PERIODICO della FIDAart N.5 - Maggio ANNO 2014
FIDAart
In copertina: Paola Grott, Luna di mezza estate, 2011, olio su tavola, diam 124 cm
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FIDAart sommario Maggio 2014, Anno 3 - N.5
Editoriale
Viva la FIDA - la FIDA è viva
pag. 4
Politiche culturali
Arte Timbrica a Rovereto
pag. 5
Intervista ad un artista
Paola Grott
Mercato dell’arte?
Cattelan o l’arte dello sberleffo
pag. 20-21
Due pesci d’Aprile?
Gauguin e Bonnard
pag. 22-23
Storia e arte
Pointisme
pag. 24-25
pag. 6-19
News dal mondo Collettiva 12 Artisti Verdini, Tomio, Lucchi
ARTE TIMBRICA
pag. 28-29
FORME MORBIDE
pag. 30-31
Maurizio Cattelan
Bidibidobidiboo, 1996
pag. 32
Maurizio Cattelan
La Nona Ora,1999
pag. 33
Maurizio Cattelan
Lui, 2001
pag. 34
Maurizio Cattelan
Untitled (Stephanie), 2003
pag. 35
Son tutti figli di Duchamp, 2014
pag. 36
Omaggio a Maurizio Cattelan
Copyright FIDAart Tutti i diritti sono riservati L’Editore rimane a disposizione degli eventuali detentori dei diritti delle immagini (o eventuali scambi tra fotografi) che non è riuscito a definire, nè a rintracciare
EDITORIALE
VIVA LA FIDA - LA FIDA E’ VIVA dal 22 marzo al 22 maggio 2014 Grand Hotel Trento - Via Alfieri, 1 - Trento
F.I.D.A. Federazione Italiana degli Artisti
CICLO di 6 incontri “VIVA LA F.I.D.A”
"Dialoghi 01" BOATO/LOME intervento di Pietro Marsilli
23 aprile 2014 ore 20.45
Bookique Caffè Letterario via Torre d’Augusto 29 - Trento _____ la mostra proseguirà presso
Ritorna in gran forma FIDA-Trento (Federazione Italiana degli Artisti di Trento) con una serie di nuove iniziative. Dopo il riposo invernale necessario per rimettersi dalle fatiche di quattro grandi collettive realizzate nel 2013 su tutto il territorio trentino, riparte la programmazione con un ciclo di eventi intitolati maliziosamente “Viva la FIDA” pensati per rilanciare l’ottimismo dell’associazione e la sua voglia di dire qualcosa di nuovo, nonostante e contro la depressione che sta penalizzando il mondo della cultura. Si tratta di 6 incontri-mostre, definiti “DIALOGHI”, in cui ogni volta due soci esporranno alcune loro opere e, il giorno dell’inaugurazione spiegheranno i lavori. Il pubblico potràdovrà interloquire con i due artisti per chiedere, discutere, approfondire le tematiche e le idee proposte. L’idea di fondo è quella di avvicinare la gente e, soprattutto i giovani, all’arte mosìderna nei suoi vari aspetti, espressioni, problematiche e tecniche per superare la barriera culturale che le è stata innalzata intorno facendole perdere le sue stesse ragioni storiche di essere. Il primo “Dialogo BOATO/LOME” è già avvenuto con la collaborazione del critico Pietro Marsilli nella serata del 23 aprile in concomitanza con la Festa del libro ma l’esposizione della coppia proseguirà il 2 maggio nei locali del circolo Chinaski con un aperitivo di apertura. Con cadenza mensile seguiranno poi altri cinque Dialoghi (le date non sono certe perché ancora in corso di definizione) che prevedono la partecipazione di soci della FIDA di tutte le età, ma soprattutto giovani, sia astratti che figurativi in modo da coprire tutto l’arco dei linguaggi espressivi. L’iniziativa è certamente impegnativa perché prevede la rotazione di sei mostre-incontri autogestiti dagli artisti i quali dovranno farsi carico degli allestimenti e anche della gestione degli eventi nell’ottica di instaurare un “Dialogo” costruttivo e stimolante, per e con, il pubblico.
2 maggio 2014 ore 18.00
ChinasKi
vicolo degli Orbi, 4 - Trento
Paolo Tomio
aperitivo di apertura interventi di Pietro Marsilli - Angelo Magro
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ARTE TIMBRICA A ROVERETO stesso modo. Questa unicità è anche il valore dell’opera alla quale poi, come si vedrà dalle opere esposte, concorrono molte altre componenti quali il colore, la forma di partenza e in breve la personalità dell’artista data da un soggetto o meno. I 12 artisti partecipanti: Silvio Cattani, Sergio Dangelo, Annamaria Gelmi, Rudolf Haas, Lome, Shuhei Matsuyama, Aldo Pancheri, Lucia Pescador, Paolo Tomio, Silvia Turri, Walter Valentini, Paola Zimmitti.
