45 minute read

05.12] Il cadavere, lo specchio, il sesso

pe Daverio178 ben rende l’idea e lo descrive come il gemello del teatro La Scala. Così come il Teatro cittadino, anche il Cimitero è luogo - eterotopico, dirà Michel Foucault179 - dell’incontro, della socialità e della convivenza, non solo tra morti. E questa sua caratteristica non è per nulla scontata come si è potuto intuire nei discorsi sui “luoghi della morte” portati avanti fino qui. Il Monumentale di Milano rappresenta così un’intera società e la sua etica industriale e borghese, e si fa palcoscenico per la vita associata della stessa.

Quasi un cimitero che diventa teatro - della socialità.

Advertisement

05.12 Il cadavere, lo specchio, il sesso

- SPECCHIO. [...] Nei miti, appare talvolta come la porta attraverso cui l’anima può dissociarsi e «passare» dall’altra parte, tema ripreso da Lewis Carrol in Alice attraverso lo specchio. Soltanto questo può spiegare l’usanza di coprire gli specchi o di voltarli contro il muro in determinate circostanze, in particolare quando in casa muore qualcuno 180 -

Una delle più importanti riflessioni che aprono al Moderno architettonico - ovvero alla stagione della cosiddetta architettura contemporanea - è quella partorita da Adolf Loos181, ed a mio modo di vedere anch’essa è fortemente segnata dal tema della morte. Leggendo la sua opera in controluce - cioè considerandola in negativo, ovvero pensando a ciò che esclude -, Loos ci offre una rilevantissima lettura della morte e dei suoi luoghi, tra cui quello del cimitero.

Difatti, dire che solamente sepolcro (Grabmal) e monumento (Denkmal), all’interno delle cose costruite dal Baumeister - questi i termini con i quali Loos parla della disciplina architettonica più propriamente definibile come tale -, possono raggiungere esiti artistici, sopportare cioè un “trattamento ar-

178 Tratto da Daverio P., Passepartout - I cimiteri, in Videografia. 179 Il riferimento è a ciò detto in Foucault M., Utopie, eterotopie, 1966. 180 Tratto da Cirlot J.E., op. cit., pp. 430-431. 181 Per questa breve analisi si fa riferimento alla raccolta dei suoi scritti in Parole nel vuoto, 1972.

192

La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia

tistico”, differentemente da qualsiasi altra cosa costruita, significa affermare che le uniche vere architetture - intese come opere d’arte - possibili si hanno laddove scompare la funzione spaziale e di fruizione di queste (che è, poi, il grande tema di rivoluzione e dibattito del Moderno in architettura)182 .

Tra tutte le progettabili e realizzabili, sepolcro - cioè tomba - e monumento sono le due opere contemplative, e non meramente funzionali, e solo in forza di ciò leggibili come esito artistico183. E, forse non a caso, hanno queste “a che fare con la morte”. D’altronde, coloro vivi non usano un sepolcro, al massimo lo contemplano - vi stanno davanti; e sempre coloro che sono vivi non usano (persino grammaticalmente è questione errata) un monumento, al massimo, anche qui, lo contemplano - vi si stagliano di fronte. Su questi binari non v’è dubbio che il cimitero è con le Altre cose costruite, e non ha da collocarsi tra le “artistiche eccezioni” perché si usa, si vive: il luogo del cimitero non contempla in sè la morte, ma ospita al suo interno i luoghi della contemplazione - e può ospitare sia il sepolcro che il monumento. Lasciando ora da parte per un attimo le pretese fastose che spesso osserviamo nei luoghi d’inumazione: cos’è il sepolcro se non un monumento declinato al diminutivo singolare? - e cos’è il monumento se non un’accresciuta tomba per un evento eccezionale, che conta al plurale ben più di una singola dipartita?

Il sepolcro sta alla morte del singolo come il monumento sta alle morti dei molti nella Storia - o, comunque, alle molte possibili “Morti” nella Storia. Ma la cosa rilevante è che entrambi stanno alla morte. La Stimmung loosiana (pathos o “emozionalità”), da ricercarsi in ogni opera architettonica come unico e vero fine per il Baumeister, sarà, nei due casi in questione, inevitabilmente legata al contemplativo e non alla fruizione, e sarà tale per il semplice e banale fatto che la morte non si può vivere.

È così che in Loos, l’architettura è arte laddove “sta alla morte”.

Ha considerato i campisanti luoghi particolari, in qualche modo distinti e da considerare all’interno della sua speculazione, anche Michel Foucault - nelle cui parole ci siamo imbattuti già numerose volte, soprattutto riguardo alle tematiche più sociologiche e politiche - che, nella seconda metà del

182 “[...] Se per Loos sepolcro e monumento costituiscono delle “eccezioni”, ciò non significa che essi godano di alcun “privilegio”. In essi non vi è potenzialmente più pienezza di senso - più architettura - di quanta ve ne possa essere in qualsiasi altro Bau. Anzi, si potrebbe affermare che sepolcro e monumento, essendo liberi da funzioni, siano i soli in grado di “sopportare” un trattamento artistico, senza che ciò ne pregiudichi la possibilità di riuscita” (tratto da Biraghi M., Questa è architettura. Il progetto come filosofia della prassi, Einaudi, Torino, 2021, p. 22). 183 Si noti che la stessa radice tedesca del termine Denkmal (“monumento”) è Denk-, che significa “pensare”. Il monumento è lì - allo stesso modo della tomba - innanzitutto per farci pensare. Ed il pensare è statico e contrario al dinamico vivere o usare quella tal cosa costruita.

05 - Verso Eusonia. Il luogo urbano del cimitero 193

Novecento, li presenta come eterotopie184 . Ma cos’è, per Foucault, un’eterotopia? - e per che motivi il luogo del cimitero può essere considerato tale?

Si tratta in qualche modo di contro-spazi. I bambini conoscono benissimo questi contro-spazi, queste utopie localizzate [forma in contrapposizione di u-topia che la rende etero-topia]. L’angolo remoto del giardino, la soffitta o, meglio ancora, la tenda degli indiani montata al centro della soffitta, e infine - il giovedì pomeriggio - il grande letto dei genitori. È in quel letto che si scopre l’oceano, perché tra le sue coperte si può nuotare; ma quel letto è anche il cielo, perché sulle sue molle si può saltare; è il bosco perché ci si può nascondere; è la notte, perché fra le sue lenzuola si diventa fantasmi; ed è il piacere, perché al ritorno dei genitori si verrà puniti. Questi contro-spazi non sono, in verità, soltanto l’invenzione dei bambini; semplicemente perché i bambini non inventano mai niente; sono gli adulti, invece, che hanno inventato i bambini e sussurrato loro mirabili segreti, anche se poi restano sorpresi quando i bambini glieli urlano a loro volta nelle orecchie. La società adulta ha organizzato anch’essa, e ben prima dei bambini, i suoi contro-spazi, le sue utopie situate, i suoi luoghi reali fuori da tutti i luoghi. Ci sono i giardini, i cimiteri, i manicomi, le case chiuse, le prigioni185, i villaggi del club Méditerranée e molti altri.186

Tali sono le etero-topie (lett.: “spazi altri”): se le utopie sono luoghi univoci, ideali, ma senza un dove, quest’altre sono invece situate - ovvero possiedono una sede reale -, ma rimandano ad infiniti altri luoghi, sono equivoche ed ambigue, soffrono di personalità multipla, per la precisione sestupla: sei sono difatti le istanze ravvisabili come proprie delle eterotopie secondo Foucault, ed altrettanti i motivi che inquadra per includervi, in queste, i cimiteri.

