icsART 2019 N.2 Claudio Rensi

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PERIODICO della icsART N.2 - Febbraio ANNO 2019

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In copertina: CLAUDIO RENSI, OLGA, RIFLESSI DI LAGO, 2013, fotografia bn, 40 x 40 cm


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icsART

sommario

Febbraio 2019, Anno 8 - N.2

Editoriale

Francesco Dal Bosco

Intervista ad un artista

Claudio Rensi

Mercato dell’arte?

Zao Wou-Ki

pag. 20-21

Test dei colori di Lüscher

Oktagonlüsch

pag. 22-23

Storia dell’arte

Swatch X You

pag. 24-25

pag. 4 pag. 6-19

News dal mondo ZAO WOU-KI

29.01.64, 1964

pag. 28

ZAO WOU-KI

14.12.59 , 1959

pag. 29

ZAO WOU-KI

29.09.64, 1964

pag. 30

ZAO WOU-KI

Et la terre était sans forme, 1956-57

pag. 31

L'Impero dei Ming, 2018

pag. 32

Omaggio a ZAO WOU-KI

Copyright icsART Tutti i diritti sono riservati L’Editore rimane a disposizione degli eventuali detentori dei diritti delle immagini (o eventuali scambi tra fotografi) che non è riuscito a definire, nè a rintracciare


EDITORIALE Mercoledì 9 gennaio se n'è andato per un male incurabile, a 62 anni, l'amico Francesco Dal Bosco, regista, sceneggiatore, scrittore, musicista, produttore cinematografico oltre che grande conoscitore di arte. Non sembri esagerato questo elenco delle sue attività intellettuali e artistiche poiché questo nomadismo culturale che gli permetteva di approfondire molti generi, gli era culturalmente e psicologicamente connaturato. Francesco, sebbene fosse una persona riservata che viveva in un suo personale mondo creativo, era attento conoscitore della società e sempre curioso di tutto ciò che avveniva intorno a lui. Nel corso della sua lunga e intensa carriera ha realizzato un corpus di opere che hanno spaziato in molti campi che lui ha interpretato con un'acuta sensibilità e consapevolezza filtrate da una vena esistenziale malinconica. Francesco Dal bosco è stato sicuramente il più importante cineasta trentino, un intellettuale aperto al dialogo e al confronto anche se il suo naturale riserbo e l'innata modestia lo tenevano lontano dalle occasioni mondane e dall'autopromozione. Dal 1972 ha lavorato nel campo della scrittura e del teatro partecipando alla fondazione della rivista di poesia "23!" (durata fino al '75). Nel 1993 è uscito il suo primo libro di racconti "Sotto la luce elettrica" e, nel 97, "Nuovo cinema inferno" (con Daniele Costantini), un'intervista a Dario Argento accompagnata da un saggio di Banana Yoshimoto. I suoi lavori hanno sempre mantenuto il piacere della sperimentazione e di una ricerca intimamente personale, e per ciò stesso di nicchia, perché Francesco ragionava da artista e il suo rapporto con il cinema aveva poco a che fare con la cassetta ma molto con l'autobiografia e il bisogno di raccontarsi. Il suo amore per tutto ciò che riguardava il cinema era totale e comprendeva l'ideazione, la sceneggiatura e la regia (e spesso, anche il finanziamento). Nel suo studio professionale montava i video secondo un suo modo molto riconoscibile di assemblare immagini, dialoghi e colonna musicale, analizzando tutte le fasi con attenzione maniacale. Aveva una conoscenza enciclopedica del settore cinematografico, ma tra le sue passioni citava ancora i film muti e, in particolare, quelli dell'espressionista tedesco Murnau. Tra il 1976 e il 2014 ha eseguito decine di performances e installazioni in tutta Italia e, a partire dal 1980, ha inizato a realizzare film e video d'avanguardia i quali, anteponendo l'interesse culturale e artistico rispetto alla riuscita commerciale, si rivolgevano a una platea ristretta di cinefili e addetti ai lavori. Come l'opera del '92, "La camera da letto" (co-regia Stefano Consi4


