FIDAart N.11 2015 Flavio Marzadro

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PERIODICO della FIDAart N.11 - Novembre ANNO 2015

FIDAart


In copertina: Flavio Marzadro, Mude mercante II, 2011, tecnica mista su tela, 100x100 cm


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FIDAart sommario

Novembre 2015, Anno 4 - N.11

Editoriale

La s-vendita dell’arte

pag. 4

Politiche culturali

Musei d’Italia, l’Italia s’è desta!

pag. 5

Intervista ad un artista

Flavio Marzadro

Mercato dell’arte?

Gustav Klimt

pag. 20-21

Arte dronica

Droni, che spasso!

pag. 22-23

Arte dell’animazione

Walt Disney - parte 1

pag. 24-25

pag. 6-19

News dal mondo GUSTAV KLIMT

Ritratto di Adele Bloch-Bauer I, 1907

pag. 28

GUSTAV KLIMT

Litzlberg Am Attersee, 1914-15

pag. 29

GUSTAV KLIMT

Chiesa a Cassone, 1913

pag. 30

GUSTAV KLIMT

Ritratto di Adele Bloch-Bauer II, 1912

pag. 31

La nascita di Venere, 2015

pag. 32

Omaggio a GUSTAV KLIMT

Copyright FIDAart Tutti i diritti sono riservati L’Editore rimane a disposizione degli eventuali detentori dei diritti delle immagini (o eventuali scambi tra fotografi) che non è riuscito a definire, nè a rintracciare


EDITORIALE facendo ricorso alla “monetizzazione di opere d’arte”, vale a dire mettendo all’asta il quadro di Klimt (assieme ad altri) con la risibile motivazione che l’artista non ha legami con la città. Il bellissimo quadro, un olio su tela del 1909 di 176x46 cm che chiude il periodo aureo di Klimt, è stimato sui 70-90 milioni di euro, ma si ipotizzano anche delle cifre molto superiori. Quello che potrebbe essere solo un ballon d’essai dell’Amministrazione per saggiare la reazione dell’opinione pubblica o una minaccia per ottenere dei finanziamenti da Roma, ha già sollevato un acceso dibattito. Sgarbi ha dichiarato che l’idea del sindaco è davvero interessante e molto logica: “Nessuno va a Venezia per vedere Klimt e, dovendo scegliere fra Venezia e Klimt, è meglio che muoia Klimt”. Daverio ha ribattuto che il sindaco è un analfabeta. Il ministro Franceschini ha negato ogni possibilità di procedere su questa strada. Finora, nessuna decisione è stata presa, ma le ragioni poste dal Comune sono serie: nonostante il flusso economico portato da 27milioni di turisti l’anno e la vendita di diversi palazzi storici, servono 100 milioni altrimenti non potranno essere forniti i servizi basilari. Il 68% dei veneziani è contrario all’idea del sindaco ma, posti di fronte a un aumento delle tasse, quanti opterebbero per salvare Klimt e quanti sé stessi? Come ci insegna la Grecia la quale, dopo gli “aiuti” della UE, si è dovuta s-vendere 14 aeroporti regionali ai tedeschi per far fronte ai debiti, visti i buchi di decine di miliardi nelle finanze comunali, l’idea della messa all’asta dell’opere d’arte per fare cassa, sarà presa in considerazione anche da altri. Quando un privato fallisce è costretto a vendersi i gioielli di famiglia e, questa fine, si sta prospettando per molte amministrazioni pubbliche.

LA S-VENDITA DELL’ARTE Questo, deve essere l’anno d’oro del pittore Gustav Klimt. Dopo i prezzi battuti alle recenti aste (vedi a pag.20), un altro suo capolavoro è salito agli onori della cronaca italiana dando la stura alle solite polemiche cultural-politiche. Si tratta della “Judith II” (Salomè), il suo celeberrimo dipinto esposto al museo Cà Pesaro di Venezia. Il nuovo sindaco della città ha pensato bene di risanare l’enorme buco nel bilancio del comune 4


POLITICHE CULTURALI MUSEI D’ITALIA, L’ITALIA S’E’ DESTA! A ferragosto, il ministro Franceschini per i Beni e le attività culturali, ha reso noti i nomi dei 20 nuovi direttori (di cui 7 stranieri) dei principali musei italiani. Le scelte non sono stata indolori perché hanno sconvolto una prassi consolidata che prevedeva sempre dei funzionari statali ai vertici di questi enti. L’attuale decisione caduta su esperti esterni, ha creato non poco malcontento tra gli esclusi, tutti in possesso dei requisiti di carriera e le competenze per accedere a quelle cariche. Galleria Borghese (Roma), Anna Coliva, 62 anni, storica dell’arte, Bologna; Gallerie degli Uffizi (Firenze), Eike Schmidt, 47 anni, storico dell’arte, tedesco; Galleria arte moderna (Roma), Cristiana Collu, 46 anni, storica dell’arte, Cagliari; Gallerie dell’Accademia (Venezia), Paola Marini, 63 anni, storica dell’arte, Verona; Museo di Capodimonte (Napoli), Sylvain Bellenger, 60 anni, storico dell’arte, francese; Pinacoteca di Brera (Milano), James Bradburne, 59 anni, museologo e manager, inglese; Reggia di Caserta, Mauro Felicori, 63 anni, manager culturale, Bologna; Galleria dell’Accademia (Firenze), Cecilie Hollberg, 48 anni, storica e manager, tedesca; Galleria Estense (Modena), Martina Bagnoli, 51 anni, storica dell’arte, Bolzano; Gallerie di arte antica (Roma), Flaminia Gennari Santori, 47 anni, storica dell’arte, Roma; Galleria delle Marche (Urbino), Peter Aufreiter, 40 anni, storico dell’arte, austriaco; Galleria dell’Umbria (Perugia), Marco Pierini, 49 anni, storico dell’arte, Siena; Museo del Bargello (Firenze), Paola D’Agostino, 43 anni, storica dell’arte, Napoli; Museo archeologico (Napoli), Paolo Giulierini, 46 anni, archeologo, Cortona (Arezzo); Museo archeologico (Reggio Calabria), Carmelo Mala-

