DELLA MEDAGLIA LA MONETA ANTICA

ARTE • PROPAGANDA • RELIGIONE di Francesca Ceci


N

onostante il sempre piú diffuso utilizzo dei pagamenti elettronici, le monete sono ancora oggi una presenza familiare, alle origini della quale c’è una storia millenaria. Come racconta la nuova Monografia di «Archeo», infatti, l’introduzione di quei pezzetti di metallo come controvalore di beni o prestazioni ha radici antiche e, nel caso di Roma, la monetazione divenne una delle attività piú importanti – e piú attentamente controllate – dell’amministrazione repubblicana prima e imperiale poi. Al contempo, i monetieri e, soprattutto, i personaggi che si avvicendarono ai vertici del potere, intuirono lo straordinario potenziale propagandistico delle monete, che, proprio perché destinate a una circolazione di ampio raggio, potevano trasmettere anche nelle province piú remote messaggi celebrativi e autocelebrativi ben chiari. Per questi e molti altri motivi, lo studio della numismatica costituisce da tempo un formidabile alleato dell’archeologia e, piú in generale, della storia, forte com’è di un evidente valore documentario. Aspetti che Francesca Ceci, autrice della Monografia, ha passato per noi in rassegna, confezionando un’opera ricca di notizie, curiosità e non poche sorprese. Un universo dal fascino indiscusso, insomma, come del resto dimostra il fatto che le monete sono state e continuano a essere uno dei piú potenti motori del collezionismo, al quale si devono, peraltro, molte delle raccolte conservate in musei italiani e stranieri.

GLI ARGOMENTI

• QUESTIONI DI IMMAGINE •R AFFIGURARE GLI DÈI • F RA PAGANESIMO E CRISTIANESIMO Denarii romani in argento battuti al tempo di vari imperatori fra il I e il III sec. d.C.

in edicola

• L A REALIZZAZIONE DELLE MONETE: DALLE MINIERE ALLA ZECCA •D RITTI E ROVESCI: QUASI COME UN’ANTOLOGIA

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ROMA • TERME DI CARACALLA

QUELLE TERME ILLUSTRI E

MAGNIFICENTISSIME

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COSÍ LO STORICO LATINO ELIO SPARZIANO DEFINÍ IL GRANDIOSO COMPLESSO FATTO REALIZZARE A ROMA DA CARACALLA, CHE LO INAUGURÒ NEL 216 D.C. OGNI GIORNO SCORREVANO NELLE SUE CONDUTTURE E SI RIVERSAVANO IN VASCHE E PISCINE OLTRE 15 000 METRI CUBI D’ACQUA. CHE ORA, GRAZIE ALLO «SPECCHIO D’ACQUA», È TORNATA A ZAMPILLARE FRA LE ANTICHE MURA. PRIMO PASSO DEI NUOVI INTERVENTI DI VALORIZZAZIONE DEL MONUMENTO incontro con Mirella Serlorenzi a cura di Luciano Frazzoni, con contributi di Hannes Peer e Daniela Porro

L’

archeologa Mirella Serlorenzi è responsabile delle Terme di Caracalla per conto della Soprintendenza Speciale di Roma. L’abbiamo incontrata all’indomani dell’inaugurazione dello Specchio d’Acqua. ♦D ottoressa Serlorenzi, lo Specchio d’Acqua segna il ritorno a Caracalla di questo elemento fondamentale delle terme, che, come ha anche affermato la soprintendente Daniela Porro, è una riconnessione con l’antico (vedi alle pp. 48-52). Come è nata l’idea dello Specchio d’Acqua? La mia visione di valorizzazione e riqualificazione di (segue a p. 38)

In alto: l’architetto Hannes Peer a colloquio con l’archeologa Mirella Serlorenzi. Sulle due pagine: lo spettacolare Specchio d’Acqua messo in opera nelle Terme di Caracalla. a r c h e o 35


ROMA • TERME DI CARACALLA Veduta dall’alto delle Terme di Caracalla con lo Specchio d’Acqua.

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ROMA • TERME DI CARACALLA

un parco archeologico cosí esteso e complesso, è consistita sin dall’inizio nel porre al centro di ogni idea e di ogni progettazione il senso profondo del monumento, specialmente nella sua funzione e nel significato ideologico che rivestiva in antico, cercando di far propri i valori culturali di età romana e restituirli secondo un sentire contemporaneo. Le terme quali edifici pubblici, erano organismi il cui ruolo chiave non era assolto solo dalle attività terapeutiche e termali, ben note a tutti, ma anche da quegli aspetti meno conosciuti che potremmo definire extratermali, che riguardavano quelle necessità di convergenza sociale, di possibilità politica, di opportunità economiche e di una intensa e sottostimata attività culturale. La necessità di dare luogo a tante funzioni diverse portò gli architetti antichi a concepire un modello architettonico che differenziasse gli spazi funzionali nella forma e nella loro collocazione. I grandi recinti termali furono utilizzati per diverse attività culturali: aule dedicate alla declamazione poetica, aule per presentazioni di libri o per lezioni e conferenze, spazi

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espositivi e per spettacoli. Il parco, o xystus, formava una sorta di secondo anello concentrico e doveva essere utilizzato in antico per varie funzioni, sia riservate al passeggio e alla meditazione che piú propriamente collegate alle attività motorie e agonistiche. Il cuore delle terme, infine, era costituito da un ampio blocco rettangolare dell’estensione di 214 x 210 m, disposto su un asse longitudinale centrale lungo il quale si aprivano in sequenza gli ambienti principali: il calidarium, il tepidarium, il frigidarium e la natatio. Tra le prime esigenze che ho sentito come improrogabili, giungendo tre anni fa alla direzione delle Terme, vi sono state quelle di ridefinire il giardino che è ancora quello disegnato da Lanciani tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, con aiuole contornate da siepi di bosso dove le persone non possono entrare, ma solo camminarvi intorno su vialetti asfaltati. Dall’altro l’introduzione dell’acqua, l’elemento per le quali le grandi terme imperiali romane erano nate. Quando quelle di Caracalla vennero costruite, probabilmente inaugurate


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LE TERME DI CARACALLA 1. Ingressi e tabernae 2. Spogliatoi 3. Natatio 4. Palestre 5. Saune 6. Calidarium 7. Tepidarium

8. Frigidarium 9. Giardino 10. Portico 11. Biblioteche 12. Sale per riunioni 13. Latrine 14. Cisterne

In alto: assonometria ricostruttiva del complesso delle Terme di Caracalla. La stella indica lo Specchio d’Acqua. Nella pagina accanto: la Forma Urbis (1893-1901) di Rodolfo Lanciani: evideniziate dal riquadro, le Terme di Caracalla.

nel 216 d.C., venne addirittura predisposto il braccio di un nuovo acquedotto per il funzionamento di un edificio straordinario come questo. All’inizio era nata un’idea meno definitiva, incentrata su delle attività che avessero carattere temporaneo, quali mostre connesse appunto all’elemento dell’acqua. Successivamente, nel dibattito piú ampio messo a punto affinché il nuovo progetto di riqualificazione delle Terme di Caracalla fosse in grado di restituire gli aspetti funzionali dell’edificio, mi sono convinta che l’acqua dovesse essere un segno permanente di qualificazione del monumento. Lo Specchio d’Acqua realizzato ricorda intenzionalmente la natatio, attraverso una linea architettonica di ampie dimensioni (42 x 32 m), radicale e contemporanea che si armonizza con l’antico complesso delle Terme, duplicando, per effetto della rifles-

sione sull’acqua, la potenza delle rovine del calidarium. La forma piú quadrata della vasca, che si erge dal terreno solo per 10 cm, è voluta, non un semplice ribaltamento all’esterno dell’antica piscina, ma una sua citazione, la cui superfice di 1344 mq supera di poco quella di età romana. Al suo interno è inscritto un palcoscenico, una sorta di teatro dell’acqua e sull’acqua, che ha la funzione di accogliere attività performative e culturali proprie del recinto del complesso termale, una citazione della funzione generale che le terme assolvevano negli ambienti del recinto, ma contemporaneamente, il liquido della fontana, il vapore, gli zampilli suscitano dal punto di vista sensoriale suggestioni del passato. Dal fondale dello specchio si attivano 20 getti d’acqua di altezza e (segue a p. 43) a r c h e o 39


ROMA • TERME DI CARACALLA

CARACALLA, UN IMPERATORE DA RIVALUTARE?

«F

u uomo dai costumi corrotti e piú crudele del già crudele padre; avido di cibo, come pure ingordo di vino, odiato dai familiari e detestato da tutti i soldati, a eccezione dei pretoriani». Cosí l’Historia Augusta (una raccolta di biografie dell’età imperiale compilata nel IV secolo, n.d.r.) descrive Marco Aurelio Antonino Bassiano detto Caracalla (dal nome della lunga tunica gallica che era solito indossare), figlio di Settimio Severo e Giulia Domna e fratello di Geta. Un giudizio non proprio benevolo, ma che ben rende l’immagine di questo imperatore spietato e violento. Caracalla nacque a Lugdunum (l’odierna Lione) il 4 aprile del 188 d.C.; a 15 anni, nel 203, sposò Plautilla, la figlia del prefetto del Pretorio Plauziano, il consigliere favorito del padre Settimio Severo. Il matrimonio non fu però tra i piú felici, tanto che Plautilla fu dapprima relegata nell’isola di Lipari e poi fatta sopprimere dal marito, che nel 205 uccise anche, e

LA DINASTIA IMPERIALE DEI SEVERI

con le proprie mani, Plauziano, una delle persone che odiava di piú, insieme al fratello Geta. Nel 211 Settimio Severo morí improvvisamente a Eboracum (forse con la complicità piú o meno diretta di Caracalla), pertanto Giulia Domna e i suoi due figli tornarono a Roma per tenere le sorti dell’impero. L’odio tra i fratelli era però incolmabile, tanto che, come narra Erodiano, il palazzo imperiale sul Palatino fu diviso in due parti per evitare che si incontrassero. Anche l’impero venne diviso in due, e Caracalla tenne la parte occidentale, mentre Geta quella orientale. Il 26 dicembre 211 Caracalla uccise, tra le braccia della madre, il fratello Geta e, dopo essersi presentato in Senato dicendo di essere scampato a un attentato tramato da quest’ultimo, venne acclamato come unico e legittimo imperatore. Per ottenere il piú largo consenso, egli concesse aumenti di stipendio all’esercito e lauti donativi al popolo romano. Come si nota dai molti ritratti, e come sottolineato

Gaio Giulio Bassano (sacerdote di Elagabalo a Emesa)

figlio / figlia relazione? matrimonio imperatore romano

Lucio Settimio Severo 146 - 211 imp. dal 193

Paccia Marciana

Lucio Settimio Geta 189 - 212 imp. dal 211

Fulvia Plautilla

202 - 207

(

Giulia Aquilia Severa (vergine vestale) Annia Faustina

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Marco Giulio Gessio Marciano

Lucio Settimio Bassiano poi Marco Aurelio Severo Antonino Caracalla 186 - 217 imp. dal 211

Marco Opelio Macrino 164 - 218 imp. dal 217

Giulia Cornelia Paula

Gaio Giulio Avito Alessiano

Giulia Mesa ? - 226 ca.

Giulia Domma 170 ca. - 217

219 220 222

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Giulia Soemia Bassiana 180 ca. - 222

()

imperatore non appartenente alla dinastia

Giulia Avita Mamea ? - 226

Sesto Vario Marcello

) Sesto Vario Avito Bassiano poi Marco Aurelio Antonino Eliogabalo 204 -222 imp. dal 218

altri figli

Marco Giulio Alessiano Bassiano poi Marco Aurelio Severo Alessandro 208 - 235 imp. dal 222 adozione

225 - 227

Sallustia Orbiana


La Constitutio Antoniniana nel Papyrus Gissensis 40. 215 d.C. Gießen, Justus-Liebig-Universität.

dalle fonti storiche (Aurelio Vittore, Historia Augusta), per affermare il suo potere assoluto si immedesimò con Alessandro Magno, al punto da assumerne la stessa espressione, con la testa reclinata verso destra e lo sguardo corrucciato. Dopo aver eliminato tutti quelli che avevano parteggiato per Geta (le fonti parlano di 20 000 vittime), il nuovo imperatore si dedicò unicamente a favorire l’esercito, demandando alla madre Giulia Domna l’amministrazione dell’impero. Le spese militari sempre piú elevate (giustificate dall’esigenza di fronteggiare le pressioni dei barbari sul confine renano-danubiano e su quello orientale), portarono ad aumentare le tasse sulla popolazione. Una soluzione al tracollo finanziario fu quella di allargare a tutta la cittadinanza il gettito fiscale; pertanto, nel 212 o 213 d.C., Caracalla emanò uno dei provvedimenti piú importanti dello Stato romano, la Constitutio Antoniniana, con la quale si concedeva la cittadinanza romana a tutti coloro che abitavano entro i confini dell’impero, salvo alcune categorie (come i «dediticii», cioè «coloro che si sono arresi», intesi secondo alcuni studiosi come i barbari sottomessi o, secondo altri, come i contadini e le classi piú povere). Caracalla compí durante il suo principato numerose campagne militari in Gallia, Germania (contro i Catti e gli Alemandi), in Tracia e in Asia Minore contro i Parti. Un altro importante provvedimento di Caracalla fu l’introduzione dell’antoninianus, una moneta d’argento che conteneva la stessa quantità di metallo del denarius, ma che aveva il valore di una volta e mezzo quest’ultimo; questo provvedimento fu adottato per combattere la svalutazione e ridare stabilità al sistema monetario. Sebbene Caracalla sia stato dunque descritto dagli storici suoi contemporanei (per esempio Cassio Dione) come un folle e sanguinario, egli attuò nel suo breve regno riforme e provvedimenti di estrema importanza storica, realizzò opere pubbliche e aumentò le distribuzioni gratuite di olio, carne, vino al popolo di Roma. Caracalla fu ucciso a pugnalate da un soldato per ordine del prefetto del pretorio Macrino (che si fece proclamare imperatore dai militari, nel 217), durante il viaggio tra Edessa e Carre, dove era diretto per visitare il tempio del dio Luno. (L. F.)

Didascalia da fare Ibusdae evendipsam, officte erupit antesto taturi cum ilita aut quatiur restrum eicaectur, testo blaborenes ium quasped quos non etur reius nonem quam expercipsunt quos rest magni autatur apic teces enditibus teces.

Busto con paludamentum e ritratto di Caracalla (tipo «imperatore unico»), da Roma, Terme di Caracalla (dalla proprietà di Mario Macaroni). 212-217 d.C. Napoli, Museo Archeologico Nazionale.

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ROMA • TERME DI CARACALLA Una suggestiva immagine degli effetti creati dallo Specchio d’Acqua.

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E VERGIN Mausoleo di Augusto

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Mausoleo di Adriano (Castel S.Angelo)

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potenza differenziata che creano giochi e movimenti a ricordo degli antichi ninfei e delle fontane che molto probabilmente erano numerosi nel giardino. Ancor piú l’atomizzazione dell’acqua, in guisa del vapore, suggerirà in tutte le stagioni l’intenso vapore che caratterizzava gli ambienti riscaldati.

