PERIODICO della FIDAart N. 2 - Febbraio ANNO 2016
FIDAart
In copertina: STEFANO CAGOL, EVOKE PROVOKE (THE BORDER), 2011, Kirkenes, Norvegia
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FIDAart sommario
Febbraio 2016, Anno 5 - N.2
Editoriale
Un’economia per l’1%
pag. 4
Politiche culturali
Felix Gonzalez-Torres
pag. 5
Intervista ad un artista
Stefano Cagol
Mercato dell’arte?
Alighiero Boetti
pag. 20-21
L’arte
All my life
pag. 22-23
Storia dell’arte
Cara, vecchia Moka
pag. 24-25
pag. 6-19
News dal mondo ALIGHIERO BOETTI
Colonna, 1968
pag. 28
ALIGHIERO BOETTI
Mappa, 1989
pag. 29
ALIGHIERO BOETTI
Rosso Gilera-Rosso Guzzi, 1967-1972
pag. 30
ALIGHIERO BOETTI
Addizione, 1974
pag. 31
Omaggioadalighieroboettinovegennaioduemilasedici, 2016
pag. 32
Omaggio a ALIGHIERO BOETTI
Copyright FIDAart Tutti i diritti sono riservati L’Editore rimane a disposizione degli eventuali detentori dei diritti delle immagini (o eventuali scambi tra fotografi) che non è riuscito a definire, nè a rintracciare
EDITORIALE “UN’ECONOMIA PER L’1%” A metà gennaio 2016 è stato pubblicato il rapporto annuale “Un’economia per l’1%” prodotto dalla ONG britannica Oxfam, una delle più importanti confederazioni internazionali specializzata in aiuto umanitario e progetti di sviluppo composta da 17 organizzazioni di Paesi diversi che collaborano in oltre 90 paesi per individuare soluzioni durature alla povertà e all’ingiustizia. I suoi rapporti analizzano la distribuzione-concentrazione della ricchezza nel mondo e nelle diverse società fotografandone disuguaglianze e ingiustizie. I dati riportati nel corposo studio sono drammatici perché confermano una tendenza in atto da anni, anche nel nostro Paese, che è esattamente il contrario di quanto la gente ritiene giusto e, volendo usare una parola ormai desueta, coerente con il concetto di democrazia. il rapporto documenta che si è allargato il divario tra i più ricchi del pianeta e il resto della popolazione: nel 2015 l’1% della popolazione mondiale è arrivato a possedere più del restante 99%. Negli ultimi sei anni la ricchezza dei primi è cresciuta di 500 miliardi di dollari, arrivando a 1.760 miliardi di dollari. Di contro, la metà della popolazione mondiale - 3,6 miliardi di persone - ha visto contrarsi il proprio patrimonio del 41%, circa 1.000 miliardi di dollari in meno, nonostante il forte incremento demografico (400 milioni di nuovi nati). Oggi, 62 ultramiliardari possiedono una ricchez-
za equivalente a quella della metà più povera del mondo (vedi grafico in basso). Nel 2010 la stessa cifra era distribuita tra 388 ultramiliardari, ciò significa che la ricchezza si è finita nelle mani di in un numero sempre più ristretto di persone che detengono il potere economico. Anche in Italia si registra una crescente concentrazione nelle mani di pochi: i dati del 2015 dimostrano come l’1% più ricco degli italiani sia in possesso del 23,4% della ricchezza nazionale netta e come anche l’incremento della ricchezza, dal 2000 al 2015, sia stato distribuito iniquamente poiché più del 50% è andato a beneficio del 10% più ricco degli italiani. I ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri diventano sempre più poveri, in tutto il mondo, sviluppato e non sviluppato. Non scandalizziamoci, quindi, se siamo e saremo sempre più invasi dai poveri di tutto il mondo. Qualcuno potrebbe chiedersi cosa c’entri tutto ciò con l’arte e gli artisti. La risposta è semplice: gli artisti, che hanno goduto in passato di qualche privilegio, svolgono oggi un ruolo più marginale e passivo in una società governata dal denaro che è diventata sempre più ingiusta. La notizia qui a fianco è la dimostrazione di come questa concentrazione abnorme di ricchezza abbia prodotto un sistema mercantile malato di speculazione che si è appropriato del lavoro degli artisti, utili idioti sfruttati da una finanza amorale interessata solo a investire per incrementare i propri profitti.
POLITICHE CULTURALI FELIX GONZALEZ-TORRES (1957-1996) “Untitled” (L.A.), 1991, caramelle verdi avvolte singolarmente in cellophane, infiniti ingombri che variano con l’installazione, peso ideale 22,7 kg. (vedi foto a lato). Stimata dai 5 ai 7.000.000 di dollari, ha realizzato all’asta di Christie’s New York del novembre 2015 un prezzo di $ 7.669.000 (euro € 7.140.000). Le caramelle utilizzate per il lavoro possono variare a seconda dell’interpretazione, però sono accompagnate da un certificato di autenticità firmato dalla Fondazione dell’artista, il postminimalista cubano Gonzalez-Torres. Gay, morto di AIDS nel 1996, aveva creato l’installazione nel 1991, l'anno in cui era scomparso il suo partner sieropositivo. La storia personale di Torres è stata sicuramente drammatica, ma le 'note sul lotto' pubblicate da Christie sono imbarazzanti per il loro disperato tentativo di magnificare "l'opera". «La ricca gamma dell’opera indimenticabilmente-bella che Felix Gonzalez-Torres ha creato durante la sua breve, ma brillante carriera di nove anni, è a dir poco sconcertante. In questo, uno dei suoi famosi pezzi con caramelle versate, un peso ideale di 23 kg (o Libbre 50) di lucide caramelle avvolte nel cellofan e disperse sul pavimento della galleria. Una disposizione scintillante di colore, consistenza e forma, “Untitled (L.A.)” brilla e riflette la luce ambientale circostante, mentre la sua tavolozza trattenuta e la forma scultorea invocano abilmente le rigide geometrie del Minimalismo. Gli spettatori possono partecipare ai lavori scegliendo una caramella per sé stessi, e la struttura del pezzo si evolve gradualmente nel tempo secondo la quantità di modifiche delle caramelle». ...«Una struggente, opera metaforica,“Untitled” (LA) evoca la fragilità della vita e il notevole ta-
lento dell’artista per la creazione di gioia in un momento di dolore”... “invoca la caducità della vita e della sua inevitabile decadenza, un concetto che doveva pesare sull’artista data la sua sieropositività. Tuttavia, poiché il lavoro può essere rifornito in qualsiasi punto, per quanto si tratti di perdita diventa anche di perpetuazione e di cambiamento. La bellezza scintillante delle caramelle cellofanate è indimenticabilmente bella e la natura partecipativa del pezzo è a dir poco profonda». Diciamo subito che non si può non apprezzare i sentimenti che hanno mosso Torres e che parte delle cose scritte, soprattutto sulla “bellezza e bontà” delle caramelle, possono essere sottoscritte da tutti, però una banale domanda sorge spontanea: perché pagare 7,67 milioni di dollari per 23 chili di comuni caramelle verdi incellofanate che si possono acquistare a 100 dollari in qualsiasi negozio di dolci?