Innanzitutto, sono spazi in qualche maniera connessi e che sempre rimandano a molti altri: diedri di infinite sfaccettature che riflettono infiniti altri spazi, luoghi fatti di luoghi riflessi (è questo quello che il Nostro denota

184 La visione eterotopica di Foucault è criticata da Han per il suo porsi “in modo acritico” all’interno del “regime neoliberale” soprattutto in Eros in agonia (2012): ma tali discussioni non riguardano il discorso qui intrapreso, in quanto si vuole mettere in evidenza come, per il francese, i cimiteri abbiano un potenziale spculativo, sono luoghi differenti - per i motivi che saranno esposti. È per me interessante più il fatto che li consideri tra le sue eterotopie piuttosto della definizione - se ce n’è un’univoca - di queste. 185 Si noti come molti dei luoghi presentati da Foucault come eterotopie sono i luoghi da lui descritti come caratteristici del “grande internamento” settecentesco, quasi come questi dovessero - per forza - esservi inclusi: concordi tutti sul teatro, la nave, il cimitero od il giardino, ma a che “spazi altri” - e con che forza - rimanda, ad esempio, il manicomio? 186 Tratto da Foucault M., Utopie, eterotopie, Cronopio, Napoli, 2020 (1966), edizione a cura di Moscati A., pp. 14-15.

194

La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia

come terzo principio187).

Non a caso Foucault le lega all’oggetto dello specchio188, che si ritrova ad essere utopico-ed-eterotopico al medesimo tempo:

[Primo principio] questi luoghi, che sono assolutamente altro da tutti i luoghi che li riflettono e di cui parlano, li denominerò, in opposizione alle utopie, eterotopie; e credo che tra le utopie e questi luoghi assolutamente altri, le eterotopie, vi sia senza dubbio una sorta d’esperienza mista, mediana, come potrebbe essere quella dello specchio. 189

Ecco che i cimiteri sono ravvisabili come luoghi eterotopici - al pari del teatro e della nave - perché sono posti al di là del quotidiano, e raccontano vicende che sono extra-ordinarie. Così come l’eterotopia richiama a sé infiniti spazi e va oltre, il cimitero è il luogo tangibile o manifestazione terrena dell’aldilà, monumento per chi è oltre.

Le eterotopie, poi, possono cambiare durante il corso della storia, o rimanere le medesime ma funzionare in maniera diversa da quanto successo fino a quel momento:

[Secondo principio] nel corso della sua storia, una società può far funzionare in modo molto diverso un’eterotopia che esiste e che non smette di esistere; in effetti, ogni eterotopia possiede un funzionamento preciso e determinato all’interno della società e la stessa eterotopia può, in base alla sincronia che possiede con la propria cultura, sviluppare un funzionamento piuttosto che un altro.190

Anche i cimiteri sono luoghi variati - oltre che di sede, di condizione - nel corso della storia: un tempo considerati al centro, letteralmente, della vita sociale ed influenzanti quest’ultima191, sono poi stati estromessi, e sono diventati “la città dei morti” in opposizione - e non più in unione e connes-

187 “Terzo principio. L’eterotopia ha il potere di giustapporre, in un unico luogo reale, diversi spazi, diversi luoghi che sono tra loro incompatibili. È così che il teatro realizza nel riquadro della scena tutta una serie di luoghi che sono estranei gli uni agli altri” (tratto da Foucault M., Spazi altri. I luoghi delle eterotopie, cit., pp. 27-28). 188 Lo specchio è, in Foucault, un’immagine - letteraria - importante: assieme al cadavere ed al sesso, è lo strumento tramite il quale tastiamo e testiamo la nostra corporeità: “È questo cadavere, quindi, anzi, sono il cadavere e lo specchio, che ci insegnano [...] che abbiamo un corpo, che questo corpo ha una forma, che questa forma ha un contorno, che in questo contorno ci sono uno spessore, un peso: insomma che il corpo occupa un luogo. Sono lo specchio e il cadavere che assegnano uno spazio all’esperienza profondamente e originariamente utopica del corpo [...]. È grazie a loro, è grazie allo specchio e al cadavere che il nostro corpo non è pura e semplice utopia” (tratto da Foucault M., Utopie, eterotopie, cit., pp. 43, 44). 189 Tratto da Foucault M., Spazi altri. I luoghi delle eterotopie, cit., p. 24. 190 Tratto da Foucault M., Spazi altri. I luoghi delle eterotopie, cit., p. 26. 191 Si veda Capitolo 03.3 Fondazioni.

05 - Verso Eusonia. Il luogo urbano del cimitero 195

sione - alla “città dei vivi”.

In ulteriore istanza, le eterotopie sono intimamente legate alle eterocronie (quarto principio): hanno infatti a che fare con la rottura rispetto al tempo canonico ed abituale, si cibano e - anche qui - riflettono tempi che non sono il solo presente. Basti pensare - è un suo esempio - alle biblioteche o ai musei, dove è accumulato il sapere conosciuto di tutti i secoli che c’hanno preceduto. Non è difficile traslare quest’assunto al camposanto: quanti tempi ospita il cimitero? Infatti,

l’eterotopia si mette a funzionare a pieno quando gli uomini si trovano in una sorta di rottura assoluta con il loro tempo tradizionale; in base a ciò è possibile dedurre come il cimitero debba essere inteso come un luogo altamente eterotopico perché il cimitero dà luogo a questa strana eterocronia che è per un individuo la perdita della vita, e una quasi eternità dove non si cessa di dissolversi e di cancellarsi.192

Questi contro-spazi sono poi, in qualche modo, sacralizzati - nel senso che abbiamo fino ad ora adoperato in questa sede, ovvero distinti e segnati, recintati, dal resto: esempi tipici di questi spazi eterotopici sono soprattutto quelli legati agli stati di crisi (lett.: “rottura”), ovvero ai riti di passaggio. È il caso - nella storia passata più che in quella presente dove i passaggi tendono a sfumare - “degli adolescenti, delle donne nel periodo mestruale, delle partorienti, dei vecchi [...], il collegio [...] o il servizio militare”193 .

[Quinto principio] Le eterotopie presuppongono sempre un sistema di apertura e di chiusura che, al contempo, le isola e le rende penetrabili. In generale, non s’accede ad un luogo eterotopico come ad un mulino. O vi si è costretti, è il caso della caserma o della prigione, oppure occorre sottomettersi a riti e purificazioni. Non è possibile entrarvici se non si possiede un certo permesso e se non si è compiuto un certo numero di gesti.194

Ecco che anche il cimitero è sacralizzato, in quanto - come si è ripetuto numerose volte - esso è scisso e recintato dal resto dal momento della sua fondazione; anch’esso è attinente ad un rito del passaggio, l’ultimo - sia in rapporto al tempo delle nostre vite, sia al suo perdurare rispetto a tutti gli altri citati -: quello che si attiva alla morte di qualcuno, in quanto la morte è per definizione l’ultima nostra soglia - o passaggio. O, come direbbe Testoni195, momento simmetrico ed opposto rispetto al nostro primo vagito,

192 Tratto da Foucault M., Spazi altri. I luoghi delle eterotopie, cit., p. 28. 193 Tratto da Foucault M., Spazi altri. I luoghi delle eterotopie, cit., p. 25. 194 Tratto da Foucault M., Spazi altri. I luoghi delle eterotopie, cit., p. 30. 195 Si veda Capitolo 03.12 Inibizioni. Algofobia è tanatofobia.

