FIDAart N.12 2013 Roberto Codroico

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PERIODICO della FIDA-Trento N. 12 - Dicembre ANNO 2013

FIDAart


In copertina: Roberto Codroico, Confronto e dialogo, 2013, acrilico su carta, 100x100 cm


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FIDAart sommario

Dicembre 2013, Anno 2 - N.12

Editoriale

Copertine FIDAart

pag. 4

Politiche culturali

FIDAart: 17 mesi

pag. 5

Intervista ad un artista

Roberto Codroico

Mercato dell’arte?

Cy Twombly

Cy Twombly

pag. 6-19 pag. 20 pag. 21

Public art

Trails

pag. 22-23

Storia e arte

Antonello da Messina

pag. 24-25

Rassegna mostre in regione Luigi Senesi Bruno Lucchi Paolo Dalponte Pablo Picasso Edward Munch

De pictura

pag. 28

PERLE “giocose armonie”

pag. 29

Caffè?

pag. 30

40° anniversario della scomparsa

pag. 31

150° anniversario della nascita

pag. 32-33

Copyright FIDAart Tutti i diritti sono riservati L’Editore rimane a disposizione degli eventuali detentori dei diritti delle immagini (o eventuali scambi tra fotografi) che non è riuscito a definire, nè a rintracciare



EDITORIALE FIDAart: 17 MESI

tuzionale. Basti dire che l’ultima collettiva sull’arte trentina organizzata dal MART - nonostante rientrasse nei suoi doveri istituzionali - risale al 2003. Sono trascorsi dieci anni e questa politica di mancata attenzione alle risorse presenti sul territorio si è rivelata miope sia sul piano artistico-culturale che su quello economico (pensiamo alla “scoperta” tardiva di Depero). FIDAart è oggi un perodico mensile online che possiede alcune caratteristiche che la rendono unica nel panorama locale e, probabilmente, nazionale Innanzitutto, offre mensilmente la possibilità ad un artista di parlare - in prima persona e con la massima libertà - della sua storia, delle sue idee e del suo lavoro, illustrando l’intervista con un gran numero immagini di ampio formato e alta definizione; è interamente gratuita, sia per gli artisti intervistati (appartenenti a tutte le tendenze e a tutte le associazioni), che per i lettori i quali possono riceverla, sfogliarla o scaricarla a loro piacere; non contiene pubblicità perché non deve autofinanziarsi essendo prodotta solo su base volontaria e per puro interesse culturale; informa gratuitamente sulle più importanti mostre in corso in Trentino per favorire una maggior informazione su queste iniziative; affronta temi di “politica culturale” che possano interessare operatori e amministratori locali; offre un servizio in rete, democratico, aperto e accessibile a chiunque, con evidenti risparmio di tempo, costi, materie prime, e lavoro per problemi di trasporto, archiviazione e consultazione; e infine, cerca di regalare a tutti un po’ di piacere estetico che, in fondo, dovrebbe essere il vero fine dell’arte.

FIDAart conclude il suo secondo anno con il diciasettesimo numero (cinque numeri del 2012 e dodici del 2013). Un anno e mezzo di impegno mensile per far conoscere l’arte trentina e far parlare in prima persona i pittori e, soprattutto, il loro lavoro ad un pubblico ampio e non solo alla ristretta platea di persone coinvolte in vario modo al mondo dell’arte. Dopo il primo numero Zero dedicato a Renato Pancheri scomparso nel 2009, sono seguite le interviste a pittori tra i più conosciuti e famosi in ambito trentino e non solo. Ricordiamo nell’ordine: Pietro Verdini, Diego Mazzonelli, Paolo Tait, Lome, Mauro Cappelletti, Ivo Fruet, Matteo Boato, Rolando Trenti, Annamaria Gelmi, Gianni Pellegrini, Elena Fozzer, Aldo Pancheri, Sergio Bernardi, Gianluigi Rocca, Bruno Degasperi ed ora, Roberto Codroico. Ovviamente, mancano ancora molti nomi apprezzati dalla critica e dal mercato che si spera di poter pubblicare nel prossimo futuro. Rimane ancora molto da fare per raggiungere l’ambizioso obbiettivo di creare una collana di qualità dei maggiori artisti operanti in Trentino che possa diventare, nel tempo, archivio sullo “stato dell’arte oggi” e strumento di lavoro e analisi per chi voglia conoscere e approfondire la “storia” del pensiero e della pratica artistica raccontata dai suoi protagonisti. FIDAart in questo anno e mezzo si è dimostrata uno strumento innovativo e apprezzato perché ha coperto un vuoto culturale in una provincia ricca di fermenti e di proposte però poco valorizzate a livello isti5



Intervista a ROBERTO CODROICO La pittura di Roberto Codroico, artista riservato e ancora poco noto al grande pubblico per le ragioni che spiega lui stesso nell’intervista, possiede una leggerezza e una giocosità che sono inaspettate da parte di un “serio” funzionario della Soprintendenza della Provincia che si è sempre occupato di studio, tutela, conservazione e restauro di monumenti. Contemporaneamente a questi interessi professionali scientifici e alle copiose pubblicazioni a carattere storico, Roberto ha sempre coltivato anche un’altra passione privata e più personale: la pittura attraverso cui poteva esprimere l’altra sua faccia più vera e anticonformista. In effetti, pur praticandola da sempre, solo in tempi recenti ha voluto rendere pubblica e stabile questa sua intensa attività di ricerca e sperimentazione artistica. Nel corso degli anni ha saputo distillare un suo linguaggio astratto autonomo del tutto personale e immediatamente riconoscibile per l’innocente gioiosità e la sapiente levità che riesce a trasmettere. I suoi dipinti sono caratterizzati da poche linee che percorrendo la tela secondo logiche libere ma non casuali, concorrono a creare delle strutture polimorfe e organiche, fluttuanti nelle ampie campiture colorate. Le composizioni di Codroico, ottenute attraverso una sorta di “scrittura automatica” che corre rapida e libera sulla carta, non esprimono però un caos informale ma possiedono un ordine e un’armonia interna che riporta sempre l’insieme ad una estetica “elegante” fondata su concetti classici di euritmia, forma, superficie, ritmo, movimento, vuoto e pieno. Il suo alfabeto personale di segni che dialogano sospesi sulla pagina, come un haiku, le coincise poesie giapponesi, lascia spazio ad un disegno ricco di suggestioni, come una traccia che sta all’osservatore decifrare. Vi si ritrova il costante la voglia e il piacere di rivelare e raccontare (e liberare), attraverso la ricchezza dei simboli creati e la vivacità dei colori sempre accattivanti, il proprio mondo interiore. Paolo Tomio A sinistra: Composizione, 1975, tecnica mista, 60x40 cm