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TU Esquilino ♦ Lo Specchio d’Acqua costituiS Campidoglio sce l’avvio di un piú ampio C Domus Aurea Gianicolo E AN LAUDIA progetto di riqualificazione deIO N Colosseo OVU T ev le terme di Caracalla con nuoS e r A A LSEATINA e I A P Palatino ve proposte. Ci può illustrare le AP NIAN O NA principali linee guida in cui è VIA Circo NER A T OT Massimo articolato il progetto «Rivolu- TRAIANA EA L zione Caracalla»? CU Grande ER Aventino Benché contenga nella sua ideazione Terme di tutte le funzioni che connotavano Piccolo Caracalla Aventino un grande edificio imperiale di età AN TON romana, sopra richiamate, lo SpecIAN A chio d’Acqua è solo il primo elemento di un programma molto piú ampio, che vuole mettere al centro della progettazione il visitatore, suscitando un dialogo innovativo con il In alto: carta dei principali acquedotti che rifornivano la città di Roma. monumento archeologico. Il primo punto del progetto è quello cui abbiamo già tio e da qui poter riattraversare in sequenza, lungo accennato ossia la riqualificazione interna del giardino, l’asse di simmetria, il frigidarium, il tepidarium per arriin cui il verde diviene elemento qualificante e entità vare fino al calidarium che, grazie all’integrazione proeffimera per suggerire alcune architetture antiche non posta con il verde, sarà percepibile nella sua forma cirpiú esistenti, quali per esempio il grande porticato che colare soprattutto dall’interno. Il restauro e l’ampliagirava internamente intorno al recinto che verrà ricor- mento dei percorsi di visita, l’architettura contemporadato da filari di cipressi e da una specifica pavimenta- nea al servizio dell’antico, garantiranno un ampio gozione che riproporrà anche la sua percorrenza. La ro- dimento del complesso monumentale. Infine, il ritorno tonda del calidarium sarà rievocata da alte siepi che ne dell’acqua all’interno delle Terme di Caracalla sarà un restituiranno la volumetria sul fronte sud del corpo dei marcatore qualificante per definire un luogo che invita bagni. Il giardino sarà caratterizzato da tre ampi spazi a fermarsi a lungo e soprattutto a ritornare. che abbiamo definito «stanze» all’interno delle quali verranno raccontate piante e fiori provenienti da di- ♦ Ci saranno anche un nuovo accesso e un centro verse aree geografiche: nella prima saranno presenti le accoglienza… piante legate al mondo romano, la loro sacralità e il Esatto. Le terme di Caracalla sono abbastanza nascoste loro utilizzo; in un secondo spazio troveranno luogo le anche se facilmente raggiungibili, pertanto lo spostapiante provenienti dall’Asia perché molto colorate e mento dell’ingresso tra le tabernæ antiche che si trovano con delle fioriture bellissime; nella terza parte, il giar- direttamente in connessione con il giardino comunale dino africano dedicato ai Severi, che conterrà al suo posto a un livello piú basso, lungo il viale delle Terme interno il giardino dei profumi con una fioritura 12 di Caracalla, faciliterà la connessione urbanistica con la mesi l’anno di piante ed essenze diverse che regaleran- città e di conseguenza la fruizione del monumento. no colori in tutte le stagioni. Non solo un grande L’acqua accoglierà inoltre i visitatori che entreranno, giardino in senso decorativo, ma un orto botanico come in antico, dalle gradinate poste sulla fronte del didattico ed ecosostenibile. complesso. Un piccolo ruscello scorrerà al centro della I nuovi ingressi al monumento consentiranno, come in rampa concludendo la linea d’acqua che idealmente età romana, di accedere direttamente dai lati della nata(segue a p. 47) a r c h e o 43


ROMA • TERME DI CARACALLA

LO SPECCHIO D’ACQUA Lo Specchio d’Acqua alle Terme di Caracalla rappresenta una moderna reinterpretazione dell’essenza storica del sito, intimamente legata all’elemento dell’acqua. Concepito come un’installazione architettonica contemporanea e permanente, lo Specchio è strategicamente posizionato centralmente sull’antico asse dell’acqua e riflette le maestose rovine, in particolare le «torri» delle mura del calidarium che una volta sostenevano la seconda piú grande cupola dell’antica Roma, superata solo da quella del Pantheon. «L’acqua può essere un elemento essenziale nell’architettura. È sempre nuova, come nuovo e diverso è sempre il cielo, sorprendente e imprevedibile. L’acqua alleggerisce la superficie, le conferisce quella libertà che trasforma l’architettura in pittura, varietà e poesia, estendendosi oltre la linea di terra e abbracciando sia terra che cielo» (Carlo Scarpa): il progetto dello Specchio d’Acqua incarna questa filosofia scarpiana, attraverso l’acqua il riflesso dell’antico si fonde con il contemporaneo, creando un dialogo tra passato e presente, la sua semplicità formale incornicia e valorizza la grandiosità delle rovine storiche. La luce e l’acqua collaborano in un gioco continuo di ombre e riflessi, trasformando costantemente la percezione dell’architettura e dello spazio circostante. Questo dinamismo crea una visione sempre nuova e mutevole del sito, che affascina e invita alla riflessione. Questo progetto dimostra come l’architettura contemporanea possa dialogare con il patrimonio storico, creando nuove narrazioni e connessioni tra passato e presente. La forma dello Specchio d’Acqua apparentemente semplice esalta l’impatto visivo dell’antica architettura, richiamando la forma originaria della natatio. Questo elemento, concettualmente traslato di duecento metri dalla sua posizione originale, funge anche da palcoscenico per attività culturali e performative. Il design dello Specchio d’Acqua è volutamente semplice, privilegiando linee pulite e forme minimaliste che non distraggono dal contesto storico. Sobrietà che permette all’antica architettura di mantenere il ruolo da protagonista, mentre l’acqua funge da medium che esalta e trasforma la percezione dello spazio per il visitatore. La luce, riflettendosi sulle rovine di Caracalla e sulla superficie dello Specchio d’Acqua, muta costantemente. Il vento, increspando o lasciando immobile l’acqua, crea un rilievo e una gamma di colori in continua evoluzione, come un quadro di Jackson Pollock che si ridipinge a ogni istante. Architettonicamente integrato con il monumento antico, lo Specchio incarna i concetti filosofici di presenza e assenza, riecheggiando le idee di Martin Heidegger. Invita alla contemplazione mentre si configura come una cornice dinamica per iniziative culturali, segnando il primo passo di una nuova fase dedicata alla preservazione del patrimonio archeologico, proiettata verso il futuro. Hannes Peer Un’altra immagine dello Specchio d’Acqua, che, negli intenti del suo progettista, l’architetto Hannes Peer, vuole porsi come un’installazione contemporanea e permanente.

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ROMA • TERME DI CARACALLA

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attraverserà tutto il monumento amplificandone la simmetria. Salite le scale i visitatori si troveranno in una sorta di piazza semi ipogea coperta dal verde che avrà al centro una grande fontana di sei metri di diametro. Lateralmente a essa si troverà un nuovo centro accoglienza e una caffetteria-ristorante. Il visitatore potrà fruire di un complesso di servizi, prima di intraprendere la visita che inizierà dagli accessi originali al corpo centrale delle Terme. ♦ I costi e la durata dell’intero progetto? I costi sono di 8 milioni di euro provenienti dal finanziamento del PNRR, il progetto terminerà a giugno 2026 secondo quanto stabilito dall’agenda europea. Si stanno concludendo le fasi di progettazione esecutiva e ai primi di ottobre inizieranno i lavori del parco e della messa in sicurezza delle strutture archeologiche che consentiranno un allargamento del percorso di visita. Seguiranno i lavori per la biglietteria e per i nuovi accessi. ♦ Per l’inaugurazione dello Specchio d’Acqua si è svolto lo spettacolo dell’Aterballetto con le musiche della Rhapsody in blue di Gershwin, quindi questo spazio rappresenta anche un rinnovato rapporto tra arte antica e arte moderna. Quali saranno gli altri eventi che si svolgeranno? In connessione con lo Specchio d’Acqua non potevamo non pensare alla figura di Narciso, adesso è in corso un’esposizione fotografica: «Narciso. La fotografia allo specchio», una mostra molto bella e suggestiva in due ambienti coperti e nella natatio delle Terme. Da quasi cent’anni in estate il giardino delle Terme è occupato dal Teatro dell’Opera che conclude la sua stagione alla fine di agosto: in settembre lo Specchio d’Acqua viene riaperto e ci saranno progetti di valorizzazione della Soprintendenza con serate con visite guidate. A settembre-ottobre, sul palcoscenico che è inscritto all’interno dello Specchio d’Acqua, si svolgerà un festival dedicato sempre al mito di Narciso fatto di lezioni, incontri con studiosi, conversazioni, letture, performance, laboratori didattici e visite autoriali. Per il 2025-2026 non sappiamo se i lavori cosí importanti consentiranno la possibilità di utilizzare il giardino per manifestazioni culturali estive, anche in considerazione del fatto che dovremmo comunque garantire l’apertura del monumento durante tutto il periodo delle attività di restauro e riqualificazione.

in qualche modo riproposto? Anche i sotterranei e il mitreo saranno fruibili? Dal momento in cui ci siamo messi a ragionare, immaginando come merita un masterplan dai tempi molto piú lunghi, la riflessione ha preso le mosse proprio dai quattro elementi naturali, l’acqua è il primo, il fuoco è sicuramente il secondo elemento che caratterizza il complesso termale con i suoi potenti e sofisticati impianti di riscaldamento. Purtroppo i lavori che termineranno nel 2026, non includono per ragioni di budget i piani ipogei. Ma è sicuramente nelle intenzioni della Soprintendenza riqualificare e aprire permanentemente al pubblico i sotterranei, proprio per mostrare quella che era la macchina ingegneristica delle terme, perfetta dal punto di vista del funzionamento termico e idraulico. Ancor piú sarà importante rendere fruibile un altro luogo straordinario presente nel monumento: il mitreo. Ultima novità di cui voglio accennare sarà la realizzazione di una grande mostra, nel 2027, che racconterà le Terme di Caracalla nella loro complessità: la tecnologia, la costruzione, i modelli architettonici, gli apparati decorativi e il loro significato culturale sociale e politico. L’utilizzo di ogni media caratterizzerà l’esposizione per donare ai visitatori, anche con installazioni immersive, plastici, grandi ricostruzioni, l’impresa edilizia della costruzione e della decorazione, ma soprattutto la vita di questo grande complesso termale. Proprio perché questa mostra vuole essere una celebrazione del monumento, le prime riflessioni sono già iniziate e vorremmo che la sua inaugurazione completi il racconto delle Terme di Caracalla dopo la loro riqualificazione e restituzione alla città e ai fruitori di tutto il mondo.

♦ Un messaggio per i lettori di «Archeo»? Mi auguro che i lettori di «Archeo» siano incuriositi da queste novità e vogliano dedicare una visita a uno dei complessi termali meglio conservati dell’antichità, sperimentando in prima persona una diversa modalità di concepire la valorizzazione di un’area archeologica. La riflessione sul rapporto fra presente e passato ci porta, infatti, a considerare che quasi mai un oggetto o un edificio racconta solo l’epoca e il motivo della sua formazione; ogni opera, ogni monumento porta con sé le tracce della sua vita, la sua biografia, ed è questa vita che si vuole ricreare alle terme di Caracalla attraverso vari modi: effimeri come il rumore dell’acqua o i suoi vapori; temporanei quali spettacoli culturali, lezioni, conversazioni, letture, mostre; permanenti quali alcune ♦P er finire, oltre l’acqua e il vapore che si vede istallazioni contemporanee quali, per esempio, lo Specnello Specchio d’Acqua, l’altro elemento delle chio d’Acqua. I protagonisti di questo diaframma spaterme era il fuoco. Anche questo elemento sarà zio temporale saranno i fruitori delle Terme che con il loro sentire soggettivo costituiranno quell’anello mancante della catena che lega il presente al passato. Nella pagina accanto: pavimento a mosaico policromo Vi aspettiamo! della palestra occidentale. a r c h e o 47


ROMA • TERME DI CARACALLA

UN LUOGO PER L’ARTE, LO SPETTACOLO E LA CREATIVITÀ La Soprintendente Speciale di Roma illustra la filosofia che ha guidato la realizzazione dello Specchio d’Acqua e le linee guida dei prossimi interventi tesi a valorizzare le Terme di Caracalla di Daniela Porro

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e Terme di Caracalla o Antoniniane, da uno dei nomi del secondo imperatore della dinastia dei Severi, sono il piú grandioso complesso termale romano conservato per la quasi totalità della sua struttura e senza la sovrapposizione di edifici moderni. Con lo spettacolare Specchio d’Acqua, inaugurato la primavera scorsa, la Soprintendenza Speciale di Roma intende avviare un processo di rinnovamento e di apertura alla città di questo sito archeologico tra i piú importanti della Capitale.

UN’INTUIZIONE FELICE Oltre cento anni fa Giacomo Boni, Rodolfo Lanciani e Nicodemo Severi progettarono e realizzarono la Passeggiata archeologica per salvare i monumenti antichi dalla febbre edilizia che aveva investito Roma una volta divenuta capitale. Era un percorso attraverso le antiche vestigia dell’Urbs, tra cui le Terme di Caracalla, pensato soprattutto per le nuove élite dello stato unitario. La fruizione di un sito archeologico e, piú in generale della cultura, è immensamente cambiata da allora e in maniera turbinosa negli ultimi decenni. 48 a r c h e o

In alto: Daniela Porro, Soprintendente Speciale di Roma. A destra: il peristilio orientale delle Terme di Caracalla, in una fotografia da lastra stereoscopica del 1909.

La cultura ai nostri giorni, infatti, non può certo essere considerata un fatto elitario e in particolare l’archeologia è divenuta molto popolare. Le presenze alle Terme di Caracalla in crescita di anno in anno sono il segno di interesse e di voglia di scoperta del passato attraverso le sue vestigia anche tra i giovani e i (segue a p. 52)


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ROMA • TERME DI CARACALLA

BREVE STORIA DELLE TERME, IN CIFRE E DATE • 16 000-20 000 metri cubi al giorno d’acqua. • 3,5 km di tubazioni in piombo. • 50 forni per il riscaldamento degli ambienti e dell’acqua. • 10 tonnellate di legna al giorno. • 2000 tonnellate di legna immagazzinata. • 7 mesi di autonomia. • 10 000 gli ingressi giornalieri. • 216 d.C. anno dell’naugurazione da parte di Marco Aurelio Antonino Bassiano detto Caracalla, figlio di Settimio Severo. • 235 d.C. anno in cui il complesso fu probabilmente ultimato. Eliogabalo e Severo Alessandro, infatti, completarono le Terme con porticati e alcune decorazioni. Costantino modificò il calidarium con l’inserimento di un’abside. Lo attesta un’iscrizione tuttora conservata nei sotterranei. • 37 metri l’altezza misurabile in piú punti del complesso. • 337 x 328 metri circa la superficie delle terme, alimentate da una derivazione – fatta costruire da Caracalla nel 212 d.C. – dell’Acqua Marcia, arricchita dalla captazione di nuove sorgenti, e che prese il nome di Aqua Nova Antoniniana.

• 5 livelli: 2 piani in alzato e 3 in sotterraneo. • 1 8 cisterne fornivano tutte le utenze dell’edificio, vasche e fontane. • 5 0 forni consumavano 10 tonnellate al giorno di legname per il riscaldamento e la cottura del pane. • 9 000 operai al giorno per 5 anni circa: la forza lavoro per la costruzione dell’edificio. • 9 milioni di laterizi usati per la costruzione. • 2 52 colonne il numero stimato, di cui 16 alte piú di 12 m. • 5 37 d.C. anno dell’abbandono delle terme, dopo il taglio degli acquedotti, all’indomani dell’assedio di Vitige, re dei Goti. •X II secolo già da questo periodo le terme si trasformano in cava di materiali. In particolare, sotto papa Paolo III Farnese, nel 1545-1547, avvenne la spoliazione delle sculture che finirono a decorare il suo nuovo palazzo, come, per esempio, il Toro Farnese (oggi al Museo Archeologico Nazionale di Napoli). Nel tempo l’area fu adibita a vigne e orti. • 1824 cominciano gli scavi sistematici che continuano fino ai primi del Novecento, quando, dopo il corpo centrale, furono esplorati il corpo perimetrale e parte dei sotterranei. • 1993 ultima stagione lirica estiva all’interno del calidarium, dopo un’occupazione risalente al 1938. Nel 2001 riprende la stagione estiva dell’Opera, con un palcoscenico rimovibile. • 1996 ultimo ritrovamento di statuaria: una statua acefala di Artemide. • 2012 Le Terme di Caracalla si aprono all’arte contemporanea con le opere di Michelangelo Pistoletto. Da allora si sono susseguite mostre di Antonio Biasucci, di Mauro Staccioli, di Alvin Curran, con le sue architetture sonore, di Fabrizio Plessi, di Giovanni Penone, della fotografa Letizia Battaglia. • 2017 Caracalla IV dimensione: il 24 dicembre iniziano le visite guidate con visore. Le Terme di Caracalla sono il primo grande sito archeologico coperto nel suo intero percorso con la realtà immersiva in 3D. • 2019 restauro di un nuovo settore dei sotterranei. • 2022 tornano visitabili le pitture di una lussuosa domus di età adrianea, parzialmente distrutta per dare spazio al terrazzamento delle terme. • 2023 inaugurazione della mostra «Calvino, sfida al labirinto». • 2024 il 4 aprile torna l’acqua nelle terme imperiali, con l’inaugurazione dello Specchio d’Acqua, presentato al pubblico con la coreografia Rhapsody in blue di Aterballetto. (L. F.)


Uno scorcio delle Terme di Caracalla, le cui parti superstiti offrono una testimonianza eloquente dell’imponenza del complesso, nel quale si calcola che ogni giorno si recassero 10 000 persone. Nella pagina accanto: Le Terme di Caracalla, olio su tela di Lawrence Alma Tadema. 1899. Collezione privata.

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ROMA • TERME DI CARACALLA

Le Terme di Caracalla, incisione di Herman van Swanevelt. XVII sec. Washington, National Gallery of Art.

giovanissimi. È il segno di quella che definirei una esigenza, che pone una serie interrogativi: primo fra tutti quale siano oggi la giusta percezione e la stimolante comprensione di un sito archeologico da parte dei visitatori. E proprio di fronte a una fruizione di massa, come quella cui assistiamo negli ultimi decenni, dobbiamo evitare come la peste una risposta massificata e univoca. Il processo di rinnovamento delle Terme di Caracalla curato dal direttore del sito Mirella Serlorenzi con un accuratissimo masterplan, si muove appunto in questa direzione, o meglio in piú direzioni. Lo Specchio d’Acqua, progettato da Hannes Peer assieme a Serlorenzi, è un intervento contemporaneo che, senza creare un falso storico, evoca la presenza dell’elemento fondativo e vitale di ogni impianto termale. 52 a r c h e o

Ma al tempo stesso lo Specchio può diventare il luogo dove l’arte, lo spettacolo e la creatività contemporanea possono trovare la loro casa, come è successo con le performance di Aterballetto nello scorso aprile.

