PERIODICO della FIDAart N.2 - Febbraio ANNO 2014
FIDAart
In copertina: Paolo De Carli, Timbrato, 2006, tecnica mista, 150x167 cm
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FIDAart sommario Febbraio 2014, Anno 3 - N.2
Un concorso per le Albere
Editoriale Politiche culturali
pag. 4 pag. 5
Intervista ad un artista
Paolo De Carli
pag. 6-19
Mercato dell’arte?
Damien Hirst
pag. 20-21
Gli Irascibili americani
“Pollock e gli irascibili”
pag. 22
L’arte della CIA
Espressionisti astratti
pag. 23
Storia e arte
Poesia monosillabica
pag. 24-25
News dal mondo Damien Hirst
“A Thousand Years”, 1990
pag. 28
Damien Hirst
“‘I Am Become Death”, 2006
pag. 29
Damien Hirst
“Septicaemia”, 2003
pag. 30
Damien Hirst
“Mickey”, 2012
pag. 31
Copyright FIDAart Tutti i diritti sono riservati L’Editore rimane a disposizione degli eventuali detentori dei diritti delle immagini (o eventuali scambi tra fotografi) che non è riuscito a definire, nè a rintracciare
EDITORIALE
UN CONCORSO PER LE ALBERE Ormai da qualche anno si trascina uno faticoso dibattito sul destino del palazzo delle Albere, restaurato nel 1987 per essere destinato a Museo Provinciale dell’Arte e definitivamente chiuso nel 2010, dopo il continuo e costante calo dei visitatori causato dall’apertura del MART di Rovereto nel 2002. Premesso che un intervento di restauro sta diventando necessario, oggi si è ancora in attesa di decisioni in ordine agli interventi finalizzati al suo sbarrieramento e, in particolare, all’aggiornamento dell’impiantistica e alla sistemazione degli spazi interni, condizionati però, dal suo futuro riutilizzo. Su quest’ultimo sono apparse sulla stampa le proposte più diverse e fantasiose a dimostra-
zione che tali ipotesi rispecchiano due realtà evidenti: la crisi delle idee e la crisi economica, non si sa in quale ordine. Accanto ad una sua destinazione a centro di promozione dei prodotti enogastronomici locali si sono susseguite proposte per un Centro di documentazione dell’Autonomia, il Museo dell’arte trentina dell’’800-900, una casa della cultura, un museo delle storie delle valli, la Galleria Civica della città, laboratori vari e, addirittura, uffici del Museo delle scienze. La nuova Giunta provinciale di Rossi, che ha ereditato una situazione economica pesante che si prefigura ancora peggio per il futuro - sta procedendo con una “spending review” che taglia tutte le “Grandi Opere” programmate nei bei tempi passati e rivede al ribasso molti progetti futuri. Come si inserisce in tutto ciò la vicenda del Palazzo delle Albere che è proprietà della PAT? Innanzitutto, anche la villa-fortezza dei Madruzzo dovrà adeguarsi al nuovo corso: sì agli investimenti “utili” ma niente cattedrali nel deserto, cioè sedi meravigliose sostanzialmente vuote o sottoutilizzate in cui i pochi presenti siano il personale di sorveglianza. Vedi, ad esempio, le gallerie di Piedicastello L’idea di destinare le Albere a sede di un futuro Museo dell’Autonomia Trentina è difficile da sostenere perché è altamente improbabile che possa avere un grosso appeal per i visitatori del vicino Muse, per i turisti in generale e, se vogliamo essere onesti, anche per gli stessi trentini. Sembrerebbe anche definitivamente caduta l’idea di allestirvi la nuova Galleria Civica dato che, in accordo con il Comune di Trento, il MART di Rovereto ha assunto la gestione diretta della Civica di via Belenzani e, dopo un veloce restyling, l’ha riaperta al pubblico nel novem-
POLITICHE CULTURALI bre del 2013. La destinazione a sede delle collezioni dell’Ottocento e del Novecento sarebbe la soluzione ottimale perché coerente con il prestigio dell’edificio, con la sua non semplice organizzazione interna, nonché con la legge istitutiva provinciale che lega a questa sede le opere d’arte fino al 1850. Il problema è inventare un nuovo ruolo pubblico attivo per un palazzo rinascimentale che, quando saranno riportate in vista le pareti affrescate finora mascherate dagli allestimenti del vecchio museo ritornando agli antichi fasti e splendori, dovrebbe contemperare la qualità storico-artistica con un utilizzo degli ambienti che non sia esclusivamente monumentale. Un anno fa, scrivevamo su FIDAart: “Il Palazzo delle Albere è troppo prestigioso per poter essere sottoutilizzato, sarebbe necessario pensare ad una destinazione coerente con la sua storia e la sua architettura restituendo, al contempo, un senso e la dovuta qualità alle pertinenze esterne, oggi penalizzate”. Per quanto possa sembrare argomento secondario, fondamentale sarà il recupero dell’area del giardino - oggi una
spianata di terra - per ridare dignità e visibilità ad un edificio storico che sta perdendo qualsiasi relazione con il contesto e con la città. L’apertura del nuovo tunnel pedonale sotto la barriera della ferrovia è stato il primo giusto passo per ripristinare il rapporto perduto. Ora sarebbe importante aprire un dibattito pubblico, magari bandendo un concorso d’idee aperto ad architetti ed artisti per la riprogettazione integrale di tutte le pertinenze esterne del palazzo delle Albere, compresi i due ruderi in fondo alla strada del cimitero. Una buona occasione, sia per reperire e confrontare proposte innovative e creative, che per coinvolgere la comunità locale sul futuro del palazzo e dell’intera area circostante. Esempi di “giardini d’arte” esistono in tutto il mondo e la vicinanza con un Museo della scienza potrebbe costituire un ulteriore stimolo per soluzioni non banali o di basso profilo. Albere e Muse dovrebbero formare un unico polo che opera in sinergia e in cui, arte e scienza collaborino per sviluppare le idee per il futuro.