Scatola - interno, 2011, legno, cartone e colori acrilici, 29x26x6 cm


Quando e perché hai cominciato a interessarti all’arte?

Quali sono stati le correnti artistiche e gli artisti che più ti hanno influenzato?

L’arte è una componente dell’ambiente in cui viviamo, pertanto chi più chi meno, prima o dopo, la si assimila poiché fa parte della vita. Se invece intendi quando ho incominciato a dipingere ti rispondo come già ho detto anche in altre occasioni; dipingo da sempre. Dipingere è per me un modo di vivere, è come l’abitudine giornaliera di guardarsi allo specchio, è una necessità non indispensabile ma utile, è uno stato di piacere che purtroppo ho dovuto spesso interrompere per assolvere alle necessità della vita.

Da ragazzo ho guardato con ammirazione verso Walter Gropius e gli altri artisti e maestri del Bauhaus. Contemporaneamente però ero affascinato dai disegni di Albrecht Dürer, soprattutto dalla padronanza del segno con il quale costruisce le sue figure. Credo però d’esser stato influenzato principalmente da Hans Richter che ho frequentato verso la fine degli anni 60 e i primi anni 70 a Locarno in Svizzera, nel suo piccolo studio vicino a quello di Hans Arp, che ho pure visitato ma non ho conosciuto il maestro perché morto poco prima. Richter è stato uno dei fondatori del movimento DADA ed è il maestro riconosciuto

Donna in giallo, 2011, acrilico su carta, 64x60 cm


Quando volano gli aquiloni, 2013, acrilico su tela, cm 100x100

del cinema astratto. Tra i tanti riconoscimenti che gli sono stati attribuiti vi è quello della Biennale di Venezia per il migliore e originale contributo al progresso della cinematografia.

Più tardi ho conosciuto e instaurato rapporti d’amicizia con Valter Valentini, Claudio Trevi, Umberto Mastroianni, Luciano Baldessari, Riccardo Scweizer, Robert Scherer, Sabine Gerstacker e Michael Höllrigl con i quali ho anche scambiato un mio quadro con uno loro. Per quanto riguarda gli artisti trentini non ho avuto la fortuna di conoscere Aldo Schmid e Luigi Senesi, ho invece conosciuto nella primavera del 1978, in quanto incaricato dell’allestimento della sezione trentina di una mostra a Monaco organizzata nell’ambito dell’ARGE ALP: Carlo Bonacina, Bruno Colorio, Ivo Fruet, Cesarina Seppi e altri ancora.

Nel corso della tua carriera, hai conosciuto artisti locali o nazionali? Attraverso i racconti di Hans Richter mi sembra di aver conosciuto personalmente i maestri delle avanguardie storiche: Klee, Lionel Feininger, Doesburg, Mies van der Rohe, Viking Eggeling e lo stesso Walter Gropius, così come gli artisti italiani: Evola, Prampolini, Bragaglia, Marinetti e Vasari, tutti in rapporto d’amicizia con Hans Richter. 9


Quando hai cominciato a sviluppare il tuo interesse per un linguaggio più astratto?

all’astratto è difficile ritornare al figurativo.

Passare dal figurativo all’astratto per la mia generazione non è stato facile. Ed è il risultato di una serie di esperienze e circostanze che variano da soggetto a soggetto. Per me è stata una concentrazione di avvenimenti personali, conoscenze, studi ed altro ancora che si sono tutte concretizzate tra la fine del 1969 e primi mesi del 1970. Tra queste la diretta conoscenza delle opere di Vlado Kristl, Kurt Kren, Otto Muehl e dagli altri artisti della così detta “Scuola degli Azionisti Viennesi” aggregati attorno alla P.A.P. Filmgalerie di Monaco, diretta da Karlheinz Hein, e conosciuti a Venezia a margine di un seminario tenuto da Gianni Rodolino nell’ambito della Biennale di Venezia. Seminario che frequentai e ove ebbi occasione di entrare in contatto con questi artisti, sui quali qualche tempo dopo scrissi un articolo dal titolo “Un giorno della primavera del 1961”, che Guido Aristarco pubblicò sulla rivista “Cinema Nuovo” sotto forma di lettera al direttore. Interessante è sottolineare che arrivati

Come definiresti il tuo stile? Quali sono, secondo te, le caratteristiche che ti rendono riconoscibile?

Personale a Palazzo Libera, 2013, Villa Lagarina

La mia pittura è fatta di colore e di un segno grafico che chiamo “linea”, il soggetto non ha molta importanza, anche se agli inizi ero ossessionato dai volti e dal nudo femminile. Ho realizzato con linee chiaramente tonde molti dipinti di donne mollemente adagiate e coperte da colori pastosi e sensuali. Il gusto per il colore devo averlo assimilato dai maestri della pittura veneta del Rinascimento, quando abitavo a Padova e ho studiato architettura a Venezia, dove ho anche frequentato per un anno l’Accademia di Belle Arti. Presto ho abbandonato queste prime opere, che risentivano della lezione di Matisse, Picasso e di altri maestri ancora, per una ricerca formale fatta di linee e di colore. Sono stato ossessionato a lungo dalla linea, che per un certo periodo fu prevalentemente verticale per svilupparsi di seguito in un intreccio di curve e rette tra vivaci colori contrastanti, che sono la caratteristica riconoscibile della mia pittura e rendono


facilmente identificabile i miei quadri.