INTERVENTI DI AMPIO RESPIRO Il ritorno dell’acqua riguarderà molte altre parti del monumento, a cominciare dai nuovi ingressi che, riproponendo l’antico tracciato di entrata alle Terme, sanciranno anche una nuova connessione con la città, con i suoi abitanti e i suoi visitatori. Il verde, con una nuova sistemazione del parco in grandi aree, i centri servizi, le aree giardino gratuite dedicate ai bambini e alla meditazione sono tra i capitoli piú importanti di questo entusiasmante master plan che porterà una rivoluzione nella frui-

zione delle Terme di Caracalla. Mi piace però concludere sottolineando che grazie a questo progetto, in parte finanziato con i fondi del PNRR, le maestose architetture delle Terme saranno oggetto di una complessa e completa opera di restauro e manutenzione come non si vedeva da anni e che permetterà anche di ampliare il percorso di visita. In definitiva la rivoluzione alle Terme di Caracalla ci restituirà questo complesso come lo descriveva lo storico latino Elio Sparziano: «thermas eximias et magnificentissimas». DOVE E QUANDO Terme di Caracalla Roma, viale delle Terme di Caracalla, 52 Orario gli orari variano stagionalmente; lunedí chiuso Info e-mail: ss-abap-rm@ cultura.gov.it; www. soprintendenzaspecialeroma.it



ACCADEMIE • ISTITUTO ARCHEOLOGICO GERMANICO

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IL «TEMPIO» DEGLI ARCHEOLOGI SI È RIAPERTA LA SEDE STORICA DELL’ISTITUTO ARCHEOLOGICO GERMANICO DI ROMA. UN’ISTITUZIONE CHE, FIN DALLA SUA FONDAZIONE POCO MENO DI DUECENTO ANNI FA HA COSTITUITO UN VERO E PROPRIO FARO PER GLI STUDIOSI DI ANTICHITÀ. SOPRATTUTTO GRAZIE ALLA SUA RICCHISSIMA BIBLIOTECA, COMPOSTA DA CENTINAIA DI MIGLIAIA DI VOLUMI, E A UN ALTRETTANTO IMPONENTE ARCHIVIO FOTOGRAFICO di Giuseppe M. Della Fina

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l Deutsches Archäologisches Institut (Istituto Archeologico Germanico) di Roma ha riaperto la sua storica sede di via Sardegna, dopo la conclusione di complessi lavori di ristrutturazione finanziati dalla Repubblica Federale Tedesca. Proviamo a ripercorrerne la lunga storia, che ha accompagnato quella dell’archeologia europea. Il 9 dicembre 1828, nell’anniversario della nascita di Johann Joachim Winckelmann e a sessant’anni dalla sua morte, cinque uomini s’incontrarono a Roma, sul Campidoglio, in Palazzo Caffarelli. L’invito era partito da Christian Karl Josias barone von Bunsen, ambasciatore di Prussia presso la Santa Sede, ed era stato accolto da Eduard Gerhard, August Kestner, Carlo Fea e Bertel Thorvaldsen. L’incontro aveva lo scopo di fondare un istituto culturale avente l’archeologia al centro dei propri interessi: in quell’occasione si misero le basi di quello che sarebbe divenuto l’Instituto di Corrispondenza Archeologica, da cui è scaturito successiva-

Ortwin Dally, attuale direttore del DAI-Deutsches Archäologisches Institut (Istituto Archeologico Germanico) di Roma. Nella pagina accanto: scorcio di una delle sale dell’istituto.

mente il Deutsches Archäologisches Institut. Cosí racconta Adolf Michaelis nel libro Storia dell’Instituto Archeologico Germanico. 1829-1879, pubblicato come strenna «nell’occa-

sione della festa del 21 aprile 1879». La scelta fu condivisa e s’iniziò a lavorare per realizzare il progetto, che si concretizzò nel volgere di pochi mesi: nel giorno del Natale di Roma dell’anno 1829, sempre in Palazzo Caffarelli, si svolse l’adunanza che portò all’approvazione dei regolamenti e degli organi di governo dell’associazione. I fondatori – il cui numero nel frattempo si era ampliato – stabilirono che lo scopo principale dell’istituto, un’associazione culturale privata seppure con il patrocinio del principe ereditario Federico Guglielmo, fosse di raccogliere e divulgare «fatti e scoperte archeologiche che hanno rapporto a’ monumenti dell’architettura, della scoltura, della pittura, dell’epigrafia e della topografia dell’antichità classica». Allo scopo d’impedire che se ne perdesse la memoria e che entrassero tempestivamente nel dibattito scientifico e – in una certa misura – nel fiorente mercato di antichità del tempo. Nuova era l’idea di creare una rete a r c h e o 55


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di corrispondenti presenti in varie città, i quali, attraverso relazioni e disegni inviati per posta, potessero dare conto delle nuove scoperte per poi essere pubblicate nel Bullettino, uno degli organi di stampa dell’istituto. Gli studi piú meditati sarebbero confluiti invece negli Annali e nei Monumenti inediti. Questi ultimi erano ipotizzati come volumi di grande formato con incisioni in rame e litografie per illustrare i monumenti trattati negli Annali. Essi nel 1886 cambiarono nome e vennero pubblicati come Mittheilungen des Kaiserlich Deutschen Archaeologischen Instituts. Roemische Abtheilung, sino al 1915. A partire dall’anno successivo la rivista iniziò a essere intitolata Mitteilungen des Deutschen Archäologischen Instituts. Abteilung Rom (in forma abbreviata Römische Mitteilungen) e ancora oggi si pubblica regolarmente. Dal 2021 è diffusa anche on line e in open access. L’attività dell’istituto doveva «limitarsi alla Grecia e all’Italia, e soltanto occasionalmente estendersi all’Oriente e all’Egitto, ristringendosi ai risultati piú rilevanti delle

relative scoperte o ricerche». Non si escludevano viaggi di studio di archeologi insigni sui luoghi delle scoperte a seguito delle notizie segnalate, come poi avvenne.

SCOPERTE ECCEZIONALI I primi anni di vita furono accompagnati da scoperte sensazionali, concentrandosi soltanto sull’Etruria, che fu un’area culturale al centro degli interessi dei membri dell’Istituto. A Tarquinia vennero riportate alla luce ben quindici tombe dipinte e tra esse, fra il 1825 e il 1838, alcune delle piú famose (del Barone, delle Bighe, del Triclinio, della Nave, del Tifone) come ha segnalato Mauro Cristofani. Non solo, a Vulci, nel 1828, prese avvio una delle maggiori avventuL’archeologo Eduard Gerhard (1795-1867), uno dei fondatori dell’Instituto di Corrispondenza Archeologica.

L’ISTITUTO E LE SCOPERTE DI VULCI Alla prima notizia delle scoperte che stavano avvenendo nei dintorni di Canino, in quelle che sarebbero state riconosciute in seguito come le necropoli della città-stato di Vulci, Eduard Gerhard si recò sul posto per conto dell’Instituto di Corrispondenza Archeologica e forní una descrizione del cantiere di scavo: «Oltre i pastori di tutto il paese, cento lavoranti erano, dal novembre in poi, impiegati ogni giorno a fare scavi regolari, diretti dal principe in persona. Il frutto giornaliero di questi scavi fu un numero rilevante di vasi e tazze dipinte; molti dei quali intatti; la maggior parte degli altri si ricomponeva senz’indugio sul posto. In mezzo alle schiere di lavoranti, venute da lontano, per la maggior parte Abruzzesi e Romagnoli, ciascuna posta sotto gli ordini di un caporale della loro provincia, sorgevan tre tende, pronte ad accogliere la continua affluenza di vasi e rottami di recente scavati, ancora umidi e coperti di terra».

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re dell’archeologia della prima metà dell’Ottocento, vale a dire la scoperta delle necropoli di Vulci da parte di Luciano Bonaparte, uno dei fratelli di Napoleone. Al tempo il principe riteneva che fossero da mettere in relazione con un’altra città etrusca: Vetulonia, che, a sua volta, non era stata ancora individuata. Il risalto europeo di quelle ricerche si deve sia alla rilevanza dei ritrovamenti effettuati sia alla notorietà di chi li aveva promossi. Va ricordato, comunque, che l’avvio delle ricerche, a seguito di scavi non autorizzati, si deve a Alexandrine de Bleschamps, moglie di Luciano, e che esse si avvalsero della competenza di padre Maurizio da Brescia. L’Istituto seguí da vicino quelle indagini e


Eduard Gerhard si recò prontamente sul luogo fornendo una descrizione vivace del cantiere di scavo (vedi box alla pagina precedente). Un mutamento significativo nella vita dell’Instituto di Corrispondenza Archeologica fu la trasformazione da associazione privata in istituzione dello Stato prussiano, al fine di superare le difficoltà prevalentemente finanziarie che aveva dovuto affrontare nei suoi primi decenni di vita. Dopo un lungo iter, la decisione fu approvata dal re di Prussia Guglielmo I, divenuto imperatore di Germania, nella giornata del 2 marzo 1871. Il nuovo statuto stabiliva che: «L’Instituto è stabilmente dello Stato prussiano e ha la sua

sede a Berlino; centro però della sua attività scientifica è Roma, dove si pubblicano regolarmente i suoi scritti». Pochi anni piú tardi, nel 1874 – a seguito di alcune rimostranze nell’ambito della cultura germanica – l’Instituto divenne un’istituzione tedesca e non solo della Prussia. In quell’anno venne fondata anche una sede ad Atene. Tra le attività scientifiche portate avanti si può ricordare il ruolo importante svolto nella progettazione e nella realizzazione di grandi corpora, come il Corpus der römischen Sarkophage, fondato nel 1869-1870, e il Corpus Inscriptionum Latinarum (CIL), avviato da Theodor Mommsen nel 1863. Il passaggio da associazione privata

In alto: Christian Karl Josias barone von Bunsen, ambasciatore di Prussia presso la Santa Sede (1791-1860). In basso: Vulci, Ponte della Badia, acquerello di Samuel J. Ainsley. 1842.

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a istituzione di uno Stato dette una stabilità maggiore, ma, nei decenni successivi, fu causa di passaggi difficili. Durante il primo conflitto mondiale, con l’entrata in guerra dell’Italia nel 1915, l’attività dell’Istituto fu sospesa, gli edifici utilizzati sino ad allora e ubicati sul Campidoglio vennero fatti sgomberare, la biblioteca confiscata e trasferita a Castel Sant’Angelo. Al termine del conflitto, venne concordata la sua restituzione alla Germania anche per l’intervento di au58 a r c h e o

torevoli intellettuali italiani, su tutti rarne la funzionalità. Gli anni della Benedetto Croce. seconda guerra mondiale furono ancora piú difficili, preceduti, nel 1938, dal divieto per gli studiosi NELLA CASA ebrei di frequentare la biblioteca. PARROCCHIALE L’Istituto dovette lasciare, comun- L’Istituto rimase aperto sino alla fique, il Campidoglio, e si trasferí, ne del 1943, ma poi venne dato sempre a Roma, in via Sardegna, l’ordine di trasportare il patrimonio nell’allora casa parrocchiale prote- libraio fuori dall’Italia: i volumi fustante. È la strada in cui si trova rono chiusi in casse e trasferiti nella tuttora, all’interno di un edificio miniera di sale di Alt-Aussee, vicino costruito appositamente tra il 1959 a Salisburgo, all’inizio del 1944. e il 1964 e sul quale si è intervenu- Nel 1945 i libri ritrovati furono ti in questi ultimi anni per miglio- confiscati dall’esercito statunitense


UNA BIBLIOTECA DI CIRCA 250 000 VOLUMI Nel Bullettino dell’Instituto di Corrispondenza Archeologica dell’anno1831, la biblioteca dell’Istituto, nato da due anni, risultava composta da 209 volumi ricevuti come scambio o per dono. A partire dal 1859, grazie al crescente impegno finanziario della Prussia, l’incremento del fondo bibliotecario fu rapido e portò anche all’acquisto di libri antichi. Oggi i volumi nella disponibilità dell’Istituto sono circa 250 000, ai quali si aggiungono le raccolte delle riviste scientifiche.

– dotò, nel volgere di pochi anni, 36 000 negativi su lastra di vetro, l’istituto di un edificio apposito. risalenti agli albori della fotografia, e 300 000 stampe per lo piú storiche, montate su cartoncino fotoUNO STRUMENTO grafico per scopi di ricerca. PREZIOSO Entriamo ora idealmente al suo in- L’atttuale direttore dell’istituto, terno: accoglie la maggiore biblio- Ortwin Dally, ha sottolineato come teca specializzata in scienze dell’an- sia uno strumento di ricerca unico, tichità presente in Europa con circa soprattutto per l’archeologia classi250 000 volumi e 1000 periodici. È ca. Particolarmente cospicua è la aperta a ricercatori di tutte le nazio- raccolta relativa alla scultura a tutto ni e generazioni di archeologi e di tondo e a rilievo. Un altro insieme storici del mondo antico si sono rilevante è costituito dalle immagini dei siti archeologici e dei loro moformate tra i suoi tavoli. Altrettanto ricca è la fototeca, che numenti. Oltre all’Italia, la raccolta comprende quasi 370 000 fotogra- comprende un’ampia documentafie di vario formato, tra cui oltre zione relativa all’Africa del Nord. Sulle due pagine: immagini storiche dell’Istituto Archeologico Germanico di Roma, prima della costruzione di un edificio ad hoc. In particolare, la foto in basso mostra la sede ricavata nell’allora casa parrocchiale protestante.

che aveva raggiunto l’Austria; poco piú tardi venne consentito il loro ritorno a Roma. Già alla fine del 1947 divenne possibile riaprire parzialmente la biblioteca, che venne gestita dall’Associazione di Archeologia Classica (AIAC) sino al 1953, quando, grazie a un trattato che ne previde la permanenza a Roma e l’accessibilità ai ricercatori di tutte le nazioni, fu consegnata di nuovo alla proprietà e alla gestione diretta della Repubblica Federale Tedesca. La quale – come si è ricordato già a r c h e o 59


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I PROGETTI DEL DEUTSCHES ARCHÄOLOGISCHES INSTITUT In occasione della riapertura, l’attuale direttore del DAI, Ortwin Dally, ha ricordato che l’istituto è impegnato al momento in Italia, in Tunisia e in Algeria. I progetti di ricerca coprono un arco temporale che, dal tardo II millennio a.C. arrivano al VI-VII secolo d.C. Si vogliono ribadire cosí i legami europei, mediterranei e internazionali dell’istituto, nella sua sede di Roma.

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L’archivio ha una rilevanza eccezionale e, al suo interno, si conservano diversi fondi storici: documenti sulla storia dell’Istituto, manoscritti destinati alla stampa, documentazione relativa a scavi, un’importante raccolta di disegni dell’Ottocento.

LA DIGITALIZZAZIONE Per esso si sta procedendo alla digitalizzazione: l’operazione è stata già completata per il fondo dei disegni storici (1829-1915), 6500 dei quali sono attualmente disponibili on line su un apposito database. Il fondo della corrispondenza storica (18291900) è stato digitalizzato per circa la metà della sua consistenza: le lettere schedate e digitalizzate sinora

sono 13 600 e anch’esse sono disponibili on line. In chiusura ci piace richiamare l’osservazione di Adolf Michaelis, con la quale chiudeva il libro sulla storia dei primi cinquant’anni di vita dell’Istituto: «Raramente un ramoscello piantato in terra straniera ha cosí ben germogliato come questo. Siccità, tempeste, magagne interne hanno a vicenda minacciato di morte quell’albero; ma l’eccellenza del terreno nel quale immise le sue radici, l’area benefica d’Italia che gli spirava intorno, la cura attenta dei suoi custodi ottennero che nuovi rami germogliassero». Affidava, infine, la cura «dell’albero alle generazioni future».


Immagini della biblioteca dell’Istituto Archeologico Germanico, cosí come si presenta oggi, dopo l’importante intervento di ristrutturazione dell’edificio costruito per iniziativa della Repubblica Federale Tedesca.

Informazioni utili L’Istituto Archeologico Germanico è aperto dal lunedí al venerdí dalle 9,00 alle 18,30. Per frequentare la biblioteca, occorre essere in possesso della laurea triennale e di un certificato d’iscrizione a un corso di laurea magistrale in una delle discipline in cui la biblioteca è specializzata. L’accesso alle singole opere è concesso anche ad altri studiosi, previa richiesta e verifica da parte della biblioteca. Si possono consultare anche e-book e riviste in formato elettronico. Non è invece consentito il prestito. La scansione di saggi e singoli capitoli di monografie è possibile e soggetta a copyright. Alcuni volumi sono esclusi da questa possibilità per motivi legati alla loro conservazione.

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MUSEI • SARDEGNA

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I SECOLI DI UN TERRITORIO

DALLE CULTURE DEL NEOLITICO ALLA ROMANIZZAZIONE: È QUESTO IL VASTO ORIZZONTE CRONOLOGICO DELLA STORIA RACCONTATA NEL MUSEO CIVICO «MICHELE RUZITTU» DI ARZACHENA, NEL SASSARESE. IN UN ALLESTIMENTO INTERAMENTE RINNOVATO, SCANDITO DA UN GRAN NUMERO DI REPERTI INEDITI di Giampiero Galasso

L’

La Sala II del Museo Civico «Michele Ruzittu» di Arzachena (Sassari), nella quale è allestita la mostra «Il Tempo Ritrovato».

inaugurazione della mostra «Il Tempo Ritrovato. Patrimonio archeologico di Arzachena dal Neolitico a Roma» ha sancito la riapertura al pubblico del Museo Civico «Michele Ruzittu» di Arzachena, in provincia di Sassari, al termine di un importante intervento di ristrutturazione. Il Comune, la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Sassari e Nuoro, e la società municipalizzata Ge. se.co. surl, a cui è affidata la gestione della struttura, hanno collaborato alle attività di studio, catalogazione e recupero di migliaia di reperti e frammenti archeologici e di minerali, molti dei quali restaurati dal Centro di Restauro e Conservazione della stessa Soprintendenza. Allestita in due sale del museo, la mostra presenta per la prima volta circa 200 reperti inediti, proveniena r c h e o 65


MUSEI • SARDEGNA

ti dai siti archeologici del territorio, noti e non, ed è supportata da dispositivi interattivi e contenuti multimediali bilingue. La prima sala presenta un excursus storico del territorio, dall’età neoeneolitica a quella romana, evidenziando le caratteristiche peculiari attraverso una serie di reperti, distribuiti in sei sezioni tematiche e recuperati durante le indagini archeologiche condotte negli insediamenti scoperti nella zona a partire dal secolo scorso. L’esposizione si apre con la presentazione delle prime testimonianze della frequentazione umana in età neolitica, rappresentate da resti di industrie litiche in selce, ossidiana e steatite, ma anche da alcuni oggetti di ornamento personale rinvenuti nelle necropoli a circoli di Li Muri e La Macciunitta, tra le piú antiche testimonianze del megalitismo eu-

ropeo occidentale, ma anche nell’insediamento di Pilastru e nel dolmen di Li Casacci Vecchi. Il percorso espositivo continua attraverso alcuni reperti provenienti dai «tafoni» tipici della Gallura: si tratta di cavità naturali del granito prodotte dall’erosione naturale e utilizzate sin dalla preistoria come ripari sotto roccia, come nel caso di Monti Incappiddatu, o come luoghi di sepoltura.

LA CULTURA NURAGICA Dai siti nuragici (nuraghi, villaggi, alture fortificate) provengono numerosi oggetti della cultura materiale delle età del Bronzo e del Ferro, come affilatoi, lisciatoi, lucerne e forme ceramiche d’impasto, alcune delle quali decorate con varie tecniche. Tra gli ornamenti di bronzo esposti, molti provengono dall’area archeologica di La Prisgiona, tra cui un raro rasoio lunato di ferro, forse

Santa Teresa di Gallura

La Maddalena

Arzachena Olbia

Porto Torres

Sassari

Alghero

Nuoro

Mar di Sardegna Cabras

Oristano

Iglesias

Cagliari Quartu Sant’Elena

Sant’Antioco

Mar Tirreno

A sinistra: brocca askoide d’impasto, dal complesso nuragico La Prisgiona. IX-VIII sec. a.C. In basso: un altro particolare dell’allestimento della mostra «Il Tempo Ritrovato. Patrimonio archeologico di Arzachena dal Neolitico a Roma», che sarà visitabile fino al 2026.

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In alto: denti di falcetto a mezzaluna in ossidiana (e falcetto ricostruito), dal terrazzo del Nuraghe Albucciu. Bronzo Recente-Finale (1350-950 a.C.). In basso: dolia (grandi vasi per derrate) d’impasto dagli scavi di La Prisgiona. Età nuragica

di età arcaica: tra i reperti esposti si rilevano anche campioni di minerali da cui durante l’età nuragica si estraevano rame, piombo e ferro. Una sezione è dedicata al comples-

so nuragico di Albucciu, costituito dal nuraghe e da un villaggio capannicolo che si sviluppa ai suoi piedi: vari sono gli oggetti provenienti dall’area, tra cui fusaiole, va-

ghi di collana di bronzo, affilatoi, pestelli litici e diverse forme ceramiche d’impasto, a testimonianza di una comunità complessa e ben organizzata. Interessante è il ritrova-

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MUSEI • SARDEGNA

mento di una serie di denti di falcetto in ossidiana, affiancati nell’esposizione da riproduzioni moderne che rendono comprensibile la forma degli utensili originali.

UN ANTICO NAUFRAGIO I manufatti dei monumenti sepolcrali collettivi di Moru e Li Lolghi, come un vago «a occhi» di collana in pasta vitrea di importazione, illustrano le cerimonie funebri, mentre tra gli altri reperti legati ai culti celebrati nei circoli nuragici si segnala una lama di rame piegata ritualmente. Un’ultima sezione è dedicata alle presenze archeologiche rilevate nel Golfo di Arzachena per evidenziare l’importanza del mare ai fini dello sviluppo del territorio: originali alcuni pesi da rete fittili recuperati nei complessi archeologici di La Prisgiona e Albucciu. Un coppo e un embrice di età romana sono, invece, testimoni del naufragio di una nave, il cui relitto è stato intercettato nell’area del golfo: il suo carico di tegole, prodotte forse nei quartieri artigianali del suburbio 68 a r c h e o

In alto: pugnale di bronzo a elsa gammata utilizzato per rituali sacri, dal complesso nuragico La Prisgiona. Bronzo Finale-prima età del Ferro. In basso: vaso colatoio d’impasto per la lavorazione del latte, dal tafone nei pressi del Nuraghe Albucciu. Bronzo Medio-Finale.

di Roma, era destinato a un edificio signorile da localizzarsi con molta probabilità sulla costa occidentale della Sardegna. La seconda sala è dedicata in particolare ai diversi aspetti sociali, eco-

nomici, rituali nonché alla vita quotidiana degli abitanti dell’insediamento di La Prisgiona, costituito da un monumentale nuraghe a tholos di tipo complesso circondato da un villaggio capannicolo. Nelle vetrine


Olla d’impasto biansata con tesa forata e decorazione plastica (quattro corniformi a cerchio aperto su peduncolo e sei nervature verticali incise da tacche oblique), dalla «Capanna delle riunioni» de «La Prisgiona». Età nuragica.

troviamo alcuni tra i piú significativi oggetti rinvenuti nel sito, ubicato in località Capichera di Arzachena, tra cui un’olla d’impasto decorata e caratterizzata da un colletto obliquo forato, forse d’uso rituale, proveniente dalla «Capanna delle Riunioni»: il vaso era utilizzato con molta probabilità per la distillazione o fermentazione di una bevanda da consumarsi, si pensa, durante le fasi di un rito cultuale. Un grande tegame d’impasto, decorato sul fondo e proveniente dallo stesso ambiente, era funzionale alla cottura del pane. Spicca, inoltre, un ripostiglio di bronzi, intercettato all’interno della tholos nuragica, con frammenti vari e un tipico pugnaletto nuragico a elsa gammata di bronzo. Presenti altri oggetti metallici, tra cui pugnali, fibule e un puntale di lancia, provenienti sempre dall’insediamento capannicolo: non mancano varie forme ceramiche d’impasto del periodo arcaico, tra cui due pithoi utilizzati per la conservazione di derrate alimentari e riparati già in antico dai nuragici attraverso l’uso di grappe di piombo, mentre una tipica fiasca «del pellegrino» e alcune brocche askoidi erano funzionali al trasporto e alla consumazione di bevande alcoliche.

L’UOMO E IL PAESAGGIO «La mostra archeologica “Il tempo ritrovato”, frutto della proficua e continua collaborazione tra il Comune di Arzachena e la Soprintendenza, espone in maniera chiara e coinvolgente l’evoluzione del

territorio, mettendo in risalto il rapporto tra uomo e paesaggio – afferma il soprintendente Bruno Billeci –. L’importanza di questa zona e del tratto di mare antistante, centro di traffici nell’antichità, è testimoniata dalla qualità e quantità dei reperti, che sono stati oggetto di

un impegnativo processo di restauro conservativo, oltre che di selezione e catalogazione. L’apparato illustrativo risponde poi pienamente all’ambizione internazionale dell’iniziativa, che oltre agli interventi di tutela e riqualificazione, mira anche alla valorizzazione e promozione del patrimonio culturale di questo magnifico territorio». L’allestimento scientifico della mostra è stato curato da Gabriella Gasperetti e Rubens D’Oriano (funzionari archeologi SABAP-SS), con la collaborazione per i contenuti didattici di Silvia Ricci (archeologa professionista). I restauri dei reperti sono di Alba Canu e Alessandra D.T. Carrieri (Centro di Restauro e Conservazione dei Beni Culturali SABAP-SS). DOVE E QUANDO Museo Civico «Michele Ruzittu» Arzachena, via Mozart snc Orario ma-do, 10,00-13,00 e 16,00-19,00; lu chiuso Info tel. 0789 840106; e-mail: museo@gesecoarzachena.it; www.gesecoarzachena.it a r c h e o 69


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50 SFUMATURE DI SAPORE

LA CARNE DI MAIALE ERA UNA DELLE REGINE DELLA DIETA ALIMENTARE ROMANA. LO PROVANO GLI ESAMI DEI RESTI OSSEI RINVENUTI A POMPEI E LO CONFERMANO LE TESTIMONIANZE DI ILLUSTRI PERSONAGGI DEL TEMPO, COME PLINIO IL VECCHIO O COLUMELLA. DAI QUALI ABBIAMO ANCHE LA RIPROVA DI COME, GIÀ ALLORA, DELLA BESTIA GRUFOLANTE NON SI BUTTASSE VIA NIENTE... di Domenico Camardo e Mario Notomista

G

ià Plinio il Vecchio, nella Incisione di un bronzetto (oggi al Museo Archeologico Nazionale di Napoli) Naturalis Historia (libro XI raffigurante un cinghiale condotto al sacrificio, da Pompei. e XXXVII), dedica numerose pagine al maiale, un animale diffusamente allevato e che costituiva la principale fonte di carne consumata dai Romani. Appare interessante rilevare come alcuni luoghi comuni sull’animale, ancora oggi diffusi, sono già riportati da Plinio, il quale dice testualmente che «una caratteristica di questa specie è il piacere che provano nel rotolarsi in mezzo al fango»; ma anche che «tra tutti gli animali il porco è senz’altro quello piú stupido», anche se poi riporta una serie di aneddoti che dimostrano il contrario. Secondo Plinio, infatti, il maiale riconosce e segue il suo guardiano e, quando è guidato da un capobranco, è capace di spostarsi in gruppo e poi di tornare alla stalla, mentre quello selvatico, nei terreni paludosi, è in grado di confondere le sue tracce per facilitarsi la fuga. Sottolinea poi come i maiali siano onnivori e si nutrano anche di radici. 72 a r c h e o


Nelle aziende agricole romane, gli ovini erano allevati per la lana e, accessoriamente, per il latte e la carne, i bovini per il latte e il lavoro, i cavalli per il lavoro e la guerra, mentre i maiali, insieme agli animali da cortile, erano gli unici a essere allevati appositamente per la produzione della carne. L’allevamento dei maiali era condotto a diversi livelli. Nelle ville rustiche si allevavano uno o piú capi, quanti erano necessari a soddisfare il fabbisogno di carne della familia, ma nelle grandi ville schiavistiche si arrivò ad allevare centinaia di suini. Già Varrone, nel De re rustica, illustra dettagliatamente le condizioni ideali per l’allevamento dei maiali e afferma che un tipico branco di suini in una grande villa doveva essere composto da almeno un centinaio di animali;

informazioni che hanno avuto conferma archeologica in Toscana nello scavo dei porcili della villa romana di Settefinestre (Grosseto). Stando a quanto scrive Columella nel De re rustica, i capi maschi venivano scelti con molta cura. Dovevano avere un «grande corpo, ma di conformazione quadrata piuttosto che lunga o rotonda, con ventre basso, cosce sviluppate, arti non alti, muso corto e camuso»; per le scrofe, si richiedeva, Gruppo scultoreo raffigurante la cottura del cinghiale. Già Collezione Farnese. Napoli, Museo Archeologico Nazionale.

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STORIA • ALIMENTAZIONE

invece, un corpo molto allungato e per il resto con le stesse caratteristiche del maschio. Circa i parti, sia Plinio che Columella sostengono che è bene far partorire le scrofe per l’estate, quando c’è un ricco pascolo e quindi latte abbondante per i maialetti, che, a loro volta, dopo lo svezzamento, avranno a disposizione cibo in abbondanza. Inoltre indicano che nelle fattorie conviene separare presto i maialetti dalla madre, la quale, non indebolita dall’allattamento, potrà partorire due volte all’anno. Già in epoca romana questi animali venivano castrati per ridurne l’aggressività e favorirne l’ingrasso; cosa che veniva fatta anche per le scrofe, asportando la vulva. Di norma venivano macellati nel primo anno di vita e la loro carne era ritenuta molto pregiata, tanto che Plinio afferma che «da nessun altro animale si trae maggior materia per soddisfare la nostra golosità: la carne di maiale ha quasi cinquanta sapori

diversi, invece quella degli altri anima- Dietro di lui ci sono i ganci a cui li ha un solo sapore». sono appesi i principali prodotti ricavati dalla macellazione dei suidi: MACELLAI SPECIALIZZATI la testa, i capezzoli di scrofa, le coIn epoca romana la lavorazione del- stole, le zampe e il prosciutto. Appala carne di suino aveva già raggiun- re interessante notare come accanto to un elevato livello di specializza- al ceppo su cui viene tagliata la zione, tanto che era nata la figura carne è sempre presente un recidel porcinarius, il macellaio specializ- piente che poteva essere utilizzato zato nella macellazione del maiale. per contenere gli scarti del maiale Lo vediamo rappresentato, intento a che, come vedremo successivamensquartare un maiale con un’accetta te, potevano essere usati per le cure in diversi rilievi di età imperiale, mediche, per preparare cosmetici e che di norma lo ritraggono nell’atto anche per la creazione di malte. di tagliare un pezzo di carne con In piú brani delle commedie di un’ampia mannaia dalla lama dritta. Plauto emerge come la carne di In particolare, nel noto rilievo con suino fosse uno dei fondamenti un carnarium, rinvenuto a Roma, nel della cucina romana, cosa che è borgo di Trastevere, appare vestito confermata da numerose altre foncon una tunica ed è raffigurato in ti, dalle quali si ricava la ricchissipiedi dietro a un ceppo di legno ma lista delle parti utilizzate dell’ausato come banco da lavoro (vedi nimale, a conferma dell’adagio ancora oggi diffuso che «del maiafoto a p. 76, in alto).

Il fegato di scrofe ingrassate con fichi secchi era considerato una vera prelibatezza

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In alto: il calco del piccolo maiale rinvenuto nella fattoria di Villa Regina a Boscoreale. A destra: ricostruzione grafica della porcilaia della villa romana di Settefinestre, il miglior esempio finora noto della villa perfecta descritta da Varrone nel De re rustica. Il grande complesso era situato non lontano da Cosa (nei pressi dell’odierna Ansedonia, Grosseto). Nella pagina accanto: bronzetto raffigurante un maialino, dalla Villa dei Papiri di Ercolano. Napoli, Museo Archeologico Nazionale.

le non si butta niente». Per i Romani questo era ancora piú vero: infatti, oltre ai tagli consueti, venivano consumati la testa (in genere affumicata), il muso, le orecchie, le costolette, la schiena, la trippa, i piedi e la cotenna. Anche il fegato era ritenuto una prelibatezza e, a tal proposito, sappiamo che, per ottenere un prodotto di elevata qualità, ad alcune scrofe si davano da mangiare i fichi secchi e poi, quando erano ben grasse, venivano uccise dopo aver dato loro da bere

vino mielato, che migliorava ulteriormente il sapore del fegato. Un’altra prelibatezza erano considerate la vulva e le mammelle delle scrofe. La vulva, però, doveva appartenere a scrofe che avevano avuto un solo parto. Per quanto riguarda le mammelle, si riteneva che le migliori fossero quelle provenienti da animali uccisi il giorno

dopo aver figliato e prima che avessero iniziato l’allattamento. Anche l’uso del lardo in cucina era ampiamente diffuso ed era il condimento principe dei legumi cotti, dei quali si faceva larghissimo uso. Sulle tavole dei Romani era anche già presente una grande quantità di insaccati. Esistevano numerosi tipi di salsicce, di varie forme e dimena r c h e o 75


STORIA • ALIMENTAZIONE

sioni, come i tomacula, sorta di salsicciotti che si vendevano caldi per strada, le longaones, cioè salsicce lunghe, e la lucanica, che i Romani avevano imparato a conoscere in Lucania, ma il cui consumo si era ampiamente diffuso.