196

La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia

quindi ultima nascita.

Il sesto ed ultimo principio che, secondo Foucault, contraddistingue questi luoghi è, poi, il fatto che sviluppano, rispetto agli spazi circostanti, una funzione: “esse hanno il compito di creare uno spazio illusorio che indica come ancor più illusorio ogni spazio reale”196. Creano uno spazio alternativo a quello reale - e quotidiano -, che noi tutti abitiamo, tale da indurci a credere che sia quest’ultimo quello “disordinato, maldisposto e caotico”197 .

Il cimitero è, in merito, solidale con tutti i luoghi della città, ha a che fare con tutti gli spazi cittadini: sia perché prima del XVIII secolo esso si trovava all’interno - quando non al centro - della città stessa, sia perché, anche ora che dall’urbe è escluso, riflette ed ospita le morti capitate in ogni dove.

Cimiteri come eterotopie - ovvero, spazi di compensazione, più che d’illusione.

In ultimo luogo, nell’odierna società occidentale, di matrice fortemente individualista, sono ben accetti gli ossari comuni ma non le fosse comuni (come abbiamo visto invece essere all’ordine del giorno fino a pochi secoli fa): la questione si inserisce all’interno delle, cosiddette, seconde esequie, sorta di secondo funerale che non è cosa solo contemporanea, ma caratteristica comune in quasi tutte le società fin tradizionali198 .

Dopo un’attesa che varia da alcune settimane a dieci anni, a seconda del gruppo etnico e dei mezzi di cui la famiglia dispone, ha luogo una cerimonia finale che conferma il defunto nel suo nuovo destino e conferisce ai suoi resti uno status

definitivo. [...] Di regola, le ossa vengono riesumate e poi trattate in modi diversi a seconda delle tradizioni: lavate, asciugate, a volte coperte di ocra, vengono conservate come reliquie visibili, poste in contenitori, nuovamente seppellite o anche polverizzate e mischiate a bevande rituali. [...] Questo culto delle ossa, che viene genericamente definito come un culto degli antenati199 , fiorisce presso gli Indiani d’America, in Cina e altrove e ha ancora il suo equivalente in Europa. È difficile individuare delle differenze tra il vecchio cinese che spazzola accuratamente le ossa del suo antenato e il lavoratore di scheletri dei cimiteri napoletani, che, due anni dopo la sepoltura, quando il cadavere è completamente essiccato, lava le ossa davanti alla famiglia, prima di porle in un’urna di marmo.200

196 Tratto da Foucault M., Spazi altri. I luoghi delle eterotopie, cit., p. 31. 197 Tratto da Foucault M., Spazi altri. I luoghi delle eterotopie, cit., p. 31. 198 Si intendano qui - in maniera ammessa abbastanza grossolana - per tradizionali le società, sostanzialmente, pre-moderne, ove la gran parte della popolazione è occupata nel cosiddetto settore primario (agricoltura ed allevamento). 199 Si veda Capitolo 05.5 Teschi ed effigi. 200 Tratto da Eliade M. (a cura di), op. cit., p. 399.

05 - Verso Eusonia. Il luogo urbano del cimitero 197

Come si è detto anche in precedenza, nella nostra condizione sentiamo - ancora - il cadavere come doveroso della nostra cura: fino alla sua decomposizione rimane un qualcuno - più che un qualcosa - che, da sé, di sé non si riesce ad occupare - dappoi, ne vanno al massimo custodite le ossa, ma queste sono maggiormente accettate già come un qualcosa, anche se sempre da tutelare e maneggiare con discrezione.

198

La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia

[30]

200

La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia

(Ef)fusione. Il cimitero come giardino 06

- CIPRESSO. Albero consacrato dai Greci alle divinità degli inferi. I latini ripresero questo emblema nel loro culto di Plutone e assegnarono all’albero l’epiteto di ‘funebre’, significato che conserva tutt’ora 1 -

Come si è già affermato nel corso del testo - ed ancora si avrà modo di affermare -, da sempre nella storia, il mondo vegetale è legato all’ambito del sacro, quest'ultimo da intendersi sia come religioso2 sia come laico (e quest'ultima differenziazione sarà ripresa, quindi indirizziamo per ora lo sguardo oltre la stessa).

Il cimitero è un luogo sacro; il giardino è un luogo sacro. [30]

Il focus, durante le righe di questo capitolo, è stato posto, quindi, proprio su questi due luoghi, che sono le due eterotopie per eccellenza in Foucault3 , che costantemente - ed all'interno di numerose e diversificate tradizioni - si richiamano vicendevolmente: il luogo del giardino è stato accostato o, ancor meglio, sovrapposto a quello del camposanto; ch'è come dire viceversa, che il luogo del cimitero è stato sovrapposto al primo - in un'ideale calda (ef)fusione tra luoghi sacer.

Tale (ef)fusione dura da secoli, se non millenni: i frammenti qui proposti si muovono a ritroso nel tempo - in un esercizio di zeviana memoria4 , anche per ovviare alla meno seducente trattazione cronologica intrapresa,

1 Tratto da Cirlot J.E., Dizionario dei simboli, Adelphi, Milano, 2021 (1969), pp. 146-147. 2 Basti anche solo pensare alla famosissima immagine del Giardino dell'Eden. 3 Si veda Capitolo 05. Verso Eusonia. Il luogo urbano del cimitero. 4 È noto come Bruno Zevi (1918-2000) - architetto (poco), storico, critico d'architettura e saggista tra i più rilevanti del Novecento -, per affrontare i macro-temi del dibattito sull'arte e sull'architettura, chiedesse ai suoi studenti di partire dall'oggi ed andare a ritroso nel tempo, attivando ogni volta le facoltà della memoria visiva, della cultura storica e delle fonti scritte per ripercorrere i secoli, con gli occhi sempre rivolti al presente.

201

per forza di cose, nei capitoli precedenti -, a partire dalla contemporaneità, cercando di ritrarre, in ogni attimo, un'immagine degli innumerevoli modi di sovrapposizione - ed (ef)fusione - dei due luoghi.

Giacché, in primissima istanza, così come in un giardino vivono le "invisibili" radici delle piante, anche i campisanti sono luoghi ctoni ed introversi, che si rifanno al sottosuolo, dove dormono - e ben più putridamente si decompongono anche - i compianti. Giacché, così come si attua la dispersione delle ceneri per dare l'ultimo saluto a coloro i quali sono stati cremati, anche all'interno del giardino l'atto della dispersione delle ceneri ha la sua rilevanza, ed è anche in questo caso legato ad un momento di passaggio e di nuova vita: atto, quasi, di metamorfosi5 .

Avvenuta (ef)fusione. Il cimitero come giardino - e viceversa.