Intervista a PAOLO DE CARLI Non è facile intervistare Paolo De Carli. Non che sia persona riservato - tutt’altro - solo che per un intimo pudore è assolutamente laconico, restìo a parlare di se stesso e del proprio lavoro, convinto com’è, che le opere d’arte non debbano essere spiegate ma debbano parlare da sole. A questa posizione ideologica e poetica, assolutamente in contrasto con l’attuale società dell’affabulazione, si unisce la tipica ritrosia del trentino che non ama parlare di se stesso o, peggio, mostrare ciò che ha fatto, e questa è una caratteristica che ha penalizzato molti artisti locali i quali, purtroppo, non hanno saputo proporsi (“senza dubbio, pecco di non essere manager di me stesso”, dichiara Paolo), come avrebbero meritato. Eppure, i suoi grandi dipinti e gli straordinari arazzi tessuti dalla moglie francese Katja (ognuno dei quali richiede un anno di lavoro!), sono opere ricche, profonde, complesse sia dal punto di vista formale, sia dei contenuti che l’artista rappresenta secondo una pratica surrealista che si lega all’inconscio con immagini di un simbolismo di non immediata lettura e interpretazione. Pur rientrando nel filone dell’arte figurativa, dietro la realtà immediata e apparente di ogni sua opera si nasconde un mondo di metafore misteriose da cui emerge un racconto articolato e coerente in cui ricordi, sogno, citazioni e fantasia si intrecciano e fondono indissolubilmente. Paolo ribadisce “però io non mi spiego”, convinto che chiunque possa avvicinarsi ai suoi lavori con la mente e l’animo liberi e sgombri da pregiudizi intellettuali, lasciandosi guidare solo dalle proprie impressioni ed emozioni. L’arte visiva, come la musica o la poesia, non può essere tutta spiegata, didascalicamente motivata, poiché lo stesso autore - spesso, e per fortuna - non conosce “il perché“ di certe sue scelte. E, di solito, non sa neanche se piaceranno, ma non se ne cura, perché ciò non ha a che fare con il vero interesse di un artista. Paolo Tomio A sinistra: Ombra, 2006, tecnica mista, 194x150 cm
Tre mondi, 2006, tecnica mista, 129.5x171 cm
Quando e perché hai cominciato a interessarti all’arte? Da ragazzino cantavo nel coro del Concilio di Trento diretto da don Lorenzo Feininger, nel suo appartamento teneva appeso alle pareti molte tele e disegni di suo padre Lyonel pittore,rimasi coinvolto ed emozionato dai colori dai segni e dai racconti,da allora cominciai a scarabocchiare e a interessarmi all’arte.
Ti sei diplomato all’Istituto d’arte di Trento: ricordi qualche insegnante in particolare? Cesarina Seppi per una umanità stimolante verso i suoi allievi e Carlo Pacher per il suo modo di incantare come se la storia dell’arte fosse un racconto filosofico.
Quali sono stati le correnti artistiche e gli artisti che più ti hanno influenzato? Quale imbarazzo nel rispondere a questa domanda. Sarebbe come dire: scegli i tuoi genitori. Gli artisti che mi hanno influenzato da giovane sono: Hieronymus Bosch, Magritte, Paul Delvaux, Picasso, Marc Chagall, Karl Moser, Melotti, Karl Plattner, Osvaldo Licini e poi ancora..... Con la maturità ho più sensibilità verso l’arte popolare.
Cosa ritrovi di questi Maestri nella tua pittura di oggi?