CARNI STAGIONATE Molto apprezzata era la coscia intera di suino, regolarmente presente nelle raffigurazioni di macelleria, che veniva cotta in vario modo oppure salata e affumicata per conservarsi a lungo. Nel qual caso si chiamava perna, mentre un altro prosciutto, piú dolce ma di minor durata, si chiamava petaso. Nel De agricoltura, Columella prescrive una salagione della coscia che non differisce molto da quella odierna: veniva lavata, sottoposta a ripetute strofinature con sale fino, pressata, affumicata e stagionata. Allo stesso modo della carne di maiale era considerata pregiata anche quella dei cinghiali. Plinio ci informa che, al suo tempo, era diventato 76 a r c h e o

In alto: rilievo raffigurante un porcinarius nella sua bottega, con i prodotti della macellazione del maiale in bella mostra. Roma, Museo della Civiltà Romana. Nella pagina accanto: il larario della Casa di Sutoria Primigenia (Pompei), decorato con affreschi che riproducono parti di carne di maiale. In basso: il larario della Villa 6 di Terzigno, con parti del maiale raffigurate probabilmente con la funzione di offerte votive.


uso comune preparare cinghiali interi per stupire e saziare i commensali durante i banchetti. Nel I secolo d.C. la richiesta di questi animali era tale che si era già diffusa l’abitudine di allevarli in terreni recintati. Plinio sottolinea la loro velocità di riproduzione, visto che sono in grado di generare già a un anno di età, aggiungendo che si accoppiano facilmente con i maiali domestici generando ibridi. Il naturalista annota anche la pericolosità di questi animali, dotati di zanne acuminate, e, in particolare, delle femmine, che divengono particolarmente aggressive quando hanno i piccoli.

grasso e dello sterco di porco usati per alleviare diverse malattie, dei lombi arrostiti e pestati, nonché del midollo, per sanare gli occhi cisposi, dell’urina utilizzata per il mal d’orecchio, del fegato fresco o arrostito per rigenerare il corpo e, in particolare, per aiutare a prevenire «il mal d’urina», conseguenza dei calcoli, a cui possono servire anche la cenere delle unghie e della vescica. Il cervello e il sangue del maiale erano usati contro la sterilità, mentre la cenere delle mascelle serviva come

rimedio per le ossa rotte, cosí come il lardo lesso, che veniva utilizzato per farle rinsaldare. Nello stesso libro Plinio parla anche di un altro uso particolare della «sugna di porco», utilizzata nella preparazione della malta. Dice testualmente: «La malta si fa di calcina fresca. La zolla si spegne col vino, dipoi si pesta con sugna di porco e con fichi, con doppio impiastramento, la quale è cosa tenacissima, e passa la durezza delle pietre. Quello che si smalta si stropiccia prima con olio».

VITTIME SACRIFICALI Un aspetto interessante legato al maiale nel mondo romano è quello che riguarda l’uso di questo animale nei sacrifici offerti agli dèi, sia pubblici che privati. Maiali sono spesso raffigurati su rilievi, altari e affreschi in scene sacrificali in cui sono condotti al sacrificio nel rituale di purificazione dei suovetaurilia, la cerimonia con cui si consacravano al dio Marte un maiale, un montone e un toro. Altre volte appaiono in scene di offerte ai Lari confermando quanto riportato dalle fonti riguardo al fatto che i suini erano gli animali preferiti a questo scopo. Li vediamo sempre rappresentati cinti da una fascia rossa e accompagnati verso l’altare da un addetto al sacrificio. Da piú parti è stato evidenziato che il momento cruento dell’uccisione delle vittime non è mai raffigurato; quest’atto centrale è piuttosto suggerito dalla presenza degli animali presso un altare e talvolta dal coltello tenuto in mano dal vittimario. Un altro aspetto interessante citato da Plinio in riferimento al maiale è l’uso di alcuni suoi sottoprodotti per la cura di alcune malattie. Sono elencati nel libro XXXVII della sua Naturalis Historia, nel quale parla del a r c h e o 77


STORIA • ALIMENTAZIONE

Se lo straordinario racconto che ci viene dalle fonti fa emergere un quadro abbastanza nitido del rapporto che i Romani avevano con il maiale, non di meno i contesti archeologici provenienti dal territorio vesuviano ci danno testimonianza tangibile e conferma di quanto fosse comune la rappresentazione di questi animali nella scultura, nella pittura e nei mosaici. Una prima statuetta che raffigura in modo realistico questo animale fu rinvenuta durante gli scavi del XVIII secolo nella Villa dei Papiri di Ercolano. Faceva parte del gruppo di sculture che abbellivano la parte occidentale del grande peristilio rettangolare e raffigura un piccolo maiale nell’atto di saltare. Da Ercolano proviene anche un’al78 a r c h e o

tra statuetta in bronzo di suino, sul In alto: affresco fianco del quale è riportata una raffigurante un iscrizione, forse riferibile a una decinghiale con i dica rivolta a Ercole, eroe al quale piedi legati a un venivano spesso sacrificati i maiali. palo di legno. La si vede ben riprodotta nella tePompei, statina che accompagna le tavole nn. Casa II,1,12. XVII-XVIII del V Tomo de Le AnQui sopra: tichità di Ercolano Esposte, segno evirestituzione dente che l’oggetto dovette colpire grafica della gli eruditi della corte borbonica, decorazione di un tanto da inserirlo nella pubblicazio- oscillum a forma ne delle opere scoperte negli scavi di pelta con la volute dal re Carlo, insieme al già rappresentazione citato maialino della Villa dei Papiri della caccia al (testatina delle tavole nn. XIX-XX) cinghiale di e a una applique in bronzo, proveErimanto, dalla niente da Pompei, raffigurante un Casa del Citarista cinghialotto condotto al sacrificio di Pompei. da parte di un addetto al rito (testatina delle tavole nn. XV-XVI; vedi


foto a p. 72). Da Pompei provengono inoltre un peso in bronzo e piombo a forma di maiale e varie figure di maiali in terracotta. Com’è normale attendersi, le raffigurazioni artistiche piú rilevanti non riguardano i maiali, bensí i cinghiali, che sono rappresentati come animali selvatici e come pericolosi avversari nella caccia. Nella scultura abbiamo diverse rappresentazioni di cinghiali. Una delle migliori viene dalla Casa del Citarista di Pompei. Si tratta di un pregevole gruppo scultoreo in bronzo, che raffigura un cinghiale attaccato a due cani. L’animale è realizzato in modo realistico, con il pelo ispido messo ben in risalto, i cani sono a pelo corto, con le orecchie all’indietro e, secondo un sistema di caccia molto diffuso, stanno attaccando e mordendo la preda al collo e alle zampe. Il gruppo scultoreo era posto sul bordo della piscina e dalla bocca del cinghiale usciva un tubo che lo trasformava in fontana. I cinghiali sono una rappresentazione comune anche nelle scene di

caccia che si incontrano nelle case pompeiane. Di solito sono raffigurati nel momento culminante della caccia mentre affrontano i cani, come in un affresco della Casa dei Cei, nel quale una coppia di cinghiali è rappresentata realisticamente mentre fugge davanti a due cani, con uno dei cinghiali che si sta girando per lanciarsi contro gli inseguitori. Anche nella Casa del Cinghiale (VIII.III.8), nel vestibolo, troviamo un mosaico in cui è raffigurato un cinghiale attaccato da due cani.

UNO SPETTACOLO MOLTO APPREZZATO Allo stesso tipo di caccia al cinghiale fanno poi riferimento i graffiti dettagliatamente incisi della Casa del Criptoportico. Scene simili sono raffigurate poi nella caserma dei gladiatori, ma meno usuale è la scena di un leone che attacca un cinghiale, che troviamo raffigurato nella Casa della Quadriga (VII,2,25) e che rappresenta il ricordo di uno degli spettacoli piú apprezzati dal pubblico che avveniva all’interno

delle arene. I cinghiali, infatti, venivano allevati anche allo stato semiselvatico nelle riserve, sia per la caccia, sia come animali da utilizzare nelle lotte nell’anfiteatri. Un’altra rappresentazione della caccia al cinghiale con uomini armati con lance, affiancati da cani, l’abbiamo in un affresco della villa della Statale Sorrentina di Gragnano, nell’agro stabiano. Una delle figure centrali mostra un cacciatore con un diadema nel quale si è riconosciuto Meleagro, nel qual caso la scena sarebbe trasportata dalla realtà nel mito e si tratterebbe di una rappresentazione della caccia al cinghiale calidonio. Un altro genere che vede la rappresentazione di maiali è quello delle nature morte. Un maiale o forse meglio un piccolo cinghiale è rappresentato con i piedi legati a un palo di legno in un affresco della Casa II.1.12 di Pompei Anche su alcuni oggetti d’arredo o di uso particolare trovano posto raffigurazioni di questo genere.Troviamo la rappresentazione di un

Particolare dell’affresco con la scena di caccia al cinghiale calidonio, dalla Villa della Statale sorrentina di Gragnano. Stabia, Museo Archeologico «Libero D’Orsi».

a r c h e o 79


STORIA • ALIMENTAZIONE Lastra a rilievo in marmo con scena di sacrificio. I sec. d.C. Parigi, Museo del Louvre. Data la presenza di un toro, di un montone e di un maiale, si tratta, evidentemente, del rito di purificazione dei suovetaurilia.

cacciatore che punta la lancia contro un cinghiale in un rilievo marmoreo proveniente a Pompei messo in luce nella decorazione di una tomba presso la Porta Stabiana. Una scena di caccia al cinghiale è anche rappresentata su una patera in argento dorato del Tesoro della Casa del Menandro. In questa è raffigurata una scena di caccia con due cinghiali attaccati dai cani. Su una coppa dello stesso tesoro è rappresentata una delle fatiche di Ercole con l’eroe che lotta con il cinghiale di Erimanto tenendolo sollevato sopra la testa. Un’altra scultura con la rappresentazione del cinghiale di Erimanto si trova su un oscillum della Casa del Citarista di Pompei. Legato al tema della caccia è anche un rilievo in stucco con un cinghiale attaccato da due cani che troviamo, ancora a Pompei, sulla tomba di Aulus Umbricius Scaurus. un prosciutto attaccato a un gancio, e spiedini con salsicce e anguille. CULTI DOMESTICI... Una menzione a parte meritano le ...E RESTI FAUNISTICI rappresentazioni di parti di maiale Tra i resti faunistici piú importanti dipinte in prossimità dei larari pre- d’età romana rinvenuti in area vesusenti nelle cucine di molte case viana è da ricordare il calco di un pompeiane. Di norma vi sono raffi- maiale morto durante l’eruzione gurate teste, prosciutti, braciole, sal- del 79 d.C. Fu rinvenuto in uno sicce e spiedini fatti con salsicce o degli ambiente di Villa Regina, a anguille. Sull’interpretazione di Boscoreale, dove si era probabilqueste pitture, gli studiosi concor- mente rifugiato nel corso dell’erudano sul fatto che siano legate ad zione (vedi foto a p. 75, in alto). aspetti rituali legati alla preparazio- Il suino, di circa un anno d’età, era ne dei cibi e al culto domestico di modeste dimensioni e presentava rappresentando l’ideale offerta fatta un profilo del capo allungato e arti, dai proprietari ai Lari e agli dèi. in proporzione, abbastanza allungati, Anche nelle ville del territorio ve- tanto da avvicinarlo alle razze selvasuviano troviamo questa stessa asso- tiche (cinghiale), anche se, visto il ciazione cosí come dimostra la rap- contesto di ritrovamento, dobbiamo presentazione che ricorre nel larario necessariamente considerarlo dopresente nella cucina della Villa 6 di mestico. Altri resti ossei di maiale Terzigno, presso Pompei, dove è af- furono poi trovati nel vigneto della frescata una testa di maiale insieme a stessa villa. È anche da ricordare lo 80 a r c h e o

scheletro di un suino trovato in una stalla della Villa della Pisanella di Boscoreale, insieme agli scheletri di due cavalli e di un pollo. Ossa di maiale domestico sono state restituite da molte case di Pompei e questo ci conferma che il grosso del consumo di carne in città era proprio quella suina. I dati ci indicano il 60% di ossa di suino contro il 30% degli ovini e il 10% dei bovini. Negli scavi del Foro di Pompei, di varie case e anche negli scavi dei giardini, sono state trovate ossa di maiali riferibili a tutte le parti del corpo, con molte che conservano anche i segni della macellazione. In nessun caso a Pompei sono state ritrovate porzioni ossee di grandi dimensioni riferibili a suini o ad altri animali. Questo potrebbe essere un segno evidente che nelle abitazioni arrivavano pezzi di carne già tagliati: freschi, conservati in


morfologiche piú simili a quelle dei moderni suini di allevamento. Dal punto di vista dello studio delle ossa è difficile distinguere il cinghiale selvatico dal maiale, se non per una differenza di dimensioni e di alcuni specifici elementi come il terzo molare della mandibola. Ossa di cinghiale, individuate con certezza, sono pressoché assenti nei siti vesuviani con la sola eccezione di alcune zanne rinvenute a Pompei e oggi conservate al Museo di Boscoreale. Queste dovevano essere utilizzate come monili o ciondoli portafortuna, dal momento che presentano i fori per la sospensione. Si riconoscono altre grandi zanne non decorate, che potrebbero aver avuto uno scopo simile, come quelle rinvenute a Pompei nella Casa I,XI,17. Vi sono infine anche alcune ossa, interpretabili come resti di pasto, provenienti dal grande vigneto vicino all’anfiteatro (II,V) che potrebbero essere, per le loro dimensioni, attribuite ipoteticamente a cinghiali piú che a maiali. sale o affumicati. In alternativa si deve pensare che dopo il consumo della carne le ossa piú grandi non venissero buttate tra le immondizie, ma recuperate per altri usi. Alla luce di quanto raccontato da Plinio in merito all’uso dei sottoprodotti del maiale e di altre specie animali non appare inverosimile che le ossa piú grandi venissero recuperate per essere utilizzate. Il rinvenimento a Pompei nelle abitazioni private di mannaie e coltelli ha fatto anche ipotizzare che l’attività di macellazione non avveniva solo all’interno del Macellum, ma anche nelle cucine delle case dove sono stati scoperti questi oggetti. Lo studio dei reperti ossei ci informa che gli animali venivano solitamente macellati giovani ed è chiaro che vi era anche una preferenza per i maialini da latte, che sembrano essere frequentemente consumati nell’ali-

mentazione quotidiana a Pompei. Gli adulti erano di taglia media, avevano il muso dritto tipico dei maiali delle specie piú antiche e piú vicine al cinghiale e che erano quelle piú diffuse fino a prima della rivoluzione agricola del XVII-XIX secolo.

NON È FACILE DISTINGUERE Lo studio in dettaglio dei reperti ossei dei suini di allevamento rinvenuti nell’area archeologica vesuviana, in siti sepolti dall’eruzione del 79 d.C., ha permesso agli specialisti di ipotizzare la presenza di almeno due differenti tipologie di maiali. In particolare si è osservata la presenza di una razza domestica di piccole dimensioni dalle caratteristiche morfologiche semiselvatiche e dal manto chiaro. A questa si affianca la presenza di una razza piú grande, dal manto scuro e con caratteristiche

PER SAPERNE DI PIÚ Angelo Genovese, Domenico Russo, Michele Di Gerio, Silvio Audino, Contributo per la conoscenza dell’allevamento suinicolo nel 79 d.C. nell’area archeologica vesuviana, in Tullio Pescatore-Maria Rosaria Senatore (a cura di), Scienza e Archeologia. Giornate di Studio, Pompei 2003; pp. 101-104. Pia Kastenmeier, I luoghi del lavoro domestico nella casa pompeiana, Studi della soprintendenza archeologica di Pompei, 23, «L’Erma» di Bretschneider, Roma 2007 Grete Stefani, Michele Borgoncino, Cibus. L’alimentazione degli antichi romani. Le testimonianze dell’area vesuviana, in Grete Stefani (a cura di), Cibi e sapori a Pompe e dintorni, ESI, Pompei 2005; pp. 66-82 a r c h e o 81


SCAVI • MARCHE

VITRUVIO È STATO QUI IL GRANDE ARCHITETTO DI EPOCA AUGUSTEA SCRISSE DI AVER PERSONALMENTE CURATO IL PROGETTO DELLA BASILICA DELLA COLONIA IULIA FANESTRIS, L’ODIERNA FANO. DA ALLORA, LA RICERCA DI PROVE CERTE DI QUELL’AFFERMAZIONE HA COINVOLTO STUDIOSI E APPASSIONATI. E ORA UN NUOVO, IMPORTANTE, TASSELLO È VENUTO ALLA LUCE GRAZIE A RECENTI SCAVI CONDOTTI NEL CUORE DELLA CITTÀ MARCHIGIANA di Giampiero Galasso

R

esti archeologici di notevole interesse, identificati con strutture pertinenti a un complesso monumentale di epoca romana, in un’area posta a ridosso del foro cittadino, sono venuti alla luce in occasione di un intervento di sorveglianza archeolo82 a r c h e o

gica presso un cantiere edile di Fano (Pesaro e Urbino), in via Vitruvio. Da molti studiosi le strutture messe in luce sono state attribuite a un settore della nota Basilica di Vitruvio, la cui storia ha sempre suscitato negli anni grande curiosità tra studiosi e archeologi italiani.