Cosa puoi dire delle tue scatole? Dove nascono e che significato attribuisci a queste mini sculture? Le mie “scatole” sono dei piccoli oggetti che si tengono tra le mani, si possono aprire e hanno infinite posizioni nello spazio. Sono delle opere che si possono mostrare o ritenere esclusivamente personali, appoggiare sul tavolo o nascoste in qualche cassetto. Nascono da una serie di sperimentazioni che ho realizzato a partire dal 1970 stimolato da diretti contatti con alcuni esponenti del gruppo degli Azionisti Viennesi. Inizialmente ho deposto in scatole di legno o di plastica, di media grandezza, oggetti di varia natura, raccolti un po’ ovunque e che avevano attirato la mia attenzione, per poi colarvi sopra del colore e modificare la loro posizione all’interno della scatola. Ho fissato le varie fasi di queste sperimentazioni con la macchina fotografica. Per queste performance ho utilizzato oggetti della vita di tutti i giorni, m’interessava la loro metamorfosi a seconda della loro posizione, ma soprattutto ero attratto dal ruolo del colore che gettavo sopra gli oggetti a più riprese e che colando si mescolava casualmente. In una seconda fase ho utilizzato scatole di cartone incollandovi dentro gli oggetti colorati. Nella primavera del 1971, a Venezia, ho conosciuto lo scultore anglo-nipponico Isami-Noguchi, che viste le mie scatole mi chiese quanto grande ero io all’interno della scatola, mentre il professor Mazzariol mi sollecitò a realizzare scatole di legno o altro materiale resistente, consiglio che ho subito seguito. Qualche tempo dopo Hans Richter mi suggerì di anticipare sulle superfici esterne delle scatole, quasi in contrappunto, i temi

Composizione, 1974, olio su tela, 70x60 cm Donna allo specchio, 1990, gessi colorati, 46x34 cm


svolti all’interno. Ho messo subito in pratica anche questo suggerimento realizzando la “cardinal scatola” e di seguito quella “azzurra” e “gialla”, e non ho più abbandonato questo gioco tra intero ed esterno. Verso la fine del 1971 ho smesso di realizzare scatole, anche se di tanto in tanto sono ritornato a creare oggetti da tenere tra le mani. Quando poi dal 2005 mi sono dedicato completamente all’arte moderna ho ripreso il tema delle scatole, ovviamente con forme, colori e modi molto diversi dalle prime ma fedele al concetto dell’oggetto personale da tenere tra le mani.

Oggi fare arte è molto più difficile di una volta. Oggi l’artista lavora per se stesso, non c’è più un committente. La maggioranza degli artisti si mantiene con un altro lavoro o meglio con un altro lavoro mantiene la propria attività d’artista. Anche gli spazi espositivi non sono più curati da galleristi, che svolgono una attività a sostegno dell’artista, ma anzi sono un ulteriore onere per l’artista. Nonostante tutte queste difficoltà gli artisti continuano a lavorare e a produrre sempre nuove opere, a cercare nuove forme espressive, ecco questo è quello che mi piace di più dell’arte contemporanea.

Oggi, cosa ti interessa e cosa non ti piace dell’arte contemporaneai?

In tutte le tue opere la struttura compositiva è composta da segno su cui, poi, intervieni con il colore. Cosa rappresentano per te il segno, la forma e il colore?

Unicorno, 1977, tecnica mista, 60x40 cm

Quando dipingo cerco di non pensare a nulla. Paragono questo stato d’animo al sogno. Nel sogno tutto ciò che avviene è parte di noi; desideri, ansie, preoccupazioni, momenti felici o tristi, le persone che popolano i nostri sogni sono reali e fanno parte delle nostre conoscenze, sono i nostri famigliari, gli amici o i nemici, così come i luoghi in cui si sviluppano i sogni sono luoghi reali che conosciamo. In questo senso posso dire che i miei segni e i miei colori sono una parte di me stesso sono la rappresentazione e del mio mondo, quello della fantasia ma anche il mondo reale nel quale vivo e in cui vivono coloro che mi circondano.

Come pensi che il tuo essere architetto e storico ti abbia condizionato nella tua visione artistica? No, anzi e stata una base necessaria e un arricchimento.

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Lei è nuda, 2004, acrilico su legno, 143x133 cm (compresa cornice)

E il fatto di aver sempre lavorato alla Soprintendenza nel settore della tutela e del restauro dei monumenti?

il Castello di Fornace, Castel Romano nelle Giudicarie, il Castello del Buonconsiglio di Trento, le chiese di Santa Maria Maggiore, della Santissima Trinità e il lungo intervento di restauro lapideo del Duomo di Trento. Il mio rapporto con i colleghi architetti fu sempre ottimo e di reciproco rispetto tanto che Sergio Giovanazzi mi chiamò a fondare il Circolo Trentino per l’Architettura Contemporanea, ove ebbi modo di presentare ai colleghi oltre ai restauri e le mie molte ricerche storiche, anche le mie opere d’artista. Aver potuto entrare in merito e seguire migliaia di progetti realizzati da

