icsART 2019 N.5 Igor Molin

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PERIODICO della icsART N.5 - Maggio ANNO 2019

icsART


In copertina: IGOR MOLIN, ADAMO ED EVA, 2009, acrilico e olio su tela, 87 x 89 cm,


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icsART

sommario

Maggio 2019, Anno 8 - N.5

Editoriale

Macron: Notre-Dame de Paris

Intervista ad un artista

Igor Molin

Mercato dell’arte?

Adrian Ghenie

pag. 20-21

L'arte dell'arazzo

Il telaio di Penelope

pag. 22-23

Storia dell’arte

Bauhaus 100 - 3° parte

pag. 24-25

pag. 4 pag. 6-19

News dal mondo ADRIAN GHENIE

Nickelodeon, 2008

pag. 28

ADRIAN GHENIE

Boogeyman, 2010

pag. 29

ADRIAN GHENIE

Duchamp's Funeral I, 2009

pag. 30

ADRIAN GHENIE

The Sunflowers in 1937, 2014

pag. 31

Heinrich Himmler spiega il senso della vita alla figlia Gudrun, 2019

pag. 32

Omaggio ad ADRIAN GHENIE

Copyright icsART Tutti i diritti sono riservati L’Editore rimane a disposizione degli eventuali detentori dei diritti delle immagini (o eventuali scambi tra fotografi) che non è riuscito a definire, nè a rintracciare


EDITORIALE MACRON: NOTRE-DAME DE PARIS Tutto il mondo ha seguito con ansia l'incendio della cattedrale di Notre-Dame a Parigi e, anche se qualcuno minimizzava il valore storicoartistico delle opere distrutte ignorando la reale entità dei danni perché il fuoco non era ancora stato domato, solo ora possiamo tentare una valutazione su ciò che è andato perduto. La totale distruzione delle coperture è un colpo durissimo a un simbolo di tutti i francesi e a un monumento Patrimonio dell'Umanità poiché, anche se poco conosciute perché non visitabili dal pubblico, nondimeno erano parte fondamentale della storia di Notre-Dame. Testimonianza di una grande partecipazione di popolo e di un immenso lavoro collettivo nel corso dei secoli, il tetto era un'opera d'arte e dell'ingegno umano costruita da maestranze le quali, rischiando la vita (e spesso perdendola), hanno sollevato e assemblato manualmente 13mila travi di legno a 50 metri di altezza da terra. Un capolavoro di cui non si conoscono i nomi degli artefici, maestri d'ascia e artigiani anonimi ma protagonisti essenziali dell'architettura gotica del Nord. (vedi immagine in basso)

La struttura del tetto di Notre-Dame è una delle più antiche esistenti a Parigi: a questa complessa e ardita costruzione lignea era stato dato il poetico nome di "forêt" (foresta) proprio a causa del gran numero di travi di quercia - ognuna delle quali proveniente da un albero diverso che la componevano (vedi foto a destra). Le sue dimensioni sono impressionanti: più di 100 mt di lunghezza, 13 mt di larghezza sopra la navata, 40 mt nel transetto e 10 mt di altezza al colmo delle due falde con una pendenza del 55%. Nel coro era stata costruita una prima copertura con alberi abbattuti intorno al 1160 ma questa struttura era stata rimossa per alzare di 2 metri e 70 il muro perimetrale di gronda e portarlo in linea con quello della navata e ampliare i finestroni alti. Le travi originarie sono state poi recuperate e riutilizzate nel 1220 per creare la struttura esistente prima dell'incendio. Le opere murarie della navata sono iniziate nel 1182 mentre la carpenteria del tetto è stata messa in opera tra il 1220 e il 1240; i lavori si sono arrestati dopo la quarta campata lasciando incompiuta la copertura mentre si avviava l'elevazione della facciata nel 1208; i lavori del

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POLITICA CULTURALE tetto della navata sono ripresi dieci anni dopo per sostenere la nuova facciata. Sulla struttura del tetto era appoggiato un manto di copertura costituito da oltre 1300 lastre di piombo dello spessore di 5 mm e del peso complessivo di 210 tonnellate (dove sarà finito tutto questo piombo fuso dal calore?). Mentre le travature lignee del coro e della navata sono rimaste originali, quelle del transetto sono state sostituite nel 1860 nel corso dei lavori di restauro diretti da Viollet-le-Duc. Anche la gloriosa guglia, "la Flèche" (la Freccia), alta 45 metri e del peso di circa 750 tonnellate, crollata durante l'incendio sfondando le volte sottostanti, era stata ricostruita in stile neo-gotico da le-Duc in sostituzione di quella duecentesca demolita nel 1792. Per fortuna (e grazie ai pompieri), si sono salvate le strutture in legno all'interno delle due torri che servono anche a controbilanciare la spinta della navata, poiché sarebbe potuto accadere il disastro. Le murature e le volte in calcare e malta di calce sono vulnerabili al fuoco perché si trasformano in polvere ma anche la grande quantità di acqua di spegnimento può compromettere la loro stabilità. In tutta questa tragedia rimane un'u-

nica consolazione: questa volta la brutta figura non l'abbiamo fatta noi italiani e così ci siamo risparmiate le lezioncine di Macron il quale, da parte sua, con l'usuale supponenza - pur non sapendo ancora nulla delle reali condizioni della cattedrale - si è precipitato a promettere risultati e tempi mirabolanti quanto inverosimili)