Prima esposizione “ARTE TIMBRICA” di opere su carta, Biblioteca Civica G. Tartarotti e Archivi Storici Rovereto - Corso Angelo Bettini, 43 Rovereto. Dal 5 al 30 maggio 2014 Inaugurazione: 5 maggio ore 18.00 E’ nato un nuovo Movimento Artistico? Aldo Pancheri, noto artista di Trento da sempre residente a Milano ne è convinto e, dopo aver lungamente sperimentato la sua idea, ha radunato un gruppo di dodici amici artisti, alcuni di livello internazionale (Sergio Dangelo, Rudolf Haas, Walter Valentini), proponendo loro di creare una serie di opere su carta in cui la cifra stilistica fosse la presenza di uno o più timbri personalizzati. Il risultato sono le ventiquattro opere di “Arte Timbrica” pubblicate sul catalogo che sarà presentato il 5 maggio. Comunicato stampa Partecipano alla stessa artisti emergenti e artisti di chiara fama, anche a livello internazionale. Questa esposizione è la prima a livello pubblico e le opere sono accomunate, oltre che dalla tecnica, dal supporto cartaceo, sia carta che cartoncino di diversi spessori, grammature e trame. La carta non solo è totalmente partecipe di una biblioteca, ma è anche alla base, nel mondo dell’arte, di tutte le opere che vengono poi eseguite su superfici e materiali diversi. Naturalmente un dipinto di Turner o di Nolde sono esattamente all’incontrario di questa affermazione. In linea di massima un’architettura, un dipinto, un’installazione e così via nascono da un primo segno grafico. Per l’Arte Timbrica il segno è essenziale in quanto ogni artista, inventando una propria matrice timbrica, costruisce un proprio stilema, che può essere usato più volte, ma per via della manualità che lo contraddistingue nessuna volta allo
Prima esposizione “Arte Timbrica” di opere su carta Apertura dal 5 al 30 maggio 2014
INAUGURAZIONE: 5 maggio 2014 ore 18.00
ARTE TIMBRICA
Biblioteca Civica G. Tartarotti e Archivi Storici Rovereto Corso Angelo Bettini, 43 Rovereto
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Intervista a PAOLA GROTT Ciò che colpisce nei dipinti di Paola Grott sono le enormi dimensioni delle sue tele e il senso di movimento che riescono ad esprimere attraverso i mille segni nervosi che corrono sulla superficie: dipinti monumentali resi leggeri e dinamici dall’uso sapiente di forme e colori. Paola ama i colori che usa indifferentemente in tutte le sue gamme: dai primari puri fino alle tonalità più varie che vanno dall’azzurro al verde, al blu, al viola, al giallo, al bianco non bianco fino ai neri e all’oro che emana un fascino simbolico o alchemico particolare. La complessità compositiva è esaltata dalle pennellate che non sono mai piatte, bidimensionali, ma sovrapposte in successivi passaggi in modo da poter vibrare e dare un senso di profondità ed ottenere così una pittura sfumata, evanescente, come vista attraverso un vetro opalino. Complesse figure gestuali vi si agitano, come organismi viventi aggrovigliati in uno spazio, a volte aperto e dilatato, a volte definito e costretto entro rigidi confini. L’artista affronta con metodo i temi che si pone e, fino a quando non li ha esplorati, sviscerati e introiettati, vi lavora infaticabilmente spinta dalla necessità di immergersi totalmente nella materia. Nella sua pittura espressionista in cui si sente la lezione di Rothko filtrata però da una sensibilità più emotiva, si riconoscono brani di natura o memorie fantastiche vagamente antropomorfe, racconti trasferiti sulla tela e composti con ideogrammi di una scrittura inventata (ma che potrebbe anche essere vera), attraverso segni sospesi come in volo o mossi dal vento, in un turbinìo ascendente. Solo nelle opere più recenti Paola ha iniziato a racchiudere in forme curve chiuse il suo “caos controllato”, forse per il bisogno di portare un ordine razionale in un’esperienza informale troppo coinvolgente, o forse solo per aprire un nuovo ciclo nella sua vita artistica (e personale). Paolo Tomio A sinistra: Per quanto tu cammini, 2010, olio su tela, 200x150 cm
In basso: Provvisorio stabile, 2011, tecnica mista su tela, 120x170 cm
Quando e perché hai cominciato a interessarti all’arte e dedicarti alla pittura? Solo tardi ho avuto la consapevolezza che ciò che avrei intrapreso sarebbe stato un viaggio nelle immagini e nel colore. Da giovani a volte si è confusi, non si sa dove andare, non si conosce. Riempire uno spazio di forme e segni significa dargli identità. Quindi la tela e il foglio diventano territori dell’identità, lo spazio per la ricerca e la costruzione del sé. Serve il “sapere” e il “saper fare”. Il “saper fare” si fonda sull’esperienza, è la capacità di individuare soluzioni, è un insieme di teoria, di pratica e di valore.
Quel che resta del giorno, 2011, olio su tela, 140x110 cm
Quali sono stati le correnti artistiche e gli artisti che più ti hanno influenzato? Ho sempre amato Soutine, affascinata dalle sue figure, dai paesaggi contorti, dai rossi decisi, dal particolare senso di deformazione, da un raccontare emotivo che si muove e si piega. Poi Rothko, ci si immerge nel colore e ci si perde nei bordi. La cosa più impegnativa è essere se stessi. Dedicarsi all’arte è un lavoro difficile, necessita di continua ricerca e autocritica e non si sa se la situazione dell’artista sia un privilegio o una maledizione.
Nel corso della tua carriera, hai conosciuto artisti locali o nazionali? A Trento sono stata in contatto con Giancarlo
A sinistra: Sconfinato oceano, 2012, tecnica mista su tela, 140x110 cm
Vitturini del quale ho visitato la bella mostra a lui dedicata lo scorso anno: sembrava fosse ancora lì, nello studio di via San Pietro, come se il tempo si fosse fermato. Tanti artisti ho incontrato, anche di grande fama, tanti compagni di studi prima e d’insegnamento poi: in lunghi anni hanno fatto ottimi percorsi. Tutti ti danno qualcosa che non si cancella. Non c’è pensiero senza memoria e senza lotta contro l’oblio, le cose stanno comunque nell’ombra di ciò che appare.
Dopo gli inizi figurativo, quando hai cominciato a sviluppare un linguaggio più astratto? Non lo ritengo un linguaggio astratto, ma semplicemente un’evoluzione di linguaggio e per me sono ancora figurativa. Il mio percorso non è stato lineare, tuttavia costante: mi piace indagare ciò che non so.
Le immagini a volte sono in incubazione per anni, non ci si sveglia una mattina a dire: ecco ora faccio questo, c’è un lavoro preparatorio invisibile, silenzioso e molto intenso. Gille Deleuze scrive:” Nell’arte, in pittura come in musica, non si tratta di riprodurre o inventare delle forme, bensì di captare delle forze.” Poi serve quel tanto di follia profonda senza la quale non c’è arte.
Come definiresti il tuo stile? Quali sono, secondo te, le caratteristiche che ti rendono riconoscibile? Non mi interessa lo stile, nè caratteristiche di riconoscibilità, non sono un marchio anche se poi come accade per la scrittura che è solo tua, così il segno e la pennellata ti individualizzano. Silenzio delle sirene, 2013, olio su tela, dittico cad. 110x140 cm
marchio di riconoscibilità, ma dietro questi fenomeni c’è il marketing, denaro, società, gruppi di persone che lavorano e l’opera diventa come la moda sostenuta dalla pubblicità e veicolata in modo veloce dai media e sempre dal denaro che deve dare un ritorno a tutti. Va sottolineato l’indebolimento della funzione sociale dell’arte a tutto vantaggio dell’apparente. Penso anche che la velocità delle nuove tecnologie cozzi un po’ con i bisogni di tempi lunghi dell’interiorizzazione e così tutto scivola via in superfice.