FRANCESCO DAL BOSCO glio), un video a colori presentato alla Mostra di Venezia, in cui il poeta Attilio Bertolucci legge integralmente per 9 ore di fronte alla camera il suo poema omonimo. L'amore per l'arte moderna lo ha portato a girare nel '93 il cortometraggio "Francis Bacon", trasmesso da RAI1 e pubblicato in VHS da Electa, a cui è seguito nel 2003 il documentario "Jackson song", video ufficiale della mostra di Jackson Pollock al Museo Correr di Venezia. Nel 2001 ha realizzato il suo lungometraggio d’esordio, “Commesso viaggiatore”, (co-sceneggiatura Daniele Costantini), interamente in bianco e nero tranne poche scene a colori, soprattutto paesaggi legati a una verità interiore del protagonista. Narra del dramma di un uomo comune, un commesso viaggiatore apparentemente soddisfatto della vita e del lavoro il quale, in un vortice di angoscia esistenziale in cui si confondono realtà, ricordo, sogno e incubo, presente e passato, finisce col distruggere la propria famiglia. La spiegazione paradossale che Francesco dava di questa tragedia è rivelatrice del suo approccio problematico e, in fondo, molto romantico: «Storie di questo genere sono molto frequenti, anche sui giornali, e mi sono sempre chiesto da cosa potessero nascere. La risposta è: dall’amore, per quanto strano possa sembrare». Il film ha ottenuto un'ottima accoglienza ai Festival Internazionali di Berlino, Edimburgo, Brisbane, Singapore, Manila e al “Discovering the new italian cinema” a New York ma non è approdato ai circuiti normali poiché il film d'autore che privilegia aspetti che vanno oltre il mero intrattenimento è considerato poco adatto al grande pubblico. La crisi economica e i conseguenti tagli alla cultura di questi anni, hanno poi contribuito a rendere ancora più difficile il lavoro del cineasta indipendente e penalizzare le proposte alternative. Nel 2007 ha girato "L’ora azzurra dell’ombra", un delicato ricordo della poetessa trentina Nedda Falzolgher costretta in carrozzina sin dall’età di cinque anni; l'anno seguente ha realizzato a Roma il film “Apocalisse” e nel 2012 ha firmato con Stefano Consiglio il documentario “Il Centro”. “Cielo Nero”, la sua sceneggiatura sugli ultimi giorni di Galeazzo Ciano, aveva entusiasmato l'attore Pier Giorgio Bellocchio ma l'avvio del film era stato rallentato a causa delle solite difficoltà nel reperimento dei finanziamenti. Ora, il rimpianto che mi rimane è quello di non aver portato a termine l'intervista a Francesco che avevamo concordato qualche anno fa e che non si concretizzava mai in attesa del momento giusto che, purtroppo, non sarebbe mai giunto. Paolo Tomio 5

COMMESSO VIAGGIATORE



Intervista a CLAUDIO RENSI Questa prima intervista di icsART a un fotografo cade (casualmente) nell'anniversario dei 180 anni dalla "nascita ufficiale" della fotografia. Quando apparve questa tecnica che avrebbe rivoluzionato il mondo della visione, ci fu chi pronosticò la fine dell'arte e chi, invece, ne intuì le immense potenzialità. Oggi che è ormai annoverata tra le arti e, anche se la sua tecnologia ha subìto radicali trasformazioni, ciò che non può cambiare è la sensibilità di chi sta dietro l'obbiettivo. Claudio Rensi, ha acquisito questa sensibilità fin da quando giovanissimo ha cominciato a frequentare lo studio del padre fotografo dove ha appreso tutti i segreti del mestiere ed è nato il suo amore per questo linguaggio. Un apprendistato che è stato la sua salvezza perché, quando il padre muore all'improvviso, a soli 23 anni egli si è dovuto fare carico dell'azienda di famiglia. Un evento traumatico che lo ha obbligato a diventare adulto ma che gli ha anche consentito di conoscere un nuovo mondo che lo ha fatto crescere e arricchire culturalmente e artisticamente. Il giovane, che non si rassegna a una routine meramente commerciale, coltiva la passione tramandatagli dal padre per la fotografia come espressione artistica autonoma aiutato dal talento con cui padroneggia sia il colore che il bianco e nero: mentre con il primo ricerca quell'ideale di bellezza assoluto che solo la Natura gli offre, il bianco e nero gli è particolarmente congeniale perché gli permette di arrivare all'"essenza dell'immagine". Nei suoi ritratti, grazie a un uso sapiente delle luci, alla sua capacità di cogliere la psicologia di chi gli sta di fronte e anche all'uso di primi piani tagliati magistralmente, riesce a esaltare sia il fascino classico di incantevoli figure femminili che la storia di facce scavate dal tempo. L'altro linguaggio di Claudio è il fotoreportage, istantanee catturate al volo in cui egli, sollecitato da un coinvolgimento emotivo o da un'umana solidarietà, documenta istanti di vita quotidiana o rivela piccole verità invisibili ai più. Paolo Tomio A sinistra: RITRATTO DEL PITTORE MARCO BERLANDA, 2005, fotografia bn, 45 x 30 cm

In basso: L’INDIFFERENZA, 2011, fotografia bn 30 x 45 cm


Quando e perché hai cominciato a interessarti alla fotografia? Cominciai fin da bambino a frequentare lo studio di mio padre Rodolfo al Castello del Buonconsiglio. All’interno c’erano alcune sale destinate alla ripresa fotografica, allo sviluppo delle lastre e dei negativi e alla stampa. Per un bimbo era un mondo magico soprattutto nel vedere riaffiorare come per incanto la fotografia dalla bacinella dello sviluppo per poi, dopo il lavaggio, fissarla definitivamente. Passavo degli interi pomeriggi in quelle sale asciugando le foto con una smaltatrice Alfetta e dividendole poi nei vari formati.

Hai dei fotografi che consideri i tuoi maestri?

in basso: AUTUNNO, 2016, fotografia colore 30 x 45 cm

Nelle botteghe artigiane il giovane apprende l’arte dal maestro artigiano, nel mio caso fu mio padre a cui piaceva molto il fotografo Andreas Feininger, ne ammirava le opere per il suo estremo dinamismo soprattutto quelle di alcune immagini di Manhattan. Io preferivo fotografi più vicini alla mia generazione come Salgado che considero uno dei più bravi al mondo se non il più bravo.