Farsi gioco di ogni cosa, 2013, plexiglas, legno, ceramica, cm 35x35x174 h Farsi gioco di ogni cosa, particolare
La faucheuse, 2011, arazzo, 140x200 cm Niente, non sono un maestro! C’è qualcuno che apprezzi particolarmente tra i pittori trentini?
Nel corso della tua carriera, hai conosciuto artisti locali o nazionali?
Il maestro Carlo Andreani. Ne ho seguiti molti ma solo attraverso le loro opere. Quando hai cominciato a sviluppare il tuo interesse per un linguaggio più astratto? Hai avuto rapporti, né professionali né culturali, con i tuoi colleghi locali?
Credo domani.
Ho avuto rapporti culturali, (mostre), ma più complicità con alcuni allievi.
Come definiresti il tuo stile? Quali sono, 9
Hai anche affrontato linguaggi più astratti o senti il bisogno di mantenere un rapporto con la figurazione?
secondo te, le caratteristiche che ti rendono riconoscibile? Lo stile non è come la moda, credo che si evolva a seconda dell’età e delle esperienze di vita. Spero di arrivare ad un astrattismo figurativo e poetico.
Negli anni ‘70 facevo una pittura “informale espressionista”, ma oggi ho un stretto rapporto con una figurazione epurata e simbolica.
Lo stile non è moda ma è quella caratteristica che distingue un artista dagli altri e che permette di “riconoscere”, appunto, le sue opere tra molte.
Cosa intendi con epurata? Epurata, cioè una figurazione non leziosa
Si ha stile quando qualcuno incomincia ad imitarti, mi è successo alcune volte.
Oggi, cosa ti interessa e cosa non ti piace dell’arte contemporanea? Tutto mi interessa, ma mi mancherà il tempo
Maschio, 2007, arazzo, 140x200 cm
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oggi. Spero sia anche leggibile.
per lasciare decantare e apprezzare le opere più significative. Ho già rivalutato alcuni artisti che poco tempo fa mi erano estranei.
I simboli, per definizione, sono ambigui. Tu non ami spiegare il significato delle tue opere, preferisci lasciare ad ognuno l’interpretazione?
Quali opere consideri più significative? E quali artisti hai rivalutato?
L’interpretazione è inevitabile, si spera che coincida con il significato delle mie opere, però io non mi spiego.
“Guernica”, Mimmo Paladino perché “suggerisce”.
I tuoi dipinti sono delle storie raccontate attraverso una simbologia surrealista. E’ una corrente artistica che ti ha influenzato e ritieni che sia ancora attuale?
Ti interessa rappresentare nelle tue tele concetti, emozioni o cos’altro? Sei interessato ad un “messaggio” nell’opera? Per me il contrario è impensabile.
Penso che la simbologia deve essere sempre ricreata, la mia è attuale perché vivo
Femmina, 2007, arazzo, 140x200 cm
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Teatrino, 2003, vetro, ferro e materiali vari, cm 15x15x45 h
Teatrino, 2003, vetro, ferro e materiali vari, cm 15x15x45 h
Qual è la tecnica pittorica che utilizzi principalmente nella tua attività?
Questo “messaggio” ti è chiaro fin dall’inizio? E come si sposa con la forma, cioè con il passaggio da concetto alla sua rappresentazione?
Tutte le tecniche, anche quelle inventate da me, sono strumenti al servizio del mio pensiero.
Per me il senso e la forma nascono assieme, il perché non lo so spiegare. Non vorrei essere pretenzioso: non “faccio” l’artista, forse lo sono, bravo o mediocre che sia.
A questo proposito, quanto è importante la 12
tecnica per un artista del passato e quanto per uno contemporaneo?
da una frase di Le Corbusier “ARAZZI MURI DI LANA”.
Per me lo è moltissimo sia nel passato che nel contemporaneo.
Perché un arazzo inventa uno spazio architettonico? Non è la stessa cosa per un affresco o un grande dipinto?
Sei uno dei pochi artisti che realizza grandi opere con una tecnica lunga, complessa (e costosa) come l’arazzo. Quali sono le sue caratteristiche ?
L’arazzo piccolo diventa un cuscino da salotto, mentre il quadro piccolo non perde le sue caratteristiche artistiche di contenuto e di forma.
Mi ha sempre stimolato pensare alla destinazione dell’opera e inventarmi uno spazio architettonico. Sono rimasto colpito
Silenzio dipinto, 2012, arazzo, 140x200 cm
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trecento e, oggi, nei fumetti
Contemporaneamente alla pittura e agli arazzi, hai anche affrontato il mondo della scultura?
Tu chiami le tue sculture “teatrini” e le tieni sottovetro. Ce ne vuoi parlare?