2018

Per Byung-Chul Han, il suo giardino d'inverno - di cui è innamorato, si prende cura e parla nel suo Elogio della terra. Un viaggio in giardino (2018) - ha molto a che fare con l'ambito cimiteriale. Infatti, afferma che: “Vedo il giardino d’inverno come sdoppiato: è un luogo simbolico di morte e resurrezione, un luogo per l’elaborazione metafisica del lutto”6 . Il giardino d'inverno a cui pensa Han - la cui algida bellezza ritengo possa far parte di una specifica area di uno qualsiasi dei nostri campisanti, dato che di un'estetica associata al freddo e all'avverso, dal colore azzurro - è direttamente ripreso dal mondo romantico ottocentesco, ma non quello “passato alla storia”, fatto soprattutto di individuale esaltazione e patetici sentimentalismi, ma quello più sinceramente legato al mondo floreale ed ai suoi simboli: “Il giardino invernale è un luogo romantico. [...] Il fiore azzurro è il simbolo centrale del romanticismo”7 . Tale romantico fiore azzurro8 ha numerose fonti letterarie: è ripreso in primo luogo dal Novalis (1772-1801) dell'Enrico di Ofterdingen (1802), nel quale

5 Il riferimento è al testo di Coccia E., Metamorfosi. Siamo un'unica, sola vita, 2020. 6 Tratto da Han B.-C., Elogio della terra. Un viaggio in giardino, Nottetempo, Milano, 2022 (2018), p. 20. 7 Tratto da Han B.-C., op. cit., p. 37. 8 Sul simbolismo nella tradizione del colore azzurro si sofferma anche Cirlot: "COLORE. [...] L'azzurro, colore del cielo sereno e dei vuoti spazi aerei, è il colore del pensiero [...]. L'azzurro, per il suo rapporto con il cielo e il mare [...], significa altezza e profondità, oceano superiore e inferiore. [...] L'azzurro a metà fra il bianco e il nero (giorno e notte), indica un equilibrio "variabile a seconda della sfumatura". [...] Fra gli Egizi, l'azzurro era il colore della verità" (tratto da Cirlot J.E., op. cit., pp. 151, 152, 153).

202

La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia

compare in sogno al protagonista9; secondariamente, compare nella poesia Die blaue Blume (Il fiore azzurro, 1818) di Joseph von Eichendorff (17881857)10; in ultimo luogo, l'azzurro colpisce anche Goethe che lo definisce diversissimo da tutte le altre mescolanze cromatiche, come "un nulla eccitante"11 . Han riprende il romantico fiore azzurro di questi autori quasi ad indicarci la via per transitare da un gusto per le lapidi - nella fattispecie nell'Europa meridionale12 - ancora molto legato ad un'idea romantica in parte falsata, verso un più sincero gusto romantico per il giardino.

Forse non il pathos delle statue - ma il fiore azzuro ed il giardino, sono i più sinceri emblemi del romantico.

Inoltre, Han sottolinea come siamo esseri che, da morti, tornano alla terra. In vita ce ne sentiamo così distanti. Liberi (ma) mortali.

Le rose di Natale, per esempio, sono quasi immortali se le si lascia in pace. A loro non piace il movimento, non piace viaggiare. La mortalità è forse l’amaro prezzo che paghiamo per esserci separati dalla terra, per poterci muovere liberamente, per essere autonomi. Probabile quindi che la libertà sia mortalità13 .

Ed il giardino è poi anche un luogo del silenzio, un recinto contemplativo: “Oggi abbiamo troppo da dire, troppo da comunicare, perché siamo qualcuno. Abbiamo disimparato sia il silenzio, sia il tacere. Il mio giardino è un luogo del silenzio. In giardino faccio silenzio”14 .

2017

Mieko Kawakami in un bellissimo ed intensissimo racconto narra di una donna che, quasi per arrivare a purificazione e catarsi, “si lascia” sep-

9 "Ma ciò che soprattutto lo attrasse fu un altro fiore azzurro chiaro, che stava presso la fonte e lo sfiorava colle sue larghe foglie lucenti. [...] Ma lui non vedeva che il fiore azzurro, e a lungo lo contemplò con ineffabile tenerezza" (citazione dall'Enrico di Ofterdingen di Novalis ripresa in Han B.-C., op. cit., p. 38). 10 "Io cerco il fiore azzurro, / lo cerco e non lo trovo mai, / e sogno, che nel fiore / sbocci la mia felicità. [...] Io vago con l'arpa / per paesi, città e prati / ma da nessuna parte / si vede il fiore azzurro. [...] Io vago già da tanto tempo, / ho assai sperato, confidato / eppure ah, da nessuna parte / ho visto il fiore azzurro" (alcuni versi tratti dalla poesia Die blaue Blume di Eichendorff ripresi in Han B.-C., op. cit., p. 39). 11 Ripresa delle parole del Goethe de La teoria dei colori (1810) in Han B.-C., op. cit., p. 39. 12 Si veda Capitolo 05.10 Cambiare l'acqua ai fiori. 13 Tratto da Han B.-C., op. cit., p. 65. 14 Tratto da Han B.-C., op. cit., p. 134.

06 - (Ef)fusione. Il cimitero come giardino 203

[31]

204

La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia

pellire viva da un’altra donna - la nuova proprietaria della sua vecchia casa -; la scena avviene nel giardino fiorito della sua - ormai - ex dimora, ed è di una potenza ribaltante - ovvero che, letteralmente, “at-terrisce”, “trascina a terra” -, per la facilità con la quale la protagonista, da sola, si accomoda nella fossa per lei scavata dall’altra donna che, come una voce esterna, sembra quasi essere la sua coscienza, e pare, alla fine, una voce interiore più che esteriore.

«[...] Qual è la cosa che preferisce, di questa casa?» [...] «Il giardino» mormorai, dopo un po’. [...] «Il giardino... sì, può funzionare» [...] «Sarà una specie di terapia. Ma più semplice ancora. Perché non diventa lei stessa il giardino?» [...] «Diventerà una cosa sola col suo giardino» ribattè, in tono glaciale «seppellendosi. Accanto a tutti i suoi preziosi fiori [...]». [...] La donna entrò nell’aiuola del timo. Con la punta della pala disegnò un perimetro nell’aria, a pochi centimetri da terra. [...] Iniziai a scavare nel punto che mi aveva indicato. [...] Obbedii e mi sedetti sul suolo scuro e umido, allungai le gambe e tenni le braccia lungo i fianchi. Respirai il profumo della dolce terra. Stia ferma, ora, disse la donna, che la seppellisco. Era quella voce. [...] Me ne stavo lì distesa in mezzo al giardino e la voce continuava a coprirmi di terra. [...] Le mie membra si fecero sempre più pesanti via via che la terra le spingeva verso il basso. [...] Che tu possa dar vita a uno splendido fiore. Che tu possa mettere radici. [...] Non potevo muovere braccia e gambe, e non riuscivo a respirare, ma senza sapere come, mi sentivo salire verso l’alto.15

Nelle parole della donna riecheggia una volontà primordiale di ri-accoppiamento con la terra, un’attrazione quasi carnale che la riporta all’humus dal quale viene. La scena di accomodamento nella fossa è viscerale, uterina; è come se tornasse nel caldo del grembo materno, unico drastico modo per far fronte agli insormontabili - per lei - problemi della vita.

E tutto ciò avviene in un giardino, nel suo giardino fiorito.