Ci sono state anche correnti artistiche o artisti che ti hanno influenzato? Anche senza volerlo penso che alcune correnti artistiche influenzino chi si avvicina all’arte nel mio caso è l'espressionismo e prima ancora il verismo.

A destra: BIANCA, LE FINESTRE DI MONTMARTRE, 2017, fotografia colore, 45 x 30 cm



NEBBIE IN VALSUGANA, 2011, fotografia bn 30 x 45 cm

Ricordo la scalinata del salone del festival e le grandi luci che sembravano fiori verso il mare e gli amici di Riccardo che alla sera ad Antibes si trovavano a parlare d’arte. Tutt’ora collaboro con artisti e con gallerie d’arte e queste mi hanno dato modo di conoscere artisti noti a livello nazionale: Nespolo Montesano, Conversano, per citarne alcuni.

Secondo te, la fotografia è una forma d'arte? Certo, è una splendida forma d’arte.

Hai avuto modo di lavorare e conoscere bene molti artisti?

Hai anche fotografato molte opere storiche: cosa implica rapportarsi con un'opera d'arte antica o moderna?

Nell’esercizio della mia attività di fotografo ho avuto modo di frequentare molti artisti, di fotografare le opere e di curare anche i loro cataloghi. Penso siano passati nel mio studio quasi tutti i pittori trentini ricordo fra gli altri Seppi, Wolf, Sartori, Perghem Gelmi, Pancheri, Bonacina, Botteri, Verdini, Mazzonelli, Chierzi, Senesi, Schmid, Fozzer, Fia, Cappelletti, Lome, Melotti e molti altri. Con Schweizer andai a Montecarlo a Cannes dove erano esposte molte sue opere.

Quando mio padre cominciò, nell’immediato dopoguerra, documentò per conto dell’allora Soprintendenza alla Belle Arti il patrimonio storico artistico del Trentino. Ricordo Guiotto sovrintendente, ma è con il Prof. Rasmo che continuai la catalogazione delle opere d’arte anche

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dopo la mancanza di mio padre morto giovane per un male incurabile (nel 1975 non esisteva nemmeno l’ecografia) ed ebbi così modo di rapportarmi con diverse opere storiche e di fare tesoro dell’insegnamento di un tale docente. Continuai l’attività di catalogazione anche con la PAT che subentrò allo Stato nelle varie competenze. Quando un'opera, un oggetto, una scultura suscita in te una forte emozione e riesce a segnarti nell’animo la considero un opera d’arte. Cosa si può dire altrimenti osservando il Cristo velato di Sanmartino conservato nella Capella Sansevero di Napoli o ammirando gli affreschi nella Cappella degli Scrovegni opera di Giotto a Padova e così via per tutta Italia, autentico serbatoio d’opere.

Indispensabile per un buon fotografo è essere esperto conoscitore della tecnica, utilizzare in maniera consapevole le varie temperature di luce, l’uso corretto delle ottiche, la perfetta illuminazione dei soggetti da ritrarre e, umanamente, sapersi rapportare con le persone con grande umiltà senza mai dare sfoggio di cultura o di qualsiasi altra cosa possa mettere in difficoltà e fare sentire a disagio la persona con cui stai dialogando

E quelle di una fotografia artistica? Per quanto riguarda la fotografia artistica, come dicevo in precedenza, oltre ad essere padrone della tecnica fotografica devi riuscire a trasmettere qualcosa di soggettivo e farlo diventare

Quali sono, secondo te, le caratteristiche di un buon fotografo? LA STRADA DEL RITORNO, 2016, fotografia bn 30 x 45 cm

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VIEL DEL PAN, 2012, fotografia colore, 40 x 40 cm

Personalmente mi piace molto fotografare la realtà che mi circonda in maniera realistica: le botteghe artigiane, gli operai al lavoro, le loro espressioni sui volti stanchi, le persone sole che sembrano aspettare qualcosa che non arriverà… così mi soffermo ad osservare, faccio loro qualche ritratto cercando di valorizzare

oggettivo, in grado di suscitare emozione in chi osserva una tua foto, un tuo lavoro.

Che tipo di riprese preferisci ritratti, paesaggi, scene di vita...?

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tutto ciò che mi colpisce di loro. In studio uso la luce come fosse una carezza sui capelli, tecnica spesso usata nei film americani e cerco di valorizzare lo sguardo con un uso sapiente del controluce. Mi hanno appassionato alcuni temi sulla gente di montagna ed ho avuto il privilegio di essere ospite con una mostra personale nelle prestigiose sale del parlamento europeo a Bruxelles proprio sul tema l’uomo e la montagna. Assieme a me esponeva l’amico Pietro Verdini, infaticabile e vulcanico pittore.

