PERIODICO della FIDAart N.3 - Marzo ANNO 2014
FIDAart
In copertina: Marta De Simoni Lasta Astratto I, 2007, acrilico su juta, 120x120 cm
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FIDAart sommario Marzo 2014, Anno 3 - N.3
Editoriale
L’arte nel Paese di Pinocchio
pag. 4
Politiche culturali
Si può mangiare con la cultura?
pag. 5
Intervista ad un artista
Marta De Simoni Lasta
Mercato dell’arte?
Lucio Fontana
pag. 20-21
Johannes Vermeer
Tutti pazzi per la ragazza
pag. 22-23
Storia e arte
Le vite degli altri
pag. 24-25
pag. 6-19
News dal mondo Lucio Fontana
“Concetto spaziale, Attesa”, 1964
pag. 28
Lucio Fontana
“Concetto spaziale”, 1964
pag. 29
Lucio Fontana
“Concetto spaziale, Attesa”, 1964
pag. 30
Lucio Fontana
“Concetto spaziale La fine di Dio”, 1964
pag. 31
“La bocca della verità”, 2013
pag. 32
Omaggio a Fontana
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EDITORIALE
L’ARTE NEL PAESE DI PINOCCHIO Da qualche giorno abbiamo l’ennesimo Nuovo Governo Nazionale: il terzo dal novembre 2011. Purtroppo, viene sempre più alla mente l’inquietante frase del “Gattopardo” di Tomasi di Lampedusa: “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”. Dopo aver attraversato 9 trimestri - vale a dire 27 mesi - in cui il PIL ha segnato il segno meno ora sta già festeggiando per la “ripresa” dello 0,1%. Paese di poeti, navigatori ed eroi, l’Italia si ritrova in testa a tutte le classifiche negative ma rimane fiduciosa nello Stellone che l’ha sempre salvata evitando di pensare seriamente a come cercare di risalire dal baratro etico, economico e culturale in cui è precipitata. Si dirà: cosa c’entra tutto ciò con l’arte, anzi con l’Arte, che è attività dello Spirito e che dovrebbe essere superiore a questi problemi prosaici che attengono alla realtà bruta? In effetti, molti non hanno ancora compreso che, anche per l’arte, è finito un periodo e che la
crisi sta rendendo marginale anche questo settore già considerato in Italia, marginale se non superfluo. Pur possedendo il maggior numero di opere d’arte del mondo, il nostro Paese non è interessato a valorizzarle preferendo delegare ad altri: la più grande mostra sul Futurismo - l’ultima grande corrente artistica interamente italiana - “The Italian Futurism 1909-1944”, è stata organizzata e inaugurata a febbraio dal Guggenheim a New York. Da quando la pressione economica è aumentata per fette sempre più ampie di popolazione, compresa la classe media più acculturata che si sta progressivamente riducendo, la spesa per un bene non primario come l’arte ha subito un crollo e, anche se continua ad essere goduta nei luoghi istituzionali, musei e mostre, raramente è acquistata. Nonostante i prezzi della maggior parte delle opere anche di nomi importanti si siano sgonfiati, la bassa domanda (e la grande offerta) hanno prodotto la paralisi del settore e molte gallerie hanno chiuso o stanno chiudendo. Rimane florido solo il mercato dell’arte finanziarizzata, quella cioè legata ai grandi gruppi economici e ai grossi collezionisti che si relazionano alle opere d’arte esattamente come i broker con i subprime, i Bot, i futures, le azioni del nickel e della carne in scatola, e per i quali l’arte è solo il diagramma dell’andamento dei prezzi sui quali calcolare i rendimenti e analizzare se comprare, se vendere e su quali artisti investire. E questa è la Nuova Arte.
POLITICHE CULTURALI SI PUO’ MANGIARE CON LA CULTURA? Il ministro-fiscalista Tremonti qualche anno fa gigioneggiava spiegando che: “Con la cultura non si mangia”. La cosa aveva un fondamento di verità quando l’industria assorbiva buona parte delle richieste di lavoro ma, oggi che le aziende sono decimate dai fallimenti, dalle delocalizzazioni e stremate dalla concorrenza globale, sarebbe finalmente il caso di investire sulla miniera che rende unica l’Italia: più di 5mila tra musei, monumenti e aree archeologiche, 49 siti siti patrimonio dell’Unesco. Più di qualsiasi altro paese! Da sempre si dice che in Italia, la cultura e l’arte sono un tesoro sprecato, svenduto, svilito - in primis dallo Stato - che l’ha ignorato e, ottusamente, non ha saputo valorizzare bellezze paesaggistiche, artistiche, musei, siti archeologici e monumentali unici al mondo, lasciandoli al degrado o al profitto privato. A parte i Musei Vaticani che non appartengono all’Italia, l’unico museo italiano che compare tra i primi nel mondo sono gli Uffizi, al 21mo posto. E’ inutile dire che, se gestiti con un minimo di lungimiranza, intelligenza e managerialità, molti luoghi lasciati al tram tram burocratico, sarebbero delle vere miniere d’oro e fonte di lavoro, anche qualificato, per migliaia di giovani. Se, grazie ad una mostra di “un solo quadro” di Vermeeer si prevede di arrivare a 300mila visitatori, si capisce che il problema dell’immenso patrimonio culturale italiano sia - oltre alla cronica carenza di fondi - anche la carenza di idee in chi lo gestisce. Paradossalmente, nonostante la più alta concentrazione di patrimonio culturale, l’Italia è il Paese che investe di meno, generando di conseguenza il Pil specifico del settore molto più basso rispetto a quello
di Gran Bretagna, Francia e Germania che che pure contano un numero di bellezze gran lunga inferiore al nostro. Nel frattempo, da noi la nuova Giunta Provinciale ha annunciato che quest’anno le risorse per gli investimenti per la tutela del patrimonio culturale, architettonico e storico scenderanno da 50 milioni a 34.336.000 euro (-15,66 milioni!). Inoltre, sarà messo a disposizione un fondo di 1,1 milioni per un unico grande evento museale annuale da concordare tra Mart, Muse, Castello del Buonconsiglio e Provincia. Tagliare lo “spreco” è doveroso ma ricordiamoci che il Muse è già costato 80milioni di euro e che assorbirà gran parte delle risorse provinciali future lasciando a secco altre realtà periferiche. Una provincia come il Trentino che vive su un turismo di qualità, non può puntare solo su un polo di eccellenza centralizzato ma deve coinvolgere anche tutte le risorse e le forze culturali del territorio. 5
Intervista a MIRTA DE SIMONI LASTA E’ difficile pensare a Mirta De Simoni come ad una pittrice dell’Espressionismo astratto, non perché la sua pittura non sia vicina a quella corrente ma perché lei è quanto di più lontano si potrebbe immaginare da quei pittori che sono passati alla storia come “Gli irascibili” e dei quali, un buon numero è morto suicida (Mark Rothko, Arshile Gorkj) o alcolizzato (Franz Kline e, per certi versi, anche Jackson Pollock). Invece, Mirta, e già il nome è indicativo, è una persona tranquilla e dolcissima che partecipa intensamente alle attività di associazioni cattoliche di Arte Sacra. Insomma, per chi ragionasse per stereotipi è garantita una piacevole sorpresa: l’arte informale, gestuale, materica, espressionista non è appannaggio solo di spiriti esagerati ma può scaturire direttamente anche da un animo sereno e giudizioso. Oppure, al contrario, sotto un’”apparente” domanda di normalità e buon senso ribolle qualcosa di nascosto, di non detto, che l’arte riesce sublimare e trasformare in forza espressiva e bellezza? Ma tant’è, ciò che conta è il risultato, cioè l’opera, e in questo caso non si può che rimanere stupiti dall’energia del suo linguaggio caratterizzato da colori vivacissimi, generalmente primari, stesi con ampie pennellate o anche con le mani, oppure mescolati a vari materiali solidi per ottenere superfici scabrose come paesaggi primordiali scavati dal tempo. Più che da Rothko, che dichiara di amare, nel suo modo di lavorare sulla tela appoggiata al pavimento, c’è Pollock con la sua pittura corporea in cui l’artista entra nella materia manipolandola e trasportandola sulla superficie seguendo impulsi dell’istinto. Ogni dipinto diventa un’esperienza che coinvolge tutto l’essere ed è difficile, dopo aver assaporato una tale libertà esaltante, ritornare alla normalità della vita di tutti i giorni. Ma si vede che Mirta possiede risorse non comuni non solo sul piano artistico ma anche a livello di autocoscienza. Paolo Tomio A sinistra: Senzatitolo, 2013, polimaterico su tela, 120x80 cm
In basso: Luoghi dell’eco, 2013, tecnica mista su tela, 60x80 cm
Quando e perché hai cominciato a interessarti all’arte e dedicarti alla pittura? Da bambina mi cucivo le bambole, cercavo pezze colorate per i loro vestiti, plasmavo con la creta delle forme che poi mettevo ad essiccare al sole, duravano poco e così ne lavoravo altre. Ho sempre cercato uno spazio-tempo per fantasticare-sognare e fare in autonomia. Ho inseguito l’arte finché non è diventata una esigenza urgente, finché ho capito che era la mia vocazione. Mi sono avvicinata alla pittura frequentando corsi di pittura e disegno ma sicuramente l’incontro, intorno al 1975, con Gianni Turella ha rappresentato una svolta decisiva nel percorso verso la maturazione di un fare sempre più consapevole
Quali sono stati le correnti artistiche e gli artisti che più ti hanno influenzato? La mia formazione fuori scuola e fuori corrente mi ha portata a conoscere, osservare e sperimentare. Ho viaggiato molto e visitato grandi musei e grandi mostre in giro per il mondo In Italia, Europa, America e Asia. Ho approfondito l’opera di grandi maestri: Caravaggio, Masaccio, Michelangelo… Sono stata affascinata particolarmente dalle opere di William Turner esposte alla Tate di Londra; grandi dipinti che anticipano il periodo dell’arte informale dove il paesaggio diventa proiezione dei sogni e della coscienza, pretesto che diventa dramma cosmico. Ho conosciuto da vicino l’opera delle avanguardie storiche, degli informali Afro, Rauschenberg, Gorki, Burri, Fontana. Nei musei americani ho ammirato e studiato le opere di Pollok, Sam Francis e per Rotko è stata un autentica folgorazione. Nei musei
Rosso-casa, 2008, acrilico su tela, 80x40 cm 8
tedeschi ho incontrato Bois, Anselm Kiefer…
Nel corso della tua carriera, hai conosciuto artisti locali o nazionali? Lungo il mio percorso ho avuto incontri, conoscenze e collaborazioni che mi hanno arricchito e guidato nell’approfondimento stilistico della mia ricerca. Luigi Serravalli è stato un prezioso maestro. Ho conosciuto Umberto Mastroianni nel 1985 in occasione della mostra personale al Palazzo Assessorile di Cles, mi incitò a proseguire con coraggio e convinzione. Negli anni ’80 ho fatto parte del GRAF (gruppo roveretano arti visive) del