1977

Nel film di Mario Monicelli (1915-2010) Un borghese piccolo piccolo (1977) v’è una scena in cui il protagonista, Giovanni Vivaldi (interpretato da Alberto Sordi) racconta alla moglie, Amalia Vivaldi (Shelley Winters), rimasta paralizzata dopo l’uccisione del figlio, che perlomeno la sua bara, con-

15 Tratto da Kawakami M., Il giardino fiorito, racconto in Freeman J. (a cura di), Freeman’s - Scrittori dal futuro, Black Coffee, Firenze, 2018 (2017), pp. 190, 191, 192.

06 - (Ef)fusione. Il cimitero come giardino 205

tenente la salma, è stata sistemata nel luogo migliore del cimitero: è questa raccontata però una menzogna bella e buona, anche se a fin di bene. I posti al camposanto in realtà non si trovano (e la situazione non è così distante da alcune attuali), nemmeno per un neo-massone come il protagonista, poiché la lista d’attesa è lunghissima. Lì, bare di legno ammassate alla meglio l’una sull’altra [31] a volte addirittura esplodono per colpa dei gas causati dal corpo in decomposizione, creando un putiferio all’interno degli stanzoni d’attesa, dove queste rimangono per tanto, tantissimo tempo, prima di trovare il buio della fossa. Ma le sembianze del tanto agognato luogo migliore del cimitero, oggetto della bugia a fin di bene del protagonista Giovanni alla moglie, sono quelle di un giardino rigoglioso:

L’hanno sistemato proprio bene il nostro Mario... L’hanno messo in un posto tranquillo, tutto circondato dal verde... Ma non di cipressi eh! Di alberi, che vengono non so da dove... Lontano... [...] Questi alberi, che vengono forse dal Giappone dicono, chi lo sa, fanno dei fiori bellissimi! Tutti rossi, viola, gialli... Di tutti i colori!16

Il luogo migliore del cimitero è così figurato come giardino dell’Eden, al quale Mario è tornato - almeno per la madre.

1971

Ma non è forse stato lo stesso giardino dell’Eden il luogo della morte per eccellenza, il primo mortifero giardino? Se in Occidente l’Eden rappresenta tutt'oggi - anche - il Paradiso, a questo, però, non si accede che morendo.

L’Eden sta alla morte - e noi siamo costretti a sognarlo.

Penso di non dire nulla di nuovo: di fatto, è un ritaglio dalla poesia di Fabrizio De André:

[...] Perché dissi che Dio imbrogliò il primo uomo Lo costrinse a viaggiare una vita da scemo Nel giardino incantato lo costrinse a sognare A ignorare che al mondo c’e’ il bene e c’è il male.

Quando vide che l’uomo allungava le dita, A rubargli il mistero di una mela proibita

16 Trascrizione personale del dialogo tra il protagonista Giovanni Vivaldi e la moglie tratto dal film in questione.

206

La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia

Per paura che ormai non avesse padroni Lo fermò con la morte, inventò le stagioni. [...]17

Sempre nell’album Non al denaro non all’amore né al cielo (1971), il brano Un medico fa riferimento al dolore ed alla morte tratteggiandole con “pennellate vegetali”, a disegnare un giardino d’alberi di ciliegio:

Da bambino volevo guarire i ciliegi Quando rossi di frutti li credevo feriti La salute per me li aveva lasciati Coi fiori di neve che avevan perduti.

Un sogno, fu un sogno, ma non durò poco Per questo giurai che avrei fatto il dottore E non per un dio, ma nemmeno per gioco Perché i ciliegi tornassero in fiore Perché i ciliegi tornassero in fiore.

E quando dottore lo fui finalmente Non volli tradire il bambino per l’uomo E vennero in tanti e si chiamavano “gente” Ciliegi malati in ogni stagione. [...]18

1967

Anche Michel Foucault, nel suo parlare di eterotopie, si lascia trasportare da un certo fascino esotico del giardino che, non a caso assieme al cimitero, è annoverato tra questi “spazi altri” eterotopici:

L’esempio più antico di queste eterotopie, in quanto forma di luoghi contraddittori, il più antico esempio è forse il giardino. Non bisogna dimenticare che il giardino, straordinaria creazione oramai millenaria, possedeva in Oriente dei significati molto profondi e sovrapposti. Il classico giardino dei persiani realizzava uno spazio sacro che doveva riunire all’interno del proprio rettangolo quattro sezioni che rappresentavano le quattro parti del mondo, e che a loro volta comprendevano uno spazio ancora più sacro degli altri, simile all’ombelico, il centro del mondo: nel centro del giardino (era lì che si trovavano la vasca e lo zampillo); e tutta la vegetazione doveva essere ripartita entro questo spazio, in questa specie di micro-

17 Terza e quarta strofe di De André F., Un blasfemo, dall’album Non al denaro non all’amore né al cielo, 1971. 18 Prime tre strofe di De André F., Un medico, dall’album Non al denaro non all’amore né al cielo, 1971.

06 - (Ef)fusione. Il cimitero come giardino 207

[32]

208

La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia

cosmo. Quanto ai tappeti, in origine si trattava di riproduzioni di giardini [32] (il giardino è un tappeto in cui il mondo intero ha appena realizzato la sua perfezione simbolica, e il tappeto è una sorta di giardino mobile che attraversa lo spazio). Il giardino è la più piccola particella del mondo ed è anche la totalità del mondo. Il giardino rappresenta fin dalla più remota antichità una sorta di eterotopia felice e universalizzante [...].19

Il giardino, al pari del cimitero, è eterotopia sacer.

Ed è proprio così: in generale si può dire che una sorta di adorazione della natura sia sempre stata insita nell’uomo, soprattutto nel primitivo, a mo’ di sentimento del sacro che può apparire e presentarsi sotto forma naturale20; la natura è spesso simbolo di luogo sacer, distinto dal comune.

L’albero della vita o l’albero cosmico esprimono la sacralità dell’intero universo. Nei miti scandinavi troviamo l’esempio di Yggdrasil, l’albero cosmico che affonda le radici nella terra fino a raggiungere l’oltretomba [...]. Le divinità si ritrovano quotidianamente attorno all’albero per emettere le loro sentenze sull’andamento del mondo. [...] [E dall’altra parte della Terra, in Oriente] il racconto vedico e puranico della creazione identifica il loto a fior d’acqua con la manifestazione della divinità e dell’universo. Alberi miracolosi, fiori e frutti proclamano la presenza dei poteri divini. I riti di primavera sono spesso indirizzati a piante, rami o alberi ritenuti sacri. La fertilità del cosmo è simboleggiata dall’unione di piante maschili e femminili o dalla fioritura dei rami di una particolare specie di piante.21

Da sempre ci si esprime anche in termini vegetali qualora si voglia parlare del sacro.

1890

James George Frazer (1854-1941) nel suo libro Il ramo d’oro. Studio sulla magia e la religione (1890) parla di come, in alcune culture arcaiche seppur molto distanti da quella occidentale, sia ricorrente l’ambito vegetale che af-

19 Tratto da Foucault M., Spazi altri. I luoghi delle eterotopie, Mimesis, Milano-Udine, 2011 (2001), edizione a cura di Vaccaro S., p. 28. 20 Il sacro è poi, soprattutto in ambito arcaico, legato al potere. “C’è un profondo rapporto con la terra e la saggezza. Il saggio sa osservare e organizzare la natura: è un giardiniere. Secondo la testimonianza di Curzio Rufo, Alessandro il Grande, dopo aver conquistato Sidone, affida a Efestione la scelta di un nuovo re. Questi scelse un giardiniere per governare il Paese e Abdalonimo, distintosi per la cura e la difesa del suo giardino, divenne così il re della città” (tratto da Venturi Ferriolo M., Oltre il giardino. Filosofia di paesaggio, Einaudi, Torino, 2019, p. 65). 21 Tratto da Eliade M. (a cura di), Dizionario dei riti, Jaca Book, Milano, 2020 (1986-1993), pp. 313-314.