Preferisci le foto a colori oppure in bianco e nero? Ho una simpatia particolare per le foto in bianco e nero anche perché mi ricorda molto la camera oscura, luogo dove, all’ingranditore, passavo i momenti a scegliere l’inquadratura migliore per poi stamparla sulla carta rigorosamente divisa in gradazioni a seconda della morbidezza o del contrasto che volevi per la tua fotografia. Il bianco nero ti appassiona e può a volte drammatizzare il paesaggio o la scena che hai ripreso. Rimane però indiscusso il valore della foto a colori, come potremmo immaginare una foto nei boschi d’autunno che non rendesse perfettamente coscienti dell’infinità di sfumature che la stagione regala. I riflessi sull’acqua, i colori festosi dei bimbi che giocano, i molteplici aspetti che la montagna ci regala, immagini da utilizzare a scopo turistico richiedono generalmente il colore.

In alto: FEDE DOMESTICA, 2013, fotografia bn 45 x 30 cm

In basso: LA VENDITRICE D’ERICA, 1979, fotografia bn, 30 x 45 cm

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RACCONTI DEL BOSCO, LA MAGIA, 2018 , fotografia colore, 30 x 45 cm

parlamento Europeo con una mostra personale diventando poi fotografo dell’ambasciata italiana a Bruxelles per una pubblicazione in italiano e francese. Continuo oggi l’attività presso lo studio in via Marchetti approfondendo le tematiche del ritratto.

Quali sono, secondo te, le caratteristiche che ti rendono riconoscibile? Si dice che quando vedi un quadro e riconosci immediatamente l’autore lo stesso abbia raggiunto una notevole notorietà. Per restare legati al Trentino i blu di Verdini, i quadri di Mazzonelli i paesaggi ed i personaggi di Berlanda così come di tanti altri artisti li rendono subito riconoscibili. Modestamente per quanto mi riguarda è difficile riconoscermi dallo stile poiché vari sono i soggetti che fotografo e quindi non seguo una sola tematica. Nei ritratti, però, con uno studio attento delle luce, ho ottenuto successo vincendo qualche hanno fa il Premio Canon. Ho ottenuto riconoscimento dal Cai europeo che mi ha permesso di esporre nelle prestigiose sale del

Quale rapporto hai con le nuove tecnologie degli apparecchi? Nell’evoluzione della fotografia si accompagna anche un rinnovamento tecnologico che offre a chi lo utilizza notevoli vantaggi. Il progresso tecnologico va accolto e sfruttato e non demonizzato.

E con le tecniche di fotoritocco come Photoshop?

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Anche Photoshop, se utilizzato nella maniera corretta, offre a chi lo utilizza infinite possibilità di espressione artistica. L’importante non abusarne per non alterare quella che è l’immagine originale.

Ci sono delle differenze tra le fotografie eseguite con rullino e quelle digitali? Dico sempre che dietro alla macchina fotografica ci deve essere la persona con le sue sensibilità e con la voglia di trasmettere emozioni. Non è tanto il supporto su cui si fissano le immagini

ma il risultato finale che vuoi ottenere.

E tra il vecchio sistema e la stampa con il digitale? Ricordo i giorni passati in camera oscura a stampare le fotografie con le varie bacinelle di sviluppo e fissaggio e tutta l’esperienza che potevi mettere all’ingranditore. Il digitale ha portato notevoli vantaggi: pensiamo al rispetto dell’ambiente e al notevole risparmio di tempo. SEGNI DEL TEMPO, 2015, fotografia colore 40 x 30 cm


Certo che alcune carte del passato su cui stampavi le immagini danno delle tonalità dai bianchi ai grigi che ancora oggi sono invidiabili. Nello stesso tempo però l’utilizzo delle tecnologie moderne ti offre una gamma infinita di espressione.

Come ti sembra il panorama degli artisti e dei fotografi trentini? Anche in questo panorama l’evoluzione è continua. Ci sono giovani fotografi promettenti e alcuni pittori interessanti dallo studio dei quali si può comprendere quale sarà il futuro della pittura e della fotografia trentina.

un tramonto, in un paesaggio stupendo, in una donna, in un uomo, in un bimbo, in qualsiasi cosa che in te suscita una forte emozione.

Chi è l’artista, secondo te? Colui che trasmette emozioni e sensazioni sue personali e riesce a farle diventare momento di riflessioni e di condivisione con gli altri.

E, per finire, cosa è l’arte? Qualsiasi forma di attività utilizzata dall’uomo per comunicare qualcosa di soggettivo e farne partecipe gli altri.

Cos’è la bellezza? E’ un concetto soggettivo, può essere vista in

In basso: RACCONTI DEL BOSCO, IL BOSCO INCANTATO, 2015, fotografia colore, 30 x 45 cm

A sinistra: RITRATTO DI KATIA, 2011, fotografia colore, 45 x 30 cm



CLAUDIO RENSI : TRA MINIMALISMO E SIMMETRIE FOTOGRAFICHE Claudio Rensi l’ho avuto come alunno al biennio del “Tambosi”, sezione geometri, a Trento alla fine degli anni Sessanta. Una decina di anni dopo ci siamo trovati assieme in Consiglio Comunale a Trento: io come rappresentante del PCI e Claudio della DC. Lui era un giovane assessore, assieme ad un altro mio ex alunno suo compagno di classe, Giorgio Casagranda, anche lui giovane assessore: avversari dunque, ma con reciproca, amichevole stima. Ho poi scritto di lui e di suo padre nel mio libro 'Le famiglie e i mestieri - 28 storie di famiglia con il mestiere nel sangue', pubblicato nel 1986 da UCT. Da suo padre Rodolfo, morto precocemente a 62 anni nel 1975, Claudio a 23 anni ha ereditato lo studio fotografico assieme alla passione per la fotografia; e a sua volta ha passato entrambe al figlio Matteo.(Organizzare una mostra supportata da un adeguato catalogo ai Rensi, tre generazioni di fotografi che coprono ottant’anni di storia trentina, sarebbe un evento di grande interesse, per Trento e il Trentino, sarebbe doveroso farla). Fatta questa premessa vediamo di focalizzare la produzione di Claudio Rensi fotografo d’arte. Che ci sia in lui una componente artistica oltreché umana ereditata da suo padre è naturale pensarlo. Ma è tutto da verificare in che misura e in quali forme. Rodolfo Rensi, oltre che un eccezionale reporter che ha documentato avvenimenti fondamentali del Trentino e della regione, nella guerra e nel dopoguerra è stato, a mio avviso, un fotografo artistico che indagava il “genius loci” trentino. La sua è una poetica semplice quanto intensamente umana: su questo versante la sua foto più emblematica è quella di un carrettiere crollato per il sonno (e per qualche probabile bicchiere in più, ma come fargliene colpa?), che riposa all’ombra di un carro vigilato dal suo asino. Un’immagine emblematica, di un’epica popolare. Suo figlio Claudio - che ha ingrandito quella foto sino alle dimensioni di un ampio quadro, collocato per anni nello studio dei Rensi - ha raccolto il testimone realizzando fotografie in bianco e nero di un’umanità dolente. L’ha fatto senza mai cercare l’effetto, puntando all’opposto sul minimalismo. Come nella fotografia che riprende un’anziana seduta sulla cassapanca

CLAUDIO RENSI Diploma di Geometra conseguito presso l’Istituto Tecnico per Geometri “Pozzo” di Trento Titolare dello studio fotografico “Foto Rensi” di Trento Collaboratore “Corriere della Sera” Fotografo Ambasciata italiana a Bruxelles Collaboratore con i più importanti artisti contemporanei e curatore dei loro cataloghi Consulente “Unione Commercio e Turismo” Consigliere comunale Trento Assessore Attività economiche Comune di Trento Presidente Cooperativa Artigiana di Garanzia Presidente “Assofidi” Membro del C.d.A. “Caritro” Membro di Giunta “ C.C.I.A.A.” Membro di Giunta “Confartigianato” Vice Presidente “Assoartigiani” Presidente “Unione Artigiani del Trentino” Giornalista dal 01/03/2005 (n° 104150) Direttore rivista “Mondo Artigiano” Direttore rivista “Comunità” Consigliere Comunale a Baselga di Pinè. MOSTRE PERSONALI Bruxelles, Trento, Mezzocorona, Cembra Cles, Baselga di Pinè MOSTRE COLLETTIVE con la Federazione Italiana degli Artisti - Trento Innumerevoli pubblicazioni

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accanto alla sua fornasèla, la sua cucina economica, che appare tirata a lucido, con alcune pentole anch’esse pulitissime appoggiate sulla piastra, i pezzi di legna bene ordinata in un cesto sotto il fornello. La donna veste un grembiule, tiene le mani intrecciate, ha un’espressione di meditazione e di attesa. Chi o che cosa attende? Sembra un’immagine di una quarantina di anni fa, che doveva allora sembrare “normale” nella sua quotidianità, ma che Claudio oggi sa “leggere” nella purezza della sua essenzialità, della sua emblematicità, della sua spiritualità (che possiamo mettere a confronto con il mega-trash in cui siamo costretti a vivere…). In altre fotografie, dopo “il bisogno di pulizia” si rivela “il bisogno di simmetria”, fondante in Claudio Rensi. Come nella foto in bianco e nero che ha per protagonista la nebbia: nella fascia in basso i campi innevati, disposti in linee orizzontali parallele; in quella in alto la verticalità degli alberi che si sciolgono nella nebbia. Una griglia di linee orizzontali e verticali (come in Mondrian) che appare anche in altre foto). Rensi conferma la sua predilezione a organizzare il paesaggio in fasce orizzontali anche in certe immagini a colori (dove si rivela altrettanto bravo che nel bianco e nero). Dove l’autore dimostra di avere un assoluto controllo oltre che delle luci e delle ombre, anche delle cromie. Claudio ha eseguito anche una serie di ottimi ritratti, sia in bianco e nero che a colori. Con la prima tecnica uno dei suoi più riusciti è quello dedicato al pittore “selvaggio” Marco Berlanda, potente come certi personaggi dei romanzi russi dell’Ottocento: a colori ha ritratto i visi di una serie di giovanissime ragazze, con freschezza ed eleganza. E mi piace concludere con la sua foto in bianco e nero a mio avviso la più sorprendente. Visione notturna: c’è una strada che avanza con l’osservatore, delimitata da due linee bianche che convergono verso la linea dell’orizzonte. Da un lato e l’altro della strada due tabelle di divieto di sorpasso, come due sentinelle che allertano: in campo lungo lo scoppio di un fascio di fulmini fa deflagrare una luce abbagliante che si oppone al buio del primo piano da cui osserviamo, in cui siamo immersi. Una scena che sarebbe piaciuta a un regista come Fritz Lang, che potrebbe essere letta anche in chiave fortemente simbolica. Renzo Francescotti

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www.icsart.it icsART N.2 2019 Periodico di arte e cultura della icsART Curatore e responsabile Paolo Tomio

PERIODICO della icsART N.2 - Febbraio ANNO 2019

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MERCATO DELL’ARTE ? ZAO WOU-KI (1920-2013) "Juin-Octobre 1985", 1985, olio su tela (trittico), 2,80 x 10,00 mt, venduto da Sotheby's Hong Kong 2018 a 510.371.000 HKD (€ 65.048.000) (vedi in basso). Il monumentale trittico commissionatogli dal celebre architetto IM Pei, è il dipinto più costoso che sia mai stato battuto a Hong Kong che incorona Zao Wou-Ki come il maestro cinese. Nato a Pechino nel 1920 in un'antica famiglia, padre banchiere e ambiente familiare di intellettuali, Wou-Ki apprende da piccolo la calligrafia con inchiostro e pennello. Dal 1935 al 1941, studia pittura presso l'Accademia d'Arte Cinese di Hangzhou dove il lavoro è in gran parte figurativo e tradizionale ma Zao è attirato dall'arte occidentale che conosce attraverso cartoline illustrate così che le sue prime opere moderne sono influenzate da Picasso e soprattutto dall'impressionismo di Matisse e Cézanne. Nel 1948, affascinato dal modernismo francese, si trasferisce con la moglie a Parigi andando a vivere a Montparnasse, dove frequenta gli ar-

tisti che lo avvicinano all'astrazione. Negli anni seguenti crea opere caratterizzate da figure e segni che evocano i petroglifi dell'arte preistorica cinese che ricordano le incisioni trovate sulle ossa dell'oracolo della Dinastia Shang. Quando l'artista visita nel '51 la Svizzera scopre Paul Klee il cui universo interiore si sposa con la sua stessa sensibilità e inizia un ciclo di lavori chiaramente influenzati dal pittore svizzero che lo fanno conoscere in Francia. Nel periodo 1953-1954 ha luogo la rottura con il naturalismo figurativo e Zao diventa completamente astratto spostandosi verso una pittura illeggibile fatta di una scrittura immaginaria e indecifrabile. Per la sua sensibilità cinese, l'astrazione rappresenta sempre un paesaggio interiore, immaginario e nel suo lavoro cerca di catturare i movimenti armoniosi del 'qi', la fonte della vita e dell'universo. Combinando i movimenti gestuali della calligrafia tradizionale con la struttura compositiva della pittura astratta, le opere di Zao della fine degli anni '50 rap-

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ZAO WOU-KI presentano una fase di transizione tra il primo "stile a oracolo" e il suo nuovo approccio più energico e dinamico degli anni futuri. In un viaggio New York del 1957 con l'artista francese Pierre Soulages conosce i pittori espressionisti astratti Franz Kline, Philip Guston e Adolph Gottlieb e in seguito a questa esperienza inizia a lavorare con tele più grandi e sviluppare uno stile più audace. Due anni dopo decide di non dare più un nome alle sue opere ma, come Pierre Soulages, le intitola con la data del loro completamento. Gli anni '60 sono un periodo molto intenso e produttivo in cui l'artista sviluppa una nuova maturità tecnica e facilità materiale: «C'è un vero senso della velocità nelle pennellate, ed è questo che traduce l'energia del dipinto». Nei suoi dipinti cerca di catturare le forze elementari della natura, le origini dell'acqua, la nascita della luce e anche il senso dell'energia vitale. Nel '71 torna alla tecnica dell'inchiostro appresa in gioventù con lavori che riflettono sia le sue

In basso: Le banquet , 1955-57, olio su tela 75,5 x 121 cm, venduto da Sotheby's New York 2017 a $ 13.626.000 (€ 11.767.400)

origini culturali cinesi che le radici concettuali dell'astrazione occidentale. Artista eclettico, Zao si riconosce in diverse identità culturali e sperimenta molte tecniche: inchiostro su carta, olio su tela, acquerello, litografia e incisione. Nel 1994, riceve il Praemium Imperiale in Giappone e ottiene la cittadinanza francese l'anno seguente. Se i suoi lavori precedenti riguardano in larga misura l'energia e il movimento, gli ultimi evocano spazi astratti e trasudano un'aura di serenità caratteristica dell'artista il cui stile diventa più leggero e vaporoso e la gamma di toni si riempie di luce: «Il colore è la luce che può esprimere il senso dello spazio». Alla fine, cerca di riflettere nientemeno che la bellezza del cosmo. Nel 2003 è nominato membro dell'Académie des Beaux-Arts di Parigi e nel 2006 è insignito della Légion d'honneur della Repubblica francese, il più alto riconoscimento della sua patria adottiva. Nel 2013, Zao Wou-Ki, che soffriva del morbo di Alzheimer da anni, muore in Svizzera all'età di 93 anni.

In alto: Les vacances de Hegel, 1958, olio su tela 60 x 50 cm, venduto da Christie's New York 2011 a $ 10.162.500 (€ 7.854.600)


TEST DEI COLORI DI LÜSCHER

Il test dei colori di Lüscher è un metodo psicologico inventato nel 1949 da Max Lüscher, psicoterapeuta, sociologo e filosofo di Basilea. Lo studioso svizzero riteneva che la percezione sensoriale del colore fosse oggettiva e universalmente condivisa da tutti, ma che le preferenze cromatiche fossero soggettive e che queste differenze dello stato d'animo fossero misurabili in modo obbiettivo mediante il test da lui inventato. Lüscher riteneva che, siccome le scelte del colore sono decise a livello inconscio, queste rivelassero le persone così come esse sono realmente e non come percepiscono sé stesse o vorrebbero essere percepite. Il test si basa su otto colori distinguendo tra

"colori base", blu, verde, rosso e giallo, che rappresentano principalmente le caratteristiche personali positive e "colori ausiliari", grigio, viola, marrone, nero, che rappresentano le caratteristiche secondarie della personalità. Il test si svolge posizionando le otto carte con i colori base e ausiliari di fronte al soggetto a cui viene chiesto di prendere la carta con il colore che preferisce. Quindi, si procede facendogli scegliere tra le carte rimanenti il colore che gli piace di più, e così via, continuando fino a quando le carte sono finite. Conclusa la prima prova, le carte vengono disposte una seconda volta sul tavolo e l'intera procedura viene ripetuta e, in caso di dubbio, lo psicologo privilegerà il secondo test perché considerato più impulsivo. Ognuno degli otto colori è identificato da un numero che è utilizzato come valore da inserire nelle tabelle di interpretazione inventate da Lüscher per la misurazione delle diverse personalità. Naturalmente, la possibilità di poter conoscere la personalità di chiunque grazie a solo otto colori ha affascinato oltre agli psicologi anche gli artisti visuali i quali, invece, fanno riferimento ai tre "colori primari": blu-ciano, rosso-magenta e giallo, e tre "colori secondari", arancione, verde e viola, generati da ogni coppia di colori primari mescolati. Questi sei colori, più il bianco e il nero, sono gli unici disponibili in natura mentre tutti gli altri colori conosciuti derivano dalla mescolanza tra gli otto fondamentali. La possibilità di poter ridurre un'analisi della


OKTAGONLÜSCH personalità a soli otto colori ha dato l'avvio all'"Oktagonlüsch", un'equipe di artisti, psicologi e designer svizzeri interessati ad approfondire il metodo basato sulle otto carte (ritenuto troppo semplificato) per verificarne gli effetti in una situazione più simile alla realtà in cui il soggetto da testare sia inserito in uno spazio tridimensionale totalmente colorato. (vedi a destra) La costruzione realizzata dal gruppo di studiosi è strutturata intorno a una "corte" a pianta ottagonale regolare (vedi a sinistra) con il pavimento e la copertura di colore chiaro neutro, sulla quale si affacciano otto celle cubiche colorate di 3 metri di lato, collocate lungo il perimetro dell'ottagono centrale. La persona a cui si somministra il test è posto al centro della corte in modo che, ruotando semplicemente su sè stesso, possa vedere le porte delle celle perimetrali con gli otto colori. È invitato a dirigersi verso il colore che preferisce, aprire la porta ed entrare nella cella la quale essendo interamente dipinta dello stesso colore prescelto, permette al soggetto di immergersi in un'atmosfera chiusa e acusticamente isolata che produce degli effetti moltiplicati e assolutamente impensabili. L'individuo rimane a suo piacimento nella cella e, siccome è dotato di radiomicrofono collegato con l'equipe, può esprimere verbalmente le sensazioni che prova e che serviranno per verificare gli effetti sullo stato d'animo di una permanenza più o meno lunga in ognuna delle otto celle ed essere confrontate con le analisi dell'equipe.

Uscito dalla prima cella, l'esaminando ripete l'operazione iniziale, scegliendo il secondo colore di suo gradimento ed entrando nel nuovo spazio, quindi il terzo e così via fino all'ultimo rimasto. La procedura di base è analoga a quella delle carte colorate ma molto più complessa e macchinosa perché gli ambienti affrontati comportano un coinvolgimento sensoriale e psicologico totalizzante variabile da un soggetto all'altro. L'applicazione della teoria Lüscher in questi spazi completamente colorati ha permesso di verificare la corrispondenza tra le scelte e le personalità dei soggetti ma anche, viceversa, la capacità di ambienti come l'Oktagonlüsch" di incidere indirettamente sul comportamento.


SWATCH X YOU Alla fine del 2018 la Swatch ha sviluppato un'altra delle sue idee che viene ad arricchire la già nutrita collezione di orologi composta da migliaia di modelli, con una proposta "rivoluzionaria" che potrebbe portare a un ulteriore crescita del mercato degli Swatch ma, in particolare, far compiere un passo avanti al concetto di oggetto prodotto in serie. Può essere che questa idea, per mille ragioni non prevedibili, non dia i frutti sperati ma, la cosa interessante è l'approccio innovativo con cui la casa svizzera ha dimostrato come sia possibile offrire una personalizzazione spinta dei suoi prodotti. La proposta messa a punto si chiama "SWATCH X YOU" e si basa su un sistema autogestibile che l'azienda mette a disposizione online per i suoi clienti che vogliano progettarsi ex novo e secondo i propri gusti un orologio unico. Ovviamente, esistono (per ora) dei limiti alle possibilità di inventarsi a piacere un proprio orologio personalizzato, ma diciamo che la libertà di manovra lasciata a disposizione dell'utente è già da adesso estremamente ricca di scelte e di opzioni. In sintesi, funziona così: si accede al sito "Pick a design, Make your Swatch" (Scegli un design, crea il tuo Swatch) dove sono leggibili poche istruzioni estremamente intuitive necessarie per potersi creare il proprio modello personalizzato mediante un programma grafico autogestito dal cliente. Primo passo. Dopo aver aperto il layer (tavola) su cui è già collocato uno Swatch con cassa e cinghiette trasparenti, si deve scegliere una "fantasia" tra le 4 opzioni messe a disposizione: una ispirata alla 'natura', l'altra alla 'street art', la terza alle 'figure geometriche' e, infine, l'ultima 'tempestata di pietre preziose'. Ognuna delle prime tre categorie offre a sua volta 4 pattern (motivi) tra cui scegliere, il che significa che il cliente ha a disposizione in totale 13 pattern (12+1), con cui decorare il proprio Swatch. (vedi alcuni esempi nelle due colonne). Cliccando sul pattern che si preferisce, questo si dispone automaticamente sotto l'orologio trasparente. Poiché risulta sem-


STORIA DELL’ARTE pre visibile attraverso l'orologio, il pattern può essere trascinato a destra, sinistra, su e giù a piacere sullo schermo e fermato nella posizione che si desidera. Ad ogni spostamento il design che si vede attraverso la cassa e le cinghiette, continua a cambiare creando infiniti disegni sempre diversi tra cui anche il cliente più esigente può trovare quello che meglio lo soddisfi. (vedi in basso alcune delle infinite soluzioni ottenibili) Secondo passo. Una volta applicata la decorazione allo Swatch, si deve scegliere il colore del meccanismo posto nella cassa trasparente: Silver o Black. Terzo ed ultimo passo: è possibile aggiungere un'altra personalizzazione: un breve testo scritto da riprodurre sul fondo della cassa. Portato a termine il simpatico giochino, l'orologio è completato e versando la cifra di 110 €, arriverà in pochi giorni a casa realizzando così il sogno di possedere un oggetto (quasi) "unico al mondo". Qualcuno potrà pensare che sia eccessivo proporre di personalizzare un orologio economico, ma la cosa interessante, perlomeno per chi si occupi di design e di arte digitale, è che con il programmino creato dalla Swatch è iniziata una nuova filosofia nell'industria avanzata. Lo stessa logica sviluppata per lo Swatch X You, infatti, è trasferibile anche a molti piccoli (e meno piccoli) oggetti la cui gestione estetica è da sempre lasciata all'ufficio progettazione dell'azienda o, (nel migliore dei casi, ai designer), mentre potrebbero facilmente essere lasciati alla libera inventiva dei clienti. E' possibile ipotizzare che, ad esempio, con un modico sovrapprezzo, i mobili, i complementi d'arredo, l'oggettistica ecc., in futuro possano essere personalizzati direttamente dall'acquirente prima dell'ordinazione. Un domani non troppo lontano, non ci si limiterà più a personalizzare i propri veicoli o le proprie case cambiando solamente i colori e le finiture interne, ma l'industria sarà in grado di realizzare a prezzi accessibili anche le forme disegnate dai clienti utilizzando simulazioni digitali con cui assemblare i componenti in catalogo.



Febbraio 2019, Anno 8 - N.2

News dal mondo ZAO WOU-KI

29.01.64, 1964

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ZAO WOU-KI

14.12.59 , 1959

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ZAO WOU-KI

Et la terre était sans forme, 1956-57

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L'Impero dei Ming, 2018

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Omaggio a ZAO WOU-KI

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ZAO WOU-KI, 29.01.64, 1964, olio su tela, 260 x 200 cm venduto da Christie's Hong Kong 2017 a HKD 202.600.000 ($ 25.948.900)

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ZAO WOU-KI, 14.12.59 , 1959, olio su tela, 130 x 162 cm 29

venduto da Christie's Hong Kong 2018 a HKD 176.725.000 ($ 22.528.000)


ZAO WOU-KI, 29.09.64, 1964, olio su tela, 230 x 345 cm venduto da Christie's 2017 Hong Kong a HKD 152.860.000 ($ 19.612.000)

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ZAO WOU-KI, Et la terre ĂŠtait sans forme, 1956-57 olio su tela, 200,4 x 162,3 cm, venduto da Poly 2018 Hong Kong a HKD 182.900.000 ($ 23.777.000)



PAOLO TOMIO: Omaggio a ZAO WOU-KI L'Impero dei Ming, 2018, acrilico su carta 33 x 21 cm


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