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Intervista a IGOR MOLIN Le opere di igor Molin, pittore e disegnatore di talento, possiedono tutte le caratteristiche per catturare immediatamente l'osservatore e stimolarne la curiosità. Innanzitutto il linguaggio figurativo (iper) realistico che presenta sempre comuni situazioni di vita quotidiana in modi inaspettati e accattivanti. Ad attirare l'attenzione contribuisce anche l'uso sorprendente del colore in tonalità pure, vivacissime e luminose, indipendenti e autosufficienti rispetto ai contenuti. La spiegazione di questa sua predisposizione per cromìe così anomale e squillanti è presto detta: Molin è di Burano, perla della laguna e labirinto inesauribile di brillanti colori sui canali, luci, riflessi e panorami. Ecco le ragioni del suo rapporto privilegiato con la ricchezza cromatica e gli accostamenti inusuali, un imprinting che gli consente di creare armonie di colori e scorci prospettici immaginari ma non irreali. L'altra peculiarità che si riscontra nelle sue tele è la presenza delle persone, tante, sempre in esterni sotto un sole cocente (si vede e si sente il caldo!), e non solo frotte di vacanzieri ma una marea indifferenziata che sembra vagare senza senso. Anche i bambini sono un soggetto che ritorna spesso in dittici divertenti, con la loro gioia di vivere in strada, impegnati in giochi ormai scomparsi dalle nostre città assediate dal traffico. Igor indirizza il suo sguardo di osservatore curioso della realtà verso i temi che gli stanno a cuore facendo ricorso a una pittura lieve ed ironica per censurare una cultura di massa e consumistica che ha reso i luoghi storici irriconoscibili e invivibili. Egli coglie istanti dell'esistenza di un'umanità pittoresca e sbracata: donne, uomini, ragazzi, anziani, decontestualizzandoli e congelandoli all'interno di uno spazio geometrico astratto e definito da quinte colorate come un teatro della vita, su cui si riflettono le ombre di queste figure a due dimensioni. Al girovagare caotico e casuale della folla, Igor ama anche contrapporre poetici momenti di quiete o di solitudine in cui il singolo rimane solo con se stesso e i propri pensieri, sospeso nel vuoto e nel tempo. Paolo Tomio A sinistra: MANDRACCIO, 2017, acrilico e olio su tela, 70 x 50 cm

MI SO MI E TI TI XE TI (omaggio a Stojan Kerbler) 2018, quarzo, acrilico e olio su tela, 70 x 100 cm


Quando hai cominciato a interessarti all’arte e dedicarti alla pittura? Sinceramente non saprei darti una risposta precisa. So però che sono nato in mezzo ai colori e alla creatività. La famiglia di mio padre da generazioni ha gestito uno squero, un luogo magico dove si costruivano col legno barche di laguna, dipinte con colori estremamente vivaci. Fin da piccolo appena potevo indossavo i miei vestiti sporchi e vecchi e mi precipitavo da mio padre e da mio nonno che mi facevano svolgere piccoli lavori di carpenteria. Ricordo di aver subito il fascino della brillantezza degli smalti, l’odore dell’acqua ragia ma soprattutto le parole del nonno. Mi disse una volta: “La soddisfazione più grande è saper creare qualcosa dal niente”. Il nonno è stato il mio più grande sostenitore. Non a caso negli anni dell’accademia mio padre ricavò per me uno studio all’interno dello stesso cantiere. Burano è da sempre meta di pittori che arrivano in isola con il solo scopo di ritrarre gli scorci più belli, imitando forse gli impressionisti o i componenti della famigerata Scuola di Burano, ricordo ormai lontano dei fasti artistici isolani. QUALCHE POMERIGGIO, 2016, acrilico e olio su tela, 100 x 150 cm

A me però la pittura en plein air non è mai interessata. Non mi ha mai affascinato la possibilità di dipingere all’aperto, soprattutto un paesaggio. Io volevo imparare a disegnare e dipingere figure! Il mio approccio iniziale al fare artistico ha a che vedere più che altro col fumetto. Pomeriggi interi a copiare, soprattutto Tex, condividendo la passione col mio amico Riccardo Costantini, diventato poi pittore anche lui. Presto però libri d’arte, riviste e stampe sostituirono i fumetti e perciò cominciai, inconsapevolmente, a copiare i grandi maestri. Le scuole d’arte hanno fatto il resto dandomi però un’ottima formazione di tipo grafico. Paradossalmente ho preso in mano il pennello al primo anno di accademia, con notevoli difficoltà. Non sapevo mischiare i colori, usare i mezzi più semplici per la pittura. Il lavoro incessante ha poi compensato le lacune.

Quali sono stati le correnti artistiche e gli artisti che ti hanno influenzato agli inizi? Quando ero bambino frequentavo ancora la chiesa. A Burano ci sono delle pale e delle tele molto belle, dipinte da artisti importanti come Fontebasso, Zanchi, Mansueti, Carpaccio e Bel-


BLUFF, 2016, acrilico e olio su tela, 60 x 50 cm

lini. Su tutte però l’opera che continuava ad attrarmi come una calamita era una Crocifissione dipinta da un giovane Tiepolo. Non riuscivo a distogliere gl’occhi e spesso usavo le monetine che mi davano per prendere le caramelle per accendere il sistema d’illuminazione e godermi cinque minuti in silenzio quella grande tela. Istintivamente avevo già capito che quello è il lavoro più prezioso. I colori, la pasta pittorica e una certa composizione mi avevano catturato. Poi arrivò lo Tzunami. Un pomeriggio d’estate andai in cantiere ad aiutare mio padre. Doveva restaurare una barca e il mio compito era svuotarla e pulirla. Sotto la prua, come fosse un

segno divino, trovai una monografia di Michelangelo Buonarroti. Rimasi sconvolto dalla forza espressiva e cromatica. E’ stato per anni il mio punto fermo, il mio grande amore. Ma non l’ho mai copiato. Mi spaventava. Lo trovavo irraggiungibile e inafferrabile. Quando sono arrivato al Liceo Artistico si aprì un mondo. Solo la conquista di Venezia mi sembrava un sogno. La scoperta poi della Storia dell’Arte è stata una grande ubriacatura che mi mandò in confusione. Tra tutto rimasi colpito da un quadro di Boccioni, Controluce, avevo la necessità di capire la figura attraverso il colore di quell’incarnato, così

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plastico e luminoso. Quando arrivai in accademia scoprii dei linguaggi nuovi, contemporanei, e ovviamente fui influenzato da quei pittori che bene o male tutti amano: Hockney, Freud, Saville, Bacon e molti altri. Il mio professore un giorno davanti a uno dei miei primi quadri mi disse che trovava un’assonanza con un pittore della scuola romana, un certo Renzo Vespignani. Non lo avevo mai sentito nominare. Mi fiondai immediatamente in libreria e in biblioteca. In effetti, anche se il paragone mi imbarazzava, trovai certe affinità. Studiai a lungo il suo lavoro sia pittorico che incisorio che diventò successivamente argomento della mia prima tesi.