Ho sempre mescolato tutte le discipline, ho fatto le prime installazioni negli anni ‘70 quando si chiamavano ancora sculture “assemblage”.
L’intento è comunque di fare una scultura monumentale, sono tutti progetti da realizzare anche all’aperto. Il vetro per me è preziosità e protezione. Mi piace anche il contrasto del materiale naturale legno e il materale fabbricato vetro.
Qual è la funzione delle scritte più o meno lunghe che inserisci nei tuoi dipinti? E’ un supporto in più per chiarire un concetto, ricordo bene le scritte negli affreschi del due-
Quale è stato il rapporto artistico con tuo fratello più giovane Mauro, noto scultore
Alle donne del castello, 1996, arazzo, 140x200 cm
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Buy it now, 2012, tecnica mista, 140x200 cm
scomparso prematuramente nel 2008 ed oggi “riscoperto” dalla critica?
E’ la critica mossa al MART o alla Galleria Civica che, in passato, hanno fatto molto poco per valorizzare gli artisti locali?
Una vita assieme! È poco? Diversi nello stile nel carattere e nel pensiero, ma legati da stima e affetto.
Si, vale sempre il vecchio detto “Nessuno è profeta in Patria”. Come ti sembra il panorama dei pittori trentini d’oggi? Cosa manca al Trentino per poter essere più presente sul mercato esterno?
Segui la “politica culturale” trentina: pensi che si possa fare di più o meglio per il settore artistico?
I pittori trentini d’oggi sono ormai cittadini del mondo. Per essere sul mercato esterno mancano competenza degli addetti ai lavori, critica e curiosità. Non c’è rischio nelle mostre impacchettate e straviste.
Ribadisco che si può fare di più e meglio, e senza dubbio, pecco di non essere manager di me stesso. 15
Occhi chiusi, 2010, tecnica mista, 140x200 cm
E per finire, ricordo una frase di un tale che diceva: “Io sono colui che è”. Ma non ci credo.
Se dovessi dare un consiglio al nuovo assessore provinciale alla cultura, qual’è la prima cosa che gli diresti di fare? Farsi una cultura artistica, essere curioso e appoggiarsi a gente competente.
Mi sfugge quale sia la relazione di Gesù con il tuo concetto di arte e di artista. Puoi chiarire? Tanti artisti si credono ”Dei“ in terra, per me sono come gli altri con qualche privilegio in più per la capacità di esprimere e diffondere le proprie emozioni e pensieri, e in alcuni casi, hanno cambiato il volto della società.
Cos’è la bellezza? E’ un valore che ricerchi o è subordinato ad altri valori? Riconosco la bellezza del Creato, ma mi interessa di più quella creata dall’uomo, dalla non violenza all’arte. La bellezza per me è un’emozione spirituale sia nella musica, nell’architettura, nella pittura e nell’oggetto del quotidiano.
E, per finire, cosa è per te l’arte? E chi è l’artista?
A destra: Murina, 2006, tecnica mista, 194x150 cm 16
a Besenello (TN) dedicandosi anche alle proprie collezioni d’arte popolare. Mostre 1964 - Firenze, Personale Galleria Lo Sprone 1968 - Marsiglia, Mostra grafica Centro Culturale Venezia invitato ad esporre un arazzo alla XXXIV Biennale 1968 - Trento, Mostra: 1+6 Palazzo Pretorio 1971 - Roma, Dieci pittori e Dieci incisori del XX secolo, Palazzo delle Esposizioni 1971 - Trento Palazzo Pretorio 1973 - Rovereto, Personale – Galleria Pancheri 1974 - Trento, Artisti Trentini: SITUAZIONE, Palazzo Pretorio 1976 - Trento, Personale - Galleria il Castello 1979 - Parigi, Arazzi di Artisti Contemporanei, Hotel de Sens 1981- Arte e Violenza, Venti artisti contro, Centro Rosmini 1983 - Trento, La Vite e il Vino, Confraternita della vite e del vino 1984 - Trento, Premio Gualazzi 1985 - Trento, La Vite e il Vino, Confraternita della Vite e del Vino 1986 - Riva del Garda, Arazzi di Artisti Contemporanei 1986 - Szekszàrd (HU), Arazzi di Artisti Contemporanei, Municipio 1988 - Parigi, Arazzi di Artisti Contemporanei, Galleria CCMP 1988 - Madonna di Campiglio (TN), Arazzi- Sala Comunale 1988 - Rovereto, L’Arte del Tessuto: L’arazzo Moderno, Chiesa del Redentore 1990 - Ivano Fracena (TN), Incontri: l’Uomo, l’Albero, il Fiume, Castel Ivano
PAOLO DE CARLI Nasce a Trento nel 1942. Diplomato all’Istituto d’arte di Trento, si trasferisce a Firenze dove inizia l’attività artistica. Tornato a Trento insegna Plastica ed Educazione Visiva negli Istituti d’arte di Trento e Rovereto. Frequenta gli ambienti artistici e partecipa ai fermenti socioculturali della città. Con la moglie francese soggiorna in maniera assidua a Parigi dove inizia la produzione dei suoi arazzi. L’arazzo moderno rispecchia l’antico metodo esecutivo su telaio verticale detto “ad alti licci”. Presenta i requisiti dell’opera d’arte in quanto è esemplare unico e firmato; è il frutto della stretta collaborazione tra l’artista e il tessitore cui spetta il compito di tradurre in materiale tessile, con le prerogative personali di sensibilità e mestiere, il modello (detto cartone) creato dall’artista. Tutti gli arazzi sono tessuti da Katia Pustilnicov. Paolo De Carli risiede e ha lo studio 18
1991 - Berlino, Orizzonti d’Europa, Galleria Comunale 1991 - Trento, Archivio di documentazione Arte Contemporanea, Palazzo delle Albere 1983 - Rovereto, Artisti contro la Guerra, Museo della Guerra 1995 - Ivano Fracena (TN), Correnti e Arcipelaghi: Attualità dell’Arte in Trentino - Castel Ivano 1996 - Trento, Arteintavola, Osteria due Spade 1996 - Naturno (BZ), Kunstamtisch Steghof 1996 - Trento, Voli d’Artista, Museo Caproni 1996 - Trento, Artista all’Esterno, Museo di Scienze Naturali 1996 - Brentonico (TN), Artisti d’Europa a Palazzo Baisi 1996 - Fornace (TN), Giocarte, Municipio 1998 - Villalagarina (TN), Personale, Palazzo Libera 1998 - Castel Tesino (TN), Di Tutto Cuore, Palazzo Gallo 1998 - Villalagarina (TN), Passaggi Segreti, Palazzo Libera 2000 - Villalagarina (TN), Di Segno Grave, Palazzo Libera 2001- Rovereto, Nel Colore - Banca Popolare del Trentino 2003 - Rovereto, Situazioni: Arte 2003 MART Museo Arte Trentino 2007 - Trento, Collezioni Particolari, Galleria Il Castello 2012 - Besenello (TN), SE....MENTI, Personale Arazzi, Pittura, Scultura, ex magazzino SAV 2013 - Trento, 37 Buoniconsiglio, Associazione Hortus Artieri
Tutti i numeri 2012-2013 della rivista FIDAart sono scaricabili da: www.fida-trento.com Tutti i numeri 2012-2013 della rivista FIDAart sono sfogliabili su: http://issuu.com/tomio2013
FIDAart copertina del N.2 2014 Periodico di arte e cultura della FIDAart
PERIODICO della FIDAart N. 1 - Gennaio ANNO 2014
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MERCATO DELL’ARTE ?
DAMIEN HIRST, “For the Love of God” (Per l’amor di Dio), 2007. Teschio umano con denti veri, un Memento Mori, ricreato in platino e decorato con 8601 diamanti purissimi: l’opera più costosa del mondo. Messo all’asta nel 2008 è stato acquistato per 100 milioni dollari da un consorzio di cui faceva parte Hirst stess). L’artista contemporaneo più prolifico, provocatore, imprevedibile ed eccessivo di questo ultimo ventennio è sicuramente lui poichè le sue opere hanno sempre scandalizzato e fatto discutere pubblico e critica, sia per i contenuti scabrosi che per i metodi disinvolti. Dopo la scomparsa di Warhol, nessun altro ha saputo muoversi con tale spregiudicatezza e profitto economico tra le maglie dell’arte, della cultura,
della comunicazione, del mercato, dello spettacolo e del merchandising. Amato da molti, odiato da altri, è stato definito furbo imbonitore o cinico inventore di mostruosità ma, dopo un ventennio, rimane l’artista vivente più conosciuto al mondo. Hirst è un 48enne inglese che, dopo un’adolescenza ribelle (è stato arrestato due volte per taccheggio), è riuscito ad indirizzare la sua vena asociale su un’attività creativa. Da giovane ha svolto uno stage presso un obitorio (vedi sotto la sua foto con testa di morto del 1991, da lui messa all’asta per 400-600 $) ed è probabile che quell’esperienza abbia influenzato la sua visione della vita. Figlio dello humor nero anglosassone, erede del pessimismo di Bacon e vittima di una vita sregolata, Hirst è stato a lungo ossessionato da tutto quanto attiene alla morte, alla fisiologia, al corpo, alla malattia, alla medicina, come dimostrano i temi trattati in quasi tutte le sue opere. Certo, molte sue opere non sono per stomaci deboli: ad esempio, tutto il ciclo “Natural history” composto da animali di vari generi, segati, squartati, sezionati ed esposti sotto formalina, non lascia indifferenti. A parte il suo celebre squalo tigre dal titolo “L’impossibilità fisica della morte nella mente di qualcuno che vive”, (vedi in basso a destra) acquistato da Saatchi nel 92 per 50mila sterline e rivenduto nel 2004 per 6,5 milioni di sterline, la casisti-
