FIDAart N.1 2015 Giuseppe Debiasi

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PERIODICO della FIDAart N.1 - Gennaio ANNO 2015

FIDAart


In copertina: Giuseppe Debiasi, Armadio contadino, 1990, olio su tela, 80x80 cm (Storie di paese)


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FIDAart sommario

Gennaio 2015, Anno 4 - N.1

Editoriale

L’arte dell’ottimismo

pag. 4

Politiche culturali

Dopo Collu, Feltrinelli

pag. 5

Intervista ad un artista

Giuseppe Debiasi

pag. 6-19

Mercato dell’arte?

Domenico Gnoli

pag. 20-21

I giganti di acciaio

Yoshida Tainai Jukei

pag. 22-23

Fotoreporters

Phil Stern

pag. 24-25

News dal mondo DOMENICO GNOLI

“Capelli neri”, 1969

pag. 28

DOMENICO GNOLI

“Striped shirt label”, 1969

pag. 29

DOMENICO GNOLI

“Chemisette Verte”, 1967

pag. 30

DOMENICO GNOLI

“Linea vita”, 1969

pag. 31

“La camicia delle feste”, 2014

pag. 32

Omaggio a DOMENICO GNOLI

Copyright FIDAart Tutti i diritti sono riservati L’Editore rimane a disposizione degli eventuali detentori dei diritti delle immagini (o eventuali scambi tra fotografi) che non è riuscito a definire, nè a rintracciare


EDITORIALE L’ARTE DELL’OTTIMISMO Si crede comunemente che i momenti peggiori di una società siano i più fecondi per la nascita di idee e forze nuove in grado di farla uscire da suo stato di crisi. Non sembra il caso dell’Italia, la quale, pur detenendo quasi tutti i record negativi immaginabili, non riesce ad uscire dal pantano economico, morale, politico e culturale in cui sguazza da anni. Ai giovani - ormai al 44% di tasso di disoccupazione - non rimane che la fuga da un Paese che li ignora, relegandoli al rango di consumatori passivi o di forza lavoro gratuita. Cosa c’entra tutto ciò con l’arte? Nulla, se si ritiene che gli artisti siano dei privilegiati che si debbano limitare a colorare delle tele da appendere al muro; tutto, se l’artista, invece non ritiene sè stesso un utile idiota ma un cittadino che ha il diritto e il dovere di parlare, attraverso la sua arte, del mondo in cui vive. Che non è certo “il migliore dei mondi possibili” come spiegava all’ingenuo e inguaribile ottimista Candido, il precettore Pangloss (pan-glossa: cioè, tutto lingua) creato da Voltaire. Noi italiani speriamo nello “Stellone” che ci ha sempre salvato in extremis in un passato lon-

tano ma oggi superato da una realtà in continuo cambiamento. Rimane sempre la terza via che è norma antica nel nostro Paese, quella del Gattopardo: “Cambiare tutto per non cambiare nulla”. Gli USA annunciano una crescita del PIL del 5% e gli americani, tornati ottimisti, vogliono risalire ai livelli pre-crisi e stanno già reinvestendo nei Fondi delle stesse banche responsabili della più grande truffa economica mondiale. “Gianni, l’ottimismo è il profumo della vita!”, sproloquiava nel 2001, l’anziano poeta e sceneggiatore Tonino Guerra nello spot di una catena di supermercati (italiani, ma già allora controllati da una multinazionale inglese). I ricchi, i soli che per ora sentono il “profumo della vita” (e dei soldi), si possono permettere di buttare 3 milioni e mezzo di dollari (3.000.000 di euro) nel cesso, anzi nei cessi: tre pregevolissimi orinatoi in gesso verniciato realizzati in scala reale da Robert Gober, artista specializzato in finti sanitari. Una vera chicca! Il milionario che si è aggiudicato le “opere”, potrà appenderle ad una parete del soggiorno dove farle ammirare dagli ospiti. Se questo non è ottimismo. Paolo Tomio

In basso: ROBERT GOBER, Tre Urinatoi, 1988, smalti, gesso, filo, assicella di legno, 55x39x35 cm cadauno venduto all’asta di Christie’s New York del 12 novembre 2014 per 3.525mila dollari (€ 2.913.900)


POLITICHE CULTURALI DOPO COLLU, FELTRINELLI In anticipo sulla scadenza del suo contratto triennale, la direttrice del Mart, Cristiana Collu, ha presentato le sue dimissioni ufficiali dal museo, motivandole con l’assenza di condizioni per restare a causa del «prevalere di una sorta di “indefinitezza” nel nuovo Consiglio d’amministrazione», il quale l’avrebbe lasciata priva di risposte per mesi. Qualcuno lascia filtrare delle larvate critiche sul compenso della direttrice mentre altri, contemporaneamente, parlano della necessità di una figura di livello internazionale. Le cose, chiaramente, appaiono contraddittorie: è difficile che un personaggio importante possa impegnarsi in una difficile avventura senza adeguata remunerazione e, soprattutto, in mancanza di precise garanzie sugli investimenti previsti per il futuro. Come si è compreso, la Collu è “stata dimissionata” in un modo poco limpido da un CdA insediatosi dallo scorso aprile che però, finora, non ha comunicato quale sia la sua visione del ruolo del museo e che idee abbia sul suo futuro. La Presidente del Mart, Ilaria Vescovi, amministratore delegato di una industria metalmeccanica ed ex Presidente di Confindustria-Trento, nega qualsiasi rilievo e risponde sul giornale che, se interessata, anche la Collu potrà partecipare alle selezioni per il nuovo direttore. I cordoni della borsa sono ormai talmente tirati che chi verrà, dovrà fare i salti mortali per riempire di contenuti (e di pubblico) le vaste sale dell’architetto Botta. E’ vero, il museo dispone di archivi ricchi e sconosciuti che potranno essere sfruttati per mostre di buon livello qualitativo ma, complice la penuria di danaro sia del Mart che degli italiani, difficilmente negli anni a venire il numero dei visitatori risalirà ai livelli