Nel corso della tua carriera, hai conosciuto artisti locali o nazionali? Ho avuto la fortuna di incrociare molti artisti noti e famosi, con cui però non ho mai avuto un momento di confronto. Incontrai Emilio Vedova in accademia, e qualche anno dopo conobbi anche Pizzinato. Mi sono molto dispiaciuto quando scoprii che il vecchietto che ogni mattina faceva colazione vicino al nostro tavolo al bar vicino all’Accademia era Zoran Music. Avrei voluto chiedergli mille cose. Ho conosciuto e frequentato Silvano Gilardi e Enrico ColombotIN PONTON, 2018, quarzo, acrilico e grafite su tela 90 x 190 cm

to Rosso del gruppo Surfanta. Quando mi sono trasferito a Riva ho avuto la fortuna di incrociare diversi artisti con i quali spesso mi confronto. Con alcuni di loro ho stretto un bel rapporto di amicizia. Penso sia importante che ci sia un continuo dialogo, momenti in cui rapportarsi con un collega, soprattutto se questo è lontano dalla tua poetica o dal tuo stile. E’ arricchente e stimolante.

Oggi, cosa ti interessa e cosa non ti piace dell’arte contemporanea? Parlare di Arte Contemporanea è sempre molto difficile per il semplice fatto che questa è mutevole, effimera e un po’ ruffiana. Ho smesso di cercare di capirne le dinamiche tanto tempo fa lasciando che il tutto segua il suo corso caotico e inafferrabile. Questo è probabilmente il suo bello perchè lascia margine all’imprevisto, rendendosi così sempre spettacolare e provocatoria. Noi artisti siamo sempre un po’ critici e un po’ incontentabili. Spesso girando per eventi, mostre e fiere ci accorgiamo che in realtà è un contesto abbastanza ermetico, di difficile accesso. Contestualmente ci chiediamo molto spesso se quel che vediamo è frutto di meritocrazia o di svariate altre dinamiche. Non mi sono mai piaciuti i ruffianismi e i sotterfugi, credo che il lavoro debba essere autentico e sincero, non


LISTON CONTEMPORANEO, 2012, acrilico e olio su tela, 60 x 120 cm

solo quello degli artisti per capirci.

Penso siano due modi molto differenti di indagare la vita rielaborando poi un linguaggio personale che si diversifica nei vari casi. Ogni pittore, ogni artista trova negli anni il giusto modo per far sentire la propria voce, spesso divertendosi. Mi dispiace il fatto che troppo spesso sento discorsi sull’arte che sanno di stereotipo; per esempio che la pittura figurativa è priva di forti contenuti concettuali e l’astrazione invece è spesso frutto dell’incapacità di un pittore di essere figurativo. In effetti la realtà perde subito il suo valore nel momento in cui un artista la rielabora decontestualizzandola. Perciò, se vogliamo, tutto ciò che facciamo è frutto di un concetto che porta la realtà ad essere, nel campo delle arti, frutto di un’astrazione. E’ sempre divertente comunque vedere che la disputa sulle Arti è ancora in auge!

Sei sempre stato figurativo o hai sperimentato anche linguaggi più astratti? Premetto che amo molto l’astrattismo e tutta la pittura considerata non figurativa. In genere amo molto quello che non so fare o quello che vorrei aver fatto io. Nella mia personale a Palazzo Libera ho avuto la possibilità di pensare e realizzare, anche grazie ad Antonio Cossu che mi ha lasciato piena libertà, una mostra eclettica impreziosita da medium diversi dalla sola pittura. Infatti tutta l’esposizione era pensata come uno spazio saturo di persone ed un’installazione sonora fungeva da contesto. Ogni stanza aveva poi un video e dei piccoli quadri astratti concepiti come appendici di alcuni lavori figurativi esposti. In realtà il tutto aveva un concetto molto figurativo. Mi piace pensare che in molte astrazioni ci siano innumerevoli aspetti antropocentrici.

Nel corso della tua carriera hai attraversato periodi espressivi diversi? Sono sempre alla ricerca del modo migliore per esprimere quel che vivo. Per mia fortuna vivo sempre situazioni diverse che mi portano a ri-

Secondo te, quali sono le ragioni profonde di chi si dedica alla rappresentazione del "reale" e chi di "idee e concetti astratti"?

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vedere spesso il mio operato. Sostanzialmente sono sempre stato fedele a me stesso e alle mie priorità poetico-stilistiche. Ho avuto però negli anni una sorte di evoluzione stilistica. Il lavoro di ricerca mi ha portato ad una sorta di pensiero addizionale in cui gli elementi compositivi, cromatici e manieristici hanno raggiunto un momento di saturazione che cominciavo a sentire limitante e ingestibile. Perciò negli ultimi anni ho fatto tabula rasa e ho ricominciato da capo, dalle cose più semplici che amavo in gioventù: il disegno e il colore.

fenomeno rimanendo affascinato e contestualmente allibito dai loro comportamenti, che poi nei miei dipinti si ritrovano in gesti, colori, oggetti e abbigliamento. Questo nei miei ultimi lavori si è trasformato in anonimia, sintesi e ripetizione di forme e colori. Le figure sono diventate per lo più sagome che acquisiscono la stessa valenza della propria ombra, sfuggente e temporanea, rifacendomi proprio alla liquidità e alla solidità baumiana.

Cosa ti affascina del ritratto, un genere che oggi ha perso molto ma fondamentale in passato? Da dove nasce il tuo interesse per le tante persone che raffiguri nei tuoi dipinti? E’ un leitmotiv della mia vita. La folla, le masse, i turisti mi hanno accompagnato sempre. Sono nato in una piccola isola che vive sostanzialmente di turismo, ho studiato a Venezia e poi mi sono trasferito a Riva del Garda. Da subito la mia indagine poetica ha avuto l’interesse di indagare gli aspetti psicologici di questi agglomerati di persone. Ho trovato poi in Bauman e nelle sue teorie sociologiche un punto di partenza per sviluppare la mia poetica che appunto critica l’omologazione giovanile e le sue conseguenze. Lavorando poi con gli adolescenti in questi ultimi anni ho potuto studiare da vicino questo ARANCIA, LIMONE, FRAGOLA E LAMPONE, dittico 2017, acrilico e grafite su carta, 70 x 100 cm ciascuno

Questa è una domanda che mi perseguita dai tempi dell’accademia. La figura per me è tutto. Non è la semplice rappresentazione di una persona, ma è paradossalmente la raffigurazione di tutto quello che circonda la figura stessa. Il volto, con le sue caratteristiche fisiognomiche peculiari può essere considerato una spugna che assorbe le influenze e le tendenze sociologiche; ma anche uno specchio dello stato dell’essere contemporaneo della società, delle sue lucentezze e dei suoi lividi che si palesano nell’incarnato. In un volto e in una figura ci può essere la verità, come la finzione, la narrazione ma anche la rappresentazione del silenzio. La figura, le mie figure, sono tutto e tutti proprio perchè chiunque le guardi trova in queste un pezzettino di sè, della sua vita. Almeno questo è quello che voglio.