Nel coso della tua carriera hai spesso modificato il tuo linguaggio per naturale evoluzione, per il desiderio continuo di sperimentare… ? Vado a cicli di lavoro della durata media di due anni. Rigiro un’idea, un oggetto o un pensiero finché non l’ho interiorizzato, concettualizzato e alla fine capita talvolta che vorrei rifare tutto da un altro punto di vista e in altro modo. Si va avanti sugli errori: errore dopo errore la vita se ne va velocemente. Del resto l’arte è una linea frastagliata fatta di scontri, di conquiste, di successi e di fallimenti.
Esiste secondo te una “pittura femminile” oppure l’arte non ha sesso? Bisogna ricordare che fin al 1893 le ragazze non potevano frequentare l’Accademia di Belle Arti, poi quando furono ammesse vennero tenuti dei corsi solo per loro e le Associazioni professionali degli artisti uomini, nate per tutelare i loro interessi,
L’asino del poeta, 2010, olio su tela, 200x100 cm Di questi tempi ha successo ciò che assume la forma di prodotto commerciale, con 10
erano chiuse alle artiste e le scuole d’arte per loro interdette. Lo ricorda anche Alberto Savinio nel suo libro “Ascolto il tuo cuore, città” raccontando che l’abate Parini, direttore dell’Accademia di Brera, quando una ragazza cercò d’iscriversi, si oppose pervicacemente, poi avvenuta l’ammissione a suo dispetto, la osteggiò in tutti i modi dicendo che non erano cose da donne, la isolò, la vessò in mille crudelissimi modi, la separò dai suoi compagni maschi, la escluse dalle classi. Non aveva pensato che l’uguaglianza mentale è anche più necessaria dell’uguaglianza sociale. Le donne potevano senza scandalo accedere a nature morte, disegni di ornato, paesaggi, ritratti, potevano ricamare. Solo in alcune classi sociali privilegiate esisteva la posizione di “professioniste”, le donne hanno avuto poco accesso alla formazione e alla visibilità. Non si riesce ad immaginare una donna che nel ‘500 e ‘600 potesse viaggiare, studiare filosofia, matematica, prospettiva. Anche all’inizio del’900 a “uscire da seminato” s’incontravano notevoli difficoltà, perché, per sottrarsi ad un destino di dipendenza, servivano autonomia economica e sociale senza dimenticare e sottovalutare la repressione, la violenza sottile e spesso sfuggente che si poteva annidare nelle relazioni intime e nella famiglia. Alla donna era dato solo trasmettere l’educazione e la scrittura, compito grande perché forma la coscienza, ma non eravamo nemmeno padrone del nostro corpo: non scordiamoci che la donna per la religione era un corpo senz’anima, solo gli uomini erano preposti al ministero. Esisteva un dualismo
Grigiviola Verde, 2013, tecnica mista su tela, 140x110 cm
Profondo è il rumore del bosco, 2010, olio su tela, 200x150 cm
cresciuti i prodotti massificati e la rete dell’informazione. Il concetto di arte oggi è ampliato a dismisura, il marketing e la comunicazione impongono anche ciò che arte non è, col risultato che solo ciò che il marketing considera ha valore e fuori dagli schemi del marketing c’è solitudine, mentre gli industriali dell’arte si prestano a operazioni finanziarie e pubblicitarie.
Nelle tue opere predomina il colore e la materia. Cosa rappresentano per te? Il colore è forma e significato, le immagini hanno un loro significato che bisogna conoscere. Purtroppo pochi sanno leggere le forme e il significato del colore e per ciò che riguarda la pittura pochi conoscono il valore o meno della materia con la quale la struttura è costruita. Le immagini raccontano più delle parole, con un colpo d’occhio si percepiscono numerose informazioni, mentre con le parole si può mentire. Il viaggio nell’arte è una ricerca di senso, una ricerca dell’ignoto in noi e fuori di noi. Ritengo ogni opera un momento di passaggio, di fatica, un tentativo di miglioramento del proprio lavoro e di se stessi. Dipingere è un esercizio di pensiero. Samuel Bekett. ”……… avrei potuto fallire meglio.”
Quel che abbiamo vissuto ci siederà sempre accanto, 2010, olio su tela, 200x150 cm
donna-natura, uomo-spirito. Un pensiero, un’idea non sono né maschile, né femminile e anche un quadro dovrebbe essere considerato per quello che è. Dice Louise Bourgeois: “Una donna non ha spazio come artista finché non ha ripetutamente dimostrato che non si lascerà eliminare.”
Ti interessa rappresentare nelle tue tele concetti, emozioni o cos’altro? Il poeta e scrittore Lawrence con una chiara metafora spiega che l’uomo, per difendersi dal caos in cui è immerso, apre un ombrello sulla cui volta interna è disegnato il suo firmamento, le sue convinzioni, il suo sapere,
Oggi, cosa ti interessa e cosa non ti piace dell’arte contemporanea? L’arte non ha più una funzione, sono 12
ma l’artista fa uno sbrego sull’ombrello, fa entrare un po’ di caos e cerca di riordinarlo in forme nuove: dal caos alla composizione che comunque è un’immensa fatica. Il viaggio nell’arte è una ricerca di senso, una ricerca dell’ignoto in noi e fuori di noi.
Qual’è la tecnica artistica che principalmente nella tua attività?
utilizzi
Uso di tutto un po’, in primis il disegno come strumento d’indagine e non ho paura dei colori. Mi butto con avidità nel secchio del giallo o del rosso come avessi un grande desiderio di dissetarmi. Mi piace andare nel difficile, in ciò che non so fare, i blu e i monocromi mi pare siano più semplici da accordare.
Si può usare qualunque materiale, nuove tecnologie comprese, più che altro serve un’idea, un progetto e la sua realizzazione è il luogo di sintesi che deve essere capace di confrontarsi con la realtà e le contraddizioni dei nostri tempi. Più che alla tecnica bisogna fare attenzione a non cadere nell’illustrativo, nel descrittivo e nella ripetizione. Dunque pratica e pensiero, ma se non s’insegna più la storia dell’arte si va verso la desertificazione di quest’ultimo.