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Intervista a STEFANO CAGOL «..non ho più dipinto dopo l’Accademia…» Questa risposta spiega bene quale sia l'idea di arte di Stefano Cagol e come, seppur laureato a Brera, consideri la pittura solo una fra le tante opzioni che stanno di fronte a chi voglia esprimersi senza vincolarsi ad un unico linguaggio. Così il suo nomadismo, geografico e culturale, fa parte del suo modo d'essere in quanto motivato a partecipare a tutto ciò che avviene nel mondo. Insomma, un artista del nostro tempo, curioso e aperto a tutte le esperienze quando utili a trasmettere i concetti che ha in testa, impegnato sui grandi temi sociali ed ecologici per portare un suo punto di vista personale, comunicatore («l’arte è comunicare») e sensibile a tutto ciò che è pubblico poiché esperto delle regole di una società massmediatica sempre alla ricerca di nuovi stimoli e provocazioni. L’artista incarnato da Cagol non è tanto un creatore di manufatti, quanto un produttore di idee, di concetti e, conseguentemente, di azioni a valenza artistica finalizzate a stimolare delle risposte emotive e mentali negli spettatori coinvolti, direttamente o indirettamente. Diversamente da molti artisti ripiegati sull'autoreferenzialità della propria disciplina convinti dell'inutilità di relazionarsi con gli altri, Cagol si potrebbe definire un operatore culturale militante proiettato verso l’esterno che ambisce a incidere sulla realtà attraverso la sua pratica artistica. Convinzione che gli fa onore, particolarmente oggi, in tempi di disimpegno etico che sconfinano in una colpevole indifferenza, (se non connivenza). Non tutte le sue opere, però, si muovono sulla linea di un concettualismo simbolico, virtuale, ermetico perché, quando si confronta con opere tridimensionali, Stefano si dimostra artista capace di realizzare sculture e installazioni monumentali caratterizzate da rigorose composizioni dinamiche di sapore architettonico, attente al contesto e raffinate nei materiali. Paolo Tomio A lato: THE BODY OF ENERGY (OF THE MIND), 2015, progetto transnazionale, videocamera a infrarossi, azioni partecipative, Folkwang Museum, Essen
In basso: ICE MONOLITH, 2013, installazione, blocco di ghiaccio, 200x150x50 cm, naturale processo di fusione durato 72 ore, ripresa video, Venezia
THE COW LOLA, 2010, installazione, 6 pelli di diversi animali, rasatura, colori acrilici, dimensioni ambientali, Facoltà di Scienze Cognitive, Rovereto
ca, attraversando momenti in cui il futuro non era per nulla chiaro, in cui non ero sicuro di fare l’artista. All’inizio è solo un sogno, non tanto di fare l’artista, ma almeno un lavoro creativo. Poi improvvisamente accadono, uno dopo l’altro, degli avvenimenti e scattano delle situazioni, e inizi a pensare che la tua strada possa veramente essere quella dell’arte. Anche se non è mai facile proseguire. Forse la scintilla scatenante, è stata il periodo dell’Accademia in cui ho avuto la possibilità di frequentare un amico artista coreano, Che Wo Seung, con cui ho condiviso un appartamento per due anni e che mi ha aiutato a focalizzare meglio le cose. In quel momento stavo sperimentando tutto, installazioni, pittura, ribel-
Quando hai cominciato a interessarti all’arte? È un’attrazione che hai dalla nascita e consolidi crescendo. Da piccolo a scuola, quando vivevo in Svizzera, mi dicevano che ero portato verso le materie artistiche: penso siano capacità, sensibilità che uno ha dentro di sé, caratteristiche intrinseche nel carattere di una persona. La vita mi ha portato a seguire gli studi artistici presso l’Istituto d’Arte a Trento e successivamente all’Accademia di Brera a Milano, ma ho proseguito lungo questa strada quasi alla cie8
landomi verso la specializzazione in un campo preciso. Un altro fatto importante è avvenuto all’ultimo anno di accademia nel ’93, quando sono stato tra i 110 selezionati (uno per corso) su 5.000 studenti per la prima edizione della mostra “Salon Primo” e ho avuto la possibilità di esporre un mio lavoro in una galleria privata di una città così prestigiosa come Milano. Ritengo questo abbia scatenato in me quel desiderio edonistico di esporre, di essere al centro dell’attenzione: l’artista ha un bisogno estremo d’esprimersi e l’arte gli offre questa possibilità.