DAMIEN HIRST
ca delle bestie esposte è particolarmente vasta e sconvolgente. La sua prima installazione alla “Young British Artists” del 1990, “A Thousand Years”, era una testa di bue mozzata in putrefazione, avvolta da larve e mosche vive, mentre i quadri “Fly paintings”, sono costituiti da un fitto tappeto di mosche morte. Anche i suoi affascinanti “Caleydoscope paintings”, in fondo, sono composti da migliaia di splendide ali di farfalle o di luminescenti scarafaggi morti. Se lo scopo dell’artista è di descrivere l’angoscia per l’inevitabilità del ciclo nascita-morte (nostra e degli animali): l’obbiettivo, seppur con metodi poco ortodossi, è stato centrato. Un’altra sua caratteristica è la grande capacità di spaziare in tutti i campi dell’arte: dalla pittura alla grafica e alla fotografia, dalla scultura alle installazioni di ogni tipo, con un approccio inno-
vativo e creativo che gli ha permesso di esplorare in modo completamente privo di limiti, temi difficili o soft (vedi sopra), ma sempre con un suo stile molto personale. Hirst è anche l’inventore della “produzione artistica industrializzata” grazie ai suoi assistenti (sembra sia arrivato a 120) che hanno realizzato materialmente quasi tutte le 4800 opere che dichiara di aver creato nella sua vita. Anche questo suo sistema è stato molto criticato perché è assente l’intervento - la mano - dell’artista, il quale si limita ad apporre la sua firma sul lavoro altrui ma, dopo Duchamp e i suoi eredi, la polemica sembra datata e pretestuosa . Quale sarebbe, infatti, la differenza tra l’esporre un orinatoio, le lenzuola sudicie di Rauschemberg, i resti di un pasto di Spoerri o il pescecane di Hirst?
GLI IRASCIBILI AMERICANI
Willem De Kooning
Adolph Gottlieb Mark Rothko
E’ in corso a Palazzo Reale a Milano l’importante mostra “Pollock e gli irascibili. La scuola di New York”, una cinquantina di opere del gruppo di artisti definiti, appunto, “gli irascibili” in seguito ad una loro lettera al Metropolitan Museum pubblicata nel 1950 in prima pagina sul New York Times, in cui quindici esponenti dell’astrazione contestavano la loro esclusione dalla mostra sull’arte americana. Dopo la seconda guerra mondiale l’Europa inizia a perdere il suo storico monopolio culturale e artistico e New York diventa il centro economico dell’arte con il primo movimento americano “autoctono”, l’Espressionismo Astratto. Alla cosiddetta Scuola di New York, composta da artisti legati non tanto da uno stile comune, quanto dalla voglia di dar vita a un linguaggio nuovo che si contrapponesse sia al realismo sociale diffuso (e amato) in America, che alle avanguardie europee uscite distrutte dal conflitto, partecipano i pittori che diventeranno i nomi più famosi nei decenni successivi: Jackson Pollock, Willem de Kooning, Franz Kline, Arshile Gorky, Robert Motherwell, Ad Reinhardt, Philip Guston, Mark Rothko, Adolph Gottlieb, Clyfford Still, David Smith, Barnett Newman, David Smith e Lee Krasner, moglie di Pollock. Nella mostra è possibile ammirare molte loro opere esposte in una scenografia un po’ troppo esasperata perché finalizzata a elevarli allo status di capolavori assoluti e a circondare i dipinti di un’aura mistica che poco ha a che fare con la storia dei loro autori. L’allestimento, infatti, è impostato su un percorso interamente al buio tra pareti dipinte di nero sulle quali solo le superfici dei dipinti sono illuminate da un fascio di luce concentrato. Il risultato è di grande effetto per il forte contrasto e l’esaltazione dei colori che si crea, ma risulta un artificio fastidiosamente esagerato perché i visitatori brancolano nell’oscurità e perché, sicuramente, gli artisti newyorchesi non avevano ideato le loro tele in quel tipo e per quel tipo di luce artificiale (e innaturale). La storia degli espressionisti astratti, in realtà un gruppo variegato artisticamente disomogeneo e tutt’altro che benvisto in patria all’epoca, ha dell’incredibile e, se non fosse stata provata sulla base di documenti degli archivi storici americani, potrebbe sembrare una calunnia. Parliamo dell’intensa attività segreta della CIA, Central Intelligence Agency, nello sviluppo dell’arte astratta statunitense perché getta una luce abbastanza inquietante su molte vicende culturali avvenute negli anni dello scontro tra i due blocchi politici nati alla fine del conflitto mondiale. Quello che la ricercatrice Frances Stonor Saunders ha scoperto consultando migliaia di documenti e ricostruito nel suo libro “La guerra fredda 22
L’ARTE DELLA C.I.A. culturale”, ha confermato voci che circolavano da tempo, e cioè che dietro la diffusione mondiale e la conseguente fama degli artisti dell’Espressionismo astratto, si nascondesse una “struttura occulta”, ricca e potente, in grado di gestire una rete mondiale di finanziamenti, relazioni e conoscenze, per perseguire un interesse “culturale” molto mediato e non disinteressato. I fatti risalgano agli anni Cinquanta e Sessanta, durante la Guerra fredda, quando un ufficio della neonata CIA, dotato di fondi e potere illimitati e - all’insaputa del Congresso americano! -aveva dato inizio ad una operazione di propaganda e contro informazione definita ”Guinzaglio lungo”, il cui obiettivo era di promuovere in Europa l’immagine del sistema americano e, in particolare, di un suo caposaldo, la libertà di espressione. Una strategia raffinata per mostrare la libertà e la vitalità artistica e culturale della società capitalistica contro il grigiore dell’Unione sovietica e l’Espressionismo astratto era il tipo di arte ideale per dimostrare quanto rigido, stilizzato, fosse il realismo socialista di rigore in Russia. Donald Jameson, ex responsabile dell’operazione dell’agenzia di intelligence arriva a dire: ”L’espressionismo astratto potrei dire che l’abbiamo inventato proprio noi della CIA”. E’ la CIA, infatti, che appoggiandosi al MoMa di Nelson Rockfeller, a critici d’arte e organizzazioni culturali americane ed europee, organizza, pubblicizza e finanzia sotto copertura, le prime grandi mostre itineranti in tutto il mondo di Jackson Pollock, Robert Motherwell, Willem de Kooning, Arshile Gorky, Mark Rothko. Ma gli artisti sapevano? “Naturalmente no - chiarisce Jameson - gli artisti non erano al corrente del nostro gioco”. Anche se, forse, il loro coinvolgimento non può essere stato totalmente inconsapevole poiché molti artisti, di origine ebraica o fuggiti dall’Europa, erano su posizioni critiche rispetto all’Unione Sovietica. L’America, la loro nuova patria, aveva contribuito a salvare il mondo dal Nazismo, e il pensiero di ricadere in una nuova dittatura comunista in cui l’arte si riducesse alla celebrazione del partito unico (nonchè un ovvio interesse personale), potevano essere ragioni convincenti sulla giustezza di questa “operazione culturale”. La seconda domanda (retorica) che, invece, ci si potrebbe porre, è se la Scuola di New York avrebbe raggiunta la stessa importanza senza il supporto economico e l’appoggio delle migliaia di intellettuali coinvolti in tutto il mondo dalla CIA, e qui le risposte non sono univoche. Di certo, gli obbiettivi ideologici e il peso del potere politico, militare ed economico degli Stati Uniti e dei suoi alleati, non sembrano così secondari nel successo di questo gruppo di bravi pittori. Americani. D’altronde, si sa che è il Vincitore che scrive (e riscrive) la Storia. 23
Robert Motherwell
Arshile Gorky Jackson Pollock
POESIA MONOSILLABICA Grazie al disgelo politico voluto da Putin in concomitanza con le Olimpiadi per dimostrare l’apertura della sua Russia, molti studiosi hanno potuto accedere agli archivi storici del KGB dove, in modo assolutamente casuale, sono stati trovati gli originali della prima bozza di stampa di un libro di poesie di cui si conosceva l’esistenza, ma che nessun aveva mai potuto vedere. Si tratta dell’unica copia di “Poesia monosillabica” di Gregory Pavlov, presentata in bozza nel 1921 ma mai pubblicata, inizialmente per ragioni economiche e, in seguito, per problemi con la censura la quale, dopo gli entusiasmi rivoluzionari iniziali, cominciava a guardare con sospetto all’eccessiva libertà degli intellettuali. Pavlov, infatti, seppur militante della prima ora del partito bolscevico, era convinto della necessità di portare lo spirito rivoluzionario in tutte le arti per dare inizio all’Epoca Nuova, rifutando il gradualismo e l’attendismo delle gerarchie. Va ricordato che i primi dipinti non figurativi - interamente monocròmi - sono stati dipinti da Aleksandr Rodchenko nel 1921, e