Per molti anni non ho mostrato apertamente le mie opere e non ho realizzato mostre poiché ritenevo che ai colleghi architetti sarebbe apparsa contraddittoria una mia certa rigidità conservativa, che in qualche modo imponevo loro, con la assoluta libertà delle mie opere pittoriche. Certamente il lavoro alla Soprintendenza è stata causa di una minore produzione compensata però dalla straordinaria esperienza di restauro di alcuni dei più importanti edifici storici Trentini come: la Rocca di Riva del Garda, 13


altri non può che essere un arricchimento. Una delle esperienze più complesse e interessanti è stato il restauro delle facciate del Castello del Buonconsiglio ove ho cercato di raccontare, incidendo sulla malta, la storia dell’edificio in parallelo con quella della città e del territorio e ho paragonato le vecchie malte (clasti) ai quadri di Burri e ai tagli di Lucio Fontana. Ritengo che il restauro sia parte del fare architettura; un particolare momento in cui il “passato” è “presente” e dialogano su un piano di parità per proiettarsi

Una gita in barca, 2013, acrilico su tela, 150x139 cm

verso il futuro. Dal complesso restauro degli apparati lapidei del duomo di Trento ho assimilato colte forme architettoniche e particolari decorativi, come certe foglie stilizzate dei capitelli romanici, che ho aggiunto alle altre linee già presenti nella mia mente.

Come ti sembra il panorama dei pittori trentini d’oggi? Cosa manca al Trentino per poter essere più presente sul mercato esterno? Non credo che ai pittori trentini manchi qualche cosa, anzi hanno la fortuna di trovarsi


in un territorio a cavallo tra due grandi culture europee: quella di lingua italiana e quella tedesca che corrisponde anche a due distinti mondi dell’arte. Da sempre il Trentino è territorio di transito e di scambi commerciali, ma anche culturali e artistici e in questo senso credo che gli artisti trentini debbano continuare. Purtroppo la classe politica locale non rivolge sufficiente attenzione ai suoi artisti, è convinta di aver assolto al suo compito creando e sostenendo grandi contenitori per l’arte come il Mart di Rovereto o la Civica di Trento, contenitori rivolti all’arte internazionale, prevalentemente americana, mentre scarsa è l’attenzione verso degli aspetti locali. Un territorio è artisticamente ricco non perché ospita l’arte degli altri ma perché produce una propria “entità” artistica.

A. 1, 2013, acrilico su tela, 80x80 cm

uno stimolo per una nuova visione dell’arte. Sulla scia degli azionisti viennesi, ad esempio, non mi sono solo limitato a “imbrattare” oggetti e frutta ma anche corpi, per poi ricavarne l’impronta, quasi un omaggio o una citazione alla Yves Klein. In questo ultimo periodo sto cercando di fare indossare direttamente alle persone le mie linee e i miei colori. In questo senso ho realizzato un certo numero di abiti che in occasione delle mostre personali alcune ragazze indossano mescolandosi tra i presenti. Ho in programma di realizzare quadri che si possano staccare dal telaio e indossare per poi riappendere sul telaio alla parete.

Qual’è la tecnica artistica che utilizzi principalmente nella tua attività? Utilizzo tutti i materiali possibili ed immaginabili, dal legno al metallo, dalla carta alla pellicola fotografica, dal computer alle forbici, dalla plastica ai materiali organici ma sono rimasto fondamentalmente un pittore legato al pennello e alla matita, ai colori a tempera e agli acquerelli. Negli anni in cui dipingevo nei pochi momenti liberi dal lavoro in Provincia ho dipinto con i colori a tempera su carta di modeste dimensioni, ora dipingo su tele di dimensioni sempre più grandi.

Hai sperimentato anche altre tecniche artistiche?

Ritieni di rappresentare nelle tue tele concetti, emozioni o cos’altro? Sei interessato ad un “messaggio” nell’opera?

Sebbene legato al pennello e alla matita sono aperto a tutte le esperienze, dagli interventi sul paesaggio alla rilettura dell’arte del passato, dalle rappresentazioni sceniche agli oggetti della vita quotidiana. Sono convinto che in ogni dove ci può essere

Ogni opera contiene un messaggio. Non credo però alla creazione artistica mirata alla trasmissione di un predefinito messaggio. Ad esempio gli artisti che mettono l’arte al 15


servizio della politica, sono quasi sempre autori di pessimi quadri e danneggiano l’arte come la politica. I miei quadri non sono esenti da una visione politica e sociale, che però è quella mia e non quella di un partito o di un sindacato.

Segui la “politica culturale” trentina: pensi che si possa fare di più o meglio per il settore artistico? Più e meglio si può fare sempre. La politica culturale nel Trentino non è delle peggiori, anzi in alcuni campi ha raggiunto alti e altissimi livelli. Quello che forse manca è il confronto; un dibattito a più voci, una presenza di più soggetti e non uno solo.

Cos’è la bellezza? E’ un valore che ricerchi o è subordinato ad altri valori?

Alla finestra, 1980, matita e acquerello, 30x20 cm Quando volano gli acquiloni, 1974, olio su tela, 70x60 cm

Da molti anni “il bello” è stato cancellato dal vocabolario dell’arte. Io credo però che sia alla base di ogni nostro giudizio. Ogni mia linea e macchia di colore deve esser in equilibrio nello spazio e in relazione con le altre linee e colori, c’é cioè tra di loro un rapporto armonico che determina il bello. Parlare del bello in arte è affrontare un tema nel quale inevitabilmente ci si perde, pertanto è meglio non continuare.