Quali sono state le correnti artistiche e gli artisti che ti hanno influenzato? All’Accademia con Antonio d’Avossa, mio professore del corso di Storia dell’Arte, ho trattato per un anno intero Marcel Duchamp, un vero apripista nell’intendere un nuovo modo di fare arte, e per tutto l’anno successivo Joseph Beuys, l’unico artista capace di dare vita a un partito politico, quello dei Verdi, grazie alla sua visionaria e anticipatrice sensibilità ecologica. A questi aggiungerei Andy Warhol perché anche lui ha dato una forte chiave di svolta nella storia dell’arte producendo qualcosa che non a caso è stato definito come un movimento. La Pop Art ha dato vita a delle vere e proprie icone, pur proponendo qualcosa di comune, di diffuso: la portata delle sue opere è di una forza critica impressionante verso la società seriale. Poi Nam Jun Paik e Bill Viola. WHITE FLAGS, 2005, performance, abito disegnato da Jaana Parkkila, 10 bandiere bianche alle dita, bandierine bianche, ed.di 1000, 51° Biennale di Venezia - Esposizione Internazionale d'Arte, Venezia In basso WAR GAME, UNCLE SAM (made in china), 2007, ky dancer, tessuto, ventole, 8x4x1 m Kunst Merano Arte, Collezione privata BZ
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HORIZON IV, 2004, video mini DV, 60 sec.
Le mie opere devono sempre esprimere un contenuto, un concetto, innescare riflessioni nell’osservatore. Prima di tutto penso a cosa voglio affrontare urgenze e contraddizioni dell’oggi, poi queste prendono forma.
Perché hai iniziato a interessarti all’arte pubblica? L’arte pubblica amplifica l’opportunità di comunicare. I luoghi pubblici sono quelli a cui ambisco maggiormente perché non sono nel chiuso di un museo o di una galleria, ma sotto gli occhi di tutti, chiunque può entrare in contatto con la tua opera. Questo rapporto aperto con l’osservatore non è semplice, e va tenuto presente quando si crea un’opera di questo tipo. L’arte pubblica è molto potente, e molto stimolante.
Quali tecniche utilizzi abitualmente? Uso tutto quanto mi serve per affrontare le idee che voglio trasmettere. E’ importante lo spazio e il tempo. Uso svariate modalità e mezzi, anche immateriali come un raggio di luce o un blocco di ghiaccio che si fonde, o effimere come un’azione partecipativa e totalizzanti come un viaggio, quale ad esempio è stato il progetto “The Body of Energy”. Infine fisso tutto in opere fotografiche, opere video, installazioni, light
Le tue opere rientrano in quella che si definisce “arte concettuale”?
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box... Quindi offro prima di tutto sensazioni, ma anche opere in senso tradizionale.
Qual è il tuo rapporto con le tecnologie? Gli artisti hanno sempre utilizzato tutti i mezzi a disposizione, sperimentandone di nuovi. Ora siamo nell’era della tecnologia e trovo giusto che gli artisti se ne servano. Io lo faccio, ho sempre avuto grande dimestichezza con la tecnologia. Dopo i primi computer con 64 K di memoria negli anni Ottanta, nel 1993 ho avuto il mio primo Macintosh Apple… Ricordo sempre con piacere “Generazione Media”, la mostra a cui ho partecipato alla Triennale di Milano nel ’97 con un’opera video. C’erano, tra gli altri, anche Loris Cecchini, Marcello Maloberti, Massimo Bartolini, e tra i curatori Paolo Rosa di Studio Azzurro. Si respirava qualcosa di speciale nell’aria, un mutamento in atto,
reale, perché la tecnologia stava diventando accessibile. E noi, noi del ’69, abbiamo vissuto proprio in prima persona lo svilupparsi delle tecnologie attuali. Fin dai primi computer e dalle prime videocamere VHS, di qualità davvero ridicola rispetto ad ora, ma che permettevano già di girare filmati a casa, di catturare la realtà, di trasformarla, senza dover accedere a mezzi inavvicinabili. Certamente quello è stato un momento particolare, di cambiamento.
Realizzi anche quadri e sculture più tradizionali? Le mie sculture sono soprattutto monumentali: “Tridentum”, una scultura di 16 tonnellate di acciaio all’ingresso sud della città di Trento, e
THE END OF THE BORDER (of the mind), 2013 progetto transnazionale, furgone, scritte adesive, generatore, faro da 7000 W, Diga del Vajont
NOVUS ATLAS, 2012, installazione permanente, acciaio inox, luci LED, 300x900x40 cm, mappa antica di Martino Martini, 50x70 cm, Istituto Martini Mezzolombardo
Sei interessato a un “messaggio” nell’opera? Assolutamente sì: a me piace agire attraverso l’arte perché è una valida valvola di ribellione non violenta, che ti permette di evidenziare le asimmetrie della società. I miei messaggi attraversano la politica, l’ecologia.
“Novus Atlas”, una scultura di quasi dieci metri in acciaio inox e luci al LED realizzata per la sede dell’Istituto Martino Martini di Mezzolombardo. Invece, non ho più dipinto dopo l’Accademia, fino ad ora, ma non fisso limiti…
Come si motiva artisticamente il tuo continuo viaggiare? Ritieni di rappresentare nelle tue opere concetti o emozioni?