precedenti. Qualche settimana dopo, anche Carlo Feltrinelli, definito unico membro del CdA dalla caratura internazionale, ha rassegnato le dimissioni con motivazioni sostanzialmente simili a quelle della Collu. Secondo Feltrinelli «Fin da subito è mancata una condivisione di visione e di missione del Mart. Non c’è visione per il futuro». E riguardo alla Provincia: «Mi sembra che il quadro sia poco chiaro e pericoloso per un’istituzione di eccellenza come il Mart». Pare che la Presidente Vescovi non l’abbia cercato, nemmeno per un chiarimento, mentre il Sindaco di Rovereto dichiara: «Questo è un bruttissimo segnale per gli esperti d’arte». Nel frattempo, il Museo ha pubblicato il sintetico “Bando” per il futuro direttore: “Gli interessati possono sottoporre le proprie candidature entro il 31.12.2014”. La ricognizione delle disponibilità per il ruolo sarà sottoposta al vaglio di una società di “cacciatori di teste”. Mah, speriamo bene. 5



Intervista a GIUSEPPE DEBIASI “Il quadro è metafora dell’esistenza” scrive Giuseppe Debiasi. Forse è per questo che la sua pittura espressionista non lascia mai indifferenti gli osservatori i quali, di fronte ai dipinti in cui prevale la forza vitale immediata, a volte violenta, il gesto istintivo e veloce, il suo mettere a nudo l’anima, non possono non rimanere coinvolti emotivamente. La sua è un’arte informale nella quale l’esaltazione dell’inconscio avviene attraverso l’assenza di controllo razionale da parte del pittore e tramite le possibilità espressive dei colori e la dinamica gestualità libera di espandersi sulla tela. Il segno nasce da un impulso legato alla non premeditazione del gesto pittorico e dei movimenti eseguiti dall’artista nel momento in cui realizza l’opera, la quale si basa soprattutto sull’improvvisazione e sulla velocità d’esecuzione. Fondamentale non è l’opera in sè, quanto l’atto del “processo di creazione” della stessa. Il colore ha una consistenza materica tangibile e corporea, ha massa e spessore e viene steso a strati con le dita e le mani. Anche l’uso di materiali trovati, presi dal mondo esterno, è pratica corrente: “Il quadro non è bidimensionale, e quindi illusione, ma tridimensionale cioè realtà viva, da toccare con mano”. Tutto concorre alla tensione che l’artista vuole esprimere in quel momento sulla tela. La poetica di Debiasi nasce dal rifiuto della forma e da una sfiducia nella razionalità e nei valori di una società conformistica: “La vita non è geometrica, ma liquida e l’arte non è calcolo, ma macchia”. L’arte deve nascere da dentro e non può essere “imparata” come uno stile o una tecnica: è un modo di essere. La sua costante volontà di ricerca unita ad una continua sperimentazione tecnica e materica, hanno trovato espressione in numerosi cicli pittorici, anche molto diversi tra loro, ma sempre caratterizzati da uno stretto rapporto con la storia della sua terra e, in particolare, con la Natura intesa come fonte infinita di vita e di bellezza e, in ultima analisi, di Arte. Paolo Tomio A sinistra: Il travestito, 1996, tecnica mista più oggetti su tavola, 253x185 cm

In basso: Temporale su campo di grano, 2012 tecnica mista su tela, 100x150 cm


Quando e perché hai cominciato a interessarti all’arte e dedicarti alla pittura?

Quali sono state le correnti artistiche o gli artisti che ti hanno influenzato?

Avevo vent’anni quando morì mia madre. Sentii l’esigenza di mettermi a dipingere. Lo feci in maniera istintiva. In seguito lessi uno scritto di Freud in cui l’esigenza di dipingere nasce per la mancanza dell’oggetto perduto. Feci la tesi di laurea sull’infanzia di Jean Mirò in chiave psicologica.

La pittura d’azione, l’espressionismo astratto, la calligrafia giapponese. Franz Kline, Henri Michaux, Jackson Pollock, Penck, Mirò...

Primo e secondo, 1990, olio su tavola 100x100 cm, (Storie di paese)

Hai avuto una fase figurativa iniziale oppure hai subito sviluppato un linguaggio astratto? All’inizio dipingevo in modo figurativo, succes-


sivamente mi sono concentrato sull’astratto.

Quando e perché è avvenuto il passaggio dal figurativo all’astratto? Trentacinque anni fa all’accademia ho iniziato rivisitando la figura umana, studiando l’anatomia, disegnando le modelle che venivano a posare. Nel corso dei quattro anni, con Emilio Vedova, abbiamo studiato e sperimentato tutte le correnti artistiche, dall’Ottocento in poi: Impressionismo, Cubismo analitico, Espressionismo ecc. Io ho scelto un modo di esprimermi più vicino al mio temperamento, che rispecchiasse il mio carattere, me stesso. Per me il figurativo è limitante alla mia espressione.

Perché ti sei orientato verso un linguaggio gestuale? Ha pesato aver avuto come insegnante Emilio Vedova? Il linguaggio gestuale rispecchia la mia personalità. No, Vedova ci dava gli strumenti per poterci esprimere ma poi ognuno di noi aveva un proprio linguaggio.

Il tipo di pittura gestuale richiede un impegno fisico e psichico particolare? Vale a dire: si nasce “gestuali” o lo si diventa?

In alto: Il frangivento, 2005, vernice su tela e catino, 54x230 cm (Il torrente ritrovato)

Si nasce “gestuali”, comunque bisogna essere molto concentrati per non ripetere gesti già visti.

L’arte informale e gestuale è irrazionale o è un

A destra: Vernice su nido, 2005, 16x11x5 cm (Il torrente ritrovato)

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altro modo di vedere la realtà? Cosa cerchi di rappresentare nelle tue opere: concetti o emozioni? Per me l’arte informale è un’esaltazione della realtà, è un modo più immediato per registrare la stessa. Io cerco nelle mie opere di rappresentare sia concetti che emozioni, in maniera molto veloce. L’espressionismo mi da la possibilità di fermare l’attimo fuggente e, nella sintesi della mia gestualità, cerco di scavare in profondità nell’oggetto che dipingo.

In un’intervista parli di quanto abbiano pesato i tuoi problemi con la religione. Con la religione ho avuto un rapporto conflittuale. Da piccoli i preti ci davano dei grossi con-

Paesaggio toscano, 2012 tecnica mista su tela, 100x150 cm

dizionamenti, non ci permettevano di essere noi stessi; per loro noi facevamo sempre peccato. Avevano un potere troppo forte. In più, anche per una piccola marachella, ci picchiavano. Questo rapporto mi ha condizionato per trent’anni. Per questo nei miei lavori inserisco dei chiari riferimenti alla religione. Io sono credente, ma non praticante. L’unica cosa bella era l’oratorio dove potevamo giocare tutti assieme

Oggi, cosa ti interessa e cosa non ti piace dell’arte contemporanea? Mi piace molto Hopper. Un personaggio molto profondo e interessante nel trasmettere delle emozioni particolari. Non mi sembra ci sia una ricerca nei giovani, si accontentano di piccole trovate. Anche a me vengono in mente queste idee, ma le trovo talmente scontate che non le concretizzo.


Giorno delle ceneri, 1990, olio su tavola, 90x90 cm

Qual è la tecnica artistica che utilizzi principalmente nella tua attività?

Nelle tue opere predominano il colore e la materia. Cosa rappresentano per te?

Diverse tecniche: acrilico, olio, sabbia, sassi, vernici, collage, polvere di marmo, foglia d’oro. L’oggetto stesso lo inserisco nell’opera direttamente. Uso le mani per vivere fino in fondo la materia.

Il colore rispecchia la realtà ed è importante usarlo. A livello materico mi interessa mostrare che quello che dipingo ha uno spessore vivo, reale.

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Le belle donne, 1996, tecnica mista su tavola 85x85 cm

Si, ho sempre lavorato per cicli. Quando inizio, non so quando finisco, il ciclo si esaurisce da solo e poi ne inizio un’alto. Alcuni cicli durano un anno, altri diversi anni. Se non avessi questi cicli la mia arte risulterebbe falsa. Il bello è mettersi in discussione, il quadro lo si fa per sè stessi, dopo aver analizzato la realtà che mi circonda. Ascolto i tempi in cui vivo. Alcune cose sono più forti, altre meno, tutto dipende dal tipo di antenne che butti per aria. Io non credo all’artista che per trent’anni fa lo stesso tipo di lavori. Meglio muoversi in base a come cambia la società che ci circonda.

Quando e perché hai cominciato ad usare solo le mani (e i piedi) per applicare il colore? Da sempre. Avevo bisogno del contatto diretto con i materiali.

Nel corso della tua carriera hai attraversato diversi “cicli” in cui il linguaggio è cambiato anche radicalmente?

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Nonostante l’istintività, si nota però il tuo interesse per la sperimentazione di tecnologie nuove. Si, sempre, registrando il tempo, non posso non prendere atto dei cambiamenti, vado di pari passo.

Che ruolo svolgono i materiali artificiali o naturali trovati o recuperati che inserisci nelle tue tele? L’oggetto ha il proprio vissuto e la propria storia. Nel suo percorso ha già una sua anima. Valorizzo la sua vita. Sono tutti oggetti umili che ci ricordano delle realtà disagiate.

Hai anche affrontato anche altre tecniche arti-

stiche: incisione, scultura ecc.? Si, incisione, acquaforte, acquatinta, cera molle, puntasecca ecc. Non la scultura classica, ma l’oggetto dipinto. Litografia, xilografia, sono tecniche che insegnavo a scuola.

Quanto ha inciso il rapporto con tuo territorio nella tua crescita artistica e con il fiume di Ala? Io attingo nel posto dove sono nato per recuperare l’infanzia perduta. Come facevano Mirò e altri artisti. Da bambino ho vissuto sul torrente per mesi, guardando nello stesso tempo gli elementi naturali che mi circondavano, l’acqua, il fuoco, la

Made in Japan, 2007, pastello ad olio e tecnica mista su carta, 10,7x15,3 cm


Paesaggio estremo, 2000, tecnica mista più oggetti su tavola, 119x150 cm

Nel corso della tua carriera, hai conosciuto molti artisti locali o nazionali?

terra, ma anche i pesci, gli animali, i rettili. Per me la natura è sempre stata vita e sentendola tantissimo ci sono rimasto legato tutt’ora. Perciò, quando dipingo i torrenti, le loro cascate, dal momento che da bambino ci facevo anche il bagno e vi avevo imparato a nuotare, riesco ad esprimere la vera essenza dell’acqua.