«Nel complesso – afferma Ilaria Venanzoni, funzionaria archeologa della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le Province di Ancona e Pesaro e Urbino, nonché responsabile scientifica dello scavo – le indagini hanno messo in luce una porzione signi-


ficativa dell’edificio inizialmente Nella pagina saggiato, che sembra essere costitu- accanto: Fano, via ito da uno spazio quadrangolare Vitruvio. centrale e da alcuni ambienti disloFrammento di cati a perimetro. I pavimenti, nel colonnina complesso ancora ben conservati, scanalata in sono rivestiti in marmi di colore marmo bianco di verde e rosato, identificabili prelietà romana minarmente con cipollino verde e rinvenuta breccia pavonazza (o corallina; vedi sulla testa di uno foto a p. 85, in basso)». strato di

Pesaro

Mare Adriatico

Fano

Senigallia

Urbino

Ancona

Marche Fabriano

Lago Perugia Trasimeno

Umbria Tev ere

MURI A SACCO «L’analisi delle strutture murarie ha permesso di osservarne la tecnica, che risulta essere una muratura a sacco, con paramento in opus vittatum di corsi di laterizi alternati a conci di calcare (vedi foto a p. 86). Nella parte inferiore è ancora conservata una zoccolatura in cipollino verde, posta in opera su un consistente strato di malta cementizia, mentre il resto delle pareti doveva essere rivestito con altri marmi colorati, parzialmente ritrovati in crollo. L’aula principale (vano A) è delimitata da almeno due muri visibili,

frequentazione medievale. In basso: ipotesi ricostruttiva della Basilica di Fano (da Russell Taylor Architects, 2020).

San Marino

rintracciati per una lunghezza di alcuni metri: quello che ha andamento est-ovest è scandito da una successione di pilastri a sezione circolare, anch’essi in conglomerato cementizio di scaglie calcaree, destinati a sorreggere, con ogni probabilità, una capriata lignea. Il secondo ambiente emerso (vano

Macerata Civitanova Marche

San Severino Marche San Benedetto del Tronto Ascoli Piceno

Teramo

C), si presenta attualmente privo di pavimentazione e, vista la sua conformazione stretta e lunga, si ipotizza potesse essere un vano di servizio o di alloggio per una scala in carpenteria lignea. L’altro vano indagato (vano B) presenta una larghezza di 6 m (20 piedi romani) ed è del tutto simi-

a r c h e o 83


SCAVI • MARCHE

le per aspetto al vano A, eccettuato per il minor spessore dei muri (1,40 m circa, contro 0,90 m circa). In periodo tardo-antico gli ambienti vengono r iutilizzati, mantenendo quasi intatti i rivestimenti marmorei pavimentali e parietali: all’interno del vano A viene realizzato un muro divisorio posto in opera con materiale di recupero, che non sembra intaccare in alcun modo la pavimentazione in marmo, mentre, nel vano B, vengono aperte delle grandi buche di circa 1 m di diametro che

84 a r c h e o

tagliano il piano pavimentale, utilizzate come pozzi di scarico. In una fase successiva si assiste a innalzamenti di quote di frequentazione e tra i vari strati di abbandono sono stati rinvenuti piani di fuoco, caratterizzati da terreno concottato, cenere e carbone: questi focolari sono ascrivibili all’età bassomedievale. Si segnala inoltre la presenza di una tomba bisoma addossata al muro perimetrale esterno del vano A (vedi foto a p. 88): si tratta della sepoltura di due individui, di cui uno in riduzione,

mentre l’altro in posizione prona fortemente rimaneggiata dalle fasi di frequentazione successive».

IN UNA STRATIGRAFIA LA STORIA DELLA CITTÀ «L’indagine ha messo in luce una sequenza stratigrafica molto complessa e interessante con livelli archeologici che comprendono buona parte della storia dell’antica città di Fano. La stratigrafia è eccezionalmente conservata, la scansione cronologica comprende fasi che vanno dalla tarda età repubblicana ed età


In alto: l’area di scavo, evidenziata in rosso, su immagine satellitare da © Google Earth. A sinistra, sulle due pagine: veduta panoramica dall’alto dello scavo. In basso: resti della pavimentazione di età augustea con lastre di marmo di vari tipi (cipollino verde, breccia pavonazza o corallina) nel Vano A.

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SCAVI • MARCHE Una muratura messa in luce durante lo scavo: è possibile osservare la regolarità dei piani di posa di laterizi e conci calcarei, che vanno a formare un paramento in opus vittatum.

augustea fino all’epoca moderna, passando per le fasi altomedievali e bassomedievali. Il ritrovamento di quello che, molto probabilmente, sembrerebbe essere un edificio pubblico di età tardorepubblicana/altoimperiale, che presenta ancora piani pavimentali in marmi policromi e parte dei rivestimenti marmorei parietali, rappresenta un fatto di eccezionale impor-

PRESCRIZIONI PER UN IMPIANTO ELEGANTE E AUTOREVOLE Nel quinto volume del De architectura, Vitruvio espone i criteri proporzionali per la costruzione delle basiliche, con rapporti di 3:1 e 2:1 tra lunghezza e larghezza. Successivamente, si presenta la basilica di Fano come un modello aggiornato, nel quale Vitruvio stesso è coinvolto come progettista ed esecutore. Questa basilica si distingue dai modelli precedenti per la sua pianta rettangolare tendente al quadrato e per le sue funzioni piú orientate alla sfera politica. Inoltre, rispetto agli schemi tradizionali, la basilica di Fano ospita nuove funzioni, come, per esempio, il tribunale, definito «aedes Augusti», racchiuso in un’abside ad arco di cerchio sul lato lungo dell’edificio, di fronte all’ingresso. Attraverso la descrizione di questo «tempio di Augusto», Vitruvio mette in evidenza la funzione dell’abside e del tribunale, che richiamano l’autorità imperiale, contribuendo cosí a diffondere nuove configurazioni e significati architettonici: «Dignità e bellezza non meno ottimali possono avere allestimenti di basiliche del tipo

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che stabilii e curai che fosse realizzato nella colonia Giulia di Fano, di cui le proporzioni e i rapporti modulari sono stati costituiti in tal modo. La carpenteria di copertura mediana tra le colonne è lunga 120 piedi, larga 60 piedi. Il suo portico attorno alla copertura tra i muri e le colonne è largo 20 piedi. Le colonne dalle altezze ininterrotte con i capitelli sono alte 50 piedi, ciascuna col diametro di cinque piedi, poiché hanno dietro di loro pilastri alti 20 piedi, larghi 2 piedi e mezzo, profondi 1 piede e mezzo, che sostengono travi su cui insistono i tavolati dei portici. E sopra tali membrature vi sono altri pilastri di 18 piedi, larghi due piedi, profondi un piede, che a loro volta reggono travi sostenenti la travatura obliqua e i tetti dei portici, che sono stati posti a una quota inferiore rispetto alla carpenteria di copertura. Gli altri spazi tra le travi dei pilastri e delle colonne sono lasciati alle luci che si diffondono tramite gli intercolumni. Le colonne poste nel senso della larghezza della carpenteria con le angolari a destra

e a sinistra sono quattro per parte, nel senso della lunghezza dalla parte che è piú vicina al foro sempre con le angolari son otto, dall’altra parte con le angolari sei, per il fatto che le due mediane in tal parte non sono state poste per non impedire la vista del pronao del Tempio di Augusto, che è stato situato sul centro del lato del muro della basilica, rivolto verso il centro del Foro e il Tempio di Giove. Il tribunale poi che si trova in tale tempio, è stato configurato ad arco di uno schema semicircolare ridotto. E sulla fronte di tale emiciclo vi è uno spazio di 46 piedi, l’arco in profondità è di 15 piedi, affinché coloro che si trovano presso i magistrati non siano di impedimento ai negozianti nella basilica. Sopra le colonne sono state collocate all’intorno travi composte di tre travicelli lignei di due piedi congiunti, ed esse dalle terze colonne che si trovano nella parte piú all’interno, sono rivolte verso le ante che si protendono dal pronao e a destra e a sinistra toccano l’emiciclo. Sopra le travi in corrispondenza dei capitelli sono state collocate dei pilastrini


tanza, non solo per la particolarità dell’edificio stesso, ma anche per l’ottimo stato di conservazione. Le scoperte di via Vitruvio si inseriscono poi in un settore della città romana, ricco di attestazioni monumentali, prima fra tutte, quella costituita dai resti individuati sotto la chiesa di S. Agostino, costruita, secondo la tradizione locale, proprio sopra i resti della basilica di Vitruvio. Scavati a piú riprese, dalla metà dell’Ottocento fino al 2021, i resti mostrano due esedre semicircolari disposte simmetricamente sui lati lunghi di un’aula rettangolare; tutto l’edificio è basato su sostruzioni

disposti su supporti, alti tre piedi, larghi quattro per ogni lato. Sopra di essi all’intorno sono state collocate travi inclinate composte di due travicelli lignei di due piedi. E sopra queste, travi traverse con puntoni collocate in corrispondenza dei fusti delle colonne, delle ante e dei mari del pronao sostengono la sola linea di colmo dell’intera basilica, e la seconda che dal centro arriva sopra il pronao del tempio. Cosí la disposizione a due doppi spioventi delle sommità mostra un’apparenza elegante all’esterno del tetto e all’interno della parte superiore della carpenteria di copertura. Inoltre l’eliminazione degli ornamenti degli architrave e della distribuzione dei plutei e delle colonne superiori toglie un incomodo e diminuisce la somma della spesa per gran parte. Le stesse colonne poi portate in altezza ininterrotta fin sotto le travi della copertura sembrano aumentare all’impianto sia la magnificenza del materiale sia l’autorevolezza» (da Vitruvio, De architectura, a cura di Pierre Gros, traduzioni di Antonio Corso ed Elisa Romano, Einaudi Torino 1997).

imponenti in opera vittata. L’identificazione di questa costruzione, di sicura funzione pubblica, non è ancora stata assegnata con certezza, per cui al momento si ipotizza che possano essere i resti del Tempio

Ipotesi ricostruttiva della Basilica di Fano (da Morris Hicky Morgan, Vitruvius The Ten Books on Architecture, Cambridge 1914).

Didascalia da fare Ibusdae evendipsam, officte erupit antesto taturi cum ilita aut quatiur restrum eicaectur, testo blaborenes ium quasped quos non etur reius nonem quam expercipsunt quos rest magni autatur apic teces enditibus teces. a r c h e o 87


SCAVI • MARCHE Una tomba di epoca medievale in corso di scavo. La sepoltura, che custodiva i resti di due individui adulti, era stata addossata al muro orientale del Vano A. Nella pagina accanto: ricostruzione ideale degli interni della vitruviana Basilica di Fano (da Russell Taylor Architects, 2023).

della Fortuna, che diede il nome alla città. Accanto a questo, trova posto il Teatro: indagato tramite l’apertura di alcuni saggi agli inizi degli anni 2000, lo scavo di questo monumento, obliterato durante il XX secolo assieme a parte dei resti poc’anzi descritti dai corpi di fabbrica dell’ex filanda Bosone, non è ancora stato completato. Nuove scoperte archeologiche, peraltro, stanno emergendo a seguito delle numerose opere pubbliche attualmente in corso in città: in piazza Andrea Costa, dove sono appena iniziati i lavori di riqualificazione della piazza, sono emersi due ambienti di epoca romana pavimentati a mosaico e in opus spicatum, che dovevano far parte di una domus privata, probabilmente la stessa già intercettata agli inizia del Novecento, quando fu aperta la piazza. L’edificio era costruito lungo il decumano massimo della città, oggi via Arco d’Augusto».

IL CAPOLAVORO SCOMPARSO «La basilica che Vitruvio afferma di aver realizzato nella Colonia Iulia Fanestris (vedi box alle pp. 86-87) – scrive Oscar Mei, docente di Archeologia Classica dell’Università degli Studi di Urbino Carlo Bo e coordinatore scientifico del Centro Studi Vitruviani – rappresenta uno degli edifici piú noti dell’antichità, anche se non sono mai state trovate tracce sicuramente attribuibili a essa nel sottosuolo dell’attuale città di Fano. Sin dal Quattrocento gli umanisti e architetti che si cimentarono nell’edizione del De architectura provarono 88 a r c h e o

UN IMPEGNO A LUNGO TERMINE La presenza costante sul territorio della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Ancona e Pesaro e Urbino ha consentito di seguire in modo tempestivo le strutture murarie attribuite alla basilica vitruviana, che sono da subito apparse di grande importanza. Per questo motivo, il Ministero della Cultura ha concesso le risorse sia per l’indagine archeologica preliminare e sia per una prima messa in sicurezza delle strutture. L’utilizzo di questi fondi è stato coniugato, il piú possibile, con i principi dell’archeologia pubblica sia attraverso la realizzazione di numerosi laboratori didattici nelle scuole del territorio fanese sia grazie ad alcune aperture del cantiere di scavo, che hanno consentito a piú di 500 cittadini di vedere i resti archeologici dal vivo con l’intervento dei funzionari responsabili di zona. L’auspicio è che si possa arrivare all’acquisizione del bene, in modo da garantire la migliore fruizione e valorizzazione di tutta l’area, peraltro già ricca di monumenti significativi sempre di epoca romana.


a ricostruire graficamente la pianta e l’alzato della basilica, basandosi sulle precise indicazioni che Vitruvio ci dona, soprattutto in relazione all’aula centrale. Meno preciso è invece riguardo all’aedes Augusti, il tempio dedicato al princeps che si apriva al centro del muro di fondo, che è stato l’elemento piú discusso e piú mutevole nelle restituzioni grafiche della basilica. Molto note e di altissima qualità artistica sono le ricostruzioni di Fra Giocondo, di Giovanni Battista da Sangallo e, soprattutto, di Andrea Palladio, che illustrò l’edizione vitruviana di Daniele Barbaro nel 1556. Ma fu soprattutto a partire dal XVIII secolo che si fanno numerosi i tentativi di localizzazione della basilica all’interno del centro storico fanese, basati sia sulla tradizione locale e su documenti di archivio, sia sull’interpretazione, piú o meno forzata, dei resti antichi che cominciavano a venire alla luce in concomitanza con lavori edili. Furono gli

scavi effettuati sotto la chiesa e il convento di S. Agostino fra il 1840 e il 1842 che diedero particolare impulso alla ricerca del celebre monumento e alla sua identificazione con gli imponenti resti qui riportati alla luce».

INTERPRETAZIONI DIVERGENTI «Per piú di un secolo vari studiosi tentarono di far coincidere quanto scoperto in quest’area (un criptoportico affiancato da una struttura radiale e cinto da un muro alto piú di 5 m su cui si apre una serie di finestre strombate) con la descrizione vitruviana della basilica, ma tutti questi sforzi si sono rivelati vani, soprattutto quando all’inizio degli anni 2000 lo scavo venne ampliato e si appurò che l’edificio rinvenuto doveva essere interpretato come un monumentale tempio su podio, rivolto probabilmente verso il forum di Fanum Fortunae, da collocare nella zona oggi occupata

dall’ex convento di S. Domenico. Ovviamente sono state suggerite in seguito altre interpretazioni di questo edificio, che propongono di identificarlo con il Tempio della Fortuna che diede il nome al centro sin dall’epoca repubblicana, oppure con il Capitolium della città o, da ultimo, con l’aedes Augusti della Basilica di Vitruvio. Si guarda ovviamente sempre con attenzione al prosieguo della ricerca archeologica, poiché ogni nuovo scavo potrebbe offrire nuova documentazione concernente l’assetto urbanistico del centro monumentale e la planimetria dell’area forense fanestre. Certamente oggi abbiamo molti piú dati rispetto al passato e possiamo contare su un enorme sviluppo delle tecnologie applicate all’archeologia, che ci possono aiutare in una ricostruzione sempre piú precisa della Fano romana e quindi anche nella localizzazione dell’unica opera di cui Vitruvio si assume la paternità». a r c h e o 89


SPECIALE • RAM FILM FESTIVAL

ARCHEOLOGIA EIL RAMMEMORIE FILM FESTIVAL DI ROVERETO DEDICA LA SUA TRENTACINQUESIMA EDIZIONE AGLI «SGUARDI SULLE MIGRAZIONI»

Il RAM film festival torna dal 2 al 6 ottobre nella città trentina per la sua trentacinquesima edizione. Quest’anno i riflettori sono accesi in particolare sulle piccole e grandi migrazioni del passato dettate dalle economie, dalle guerre, dai cambiamenti climatici e ambientali, inquadrando popoli in movimento che hanno cambiato, influenzato o amalgamato culture, tradizioni, architetture, espressioni artistiche di Claudia Beretta 90 a r c h e o


L’

edizione 2024 del RAM film festival-Rovereto Archeologia Memorie offrirà un ricco programma di proiezioni e incontri, creando un’opportunità unica per esplorare e comprendere le dinamiche delle migrazioni attraverso il potere evocativo del documentario e l’esperienza collettiva del cinema. Sarà anche un’occasione imperdibile per scoprire storie di confronto culturale, tutte raccontate con gli sguardi profondi e sensibili dei registi, e per incontrare in un clima informale i

protagonisti dei documentari e della ricerca archeologica e antropologica. Diretto per il settimo anno da Alessandra Cattoi, il RAM riserva, come sempre, un’attenzione particolare all’archeologia e al patrimonio, ma anche per il 2024 vuole approfondire tematiche che legano i beni culturali alle emergenze piú attuali, come quella migratoria, analizzando i flussi del passato, ma proponendo anche approfondimenti sulle influenze, le problematiche e le opportunità legate alle migrazioni del presen-

Sulle due pagine e in basso: proiezioni nel Teatro Zandonai di Rovereto, il piú importante della città trentina, nonché sede storica del RAM film festival.