06 - (Ef)fusione. Il cimitero come giardino 209

fianca quello del macabro e del cimiteriale. Banalmente - e l'opera di Frazer è stata messa in discussione più volte -, ci viene raccontato di come fosse molto diffusa la credenza arcaica secondo la quale le anime dei defunti, successivamente alla morte, trovassero dimora ultraterrena negli alberi. In alcune comunità tribali asiatiche e africane era assolutamente vietato tagliare, in parte, o abbattere, del tutto, alcune piante - solitamente alberi di alto fusto - in quanto ciò avrebbe causato una sorta di “maledizione dagli inferi” nei confronti della comunità dei vivi. Alquanto similmente, alcune popolazioni dell’antica Indonesia, nel mentre si avviavano a disboscare alcune aree intorno al villaggio per lasciare spazio a campi coltivati perlopiù a riso, costruivano piccole casupole in legno che avrebbero dovuto ospitare gli spiriti che negli alberi abbattuti vivevano, in modo da conceder loro un più comodo trasloco22 .

1807

Anche Ugo Foscolo (1778-1827) nel carme Dei sepolcri (1807) si esprime attraverso parole botaniche e floreali per intendere e tratteggiare i luoghi del cimitero, delle lapidi e delle sepolture.

[37] Dall’insultar de’ nembi e dal profano Piede del vulgo, e serbi un sasso il nome, E di fiori odorata arbore amica Le ceneri di molli ombre consoli.23

Nel paesaggio cimiteriale tracciato dal poeta vi sono alberi fioriti, che con la loro chioma proteggono amorevolemente le lapidi dei defunti. L’aria che spira al cimitero è profumata, odora di petali in fiore; si è come in un ideale Eden disseminato di “pietre” - le lapidi -, in cui ognuna di queste esclama: “Qui è sepolto qualcuno!”24 . Ed ancora (i riferimenti nel carme del poeta sono molteplici e sono qui riportati solo i più evidenti):

[64] Fra queste piante ov’io siedo e sospiro Il mio tetto materno. E tu venivi

22 Si veda il capitolo La città capovolta, in Testoni I., Il grande libro della morte. Miti e riti dalla preistoria ai cyborg, Il Saggiatore, Milano, 2021, pp. 69-84. 23 Tratto da Foscolo U., Dei sepolcri, 1807, vv. 37-40, i corsivi sono stati da me inseriti e segnalano i vari termini arborei, vegetali o botanici che mostrano e dipingono come un giardino il camposanto foscoliano.

24 Trovo che l’immagine del cimitero-giardino foscoliano sia molto simile a quella tracciata - in pochissime parole - da Antonio Vivaldi, protagonista del film Un borghese piccolo piccolo visto prima.

210

La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia

E sorridevi a lui sotto quel tiglio Ch’or con dimesse frondi va fremendo Perché non copre, o Dea, l’urna del vecchio, Cui già di calma era cortese e d’ombre. [...]

[114] [...] Ma cipressi e cedri Di puri effluvi i zefiri impregnando Perenne verde protendean su l’urne Per memoria perenne, e preziosi Vasi accogliean le lagrime votive. [...]

[124] Le fontane versando acque lustrali Amaranti educavano e viole Su la funebre zolla; e chi sedea A libar latte e a raccontar sue pene Ai cari estinti, una fragranza intorno Sentia qual d’aura de’ beati Elisi.25

Non solo elementi arborei e vegetali, ma anche animali riempiono poi questo Eden - simbolico - foscoliano, coabitato da flora e fauna, che, quasi come un bosco di “nordica” memoria26, accoglie i resti delle genti che furono:

[78] Senti raspar fra le macerie e i bronchi La derelitta cagna ramingando Su le fosse e famelica ululando; E uscir del teschio, ove fuggìa la Luna, L’ùpupa, e svolazzar su per le croci Sparse per la funerea campagna, E l’immonda accusar col luttuoso Singulto i rai di che son pie le stelle Alle obbliate sepolture. [...]27

All'algido Editto28, Foscolo oppone un romantico giardino.

25 Tratto da Foscolo U., op. cit., vv. 64-69, 114-118, 124-129. 26 Il luogo tratteggiato da Foscolo mi rimanda, per certi aspetti, dei quali soprattutto la sua rassomiglianza ad un giardino funerario ma abitato da piante e animali, al progetto di Lewerentz e Asplund per il cimitero Skogskyrkogården di Stoccolma, in Svezia (1917-1940). Si veda Capitolo 09.2 Il Nibelungo. 27 Tratto da Foscolo U., op. cit., vv. 78-86. 28 Il riferimento è al napoleonico Editto di Saint-Cloud, 1804. Si veda Capitolo 05.9 Formalizzazione di una svolta.

06 - (Ef)fusione. Il cimitero come giardino 211

1781

A fine Settecento, gli alberi, in particolar modo i cipressi, vengono nuovamente accolti all’interno del recinto cimiteriale, e ciò è confermato anche dal Milizia quando, prima di travestirsi nel più sincero Cinico29, scrive: “Ai quattro angoli dell’atrio scoperto, e in un certo sfondato, sieno tante catacombe colle aperture a tramontana, e co’ muri coronati di appoggi guarniti di urne sepolcrali e circondati da cipressi”30 .

1717

Vi è affinità, ancora una volta, tra i due “mondi” del nostro globo, dato che il simbolismo funebre di piante e giardini è tipico anche in Oriente. Infatti, “in Cina il salice è un simbolo di immortalità; esso equivale perciò all’acacia nella Massoneria”31 .

8 giugno 632

La figura del camposanto come giardino è da sempre presente anche nella tradizione musulmana, nella quale esso assume valenza civile ed urbana, oltre che funebre e religiosa, in una maniera molto più evidente e preponderante che nella cultura giudaico-cristiana occidentale32. Difatti:

A questo proposito va elogiata la saggezza musulmana, grazie alla quale l’autentica struttura e funzione del cimitero mantiene uno stato di relativa osmosi tra i vivi e i morti. Il cimitero (maqbarah) viene spesso designato con il termine più eufemistico di rawdah («giardino»). Certamente, il suo suolo è spesso stato consacrato a quell’uso da una pia tradizione, ma non è chiuso. I morti riposano sulla nuda terra, in un semplice sudario, ritornando così agli elementi naturali. In entrambi i sensi del termine, è aperto alla natura. Ma è anche aperto alla società. Domina la credenza che esistano legami con i corpi dei defunti prima del Giudizio Finale e che per i vivi visitare le tombe sia un atto meritorio e, soprattutto, un’azione che sarà poi considerata a loro favore. Il cimitero è anche tradizionalmente un luogo per passeggiare: spesso le donne si incontrano qui di venerdì.33

29 Si veda Capitolo 05.8 Il Cinico “oltre i Lumi”. 30 Tratto da Milizia F., Principj di Architettura Civile, Serafino Majocchi, Milano, 1847 (1781), p. 331.