Si, tantissimi. All’accademia eravamo 125 allievi sotto la guida di Vedova e la cosa interessante era che eravamo di stati diversi: giapponesi, inglesi, tedeschi, italiani. etc. Potevamo confrontare i nostri diversi stili e avere uno scambio culturale intenso. Nello stesso periodo in aula arrivavano artisti, critici d’arte già affermati a tenere delle lezioni: Kiefer, Penck, Carlo Giulio Argan, Achille Bonito Oliva, Flavio Caroli, Germano Celant, Massimo Cacciari ecc. Da lì si è saldata un’amicizia con altri colleghi: Taioli, Guerresi, Massagrande, Antolini. Noi cinque siamo stati scelti dal critico di Verona Luigi Meneghelli che ci fece esporre in numerose gallerie d’arte italiane. Avevamo

Sei uno degli ultimi pittori che dipingono “en plein air”; la natura è un tema molto presente nei tuoi dipinti: cosa rappresenta per te? La vita, l’anima, l’inconscio. Sentire i rumori e vedere il paesaggio mi consente di immergermi totalmente. Fin da bambino sono a contatto con la natura.

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quattro gallerie d’appoggio che ci portavano nelle fiere e ci facevano fare scambi continui con altri artisti.

che Panizza, Mellarini, Collu. Loro pensano solo ai grossi nomi da portare qui da fuori, mentre per noi non fanno niente.

Come ti sembra il panorama dei pittori trentini d’oggi? Cosa manca al Trentino per poter essere più presente sul mercato esterno?

Segui la “politica culturale” trentina? Pensi che si possa fare di più o meglio per il settore artistico?

Manca tutto. Non c’è uno scambio con altri paesi. Vengono buttati molti soldi pubblici in strutture fallimentari. Devo dire che difficilmente trovo artisti trentini all’esterno del Trentino, gli artisti trentini tendono a essere sedentari. Ancora trent’anni fa si sarebbe dovuto aprire uno spazio di scambio continuo con altri artisti, ma dai nostri politici c’è un disinteresse totale. Il Mart è un fallimento. Gabriella Belli se ne è sempre fregata di noi artisti e assieme a lei an-

Non c’è la volontà di farlo.

Tu sei diventato molto conosciuto per alcune provocazioni: i quadri bruciati in piazza e la falsa notizia pubblicata sui giornali della tua morte. Puoi spiegare le ragioni di queste “performances”?

Il cane nero, 1998, tecnica mista su tavola, 170x250 cm


Il maiale nella mesa, 1998, tecnica mista su tavola più oggetto, 170x250 cm

più. Le provocazioni erano un richiamo per far sentire la mia voce in quanto, in Trentino, noi artisti siamo ignorati completamente. Per noi non è mai esistito uno spazio espositivo pubblico. Non ho mai visto nessun assessore alla cultura varcare la porta del mio studio o di quello di altri miei colleghi. Non ho mai esposto né al Mart, né alla galleria Civica, anche se ho un curriculum di tutto rispetto. Si vede che la qualità non paga. I miei colleghi che purtroppo ci hanno lasciato, hanno avuto le stesse difficoltà: Mauro De Carli, Umberto Postal, Diego Mazzonelli, Rolando Trenti.

Cosa è per te l’arte? Un’espressione dell’inconscio, è il registrare la vita, un’espressione del momento che riesco a catturare, a fermare.

E, per finire, chi è l’artista? Una persona che deve stare con la gente, informarsi. Osservare la realtà. Una persona normale che registra la propria vita assieme agli altri.

Cos’è la bellezza? E’ un valore che ricerchi o è subordinato ad altri valori? A destra: L’aquila, 1998, tecnica mista su tavola, 250x170 cm

Subordinato ad altri valori che ti fa vedere di

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GIUSEPPE DEBIASI Nato ad Ala, provincia di Trento, nel 1947. Giuseppe Debiasi si è diplomato, in pittura, all’Accademia di Belle Arti di Venezia con Emilio Vedova. Dal 1982 espone in numerose gallerie. Nel 1983 è partita dalla Galleria Spazia di Bologna una mostra itinerante, curata da Luigi Meneghelli, intitolata “Open Line”, collettiva comprendente, oltre a lui Afro, Tancredi, Novelli e Vedova. Ha creato un ciclo di opere a tema esposte alla Cantina Endrizzi a San Michele all’Adige col titolo “Autunno”, per cui ha creato la linea di etichette ufficiali premiate a Londra come terze migliori etichette al mondo. Nel 1991 Rossana Bossaglia lo ha segnalato sulla rivista “Arte” Mondadori, come uno dei cento migliori artisti italiani dell’anno. Ha esposto a Roma alla “XI quadriennale” al Palazzo dei Congressi, all’Arte fiera di Bologna in diverse edizioni, al Musèe d’Art Moderne a Strasburg in Germania, all’VIII° Biennale nazionale d’arte contemporanea di Piacenza. Ha esposto in Giappone ad Hiroshima, in Spagna al Centro d’arte Contemporanea di Girona, ad Arte Sella a Borgo Valsugana, più volte allo Studio d’arte Raffaelli di Trento e alla Galleria Goethe di Bolzano. Durante la Guerra del Golfo nel 1991, ha dipinto una tela di 400 metri quadrati intitolato “No -War” esposta per diversi mesi in centro a Rovereto. Per il centenario della nascita di Depero, ha dipinto un ciclo di opere intitolato “Omaggio a Depero” presentate con delle personali in numerose gallerie. Ha esposto con personali in diverse città della Germania quali, Berlino, Monaco, Murnau, Hannover. Ha esposto nel 1996, assieme a Hermann Nitsch, Arnulf Rainer, James Brown, Bruno Ceccobelli, Mimmo Paladino, nella esposizione itinerante “La dimora degli Dei - sacro e dintorni”, la mostra si è svolta alla Casa Anselmi e alla Galleria Ponte Pietra di Verona e a Castel Ganda ad Appiano. Nel 1998 la sua città natale, Ala, lo ha omaggiato con una grande esposizione dal titolo: “Antologica”. Sempre nel 1998 a esposto a palazzo Forti di Verona. Per la Termoidraulica Bertolini, ha creato l’immagine coordinata con la decorazione dei mezzi di trasporto.

2000 Inizia una serie di esposizioni itineranti intitolata “Conventi Aperti” con artisti, musicisti e cuochi. Per la Mercedes ha dipinto la Smart nel 2000. Nel 2004 ha dipinto un camion per Scania. Dal 2004 al 2006 ha esposto nella catena di Relax Hotel Italia per la quale è stato pubblicato un catalogo dal titolo “Fiori all’occhiello”. Nel 2006 pubblica nel catalogo “Il torrente ritrovato” opere che continuano la sua personale ricerca nell’infanzia e nelle proprie radici. In seguito al suo viaggio in Giappone nel 2008 pubblica un catalogo che contiene i suoi disegni. Mostre personali 1982, I portali di G. Debiasi, Gall. Loreto, Rovereto 1984, Trame d’ombra, Gall. Spatia, Bolzano 1984, Trame d’ombra, Galleria Falaschi (UD) 1985, Galleria Tommaseo, Trieste 1986, Galleria Spatia, Bolzano 1986, Spazia studio d’arte, Bologna 1987, Storie di paese, Studio d’arte Raffaelli, Trento 1987, Il murales Marsilli, Studio arte Raffaelli, Trento 1988, Studio d’arte Raffaelli, Trento 1989, Paesaggi, Artra studio, Milano 1989, Paesaggi, Studio d’arte Raffaelli, Trento 1989, Autunno, cantina Endrizzi, S.Michele all’A. (TN) 1990, Numero civico 26, Gall. Goethe, Bolzano 1992 , Il paesaggio, Gall. contemporanea, Padova 1992, Omaggio a Depero, Gall. Dusatti 2, Rovereto 1992, Omaggio a Depero, Gall. contemporanea, PD 1993, Un Artista e una rivista, Stamparte, Bologna 1996, Il sentimento della natura, il genius loci, l’uomo e dintorni: Brandenburger hof, Berlin (D); Branderger haus, Munchen (D); Alpenhof, Murnau (D); 1997, Galerie Feiter & Drees, Hannover (D) 1998, Antologica, Palazzo ex Ginnasio, Ala (TN) 1998, Archivio del Novecento, MART, Rovereto 1999, Paragrafi per pittura veloce, Nordauto, Trento 2000, Passando per via vellutai, cantine Ferrari, TN 2003, Paesaggi estremi, Astoria hotel, Riva del Garda 2003, Fiori all’occhiello, Sala comunale, Dro (TN) 2003, L’acqua, Mirage hotel, Riva del Garda (TN) 2003, Fiori all’occhiello, Pal. Di Chiosca, Salò, (BS) 2003, Fiori all’occhiello, Pal.Madernini, Villalagarina 2006, Il torrente ritrovato, Forte Alto, Nago (TN) Mostre collettive 1982, Premio Lubian, Sabbioneta (MN) 1982, Arte Fiera, Bologna 1983, Expo Arte, Bari 1983, Non è d’obbligo il frac, Gall. Cinquetti, Verona 1983, Il volto della medusa, Colonia Pavese, Torbole