Contemporaneamente alla pittura, hai anche affrontato anche altre tecniche artistiche? Mi sono occupata d’incisione realizzando piccole edizioni a tiratura limitata, di fusioni a
Toro, 2013, tecnica mista su carta, 25x35 cm
cera persa traducendo in oggetti i soggetti di tele e disegni intesi come arte da indossare. Il senso con il quale una donna costruisce per sé un ornamento è diverso dal senso che dà un uomo nell’acquistarlo e nel porgerlo in dono: nella maggior parte dei casi è significativo del suo potere e della sua disponibilità economica, mentre anche dalle cose di poco conto possono nascere
cose vere che si rivelano preziose metafore e diventano simboli. Purtroppo mi manca tutta la parte digitale e così non si possono fare tutti i filmati che vorrei o tutte le interessanti sperimentazioni che le nuove tecnologie consentono. Penso comunque che anche con i semplici strumenti tradizionali si possano indagare gli incidenti dell’anima e i gorghi della vita.
Forse a torto ritengo che da una semplice immagine si debbano accendere le icone del cervello anche se talvolta faticoso e non sempre immediato.
L’esperienza di lavoro a Milano come ha cambiato la tua visione artistica? I luoghi dove si vive spesso rimangono transitori, quelli delle origini sono il tuo paesaggio interiore permanente. I rapporti con i luoghi della memoria sono profondi, non si riesce a staccarsi, a volte sono fotografie scattate e messe da parte, ma lì vive, precise che si fanno presenza, significato, impronta e rimescolano i nostri pensieri. Il tempo interiore è un tempo diverso da quello della quotidianità, ha una durata diversa. La memoria si riempie d’immagini, talvolta le immagini si sovrappongono diventando senso ed emozione: questo è ciò che è sfuggito al passato a dispetto dell’omologazione del presente, si fa traccia, costruzione, luogo, ricompone frammenti emotivamente vivi, quasi ad indicare rassicurazioni sul nostro incerto vivere. Milano ricca di fermenti culturali e diversa mi ha dato molto e tutto si è mescolato in modo profondo alle radici trentine.
Aurora surgit, 2011, olio su tela, 200x150 cm razione. Se c’interroghiamo sulle scelte culturali, quelle locali sono anche nazionali, europee e planetarie, si pongono fra ciò che è la nostra tradizione e la progettualità che dovrebbe essere scevra da interessi particolari e da consensi immediati. Si dovrebbe dialogare continuamente con tutto ciò che è diverso da noi, no a chiusure e arroccamenti per ampliare il nostro modo di vedere e come obiettivo alzare sempre più la linea d’orizzonte. Conoscere le differenze dell’altro da noi è percorso difficile, ma forse l’indicazione di una strada da intraprendere, una fatica da
Segui la “politica culturale” trentina? Pensi che si possa fare di più o meglio per il settore artistico? Non seguo la politica culturale trentina, ma in generale posso dire che la politica ha ridotto male la cultura tenendola in scarsa conside-
A sinistra: In volo, 2004, olio su tela, 110x110 cm 15
Invece la bellezza, attraverso un lungo e paziente lavoro, compone un mondo all’interno del quale noi possiamo scoprirci. Ben consapevole della precarietà dell’io ritengo si debba correre il rischio del naufragio. Cito Simon Weil: ”L’essenza del bello è contraddizione, scandalo e in nessun caso pacifico accordo.”
E per finire, cosa è per te l’arte? E chi è l’artista? Sicuramente per me l’arte è un bisogno, quasi una circolarità che indica l’impossibilità di uscire dal proprio destino. L’arte, alla fin dei conti è un atto di resistenza alla morte, dovrebbe essere qualcosa di atemporale, separata da chi ha prodotto le opere atte a durare, ma se il corpo è opera ora a cosa affidare il compito di resistere alla morte se l’arte è destinata ad declino? L’attività artistica è un costante impegno fisico, intellettuale, di studio da perseguire con rigore e serietà e nel quale si deve essere sempre pronti a mettersi in discussione, perché gli errori sono sempre in agguato, si vedono dopo: si rischia sempre la propria disfatta. I miei quarant’anni di lavoro non sono stati una passeggiata, così come la vita, anche l’arte è fra l’ordine e il disordine. Alla domanda chi è l’artista rispondo con questa frase di Gustav Klimt: “Chi vuole saper di più su di me, osservi attentamente i miei dipinti per rintracciarvi chi sono e cosa voglio.”
Grande cuore, 2013, olio su tela, 140x110 cm compiere per giungere ad una nuova dimensione di noi stessi e ad una visione dell’altro più definitiva, né oscura né irraggiungibile.
Cos’è la bellezza? E’ un valore che ricerchi o è subordinato ad altri valori? La bellezza è qualcosa che non si afferra, ma inquieta. La sua funzione pare perdere di senso, vanificarsi nella disattenzione, nella non passione mentre si annaspa in quel labirinto di doppi e contradditori messaggi: pare che l’inconscio nell’arte abbia sempre meno spazio imprigionato com’è nelle prepotenze del business e della finanza.
A destra: Custode delle acque, 2008, olio su tela, 200x150 cm 16
ad acquaforte i suoi racconti ed i racconti di Vincenzo Buonassisi, Mauro Marcantoni, Giuliano Salvadori del Prato, Giorgio Saviane. Completa la serie con tre cartelle di incisioni dedicate alla poesia di Gilberto Finzi, Angioletto Mariani e Franco Rella. Con i suoi racconti e pensieri è stato pubblicato “Disegni e parole, parole e disegni”(1995), “Il pensiero e l’immagine”(1994) e “Solo su misura”(1998) da Zell 40 Ed.d’Arte. L’arte della Grott è stata presentata in numerose mostre: al castello Visconteo di Trezzo d’Adda, alla Casa dei Carraresi di Treviso, a Palazzo Geremia a Trento, allo Spazio Prospettive di Milano, alla Torre Avogadro di Lumezzane (Bs), al Museo d’Arte Contemporanea di Montesegale, al Palazzo Carpani-Beauharnais di Pusiano. Ha partecipato a diverse mostre collettive fra le quali, con gli Artisti Lombardi, al Castello di Vigevano e in “Situazione Trentino Arte” al MART di Rovereto. Nel 2001 viene invitata dalla Regione Trentino Alto Adige ad esporre alla Médium Galéria Kulturhaus di Szombathely (Ungheria), nel 2002 dall’Università di Trento per l’inaugurazione dell’Ex Molino Vittoria e in seguito per un’esposizione sulle “Carte geografiche”, chine e disegni, che esegue nel 2003 ispirandosi alle mappe catastali teresiane.
PAOLA GROTT Nasce a Trento, frequenta l’Istituto d’Arte A. Vittoria e si trasferisce in seguito a Milano per frequentare l’Accademia di Belle Arti di Brera dove si diploma al corso di Pittura nel 1974 con Domenico Purificato. Inizia l’insegnamento di Discipline Pittoriche e continuerà a frequentare lo studio del maestro fino al 1984: l’incontro determinerà sulla sua personalità un forte impatto culturale, umano e pittorico ponendo le radici per una costante ricerca di linguaggio. Il suo percorso artistico inizia con discrezione, si fa conoscere in diverse esposizioni e spesso premiata. Ha insegnato Discipline Pittoriche al Liceo Artistico di Brera. Nel 1987 frequenta per un breve periodo lo studio di Salvatore Fiume che darà una precisa svolta coloristica al suo lavoro. Realizzerà poi col maestro un dipinto a quattro mani dal titolo “Isola del Sogno” che sarà esposto nel 1988 alla Galleria Santerasmo di Milano. Ha dedicato cicli pittorici alla figura, alla natura che ha interiorizzato nella sua infanzia in Trentino, alle architetture della città di Bolzano e rivisitato gli affreschi di Casa Cazuffi-Rella di Trento. Sviluppa il tema della finestra quale confine simbolo fra esterno ed interiorità, mentre corpi, nature morte e oggetti sono figure di emozioni e sentimenti, un pretesto per esprimere altro: metafora della realtà e del suo pensiero sull’esistenza. Esegue una serie di dipinti rivisitando i miti, gli dèi e l’Archetipo della Grande Madre. Realizza alcune opere a cera persa traducendo in gioielli i soggetti di tele e disegni, si occupa di incisione proponendo dodici edizioni d’arte a tiratura limitata illustrando con incisioni
Tra gli scritti più importanti su di lei si segnalano quelli di Gilberto Finzi, Raffaele De Grada, Franco Rella, Franco de Battaglia, Isabella Bossi Fedrigotti, Luigi Serravalli. Luigi Cavallo, Giuliano Salvadori del Prato e Sergio Spadaro. Una sua intervista è pubblicata in “Chi dice donna” (Trentino ed. 2005) a cura di Milena Di Camillo. Alla Sala degli Affreschi presso la Biblioteca Comunale di Trento presenta nel 2007 due pubblicazioni: “L’invidia degli dèi” (testo di Alessandro Grott) e “In viaggio con gli dèi” (testi di Grazia Aloi, Paola Grott, Maria Grazia Schinetti, Sergio Spadaro) Zell 40 Ed. d’Arte. “Colori per un fiume, colori per gli dèi” al Castello Visconteo di Trezzo sull’Adda nell’estate 2007. Ciclo di lavoro dal titolo “Blu profondo”, presso lo Spazio Klien del Comune di Borgo Valsugana (2008). Le opere sono accompagnate da una raccolta di poesie “Il bosco in quattro canti” di Micaela Bertoldi. Partecipa con un suo intervento a “Incontro con le artiste”, catalogo audiovisivo delle artiste che 18
operano in Trentino, edito dall’Assessorato alla Cultura della PAT in collaborazione con il MART. “Colori della luna” è il catalogo che raccoglie le fusioni a cera persa, bracciali-scultura intesi come arte da indossare presentato allo Spazio Kryptos (giugno09) di Milano con l’intervento di Marco Mancini. Altre esposizioni nel 2009 a Riva del Garda alla Galleria Civica G. Craffonara e a Rovereto presso la Biblioteca Civica “G. Tartarotti”. Nel 2010 lo Spazio Hajech- Liceo Artistico di Brera le dedica una mostra presentata da F.Pensa. Segue esposizione “Luce di Memorie” alla Biblioteca Civica Tartarotti di Rovereto e nel 2011 Grazia Aloi presenta il catalogo “Chiarori nell’ombra” Zell 40 Ed. d’Arte e catalogo Dvd all’Officina della Psiche Milano A marzo del 2012 il catalogo “Filo bianco Filo rosso” con la presentazione di F.de Battaglia e G. Calliari raccoglie lavori di grande formato dedicato alla musica di Shostakovich. A settembre si apre a Canzo (Co) presso il Battistero la mostra “Racconti di piccolo formato” e in questa occasione Claudia Mandelli e Piergiorgio Mandelli, nell’incontro sul tema “Perché l’arte”, sviluppano una breve analisi sull’interpretazione dell’opera e del collezionismo. Nel gennaio del 2013 è a Palazzo Libera di Villa Lagarina (Tn) con l’esposizione “Tracce di Luoghi” presentata da Serena Giordani. Nel catalogo Filìa, dedicato all’amica Adriana Castellani, i lavori del 2012 sono presentati da Angela Manganaro e Serena Giordani e raccoglie testimonianze sull’amicizia e la solidarietà nel ambito della cultura di Grazia Aloi, Micaela Bertoldi, Giuseppe Calliari, Milena Di Camillo, Marcello Farina, Marco Mancini, Claudia Mandelli, Michele Nardelli, Alberto Noceti, Franco Rella, Emanuela Rossini, Nadia Scappini e Togo. (Zell 40 Ed.d’Arte 2013) A maggio 2013 presenta il libro d’arte FILIA alla Casa della Cultura di Milano con Angela Manganaro, Enrico Paglialunga, Emanuela Rossini e a giugno a Palazzo Trentini a Trento con Micaela Bertoldi, Mario Cossali e Antonella Carlin. Nel 2013-14 esegue una serie di disegni su carta dal titolo Fuga dall’ombra”. “Passioni esistenziali nelle forme e nei colori” è l’esposizione a marzo 2014 a Palazzo Libera a Villa Lagarina (TN). www.grott.it
Tutti i numeri 2012-2013 della rivista FIDAart sono scaricabili da: www.fida-trento.com/books.html Tutti i numeri 2012-2013-2014 della rivista FIDAart sono sfogliabili su: http://issuu.com/tomio2013
FIDAart copertina del N.5 2014 Periodico di arte e cultura della FIDAart Curatore e responsabile Paolo Tomio
PERIODICO della FIDAart N.5 - Maggio ANNO 2014
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MERCATO DELL’ARTE ? Di lui si sa poco: ha frequentato l’Accademia delle Belle Arti a Bologna (un anno), e prima di arrivare al successo ha svolto numerosi lavori tra cui, dice lui, quello di becchino, il che spiegherebbe la sua onnipresente ossessione per la morte. I temi delle sue apparentemente ironiche installazioni, infatti, sono in gran parte incentrati sul concetto della morte come nel caso dei bambini impiccati, dello scoiattolo suicida “Bidibidobidiboo” (vedi pag. 34), del cavallo infilzato dalla scritta INRI, della fila di salme scolpite nel marmo ecc. Oppure, se non sono palesemente morti, sono rappresentati in posture ridicolmente tragiche: cavalli piantati con la testa nella parete, sospesi in aria, scheletri sovrapposti di animali; il suo repertorio di animali imbalsamati rimanda sempre ad una fine senza senso e senza speranza. Un altro tema che ritorna spesso nelle sue opere, ovviamente rivisitato in chiave provocatoria o polemica, è quello della religione cattolica e dei suoi rappresentanti, da lui evidentemente poco amati, come dimostra l’iconoclastica installazione “La nona ora” in cui Papa Woityla è abbattuto da un meteorite che ha sfondato il lucernario (vedi a pag. 32). Forse il cinquantatreenne Cattelan ha subìto nell’infanzia qualche trauma nei suoi rapporti con la Chiesa. Molte altre installazioni possiedono contenuti religiosi, sociali e politici espliciti, ad esempio il manichino di Hitler inginocchiato mentre sta pregando oppure uno dei suoi interventi più dissacranti ma di grande qualità estetica, un vero e proprio monumento classico, “L.O.V.E”, la mano in marmo bianco di Carrara con tre dita troncate e il medio dritto, innalzata nel 2010 davanti alla Borsa di Milano (vedi pag. 21). Mai come in questo caso, un’opera d’arte parla più di mille parole.
MAURIZIO CATTELAN (1960), UNTITLED, 2001, Sotheby’s New York, maggio 2010, cera dipinta, capelli e abbigliamento. Altezza figura: 59 cm (dentro 150 cm). Numero 3 di un’edizione di 3 più una prova d’artista. Stimato 3.000.000 - 4.000.000 $ è stato venduto a 7.922.500 dollari (5.7264 mila €). NB Questa improbabile “scultura-autoritratto” richiede che si debba realizzare un foro di cm 60x40 nel pavimento dove alloggiarla. Maurizio Cattelan è, oggi, l’artista italiano vivente più conosciuto grazie alle sue sapienti strategie comunicative e anche il più pagato a livello internazionale. Le sue opere concettuali molto particolari hanno raggiunto cifre considerevoli e, seppur non caratterizzate da quella facile ripetitività che piace al mercato, ripropongono sempre un suo “stile” del tutto personale inventato e portato avanti fin da 1991, quando presentò “Stadium”, un lunghissimo calcio balilla per 22 giocatori. Da allora, ha sempre ha fatto della provocazione e dello sberleffo la sua cifra, ben cosciente che, nella società delle comunicazioni, l’arte è comunicazione e la comunicazione è un’arte. 20
L’ARTE DELLO SBERLEFFO Una frase dell’artista, d’altronde, chiarisce bene la sua filosofia: “Non ho mai fatto niente di più provocatorio e spietato di ciò che vedo tutti i giorni intorno a me. Io sono solo una spugna. O un altoparlante”. Cattelan è ben conosciuto anche a Trento dove, insignito nel 2004 della laurea ad honorem in sociologia, non si presentò all’Università ma mandò in sua vece un asino imbalsamato dal titolo criticamente autoironico “Un asino tra gli asini”. A parte le tele tagliate con la Z di Zorro con cui rifà il verso al “taglio” di Fontana, non si conoscono altre su opere pittoriche, il che, oltre a confermare i molti dubbi sulle sue capacità artistiche (non so disegnare, dichiara), lo incorona come il vero prototipo dell’artista contemporaneo: un produttore di pure idee la cui esecuzione concreta è delegata ai collaboratori. Nel corso di 25 anni di attività ha utilizzato per le sue sculture scenografiche un variegato “be-
stiario” composto da un’ampia gamma di animali piccoli (topi, lepri, piccioni, gatti, cani) e grandi (cavalli, asini, struzzi, vacche), sia tassidermizzati che in materiali sintetici, nonchè di persone varie e bambini meccanizzati simili a degli automi dalle espressioni inquietanti. Stranamente, invece, in un’unica sua opera, “Stephanie” (vedi a pag.35,) una via di mezzo tra una polena e un trofeo di caccia da parete, è riscontrabile una componente sessuale esplicita. Coerentemente con tutta la sua storia, Cattelan ha fatto ritirare il suo Premio Alinovi-Daolio, dai due comici de I soliti idioti travestiti da preti, provocando le ire della giuria la quale non ha apprezzato il comportamento che era la motivazione stessa del premio: «Aver adottato il precetto di base dell’arte concettuale, che invita a inventare le occasioni nella mente, come brillanti, provocanti, sconvolgenti pensieri,...» dimostrando così di non aver capito nulla della sua arte.
DUE PESCI D’APRILE? natura morte con cagnolino) datato 1869, con dedica alla contessa di N(imal) e non firmato, attribuito a Paul Gauguin, dimensioni 46,5x53 cm (originariamente 49x54 ma ridotto a seguito del taglio eseguito dai ladri) e l’altro, firmato Pierre Bonnard, “La femme aux deux fauteuils”, (Donna con due poltrone) di 44x54 cm. I due quadri, rubati alla facoltosa coppia inglese Marks e Kennedy che li aveva comprati da Sotheby’s nel 1961, erano stati ritrovati dal personale di bordo su un treno proveniente da Parigi e portati al deposito oggetti smarriti della stazione di Torino. Non richeste da nessuno, le due tele erano state messe all’asta nel 1974 dalle Ferrovie dello Stato e acquistate da un operaio Fiat di origini siciliane: il primo incanto era andato deserto e solo alla seconda chiamata l’uomo aveva acquistato i due quadri pagandoli 45 mila lire. Nessuno aveva compreso il loro valore artisti-
Due pesci d’Aprile? La notizia della scoperta di due capolavori impressionisti apparsa sulla stampa il 2 aprile avrebbe creato qualche legittimo sospetto sul solito pesce d’Aprile, se non fosse stata certificata dallo stesso neo Ministro della Cultura Franceschini. Invece è vera e si aggiunge alla già lunga lista di opere d’arte scoperte più o meno casualmente in questi ultimi mesi: dai 1500 dipinti di arte astratta, “degenerata”, requisiti dal Nazismo a ebrei tedeschi (valore un miliardo di euro), che un signore ignoto al fisco occultava in un appartamento di Monaco, al dipinto di Van Gogh lasciato per anni in un deposito del Museo Van Gogh perché ritenuto un falso. Il caso italiano assomiglia più ad un film dei fratelli Vanzina che non a Schindler List. Si tratta di due quadri rubati ritrovati fortunosamente: uno intitolato “Fruits sur une table ou nature morte au petit chien“ (Frutti su una tavola o
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GAUGUIN e BONNARD
co ed economico poichè il dipinto di Gauguin non era firmato mentre quello della fanciulla in giardino di Bonnard, era stato erroneamente attribuito a tale Bonnato. Solo recentemente il figlio dell’operaio, osservando la somiglianza del quadro appeso in casa con un dipinto di Gauguin che compariva su un catalogo del 1964, si era rivolto ai Carabinieri della Tutela Patrimonio Culturale i quali, dopo approfondita indagine, hanno confermato la paternità delle due opere. L’opera di Gauguin, stando alle quotazioni attuali, raggiunge un valore compreso tra i 15 ed i 35 milioni di euro, mentre quella di Bonnard, più modestamente, si aggira intorno ai 600 mila euro. Sulla vicenda
sono in corso ulteriori accertamenti dei carabinieri e della Procura per accertare come i due dipinti siano finiti in Italia e, soprattutto, per verificare se esistano titolari dei diritti di proprietà sulle due preziose opere. I due coniugi Marks e Kennedy sono ormai deceduti e, dato che non risulta abbiano degli ered, sarà necessario capire se qualcuno possa legittimamente rivendicare la proprietà dei due dipinti. Accertato l’acquisto in buona fede in quanto avvenuto ad un’asta pubblica, il tesoretto dovrebbe essere meritatamente restituito all’ex operaio pensionato il quale, tra l’altro, è stato l’unico in grado di apprezzare l’arte moderna. 23
POINTISME
Jean Jaques Mirabeau, sedicente discendente del celebre Honoré Gabriel Riqueti de Mirabeau, scrittore e politico della Rivoluzione francese ricordato per l’aforisma: «Solo gli imbecilli non cambiano mai opinione», è un pittore settantenne che, dopo una vita difficile, sta raggiungendo una certa notorietà nell’enclave parigina grazie ad una sua particolarità, probabilmente unica al mondo. Egli, nel 1968 è il fondatore e, a quel che si sa,
anche unico membro, del “Pointisme”, un movimento artistico che non ha nulla in comune con il più conosciuto Pointillisme (il Puntinismo), la tecnica pittorica creata nell’800 da Signac e Seurat e usata anche dal nostro Segantini. Da allora, quando ha esposto pubblicamente la sua prima opera, il cartello inalberato in un corte studentesco del Maggio francese (vedi foto a sinistra), fino ai giorni nostri, ha dipinto sempre e solo “punti” neri su tele bianche. Cosa volesse significare con quel suo primo punto non è ancora chiaro. L’artista parla di fede laica e cartesiana condensata nella figura geometrica perfetta per eccellenza: il cerchio, ciò che non nè ha inizio né fine in quanto sprovvisto di angoli e di spigoli simboleggia l’armonia, la compiutezza e l’unione e, grazie all’assenza di opposizioni, come l’alto e il basso, traduce l’indifferenziato in un’uguaglianza di principi. Mah! L’intera sua ricerca di questi 45 anni di attività si è incentrata sul punto, da cui il neologismo pointisme: un cerchio di colore “nero Mirabeau”, definito dall’autore un “noir n’est pas noir“ (nero-non-nero) per la sua tonalità ottenuta dalla mescolanza in proporzioni segrete di quattro colori base: nero, bianco, blu e rosso. Insomma, un nero meno banale di quanto potrebbe sembrare a prima vista. In effetti, non si ricorda un artista moderno che abbia lavorato incessantemente per tutta la vita solo su un tema, per di più così concentrato e dalle limitate possibilità di sviluppo. Nel corso degli anni l’artista ha progressivamente introdotto nelle sue composizioni impercettibili ma costanti variazioni passando da un unico punto (l’individualismo, la solitudine?) a tele, sempre immancabilmente bianche, con due punti, a volte vicini (yin e yang, il nero e il bianco?), a volte distanti (la crisi della coppia?),
STORIA E ARTE
posti in cerchio (l’unione), e infine con più punti a forma di croce (la fede ritrovata?) o di piramide (la società gerarchica?) e così via. (vedi foto a pag.24 in basso) perché l’artista non ha mai voluto spiegare i dipinti limitandosi ai titoli spesso ermetici o allusivi in cui molti hanno letto dei riferimenti alla filosofia esistenzialista. Un tema a prima vista povero ha dato vita ad un modo: dipinti con punti ordinati, casuali, a righe, contrapposti, a colonne, diagonali, a scacchiera, in curva ecc. Dopo essere stati ignorati per qualche decennio i suoi “punti minimalisti”, diffusi in tutti i bistrot parigini e venduti nelle piazze ai turisti per una cifra simbolica, sono entrati poco a poco nella cultura popolare cominciando a trovare degli estimatori. Superata la stagione materica dell’Informale e dopo l’esuberanza cromatica, materica ed oggettuale del Nouveau Réalisme, la critica militante francese, colpita dalla coerenza di Mirabeau, non aveva potuto evitare di parlare