31 Tratto da Guénon R., La Grande Triade, Adelphi, Milano, 1980 (1957), p. 197. 32 Si veda Capitolo 09.1 La Mezzaluna. 33 Tratto da Eliade M. (a cura di), op. cit., p. 405.

212

La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia

06 - (Ef)fusione. Il cimitero come giardino 213

[33]

IV secolo a.C.

Nell’antica Grecia, lo stesso Platone parla di un albero in luogo della stele, da piantarsi al momento della sepoltura in terra del defunto34, questione che sarà ripresa come riferimento, secoli e secoli dopo, anche dall’Alberti nel suo De re aedificatoria: “Fin dall’antichità le genti hanno stabilito di collocare come ricordo per le generazioni future una pietra oppure un albero (come piacque immaginare a Platone nelle sue Leggi) nel luogo in cui avevano sepolto il cadavere”35 .

In uno dei suoi ultimi lavori, dal titolo Oltre il giardino. Filosofia di paesaggio, il filosofo Massimo Venturi Ferriolo, ci ricorda quale importanza rivestisse la metafora - che non è solo tale - del giardino al tempo dei Greci, al tempo intimamente connessa alla figura - già vista anche in questa sede all’inizio del percorso - della Madre Terra:

I Greci hanno ereditato dal mito preomerico la credenza di una Terra Madre, De Meter, Demetra, ricca di fiori e di creatività, concreto giardino delineato dalla poesia che precede la filosofia. Ci parla di un’ampia terra, carica di essenze vegetali, in cammino per insegnare ai governanti la giustizia con le sue regole di comportamento sacre e inviolabili da non profanare. Un profondo riverente rispetto della madre è la condizione della felicità umana.36

Ma la cosa ancor più interessante è come tale metafora vegetale del giardino sia, finanche dai Greci per l’appunto, legata alla nascita-e-mortalità della condizione umana. Una delle prime figure gemelle del giardino è, difatti, quella del grembo materno, o più precisamente del grembo della Grande Madre Terra, dal quale nasciamo ed al quale torniamo al termine del nostro percorso terreno.

Nelle antiche lingue mediterranee un’unica parola nominava il giardino e il grembo femminile, recinto dell’amore e fonte della vita. Spazio della generazione e della corruzione, simbolo della totalità del cosmo, il giardino è il grembo della vita e si consolida custodia e salvaguardia dell’esistenza, ventre materno da rispettare. I Greci lo chiamavano kepos indicando contemporaneamente il giardino e il sesso femminile. [...] La generazione, Grande Madre fin dalle prime testimonianze letterarie risalenti a Sumer, è riflessa nel giardino fattosi mondo. Il primo modello è il

34 Si veda Platone, Leggi, Libro XII, IV secolo a.C., 947e. 35 Tratto da Alberti L.B., L’arte di costruire (De re aedificatoria), Libro VIII - L’ornamento degli edifici pubblici profani, Bollati Boringhieri, Torino, 2010 (1452), edizione a cura di Giontella V., p. 305. 36 Tratto da Venturi Ferriolo M., Oltre il giardino. Filosofia di paesaggio, Einaudi, Torino, 2019, p. 7.

214

La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia

grembo della terra come donna, la sua metafora autentica.37

Agli albori della nostra civiltà quindi, il giardino fu grembo, femmineo: caldo ventre materno della Grande Madre da cui nasciamo e presso il quale troviamo l’ultimo riposo38 . [33]

580 a.C.

Perfino nell’antica Persia, la tomba di Ciro I il Grande (640 a.C. - 580 a.C.) era in forma di vastissimo giardino, spazio verde e rigoglioso. Un luogo che la sola narrazione dell’Alberti, ancora una volta, fa immaginare ed apprezzare come profumato:

Al contrario, è stata molto apprezzata l’opera di Ciro, re dei Persiani, e la sua morigeratezza fu preferita a tutte le esibizioni di opere colossali. Infatti a Pasargade [l’antica capitale del Regno di Persia] fu costruita per lui una piccola cella con pietre squadrate e copertura a volta, e con una porticina che misurava appena due piedi. All’interno, in un’urna dorata (come richiedeva la sua dignità regale) era conservata la salma di Ciro. Tutt’intorno a quest’edicola c’era un bosco ricco di ogni specie di albero da frutta e per un largo tratto si estendevano dei rigogliosi prati verdi, con rose dappertutto e ricchi di fiori, tutti profumati, belli e gradevoli. Tutto l’insieme era in armonia con l’epitaffio: «Io sono Ciro, figlio di Cambise che, ricordate, ha fondato l’impero persiano. Non invidiate, dunque, questa mia dimora».39

21 aprile 753 a.C.

Nell’antica Roma l’albero di pino rappresentava il defunto Attis, e veniva, una volta l’anno, portato in processione nel tempio dedicato alla Magna Mater, in una forma di intenso lutto rituale. Assieme al cipresso, racconta anche Vitruvio nel suo De Architectura (I secolo a.C.), anche il pino era associato - in primis per le qualità fisiche del legno ricavatovi - all’eternità:

37 Tratto da Venturi Ferriolo M., Oltre il giardino. Filosofia di paesaggio, Einaudi, Torino, 2019, pp. 8, 9.

38 Tale questione è rimasta viva fino ai nostri giorni, basti pensare alla cinematografia contemporanea, nella quale in più di un’occasione il morente - o colui trovato defunto - richiama l’idea della ciclicità dell’esistenza e del ritorno al ventre materno assumendo una posizione fetale - o simil-tale - contorsione e piegamento introverso del corpo, che sempre e subito rievoca in noi l’immagine di una Madre Terra che ci partorisce ma allo stesso tempo sempre ci sopravvive, alla quale torniamo spirando. Tra gli altri, si veda di Wajda A., Cenere e diamanti, 1958, in Filmografia. 39 Tratto da Alberti L.B., op. cit., p. 308.

06 - (Ef)fusione. Il cimitero come giardino 215

[...] Non meno mirabile è il comportamento del cipresso e del pino, i quali avendo nella loro composizione abbondanza di umore, e gli altri elementi in dose eguale, messi in opera sogliono flettersi per la eccessiva umidità, ma durano eterni senza vizi [...]. Pertanto le opere e i mobili costruiti con questo legname sono eterni. 40

Questa “eternità cipressina” è sottolineata anche nel successivo famoso trattato di architettura, il De re aedificatoria dell’Alberti (1404-1472), presentato a Roma a papa Niccolò V nel 1452: la descrizione delle ottime proprietà - rispetto agli altri tipi di legno - fa molto dilungare l’autore proprio durante il suo discorso riguardo al cipresso, nella tradizione associato anche all’ambito funerario e cimiteriale proprio in virtù di tali qualità.