quale facevano parte Corrado Visintainer, Cirillo Grott, Mariuccia Spagnolli, Fausto Sossas. Ho conosciuto Bruno Colorio, Carlo Bonacina, Marco Bertoldi, Umberto Savoia, Carlo Thal, Coral Torrents, Mario Schifano, Iakobo Borges, Walter Brendel, maestro informale austriaco, ed infine i docenti cinesi Zhou Brothers che mi hanno introdotta in una dimensione filosofica dell’arte orientale durante i corsi all’Accademia Internazionale di Salisburgo. Con borsa di studio sono stata in artist-residence alla Künstlerhaus di Salisburgo. dove ho incontrato artisti da tutto il mondo con i quali intrattengo scambi Senzatitolo I , 2007, tecnica mista su juta, 120x150 cm
e amicizia. Nel contesto di seminari e fiere internazionali a Bologna, Venezia, Torino, Roma, Gent, New York nelle quali ho esposto dal 1995 al 2004 o di convegni sull’arte contemporanea negli edifici di culto ho avuto scambi con altri artisti quali Kounellis, Paladino…
Dopo gli inizi figurativi, quando hai cominciato a sviluppare un linguaggio sempre più astratto? Il passaggio dal figurativo all’espressionismo astratto è maturato nel corso degli anni complici avvenimenti, coincidenze e
Luoghi dell’eco, 2013, mista su tela, 60x80 cm
approfondimenti che hanno accompagnato la mia ricerca. Dal 1975 al 1988 ho realizzato con la tecnica ad olio lavori dove la traccia narrativa e il pretesto figurativo si misurano con il coloremateria-luce. “Lei mi parla della mia lotta per il colore; sì è la mia vita… ma vorrei che si dicesse la mia lotta per la luce che è l’anima del colore. Senza luce il colore è senza vita…”, queste parole di Raul Dufy (1943) le sentivo mie. Dal 1990 al 1996 praticando un avvicinamento all’Action Painting ho realizzato un ciclo di opere dal titolo “Storie dell’uomo” esposto alla galleria Le due Spine di Rovereto e alla galleria Gnaccarini di Bologna. Verso la fine degli anni ’90 di ritorno da un viaggio con relativa mostra a Singapore
alla Robertson Walkgalery, ho maturato l’esigenza di cambiamento anche nella tecnica. Avvicinandomi ad una specie di new realism, ho sperimentato i colori acrilici particolarmente adatti per la loro liquidità a larghe pennellate, velature e sovrapposizioni di colore, definite dalla critica “deflagrazioni cromatiche”, esposte nella mostra a Casa Legat a Volano con relativo catalogo monografico a cura dell’Amministrazione comunale.
Come definiresti il tuo stile? Quali sono, secondo te, le caratteristiche che ti rendono riconoscibile? Mi sento un’artista anomala e non inserita in nessuna corrente, sono poco omologata per struttura mentale e ho uno sguardo creativo molto libero. La particolarità del mio lavoro è che traduce, con il colore, l’immagine in più significati; uso il colore in modo simbolico ed ogni quadro ha il suo colore, è lui il vero soggetto. Credo che l’opera d’arte debba avere valore in sé e poi essere riconosciuta come espressione dell’artista.
Oggi, cosa ti interessa e cosa non ti piace dell’arte contemporanea? Viviamo in una società frammentata, malata, e l’arte contemporanea trasmette questo disagio come è giusto che sia. L’opera d’arte dovrebbe stimolare sentimenti e provocare conoscenza, ma oggi c’è molta improvvisazione e superficialità. Apprezzo l’arte minimalista, l’astrattismo, le ricerche sul colore, i nuovi linguaggi. Tutto ciò che rappresenta l’espressione dell’intelligenza dell’uomo, del suo sentire più profondo.
Casa-albero, 2008, acrilico su tela, 80x40 cm
Nelle tue opere predominano il colore e la materia. Cosa rappresentano per te? Buona parte della storia della pittura ha raccontato l’altro e l’altrove con il colore; sia nei tempi antichi che in quelli moderni 11
A destra: Le ali dell’Angelo, 2011, polimaterico su juta, 180x120 cm
Flight, 2013, acrilico e cartapesta su tela, 100x80 cm il colore ha attirato molti pittori, scultori e architetti. Ne sono testimonianza il rosso Tiziano, il blu della Porta di Ishtar, il blu di Yves Klein, il giallo di Van Gogh… Nella mia ricerca il colore è il vero protagonista
e va al di là del soggetto, colore-luce-materia realizzano “la terza dimensione dell’opera quella che permette di attraversarla, la posizione preferita per chi vuole pensare” (Massimiliano Finazzer Flory). 12
Ad Oriente, 2012, acrilico e collage su tela, 100x160 cm
pensiero che unisce tutto è il concetto di viaggio reale e metaforico non disgiunto dall’esigenza del vivere quotidiano. Mi sento sempre in cammino, come una nomade mi piace scoprire - sperimentare. “Il camminatore si dimentica del proprio zaino fino al momento in cui ne ha bisogno: il momento della sosta…” (Marina Cveteva). I miei lavori sono frutto di emozione e lucidità, esprimono concetti che voglio condividere, comunicano per lampi, pause, rotture, squarci della materia. Sono come traccia che vuole liberarsi dagli stereotipi ma anche dall’ingombro della nostra storia e dell’arte stessa e dai segni dell’uomo occidentale.
Quando e perché hai abbandonato la pittura a cavalletto adottando quella orizzontale a terra? Lavoro con le tele a terra per avere una visione aerea dell’immagine, cambio posizione per una veduta verticale ed una terza visione è data dallo specchio. Mi interrogo sulla possibilità che la pittura ha di farsi quantità e qualità a più facce, voglio ottenere altra concezione visiva e altra condizione plastica.
Ti interessa rappresentare nelle tue tele concetti, emozioni o cos’altro? Sei interessato ad un “messaggio” nell’opera?
Come ti sembra il panorama dei pittori trentini d’oggi? Cosa manca al Trentino per poter essere più presente sul mercato esterno?
I temi che sviluppo principalmente sono il paesaggio, la figura femminile e il deserto, simboli inseriti nello spazio cromatico. Il
Negli ultimi anni forse c’è un maggior 14
fermento e gli stessi artisti hanno più convinzione del loro lavoro ma resiste la tendenza a chiudersi in confini geografici e culturali. Ritengo che è nel confronto con altre realtà e nella contaminazione dei linguaggi che si può ampliare e provocare opportunità.
Qual’è la tecnica artistica che principalmente nella tua attività?
di stesura che eseguo con il palmo della mano. Il contatto diretto con la materia mi permette di percepire quando si raggruma o quando diventa superficie. Incollo carte, garze e grumi di colore essicato per rendere la superficie ancora più irregolare con affioramenti e squarci; sovrappongo strati di pigmenti che aderiscono alle concavità e convessità della superficie.
utilizzi
Dopo gli inizi nei quali ho lavorato ad acquerello su piccoli lavori e per lunghi anni con il colore ad olio anche su grandi superfici; in questa fase del mio percorso uso colore acrilico e collage. Questa tecnica risponde alle mie esigenze
Ti interessa rappresentare nelle tue tele concetti, emozioni o cos’altro? Prediligo i colori primari, rosso, giallo e blu perché esprimono meglio le mie emozioni. Amo questi colori per la loro carica simbolica Time, 2011, polimaterico, 120x120 cm
e storica. Il rosso è la metafora della vita (nascita-amore-morte) e mi riporta ai miei viaggi (rosso pompeiano, rosso delle lacche dei templi cinesi). Il blu è il colore delle profondità marine, del silenzio, della notte e il potere dell’inconscio. Il giallo è per me il colore del sole, della luce, e quando trascolora nell’ocra rispecchia la terra, il deserto come “infinito” luogo limite. Pensieri ed emozioni sono sviluppati e tradotti in immagini talora più leggibili ma sempre filtrate dalla materia e dal colore.
La bellezza è passione, energia, vita… e si rincorre per tutta la vita.
E, per finire, cosa è per te l’arte? E chi è l’artista? L’arte è frammento dell’anima e mette in moto tutti i sensi. L’artista è colui che sa guardare lontano, in profondità, dove gli altri non vedono, e sa tradurre l’altro, l’altrove in immagini nuove ed autentiche.
Cos’è la bellezza? E’ un valore che ricerchi o è subordinato ad altri valori? In basso: Still 2, 2008, acrilico su tela, 90x130 cm
A destra: Aquiloni, 2011, acrilico su tela, 150x120 cm
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sperimentazione dell’Arte contemporanea in Trentino” a cura di Danilo Eccher. È presente a Castel Ivano alle collettive “L’Uomo, l’Albero, il Fiume” e “Correnti e Arcipelaghi” a cura di Luigi Serravalli. Nel 1996, in collaborazione con il Circolo Trentino per l’Architettura Con temporanea, presenta a Castel Ivano, l’installazione sul tema “La soglia e oltre”. Nel 2000 l’Amministrazione Comunale di Volano pubblica una sua monografia per la mostra antologica “Percorso” a Casa Legat. È presente a “Situazioni – Trentino Arte 2003”, al MART, Museo d’arte moderna e contemporanea di Rovereto. Nel 2004 invitata dalla Städtische Galerie di Brema presenta la personale “Wandlungen/Mutamenti” presso il Kunst zentrum Villa Ichon, in seguito esposta con il patrocinio del MART allo Spazio Klien di Borgo Valsugana. Nel 2008 invitata dal Comune di Sanzeno allestisce a Palazzo de Gentili la mostra “Rosso scarlatto” Parallel Events Manifesta 7; Nel 2009 ottiene il 3° premio in team architetto-liturgista-artista nel concorso CEI a Porto Recanati, con menzione particolare: “… notevole risulta il contributo iconografico, dove sapienza artistica e invenzione formale si affermano in una felice libertà compositiva”. Nel 2010 è ospite a Trapani del Museo Diocesano per l’Arte Sacra Contemporanea, allestisce la mostra personale “Tra terra e cielo” e realizza grandi tele in situ. Nel 2011 riceve l’incarico per l’intervento pittorico sui poli liturgici della cappella universitaria di S. Margherita di Trento. Mostre personali
MIRTA DE SIMONI LASTA Nata a Cles vive ed ha lo studio a Volano (TN), in collegio compie studi di indirizzo classico. È accademico di merito dell’Ac cademia de “i 500” di Roma. Tra il 1975 e il 1980 segue corsi di disegno e pittura, approfondisce lo studio delle tecniche pittoriche frequentando lo studio del maestro Gianni Turella. Entra in contatto con il mondo artistico europeo, promuove e organizza la biennale di pittura “Premio Volano” 1980/88. Fino alla fine degli anni ’80 partecipa all’attività del GRAF (Gruppo roveretano arti figurative). In seguito affina la sua ricerca: soggiorna alla Künstlerhaus in artist-residence e segue corsi all’Accademia Internazionale di Salisburgo con docenti gli artisti cinesi Zhou Brothers. L’invito nell’anno 1996 a Palazzo Labia in Venezia al simposio “100 di Biennale – la presenza della Chiesa” a cura della CEI, ha segnato l’inizio di una riflessione teorica e di una sperimentazione operativa per un rinnovamento dell’arte liturgica. Nel 2000 partecipa al corso di specializzazione “Il progetto architettonico e la composizione artistica ed iconografica al servizio della liturgia”. Lavora in team per la realizzazione e/o rinnovamento di spazi liturgici sugli arredi e sull’iconografia. Nel 1993 presenta la sua ricerca alla Galleria Civica di Arte Contemporanea di Trento, al Seminario “Prospettive e
2013 Rovereto, Biblioteca civica “G. Tartarotti” – “Luoghi dell’Eco” Brentonico; Palazzo Eccheli Baisi – “Luoghi dell’Eco” Rovereto, Opificio delle Idee – “Luoghi dell’Eco”; 2012 Villa Lagarina, Palazzo Libera – “Intrecci d’arte sulla via della seta – Art Dialogue on the Silk Road”; 2011 Vicenza, La Colombara – “Tende Rosse”; Villa Lagarina, Palazzo Libera – “La luce del nulla” Vicenza, Complesso Monumentale S. Silvestro – “Times”; 2010Trapani, Chiesa degli artisti S. Alberto – “Tra terra e cielo”, Verla di Giovo, Cantina Villa Corniole – “Gran de ua ross”; 2008Hannover (D), Kunstscheune Steinhude – “Grenzreise”, Göttingen (D), 18
Wasserscheune Erbsen – “Grenzreise”, Sanzeno, Casa de Gentili – “Rosso scarlatto” Parallel events Manifesta 7; 2007 Vicenza, Boscolo Hotel De La Ville – “Passing”; 2006 Helmond (NL), Galerie Beeldentuin Bon Ton – “Lente 2006”; Milano, Circolo Culturale Bertolt Brecht – “Tra mito e logos”; 2005 Ponte Ronca di Zola Predosa (Bo), Museo Ca’ la Ghironda – “Mutamenti” Milano, Libreria Internazionale Hoepli – “Mutamenti”; Trento, Boscolo Grand Hotel Trento – “Mutamenti”; 2004 B o r g o Valsugana, Spazio Klien – “Mutamenti e installazione” Bremen (D), Villa Ichon – “Wandlungen / Mutamenti”; 2003 N e w York, Showroom Art Italy – “Man”; 2002 Kassel (D), Rathausfoyer Baunatal – “Reisenotizen”, Stresa, Centro Congressi Hotel Astoria – “I colori dell’anima”; 2001 Helmond (NL), Galerie Beeldentuin Bon Ton; 2000 Salzburg (A), Landesatelier Kunstlerhaus – “Works”, Malcesine, Castello Scaligero - Sala Labia – “Flowers” Volano, Casa Legat – “Percorso” 1980-2000 Trento, Centro Culturale S. Chiara – Convegno “Future direction of tourism”; 1999 Rovereto, Istituto d’Arte “F. Depero” - Aula Mimismagia; 1998 Singapore, Robertson Walkgallery; 1997 Venturina, Centro Espositivo “Etruriarte 8”Firenze, Palazzo degli Affari – “Biennale Internazionale” Verona, Palazzo Maffei; 1995 Innsbruck (A), Galerie Bertrand Kass; 1994 Trento, Galleria Quadriarte, Firenze, Palazzo degli Affari – “Vetrina degli Artisti Contemporanei”; 1992 Rovereto, Galleria Le Due Spine Bologna, Galleria Artespaziodieci; 1991 Kassel (D), Rathausfoyer Baunatal; 1990 Frankfurt (D), Burgerhaus Sprendlingen; 1989 Trento, Galleria Oveno, Milano, Sala Esposizioni Ufficio Turistico Trentino, Selva Gardena, Galleria Antares, Basel (CH), Galerie Spalenberg; 1987 Madonna di Campiglio, Centro Rainalter, Pergine Valsugana, Galleria Novecento; 1985 Cremona, Galleria Il Poliedro, Trento, Palazzo Pretorio; Cles, Sala della Colonna; 1981Rovereto, Sala GRAF; Pavia, Galleria PaviaArte; 1980 Rovereto, Galleria Rosmini. Via Trento 32 38060 Volano (Tn) mirtadesimoni@gmail.com www.mirtadesimoni.it
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copertina del N.3 2014 Periodico di arte e cultura della FIDAart Curatore e responsabile Paolo Tomio
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MERCATO DELL’ARTE ? apprezza i piccoli dipinti) eseguito ad olio su tela. La stima della casa, compresa tra i 15 e 20 milioni di dollari, già molto superiore agli standard del pittore, è stata addirittura superata raggiungendo i 20.885 mila dollari pari a 15,118 milioni di euro (quasi trenta miliardi delle vecchie lire). Dopo questa asta Lucio Fontana si situa di diritto nella fascia dei top-price composta da pochi nomi internazionali poiché il mercato americano, culturalmente e commercialmente autoreferenziale, tende a privilegiare e premiare con prezzi assolutamente sproporzionati i propri artisti, sia scomparsi che viventi. La sua ricerca linguistica, però, si situa oltre i pittori dell’Espressionismo astratto, in quanto al contrario di Pollock che eseguiva la sua “action painting” rimanendo nella superficie della tela, Fontana che trova nel Futurismo la sua radice, si pone il problema di come sfondare la superficie dello spazio e connetterla con il tempo. Cos’altro è la sua invenzione dei “buchi” e dei “tagli“ se non il tentativo di superare l’ostacolo piano, a due dimensioni, della tela per arricchirla della profondità, la terza dimensione, come se fosse creta o un materiale morbido da poter scavare, bucare o tagliare? Non a caso, questo interesse poteva venire solo ad uno scultore che aveva una visione spaziale della forma oltre che una lunga dimestichezza con una materia plastica come la creta, da lui sapientemente lavorata in ridondanti forme barocche. Fontana apprende la scultura dal padre e poi studia con Adolfo Wildt, scultore simbolista di algide forme marmoree, anche se mantiene il suo amore per il Barocco, uno stile che parrebbe non avere nulla ha che fare con le sue future opere pittoriche. Attraversando le forme barocche degli anni Trenta e quelle astratte degli anni Quaranta approda al massimo equilibrio dei tagli e dei
LUCIO FONTANA (1899-1968), "Concetto spaziale, La fine di Dio", 1963, olio, squarci, buchi e graffiti su tela, 178x123 cm, Christie’s Stima pre asta: 15-20 milioni dollari, prezzo realizzato: 20.885 mila dollari. Una buona notizia per il mondo dell’arte moderna italiana: all’asta di Christie’s svoltasi a New York nel novembre dell’anno scorso, tra le molte opere battute a prezzi record appare, finalmente, ai livelli più alti quella di un artista italiano, o meglio, italo-argentino, Lucio Fontana, maestro riconosciuto dell’Informale, fondatore dello Spazialismo e padre radicale delle avanguardie. Si tratta di uno dei suoi “ovali” di grandi dimensioni (il mercato americano non 20
LUCIO FONTANA buchi che fanno di lui l’ultimo artista della classicità. Fontana ha realizzato oltre 5500 opere che, nell’arco di cinquanta anni di attività, è un numero enorme se si pensa che, ad esempio, Vermeer ha eseguito 36 dipinti in tutta la sua vita. Anche in ciò si può constatare come sia andata modificandosi l’arte con il passaggio dal primato della maestria tecnica e artistica (che, però, Fontana possedeva), al primato dell’idea e del concetto come garanzia di modernità. E’ per questa ragione che Fontana conta numerosissimi falsi: un suo “taglio”, infatti, è facilmente riproducibile e, se non fosse per le improbabili scritte che il pittore apponeva di sua mano sul retro delle tele, i falsi sarebbero ancora di più. Però, contrariamente a molti artisti che tendono a ripetere se stessi, egli è rimasto fino alla fine uno sperimentatore dotato di una inventiva inarrestabile che ha indagato in modo assolutamente libero tutte le forme artistiche. Già nel 1948, nella seconda stesura del Manifesto dello Spazialismo, ribadiva l’esigenza di superare l’arte del passato, facendo “uscire il quadro dalla sua cornice e la scultura dalla sua campana di vetro” e anche di “produrre nuove forme d’arte utilizzando i mezzi innovativi messi a disposizione dalla tecnica”. Nel 1949 approfondisce la ricerca spaziale con l’avvio del ciclo dei “Buchi”, opere pittoriche dove all’intervento cromatico vengono aggiunti “vortici” di fori eseguiti con un punteruolo. Nel 1958 - a quasi sessanta anni - nasce il ciclo dei “Tagli” caratterizzati da tagli netti e precisi sulla superficie della tela, inizialmente dipinta con aniline e, successivamente, con idropittura. I tagli si presentano in fitte sequenze tendendo poi a ridursi a pochi o ad essere addirittura unici, con una garza nera che ne chiude sul retro la luce. I “Tagli” di Fontana sono tra le opere
LUCIO FONTANA: “Cavallo”, 1936, ceramica smaltata, 51x52x33 cm
più riconoscibili dell’arte mondiale e ciò è uno dei motivi per cui, dopo essere stati bersaglio di critiche ferocissime, oggi sono ormai assurti al ruolo di icone del moderno. Dall’inizio degli anni Sessanta, Fontana si concentra sulla serie degli “Olii”, opere su tela dove lo spesso strato del colore a olio, materia pittorica plasmabile, è inciso, attraversato da buchi o lacerazioni. Il ciclo delle sue “La Fine di Dio” (1963-1964), invece, comprende opere realizzate tutte su telai ovali della stessa dimensione (178x123 cm) che si distinguono per le costellazioni di buchi, squarci, graffiti che interessano parte o tutta la superficie della tela ricoperta di colore ad olio monocromo. Questa serie di lavori è stata chiamata “La fine di Dio” da Fontana che così le spiega: “Per me significano l’infinito, la cosa inconcepibile, la fine della figurazione, il principio del nulla”. 21
TUTTI PAZZI PER LA RAGAZZA A una settimana dall’inaugurazione sono già stati venduti venduti 100mila biglietti e gli organizzatori si aspettano 300mila visite. Si tratta della mostra diventata un evento “La ragazza con l’orecchino di perla, Il mito della Golden Age. Da Vermeer a Rembrandt” in corso fino al 25 maggio a Bologna. Secondo l’organizzatore, la ragazza con l’orecchino di perla, “assieme alla Gioconda di Leonardo e a L’urlo di Munch, è unanimemente riconosciuta come una delle tre opere d’arte più note, amate e riprodotte al mondo”. L’esposizione, una quarantina di opere tra cui due Vermeer e quattro di Rembrandt (da cui il titolo) in arrivo da un tour mondiale, si concluderà a Bologna, unica sede europea prima del ritorno al Mauritshuis Museum de L’Aja. Jan Vermeer, (Delft, 1632 - Delft, 1675) il pittore olandese più celebre assieme a Rembrandt, realizza tra il 1665 e il 1666 il famoso dipinto, un olio su tela molto piccolo: 44,5 centimetri di altezza per 39 di base. L’opera possiede un fascino intrigante dovuto ai diversi elementi che la rendono straordinariamente moderna: l’elegante figura che si staglia contro il fondo nero colta di tre quarti nella morbida luce naturale; la languida bellezza della ragazza e la sua espressione dolce ma non statica, come fermata al volo; la spontaneità dei grandi occhi neri girati all’indietro verso l’osservatore, la bocca rossa e lucida, leggermente aperta, forse stupita; il viso illuminato dai veloci riflessi di luce negli occhi, sul labbro inferiore, nell’angolo della bocca e sulla perla; l’inusuale turbante vagamente esotico. Questo ritratto ad olio ha precorso di 350 anni le fotografie glamour delle riviste di moda! La celebre perla del quadro, invece, è talmente grande da indurre a pensare che debba essere
JOHANNES VERMEER una finta perla in vetro di Venezia. La passione per “La ragazza” è abbastanza recente, infatti, quando all’asta del 1881 viene messa all’incanto la collezione, il quadro è acquistato per la modesta somma di due fiorini e trenta centesimi. Solo a partire dalla fine dell’Ottocento, critici e storici dell’arte iniziano a riconoscere il valore del dipinto mentre la “riscoperta” definitiva di Vermeer avviene nel 1995, in occasione della retrospettiva allestita al Mauritshuis. Il quadro, che prima veniva chiamato “Ragazza con il turbante”, diventa “Ragazza con l’orecchino di perla” dopo l’uscita, nel 1999, del romanzo dalla romantica trama di Tracy Chevalier che scala le classifiche fino a diventare un successo senza confini e da cui viene tratto, nel 2003, il film candidato a tre premi Oscar, con la deliziosa e sensuale Scarlett Johansson. Quest’ultima, grazie anche ad una fotografia che ricrea magistralmente l’atmosfera degli ambienti fiamminghi, ha sicuramente contribuito alla popolarità del dipinto. Critico, il “critico” Philippe Daverio il quale dichiara trattarsi di mostra priva d’interesse perché: “lo spostamento di icone riguarda fenomeni religiosi e non fenomeni di storia dell’arte” e che la stessa opera si può vedere meglio su Google. Il suo consiglio - decisamente snob - è: «Il lavoro di Vermeer va osservato con attenzione nel suo contesto, andando al museo de L’Aja». Entusiasta, al contrario, per ovvie ragioni, l’assessore di Bologna: «Questa mostra è un’operazione di marketing riuscita. Il 2014 sarà un anno boom per il turismo a Bologna, l’incasso della tassa di soggiorno si aggirerà sui 4 milioni di euro». Chi non si può permettere il viaggio a L’Aja, dovrà accontentarsi dell’icona con i turtlén.
LE VITE DEGLI ALTRI Dopo lo scandalo Snowden che ha reso pubblica l’esistenza di sistemi di intercettazione nei confronti di Stati alleati da parte della intelligence americana, sono venute alla luce nuove rivelazioni sulle avanzatissime tecnologie adottate per controllare le persone che coprano ruoli considerati essenziali per la sicurezza e gli interessi USA, provando come gli inquietanti fatti raccontati nel film “La vita degli altri” sull’attività della STASI nella Germania dell’Est, facciano parte ormai della preistoria. Oggi, infatti, i sistemi di spionaggio sono basati essenzialmente sull’utilizzo di tecnologie che monitorano, catturano e setacciano tutte le emissioni elettromagnetiche attraverso sistemi di sorveglianza e di intercettazione grazie a centrali ascolto a terra fisse o mobili, droni, aerei e, soprattutto, centinaia di satelliti spia controllati da terra. Questa rete a livello mondiale è in grado di monitorare e catturare il traffico degli altri satelliti, le comunicazioni lungo i cavi sottomarini e le linee a fibre ottiche, qualsiasi tipo di segnale elettronico, ossia radio, telefonico, telematico: mail, immagini, video, testi ecc., ma anche i micro segnali come hard disk e webcam di computer, GPS dei veicoli e dei cellulari, carte di credito, web cam, pagamenti di utenze, autostradali, commerciali ecc. La raccolta può
avvenire come una “rete a strascico” o può attivarsi quando riconosce il profilo di una voce, di un singolo telefonino, di una rete wifi. Costellazioni di satelliti percorrono lo spazio costantemente e mappano la Terra fotograficamente e mediante i raggi X che operano col sole o con la pioggia, con le nuvole o la nebbia, e rilevano le minime variazioni di temperatura a terra coprendo un’area che va dai 40 cm fino ad una striscia larga 4 km e lunga 4000 km. Da poco sono entrati in uso anche veicoli spaziali senza pilota, più maneggevoli di un normale satellite perché in grado di spostarsi da un’orbita all’altra per raccogliere dati più dettagliati da aree più vaste. Ad un certo punto, i diversi Servizi a cui fanno capo le strutture di spionaggio si sono posti il problema di far confluire tutti i dati dei diversi sistemi in un unico centro per interlacciarli e tradurli in una sintesi globale. Dietro l’acronimo “GIA”, Global Imagery Architecture, Architettura Globale per Immagini, si nasconde un fantascientifico software fondato sulla mappatura ininterrotta e in costante aggiornamento di milioni di esistenze e percorsi umani schedati per l’eternità da cui poter estrarre, in ogni momento, tutti i dati richiesti. Dopo aver lasciato il servizio a causa di una crisi
STORIA E ARTE di coscienza, un giovane analista civile addetto al “GIA” che ha intravisto nell’enorme massa di stampe prodotte dal programma delle qualità estetiche non comuni unite ad una grande originalità, ha provveduto a censurarle per renderle irriconoscibili e ha inaugurato una mostra in una galleria canadese, la “TorontOne”, non soggetta alla giurisdizione americana. Le immagini esposte sono la versione semplificata poiché nelle funzioni primaria possiedono anche una dimensione nello spazio che permette di visualizzarle tridimensionalmente (un po’ come vedere una metropoli infinita dall’alto) con la possibilità di vedere in movimento, il tutto o anche la sola parte che interessa, rappresentando lo sviluppo nel corso del tempo. In pratica, è possibile vedere il filmato simbolizzato, momento per momento, della vita di una o più persone e delle loro interrelazioni con tutti i soggetti sensibili controllati. Ad ogni singola figura geometrica della mappa, ai suoi pixel, al suo colore, alla sua posizione nella griglia spaziale, sono associate altrettante informazioni - quantitative e qualitative - relative alle giornate, ai mesi, a agli anni della vita di un “HIS”, High Interest Subject (Soggetto ad Alto Interesse). Vale a dire di terroristi, criminali, militanti, sindacalisti, giornalisti, studiosi,
politici dell’opposizione e, perché no, del governo, oltre che di tutte le persone entrate in diretto contatto con loro in modi non casuali. Il programma provvede ad attribuire maggiore o minor valore ad ogni contatto a seguito di ulteriori verifiche allargate anche ai nuovi soggetti coinvolti. Si intuisce che intorno ad ogni singola persona considerata sospetta, il software attiva - automaticamente - centinaia di indagini sui “RHIS”, Related High Interest Subject, individui entrati in relazione più volte con l’indagato. Il risultato visivo finale sono delle vere e proprie “scie digitali” infinite che cambiano forma, peso, volume e colore, man mano che si muovono nello spazio-tempo. I coloratissimi quadri esposti in mostra raggiungono dimensioni notevoli in quanto potenzialmente privi di soluzione di continuità: quadri di lunghezza ad libitum come si conviene a storie di vite vere. All’osservatore comune che non dispone dei parametri di decodificazione, le immagini si presentano come pure forme colorate dotate di una logica geometrica complessa e una piacevolezza grafica e cromatica che le rende molto appetibili. Forse per la prima volta, un quadro astratto è quanto di più realistico possa esistere.
Marzo 2014, Anno 3 - N.3
News dal mondo Lucio Fontana
“Concetto spaziale, Attesa”, 1964
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Lucio Fontana
“Concetto spaziale”, 1964
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Lucio Fontana
“Concetto spaziale, Attesa”, 1964
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Lucio Fontana
“Concetto spaziale La fine di Dio”, 1964
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“La bocca della verità”, 2013
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Omaggio a Fontana
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LUCIO FONTANA ““Concetto spaziale, Attesa”, 1964, idropittura su tela, 80x80 cm, 60 di lato
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LUCIO FONTANA “Concetto spaziale”, 1964, olio su tela, 55x46 cm
LUCIO FONTANA “Concetto spaziale, Attesa” 1964, idropittura su tela, 80x80 cm, 60 di lato
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LUCIO FONTANA “Concetto spaziale, La Fine di Dio”, 1964, olio su tela
PAOLO TOMIO, Omaggio a Fontana 2103, “La bocca della verità”
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Sophie Lissitzky-Küppers e El Lissitzky URSS in costruzione, n° 2-3, 1940 (dettaglio) Fundación José María Castañé, Madrid
EL LISSITZKY L’ESPERIENZA DELLA TOTALITà
Sophie Lissitzky-Küppers e El Lissitzky,”URSS in costruzione, n° 2-3”, 1940 Involontariamente divertente il contrasto tra questo manifesto di El LissitzKy del 1940 che riporta il tradizionale bacio sulle labbra tra uomini, da sempre in uso presso il popolo russo, e l’omofobia patologica predicata dal Leader Macho Putin.
Mario Radice La partita di pallone, 1933 (dettaglio) Mart, comodato collezione privata
Mario Radice, “La partita di pallone”, 1933 (dettaglio) I quadri di Mario Radice meritavano una retrospettiva al Mart? Purtroppo, non c’è che il tempo per dimostrare l’inconsistenza di molta arte astratta: infatti, il quadro più bello di Radice in mostra è proprio quello riportato nella locandina
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