SIMMETRIE IMPROBABILI, dittico, 2017 acrilico e grafite su carta, 50 x 70 cm ciascuno

Tu sei nato a Burano, un paese speciale di acqua, luce e colori: pensi si ritrovi nella tua pittura?

solo negli ultimi anni sono riuscito a cimentarmi in soggetti paesaggistici, anche legati al mio territorio, con un linguaggio più maturo probabilmente. Devo dire che mi sono molto divertito ultimamente ad alternare i lavori figurativi, di figura, a questi piccoli capricci che comunque sono in linea con la mia poetica. Chissà se magari in futuro ci sarà uno sviluppo maggiore di queste rappresentazioni.

Burano è la mia pittura. Fonte continua di spunti e suggerimenti. Tutto nel mio lavoro rimanda a lei. L’isola che non c’è. Ogni anno che passa diventa sempre più importante. Non è solo una questione cromatica. Ovviamente i colori sono l’elemento più riconducibile e scontato. Ma è molto di più. E’ il legame forte che ho con le mie origini, è la luce dorata che mi si appiccica sulla pelle, è un profumo, quello di sempre, che non riesco a definire. Il mio lavoro è un continuo omaggio a quest’isola magica e contraddittoria, anche se ho sempre cercato di non farlo in modo banale.

Che tipo di rapporto hai con il turismo e i turisti protagonisti di tanti tuoi lavori? Nell’animo veneziano c’è da sempre un rapporto conflittuale di amore e odio. Per lo più però , almeno ultimamente, vedo e sento sempre più intolleranza nei confronti dei turisti. Fastidiosi, indisciplinati, rumorosi e sporchi. Il problema è che si ha sempre una memoria a breve termine e non si ha la percezione di se stessi quando ci si ritrova da turista. O, con molta probabilità, molti isolani non hanno mai avuto l’occasione di girare il mondo. Io ho vissuto Venezia e Burano costantemente satura di turisti e perciò per me è da sempre una situazione normale. Talmente normale da diventare poi motivo di studio e ricerca. È l’immagine più ricorrente nella mia vita ed era inevitabile averne a che fare. Anche io mi son preso le mie arrabbiature: turisti che si

Ti se mai confrontato con il paesaggio marino o i tanti scorci caratteristici del tuo territorio? Ho sempre voluto saper dipingere un paesaggio. Ci ho provato molte volte ma ho sempre ottenuto risultati scarsi, banali e poco interessanti. Mi sono spesso dispiaciuto per questo vista anche la notorietà della mia isola che era per i pittori della Scuola di Burano una sorta di Pont-Aven. Forse sono sempre stato troppo concentrato sulla figura e sulla convinzione di non voler e non saper dipingere un paesaggio. Burano, come già detto, è sempre presente ma

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sedevano sulle tele in vaporetto o il fatto di dover rimanere a terra perché troppo ingombrante per lasciare il posto a quelli che pagavano il biglietto a peso d’oro. Ma questa è Venezia. La fotocopia glitterata di se stessa. Venezia, per citare Augè, è diventata un non luogo.

fasi iniziali di campitura e sbozzatura sono sempre acriliche o smalti, poi rifinisco tutto ad olio, o a grafite se il lavoro lo richiede. Sulle ultime tele ho usato della quarzite, la stessa con cui si dipingono le case a Burano. Il disegno, per il mio lavoro, sta alla base di tutto. Crea quel legame indissolubile tra quel che ho concepito e quello che andrò poi a realizzare.

Quali sono le tecniche artistiche che utilizzi principalmente nella tua attività? Le più semplici. Nessun grande segreto alchemico. Anche se negli anni ho lavorato con i decollage e con colle e medium per il trasferimento delle immagini stampate, in realtà il mio iter processuale è abbastanza scontato. Solitamente abbozzo e progetto rielaborando delle immagini fotografiche, prima con delle idee grafiche veloci, poi con l’utilizzo del computer con cui posso facilmente rivedere, modificare e correggere. Prendo in considerazione diverse varianti per lo stesso progetto, infine riporto il tutto manualmente sulla tela o sulla carta. Le TRITTICO AMERICA, 2011, acrilico, carta, smalti e olio su tela, 130 x 225 cm (insieme)

Quando inizi un nuovo dipinto hai già in mente un tema compiuto o preferisci cambiare in corso d'opera? Quando vado in studio e mi siedo davanti al cavalletto innanzitutto devo fare i conti col trauma da tela bianca, che sempre mi impaurisce e inibisce. Sostanzialmente però in quel momento so già quel che devo fare e quel che voglio raggiungere. Ovviamente quasi mai il processo realizzativo è in linea con quello ideativo e perciò in corso d’opera, vien da sé, il quadro muta silenziosamente e sovente assume connotati completamente diversi. Mi piacerebbe, magari avendo più tempo e


SINOPIA, 2017, acrilico, olio e grafite su tela 150 x 200 cm (insieme)

idee più chiare, sperimentare nuovi materiali sia per la pittura che per i supporti. A volte è proprio dalla sperimentazione puramente tecnica che nascono nuove idee e nuove strade da perseguire.

critico e indagatore di una società consumistica e superficiale, o almeno quella dei giovani che io spesso ritraggo. Perciò quei colori assumono spesso una forte drammaticità. Non credo che il mio lavoro possa essere emozionale, bensì riflessivo. Negli anni ho capito appunto che il lavoro deve essere sincero, frutto del bisogno stesso dell’artista di condividere le proprie idee. Immagino che si possa parlare di opera d’arte nel momento in cui si riesce a trovare argomentazioni valide espresse con un linguaggio adeguato e accattivante che riesca a coinvolgere lo spettatore.

Ritieni di rappresentare nelle tue tele concetti o emozioni? Sei interessato a un “messaggio” nell’opera? Come già accennato prima, il mio lavoro ha una base concettuale molto forte. La pittura deve essere un mezzo con cui esprimere determinati concetti. Spesso di fronte alla pittura ci si ferma al giudizio tecnico-stilistico invece di indagare gli aspetti più mentali e creativi. Ho sempre cercato, nel mio percorso artistico, una certa coerenza poetica e artistica, succede però che i miei lavori possano essere travisati nel loro valore poetico e concettuale non cogliendo il sapore

Come definiresti il tuo stile? Quali sono, secondo te, le caratteristiche che ti rendono riconoscibile? 15


TERRANOVA, 2017, acrilico e olio su tela 50 x 150 cm

rienze artistiche sicuramente diverse da quelle veneziane. La figurazione sicuramente è meno sentita o semplicemente negli anni ha avuto uno sviluppo minore rispetto ad altri linguaggi. Questo per me inizialmente è stato motivo di frustrazione sentendomi impossibilitato ad un confronto alla pari. Poi però si è trasformato in un valore aggiunto e ho potuto rapportarmi con i miei opposti. Complementarismi che hanno fatto bene al mio lavoro. Credo di essere cresciuto molto grazie a questo.