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1983, Frammenti, Galleria Cinquetti, Verona 1983, Frammenti, Galleria Asinelli, Bologna 1984, Trasfigurazioni, Gall. Falaschi, Passariano (UD) 1984, Arte fiera, Bologna 1984, Open line, Galleria Cinquetti - Verona; Galleria Pancheri - Rovereto; Spazia studio d’arte - Bologna; Galleria Falaschi , Passariano (UD) 1984, Musèe d’art moderne, Strasburg (D) 1985, Arte fiera, Bologna 1985, Summit, Palazzo Parisi, Denno (TN) 1986, Aperto, Galleria Tommaseo, Trieste 1986, Spazia studio d’arte, Bologna 1986, 40 artisti per Goethe, Pal. mostre, Torbole (TN) 1986, XI° quadriennale, Pal. Congressi Eur, Roma 1986, III° Biennale internazionale grafica, Arco (TN) 1987, 40 artisti per Goethe, Pal. Ducale, Mantova 1987, 8° Biennale nazionale d’arte, Galleria d’Arte Moderna Ricci Oddi, Piacenza 1987, Oltre ogni nomenclatura, Jesolo (VE) 1987, Sissi tanz, Galleria d’arte Raffaelli, Trento 1988, Teotokos, santuario di Tindari (ME) 1988, Situazioni endemiche, Arte Fiera, Firenze 1988, Sissi tanz, Galleria Cinquetti , Verona 1988, Sissi tanz,Hotel des Alpes, Madonna Campiglio 1988, Arte bicipite, Casa Strobele, Borgo Valsugana 1988, Arte Sella, Sella Valsugana (TN) 1988, Situazioni, Palazzo delle Albere, Trento 1990, Dall’italia, Espais d’art contemporani, Girona 1990, Autoritratto di galleria, Castel san Pietro Terme 1991, Arte Fiera, Bologna 1991, Lux mundi, Albergo delle povere, Palermo 1992, Arte fiera, Padova 1994, Trenta per trenta, Galleria Goethe, Bolzano 1996, La dimora degli dei - sacro e dintorni, Casa Anselmi, Verona; Galleria Ponte Pietra, Verona; Castel Ganda, Appiano (BZ) 1996, Artisti trentini di fine Novecento, Banca Popolare delTrentino 1997, International artists’ fusion and creation, Gallery k, Hiroshima, Japan 1997, Artisti e ambiente alpino, Casa degli artisti G. Vittore, Canale di Tenno, (TN) 1998, Quattro tè a Palazzo Forti, Verona 2001, Conventi aperti, Frati di san rocco, Rovereto 2002, Conventi aperti, convento Frati, Ala (TN) Giuseppe Debiasi vive e lavora ad Ala (Trento) tel. +39 338 8148259 www.giuseppedebiasi.it Email giuseppedebiasi@hotmail.com

Tutti i numeri 2012-2013-2014 della rivista FIDAart sono scaricabili da: www.fida-trento.com/books.html Tutti i numeri 2012-2013-2014 della rivista FIDAart sono sfogliabili su: http://issuu.com/tomio2013

FIDAart copertina del N.1 2015 Periodico di arte e cultura della FIDAart Curatore e responsabile Paolo Tomio

PERIODICO della FIDAart N. 1- Gennaio ANNO 2015

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MERCATO DELL’ARTE ? lismo magico, il mistero indefinibile del Surrealismo di Magritte. Secondo Restany, Domenico Gnoli cercava di ridare un senso all’immagine tradizionale, senza tuttavia “rinunciare alla rivoluzione dello sguardo” introdotta dalla pittura moderna. Gnoli, nasce a Roma in una famiglia borghese di cultura umanistica: la madre, contessa, pittrice e ceramista, il padre storico dell’arte e sovrintendente alle Belle Arti, che lo indirizza verso la pittura classica italiana, a cui “si ribellerà senza mai perdere il senso rinascimentale del gusto e dell’artigianato”. Studia privatamente disegno, incisione e segue un corso da scenografo, professione che eserciterà per diversi anni in Italia, a Parigi e a Londra. Nel 1955 si trasferisce a New York dove rimane fino al 1962 lavorando come grafico e illustratore per grandi riviste (da Fortune a Life) e cercando di emergere con la sua pittura figurativa. E’ solo a partire dal 1964 che l’artista approda a quella pittura figurativa di frammenti di oggetti quotidiani e banali tratti dalla realtà comune che lo hanno reso unico e riconoscibile. Dettagli di oggetti, di vestiario, di capigliature umane, visti da molto vicino e dilatati che Gnoli dipinge con certosina pazienza su grandi tele, decontestualizzandoli, ingigantendoli e trasformandoli in “altro”, in vere e proprie icone metafisiche. E’ difficile immaginare un realismo più astratto di questa sua figurazione. La sua presunta affinità con la Pop Art non ha alcun fondamento poiché egli descrive il suo mondo, italiano, borghese, formale e ordinato, esattamente l’opposto dell’industria dei consumi, della moda, dei media o più in generale della “società di massa” da cui prendono spunto gli artisti pop americani. “L’astratto, e il non figurativo, non mi tentavano. Poi è venuta la Pop art.

DOMENICO GNOLI (1933-1970), CAPELLI NERI, 1969, acrilico e sabbia su tela, 170x150 cm Christie’s, Febbraio 2014, Londra Venduto per 7.026.500 £, pari a 11.663.990 $ (8.499.933 Euro). Le opere di Domenico Gnoli, oggi considerato uno dei più grandi pittori italiani degli anni Cinquanta e Sessanta, stanno godendo della meritata scoperta e valorizzazione da parte di un mercato mondiale dell’arte, spesso assolutamente demenziale. Sebbene sia morto di cancro a 37 anni, egli ha lasciato un significativo repertorio di lavori che dimostrano come debba essere considerato il legittimo discendente di una pittura radicata nella tradizione figurativa italiana ed europea: la sospensione metafisica dechirichiana, la fissità di Morandi, il naturalismo estremo del Rea-