della sua assoluta chiarezza di contenuti e totale astrazione concettuale che rimandava ad un nichilismo primigenio (Malevitch) o alla filosofia Zen ponendo delle domande sulla crisi del mondo occidentale. Il percorso artistico di Mirabeau aveva subìto una evoluzione radicale negli anni 90 quando aveva modificato le dimensioni del punto facendolo dialogare con un secondo cerchio molto più dilatato (“Dialogues”, Dialoghi) fino ad arrivare a “Le Grand Point”, un unico grande punto che occupa l’intera tela di 4 metri quadri. Nella mostra del 2002 appaiono per la prima volta i suoi lavori più importanti oggi in corso di discussione e rivalutazione (vedi foto in alto). Chissà che il Mirabeau moderno non dimostri che il suo nobile avo Honoré Gabriel Riqueti, dopo tutto, avesse torto riguardo agli “imbecilli che non cambiano mai opinione” e che invece, in arte, le opinioni immutabili, alla fine, vengano premiate. 25
Maggio 2014, Anno 3 - N.5
News dal mondo Collettiva 12 Artisti - Rovereto Verdini, Tomio, Lucchi
ARTE TIMBRICA
pag. 28-29
FORME MORBIDE
pag. 30-31
Maurizio Cattelan
Bidibidobidiboo,1996
pag. 32
Maurizio Cattelan
La Nona Ora,1999
pag. 33
Maurizio Cattelan
Lui, 2001
pag. 34
Maurizio Cattelan
Untitled (Stephanie), 2003
pag. 35
Son tutti figli di Duchamp, 2014
pag. 36
Tomio, Omaggio a Maurizio Cattelan
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ARTE TIMBRICA
PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO
ARTE TIMBRICA Biblioteca Civica G. Tartarotti e Archivi Storici Rovereto Corso Angelo Bettini, 43 Rovereto
Prima esposizione “Arte Timbrica” di opere su carta Apertura dal 5 al 30 maggio 2014 INAUGURAZIONE: 5 maggio 2014 ore 18.00
SILVIO CATTANI - SERGIO DANGELO - ANNAMARIA GELMI RUDOLF HAAS - LOME L.MENGUZZATO - SHUHEI MATSUYAMA ALDO PANCHERI - LUCIA PESCADOR - PAOLO TOMIO SILVIA TURRI - WALTER VALENTINI - PAOLA ZIMMITTI
Estratto della presentazione di Paolo Zammatteo
Forme morbide: Pietro Verdini, Paolo Tomio, Bruno Lucchi e l’enfasi nel linguaggio dei segni .......... Pietro Verdini è il più spirituale: è l’artista la cui vicenda personale entra in modo sentitamente autobiografico dentro il quadro. L’esperienza dell’uomo, che nella vita ha avuto un marcato imprinting religioso, che ha svolto un’attività del tutto distante dalle arti e che ha scelto la pittura come forma del suo racconto, lo rende fortemente espressivo. Le persone, i paesaggi, le forme viventi delle sue opere sono Almen, anime nel senso più pertinente della definizione tedesca. La donna diventa l’essenza della madre; l’albero e le onde del mare, la roccia come i campi arati, sono identicamente manifestazioni della natura animata, della Creazione. Una creazione che viene imitata dall’artista-artefice in una dimensione quasi monastica, primitiva e contemplativa nel miglior spirito della religiosità, senza aderire necessariamente a stereotipi o a modelli ecumenici prestabiliti. Verdini è puro, come la sua luce, anche nell’armonia dei pattern geometrici. Paolo Tomio è il più essenziale: apparentemente architetto, cosa che poi è nella realtà, quindi attento alla terza dimensione, catturato dalla permeabilità dello spazio, affianca l’idea di natura di Mandelbrot e la logica dei frattali (per cui dall’unità si arriva al tutto e dal tutto si arriva all’unità), ribadendo le medesime modularità dall’infinitamente piccolo all’immenso, suggerendo simmetrie spaziali complesse e un approccio scientifico alla materia che superano e ingannano i sensi. Il suo è progetto plastico, disegno di sculture immaginarie e impossibili, eppure è estremamente vero e realistico. Il disegno e la tridimensionalità, rappresentati dentro la cornice di una elegante ricerca sul colore, agiscono sui sensi in modo mutevole, come sfumature della luce e condizioni atmosferiche che intervengono nella materia delle forme rappresentate, una materia che non esiste ma vibra di vita propria. La sua è architettura disegnata, volume oltre la superficie, modernità oltre il postmoderno. Bruno Lucchi ha l’approccio più scenografico: ricco di esperienza e fortemente espressivo, pur provenendo con tutta evidenza da una formazione neorealista, riesce a connotare la sua produzione, figurativa e classica, tra sfumature arcaiche, forme pure e reminescenze artdecò che nel complesso contribuiscono alla nobiltà e alla bellezza dell’opera. È sottintesa una forte passione antropologica. Ha un tratto sottilmente enigmatico, profondo oltre la superficie della materia scolpita o plasmata (forse per questo la sua è eminentemente arte plastica): suggerisce sempre, tra una sfumatura e l’altra, oppure nella penombra, il carattere psicologico, individuale, dei suoi personaggi e delle sue composizioni. È un’arte di contenuto, moderna e antimoderna allo stesso tempo; metafisica come l’Abbraccio di Ettore e Andromaca di De Chirico (1966), classica come un Rodin, sintetica come un Brancusi. Senza somigliare, nella sostanza, a nessuno dei tre.
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F0RME MORBIDE
Pietro Verdini
Paolo Tomio
Bruno Lucchi
SPAZIO KLIEN Piazza Degasperi Borgo Valsugana 16 maggio - 8 giugno 2014
Inaugurazione 16 maggio ore 18.00 Dal martedì al sabato 10-12 16-19, domenica 10-12, lunedì chiuso
MAURIZIO CATTELAN, Bidibidobidiboo, 1996 scoiattolo tassidermizzato, ceramica, formica, legno, vernice, acciaio, 45x60x58 cm
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MAURIZIO CATTELAN, La Nona Ora,1999, cera, abbigliamento, resina poliestere, roccia vulcanica, vetro. Dimensioni variabili
MAURIZIO CATTELAN, Lui, 2001, cera, capelli umani, abbigliamento, resina poliestere, 101x41x53 cm
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MAURIZIO CATTELAN, Untitled (Stephanie), 2003, manichino di cera, cappelli sintetici, metallo, 110x65x42 cm
PAOLO TOMIO, Omaggio a Cattelan, 2104, “Sono tutti figli di Duchamp”
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MEMORANDUM INDIRIZZO FIDA-Trento C/o arch. Paolo Tomio Via Cernidor 43 - 38123 Trento Tel. 0461 934276 INDIRIZZO MAIL Indirizzo Mail di FIDA-Trento è: info@fida-trento.com SITO FIDA-Trento Sito di FIDA-Trento è: www.fida-trento.com FIDA-Trento su FACEBOOK FIDA-Trento è presente con un sua pagina: www.facebook.com/fida.trento?ref=tn_tnmn
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