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SPECIALE • RAM FILM FESTIVAL

Brunico

Silandro

Bolzano

Il Cinema Teatro Rosmini, sala cinematografica storica di Rovereto, che, recuperata alla fruizione, ospiterà parte delle proiezioni in programma nel corso del RAM film festival.

Cortina d’Ampezzo

Trentino-Alto Adige Trento Rovereto Castelfranco Veneto

te, offrendo punti di vista – gli «Sguardi sulle Migrazioni», appunto – con prospettive e riflessioni interessanti sia per il pubblico che per i portatori di interesse, siano essi ricercatori, politici, o gestori del bene comune.

OPERE DA TUTTO IL MONDO Si parlerà di tutto questo a Rovereto con incontri dedicati, momenti di approfondimento, presentazioni di libri, ma soprattutto attraverso i film, tutti recentissimi, e molti in prima assoluta o nazionale. Una sessantina quelli scelti dal comitato di selezione del RAM per il programma principale tra le centinaia di richieste di partecipazione provenienti da grandi produzioni o da piccole case indipendenti da 45 nazioni diverse. Molti film di quest’anno, quasi la metà, rientrano nella sezione «Cinema Archeologico», ma il palinsesto prevede anche interessanti lavori per le sezioni «L’Italia si Racconta» e «Sguardi dal mondo», con produzioni di carattere antropologico e storico, e per l’ormai

TUTTE LE SEDI DEL FESTIVAL Numerose le novità nell’edizione 35 del festival roveretano. Per prima cosa, le location: oltre alle proiezioni nel piú prestigioso teatro cittadino, il Teatro Zandonai, quest’anno il RAM ha recuperato alla fruizione anche una sala cinematografica da tempo chiusa al pubblico, il Cinema Teatro Rosmini, che verrà utilizzato nelle prime tre giornate del

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festival e per le matinée dedicate alle scuole. In collaborazione con l’Associazione Euritmus, che da poco gestisce il palinsesto culturale della sala, il martedí 1 ottobre è previsto un concerto inaugurale sui temi del festival, a cura del Trio Broz, ensemble d’archi italiano composto dai fratelli Barbara (violino), Giada (violino e viola), e Klaus (violoncello).


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SPECIALE • RAM FILM FESTIVAL

APPRODI (ITALIA, 2024)

tradizionale sezione del RAM dedicata alla «Cultura animata», con corti provenienti da tutto il mondo, particolarmente graditi al pubblico giovane e capaci di usare un linguaggio sintetico, ma profondo e accattivante. Il RAM cura al suo interno anche le tradu-

A destra e nella pagina accanto, in basso: fotogrammi del film francese On les appelle Vikings (Si chiamano Vichinghi), di Laureline Amanieux, che narra la storia del popolo scandinavo.

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zioni e gli adattamenti italiani dei film stranieri per la voice over e i sottotitoli. Tutte le sezioni prevedono un premio attribuito da una giuria dedicata, presieduta da un membro del Comitato scientifico del RAM, rispettivamente l’archeologa Barbara MauriSI CHIAMANO VICHINGHI (FRANCIA, 2023)


na, la giornalista e scrittrice Isabella Bossi Fedrigotti, l’antropologo Duccio Canestrini e il fumettista e autore Andrea Artusi. Tutti i film partecipano anche al premio del pubblico, con schede di votazione distribuite nelle giornate del festival.

Il programma prevede anche tre matinée per le scuole, con palinsesti dedicati, momenti di intrattenimento e la restituzione dei progetti di critica cinematografica e di traduzione dell’audiovisivo che lo staff del RAM segue durante l’anno per continuare ad avvicinare i

In alto, sulle due pagine: sequenze tratte dal film film italiano Approdi, di Lorenzo Scaraggi, che indaga la multiforme identità dei porti pugliesi, crocevia di genti e ponti sull’Adriatico.

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SPECIALE • RAM FILM FESTIVAL A destra e nella pagina accanto, in alto: immagini dal film Néandertal, premier artiste de l’humanité (Neandertal, primi artisti dell’umanità) di Thibaud Marchand, nel quale nuovi studi sulla grotta della Roche-Cotard sono il punto di partenza per riesaminare il contributo di questa specie alla produzione artistica.

NEANDERTAL, PRIMI ARTISTI DELL’UMANITÀ? (FRANCIA, 2023)

giovani alla «gestione consapevole» del mezzo audiovisivo e all’importanza di riflettere attraverso il cinema, sui temi legati alla salvaguardia della cultura, della loro storia e la loro identità. Non mancano le visite alla scoperta dei siti di interesse sul territorio e le masterclass, una dedicata agli insegnanti, con Monica Tappa – Odissea non è solo il titolo di un poema. Storie di migrazioni in albi illustrati, graphic, narrativa e volumi di divulgazione –, e un corso di aggiornamento per giornalisti dedicato ai reportage sui beni culturali sotto l’egida dell’Ordine del Trentino Alto Adige tenuto da Angelo Cimarosti, direttore di Archeo Reporter, una testata web che racconta l’archeologia mentre la si fa, nel cuore dei siti e delle ricerche. Tutte le proiezioni e gli eventi sono a titolo completamente gratuito.

PROTAGONISTI I FILM Grande qualità per le produzioni in concorso al RAM 2024.Tra i documentari all’interno del focus sulle migrazioni, film come l’italiano Approdi di Lorenzo Scaraggi (2024), prodotto da Omero su Marte, che indaga la multiforme identità dei porti pugliesi, crocevia di genti e ponti sull’Adriatico, o il francese On les appelle Vikings (Si chiamano Vichinghi), di Laureline Amanieux, (2023) prodotto

IL PREMIO «NUOVI SGUARDI» Fra le novità dell’edizione 2024 del RAM, la selezione all’interno delle sezioni di alcuni film realizzati da studenti e registi neodiplomati dalle scuole di cinematografia di tutto il mondo, per valorizzare anche punti di vista e prospettive di giovani autori. La giuria sarà formata anch’essa da esperti under 35. I film del premio nuovi sguardi parteciperanno anche ai premi di sezione e al premio del pubblico.

SAPIENS, OVVERO LA NASCITA DELL’ARTE (FRANCIA, 2022)

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In basso, sulle due pagine: sequenze tratte dal documentario Sapiens ou la naissance de l’art (2022) di Pascal Goblot, dedicato alla comparsa delle prime forme d’arte.

da Rétroviseur, sul popolo nordico che ha fatto dell’espansione via mare uno stile di vita, o ancora due film sui primi uomini – Néandertal, premier artiste de l’humanité? (Neandertal, primi artisti dell’umanità?) e Sapiens ou la naissance de l’art (Sapiens, ovvero la nascita dell’arte) – le cui tracce e spostamenti sono documentati in luoghi sempre diversi. Non manca l’apporto sulle culture di migrazioni piú recenti, come quello testimoniato dal documentario britannico Aworan, del re-

gista di origini nigeriane Bayo Brahms (2024), prodotto da 44Republic Films, sulle influenze della comunità Yoruba a Londra. Oltre al focus specifico sono molte le tematiche dell’affascinante patrimonio materiale e immateriale italiano e mondiale approfondite dai documentari: produzioni italiane recentissime, come Sala 5, di Stefano Santamato, produzione The Blink Fish, che racconta in modo spettacolare il progetto espositivo innovativo del cartone di Raffaello per la Scuo-

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SPECIALE • RAM FILM FESTIVAL

SALA 5, IL CARTONE DI RAFFAELLO (ITALIA, 2023)

la di Atene, esposto all’Ambrosiana di Milano, oppure Askòs, il canto della Sirena, di Antonio Martino (2023), prodotto dalla Lago Film, che racconta la storia affascinante e per certi versi rocambolesca della cosiddetta papera, un famoso reperto archeologico rinvenuto clandestinamente in Calabria e recuperato dal Nucleo di Tutela del Patrimonio dei Carabinieri, oggi esposto nel Museo di Crotone. E poi ancora La rosada e l’ardilut. Nel Friuli del giovane Pasolini, della regista Roberta Cortella, prodotto da Friuli nel mondo, realizzato in occasione del centenario della nascita di Pier Paolo Pasolini, e dedicato agli anni di formazione culturale dell’artista. E ancora, tra i nuovissimi film francesi, una scuola cinematografica particolarmente rinomata per il documentario scientifico, Mésopotamie, la redécouverte des trésors d’Irak (Mesopota98 a r c h e o

mia, la riscoperta dei tesori iracheni), di Oliver Julien (2023), prodotto dalla GEDEON Programmes, nel quale una nuova generazione di archeologi internazionali riapre i mitici siti mesopotamici di Khorsabad, Ninive, Lagash e Larsa, utilizzando tecnologie digitali mai applicate in questa zona per scoperte sorprendenti sullo sviluppo delle prime città costruite dall’uomo o Time of the giants 2 (Il tempo dei giganti 2) di Pascal Cuissot (2024), secondo episodio di una fortunata serie della Bonne Pioche sui dinosauri, che racconta le scoperte piú recenti sulla sopravvivenza di alcuni dinosauri dopo l’enorme impatto di un asteroide sulla Terra avvenuto 66 milioni di anni fa. Da non perdere lo spagnolo Ingegneria romana. Los puertos, di José Antonio Muñiz (2024): nuovissimo l’episodio dedicato ai porti fluviali della serie spagnola sul legato ingegneristico roma-

Sulle due pagine: immagini dal documentario Sala 5, Il Cartone di Raffaello, di Stefano Santamato, nel quale viene raccontato il progetto mirato all’esposizione del grande bozzetto di Raffaello per la Scuola di Atene presso la Pinacoteca Ambrosiana di Milano.


no soprattutto in terra iberica, con il geografo e storico Isaac Moreno. Speciale anche la storia di archeologia partecipata del film RAI Cultura Diario di uno scavo in Sicilia, del 2023. Ma ogni documentario di quelli selezionati per il festival ha un tesoro da raccontare, tante tradizioni e storie grandi e piccole dall’Italia e dal mondo, oltre ad animazioni particolarissime che testimoniano il patrimonio culturale: una ventina i paesi delle produzioni, molte di piú i popoli e le culture testimoniate.

CINEMA IMMERSIVO Il RAM si apre anche a nuove tecnologie, linguaggi e sperimentazioni, alla ricerca delle piú variegate dimensioni del cinema. Sarà presentato un nuovo «Programma Off Fulldome» del festival, un palinsesto cinematografico pa-

rallelo al main program, nel quale si andrà alla scoperta dei siti antichi attraverso il cinema immersivo. Ciò è reso possibile dal nuovo strumento digitale nello spazio del Planetario del Museo di Scienze e Archeologia di Rovereto, unico in regione Trentino-Alto Adige, e che da quest’anno viene trasformato nei giorni del festival in sala cinematografica declinata non solo sulle tematiche astronomiche, ma sui temi culturali. Le proiezioni avverranno tutti i pomeriggi, dalle ore 16,00, in modo che il maggior numero di persone possa partecipare a questa nuova esperienza. Sono state selezionate nuove produzioni di varie parti del mondo, oltre a film di repertorio sui cieli antichi, per far conoscere al pubblico un nuovo modo di vivere la cultura e il cinema. Abbazie, castelli e tombe del Galles nello straordinario From the shadows of the a r c h e o 99


SPECIALE • RAM FILM FESTIVAL

LA ROSADA E L’ARDILUT. NEL FRIULI DEL GIOVANE PASOLINI (ITALIA, 2022)

GLI «APERITIVI D’AUTORE» I tradizionali «Aperitivi d’Autore» del festival vedono come nuova collocazione il Giardino Botanico del Museo di Scienze e Archeologia di Rovereto, dove è possibile per il pubblico anche visitare le

installazioni del «RAM X» e vedere il programma Fulldome al Planetario. Agli incontri informali del festival parteciperanno archeologi, scrittori, giornalisti: un’occasione per dialogare, esprimere curiosità e

discutere con gli specialisti del settore. In particolare, mercoledí 2 ottobre Valentina Coia, ricercatrice Senior presso EURAC Research di Bolzano, esperta di genetica delle popolazioni umane, nell’incontro dal titolo «Genetica e archeologia. Una rivoluzione in atto» racconta di come le analisi del DNA di decine di scheletri preistorici possano far comprendere meglio la storia, l’evoluzione e gli spostamenti di popoli nell’antichità e i conseguenti 100 a r c h e o


stones di Matt Wright e Janire Najera (2024), il movimento artistico del Suprematismo, nel film tedesco di Sergej Prokofiev 2024, una visione profonda della storia epica australiana in The Earth Above: A Deep Time View of Australia’s Epic History (2024) a cura del Ruwe collective, un collettivo di registi australiani indigeni e non, o ancora The secrets from a forest di Jim Brandenburg e Neil Luca per il Bell Museum, dove l’esibizione dei musicisti della Minnesota Orchestra è trasportata nella straordinaria foresta da cui proviene il legno degli strumenti, la foresta di Paneveggio.

NUOVE TECNOLOGIE Accanto allo spazio del «Programma Off Fulldome», il RAM inaugura quest’anno, al Museo di Scienze e Archeologia uno spazio sperimentale con installazioni multimediali di realtà virtuale in cui troveranno la loro ideale collocazione la sperimentazione espressiva e A sinistra e nella pagina accanto, in alto: sequenze del documentario di Roberta Cortella La rosada e l’ardilut. Nel Friuli del giovane Pasolini.

In basso, sulle due pagine da sinistra: il Giardino Botanico del Museo di Scienze e Archeologia di Rovereto, Valentina Coia, Luca Misculin e Jacopo Tabolli.

intrecci genetici in dialogo con l’archeologo Maurizio Battisti. Nell’aperitivo di venerdí 4 ottobre Luca Misculin, giornalista del Post, porterà la sua esperienza con il podcast «L’invasione», realizzato con Riccardo Ginevra, professore di glottologia e linguistica, che ha come protagonista la lingua protoindoeuropea e le persone che arrivarono in Europa 5000 anni fa, portando con sé l’antenata delle lingue che parliamo oggi. Nel pomeriggio di sabato 5 ottobre Jacopo Tabolli, professore di archeologia ed etruscologia, svelerà tutti i segreti delle statue in bronzo di età etrusca e romana rinvenute dal 2022 nel santuario termale del Bagno Grande di San Casciano dei Bagni (III secolo a.C.-V secolo d.C.) negli scavi di cui è direttore, con l’incontro dedicato agli «Sguardi sulla mobilità

antica: genti diverse venute dall’est al santuario del Bagno Grande di San Casciano dei Bagni», stimolato dalle domande di Andreas Steiner, direttore di «Archeo», media partner del RAM. Giovedí l’Aperitivo d’Autore cambia formula e si sposta nella piazza del Giardino della Cassa Rurale di Rovereto Alto Garda

con una sessione di Cinema all’aperto dedicata a un evento speciale organizzato in collaborazione con l’Associazione Lumen, ovvero il documentarioreportage Real People di Will Media sulle migrazioni attuali, seguito da un incontro/dibattito e dal consueto brindisi finale. a r c h e o 101


SPECIALE • RAM FILM FESTIVAL

l’utilizzo delle nuove tecnologie. Tale spazio, denominato «RAM-X», sarà a cura di Filippo Maria Pontiggia, esperto di Virtual Reality, tecnologie immersive e linguaggi innovativi. L’intervento ha luogo nell’ambito della partnership che il RAM ha stretto con APA VdA, che raccoglie tecnici, produttori e filmmaker valdostani. APA organizza dal 2008 FRONTDOC, un festival cinematografico internazionale dedicato al Cinema di Frontiera. La collaborazione con il FRONTDOC è legata non solo al focus sulle grandi migrazioni (naturalmente connaturato al tema del festival valdostano), ma anche sui nuovi linguaggi del cinema, su cui il RAM pone per questa edizione un’attenzione speciale.