Andy Warhol in tempi non sospetti disse che le etichette vanno bene per le lattine, non per le persone, e tantomeno per le opere. Faccio fatica perciò a identificarmi in uno specifico linguaggio. Nella mia carriera mi sono ispirato a molti artisti, ma non ho mai cercato di riportare il loro lavoro nel mio. Mi son sempre divertito a definire il mio stile come un ricco minestrone, cotto a fuoco molto lento. Sono convinto che quello che ho ottenuto sia autentico per il solo fatto che è frutto del mio vissuto. Molti lo definiscono Neo Pop, altri iperrealista, altri ancora fotorealista o Neo metafisico. Io ci vedo solo anni di ricerca, di lavoro e di grandi sacrifici. Penso che la riconoscibilità del mio lavoro si basi soprattutto sull’uso del colore e sul rapporto figura-spazio. Credo sia importante, ma non indispensabile, mantenere una certa riconoscibilità, nonostante i continui mutamenti stilistici.

Cos’è la bellezza? E’ un valore che ricerchi o è subordinato ad altri valori? Per tanto tempo ho pensato che, in pittura almeno, la bellezza fosse il risultato del virtuosismo tecnico. Convinto che oggettivamente fosse frutto di determinati aspetti iconografici. Negli anni mi sono ricreduto fortemente. Ho pensato molte volte alla bellezza, e sono arrivato al punto di credere che questa sia mutevole e sfuggente e che sia sempre condizionata dal nostro vissuto. Perciò tendenzialmente la bellezza può essere ovunque o essere niente. È la vita che detta legge perciò quel che noi percepiamo come bello è estremamente subordinato. Questo vale ovviamente anche nel campo delle arti. Vespignani aveva ragione: un quadro non riuscito non può essere brutto per sempre, può

Hai trovato delle differenze tra il mondo artistico veneto e quello trentino? Decisamente. Quando sono arrivato in Trentino ho conosciuto un bel contesto, vivo e impegnato. Ho incontrato molte persone appassionate con cui ho instaurato un bel rapporto. Un mondo diverso, in cui si sentono rimandi mitteleuropei la cui estetica è frutto di espe16


diventare bello dopo esser stato girato contro il muro per qualche anno.

Per fortuna ancora un binomio molto raro e difficile da raggiungere.

Chi è l’artista?

E, per finire, cosa è per te l’arte?

Uno, nessuno e centomila. Di pirandelliana concezione è la risposta che più si addice al mio pensiero. La perdita nei millenni del suo valore etimologico di Ars e Texvn ha mandato un po’ tutto in quel pentolone che raccoglie tutto ciò che l’essere umano crea. Spesso più concettualmente che, riferendomi proprio al significato, un qualcosa creato manualmente. L’arte da sempre è stata lo specchio della società e il primo linguaggio che l’uomo ha usato per esprimersi. L ’artista nella contemporaneità è colui che sa esprimere grandi idee con il giusto linguaggio.

Una necessità. La necessità di condividere la propria creatività, la propria visione del mondo. Dare il proprio contributo nella difficile lettura della propria società. Per me l’arte è tutto, e non per usare una frase fatta. Ha scandito molti dei momenti più importanti della mia vita e ancora continua a condizionare la mia quotidianità. È lo specchio rivelatore di ciò che siamo realmente. Per questo mi piace sempre citare una bellissima frase di Puškin: ”Descrivi senza fare il furbo”. Il mondo dell’arte forse avrebbe bisogno di più sincerità. TACCO 12, 2017, acrilico e grafite su carta 50 x 70 cm


a cura di Catherine Even, Alain Quiniou et Patrick Valente, testo critico di Carolina Lio, Galerie L’Echaudé,. Parigi GENTE COMUNE, mostra personale a cura di Antonio Cossu e Promart, testo critico di Federica Giobbe. Palazzo Libera, Villa Lagarina ROVERETO (Tn) (IT. VS. SI. FIGURE), bi-personale con Tjaša Čuš, a cura di Jernej Forbici e Ma- rika Vicari, Galerija FO.VI., Ptuj, Slovenia 2011 PEOPLE GO ON HOLIDAY, bipersonale, Galleria d’Arte L’Occhio, Venezia, a cura di Elisabetta Donaggio e Alfredo Pugnalin 2009 CHROMATIC ALCHEMY, Galerija Tenzor, Ptuj, Slovenia, personale a cura di Jernej Forbici 2008 VIRUS DI UMOR LEGGERO, Galleria L’Occhio, Venezia, a cura di Elisabetta Donaggio 2006 IGOR MOLIN, Libreria Mondadori, Venezia, a cura di Giuseppe Ulian 2005 Galleria Tenzor, Ptuj (Slovenia), a cura di Vlado Forbici e Jernej Forbici. IL BINOCOLO, sguardo su giovani artisti, Galleria d’Arte l’Occhio, Venezia, a cura di Elisa Capitanio

IGOR MOLIN Nasce a Venezia il 02-03-1981. Consegue il Diploma di Maturità artistica presso il Liceo Artistico Statale di Venezia, il diploma all’Accademia di Belle Arti di Venezia e la Laurea specialistica in Arti visive e discipline per lo spettacolo con indirizzo pittura all’Accademia di Belle Arti di Venezia. Ha esposto in Italia e all'estero e attualmente collabora con diverse galleria in Italia, Francia e Slovenia. Da sempre la sua ricerca poetica è strettamente legata alla pittura e alla figurazione, nell’obiettivo di narrare la propria contemporaneità con un linguaggio personale. Luce e colore contraddistinguono i suoi lavori che risentono della forte influenza delle sue origini veneziane. La pittura di Molin è una sorta di diario personale su cui annota continuamente il vissuto quotidiano, soprattutto quello legato all’omologazione giovanile e alle nuove tendenze sociali spesso contestualizzate in un scenario fuori dal tempo e dallo spazio. Vive e lavora a Riva del Garda (Tn). STUDIO: Viale Nino Pernici 13, Riva del Garda (Tn) CELL. 3332575125 EMAIL. molinigor@gmail.com SITO. www.igormolin.com

MOSTRE COLLETTIVE 2019 LOLLIPOP, a cura di Alessandra Redaelli, Galleria Punto Sull'Arte Varese 2018 GENOVA ARTE FIERA, Galleria Punto Sull'Arte di Varese BERGAMO ARTE FIERA, Galleria Marco Antonio Patrizio PADOVA ARTE FIERA, Galleria Marco Antonio Patrizio PARMA ARTE FIERA, Galleria Marco Antonio Patrizio FOKUS, mostra collettiva internazionale in omaggio a Stojan Kerbler, Gallerija Mesta, Ptuj, Slovenia. 2017 FOGOLINO CONTEMPORANEO, Galleria Fogolino, Trento 2015 BIENNALE DI CARTA, mostra collettiva, installazione site speci c, a cura di Valeria Bertesina, Palazzo Fogazzaro, Schio, Vicenza A TIMES GO BY, mostra collettiva, Galleria Melori & Rosenberg, Venezia VENICE MICRO ACADEMY, mostra collettiva a cura di Gaia Lionello e Melania Ruggini, Galleria Casa della Renna, Mestre 2014 ART(R)EVOLUTION, mostra collettiva a cura di Debora Ferrari e Luca Trai- ni, Game Art Gallery Neoludica, , Villa Bottini, Lucca 2013 RIVERS OF A.I.R. (Art-Industry-Recycling),

MOSTRE PERSONALI 2018 IGOR MOLIN, a cura di Art Stays, Galerija FO.VI., Kidričevo, Ptuj, Slovenia 2017 IN THE LIGHT, a cura di Gabriele Salvaterra, Galleria Melori & Rosenberg, Venezia 2014 TEMPORARY ART IN SPRING, a cura di Maurizio Mo e DesignStudio25, Calamandrana, Asti 2013 SIMPLE PERSONS, mostra personale a cura di Federica Giobbe, Galleria Mini- Civica, Moena (Tn) 2012 CHOREOGRAPHIE URBAINE, mostra personale

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mostra collettiva a cura di Tobia Donà, Pescheria Nuova, Rovigo 2012 ARTS2, collettiva a cura della Galleria ARTSRBIJA.NET, Centri Culturali in Serbia, Bosnia, Monte Negro, Romania e Macedonia. 2011 FISIONOMIE E IDENTITA’, collettiva a cura di Domenico Maria Papa, Palazzo Arduino, Cuorgnè, Torino 2010 INVASIONI E TERAPIE, Palazzo Fogazzaro, Schio (VI), a cura di Anna Pez- zin 2009 TALK TO ME, Majperk Postnina, Ptuj, Slovenia, a cura di Dusan Fiser e dell’Art Factory TRASFIGURAZIONI, Galleria San Vidal, Venezia, a cura di Christian Palazzo 152, a cura della Galleria Im Elysee, opere vendute all’asta da Sotheby’s Hamburg, Amburgo 2006 SENZA CRITICA, Libreria Mondadori, Venezia, a cura di Giuseppe Ulian BERLINER KUNST SALON, era internazionale d’arte contemporanea, Berlino 2005 ATELIER APERTI, a cura di Gloria Vallese, Accademia di Belle Arti di VenEzia, Biennale di Venezia CONTROLUCE, a cura si Saverio Simi de Burgis, Biennale di Venezia, Padiglione Italia

ics

ART E' possibile sfogliare tutti i numeri pubblicati della rivista icsART dall'anno 2012 al 2019 sul sito al seguente indirizzo:

www.icsart.it icsART N.5 2019 Periodico di arte e cultura della icsART Curatore e responsabile Paolo Tomio

PREMI, CONCORSI e RESIDENZE 2013 PREMIO FRANCESCO FABBRI PER LE ARTI CONTEMPORANEE Mostra collettiva dei finalisti a cura di Carlo Sala, Villa Brandolini - Pieve di Soligo (Solighetto) 2011 ART STAYS 9, Festival internazionale di Arte Contemporanea, Ptuj, Slovenia, a cura di Jernej Forbici e Marika Vicari AMERICA LATO A e B, Palazzo Fogazzaro, Schio (VI), a cura di Anna Pezzin DONKEY ART PRIZE, Galleria Tortona, Milano 2010 ARTSLIVE, collettiva a cura di Carolina Lio, Yvonne Artecontemporanea, Vicenza ART STAYS 8, Festival internazionale di Arte Contemporanea, Ptuj, Slovenia, a cura di Jernej Forbici e Marika Vicari 2008 ART STAYS OPEN 2008, Galleria Miheliceva e Galleria Magistrat, Ptuj,residenza artistica, Slovenia, a cura della Galleria FO.VI. 2006 PREMIO ARTE MONDADORI, vincitore del Premio Accademia per la Pittura, Palazzo della Permanente, Milano

PERIODICO della icsART N.5 - Maggio ANNO 2019

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MERCATO DELL’ARTE ? Gogh distorti, offuscati, sfocati, con cui evocava la campagna di epurazione dell'"Arte degenerata" condotta nel 1937 dal regime nazista. Il suo linguaggio livido, inquietante, inevitabilmente influenzato dal passato di censura e repressione del regime romeno caduto nel 1989, sta affascinando collezionisti e critici del mondo occidentale. L'artista è particolarmente interessato a problematiche ignorate dai suoi colleghi occidentali (a parte quelli dell'ex Germania dell'Est) dediti a una pittura astratta slegata dalla realtà, essenzialmente formalista. In tutta la sua opera, il pittore esprime un profondo fascino per l'incarnazione del male nella storia, che spiega così: «..sono affascinato da quello che è successo nel Novecento e da come continua a condizionare l'oggi». Tanto è vero che ha rappresentato con la sua pittura teatrale le immagini sfocate, bruciate e oscurate di figure sinistre della memoria storica e politica (Ceausescu, Lenin, Stalin), della scienza (Darwin) e dell'arte (Duchamp, Rothko, Van Gogh). Ghenie si laurea nel 2001 all’Università di Arte e Design di Cluj-Napoca in Transilvania), ma poiché non sembra interessato a diventare un pittore poiché la sua vera passione è la storia, co-fonda nel 2005 una galleria d'arte a Cluj e inizia dipingere sul serio solo nel 2006 con una serie di lavori in bianco e nero passando al colore l'anno successivo. Nelle sue prime opere sono evidenti i riferimenti alla decostruzione di Bacon, poi si ritrovano anche Rothko, Pollock, Gorky, Richter visto che Ghenie ritiene che sia lecito usare materiali artistici già storicizzati: «Il linguaggio pittorico del ventesimo secolo ... co-

ADRIAN GHENIE (1977), Nickelodeon, 2008, olio, acrilico e nastro su tela (in due parti), 238 x 414 cm, venduto da Christie's London 2016 a GBP 7.109.000 (€ 8.341.700) (vedi a pag.28) Stimato 1-1,5 milioni di sterline, l'enorme dittico intitolato "Nickelodeon" (nome delle prime sale cinematografiche di inizio '900) che ricorda molto l'interno di un lager, è stato pagato sette volte tanto. I prezzi in asta di questo pittore rumeno residente a Berlino, praticamente sconosciuto, sono esplosi solo a partire dal 2014 con "The Sunflowers 1937" (vedi a pag.30) una imponente reinterpretazione dei girasoli di Van

A sinistra: The fake Rothko, 2010, olio su tela 200 x 200 cm, venduto da Sotheby's London 2014 a 1.426.500 GBP (€ 1.782.000)

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ADRIAN GHENIE stituisce una gamma di possibilità che utilizzo per creare un dipinto figurativo trans-storico». L'artista è notato dalla critica internazionale uando rappresenta la Romania nel 2015 alla 56° Biennale di Venezia. Egli racconta molte storie in ogni dipinto usando spatola e stencil tramite una pittura gestuale, casuale eppure avvolgente in cui abbondano le tinte scure e drammatiche e le tonalità di marrone, nero e grigio. Tutti i suoi lavori sono il risultato di una rielaborazione personale e fantastica di motivi e figure recuperate dall’immaginario collettivo: televisione, cinema e l'archivio di Internet. Dai film di David Lynch e Alfred Hitchcock, che cita come influenze principali, prende in prestito non solo singoli fotogrammi ma anche il taglio composiztivo, colori, luci, simboli e atmosfere. Nelle sue tele i confini tra realtà e finzione, memoria e mito, figurazione e astrazione, sfumano e si confondono in ombre minacciose. Ad esempio, nell'opera "Boogeyman" (vedi a destra), ad esempio, si vede una persona di schiena seduta nella poltrona (l'autore) e una seconda presenza in piedi, enigmatica e minacciosa, vestita di nero, cravatta e cappello, che rappresenta l'"Uomo nero", l'essere leggenda-

Selfportrait as Charles Darwin, 2011, olio su tela 202,5 x 238,3 cm, venduto da Sotheby's London 2017 a 3.252.500 GBP (€ 3.832.200)

rio usato per incutere paura ai bambini. Oppure la figura inquietante dell'uomo che si sporge dal parapetto di un ponte in "The Bridge" (vedi a pag.29) rivisita "L'urlo" dell'espressionista norvegese Edvard Munch. Boogeyman, 2010, olio su tela, 200 x 335 cm venduto da Sotheby's London 2018 a GBP 4.851.900 (€ 5.471.400)


IL TELAIO DI PENELOPE La tessitura è entrata nella storia dell'arte fin dalle origini dell'uomo come dimostrano i primi manufatti risalenti al neolitico. Nell'antichità e presso i popoli primitivi essa era gestita in ambito familiare ma già presso i Romani le fasi della lavorazione della lana e del lino avevano cominciato ad essere organizzate in grandi laboratori dove la manodopera era fornita dagli schiavi. Da allora questo settore è andato sviluppandosi in modo discontinuo fino a diventare nel Medioevo l'industria più prosperosa. E' solo all'inizio del 19° secolo che, con l'invenzione del telaio Jacquard, avviene il passaggio da un'attività legata al lavoro manuale eseguito in ambito artigianale e domestico a una produzione tessile meccanizzata che permette l'esecuzione di disegni molto complessi con il lavoro di un solo tessitore e segnerà l'inizio della rivoluzione industriale. Dopo questo fatto la storia della tessitura prenderà due strade: quella industriale, appunto, basata su una produzione di grandi numeri e qualità media ma standardizzata, e quella artigianale e artistica, una forma di arte tessile importantissima nel passato ma in progressivo declino, interessata a realizzare tessuti caratterizzati dall'unicità e dalla qualità tramite telai manuali e utilizzando disegni derivati dalla storia oppure creati da artisti. All'interno di questa ultima categoria rientrano gli arazzi i quali, pur avendo perso gran parte del loro appeal per ragioni funzionali, culturali ed economiche, sono tuttora apprezzati da persone sensibili a questa raffinata forma d'arte parietale. Pur prestandosi a ogni tipo di rappresentazione, da quelle figurative a quelle astratte, le composizioni di ordine geometrico sono le più congeniali alla tecnica della tessitura che è organizzata su una struttura regolare 22


L'ARTE DELL'ARAZZO l'uso prevalente di vivaci colori primari oppure di sobri e delicati pastello, contribuisce a rendere i motivi decorativi non soggetti alle mode e allo stesso tempo rétro. Essi sono ricercati dal mercato nordico perché stilisticamente coerenti sia con l'architettura moderna pulita e lineare che con quella storica in mattoni rossi. I tessuti sono rigorosamente annodati a mano con lane lana ritorte grezze e tinte a mano personalmente dall'autrice e possiedono una piacevole ruvidezza al tatto che ricorda i vecchi tessuti di campagna quando nelle fattorie le donne si dedicavano alla creazione di tappeti folk ancor oggi particolarmente piacevoli. L'eterno dibattito sulla questione se questi manufatti siano da considerarsi opere d'arte o mero artigianato, è pragmaticamente superato proprio da questa ultima banale constatazione. dei fili verticali di ordito che si intrecciano con i fili ortogonali di trama. All'interno dei filoni artistici che privilegiano il tessuto come medium si ritrovano ancora molti operatori visuali che amano realizzare arazzi moderni visti come alternativa all'opzione più diffusa dei quadri ma anche perché vicini alle teorie artistiche del '900 e alla sensibilità d'oggi. E' il caso dell'artista fiamminga Martine Van Volcem che vive e lavora a Bruges e mantiene viva l'antica tradizione degli arazzi delle Fiandre. Poiché la qualità, la complessità, il costo di un arazzo dipendono dagli intrecci per metro quadrato di trama e ordito, dalla qualità dei filati, dai disegni e dalle ore necessarie per realizzarlo, la designer ha trovato la sua fonte di ispirazione nelle teorie e nei dipinti neoplastici di Piet Mondrian, che equilibrano tutti questi elementi. Nei suoi arazzi, infatti, pur essendo connotati da composizioni regolari di figure geometriche, 23