crino, 44 anni, archeologo, Catanzaro; Museo archeologico (Taranto), Eva Degl’Innocenti, 39 anni, archeologa, Pistoia; Parco archeologico (Paestum), Gabriel Zuchtriegel, 34 anni, archeologo, tedesco; Palazzo ducale (Mantova), Peter Assmann, 61 anni, storico dell’arte, austriaco; Palazzo reale (Genova), Serena Bertolucci, 48 anni, storica dell’arte, Camogli (Genova); Polo Reale (Torino), Enrica Pagella, 58 anni, storica dell’arte di Ivrea. Cinque i direttori di lingua tedesca, uno francese e uno inglese; dieci gli uomini e dieci le donne; molti i giovani (età media 50 anni). Evidentemente, Franceschini ha voluto mandare un segnale di svecchiamento in un settore fondamentale per l’economia nazionale e per l’immagine dell’Italia. D’altronde, che qualcosa non funzioni nella gestione dei nostri musei appare evidente confrontando i numeri dei visitatori con quelli di altre strutture straniere. E’ troppo presto per capire se l’aver puntato su risorse provenienti da realtà estere e dal settore privato, riuscirà a riqualificare enti condizionati da una mentalità burocratica e gestiti da funzionari in gran parte privi delle capacità manageriali necessarie per operare sul mercato globale. Come dire, stiamo a vedere. 5



Intervista a FLAVIO MARZADRO Flavio Marzadro è uno dei (pochi) rappresentanti in Trentino della cosiddetta “arte pubblica”, un termine recente ma molto ampio che comprende le attività più diverse. Nel corso dell’intervista si definisce “artivista”, la fusione tra artista e attivista, chiarendo bene quale sia il suo punto vista: non si ha arte pubblica se non si opera sul pubblico, con il pubblico, per il pubblico. Flavio, proprio per la sua formazione culturale, studi di sociologia, urbanistica, architettura e arte, ha progressivamente elaborato nel corso delle sue esperienze in giro per il mondo una propria visione personale e socialmente impegnata sul ruolo dell’artista e sulla funzione dell’arte. Il suo approccio a quella che si definisce creatività è anzitutto concettuale perché è prioritaria in lui la volontà di “fondare” l’atto artistico su un pensiero forte e un coinvolgimento fisico con il territorio e con il contesto sociale, antropologico e, non ultimo, politico. Per queste ragioni, nelle sue opere e performance, esiste sempre un’analisi a monte, a cui segue l’azione singola o collettiva finalizzata, soprattutto, a un messaggio: “Come artista-sociologo, la mia arte è messaggio”. Particolarmente interessante e piacevole il ciclo dei “decalchi”, impronte di vere pavimentazioni storiche (ottenute avventurosamente nottetempo), originati non tanto dalla bellezza innegabile del supporto, quanto dall’attribuzione alla realtà concreta della lastricatura del significato di “opera d’arte pubblica” creata dalla comunità stessa. L’accento è messo più sull’aggettivo “pubblico” che sul sostantivo “arte”, che si dà per scontata; da qui, l’ottimistica convinzione di Marzadro: “L’artista è oggi chiunque creda di esserlo e si metta a farlo”. Va comunque preso atto che, al di là della bontà delle sue idee socio-politiche, in tutte le opere di Flavio si riconosce sempre quell’attenzione e sensibilità verso la qualità estetica che, nonostante tutto, rimane indispensabile nell’arte. Paolo Tomio A sinistra: Hug me, 2015, scultura viva- pianta, oro, composto trasparente liquido, vetro, 55x14x14 cm

In basso: Liberté de la quotidienne, 2012-2015 tecnica mista su tela, 110x210 cm


Quando hai cominciato a interessarti all’arte?

L’interesse per l’arte pubblica inizia nel 2009 in Brasile a Salvador di Bahia, chiamata anche la Roma Nera. Mi interessava scoprire cosa pensavano le persone povere e spesso afro discendenti quando vedevano una statua di un politico bianco. Desideravo scoprire il pensiero non ufficiale ed ho intervistato circa 400 persone che lavoravano da almeno un anno di fronte ad una statua pubblica. Chiedevo loro se avevano già notato quell’oggetto e cosa significava per loro, tra i casi più rimarchevoli fu quando un gruppo di commesse che da un anno e mezzo pranzavano in quella piazza modernista, dichiararono di non aver mai notato che vi fosse una statua. In un altro posto dello stesso quartiere, alcune intervistate ritenevano che la statua in bronzo di un importante nobile dovesse essere tolta per far posto ad una fontana e liberare quel luogo dalla cattiva energia di quel personaggio che commerciava in schiavi. La cosa diventava interessante e ho dunque continuato intervistando un centinaio di persone per sapere se avevano notato i graffiti o le scritte che erano di fronte al loro posto di lavoro, se gli piacevano, se ne conoscevano il significato e se concordavano con chi li aveva fatti. In particolare quando composti da cartelli contro la corruzione politica, allora tutti li avevano letti e concordavano. A quel punto ho deciso di realizzare alcune installazioni con performance in spazi pubblici periferici invitando anche altri artisti e promuovendo delle azioni di arte pubblica partecipativa, relazionale e generativa, le quali sono state oggetto di interesse da parte di un pubblico che non aveva mai frequentato musei e gallerie d’arte.

Il mio interesse per l’arte inizia all’Università, studiando sociologia dell’arte e pedagogia dell’arte con una approccio deweyano. Poi, verso i 35 anni, ho iniziato a sentire un desiderio irrefrenabile non solo di studiare arte contemporanea, cercavo testi e li leggevo in continuazione, ma di praticarla. A Venezia discutevo del movimento spazialista ed ho frequentato dei corsi con il ceramista Gaetano Di Gregorio ed a casa costruivo statue giganti di gesso. Nel 2007 ho partecipato ad un corso in Abruzzo al Museo della Ceramica di Rapino, ed in seguito a questo, a Faenza ho praticato nel laboratorio dello scultore ceramista Guido Mariani.

Quando e perché hai cominciato a dedicarti all’arte pubblica? Conseuetudinem, 2013, bassorilievo in paraffina, 40x30 cm

Ma cos’è esattamente l’arte pubblica? A mio giudizio non si può più parlare di arte pubblica svincolandola dalla definizione di pubblico e dalla storia di questo concetto. Molte 8


sono dunque le visioni che se ne danno. Secondo la visione, che condivido, della studiosa Cameron, si può definire un’opera d’arte come pubblica quando essa è pagata da enti pubblici e/o è posta in un luogo accessibile al pubblico, e/o perché tratta o si preoccupa di ciò che è importante per la comunità locale, e/o perché stimola l’uso dello spazio pubblico da parte dalla comunità ivi presente. E’ pubblico un artista che ha per lo meno un’opera di arte ritenuta arte pubblica, quindi è chiunque sia riconosciuto e legittimato dal pubblico in generale o da uno specifico. Ci sono, in

ogni caso, livelli di legittimazione sociale differente, alcuni più remunerativi dal punto di vista economico ed altri da un punto di vista umano.

Come e quanto ha inciso la tua formazione di sociologo nei tuoi lavori artistici? Nel 2009, quando ho iniziato a vivere in Brasile, l’artista è ridiventato sociologo, la mia arte è divenuta messaggio sociale, la sua funzione era quella di comunicare, di far riflettere sulle Effimero inverso I, 2010, tecnica mista su tela 70x60 cm


dinamiche sociali, sull’ingiustizia della povertà che crea isole o quartieri urbani di miseria.

Quando e perché le azioni “sociali” dell’artista pubblico diventano arte? Le azioni sociali per divenire arte devono essere riconosciute come tali, devono quindi ricevere la legittimazione e risultati pubblici, soprattutto devono, entrare a far parte del paradigma dell’arte, quindi del mondo dell’arte. Dagli anni 90 una corrente femminista statunitense inizia a legittimare nel mondo accademico queste forme di azione sociale quale arte pubblica. Il testo più famoso è quello curato da Suzanne Lacy: Mapping the Terrain: new Genre Public Art, (1995), atti di un convegno tenuto al San Francisco Museum of Modern Art (SFMOMA) i cui sponsor e legittimatori erano il California College of Arts and Crafts (CCAC) ed il Headlands Center for the Arts.

C’è ancora del miele da fare III, 2013, bassorilievo in alluminio, 62x27 cm Arte nello spazio pubblico o arte come spazio pubblico IX, 2014, spray su cubetti di pietra, 130x90 cm

Ora risiedi in Brasile ma hai vissuto anche a Londra e a Parigi: queste esperienze hanno influenzato il tuo modo di approcciarti all’arte?


Flagelli atemporali II, 2010, murale: altorilievo in gesso 150x150 cm

Vivere all’estero ha influenzato sia la mia relazione con la vita che con l’arte. Quando mi sono trasferito in Brasile nel 2009 ho deciso di lasciare i precedenti lavori e di dedicarmi solo all’arte ed alla sociologia. Ho iniziato a discutere artisticamente il sociale, eleggendolo come mio campo di ricerca artistica. Ho potuto praticare nei laboratori gratuiti del Museo di arte Moderna della Bahia e nell’atelier di scultura dell’università di Belle Arti. Ho vinto, poi, una borsa di studio ed ho frequentato un master in arte pubblica ad architettura ed urbanistica, che mi ha dato importanti basi teoriche e pratiche. Dal 2014 a Parigi l’assidua frequentazione di musei, centri culturali, gallerie, mi ha fatto capire che oggi principalmente l’arte dei francesi sia riconosciuta come tale se frutto di una ricerca ma-

nuale continua, culmine di perfezione tecnica. Ho quindi iniziato a rileggere ed a ri-interpretare in questa linea l’arte povera italiana e l’arte contemporanea sia italiana che inglese.

Realizzi anche quadri e sculture tradizionali? Sì. Le mie opere sono basate su luoghi e pavimenti storici e socialmente rilevanti tramite i quali cerco di indurre una incursione tra la micro e la macro storia, fra il quotidiano degli esseri comuni e la Storia Ufficiale. Con le mie opere, delle quali il titolo è parte integrante, e le mostre cerco di far vedere, di far 11


Quali tecniche utilizzi abitualmente? Il luogo e le dinamiche sociali oltre che le esigenze di espressione e comunicazione del mio messaggio sono quelle che mi influenzano maggiormente nella creazione. Per le esperienze d’arte pubblica collettiva, cerco di problematizzare i repertori contenuti nel luogo, quasi sempre “invisibili”, tramite quella che definisco arte pubblica relazionale partecipativa e generativa, che si serve di installazioni e di un’orchestrazione simultanea di molteplici performance. Per le opere individuali ho elaborato una tecnica che definisco monotipia sociale tramite la quale faccio decalchi di spazi pubblici. Con questi mostro le tracce materiali delle pratiche sociali interpretando e lavorando sui vuoti lasciati dalle stesse. Questi vuoti sono una non materia che trasformo in materia d’arte. Per darvi concretezza utilizzo supporti e materiali diversi quali argilla, gesso, paraffina, resina, allumino, legno.

Definiresti il tuo linguaggio artistico: astratto, figurativo, non definibile? Gli amici artisti mi definiscono materico, altre volte geometrico sociale. Ma preferisco trovare nuove definizioni per la mia arte quali: arte pubblica relazionale, partecipativa e generativa, tramite la quale cerco di mettere in relazione sia gli artisti che iniziano a lavorare insieme, sia il pubblico che è parte integrante dell’opera. Il risultato di solito è un’opera artistica in luoghi spesso ritenuti non idonei attraverso la quale reintroduco l’uso sociale di quello spazio. Per esempio Post Factum: Ladeira da Montanha a Salvador de Bahia, dove con un gruppo di artisti, che ho invitato, sono rimasto per quattro ore, in questo luogo marginale e periferico, animandolo e coinvolgendo nelle nostre azioni bambini ed adulti che dormono per strada non-

Post factum: libèration de l’austèritè, binari dorati e performance, Parigi, 2015, 0.18x30.00x2.00 mt

leggere, ritrattandoli poeticamente, i significati che stanno nelle micro fessure degli oggetti, negli artefatti della cultura materiale, spesso dimenticati o invisibili per abitudine, pigrizia e/o cecità sociale. Ad esempio ho fatto una mostra a Salvador di Bahia dal titolo: Memorie del Concilio di Trento: elementi di micro-storia dove ho esposto quadri e sculture in alluminio, cemento e cera che discutevano poeticamente sia l’evento di portata mondiale sia le paure, gli usi e costumi dell’uomo trentino. 12


ché utilizzatori di droga e prostitute.

Oggi, cosa ti interessa e cosa non ti piace dell’arte contemporanea? Mi interessa relativamente poco l’arte per l’arte. Essendo artista e attivista, “artivista”, prediligo l’arte socialmente attiva che fa riflettere sulle pratiche sociali e sulle loro conseguenze sia a livello locale che globale. Parigi, come ho già detto, mi ha fatto comprendere che questo tipo di opere di arte può essere anche bella e quindi sopperire a due esigenze, quella estetica e quella etico-sociale.

Cosa ritieni di rappresentare nelle tue opere: concetti, emozioni? Ti interessa mandare un “messaggio” ?

Nelle mie opere cerco di rappresentare concetti che portino a riflettere sul nostro essere sociale e sulla responsabilità delle nostre azioni e delle nostre non azioni. In questo momento nelle mie opere cerco di esprimere l’importanza del singolo individuo nelle sue relazioni con gli altri, con il contesto sociale. È una riflessione non teorica, incarnata, vissuta sperimentata. Come artista-sociologo la mia arte è messaggio.

Segui la “politica culturale” trentina? Pensi che si possa fare di più per il settore artistico? A parte la discussione nel 2014 sull’abrogazione della legge di finanziamento all’arte del 2%, in Trentino ci sono diverse opportunità che in altri luoghi del mondo sono inimmaginabili. Opus sectile V, 2012-2015, tecnica mista su tela 80x100 cm


Ritengo che le istituzioni locali di arte contemporanea potrebbero rendere più intenso e costante il dialogo sia tra di loro sia con gli artisti che a volte lavorano in modo seminascosto. Personalmente collaboro da anni con i musei proponendo dinamiche di interscambio e mutuo conoscimento, che si sono rivelate fruttifere a Parigi, Salvador di Bahia e in Trentino dove sono stato invitato nel 2013 dal Museo d’Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto a MART-UP come artista per il giorno del contemporaneo, e ora al MUSE, Museo della Scienze di Trento.

Alla luce della tua esperienza, come ti sembra il panorama degli artisti trentini? Come in tutti i luoghi ci sono degli artisti con cui è piacevole sedersi e discutere ed altri che per motivi di tempo o carattere ne sono restii. Personalmente credo nella collaborazione e nel dialogo, quindi come in altre parti del mondo

con alcuni di loro mi trovo spesso per conversare sui nostri rispettivi punti di vista sociali ed artistici ed a programmare delle mostre insieme, mentre altri li incontro solo alle loro mostre. Avendo la necessità di discutere costantemente, a Parigi ho partecipato alla fondazione di un gruppo culturale artistico chiamato Anthroposs, nel quale collaborano artisti tanto europei quanto extraeuropei.

Cos’è la bellezza? E’ un valore che ricerchi o è subordinato ad altri valori? Quando ho iniziato il mio percorso artistico ero molto influenzato dalle sculture di Giacometti, dagli spazialisti veneziani e milanesi e dall’arte povera. Quando ho iniziato il mio percorso artistico in Brasile, il messaggio sociale era la parte più importante delle mie opere e la bellezza era relativa. In questo momento, dopo la mia fase di riflessione e di rielaborazione parigina, ritengo che anche la bellezza e l’armonia sia entrata


nel mio modus creandi. Oggi, messaggio socialmente utile ed opera d’arte bella da fruire, non sono più in contraddizione.

Chi è, oggi, l’artista?

Genius loci, 2013, installazione e performance (particolare) scultura in ceramica MAM - Bahia

metta a farlo. Ho molti amici artisti che lo fanno nel passatempo e pochissimi hanno mollato tutto per dedicarsi solo all’arte. Alcuni pensano che l’artista è un creatore manuale e pensano che nel post-contemporaneo gli artisti siano gli unici che ancora vogliono lavorare con le mani,

L’artista è oggi chiunque creda di esserlo e si Discussioni di Oderlaffo, 2013-2015, tecnica mista su tela, 110x300 cm


Danza improvvisa, 2013, tecnica mista su tela 120x120 cm

ca: è pertanto dialogo, interazione, esperienza, memoria sociale. Sono interessato a mostrare le tracce materiali delle pratiche sociali contenute negli artefatti di un villaggio o di una città o di un popolo. Per esempio, nella Chiesa del Gesù di Roma, l’unico pezzo di pavimento visibilmente danneggiato, é vicino alla statua del Santo, oggetto di continue peregrinazioni. L’arte ha il compito di stimolare riflessione sullo status quo, su come si è giunti a tale status, sulle infinite possibilità che competono individualmente e collettivamente al miglioramento estetico ed etico del reale.

altri si esprimono con i nuovi media e la loro arte è completamente evanescente. Io ci ho messo anni prima di dire artista, quando mi chiedevano che professione fai. Secondo me gli artisti sono i passanti, artista è il pubblico. I miei quadri si basano su lastricati pubblici ed ho cercato di convincere i passanti, coloro che usano quello spazio pubblico (marciapiede o piazza) che loro erano i veri e unici artefici di quell’opera d’arte pubblica. Tanto che per anni non ho firmato le mie opere.

E, per finire, cosa è per te l’arte? Manoscritti, 2014, tre monoliti di cemento in altorilievo, 235x150x50 cm

L’arte è il luogo per eccellenza della res pubbli16



micro storia. Ha vinto il primo premio al concorso del Salone della Bahia, nel 2013, nello stesso anno è stato invitato in Italia per il giorno del contemporaneo del 2013, a MART UP, al Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto, nel 2014 é stato chiamato, grazie all’istallazione Campo Santo Salvador, dal Circuito culturale 2 di Julho a far parte delle III Biennale della Bahia ed ha esposto a Venezia la scultura Manoscritti, a OPEN 17, Esposizione internazionale di Scultura e Istallazione. A gennaio 2015 ha partecipato al Salone speciale della Bahia al Museo di Arte Moderna di Salvador, ha realizzato in Trentino al MUSE la perfomance MeLA dici la tua idea di Trentino?, al Palazzo delle Albere la mostra I have a Dream e al Palazzo Candelpegher la mostra Insieme-Ensamble-Together-Juntos. A Parigi ha partecipato alla mostra Jardin Insolite e co-fondato il collettivo culturale artistico Anthroposs. Master in Architettura e Urbanistica Contemporanea, 2012-2014; Università Federale di Bahia (UFBA), Salvador, Brasile; tesi: Il pubblico nell’arte pubblica a Salvador di Bahia; Atelier Libero di un anno al MAM - BA, Museo di Arte Moderna della Bahia, Salvador, Brasile; Master in Belle Arti, 2010 - 2011, Università Federale di Bahia, UFBA, Salvador, Brasile; Corsi: Arte Urbana e Filosofia dell’Arte; Laurea in Sociologia, 1993 - 1998, Università degli Studi di Trento, Trento, Italia CONCORSI E PREMI 2015 Jardin Insolite Land Art Jardin Insolite, Parigi, Francia, Hug-moi, Installation: ibrido: tre esemplari di piante dalle radici dorate; 2015 Edizione speciale del Salone di Salvador di Bahia, Brasile, MAM-BA, Museo di Arte Moderna della Bahia, Arte nello spazio pubblico o arte come spazio pubblico; 2014 Salone di Arte della Bahia, Barreiras, (Brasile); Menzione d’onore; 2013 Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento, (Italia), MART-UP: Vivi il museo, Alla ricerca di texture, pittura, tecnica mista; 2013 Salone di Arte della Bahia, Feira de Santana, (Brasile), vincitore premio; 2012 Salone di Arte della Bahia, Juaseiro, (Brasile), Esquecimento histórico, 2012; 2011 Salone della Marina Militare del Brasile, Museo Nautico della Bahia, Pesca favolosa nella Baia di tutti i Santi MOSTRE E INSTALLAZIONI PERSONALI 2015, MeLA dici la tua idea di Trentino?, MUSE, Museo della scienza di Trento;

FLAVIO MARZADRO Nato a Rovereto, Italia, 1971, laureato in sociologia a Trento con particolare attenzione alla sociologia della comunicazione interculturale ed alla sociologia dell’arte. Negli anni novanta, vive per alcuni anni a Londra collaborando con istituzioni italiane e straniere che si occupano di immagine e identità, indagando i processi creativi. In tale periodo affina la propria espressione artistica, dedicandosi prevalentemente alla pittura ed alla scultura. Dal 2009 al 2014 ha abitato e studiato a Salvador di Bahia (Brasile), dove ha condotto una ricerca pluriennale in arte pubblica che coinvolgeva scultura, istallazione, performance e video nell’ambito dell’Accademia di Belle Arte e del Museo di Arte Moderna della Bahia. Tra il 2014 e 2015 ha vissuto per un anno e mezzo a Parigi per poi ritornare in Brasile. Le sue opere sono presenti in collezioni private e pubbliche: il MART, Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto, la sala del Capitolo di Trento, il Museo di San Marco a Venezia. Negli ultimi anni ha al suo attivo numerose mostre personali in musei italiani e stranieri. Espone, nel 2011, a Salvador di Bahia, al Museo Geologico della Bahia:” Sotto i piedi di Italia: nuova archeologia della cultura urbana materiale, nel 2012, a Venezia, al Museo di Sant’Apollonia di San Marco: Tra il sacro ed il pubblico nella Serenissima, nel 2013 a Salvador di Bahia al Museo di Arte Moderna della Bahia, (installazione e performance): Dialogando con il genius loci del MAM, ed al Museo di Arte Sacra: Memorie del Concilio di Trento: elementi di

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2015,Insieme-Ensamble-Together-Juntos,Palazzo Candelpegher, Nogaredo, Italia, Antologica degli ultimi 5 anni di produzione; 2014, Campo Santo Salvador, Museo dI Arte Sacra della Bahia (Salvador di Bahia, Brasile), Curatore: Sandro Abadepimentel, Scultura, installazione, gesso e alluminio, Istallazione parte di CC2J e della III BIennale della Bahia 2013, Dialogando con il genius loci del MAM, MAMBA, Museo di Arte Moderna della Bahia, (Brasile), 2013, Memorie del Concilio di Trento: elementi di micro storia, Museu di Arte Sacra della Bahia (Salvador di Bahia, Brasile), . 2012, Tra il Pubblico e il sacro nella Serenissima, Museo Diocesano di Venezia - Sala Sant’Apollonia (Venezia); 2011/2012 Sotto i piedi d’Italia: nuova archeologia della cultura materiale urbana, Museo di Geologia della Bahia (Salvador di Bahia); CURATORE DI MOSTRE ED EVENTI COLLETTIVI 2014, Salvadorando: rua do Sodré, Salvador di Bahia, via Sodré, (Brasile); 2013 Post Factum: via Lampi, Trento, (Italia); e collettiva e a Ladeira da Montanha, 2013 Salvador di Bahia, Ladeira da Montanha, (Brasile); 2012 Umani Diritti, Museo di Geologia della Bahia (Salvador di Bahia, Brasile) MOSTRE COLLETTIVE 2015, 84ème Salon des Cercle des Gobelins et des Beaux-Arts, Paris, 2015, Pantocratica lumière II; 2015, Ars Artis, IV Biennale FIDA – Trento; 2015, Le Donne e la Guerra, Forte Corno, Praso, Trentino; 2015, Jardin Insolite Land Art , Parigi, Francia; 2014 Edizione Speciale del Salone della Bahia, Museo di arte Moderna della Bahia, Salvador, Brasile; 2014 OPEN 17: Esposizione Internazionale di Scultura ed Installazione, a Venezia; 2014, III Biennale della Bahia, Brasile, É tutto nord-est?; 2013 Fondazione di Partecipazione dell’Ospitalità. Venezia, Italia, Svelare Identità; 2011 Salone della Marina della Bahia - IX Edizione, Brasile, Museo Nautico dela Bahia, L’arte della pesca; 2011 Expoarte, Centro di Convenzioni della Bahia, Brasile; 2011, Centro Culturale del comune di Salvador di Bahia, Brasile, Due di Luglio Contemporaneo; 2010, Camera dei Deputati dello Stato della Bahia, Brasile, Onipeeró; 2008, Museo della ceramica di Rapino, Italia, La forma anzitutto, www.flaviomarzadro.com • flavio.marzadro@gmail. com • Phone: 00 39 335 560 9558; Via Destra Adige n 12, 38060 Nogaredo (TN)

Tutti i numeri 2012-2013-2014-2015 della rivista FIDAart sono scaricabili da: www.fida-trento.com/books.html Tutti i numeri 2012-2013-2014-2015 della rivista FIDAart sono sfogliabili su: http://issuu.com/tomio2013

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copertina del N.11 2015 Periodico di arte e cultura della FIDAart Curatore e responsabile Paolo Tomio

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MERCATO DELL’ARTE ? GUSTAV KLIMT (1862-1918), RITRATTO DI GERTRUD LOEW, 1902, olio su tela, 150x45 cm, Sotheby’s Londra 2015, venduto a $ 38.899.000 (34.719.000 euro). Il dipinto ritrae Gertrud, la delicata figlia diciannovenne del dottor Anton Loew, proprietario del Sanatorium Loew, la migliore casa di cura di Vienna, e collezionista di opere dell’artista, tra cui anche la “Giuditta I”. Con l’arrivo al potere dei nazisti nel 1939, i Loew, di origine ebraica, abbandonano la loro casa con tutte le proprietà. Il ritratto di Gertrud, dopo molte peripezie, è acquistato nel ‘41 da Gustav Ucicky, uno dei tanti (quattordici) figli illegittimi di Klimt e poi ereditato dalla moglie Ursula, fondatrice del Gustav Klimt Vienna 1900 - Privatstiftung. Finalmente, quando nel 2014 la proprietà dell’opera è ufficialmente attribuita a Gertha Felsőványi, legittima erede dei Loew, la Fondazione Klimt e la stessa erede decidono di comune accordo di mettere il quadro all’asta da Sotheby’s. La storia di questo dipinto, come molti altri di Klimt, si intreccia con i tragici avvenimenti degli ebrei austriaci fuggiti abbandonando, o “costretti a donare” allo Stato austriaco, le loro opere d’arte. E’ il caso dell’erede della famiglia Bloch-Bauer, Maria Altmann, la nipote sopravvissuta all’Olocausto, la quale dopo la guerra inizia una lunga e complicatissima disputa legale, vinta nel 2006, che porta alla restituzione da parte dell’Österreichische Galerie di cinque dei sei quadri di Klimt esposti nel Belvedere di Vienna (vicenda narrata nel recente film “Woman in gold”). Tra i cinque dipinti restituiti, i ritratti “Adele Bloch-Bauer I” del 1907 (vedi pag.28), una superficie astratta di decorazioni dorate in cui del corpo di Adele Bloch (modella e amante del pittore), appaiono solo le mani e il volto, venduto nel 2006 a trattativa privata per 135.000.000 dollari e “Adele Bloch-Bauer II” (vedi pag. 31), eseguito nel 1912 quando, concluso il “periodo aureo”, il pittore inaugura con lo “stile fiorito”, cromaticamente acceso e gioioso, una nuova stagione, battuto nel 2006 a 78 milioni di dollari. Anche “La chiesa di Cassone” (borgo vicino a Malcesine), eseguito dal pittore nel 1913 en plein air guardando con un binocolo dalla riva opposta del lago di Garda, e “Litzlberg am Attersee”, uno scorcio del lago del Salzkammergut dove l’artista trascorreva le vacanze (vedi pag. 29 e 30), sono due opere appartenute a 20


GUSTAV KLIMT Viktor Zuckerkandl e confiscate dai nazisti dopo il 1938, volontariamente restituite all’ultimo erede dal Museum Moderne di Salisburgo. Gustav Klimt è sicuramente il protagonista indiscusso della vita artistica viennese e uno dei maggiori artisti del primo Novecento: lavora alle decorazioni nello stile storicista eclettico di numerosi edifici pubblici ottenendo onori e fama poi, a partire dal 1895, nella sua pittura appaiono temi e modi del simbolismo che introducono una nuova sensibilità. Ma è nel 1898, con l’inaugurazione del padiglione della “Secession”, la nuova associazioni di artisti e architetti “modernisti” guidata da Klimt, che inizia uno dei periodi più interessanti e ricchi di idee per l’evoluzione del gusto europeo. Klimt possiede una tale e indiscussa maestria che ogni sua opera è un capolavoro; il tema centrale della sua pittura è la donna: si circonda di donne, ama le donne (ed è ricambiato) e le raffigura per tutta la vita. I suoi ritratti e i magistrali disegni rappresentano affascinanti dame dell’alta società viennese nelle loro vesti di seta intessute di ricami floreali o sensuali modelle discinte, cariche di un erotismo che coglie il lato più oscuro e morboso della loro personalità. Sono immagini della donna nuova, libera, che segretamente scopre il piacere e che esprime la volontà di emancipazione dai vincoli sociali e morali che il perbenismo della cultura ufficiale le impone. Nella sua intensa e instancabile ricerca della bellezza assoluta della donna attraverso una materia simbolica quale l’oro e le fantastiche decorazioni floreali policrome con cui impreziosiva i suoi pannelli, Klimt è l’ultimo cantore della fin de siècle. Sono gli anni della nascita della psicanalisi di Sigmund Freud e in cui l’Austria è sottoposta a profondi rivolgimenti sociali, politici ed econo-

mici che mettono in crisi il lunghissimo regno di Francesco Giuseppe e che preludono allo scoppio della Grande guerra. Può essere che Klimt non avesse coscienza della natura dei cambiamenti che precedevano l’arrivo dell’apocalisse ma solo che grazie alla sua sensibilità di artista ci fosse in lui la premonizione del crollo di un mondo che sarà poi definito “Austria Felix”. Per anni l’arte di Klimt è stata sottovalutata perché accusata di decorativismo, formalismo, decadentismo da una critica che, in nome del mito di una presunta superiorità delle avanguardie e della modernità, aveva fatto tabula rasa dell’arte del passato. Oggi, dopo cento anni, i dipinti di Klimt continuano ad ammaliare con le loro atmosfere magiche dimostrando che la vera arte non ha tempo. 21


ARTE DRONICA esempio, è destinato a ridursi progressivamente sia a causa dei controlli invasivi da parte dello Stato, magari in funzione antiterrorismo, sia da parte dei privati per mille altre ragioni, lecite o meno lecite. Dato il costo ormai accessibile a chiunque di droni sempre più raffinati, equipaggiati da telecamere ad alta definizione o congegni elettronici per lo spionaggio, la vita privata delle persone non sarà più difesa da alti muri di cinta perché davanti alle finestre di casa potrebbero stazionare dei droni, dotati di sensori agli infrarossi che “vedono” dietro le pareti e microfoni direzionali che “sentono” attraverso vetri e muri. L’investigatore di domani dovrà essere un abile manovratore di joystick per guidare a distanza queste macchine volanti più che un perspicace scopritore di indizi. Non poteva mancare qualcuno che pensasse all’applicazione dei droni a un settore meno pericoloso delle guerre e della criminalità, cercando di utilizzare le loro potenzialità nel mondo dell’arte. Dopo i primi esperimenti compiuti cannibalizzando la tecnologia degli aerografi, una penna dotata di serbatoio che permette di spruzzare il colore nebulizzandolo tramite un flusso di aria compressa, è stato messo a punto un sistema innovativo basato sullo stesso principio ma dotato di una batteria composta da 8

DRONI, CHE SPASSO! Una delle ultime invenzioni della tecnologia militare che anche il grande pubblico ha imparato a conoscere, è quella dei droni. Nati per controllare e spiare (e, alla bisogna, sparare o lanciare missili) in modo invisibile, stanno trovando tante e tali applicazioni nel settore civile che, il mondo del futuro sarà di questi strani arnesi volanti. Come avviene in tutti i settori informatici, anche in questo settore, i passi in avanti sono straordinariamente veloci e suscettibili di continue evoluzioni, o involuzioni, a seconda del punto di vista: il diritto chiamato privacy, ad

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DRONI, CHE SPASSO! cartucce autonome facilmente intercambiabili e regolate elettronicamente per entrare in funzione sia singolarmente che contemporaneamente consentendo di creare per miscelazione migliaia di gamme cromatiche. La fonte d’aria compressa utilizzata è fornita da bombolette precaricate inserite nell’alloggiamento. Lo spostamento in verticale del drone in volo permette di ampliare o restringere il raggio del getto delle penne in modo da ottenere linee sottili e nette oppure campiture di colore uniformi o con ogni sfumatura. In fondo, si tratta del logico passaggio dalle normali bombolette spry dei graffitari o dalle stampanti usate nei laboratori di grafica, a una applicazione pittorica altrimenti difficile da realizzare manualmente su grande scala. La tecnologia è top secret perché l’invenzione è ancora in fase di collaudo ed è forte il timore di essere anticipati o copiati dalla concorrenza. Da quello che si è potuto capire, il vantaggio di questo sistema, una volta a regime, sarà quello di poter dipingere superfici grandi come un campo da calcio in qualsiasi materiale con la massima precisione e qualità, a costi assolutamente contenuti, operando a distanza attraverso monitor, quando si voglia realizzare una o più copie di un disegno già predisposto con ap-

positi programmi a computer, oppure mediante joystick qualora si decidesse di creare “manualmente” un solo originale. Esattamente come il pittore realizza con i pennelli il suo quadro, allo stesso modo l’artista potrà dipingere tele di dimensioni infinitamente superiori attraverso il controllo remoto a monitor dei dettagli, oppure direttamente a vista, muovendo il drone sopra qualsiasi supporto steso in piano. Per evitare inconvenienti dovuti a correnti d’aria imprevedibili che creino problemi di polvere o di stabilità del drone, è preferibile che il lavoro si svolga in ambienti chiusi e puliti. L’artista potrà operare personalmente, qualora fosse capace di padroneggiare questa tecnica, oppure delegando personale specializzato in grado di manovrare con la necessaria precisione per arrivare a ottenere la qualità desiderata. Recentemente si è svolta una dimostrazione dinnanzi a un pubblico di esperti del settore in una galleria d’arte di Miami per presentare il drone e le sue potenzialità artistiche (vedi immagine in basso), hanno lasciato stupefatti i presenti che hanno parlato, addirittura, di un nuovo Pollock “virtuale” all’orizzonte e della imminente nascita di una futura Arte Dronica. Drone-aerografo mentre sta dipingendo in volo manovrato con comando remoto da joystick

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ARTE DELL’ANIMAZIONE da solo per due settimane, ha realizzato il primo cartone animato in bianco e nero di Topolino del 1928. Contrariamente a ciò che si crede, quindi, Disney ha disegnato solo inizialmente e, sicuramente, non si può ritenere l’unico creatore dei suoi indimenticabili personaggi, prodotti sotto la sua supervisione da uno stuolo di eccezionali disegnatori, pittori, animatori, assieme a sceneggiatori, registi, attori, cantanti e musicisti ecc. Il cinema d’animazione ha richiesto, fino al 1989, quando la Disney passa dal disegno a mano a un sistema informatico, che decine di migliaia di scene dovessero essere dipinte una per una, fotografate e quindi “animate“ per creare l’effetto ottico del movimento. E’ arte il cartone animato? Sì, è un’arte, se sono arte il disegno, la pittura e il cinema. Il cinema d’animazione è tutto questo, e anche qualcosa di più, perché il puro prodotto della fantasia più libera. Ogni personaggio deve essere inventato, creato e disegnato ex novo, anche i più folli, incredibili o impossibili, sono trasfigurati dall’inventività degli autori che mirano a rappresentarne i caratteri e la psicologia. Walt Disney è unanimemente riconosciuto come il padre dei film d’animazione, perché dopo mille difficoltà, fallimenti e successi è riuscito ad emergere grazie a una qualità elevatissima lasciando un’impronta indelebile nell’immaginario collettivo di generazioni. Inizialmente con la banda degli “animali” più celebri del mondo: Topolino (Mickey Mouse), inventato nel 1928, Pluto del 30, Pippo del 32 e Paperino (Donald Duck) del 34 e tutti i loro familiari e amici e poi, con i lungometraggi diventati ormai dei classici. Per riconoscere la grandezza artistica di Disney e comprenderne la visione rivoluzionaria, basterebbe ricordare che il primo lungometraggio a cartoni animati della storia, “Biancaneve e i

Il prossimo anno cadrà l’anniversario della morte di uno dei più grandi artisti del ‘900: Walter Elias Disney, detto Walt, nato nel 1901 da padre irlandese-canadese e madre di origine tedesca, e morto nel 1966 a 65 anni. Forse qualcuno storcerà il naso leggendo questa definizione che non corrisponde alla loro idea di artista, perché lo considerano più il creatore di una industria in cui bravissimi artigiani lavorano per realizzare un prodotto di intrattenimento destinato all’infanzia. In effetti, è noto che, per la parte grafica, Disney si è sempre appoggiato a collaboratori più dotati di lui. Ad esempio, il suo primo socio Ub Iwkers che aveva il compito di trasferire su carta i personaggi inventati da Walt, lavorando ininterrottamente

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- - parte 1 sette nani”, è stato prodotto da lui nel 1937: 80 anni fa ed è ancora godibilissimo! Questa fiaba senza tempo conosciuta da tutti, fortemente voluta da Disney dopo la Grande Depressione del ‘29, contro l’opinione di tutti e al costo inaudito per allora di un milione e mezzo di dollari (rischiando la bancarotta), ha ottenuto un successo mondiale che dura ancora oggi stabilendo lo standard basato sugli intermezzi musicali e i personaggi comici, per tutti i classici successivi. Nel 1940 esce “Pinocchio” del nostro Collodi e, quindi, l’ambizioso “Fantasia”, un incredibile ibrido di musica, animazione e riprese con attori reali che commenta con le immagini grandi brani di musica classica eseguiti da un’orchestra diretta dal maestro Leopold Stokowski: un fuoco d’artificio di invenzioni, costosissimo ma troppo avveniristico per il pubblico del tempo. La storia dell’elefantino “Dumbo”, invece, nonostante sia realizzato un anno dopo in economia, è un successo di critica e di cassetta. Segue nel 42, “Bambi”, la vita di un cucciolo di cervo dalla coda bianca (un “bambi”), con i suoi genitori e gli amici animaletti della foresta. Cinque “classici” sufficienti a garantire la fama imperitura a qualsiasi regista. Chi non avesse mai visto un film di Disney, magari ritenendoli solo dei “cartoni” ben disegnati che raccontano ai piccoli spettatori delle storie edulcorate, si ricrederà davanti alla scena in cui l’elefantino Dumbo viene staccato dalla madre oppure quando la mamma del piccolo Bambi viene uccisa dai cacciatori. Sono “solo” degli animali, ma le lacrime sono assicurate per piccini (e grandi). Anche la paura, se non il terrore, è un’emozione costantemente ricercata nei suoi cartoni: i protagonisti, innocenti e inermi, devono sempre combattere contro streghe, mal-

vagi, draghi, orchi, mostri, però, come in tutte le favole, alla fine il bene trionfa regolarmente regalando allo spettatore l’attesa happy end. Nella visione del mondo e nella filosofia di Walt Disney, infatti, prevalgono il sorriso, l’ottimismo, i buoni sentimenti, l’impegno personale e la spinta a lottare per migliorare il mondo. L’empatia con gli altri esseri viventi - seppur umanizzati “a la Disney” - che sanno trasmettere agli spettatori, è un altro dei meriti etici e culturali dei suoi cartoni animati e dei documentari naturalistici premiati con decine di Oscar. Un messaggio positivo nei confronti della natura, degli animali e delle vittime innocenti, forse memore di un padre severo e violento. - Continua -

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Novembre 2015, Anno 4 - N.11

News dal mondo GUSTAV KLIMT

Ritratto di Adele Bloch-Bauer I, 1907

pag. 28

GUSTAV KLIMT

Litzlberg Am Attersee, 1914-15

pag. 29

GUSTAV KLIMT

Chiesa a Cassone, 1913

pag. 30

GUSTAV KLIMT

Ritratto di Adele Bloch-Bauer II, 1912

pag. 31

La nascita di Venere, 2015

pag. 32

Omaggio a GUSTAV KLIMT

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GUSTAV KLIMT, RITRATTO DI ADELE BLOCH-BAUER I, 1907 oro e olio su tela, 138x138 cm Venduto a trattativa privata nel 2006 a $ 135.000.000

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GUSTAV KLIMT, CHIESA A CASSONE (Paesaggio 29

con cipressi), 1913, olio su tela, 110x110 cm, venduto da Sotheby’s N.Y. 2010, a $ 42.831.000 (30.838.600 euro)


GUSTAV KLIMT, LITZLBERG AM ATTERSEE, 1914-15 olio su tela, 110x110 cm, venduto da Sotheby’s New York 2011 a $ 40.402.500 (29.450.000 euro)

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GUSTAV KLIMT, RITRATTO DI ADELE BLOCH-BAUER II 31

1912, olio su tela, 190x119 cm, venduto da Christie’s New York 2006, a $ 78.500.000 (61.448.000 euro)



PAOLO TOMIO, Omaggio a GUSTAV KLIMT “LA NASCITA DI VENERE”, 2015 digital art su tela, 135x90 cm



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