Credo che questa mia attitudine al viaggio nasca dal fatto che da ragazzino, dai 5 ai 15 anni, ho vissuto in Svizzera, a Berna, con la mia famiglia. Quindi finita l’Accademia ho vinto una borsa di studio di post-dottorato del Governo canadese e sono stato sei mesi a Toronto per svolgere una ricerca in video arte alla Ryerson
Chi osserva un’opera deve essere colpito, deve sentire muoversi qualcosa dentro. Questo effetto può essere provocato dai contenuti o dall’estetica, ma le due componenti non possono essere slegate tra loro nella mia opera. 12
University: ora è usuale specializzarsi all’estero, ma nel ’98 era stata una scelta per me molto importante. In un’epoca in cui si naviga digitalmente, il mio viaggiare anche fisico assume ancora maggiore valore ed è entrato a far parte del metodo creativo di numerosi progetti artistici, tanto da renderlo un tratto distintivo della mia ricerca. Prima ci sono state Toronto, New York e Miami, quindi Tokyo nei primi anni Duemila e la serie di diari per immagini che caricavo quotidianamente online su siti dedicati, quando ancora non esistevano i social network e la sovra-esposizione dei selfie. Poi nel 2006 c’è stato il primo progetto transnazionale, “Bird Flu Vogelgrippe”, partito da Trento per arrivare alla 4° Biennale di Berlino, seguito da “Power Station” che per la 1° Biennale di Singapore ha attraversato i diversi quartieri dell’isola. Nel 2013 il raggio di luce di “The End of the Border” ha “superato” e sovrastato la Diga del Vajont, alla presenza dei media nazionali, ed è stato portato fino ai confini artici tra Norvegia e Russia, passando per Oslo e per sei stati europei. L’ultimo progetto itinerante si è spinto fino
a Gibilterra ed è durato sei mesi, incentrato sul tema dell’energia.
Nel corso della tua carriera, hai conosciuto molti artisti nazionali e internazionali? Beh, sono vent’anni che frequento artisti ed è impossibile elencarli tutti, sono veramente troppi… Vediamo un po’ … posso ricordare Michael Snow e Bruce Elder incontrati a Toronto, Katerina Sieverding e Christian Jankowski in Germania, Marina Abramovic, Maurizio Cattelan, Tobias Rehberger, Santiago Sierra fino a Rudy Stingel e Urs Fischer a New York, quindi Lars Ramberg in Norvegia, Wim Delvoye, Kendell Geers e Jota Castro in Belgio, a Londra Josef Kosuth… Ad esempio quando io ho partecipato alla Biennale di Venezia nel 2013 nel Padiglione Nazionale delle Maldive eravamo 17 artisti interna-
FLU GAME, 2008, installazione, scarti di polimeri industriali, scritta adesiva, dimensioni ambientali Courtesy Mart
zionali (Egitto, US, UK, Cipro, Libano, Svizzera, Austria, Grecia, Maldive, Danimarca, Germania, Italia) invitati a riflettere sui temi del cambiamento climatico: interessantissimo!
Alla luce delle tue esperienze negli altri paesi, come ti sembra il panorama degli artisti italiani? Grandissime le potenzialità, ma il sistema italiano nel complesso non riesce a sostenere con coerenza l’arte nazionale e manca una vera e propria politica a riguardo. In alto: FIGHT OR FLIGHT, 2011, stampa su PVC 150x150 cm, Collezione L’Ozio, Amsterdam
EVOKE PROVOKE (THE BORDER), 2011, installazione site specific, 16 bandiere, parole in norvegese, sami e russo, N. 6: 200x300 cm, N. 10: 120x180 cm Kirkenes, Norvegia - Pikene på Broen
E degli artisti trentini rispetto al panorama italiano? Se penso a un artista trentino, penso sempre a Fortunato Depero e alla sua capacità di es-
TRIDENTUM, 2011, installazione permanente d’arte pubblica, acciaio, 16 ton, 4.00x16.00x10.00 m A22, Trento-sud, Trento
sere parte del sentire del suo tempo, di essere protagonista del panorama nazionale e oltre, con una ricerca stupefacente, senza limitazioni nell’uso di molteplici media e della grafica, tanto da farlo finire sulle copertine a New York. Non molti altri trentini sono stati all’altezza del loro tempo. A lui ho dedicato la mia tesi a Brera nel ’93. Parlando dell’oggi, proprio attraverso la globalizzazione, il centro si svuota di valore, non è strettamente necessario, e anche operare al meglio nei margini, ai confini, può certamente essere una nuova opportunità…
Viaggio molto, ma torno sempre in Trentino, che dichiaro sempre essere la mia base. Mi reputo fortunato perché questo territorio è privilegiato nell’ambito artistico per la straordinaria concentrazione di musei e istituzioni, come Mart, Museion, Kunst Merano Arte, Arge Kunst… Mi piace definire i musei come “fabbriche di energia culturale” e sono sicuro che provenire dal Trentino abbia favorito la mia carriera, anche se non vuol dire che il successo qui piova dal cielo. Oggi c’è un numero altissimo di soggetti coinvolti nel sistema dell’arte, mentre sono veramente pochi quelli che riescono a fare qualcosa di signiificativo. In questa realtà contemporanea altamente mediatica in cui viviamo, siamo con-
Segui la “politica culturale” trentina? Pensi che si possa fare di più per il settore artistico?
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tinuamente bombardati da informazioni provenienti da ogni angolo del pianeta, l’importante è trovare un modo personale per raggiungere gli altri, per colpire nel cuore seguendo il proprio istinto, ma l’assurdo rischio di questo mondo pieno zeppo di comunicazione è proprio non avere niente da dire.
Cos’è la bellezza? E’ un valore che ricerchi o è subordinato ad altri valori?
In alto: GUINEA PIG. R.I.P., 2008, spille, diam.2 cm, 10 combinazioni di parole, edizione di 1000
Sono un amante del bello. Ma l’estetica serve per dare forma ai contenuti, che vengono prima di tutto.
Chi è, oggi, l’artista? Penso che l’artista dovrebbe assumere un ruolo ben definito all’interno della società, per poterla influenzare con la sua visione anticipatrice. La capacità sta proprio nel crearsi dei varchi, delle brecce attraverso cui entrare nella società e avere la forza di farsi sentire. La mia speranza è che l’arte smetta di essere un’entità tendenzialmente a circuito chiuso per divenire qualcosa di veramente rivoluzionario negli animi delle persone.
LIES, 2005,spazio stampa Lambda, silicone, perspex, dibond, 100x125 cm
E, per finire, cosa è per te l’arte?
In basso: RAT LIFE, 2008, cioccolato, mandorle, veleno per topi
L’arte è comunicare.
A destra: COMUNICARE SENZA COMUNICARE 2012, installazione site specific, banner, PVC, 14 m x 60 cm, Facoltà di Lettere e Filosofia, Trento
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Politics of Water presso Kumho Museum e Pohang Museum in Corea del Sud; Portable Nation alla Fondazione Pescheria-Centro Arti Visive, Pesaro; la 2. Xinjiang Biennale a Urumqi, China; Time Code a White Box art center, New York; Twenty for One alla 5. Biennale di Mosca; Alpenrepublik alla Kunstraum Innsbruck; Abschiedsausstellung: Jan Hoet al MARTa Herford; Eurasia al Mart – Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Rovereto; Zoo Logical all’Harry Malter Park di Ghent; Nuovo Spazio Italiano presso la Galleria Civica di Arte Contemporanea di Trento; Generazione Media alla Triennale di Milano. Cagol è stato artist in residence a Momentum, Berlin; a USF, Bergen, Norvegia; Drake Arts Center, Kokkola, Finlandia; VIR Viafarini-in-residence, Milano; BAR international, Kirkenes, Norvegia; International Studio and Curatorial Program (ISCP), New York; Leube Group Art Program, Gartenau; Künstlerhaus, Salisburgo; borsista presso l’ICP – International Center of Photography, New York. Ha realizzato letture, tra le altre, presso la Sala Napoleonica dell’Accademia di Brera a Milano per Internature e alla Goldsmiths University per Critical ways of seeing. Ha vinto la menzione speciale al Premio Francesco Fabbri (2013), il premio Targetti Art Light (2008), il premio Murri Public Art (2008). È stato shortlisted per Art & Ecology International Artists Residency di RSA – Royal Society for Arts, Londra, e MapXXL mobility program di Pépinières Européennes pour Jeunes Artistes di Parigi. Ha vinto gare per la realizzazione di opere permanenti d’arte pubblica con Novus Atlas al Polo Martino Martini di Mezzolombardo su commissione dalla Provincia autonoma di Trento e con Tridentum alla porta di Trento Sud su commissione della A22 Autostrada del Brennero. Hanno parlato della sua partecipazione al Padiglione Nazionale delle Maldive della 55. Biennale di Venezia, tra gli altri: The New York Times, BBC, Huffington Post, Rai, Kunst Bulletin (dedicando l’editoriale e la copertina). Le seguenti riviste, tra le altre, gli hanno dedicato approfondimenti: Contemporary, Londra; Eine, Vienna; Flash Art, Milano; Monopol, Berlino. I seguenti editori hanno pubblicato le sue monografie: Skira, Charta, Revolver Publishing. Le sue opere fanno parte delle seguenti collezioni pubbliche, tra le altre: Apt Global, Museo MA*GA di Gallarate, Museion - Museo di Arte Moderna
photo by © san gu (smach 2015)
STEFANO CAGOL E’ nato a Trento. Ha studiato a Berna, all’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano, alla Ryerson University di Toronto con un progetto post-dottorato attraverso una borsa di studio del governo canadese. Cagol è artista vincitore del premio VISIT della fondazione germanica RWE (2014), partecipante al Padiglione Nazionale delle Maldive alla 55. Biennale di Venezia (2013), vincitore del Premio Terna 02 per l’arte (2009). Tra 2014 e 2015 ha presentato il suo progetto The Body of Energy (of the Mind) alla Bergen Kunsthall in Norvegia, al Museo MAGA di Gallarate, al Folkwang Museum di Essen in Germania, al Museo Madre di Napoli, al Museo Maxxi a Roma, al Museion a Bolzano, alla Kunst Halle Sankt Gallen in Svizzera e allo ZKM di Karlsruhe. Mostre e progetti personali sono stati realizzati a CLB-Collaboratorium a Berlino; alla Barents Art Triennale 2013; ZKM, Karlsruhe; Laznia Centre for Contemporary Art, Danzica; Museion, Bolzano; Westergasfabriek Cultuur Park, Amsterdam; Kunstraum Innsbruck; alla chiesa di San Gallo come evento collaterale della 54. Biennale di Venezia; Manifesta 7 (evento parallelo); NADiff, Tokyo; 4. Biennale di Berlino (progetto speciale); 1. Biennale di Singapore (evento satellite); Platform, Londra; Mart – Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto. Le mostre collettive includono Waterscapes: The
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e Contemporanea di Bolzano, ZKM di Karlsruhe, Mart - Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto, White Box di New York, Nomas Foundation, UniCredit Group, Terna. Mostre collettive: oltre duecento mostre collettive e progetti personali in Italia, Europa, Stati Uniti, Asia Mostre personali 2015 The Body of Energy (of the mind), CLB Berlin Collaboratorium, Berlin, Germany 2014 The Body of Energy (of the mind), project room, Museo MA*GA, Gallarate, Italy 2012 Sensor: Stefano Cagol, ZKM | Museum of Contemporary Art, Karlsruhe, Germany Fight or Flight, L’Ozio, Amsterdam, the Nether lands 2011 CONCILIO, Collateral Event at 54th Internatio nal Art Exhibition - la Biennale di Venezia, Chiesa di San Gallo, Venice, Italy Stockholm Syndrome (always with you), Priska C. Juschka Fine Art, New York City, USA 2010 Salon: Stefano Cagol, International Studio & Curatorial Program (ISCP), New York, USA Undergo Alarms, Studio d’Arte Raffaelli, Trento, Italy 2008 Guinea Pig, Priska C. Juschka Fine Art, New York City, USA 2007 The Flu ID, NADiff – New Art Diffusion, Tokyo, Japan 2005 Babylon Zoo, Oredaria Arti Contemporanee, Rome, Italy Atomicwerk, Forte Strino, Vermiglio, Italy Lies, Platform, London, UK 2004 Irrational Exuberance, project room: video windows, Stefan Stux Gallery, New York, USA 2000 Contemporanea: Stefano Cagol, MART – Museum of Modern and Contemporary Art, Trento, Italy Spider & Empire, Galleria Estro, Padova, Italy 1999 The Cat’s Moon, Studio d’Arte Raffaelli, Trento, Italy 1998 Entropia, Ryerson Gallery, Toronto, Canada 1996 Disintegrazione, Galerie der Berchtold Villa, Salzburg, Austria Fattore Artificiale – Dirbtinis Faktorius, Arka Galerija, Vilnius, Lithuania 1995 Sex-Net-Mort Nuclèaire, Künstlerhaus, Salzburg, Austria. www.stefanocagol.com
Tutti i numeri 2012-2013-2014-2015 della rivista FIDAart sono scaricabili da: www.fida-trento.com/books.html Tutti i numeri 2012-2013-2014-2015 della rivista FIDAart sono sfogliabili su: http://issuu.com/tomio2013
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copertina del N.2 20165 Periodico di arte e cultura della FIDAart Curatore e responsabile Paolo Tomio
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MERCATO DELL’ARTE ? coniugare le sue complesse invenzioni metodologiche e concettuali anche con una innovativa sensibilità per la componente estetica. Figlio di un notaio (conte e abbiente) e di una violinista, poi diventata ricamatrice, Alighiero Boetti nasce a Torino nel 1940 e muore di tumore a soli 54 anni. Sin dall’adolescenza sviluppa numerosi interessi, dalla matematica alla musica, dalla filosofia all’esoterismo, dalle culture del Medio ed Estremo Oriente a quelle africane. Abbandonati gli studi alla Facoltà di Economia e Commercio, al principio degli anni ’60 realizza da autodidatta i suoi primi dipinti e disegni astratti; dopo un lungo soggiorno a Parigi, tornato a Torino, nel 1967 esordisce con la sua prima mostra personale presso la galleria Stein. Nello stesso anno partecipa all'esposizione "Arte Povera" curata da Germano Celant, il nuovo movimento artistico a cui aderisce presenziando alle più significative esposizioni. Dopo due anni di 'sperimentazione' con materiali "poveri", nel 1969 si allontana dal gruppo per seguire altre strade più legate ai suoi interessi. Poi dirà: «Sono andato da un fornitore di materiali da costruzione. E' stato emozionante vedere le cose meravigliose che erano lì! Vedere tutti quei materiali mi ha riempito di entusiasmo folle, alla fine si è rivelato nauseante!» Nel frattempo viaggia da Est a Ovest soggiornando soprattutto in Afghanistan dove si reca più volte l'anno fino al 1979 quando il paese sarà invaso dall’esercito sovietico. A Kabul nasce il primo arazzo con ricamati il centenario della sua nascita e la data presunta della morte Seguiranno centinaia di arazzi realizzati su suo disegno da abili (ed economiche) artigiane locali, i più famosi sono di formati vari suddivisi in griglie in cui lettere accostate compongono frasi e giochi di parole in varie lingue (vedi a
ALIGHIERO BOETTI (1940-1994), Colonna, 1968 centrini di carta e ferro, 211x36x24 cm, Christie’s Londra 2014, venduto a $ 3.880.000 (euro 3.058.000). Su uno dei centrini di carta l'artista ha scritto: «Uno dei mille e mille fogli che compongono la colonna realizzata a Torino nel sessantotto, fuori e in silenzio dalla furiosa contestazione. Alighiero e Boetti». E' stato uno degli artisti d'avanguardia italiani più interessanti e cosmopoliti, ignorato per un lungo periodo e finalmente riscoperto nelle aste internazionali dove sta registrando una crescita vertiginosa dei suoi prezzi. Certamente perché è riuscito a
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ALIGHIERO BOETTI lato e a pag. 31) e le "Mappe", planisferi del mondo nelle quali ogni nazione è tessuta con i colori della propria bandiera (vedi a pag.29). Negli anni successivi prosegue con la sua ricerca ispirata all'ideale di un'incondizionata libertà d'espressione e contrassegnata dallo sperimentalismo sui temi di ordine e disordine, serialità, ripetitività e sui concetti del doppio e dell'identità giungendo a firmare con il suo nome sdoppiato in "Alighiero e Boetti". Sono i tempi della serie dei "Viaggi postali", dei lavori a biro, dei video, delle scacchiere in legno e lamiera, dei disegni e dei collage, e molti altri ancora. Tutte le sue opere sono sempre precedute da uno studio progettuale che con il tempo diventa metaprogettuale perché l’artista non si preoccupa più dell'oggetto artistico ma di inventare 'sistemi' che poi "sceglieranno" per lui. Anzi, privilegiando sempre più l'aspetto concettuale dell'atto artistico, perviene a un progressivo distacco della fase creativa da quella dell'esecuzione materiale, delegata, in parte o in toto, a suoi collaboratori. Molti arazzi, ad esempio, contengono scritte in lingua farsi liberamente scelte dalle ricamatrici. Proprio quest'ultimo aspetto è oggi particolarmente attuale nel suo aver messo in discussione il ruolo tradizionale dell’artista e lo stesso concetto di paternità dell'opera d'arte. «Prima di tutto preferisco pensare. Questa è la cosa fondamentale. Credo davvero che la manualità sia secondaria». Sicuramente, le opere di Boetti si distinguono da quelle più "basiche" degli altri artisti poveristi e concettuali poiché sono caratterizzate da un raffinato canone classico geometrico-architettonico e nascondono nella loro struttura una componente ludica, ironica o enigmatica, quasi iniziatica, che intriga l'osservatore spinto a comprenderne i sofisticati meccanismi interni.
ALIGHIERO BOETTI, EMME I ELLE ELLE E ... , 1970 vernice a spruzzo su legno, 35x35 cm
ALIGHIERO BOETTI, SCIOGLIERSI COME NEVE AL SOLE, 2010, arazzo su pannello di tela, 23x21,5 cm
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ALL MY LIFE “All My Life”. Tutta la mia vita, minuto per minuto. Questo deve essere stato il pensiero comparso allo studente giapponese, aspirante artista multimediale, Akira Ogawa il quale, due anni fa ha dato inizio a un ambiziosissimo progetto che, nelle sue intenzioni, dovrebbe durare tutta la vita. L’idea gli è nata dopo aver visto i lavori dell’artista concettuale suo connazionale, On Kawara: è stata una folgorazione che gli ha aperto un mondo nuovo in cui la sua visione dell'arte e le sue competenze professionali potevano essere finalizzate a un’opera grandiosa quanto, e forse più, quella portata avanti da colui il quale Akira aveva elevato al rango di suo Maestro. Il 'Maestro' On Kawara, a partire dal 1966, aveva cominciato a dipingere quotidianamente dei piccoli quadri praticamente quasi uguali definiti "Today Series", sui quali dipingeva solo la data del giorno corrente (es.: “MAR.23.1974”, “MAR.24.1974” ecc.), scritta in bianco su un fondo di colore monocromo. Nel corso degli anni il numero di questi “Date paintings” è arrivato a tremila e oggi rappresentano la sua biografia oggettivata in un sistema temporale. Qualcuno potrà pensare che sia stata un’operazione un po' maniacale e ripetitiva ma, intanto, il suo dipinto “1.MAY.1987”, di 20x30 cm, è stato battuto da Christie nel 2014 per 4,2 milioni di dollari! Il giovane Ogawa, rimasto affascinato dall’esperimento che pazientemente Kawara aveva ripetuto giorno dopo giorno fino alla sua morte avvenuta nel 2014, ha deciso di seguire le orme del Maestro utilizzando però per immortalare la propria vita una tecnica che gli era più congeniale: l'apparecchio fotografico digitale. Ogawa si era convinto, infatti, di non voler rappresentare lo scorrere del tempo con il linguaggio astratto di un dipinto minimalista che riportasse solo la data, ma piuttosto di documentare oggettivamente con immagini tutti i minuti della sua intera esistenza “vista" attraverso i propri occhi. Una ripresa perpetua della realtà che costituisse l'archivio della sua esperienza terrena. Un esperimento mai tentato prima, sia perché nessuno ci aveva ancora pensato, sia perché la tecnologia non aveva permesso fino ad allora, almeno ad un singolo privato, di risolvere i notevoli problemi connessi alla miniaturizzazione, alla qualità e quantità delle immagini e all’archiviazione di milioni di file ad alta definizione. La rivoluzione è stata resa possibile dalla tecnologia degli occhiali digitali che incorporano un apparecchio fotografico digitale miniaturizzato che scatta un fotogramma ad alta definizione raccogliendo un'im22
AKIRA OGAWA magine unica e irripetibile che racconta tutti i momenti dell'arco quotidiano, anche se assolutamente banali. L'obbiettivo studiato con un angolo ottico analogo a quello dell’occhio umano, è dotato di autofocus sul soggetto inquadrato ma anche di una profondità di campo che simuli perfettamente il tipo di visione dell’osservatore restituendo lo stesso tipo di percezione di chi indossa gli occhiali. Poiché il momento dello scatto è imprevedibile e non programmabile, la qualità delle immagini è casuale, scentrata o poco dettagliata nonostante l’autofocus, oppure una serie di immagini mosse o, viceversa, sempre uguali a sè stesse quando avvenute durante attività statiche a casa o in studio. Alcune cifre: l’apparecchio si attiva solo in presenza di luce e quando è indossato, inizia a scattare automaticamente una foto a colori ogni minuto, vale a dire 60 scatti l’ora; Nel frattempo, Akira ha cominciato a fotografare da due anni le sue giornate, speriamo abbastanza accattivanti. Le immagini giornaliere così realizzate arrivano ad almeno un migliaio mentre ogni anno vanno dalle 500 alle 600mila con un impegno totale di memoria pari a 1.500-2.100 GB. Il valore connesso a questo progetto è tutto da interpretare: potrebbe essere un'idea semplicemente demenziale oppure diventare in futuro oggetto di culto da parte di chi voglia indagare l’altrui vita a fini ludici, scientifici o artistici, magari divenendo fonte di ispirazione per altre nuove attività creative. L'artista arriva a ipotizzare che, in un domani non troppo lontano, tutti indosseranno un dispositivo elettronico che documenterà in tempo reale tutta la loro vita in un archivio virtuale parallelo. Se poi ci sarà qualcuno disposto a perdere il proprio tempo per consultare miliardi di immagini è presto per dirlo; certo che, poter controllare in futuro la vera storia di certi personaggi che hanno cambiato, in bene o in peggio, la storia dell’umanità, potrebbe essere interessante per studiosi e curiosi. L’artista ha presentato alla stampa specializzata una selezione casuale di immagini riprese nel corso di una sua giornata tipo, tra i milioni di file ormai accumulati e archiviati nel cloud (vedi immagini). Nulla di inaspettato o eclatante ma, sicuramente, meno noiose e ripetitive dei "Date paintings" di On Kawara. Chissà che il giovane Akira Ogawa, del tutto inconsapevolmente, non abbia aperto una nuova strada che potrebbe trasformare radicalmente il rapporto di ognuno di noi con il tempo facendoci perdere il concetto di passato, presente e futuro. 23
CARA, VECCHIA MOKA Il Bialetti, il quale, evidentemente, era una testa fina, sembra che abbia ricavato la sua ispirazione osservando la moglie fare il bucato con la 'lisciveuse' (da liscivia, un detersivo a base di cenere), una sorta di caldaia in cui si mettevano i panni, l’acqua e il detersivo, chiusi con un coperchio dotato di uno stretto tubo verticale; giunta ad ebollizione il vapore risaliva lungo il tubo, in cima si condensava e, riscendendo, si spargeva sui panni. Si tratta del principio fisico adottato nella Moka: l'acqua riscaldata provoca un aumento della pressione interna che costringe l'acqua calda a risalire nell'imbuto-filtro, ad attraversare la massa del caffè e arrivare lungo il camino verticale nel bricco. La rivoluzionaria Moka che, in maniera semplice ed economica, permetteva di ottenere “in casa un espresso come al bar”, come recitava lo slogan Bialetti, è uno dei simboli più riconosciuti ed esportati del Made in Italy (gli altri sono
Ci sono degli oggetti che fanno talmente parte della nostra vita che, pur usandoli quotidianamente, non ne abbiamo mai osservato bene la forma e, spesso, non conosciamo nemmeno come funzionino, ma sappiamo come si montano e smontano anche senza guardarli. Il che significa che sono oggetti funzionali perfetti. Tra questi, Il manufatto italiano con il nome della città yemenita di Mokha (patria di un pregiato caffè), più diffuso al mondo, 105 milioni di esemplari: la cara, vecchia e indistruttibile Moka. La cosiddetta “macchinetta” del caffè, la caffettiera di forma ottagonale inventata nel 1933 - ben 82 anni fa - dall’ingegnoso operaio fonditore Alfonso Bialetti e a lungo realizzata nel suo laboratorio di semilavorati in alluminio a Omegna, in Piemonte. Prima di allora, in casa, il caffè si faceva con la 'napoletana', la tradizionale caffettiera in cui l'acqua bollente scendeva per gravità passando attraverso il caffè macinato posto nel filtro. 24
STORIA DELL’ARTE la Fiat 500, la Vespa e la Nutella) e oggi diversi pezzi sono esposti presso la Triennale di Milano e al Museo Arte Moderna di New York. Il caffè, però, è sempre stata la bevanda preferita degli italiani fin dagli anni del fascismo quando per la propaganda rappresentava il fervore attivo nazionalista e rimandava a terre esotiche da conquistare. Inoltre, l'Italia poteva contare su un’abbondante produzione di alluminio, materiale nazionale elogiato dal fratello di Mussolini, Arnaldo, il quale vagheggiava un'improbabile autarchia economico-industriale: «il 20esimo sarà il secolo dei metalli leggeri, dell’elettricità e del petrolio». Anche se qualcuno definisce la forma della Moka "Art déco" (detto anche Stile 1925), seppur ideata nel '33, è improbabile che il Bialetti, emigrato in Francia giovanissimo, ma ritornato in Piemonte nel 1918, fosse stato influenzato da un'estetica così raffinata. La Moka, invece, è un esempio di ottimo design poiché la sua forma molto particolare discende dalle funzioni a cui deve assolvere, cioè di caldaia a pressione che deve convogliare l'acqua verso l'alto. Anche l'idea della caffettiera a pianta ottagonale nasce per aumentare la presa in caso di superficie bagnata. Infatti, poco è stato modificato nell’aspetto o nel funzionamento dal modello originale del ’33 nel corso
degli anni (vedi il progetto storico a pag. 24) Inizialmente, infatti, la Moka era realizzata artigianalmente e le vendite non superavano le 70.000 unità l’anno, ma a partire dagli anni ’50, con la conduzione dell’azienda del figlio di Alfonso, Renato, grazie all’uso massiccio di campagne pubblicitarie intensive, la Bialetti arriva a produrre 28.000 pezzi al giorno arrivando a vendere in totale oltre 105 milioni di pezzi. I fortunati cartoni storici della Bialetti a Carosello erano caratterizzati da un simpatico personaggio creato da Paul Campani, l'omino coi baffi, caricatura dello stesso Bialetti, utilizzato ancora oggi nel marchio e sui prodotti. A causa della crisi per la crescente concorrenza dei produttori però, la Bialetti comincia a perdere spazi di mercato, così nell'86 viene venduta alla Faema, nel '93 diventa della Rondine Italia e nel 2010 viene chiuso lo storico stabilimento di Omegna per spostarlo a Ploiești in Romania. L' anno scorso sono usciti i nuovi modelli (vedi in basso), uguali nella forma alla Moka classica ma sottoposti a un vivacissimo redesign cromatico, per tentare di contrastare l’espansione delle caffettiere elettriche più richieste dai consumatori che, forse, decreteranno la fine di un oggetto popolare, economico, e bello perché intelligente..
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Febbraio 2016, Anno 5 - N.2
News dal mondo ALIGHIERO BOETTI
Colonna, 1968
pag. 28
ALIGHIERO BOETTI
Mappa, 1989
pag. 29
ALIGHIERO BOETTI
Rosso Gilera-Rosso Guzzi, 1967-1972
pag. 30
ALIGHIERO BOETTI
Addizione, 1974
pag. 31
Omaggioadalighieroboettinovegennaioduemilasedici, 2016
pag. 32
Omaggio a ALIGHIERO BOETTI
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ALIGHIERO BOETTI, Colonna, 1968, centrini di carta e
acciaio, 210x36x24 cm, Christie’s New York 2014 venduto a $ 3.916.380 (€ 3.058.000)
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ALIGHIERO BOETTI, Mappa, 1989, tappeto ricamato 29
116x217 cm, Christie’s Londra 2010, venduto a $ 2.739.790 (€ 2.239.600)
ALIGHIERO BOETTI, Rosso Gilera 60 1232 - Rosso Guzzi 60
1305, 1967-72, vernice industriale su metallo, 70x70 cm Christie’s Londra 2014 venduto a $ 2.806.000 (€ 2.059.000))
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ALIGHIERO BOETTI, Addizione, 1974, arazzo a ricamo 31
138x149 cm, Christie’s Londra 2014 venduto a $ 2.806.680 (€ 2.059.500)
PAOLO TOMIO, “OMAGGIOADALIGHIEROBOETTINOVE GENNAIODUEMILASEDICI”, 2016, arazzo, 89x63 cm