LE CONFERENZE SPETTACOLO E IL COMMUNITY PROJECT Nel segno della novità sono anche le conferenze spettacolo che animeranno le giornate del festival roveretano. La prima riguarda il focus dedicato alle migrazioni, e sarà proposta al pubblico la sera di venerdí 5 ottobre, la prima serata presso lo storico Teatro Zandonai. Ne sarà protagonista Stefano Allievi, professore di sociologia all’Università di Padova, specializzato nello studio dei fenomeni migratori, in sociologia delle religioni e in studi sul mutamento culturale e politico, che svolge anche un’intensa attività di scrittore, divulgatore e performer. Nello spettacolo dal titolo Di acqua e di terra. Migrazioni e altri moA destra, sulle due pagine: una proiezione digitale nel Planetario del Museo di Scienze e Archeologia di Rovereto e, in basso, l’ingresso della struttura.

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SPECIALE • RAM FILM FESTIVAL

vimenti, Allievi esplorerà, insieme agli spettatori del RAM, l’intricata rete delle migrazioni umane attraverso i secoli, attraversando epoche e continenti, dal Neandertal alla moderna Unione Europea, dalle migrazioni italiane storiche alle attuali ondate migratorie, in un viaggio affascinante. L’evento è arricchito da un’eccezionale sezione visiva, sviluppata da un team internazionale di giovani artisti di «Fabrica», il centro di ricerca creativa di Benetton. Le potenti fotografie di Oliviero Toscani e i video originali offrono un contesto visivo che amplifica il racconto, rendendo l’esperienza ancora piú coinvolgente.

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Sulle due pagine: immagini del documentario Mésopotamie, la redécouverte des trésors d’Irak, di Oliver Julien, prodotto dalla GEDEON Programmes.


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SPECIALE • RAM FILM FESTIVAL

IL TEMPO DEI GIGANTI 2 (FRANCIA, 2024)

In alto e nella pagina accanto: fotogrammi del documentario Il tempo dei giganti 2, dedicato alle ricerche sulla sopravvivenza di alcune specie di dinosauri dopo l’impatto sulla terra di un asteroide, 66 milioni di anni fa.

Nel pomeriggio di domenica 6 ottobre, la chiusura del RAM proporrà un evento speciale, la presentazione fuori concorso, nella sezione «L’Italia si racconta», del documentario nato grazie alla collaborazione con il festival internazionale di danza Oriente Occidente di Rovereto e il Museo Storico del Trentino nel corso del Community Project che dà anche il titolo al film Un due tre… stella!, un progetto che coinvolge persone over 70, guidato dall’artista Carlo Massari, che invita anziani e anziane a mettersi in gioco e condividere la propria infanzia attraverso il linguaggio del corpo e la sua memoria. La regia è del pluripremiato documentarista Emanuele Gerosa, particolarmente sensibile nella narrazione di storie dai risvolti delicati e coinvolgenti. La condivisione dei giochi del passato rientra a pieno titolo nel patrimonio 106 a r c h e o

immateriale, e la restituzione del laboratorio condotto dall’artista attraverso il documentario di Gerosa contribuisce a fare memoria comunitaria di queste tradizioni. A seguire l’antropologo, giornalista e scrittore Duccio Canestrini, che si esibirà in una conferenza-spettacolo dal titolo Neander Pop, un mix di ragionamento e divertimento, piú spettacolo che paleoantropologia, con musiche, videoclip, immagini di repertorio, brani letterari, umorismo e animazioni grafiche sul

Stefano Allievi, professore di sociologia all’Università di Padova.


Didascalia da fare Ibusdae evendipsam, officte erupit antesto taturi cum ilita aut quatiur restrum eicaectur, testo blaborenes ium quasped quos non etur reius nonem quam expercipsunt quos rest magni autatur apic teces enditibus teces.

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SPECIALE • RAM FILM FESTIVAL

IL GRANDE CINEMA CON L’ANTICO EGITTO La serata finale del RAM, sabato 5 ottobre, avrà ancora i film come grandi protagonisti, con l’annuncio dei documentari premiati dalle giurie per le varie sezioni. Ma al centro

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dell’evento ci sarà il grande cinema, con la proiezione al film Uomini e dei. Le meraviglie del Museo Egizio, in cui il premio Oscar Jeremy Irons accompagna il pubblico in una

narrazione affascinante che vede al centro della scena i tesori esposti nel Museo Egizio di Torino, il piú antico museo sulla civiltà egizia (aperto prima di quello del Cairo),


tema molto discusso dell’integrazione avvenuta tra i «primi migranti», i Neandertal e i Sapiens. Si parla perfino di attualità, perché gli «altri» – che siano estinti, immaginati o presenti tra noi – ci costringono ogni giorno a relativizzare la nostra supremazia. E a considerare la diversità come una ricchezza. Il programma, quest’anno davvero ricco e stimolante, frutto di un grande impegno organizzativo che trasforma per una settimana la piccola cittadina trentina, patria degli archeologi Paolo Orsi e Federico Halbherr, nella capitale del cinema dedicato al patrimonio mondiale, si chiude con l’assegnazione del premio del pubblico RAM film festival-Rovereto Archeologia Memorie, attribuito dagli spettatori che votano dopo ogni sessione di proiezioni. Si tratta del premio piú ambito da parte di registi, produttori e autori, che proprio al grande pubblico si rivolgono quando scelgono il linguaggio del cinema per raccontare le affascinanti storie del passato, grandi e piccole, che aiutano a riflettere sul nostro presente, e a immaginare il futuro.

che proprio nel 2024 festeggia il suo bicentenario. Ma non si tratta solo di un’opera didascalica, è un film godibile anche da tutti i cinefili perché riesce a combinare elementi di documentario con la narrazione cinematografica, che sono proprio le due anime del RAM film festival, cinema e bene culturale. Non si limita a mostrare le collezioni del museo, ma intreccia storie, personaggi e contesti storici in diversi filoni narrativi per offrire una visione completa e affascinante dell’antico Egitto. Sarà presente come ospite speciale della serata il direttore del Museo Egizio di Torino, Christian Greco. Sulle due pagine: immagini del film Uomini e dei. Le meraviglie del Museo Egizio, che ha visto la partecipazione del premio Oscar Jeremy Irons come narrattore (in alto, nella foto).

A destra: un incontro con il pubblico in occasione della passata edizione del RAM film festival.

DOVE E QUANDO RAM film festival Rovereto 2-6 ottobre Info tel. 0464 452832; e-mail: segreteria@ramfilmfestival.it; www.ramfilmfestival.it

Il RAM film festival, di cui «Archeo» è Media Partner, è organizzato dalla Fondazione Museo Civico di Rovereto, promosso da Comune di Rovereto, Ministero della Cultura, Provincia Autonoma di Trento, APT Rovereto Vallagarina Monte Baldo, con il sostegno della Fondazione Caritro e della Cassa Rurale Alto Garda Rovereto

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L’ALTRA FACCIA DELLA MEDAGLIA Francesca Ceci

BELLEZZA E MISTERO SEPPURE CELEBERRIME, PER VIA DEI LORO RESPONSI TANTO OSCURI QUANTO RITENUTI DEGNI DELLA MASSIMA CONSIDERAZIONE, LE SIBILLE NON ENTRARONO MAI NELLE GRAZIE DEI MONETIERI ROMANI

«L

a Sibilla con bocca delirante dà suono a parole che non hanno sorriso né abbellimento né profumo, e con la sua voce oltrepassa mille anni, per il nume che è in lei»: con queste tenebrose parole (frammento 92) Eraclito (535-475 a.C.), tra i maggiori pensatori presocratici e definito da Aristotele «l’oscuro» per lo stile ermetico e – appunto – sibillino della sua opera giunta a noi frammentaria, descrive la Sibilla, ovvero una profetessa, di regola giovane e pura, che, ispirata o posseduta da un dio, profetizza con parole oscure, ma veritiere, i destini degli uomini e dei mondi.

LA VOCE DI APOLLO Nell’antichità classica la Sibilla per eccellenza è naturalmente, quella delfica (alla quale si affianca la figura oracolare della Pizia), invasata sacerdotessa di Apollo dal quale ottiene i responsi che, stravolta e aggrappata al grande tripode sacro al dio, trasmette ai fedeli che si recavano nell’antro del celeberrimo santuario greco e che venivano interpretati dai sacerdoti preposti a questo compito.

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E se Eraclito parla della Sibilla al singolare, da Aristotele in poi il numero aumenta progressivamente, ognuna designata con l’etnonimo del luogo che le vede profetare (si pensi alla Sibilla Cumana, e poi la Libica, la Persica, l’Eritrea e altre ancora), sino a raggiungere il numero canonico di dieci con Varrone, ma arrivando anche a venti in altre tradizioni antiche. Gli scritti oracolari di queste profetesse, redatti in greco, particolarmente ricercati ma sempre molto oscuri nella loro interpretazione, conobbero larghissimo credito nel mondo greco e romano: basti pensare ai famosi Libri Sibillini, venduti a caro prezzo in numero di tre (dagli originali nove) da una donna misteriosa, forse proprio una Sibilla, al re etrusco Tarquinio il Superbo (Servio, Commentario all’Eneide, 6, 72). Conservati dapprima a Roma nel tempio di Apollo e poi in un recesso del tempio di Giove Capitolino, andarono bruciati nell’83 a.C. durante le guerre civili legate alla dittatura di Silla; in seguito, gli oracoli in essi contenuti vennero ricostruiti nel


testo e riposti da Augusto nel tempio di Apollo Palatino, sotto la statua del dio. Qui rimasero sino al V secolo d.C., quando Rutilio Namaziano ricorda che vennero bruciati dal generale Stilicone (De reditu suo, II, 51-56). Nella monetazione romana la (o le) Sibille non conobbero grande fortuna iconografica: si conosce infatti solo una serie di denari repubblicani che la menzionano esplicitamente. Si tratta delle monete battute dal triumviro Lucio Manlio Torquato, il quale era diventato console con Lucio Aurelio Cotta dopo aver fatto condannare per corruzione i consoli eletti nel 65 a.C., uno dei quali era il nipote del dittatore Silla.

LA SACRA COLLANA Sul denario, datato appunto al 65 a.C., compare al dritto una bella e austera testa femminile, con una ricca capigliatura circondata da una corona d’edera e tre ciocche che scendono sul lungo collo. Al di sotto corre la legenda SIBYLLA. Al rovescio campeggia, al centro, Moneta d’oro emessa per commemorare il 450° anniversario della morte di Michelangelo. Città del Vaticano, 2014. Al dritto, il busto di papa Francesco; al rovescio, la Sibilla Libica con i nomi dell’artista e dell’incisore. Nella pagina accanto: denario di L. Manlio Toquato. Zecca di Roma, 65 a.C. Al dritto, la testa della Sibilla; al rovescio, il tripode delfico entro una torques (collana) ritorta.

un tripode, chiara allusione al culto delfico, sormontato da un’anfora tra due stelle, il tutto racchiuso entro una torques, la collana ritorta che si riferisce al nome di famiglia

del magistrato, riportato nella legenda L·TORQVAT III·VIR. Questo tipo di gioiello era indossato dai Galli, che gli attribuivano un valore sacro, simbolo anche della loro prodezza; nel 361 a.C. un avo del nostro magistrato, Tito Manlio, prese il cognome dall’aver strappato, nella battaglia dell’Aniene, il monile a un Gallo possente che l’aveva sfidato e, dopo averlo ucciso, lo indossò grondante di sangue (Tito Livio, Ab Urbe condita, VII, 10; Cicerone, De Officiis, III, 31). Dopo questi denari, non vi sono altre tracce certe di Sibille nella monetazione romana e per ritrovare l’immagine della profetessa su una moneta battuta nei pressi della città di Roma si sono dovuti attendere piú di duemila anni. Si tratta di una moneta d’oro commemorativa da 50 euro (ma dal valore ben piú alto) creata dalla Città del Vaticano nel 2014, per celebrare il 450° anniversario della morte di Michelangelo Buonarroti con una maestosa Sibilla nella volta della Cappella Sistina. Realizzata dall’artista Angela Napolione e incisa da Luciana De Simoni, la moneta raffigura al dritto il busto di papa Francesco, con leggenda che riporta nome, anno di pontificato e anno di realizzazione, mentre al rovescio è rappresentata la complessa posa michelangiolesca della Sibilla Libica, destinata ad avere grande influenza su tutta l’arte a venire, dal manierismo in poi.

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I LIBRI DI ARCHEO

DALL’ITALIA Alberto Elli

EGITTO Guida storico-archeologica ai principali siti cristiani, monasteri e chiese TS Edizioni, Milano, 480 pp., ill. b/n n.t. + XVI tavv. col. 32,00 euro ISBN 979-12-5471-284-9 www.tsedizioni.it

Come si legge nell’Introduzione, questa guida è dedicata a un «altro Egitto, forse meno “blasonato” [di quello faraonico], ma altrettanto degno di essere conosciuto». Un’affermazione difficilmente confutabile, se solo si pensa all’importanza assunta dalla Chiesa copta nella storia del Paese africano (e non solo) Il monastero di S. Hadra (detto anche di S. Simeone) ad Assuan.

e alla ricchezza del patrimonio monumentale che oggi ne testimonia l’avvento e la sempre piú capillare diffusione. Nella prima parte del volume Alberto Elli offre quindi un ampio e dettagliato inquadramento del fenomeno, passandone in rassegna le tappe piú importanti e illustrando le modalità con le quali l’ideologia religiosa fu tradotta, in concreto, nella costruzione di chiese e conventi. Definite le coordinate essenziali,

si passa dunque alla guida vera e propria, organizzata secondo la distribuzione geografica delle località. La rassegna si apre con il monastero di S. Caterina, nel Sinai, apripista di un viaggio che tocca luoghi di assoluta bellezza e suggestione, oltre che carichi di storia. Ciascun sito o complesso monumentale è descritto in maniera analitica, offrendo sempre utili planimetrie, integrate dalle foto a colori inserite al centro del volume. Uno strumento prezioso, insomma, per viaggiare, ma anche per approfondire la conoscenza di un mondo affascinante.

Come si intuisce dalla presentazione, il saggio di Lorenzo Braccesi vuole essere una sorta di risarcimento della cattiva sorte toccata a Druso Maggiore, il quale non soltanto morí appena trentenne mentre era in Germania, ma fu vittima delle manovre del fratello maggiore Tiberio, che, geloso dei suoi successi militari e della predilezione di Augusto nei suoi confronti, si adoperò per screditarne la memoria.

Lorenzo Braccesi

DRUSO Un condottiero oscurato «L’Erma» di Bretschneider, Roma, 194 pp. 80,00 euro ISBN 978-88-913-3298-1 www.lerma.it

La vicenda viene raccontata dall’autore con dovizia di particolari e trasportando idealmente il lettore negli ambienti della corte imperiale e fra le trame che ne furono uno dei caratteri distintivi. In chiusura, risulta poi molto interessante la sottolineatura di una seconda damnatio memoriae, questa volta orchestrata in età fascista, in occasione della Mostra augustea della romanità allestita nel 1937. (a cura di Stefano Mammini) 112 a r c h e o



presenta

CATTEDRALI E ABBAZIE

UN VIAGGIO TRA LUCE E SPIRITUALITÀ Il viaggio proposto dal nuovo Dossier di «Medioevo» attraversa l’intera Italia e non solo e prende avvio dagli spettacolari ricami di pietra realizzati dal maestro Wiligelmo per la cattedrale modenese di S. Maria Assunta, che agli inizi dell’XI secolo prese forma secondo il progetto dell’architetto Lanfranco. È l’inizio di un percorso affascinante, scandito da saggi sul contesto storico e culturale nel quale operarono le fabbriche alle quali si deve la costruzione di monumenti insigni, che tocca luoghi in cui l’anelito religioso si è fatto motore della creazione di architetture e opere d’arte di eccezionale pregio. Le chiese cattedrali e i complessi abbaziali descritti nel Dossier compongono un atlante del cristianesimo occidentale e, al contempo, sono la plastica testimonianza di fenomeni che hanno segnato il millennio medievale, come nel caso della nascita e della diffusione degli Ordini religiosi. Ardite soluzioni costruttive, apparati ornamentali lussureggianti – fatti di statue, affreschi, mosaici – ribadiscono l’importanza di una committenza, quella della Chiesa, senza la quale l’ingegno e la creatività di artisti celebri o tuttora anonimi non avrebbero avuto la visibilità che li ha consegnati alla storia. Da Modena, dunque, a Spoleto, da Milano a Parigi, da Assisi a Monreale, da San Galgano a Cava de’ Tirreni... non vi resta che sfogliare questa straordinaria antologia del bello!

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