BAUHAUS 100 - 3° parte

1925-1932: il Bauhaus a Dessau Quando nel '24 la destra vince le elezioni in Turingia, al Bauhaus scuola di stato a Weimar, vengono dimezzati i fondi pubblici costringendolo a chiudere nel '25. Lo stesso anno Walter Gropius accetta la proposta di riaprire la scuola a Dessau (in Sassonia) come Università del Design (Hochschule für Gestaltung). L'architetto espone il nuovo programma in cui l'importanza dell'industria e della scienza diventano predominanti rispetto all'artigianato auspicando «un lavoro sperimentale sistematico in teoria e pratica - nei campi formale, tecnologico ed economico». A Dessau sono portati i laboratori metalli, tessitura, pittura murale, scultura e tea-

tro mentre quelli di ceramica e scultura in legno chiudono. Si trasferiscono Feininger, Kandinsky, Paul Klee, László Moholy-Nagy, Muche, Schlemmer e diversi ex studenti prendono il posto nei laboratori come "giovani maestri". Alla fine del '26 viene inaugurata l'avveniristica sede dotata di moderni laboratori progettata da Gropius che nel 1996 è stata dichiarata Patrimonio dell'Umanità. (vedi in alto) L'anno seguente apre anche il dipartimento di architettura diretto da Hannes Meyer, un architetto svizzero funzionalista e radicale. E' durante gli anni di Dessau che Il Bauhaus raggiunge il suo massimo splendore. Marcel Breuer, ungherese, si trasferisce da Vienna prima come studente a Weimar e poi a Dessau per dirigere il laboratorio mobili. A 23 anni Breuer realizza una sedia che chiama "Wassily" in omaggio a Kandinskij (vedi a sinistra) utilizzando in modo innovativo un materiale industriale: il tubo in acciaio senza saldatura di recente sviluppo, piegato e assemIn alto: WALTER GROPIUS, nuovo edificio del Bauhaus a Dessau, 1926 A sinistra: MARCEL BREUER, "Model B3 - Wassily" sedia in tubo di acciaio cromato e pelle, 1925-26

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STORIA DELL’ARTE blato per sfruttarne la resistenza e l'elasticità. I componenti rendono leggibile la struttura della sedia che è comoda, leggera, economica e facile da produrre in serie tanto che, dopo novant'anni, è venduta ancora oggi a basso prezzo. Grafica, stampa, fotografia, pubblicità, diventano materie di studio sempre più centrali coerentemente con la necessità di utilizzare queste forme di comunicazione adottando criteri funzionali, tecnici, psicologici e linguistici adatti a una società industrializzata e di massa. Herbert Bayer è un artista austriaco iscrittosi al Bauhaus come studente e promosso insegnante nel '25 dopo il trasferimento a Dessau: fino ad allora i caratteri tipografici tedeschi più popolari erano ancora influenzati dalla scrittura gotica ma Bayer cerca di sostituirli con un disegno più semplice ed essenziale, studiando un alfabeto basato su un carattere senza le grazie (sans-serif) e composto da sole lettere minuscole poiché ritiene che la distinzione tra maiuscole e minuscole non trasmetta differenze fonetiche. Sebbene non sia mai stato realizzato come carattere tipografico per la stampa, l'alfabeto "Universal" di Bayer è diventato sinonimo di Bauhaus, molto amato e riutilizzato dai grafici contemporanei. Josef Albers, un altro ex studente promosso re-

sponsabile dal 1926 al 1927 del laboratorio mobili di Dessau, progetta un set di quattro tavolini a incastro semplici e lineari - tuttora modernissimi - caratterizzati da piani colorati e infilabili uno dentro l'altro in modo da risolvere i problemi di spazio e flessibilità degli alloggi moderni. (vedi in alto). Quando nel '27 Walter Gropius si dimette, Hannes Meyer prende il suo posto di direttore dando un indirizzo alla formazione meno finalizzato alla forma ma più accademico e scientifico. Di idee marxiste, egli sostiene che il Bauhaus si sia allontanato dall'idea originaria di fare "per il popolo" dato che la maggior parte dei suoi prodotti erano costosi ed esclusivi e debba cambiare: «I bisogni delle persone invece del bisogno di lusso». Nel '30 Meyer viene licenziato senza preavviso dalla città di Dessau a causa delle sue troppo esplicite posizioni di sinistra e, su consiglio di Gropius, il famoso architetto tedesco Ludwig Mies Van der Rohe è nominato terzo direttore del Bauhaus. Fine 3° parte - continua In alto: JOSEF ALBERS, tavolini ad incastro, 1926-27 legno di rovere e vetro acrilico laccato A sinistra: HERBERT BAYER, "Universal", bozza di carattere tipografico universale, 1926

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Maggio 2019, Anno 8 - N.5

News dal mondo ADRIAN GHENIE

Nickelodeon, 2008

pag. 28

ADRIAN GHENIE

Boogeyman, 2010

pag. 29

ADRIAN GHENIE

Duchamp's Funeral I, 2009

pag. 30

ADRIAN GHENIE

The Sunflowers in 1937, 2014

pag. 31

Heinrich Himmler spiega il senso della vita alla figlia Gudrun, 2019

pag. 32

Omaggio ad ADRIAN GHENIE

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ADRIAN GHENIE, Nickelodeon, 2008, olio, acrilico e nastro su tela (in due parti), 238 x 207 cm, venduto da Christie's London 2016 a GBP 7.109.000 (€ 8.341.700)

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ADRIAN GHENIE, The Bridge, 2015, olio su tela 239,7 x 199,7 cm, venduto da Christie's New York 2016 a $ 3.943.500 (€ 4.175.700),


ADRIAN GHENIE, The Sunflowers in 1937, 2014, olio su tela 280 x 280 cm, venduto da Sotheby's London 2016 a 3.117.000 GBP (€ 3.987.300)

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ADRIAN GHENIE, Duchamp's Funeral I, 2009, olio su tela 200 x 300 cm, venduto da Sotheby's London 2019 a 4.298.400 GBP (€ 4.970.000)



PAOLO TOMIO: Omaggio ad ADRIAN GHENIE Heinrich Himmler spiega il senso della vita alla figlia Gudrun, 2019, fine art su tela, 60 x 42 cm


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