E, per finire, cosa è per te l’arte? E chi è l’artista? Arte è tutto e niente, e si muove tra questi due estremi, così anch’io cerco me stesso e il mio lavoro ha la ritmicità e la costanza di un diario che compilo giornalmente, senza perdere di vista il mondo che mi circonda. A destra: L’infinito, 2004, acrilico su legno, 73x60 cm



mano, Tenno e del Buonconsiglio, il duomo le chiese di santa Maria Maggiore e SS. Trinità di Trento. Docente a contratto: per l’a.a. 1987/88 della cattedra di “Storia dell’architettura e delle tecnologie edilizie”, presso la Facoltà di Ingegneria a Trento; per il corso di “Recupero e Ristrutturazione Edilizia” nell’ambito del corso di Perfezionamento post-universitario; per il corso integrativo all’insegnamento di “Progetti per la ristrutturazione e il riuso edilizio”, a.a. 1989/90; Corso integrativo all’insegnamento di “Recupero e conservazione degli edifici”, a.a. 1992/93, presso la Facoltà di Ingegneria di Trento; Nel novembre del 2002, docente nell‘ambito dell’Ausbildung zum/ zur Natur-und Landschaftsfürer/in Für die Grenz-Region Bayern-Tirol: (Werdenfelser Land/Seefelder Stattel/oberers Inntal) tenutosi a Mittenwald, Germania, dal 8 al 10 novembre 2004; Professore a contratto per l’insegnamento di “Storia dell’arte medievale” scienze dei Beni Culturali negli a.a. dal 2003 al 2009 presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli studi di Trento; autore di oltre 70 pubblicazioni attinenti alla storia e all’arte dal paleocristiano alle avanguardie. 1974 “segnalato sul Catalogo Nazionale d’Arte Moderna n. 11 - Bolaffi”, 1975: personale Galleria la Chiocciola, Padova; 1980: personale “Il nuovo della tradizione”, Galleria Loreto di Rovereto; 1994: personale “PERCORSI”, mostra antologica organizzata dal Circolo Trentino per L’Architettura Contemporanea nel Convento dei Cappuccini a Trento; 2001: collettiva “Arte Trentina del ‘900 – 1950-1975” (a cura di Maurizio Scudiero) Palazzo Trentini – Trento; 2003: collettiva “Arte Trentina del ‘900 – 1975-2000”, (a cura di Maurizio Scudiero) Palazzo Trentini – Trento; 2005: personale “Codroico oltre la corni-

ROBERTO CODROICO Nato a Niederbeisheim (Germania), residente a Trento in via s. Giovanni, 26; laureato in architettura presso la facoltà di Venezia; abilitato all’insegnamento di Storia dell’Arte e Disegno, già dipendente di ruolo presso lo Stato in qualità di insegnante di Educazione Artistica; dal 12.12.1977 dipendente della Provincia Autonoma di Trento a seguito di concorso per il Ruolo Speciale Beni Culturali, già Direttore di Sezione in tale ruolo, in qualità di architetto. Quale dipendente della Provincia è stato membro: delle Commissioni Comprensoriali per la Tutela del Paesaggio in rappresentanza del Servizio Beni Culturali; della Commissione Provinciale per la tutela del Paesaggio; della Commissione Edilizia del Comune di Trento; della Commissione Beni Culturali; del Comitato Tecnico del Castello del Buonconsiglio; ecc.. Autore di numerosi interventi di restauro sui più significativi edifici della provincia di Trento, tra i quali i castelli di Fornace, Ro18


ce”, Tione-Centro Studi Judicaria; 2006: personale galleria “pictART” Trento; personale ad Adria nell’ambito della manifestazione motoristica; personale nel Palazzo Madernini a Villa Lagarina; collettiva alle Cantine Rotari di Mezzocorona; 2007: collettiva “Die Seele begibt sich auf reisen” St. Mauritius Therapieklinik - Meerbusch– Germenia ; Mostra Scherer-Codroico-Kuballa, Palazzo Malfatti Ala (Tn); 2009 personale Codroico, Israel, Scherer a Venezia, “Scuola Grande di san Teodoro”; personale “italienische Kunst zu Gast in Kempten” Kunsthalle Kempten; 2010 collettiva “Rassegna d’Arte Internazionale - Sanremo Sotto le Stelle”,Galleria d’Arte Malinpenza di Sanremo; collettiva della FIDA: “Appunti di viaggio – 20 artisti per Renato Pancheri”, Trento; 2011: collettiva del Centro Studi Judicaria: “La Collezione”, sala Expo del centro Studi Judicaria, a Tione; collettiva FIDA: “Il libro che non c’è”, Bookique Caffè Letterario, Trento; collettiva “RenArt2011 Sala Thun Trento; collettiva FIDA: “I sognalibri”, Biblioteca Comunale di Trento; 2012: collettiva FIDA: “Non si va mai così lontano”, Grand Hotel Trento; collettiva “astrazioni 7”, Torre Mirana, Trento; collettiva di arte e poesia visiva “parole, parole, parole...” Bootique Caffé Letterario a Trento; collettiva “Montagna Magica” - XIII BITM – Trento; collettiva “Luci e colori in Mostra a Tione”, Centro Studi Judicaria; 2013: personale “Codroico a Codroipo”; personale Palazzo Libera a Villa Lagarina, oltre alle numerose collettive organizzate FIDA, è stato presente alla 24 Mostra Mercato d’Arte Moderna e Contemporanea “ARTE Padova 2013”. Opere di Codroico sono esposte in permanenza presso: il Museo del convento dei Cappuccini a Trento: il Museo d’Arte Contemporanea “Dino Formaggio” a Teolo (Padova); presso il Museo di Mindelhem (Germania);

Tutti i numeri 2012-2013 della rivista FIDAart sono scaricabili da: www.fida-trento.com Tutti i numeri 2012-2013 della rivista FIDAart sono sfogliabili su: http://issuu.com/tomio2013

FIDAart copertina del N.12 2013 Periodico di arte e cultura della FIDAart

PERIODICO della FIDA-Trento N. 10 - Ottobre ANNO 2013

FIDAart

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MERCATO DELL’ARTE ?

CY TWOMBLY (1928 - 2011) “Untitled”, 1971, colore da muro e pastello a cera su carta 52x36.5 cm, firmato e datato giugno 71 sul retro Stimato da Sotheby’s 1.200.000 - 1.500.000 $ e venduto nel maggio 2013 a 2.285.000 dollari. Cy Twombly, il cui vero nome era Edwin Parker, considerato uno dei pittori statunitense più importanti (ha ricevuto il Premio Imperiale nel 1996), è scomparso nel 2011 a Roma. Dopo aver studiato arte negli anni cinquanta a New York con Franz Kline, Robert Motherwell

e Ben Shahn, e lavorato in un gruppo di artisti che annoverava Robert Rauschenberg e Jasper Johns, nel 59 trasferisce stabilimente a Roma. In Italia comincia a lavorare su larga scala e si distanzia dal suo precedente stile espressionista anche se il 70% del suo mercato rimaneva americano, pur avendo anche un discreto successo in Francia. E’intrigante il fatto che Twombly abbia lavorato fino al 53 nell’esercito come crittologo (decifrazione di codici) e come questa esperienza abbia lasciato una impronta sul suo stile pittorico connotato da veri e propri scarabocchi. E’ stato scritto che molte delle sue opere di pittura più note dei tardi anni cinquanta e primi anni sessanta, anche se potrebbe non sembrare molto qualificante “ricordano i graffiti accumulati in anni sui bagni dei gabinetti”. A partire dai tardi anni Sessanta il suo stile raggiunge una sintesi estrema ripetendo dei semplici gesti circolari che ricordano delle ”e” tracciate in corsivo su una lavagna (vedi opera a sinistra con dettaglio). A questo punto abbandona la pittura come rappresentazione, citando la linea o macchiando ogni segno con la sua propria storia, come soggetto a sé. Picasso spiegava: «A dodici anni dipingevo come Raffaello, però ci ho messo tutta una vita per imparare a dipingere come un bambino»,


CY TWOMBLY

Twombly ha lavorato tutta la vita per arrivare questo innocenza mentale primigenia fino a raggiungere la riduzione quasi assoluta del linguaggio. Questo processo di semplificazione esasperata degli anni 70 manca però della poesia e della magia appartenente alla sua produzione successiva e rimanda un’impressione di una gestualità automatica volutamente elementare ma anche eccessivamente banale. Ciononostante il mercato sembra premiare “senza se e senza ma”, qualsiasi sua opera, anche i piccolissimi disegni su carta. Nonostante la lunga attività, il suo riconoscimento internazionale avviene molto tardi, quando nel 2001 Twombly, già settantenne, è premiato alla Biennale di Venezia per l’imponente ciclo “Lepanto” composto da dodici grandi tele (vedi sopra, Lepanto VII). Le sue opere posteriori al 2000 sono quelle che, finora, hanno ricevuto un pieno e meritato successo a dispetto del distacco con cui vennero accolte quelle della prima parte della sua carriera.

Le quotazioni del pittore, però, non sono decollate fino al 2004, anno in cui la mostra “50 years of drawing” ha permesso all’artista di totalizzare prezzi milionari mentre il suo top price è stato aggiudicato nel 2013 ad un’asta di Sotheby’s New York con 15.397.000 $ pagati per “Bolsena” del 1969, colore da muro, matita e pastello su tela di cm 200x240, confermando la preferenza per le opere dei tardi anni ’60. Twombly è anche recentemente salito agli onori della ribalta italiana dopo la sua scomparsa per i problemi sorti tra il figlio e la Fondazione Cy Twombly di New York relativi alla divisione dell’eredità ammontante a 1 miliardo e duecento milioni di dollari e per un’accusa di evasione delle imposte per ottanta milioni di euro incassati dalla vendita di quaranta pezzi. L’enormità delle cifre di cui si parla spiega bene le possibilità di arricchimento offerte ai pittori contemporanei che si motivano anche con la contestuale velocità e facilità di produzione di grandi numeri di pezzi. 21


ARTE PUBBLICA

Con la denominazione ‘arte pubblica’ (dall’inglese, public art) si suole indicare una specifica modalità di creazione e fruizione di un tipo di opere pensate per entrare nelle strutture urbane delle città con l’intento di interagire attivamente e positivamente con il tessuto sociale. Nata a partire dagli anni settanta, in concomitanza con la crisi delle grandi città metropolitane, essa rifiuta l’idea di ‘monumento’ in quanto, anche se non sempre è chiara la distinzione, si pone fini comunicativi e non celebrativi. Lo slogan “portare l'arte sul territorio” esprime la voglia di far uscire la creatività dai luoghi ad

essa deputati, gallerie e musei, e di portarla a contatto con la popolazione nelle strade e spazi pubblici per cercare di caratterizzare o rivalutare specifici luoghi dell'ambiente cittadino. Le opere, per rientrare nella “public art”, devono possedere alcune caratteristiche chiare, in particolare essere ‘site-specific’, vale a dire pensate appositamente per il luogo in cui sono collocate e non essere staccate da esso da alcun piedistallo che le ricolleghi al concetto di monumento classico dato che, storicamente, l’opera pubblica è sempre stata il tradizionale strumento di produzione del consenso, di celebrazione di eventi o di personaggi altolocati, per la consacrazione dell’autorità. L’arte pubblica deve possedere le caratteristiche di riconoscibilità e di collocabilità nel tessuto urbano e sapersi confrontare con il contesto paesaggistico, territoriale, sociale e urbanistico. L’artista, insomma, deve tenere ben conto del contesto reale in cui si presta ad intervenire poichè sul territorio sono sempre rappresentate le contraddizioni prodotte dalla società. Gli esempi di public art sono ormai numerosissimi in tutto il mondo, un po’ meno in Italia dove, da sempre, esiste la tradizione di opere realizzate nei luoghi pubblici e spesso si tende a confondere le funzioni tra i due tipi di interventi artistici.


TRAILS

Negli Stati Uniti, che non possono vantare le tradizioni storiche dell’Europa e dove agiscono artisti che hanno una visione artistica più svincolata dal passato e dal contesto urbano (pensiamo alla street art e ai writers) un tipo di intervento inedito è stato creato da un public artist che ha scelto di rimanere anonimo per non incorrere in problemi di carattere legale e che si firma semplicemente “Trails” (scie) con un monogramma che ripete in ogni performance. Gli spregiudicati interventi in luoghi pubblici, infatti, che riesce a far eseguire a dei passanti ignari di essere lo strumento di un suo progetto di “appropriazione-personalizzazione” degli spazi urbani anonimi della periferia, potrebbero creargli non pochi problemi legali. La tecnica messa a punto da Trails, che già i mass media definiscono ‘footer’ (da Big Foot, piedone) è fondata sull’utilizzo di SDDD (synthetic dye in delayed reaction) pigmenti sintetici a reazione ritardata creati dall’industria militare per operazioni di intelligence. Questi coloranti possiedono la caratteristica di essere delle micropolveri inizialmente incolori che assumono vari colori dopo alcune ore e che possono essere collocate in posizioni strategi-

che ove si presume vi possa essere il passaggio delle persone da controllare. Trails, entrato in possesso dei pigmenti colorati, evidentemente non disponibili al pubblico, li ha usati in diverse piazze pubbliche di Los Angeles, posizionandoli durante la notte in prossimità degli accessi. Nel corso del giorno i passanti avevano trasportato con le suole i pigmenti contribuendo a così a costruire una trama di scie colorate che è cominciata ad apparire solo dopo qualche ora. Il risultato è documentato dalle fotografie scattate dall’artista in cui si evidenzia la fitta ragnatela delle scie colorate prodotte dalle persone che utilizzano gli spazi pubblici seguendo percorsi invisibili che riproducono plasticamente la vita urbana e i suoi comportamenti sociali. Solo recentemente l’artista ha alzato il tiro indirizzando il suo interesse anche nei confronti di luoghi come il Guggenheim Museum di New York, per manifestare il rifiuto della privatizzazione delle opere d’arte. Questa performance, che ha creato modesti inconvenienti al museo, ha allertato le autorità che, in un comunicato, hanno stigmatizzato duramente l’uso dell’ SDDD, materiale top secret, equiparandolo ad un’azione terroristica. 23


ANTONELLO DA MESSINA MART “Antonello da Messina” Rovereto, 5 ottobre 2013 - 12 gennaio 2014 Si sa che, per tutti, c’è sempre una prima volta, ebbene, anche per il MART abbiamo assistito alla sua quando, se la memoria non ci tradisce, per prima volta ha allestito una mostra dedicata unicamente all’arte antica. La scelta ha fatto discutere perché il ruolo istituzionale del museo dovrebbe coprire tutto l’arco dell’arte moderna e contemporanea ma non di quella antica anche se la regola non è tassativa perché delle incursioni in altre epoche sono permesse e, a volte, auspicate per ragioni storiografiche. Nel caso della mostra dedicata ad Antonello da Messina e altri pittori a lui contemporanei definita dal MART - il momento più importante dell’attività espositiva del Museo nel 2013 - non è facile comprendere come essa possa rientrare nei suoi programmi, anche se le

ragioni di questo allargamento di interessi possono essere intuibili. D’altro canto, è anche vero che, oggi, solo il MART dispone dei fondi e del prestigio indispensabili per poter organizzare un simile evento in Trentino poiché, i molti prestiti internazionali concessi per i capolavori esposti, richiedono tanti e tali costi, garanzie, protezioni, assicurazioni e procedure tecnico-scientifiche, che è difficIle pensare ad un’altra istuzione in grado di far fronte a una tale mole di lavoro e di responsabilità. Una mostra su Antonello da Messina è, quindi, abbastanza anomala ma, vista l’occasione unica e irripetibile, non possiamo che apprezzare che essa ci sia stata regalata offrendo la possibilità, a chi non ha mai avuto l’occasione di vedere prima molte delle opere esposte, di osservarle dal vero e, soprattutto, da vicino. Non si conoscono ancora le intenzioni del MART per il futuro, si sa solo che il suo finanziamento da parte della Provincia sarà ulteriormente ridotto e che, mostre di questo livello qualitativo, probabilmente, non si ripeteranno più. Quindi, anche se l’arte antica non sempre possiede la capacità di attrarre grandi numeri di visitatori, questa esposizione di capolavori è sicuramente un’occasione unica da non perdere per poter ammirare ‘de visu’ i dipinti esposti. I quadri presentati sono 19, non moltissimi, però bisogna tenere presente le caratteristiche specifiche della pittura di quel periodo. Contrariamente a gran parte dell’arte contemporanea che può essere fruita con un approccio emozionale puntando, eventualmente, l’attenzione su alcuni particolari più o meno complessi, la lettura delRitratto d’uomo, 1475 ca, olio su tavola, cm 30x24


STORIA E ARTE la pittura dei Maestri del ‘400 è più complessa perché richiede un approccio non superficiale e un’attenzione ‘analitica’ nell’osservazione sia dell’insieme che dei dettagli. Le opere esposte, infatti, possiedono una tale qualità intrinseca che possono essere godute solo imponendosi di ‘esaminare’ accuratamente ma, soprattutto a breve distanza, ogni dipinto. E ciò per tre ragioni: innanzitutto per la tecnica pittorica che è quanto di più dettagliato, preciso e minuzioso si sia mai visto; in secondo luogo perché le dimensioni dei quadri sono ‘ridicolmente’ piccole abituati come siamo a tele spesso enormi e, infine, perché in molti di questi dipinti sono ritratti visi di persone reali. Tutte queste ragioni consigliano una visione ravvicinata delle fattezze e delle espressioni poichè esprimono magistralmente la personalità dei personaggi, coinvolgendo l’osservatore ancora a distanza di sei secoli. Queste immagini ‘ad alta definizione’ che emergono dal fondo nero del tempo, consentono di penetrare in mondi passati che ci raccontano storie capaci di intrigare e di parlare di umane vanità, miseramente svanite, nonostante le ricchezze e il potere. Grazie all’Arte e all’eccelsa bravura di Antonello da Messina, definito dal figlio Jacobello “artista non umano”, questi uomini corpulenti e grossolani sono entrati, loro malgrado, nella Storia della Bellezza. Ecco, quindi, che è cosa positiva ritrovarsi in una mostra con non troppe opere, troppi visi, troppi santi, religiosi e Sacre Famiglie, che la capacità di mantenersi attenti e lucidi, viene poco a poco smorzandosi di pari passo con l’aumento della fatica. Meglio diciannove capolavori, ben presentati in un ambiente consono, per lasciare tutto il tempo che serva, non per guardare, ma per ‘vedere’.

Ritratto d’uomo, dettagli Ritratto di giovane, 1470-74, olio su tavola, cm 32,1 x 27,1



Dicembre 2013, Anno 2 - N.12

Mostre in regione Luigi Senesi Bruno Lucchi Paolo Dalponte Pablo Picasso Edward Munch

De pictura

pag. 28

PERLE “giocose armonie”

pag. 29

Caffè?

pag. 30

40° anniversario della scomparsa

pag. 31

150° anniversario della nascita

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pag. 32-33


Organizzazione

Luigi Senesi. De pictura Pergine Valsugana Sala espositiva del Teatro Comunale Sala Maier 22 novembre 2013-19 gennaio 2014 orario lunedì, martedì, mercoledì 15.00/20.00 giovedì, venerdì, sabato e domenica 10.00/13.00-15.00-20.00 chiuso Natale e 1° gennaio

Roberto Oss Emer Sindaco di Pergine Valsugana

Flavio Pallaoro Presidente Pergine Spettacolo Aperto

che si terrà venerdì 22 novembre, ore 18.00 al nuovo Teatro di Pergine Valsugana in piazza Garibaldi

Luigi Senesi. De pictura

Abbiamo il piacere di invitarLa all’inaugurazione della mostra

Provincia autonoma di Trento

Comune di Pergine Valsugana

In collaborazione con

Con il sostegno di


Perla “Pensieri”- bronzo, cm. 56,7- 2012

bruno lucchi PERLE “giocose armonie”

7 dicembre 2013 - 7 febbraio 2014 Inaugurazione sabato 7 dicembre 2013 - dalle 18.00 alle 22.00 Clusone (Bg) - via Mazzini, 37 - Tel. 0346.24666 - info@pezzoliarte.com - www.pezzoliarte.com ORARI: tutti i giorni 10.00 - 12.30 / 16.00 - 19.30 - chiuso il mercoledì



PABLO PICASSO (1881-1973), Disegni con la luce, 1949 Nel 2013 ricorre anche il quarantesimo anniversario della scomparsa di Picasso avvenuta nel 1973. Sicuramente il pittore moderno più popolare nel mondo, è tuttora lo stereotipo dell’artista “astrattista”. La sua creatività era esplosiva e a trecentosessanta gradi: tutto lo interessava, lo incuriosiva e lo stimolava ed era sempre pronto a sperimentare qualsiasi tecnica o linguaggio espressivo. La sua maestrìa è evidente anche quando, sessantottenne, “disegna” nell’aria con una semplice luce.



Il 12 dicembre 1863 nasceva a Løten in Norvegia il pittore Edvard Munch e, pertanto, quest’anno ricorrono i 150 anni dalla nascita dell’artista. Numerose sono state durante tutto il 2013 le manifestazioni celebrative, sia nella sua patria che nel resto del mondo: queste celebrazioni culmineranno in una grande esposizione delle sue opere pittoriche ad Oslo, la più ampia retrospettiva mai realizzata sull’artista con più di 200 tele e 50 opere grafiche. L’opera di Munch aspira a rappresentare il destino umano nella sua totalità ma la sua travagliata esperienza di vita, contrassegnata dalla malattia fisica (soffrì di tubercolosi polmonare che lo costrinse a lunghe degenze in sanatorio) e psichica, culminata con un ricovero in ospedale psichiatrico, conduce il pittore a percorsi creativi nei quali domina l’angoscia, il dolore, la sofferenza e tutta la patologia dell’esistere. Egli concepisce l’arte come malattia dell’anima e cercando di scandagliare i meandri più nascosti e segreti dell’esistenza giunge alle soglie del mistero spettrale della morte. “L’urlo” è l’opera più famosa di Munch e forse rappresenta il cardine della sua esperienza artistica: l’immagine rievoca tutta l’angoscia dell’uomo moderno, è un viaggio psicanalitico negli abissi più tormentati della psiche, il quadro perturba le coscienze proprio perché mostra tutta la disperazione esistenziale che attanaglia l’umanità. L’analisi freudiana delle psico-nevrosi trova nell’opera di Munch rappresentazione, compendio e sintesi ed è forse per questo che in ogni convegno, ove si parli di patologia della psiche, una o più slides vengono dedicate a “L’urlo” di Munch. Prima della sua morte, avvenuta nel 1944, l’artista potè assistere all’avvento e all’affermarsi del nazismo, e il tema dell’angoscia individuale, quale emerge dalla sua opera, diventa grido di sofferenza e di disperazione per tutte le generazioni del suo tempo, è la psiche collettiva ad essere travagliata e sconvolta dalle atrocità della guerra e delle deportazioni. dott. Claudio Boninsegna Neurologo

Munch scrisse nel suo diario il suo obiettivo semplice: “Nella mia arte cerco di spiegare la vita e il suo significato per me“.

EDWARD MUNCH (1863-1944), L’urlo, 1893, olio, tempere e pastelli su cartoncino, 91x73 cm 33


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QUOTA DI ISCRIZIONE PER L’ANNO 2013 E’ stata mantenuta la quota d’iscrizione di euro 50.00

Il versamento dovrà essere effettuato con la causale: ISCRIZIONE ANNO 2013

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