sono stati esposti nel settembre 1921 alla mostra “5x5 = 25” a Mosca assieme a Varvara Stepanova, Aleksandra Ekster, Liubov Popova, e Aleksandr Vesnin. “Colore rosso puro” (Chistyi Krasnyi tsvet), “Colore giallo puro” (Chistyi zheltyi tsvet), “Colore blu puro” (Chistyi Sinii tsvet), sono le tre opere fondamentali del movimento Costruttivista. Come dichiara Aleksandr Rodchenko in “Lavorare con Majakovskii”, Mosca, 1939: “Ho ridotto la pittura alla sua logica conclusione ed espongo tre tele:. Colore rosso, blu e giallo ho affermato: è tutto finito I colori di base Ogni piano è un piano e non ci deve essere nessuna rappresentazione...” Anche Varvara Stepanova, nel suo intervento alla Conferenza sul Costruttivismo del 22 Dicembre 1921 ribadisce: “Da qui, il costruttivismo procede alla negazione di tutta l’arte nella sua interezza, e mette in discussione la necessità di una specifica attività di arte per la creazione di una estetica universale”. Il sacro furore che infiammava gli animi di tutti gli artisti dell’epoca travolgeva convenzioni secolari allargandosi a macchia d’olio nella Russia dell’epoca; anche i poeti stavano rivoluzionando la tradizione con lo stesso obbiettivo di Rod 24
STORIA E ARTE
Aleksandr Rodchenko Pure Red Colore (Chistyi Krasnyi tsvet)
Aleksandr Rodchenko Pure Blu Colore (Chistyi Sinii tsvet)
Aleksandr Rodchenko Pure Color Giallo (Chistyi zheltyi tsvet)
chenko: ridurre la parola al suo minimo denominatore per eliminare tutte le incrostazioni del linguaggio di classe, azzerare qualunque connotazione qualitativa, emotiva, sentimentale e arrivare ad un nuovo vocabolario connotato da codici assolutamente basici e neutri. Il teorico di questa ricerca di un’Estetica Universale che raggiungesse le popolazione di ogni ceto e capace di esprimere concetti comuni e condivisi, era il poeta Gregory Pavlov il quale ha lasciato diversi scritti brevi o incompleti ma di cui, fino ad oggi, non era mai stato trovato il suo testo fondamentale presentato al “Primo convegno internazionale di poesia monosillabica” indetto da Pavlov stesso a Mosca nel 1921. L’intervento dal palco di Pavlov accompagnato dalla lettura di alcune sue poesie monosillabiche, dopo un iniziale stupore, aveva entusiasmato la platea ma sembra non avesse convinto l’apparato del partito il quale temeva il suo eccessivo ermetismo, incomprensibile da parte del popolo. Sulla copertina della bozza ritrovata sono riportati l’autore, Gregory Pavlov e il titolo “POESIA MONOSILLABICA” - Mosca 1921, nella brevissima introduzione l’autore presenta il suo credo artistico: “L’azzeramento della lingua è necessario per ritrovare la perduta innocenza. Solo il ritorno al punto zero permetterà di riscoprire una nuova poesia popolare e democratica”. In quell’occasione Pavlov motiva la sua scelta di non aver utilizzato i caratteri cirillici, ma solo quelli occidentali, con la volontà di far uscire la Russia dall’isolamento in cui era confinata e dimostrare al mondo le potenzialità della sua nuova Intelligencija. All’interno del fascicolo, qualche centinaio di poesie monosillabiche, inizialmente fondate sulle sole cinque vocali (a, e, i , u ,o) e poi sull’accoppiamento delle stesse secondo un rigido metodo matematico semplice: aa, ee, ii, uu, oo ecc., poi sempre più complesso: ae, ai, au ecc., quindi, con tutte le lettere ab, ac, ad, af, ag ..... E questo per ogni singola vocale e consonante fino alle coppie finali, ss, tt, uu, vv, zz. Se il valore estetico delle creazioni di Pavlov induce ancor oggi qualche perplessità, è indubbio il valore concettuale dirompente del suo testo perché, dopo di lui, i margini per fare poesia sarebbero stati praticamente nulli. 25
Febbraio 2014, Anno 3 - N.2
News dal mondo Damien Hirst
“A Thousand Years”, 1990
pag. 28
Damien Hirst
“‘I Am Become Death”, 2006
pag. 29
Damien Hirst
“Septicaemia”, 2003
pag. 30
Damien Hirst
“Mickey”, 2012
pag. 31
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DAMIEN HIRST, “A Thousand Years”, 1990, installazione, 207x400x215 cm
DAMIEN HIRST “‘I Am Become Death, Shatterer of Worlds”, 2006, farfalle su tela, 213x533 cm
DAMIEN HIRST “Septicaemia”, 2003, mosche e resina su tela, 137x101 cm
DAMIEN HIRST “Mickey”, 2012, colore su tela, 182x105 cm
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