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DOMENICO GNOLI Qui l’oggetto volgarizzato era privo di magia. Io ho preso un’altra strada”. Gnoli è anche spesso definito un rappresentante dell’Iperrealismo, sbagliando perché il suo sguardo non è realistico fotograficamente ma metafisico, vale a dire filosofico e mentale: “Guardo questa sedia vuota. Racchiude un segreto e io intendo rivelarlo”. I suoi temi provengono dalla realtà delle situazioni familiari e della vita quotidiana, ma l’esito di surrealismo inquietante e di enigmatica assenza, sottolineano l’ambiguità e il senso di minaccia che trapelano proprio dalle cose (e dalle persone) che ci stanno più vicine. All’approccio alla realtà di Gnoli non sono estranei anche l’esperienza dell’immaginario visivo e spaziale da scenografo e costumista (“La vita va considerata come un gran guardaroba”), la precisione del grafico e l’analiticità dell’illustratore, tutte coniugate con una sottile componente ironica e, forse, noir. Il suo linguaggio si fonda sulla rappresentazione meticolosamente analitica di particolari di poltrone, sofà, letti, armadi, giacche, bottoni, camice, cravatte, guanti ecc., isolati, ingranditi, tagliati e impaginati in modo personalissimo, al punto di occupare tutto lo spazio del quadro. La composizione dei soggetti è quasi sempre rigorosamente simmetrica e permeata da un’atmosfera di classicità monumentale che suscita no un indefinibile disagio poiché raccontano della vita di persone che non appaiono mai. I dipinti sono sempre eseguiti servendosi di una tecnica a base di colori acrilici mischiati con sabbia che, non lasciando in evidenza il segno delle pennellate, dà alla rappresentazione un effetto di perfezione opaca e sottilmente misteriosa, che trasmette un senso di irrealtà o, meglio, di “sur-realtà”.

DOMENICO GNOLI, Spalla, 1969, acrilico e sabbia su tela, 160x140 cm, Christie’s 2005, Londra venduto: £ 388.800 ($ 686.621) DOMENICO GNOLI, Busto femminile di dorso, 1965, acrilico e sabbia su tela, 100x120 cm, Christie’s 2011, Londra, venduto: £ 2.337.250 ($ 3.683.506)

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I GIGANTI DI ACCIAIO Il gruppo di giovani artisti moderni giapponesi, Yoshida Tainai Jukei, prende il nome dai caratteristici “alberi di lava” di Yoshida, cioè il rivestimento stratificato intorno ai tronchi d’albero lasciato dai flussi lavici che scendono dalle pendici del vulcano Fujiyama, la montagna simbolo del Giappone considerata sacra dagli shintoisti. Per questa “confraternita” artistico-filosofica, gli alberi di lava simboleggiano la sintesi tra aria, terra, acqua e fuoco prodotta dalle eruzioni quando, dal caos e dalla distruzione degli elementi, nascono le nuove forme del futuro. Secondo i loro ideali, anche l’attività creatrice degli uomini segue questo andamento discontinuo in cui, a lunghi periodi di stasi seguono brevi ma violenti sconvolgimenti, che modificano radicalmente sia la realtà fisica che quella psichica e culturale degli attori coinvolti. Il filosofo giapponese Nishida Kitaro riteneva che la vera creatività non fosse il prodotto della coscienza, ma piuttosto il “fenomeno della vita stessa”, non contano il pensiero, le emozioni e le aspettative, ma la creatività deve risultare da una mu-shin, lo stato della “non mente”: un elevato livello di spiritualità e un cuore libero. A questi loro riferimenti agli ideali e alle tradizioni più antiche e nobili quali le arti marziali, la meditazione Zen, la calligrafia (il Shodo) una delle più antiche e importanti forme d’arte di tutto l’Oriente, i membri della confraternita accompagnano lo studio approfondito sia dei processi produttivi artigianali storici che di tutte le tecnologie informatiche e industriali più avanzate. Dall’equlilibrata commistione di tradizione e modernità ritengono sia possibile mantenere vivo uno spirito creativo coerente con la storia giapponese che conviva con le nuove esigenze Subashiri (Grotta), 2013, acciaio inox, H 3.90 cm

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YOSHIDA TAINAI JUKEI di una società moderna. Yoshida Tainai Jukei ha rifiutato tutti i linguaggi interessati alla decostruzione delle forme e sta impegnando la sua ricerca all’eterno tema della figura umana. Il complesso concetto di Shibusa, essenziale per l’estetica giapponese poiché si riferisce al tipo più elevato di bellezza, è stato tradotto in opere d’arte con una connotazione di austerità e di raffinatezza sofisticata che permettano di collegare tra loro moderazione e spontaneità. Il tipo di opere che lo Yoshida predilige deriva da una visione proiettata in un futuro in cui l’umanità avrà raggiunto la perfezione tipica dei superuomini o dei semidei. Simbolo di questa rinascita dell’Uomo Nuovo sono le gigantesce sculture in acciaio inox, ottenute in una unica fusione e caratterizzate da corpi perfetti privi di volto. Questi esseri femminili dalle ricche forme e maschili dal corpo muscoloso sono privi di espressione perché propongono un’ideale di bellezza assoluta e non legata a concezioni destinate, inevitabilmente, a scomparire. Le statue maschili, un po’ rigide e statiche, ricordano vagamente la statuina dell’Oscar hollywoodiano ma, grazie alla massa imponente, mostrano una carica potentemente espressiva. Molto più morbide le sculture femminili in cui è stata abbandonata la tipica postura imposta dalla tradizione nipponica, a favore di una atteggiamento meno formale, se non esplicitamente sensuale. Le mega sculture monolitiche raggiungono altezze superiori ai quattro metri e pesi di diverse tonnellate ma sembra che l’obbiettivo del gruppo sia di arrivare, in tempi brevi, a realizzarne grandi il doppio e oltre. Funatsu (Albero), 2013, acciaio inox, H 4.30 cm

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FOTOREPORTERS I personaggi che Stern ha “immortalato” in anni di attività nel mondo del cinema e della musica americani, sono ancora oggi circondati da un’aura mitica mai più raggiunta dai nuovi divi. Le quattro immagini pubblicate fanno comprendere la caratura delle persone riprese negli scatti di questo fotografo e la sua capacità di cogliere l’attimo giusto. Piccolo ebreo russo cresciuto nel Bronx, Stern aveva iniziato a fotografare a 12 anni con una Eastman della Kodak, rimanendo affascinato dalle immagini; ricorda: “Mio Dio, ho pensato, è stato magico”. Nel 1941 si arruola volontario e parte per il fronte da dove invia suoi reportage di guerra ma anche di cronaca di vita, documentando, tra gli altri, lo sbarco del 1943 in Sicilia. Ferito più volte, ritorna in patria dove viene decorato con la medaglia degli eroi, la “purple heart”. Per lui l’importante era sentire l’adrenalina e quello è il periodo in cui comincia a lavorare per molte delle riviste illustrate che stavano nascendo, Life, Look e Collier’s, diventando il fotografo più apprezzato dalle stelle dello spettacolo degli anni ‘40, ‘50, e ‘60. Più di tutto lo emozionano i ritratti, così ha finito per fotografare praticamente tutte le star: Marylin Monroe, Marlene Dietrich, Frank Sinatra, James Dean, Marlon Brando, John Wayne, Humphrey Bogart, Jerry Lewis, Ella Fitzgerald, Louis Armstrong, Liza Minnelli, Jack Lemmon, Rita Heyworth, Robert Redford, Rock Hudson, Tony Curtis, solo per citare quelli più celebri. Fino a diventare il fotografo ufficiale del Presidente John Fitzgerald Kennedy. Però, le foto di Phil Stern non sono i soliti ri-

Phil Stern, grande fotografo, è morto a Los Angeles il 15 dicembre, a 95 anni. Non molti lo ricordano ma, sicuramente, la generazione che ha vissuto i film in bianco e nero di Hollywood e le immagini dei loro protagonisti, riconoscerà molte delle sue fotografie che hanno rappresentato quella epoca d’oro.

Sopra: James Dean, Pull over sweater, 1955 A sinistra: Frank Sinatra and John F. Kennedy al Kennedy Inaugural, Washington D.C, 1961.

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PHIL STERN tratti stereotipati per le case cinematografiche, ma scorci privati che raccontano qualche cosa di più vero e intimo dei personaggi, riportando la loro realtà di persone normali. Come all’inaugurazione della presidenza Kennedy nel 1961, durante la quale ferma l’istante in cui Frank Sinatra accende la sigaretta al Presidente (vedi immagine) Intanto, le belle foto delle “celebrities” riempivano le cronache dei rotocalchi e le fantasie dei lettori di tutto il mondo contribuendo a far crescere nell’immaginario collettivo il mito del “Sogno americano” a cui, nel dopoguerra, aveva lavorato segretamente anche la CIA, finanziando alcuni film e boicottandone altri. La Storia poi racconterà che Sinatra frequentava noti mafiosi italoamericani, che il papà (filo nazista) di John Kennedy si era arricchito con la mafia durante il proibizionismo, che il Presidente e suo fratello Robert erano stati assassinati in due complotti in cui Servizi Segreti e mafia avevano avuto un ruolo primario. E anche che Marylin Monroe era stata l’amante del maniaco sessuale John Kennedy e che si era suicidata in circostanze piuttosto oscure. L’amico di Stern, James Dean, simbolo della ribellione degli adolescenti di quegli anni nel film “Gioventù bruciata”, era morto a soli 24 anni a causa di un incidente stradale a bordo della sua Porsche, la “Little Bastard”. Stern, che non aveva mai perso la sua umiltà, aveva recentemente rivelato che la posa della foto di James Dean con maglione (vedi immagine), probabilmente la sua immagine più famosa, era stata un’idea dell’attore. E, sempre a proposito di umiltà, Stern spiegava che: “Nessuno nasce fotografo. Si impara a diventare fotografi. Tutti abbiamo delle idee. Il problema è trasformarle in fotografia”.

In alto: Marilyn Monroe, Shrine Auditorium, 1953 Marlon Brando, smiling, 1954

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Gennaio 2015, Anno 4 - N.01

News dal mondo DOMENICO GNOLI

“Capelli neri”, 1969

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DOMENICO GNOLI

“Striped shirt label”, 1969

pag. 29

DOMENICO GNOLI

“Chemisette Verte”, 1967

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DOMENICO GNOLI

“Linea vita”, 1969

pag. 31

“La camicia delle feste”, 2014

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Omaggio a DOMENICO GNOLI

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DOMENICO GNOLI, CAPELLI NERI, 1969 acrilico e sabbia su tela, 170x150 cm, venduto Christie’s 2014 a 7.026.500 £ (11.663,990 $)

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DOMENICO GNOLI, STRIPED SHIRT LABEL, 1969 acrilico e sabbia su tela, 110x90 cm


DOMENICO GNOLI, CHEMISETTE VERTE, 1967 acrilico e sabbia su tela, 185x140 cm

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DOMENICO GNOLI, LINEA VITA, 1969 acrilico e sabbia su tela, 97x130 cm, venduto Sotheby’s 2014 a 2.210.500 £ (3.454.200 $)



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QUOTA DI ISCRIZIONE PER L’ANNO 2015 E’ stata mantenuta la quota d’iscrizione di euro 50.00 Il versamento dovrà essere effettuato con la causale: ISCRIZIONE ANNO 2014

PAOLO TOMIO, Omaggio a DOMENICO GNOLI “La camicia delle feste”, 2014 fine art su carta, 180x126 cm



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