Non inferiore all’abete per la costruzione dei solai è il cipresso [...]. Infatti, gli Antichi lo consideravano tra le piante più nobili, non inferiore al cedro e all’ebano. In India il cipresso era venerato tra le piante aromatiche, e a ragione. [...] Si dice che il cipresso non sia per nulla infestato dai tarli né patisca per la vecchiaia, e che rimanga sempre liscio e compatto. Certamente per questo motivo Platone dispose che le leggi dello Stato e i decreti fossero scritti su tavolette di cipresso consacrate: perché pensava che fossero anche più resistenti del bronzo.41

Sempre l’Alberti lega a doppio filo con l’ambito vegetale - nella fattispecie floreale - la nascita del culto dei morti stesso: la stagione della fioritura è nostalgica, e riporta alla mente i cari defunti. Il passo in questione è - a mio modo di vedere - uno dei più dolci e raffinati dell’intera opera:

Quando tornava la stagione dei campi in fiore e ricchi di frutti, come al tempo in cui i propri cari morirono, immancabilmente nei loro animi affiorava la nostalgia dei familiari defunti e, ricordando le loro parole e azioni, facevano loro visita onorandone la memoria come potevano.42

XII secolo a.C.

Anche e soprattutto nella storia giudaico-cristiana, figure d’alberi e di giardini non mancano dagli albori della tradizione, nell’ambito delle “soglie tra mondi” o città, come ad esempio, nella tradizione ebraica, il luz (il mandorlo), alle cui radici è presente il varco che conduce ad una città nascosta -

40 Tratto da Vitruvio M.P., Architettura - Libri I-VII (De Architectura - Libri I-VII), Rizzoli, Milano, 2015 (I secolo a.C.), edizione a cura di Ferri S. e Maggi S., p. 155. 41 Tratto da Alberti L.B., op. cit., pp. 60-61. 42 Tratto da Alberti L.B., op. cit., p. 305.

216

La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia

chiamata per l’appunto Luz -, all’interno della quale “l’Angelo della Morte non può penetrare”43 .

A ritroso. Mani

A mio modo di vedere, il grande tema architettonico che accomuna, se si vuole ridurre all’osso questa parentesi del discorso, il luogo del giardino con quello del camposanto è sicuramente quello del recinto44, focus come si sa dell’architettura tutta [34] e non solo degli impianti cimiteriali o di giardino, ma che penso assuma rilevanza di prim’ordine soprattutto in questi due ambiti.

Lo spazio sacro45 - e giardino e cimitero sono a loro modo sacri - è, per essere tale, separato, diviso, racchiuso rispetto all’Altro-da-sé, all’intorno. Sacer (radice di “sacro”, “sacrificio”, ecc.) significa letteralmente Altro-dagli-Uomini, ovvero, appartenente al divino46. Il muro, o generico recinto, ha quindi la doppia funzione di racchiudere il sacer, escluso, demarcandolo rispetto al resto. Definire e recintare significa quindi consacrare (lett.: cum-, “mettere insieme con”, e sacrum). Ed anche l’etimologia della parola giardino rimanda ad un luogo perimetrato e definito: la radice gart- (o gard-) è di origine indo-germanica, e significa letteralmente “cingere”, “circondare” (da cui i termini odierni tedesco, garten, ed inglese, garden)47 .

43 Tratto da Guénon R., Il re del mondo, Adelphi, Milano, 1977 (1958), p. 70. Interessante notare come - nelle consequenziali ipotesi di Guénon - proprio da tale “originario” albero di mandorlo nascano importanti simbolismi: “Torniamo alla parola ebraica luz, [...]: la parola ha comunemente il significato di «mandorla» (e anche di «mandorlo», poiché designa, per estensione, sia l’albero sia il frutto) o di «nocciolo»; ora il nocciolo è quanto vi è di più interiore e di più nascosto, ed è completamente chiuso, dal che deriva l’idea di «inviolabilità». [...] Essendo imperituro, il Luz è nell’essere umano il «nocciolo d’immortalità» [...]” (tratto da Guénon R., op. cit., pp. 74, 75). Insomma, il mandorlo come albero simbolo di immortalità.

44 Similmente: “Templum è uno spazio riservato e deriva da tempus, che significa «divisione» o «sezione», e che a sua volta deriva dal greco temenos, area destinata a uno scopo particolare, come quello del servizio ad un dio” (tratto da Eliade M., op. cit., p. 36). 45 Voglio essere chiaro ancora una volta: si intenda la parola sacro (e derivati), qui come nel resto della trattazione, in maniera del tutto laica - soprattutto nel mentre si parla di giardini e campisanti - proprio memori dell’etimologia del termine qui ripresa, che non indica per forza uno spazio attinente alla religione, bensì ci suggerisce uno spazio escluso, altro dal circostante, delimitato. Come asserisce anche Malinowski B.K. in Sesso e repressione sessuale tra i selvaggi (1927), il sacro non appartiene di dovere alla religione. 46 Si veda, per l’approfondimento delle questioni inerenti, Agamben G., Homo sacer, 1995. 47 Anche un autore come Gilles Clément (n. 1943) - personalità di fondamentale importanza per quanto riguarda la progettazione di “giardini” - richiama, nel suo Manifesto del Terzo paesaggio (2004), la radice germanica del termine (si veda Clément G., Manifesto del Terzo paesaggio, Quodlibet, Macerata, 2016 (2004), p. 14).

06 - (Ef)fusione. Il cimitero come giardino 217

[34]

218

La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia

06 - (Ef)fusione. Il cimitero come giardino 219

Il sacro, come il giardino, possiede un recinto48 .

Da ciò, si può dire che lo spazio del giardino è sacro in quanto il giardino possiede sempre un perimetro netto, tracciato, ben definito ed artificiale: ciò che è fuori è dis-ordinato, non regolato secondo la logica dell’interno; allo stesso modo - ed in maniera sicuramente ancora più prepotente - è sacro lo spazio del cimitero, che è innanzitutto la “città dei morti” distinta, attraverso alte mura come bene si confà ad una città, rispetto alla “città dei vivi”.

Per concludere il discorso, un'osservazione, a mo’ di grande analogia, che riprendo dalla riflessione di Byung-Chul Han, l’autore tramite il quale si è aperta - e mi pare giusto che anche si chiuda - questa carrellata di “(ef) fusioni” tra giardini, vegetazione e campisanti. L’analogia in questione vuole che non solo i due luoghi considerati, ma anche i loro fautori e creatori si possano sovrapporre, “(ef)fondere”. Perché forse, il primo, divino - Grande - architetto fu giardiniere, dato che ancor prima della fatidica capanna adamea49, v’era il giardino dell’Eden: le mani del Dio sono quelle di un giardiniere, prima ancora che di un architetto. Queste due paia di mani non sono nemmeno così diverse, anzi. Entrambe toccano ciò che sarà a venire. Sono mani pazienti che sentono in lontananza. Le mani dell’architetto sono quelle del progetto, pro-jectum: “gettare davanti”. Le mani del giardiniere sono quelle che immaginano la fioritura, le successive stagioni, anche queste guardano oltre. “Rifletto sulla mano del giardiniere. Cosa tocca? Tocca ciò che non c’è ancora. Guarda in lontananza. In questo consiste la sua felicità”.50

L’architetto ed il giardiniere “guardano oltre”, in lontananza.

48 Si badi come il tema del sacro recinto sia universale, e non meramente occidentale: nel buddhismo, ad esempio, il concetto di sīmā (lett.: “frontiera”) ha la medesima rilevanza e significato. Il confine tra sacro e profano è sempre segnato. 49 Il riferimento è qui all’opera di Rykwert J., La casa di Adamo in Paradiso, 1972. 50 Tratto da Han B.-C., op. cit., p. 82.

220

La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia

[35]

222

La morte e i suoi luoghi. Cronache da Eusonia

This article is from: