Ottana

Page 1

SARDEGNA

T onino M osconi - M aria L aura P utzu

O T TA N A Maschere, Riti nel cuore

Tradizioni della Barbagia e

G eografica


Il paese si trova nella pianura della valle del fiume Tirso, ed è ai confini della Barbagia di Ollolai. Il territorio di Ottana fu abitato fin dalla preistoria, come testimonia la presenza di domus de janas, nuraghi e tombe di giganti. Le origini del paese sono, dunque, da ricercarsi nel periodo in cui iniziarono i grandi insediamenti

Sardegna, quando nacquero la civiltà Protosarda e quella Nuragica.

nel centro

Come gran parte del territorio sardo, anche quello di Ottana fu interessato da numerose invasioni: quella punica per esempio, a cui è legata la leggenda di un eroe che avrebbe dato il nome al paese, e quella romana, durante la quale Ottana consolidò l’importanza economica e strategico-militare. Del periodo romano rimangono le strutture termali. Il villaggio si sviluppò nell’alto medioevo e in periodo giudicale quando, capoluogo dell’omonima curatoria del giudicato di Torres, si trovava al centro di un territorio molto popolato. Dal 1500, in seguito allo spostamento della sede vescovile e sino a metà ‘900, Ottana ebbe un lungo periodo di decadenza e povertà. La zona di Ottana, tradizionalmente votata all’agricoltura e alla pastorizia, fu negli anni ‘70 del Novecento, prescelta dall’ENI e da altri gruppi, divenendo fulcro della nascente industrializzazione e ospitando grandi impianti per la produzione di materie plastiche e fibre sintetiche. Oggi, a cuasa del fallimento delle realtà industriali, si

In alto: La chiesa Parrocchiale di Sant’Antonio. Al centro: La Pala di Ottana nella chiesa di San Nicola e, In basso Il Crocefisso cinquecentesco Pag. a fianco: La Chiesa di San Nicola, antica Cattedrale della città in stile Romanico-Pisano



Sopra: camera centrale e nicchie interne dell’insediamento Nuragico di Marasorighes. Sotto: veduta esterna del complesso nuragico Pag a fianco: veduta notturna del Nuraghe Talinos. Nuraghe monotorre a tholos, parte di un villaggio nuragico di una decina di ruderi di capanne sparse in area di circa duecento metri.



E’ usanza i primi due giorni di Carnevale da parte dei Merdules farsi invitare da chi non è mascherato; il martedì poi sono i Merdules, che a loro volta, invitano le persone non mascherate. Il martedi grasso è il giorno in cui verso la sera si cantano Sas Amoradas, rime in ottave improvvisate dedicate alle giovani ragazze ed è anche l’ultimo giorno del Carnevale. La domenica successiva ha inizio la quaresima. Questa precede la pasqua nella quale risulta particolarmente suggestivo il rito de S’Iscravamentu, la deposizione di Gesù dalla croce, in quanto la funzione religiosa è accompagnata dal canto del tenore sulle parole del maggior esponente della poesi ottanese dell’800 Giuseppe Soru (Tziu Soru). I chiodi della crocifissione, venivano depositati su un piatto d’ottone chiamato S’Affuente. Lo stesso, per tradizione, viene anche usato come strumento di accompagnamento al ballo sardo, caratteristico di Ottana Su ballu tzoppu.

Sotto: Un donna prepara la pastella per i dolci delle feste. Pag. a fianco in alto: Un momento del ballo su ballu tzoppu In centro: S’Angule, Il dolce tipico della festa di San Nicola (Photo Mario Denti) In basso: tavole imbandite e prodotti locali per eventi e feste popolari.


Le successive festività che arricchiscono la vita degli ottanesi sono diverse: di particolare importanza , San Nicola (Patrono), Sant’Antoni ‘e beranu, Santu Zuanne, Santa Margherita, Santa Maria (ferragosto), Santa Rughe e San Pietro. Ad ogni festività, per tradizione, gli ottanesi preparano dolci tipici, tra i più importanti: su basulu cun sappa e sa cogone de sappa per il giorno di Sant’Antonio, sas gatzas, sa pasta violada e sa galadina per i giorni di Carnevale, s’angule (un dolce tipico decorato con miele), su Personazzu (una forma di formaggio dalle sembianze di vacca, pecora o uomo, prodotto dai pastori del luogo in segno votivo). Questi ultimi venivano benedetti durante la funzione della festa di S.Nicola, Patrono di Ottana, e poi


S’Affuente S’Affuente è un piatto di ottone lavorato a sbalzo con motivi diversi: grappoli d’uva, pampini, fiori, piccole croci orientaleggianti, con al centro sa rosetta, cioè la rosa greca. E’ presente inoltre anche una scrittura, forse a caratteri cirillici, non ancora decifrata nonostante l’impegno di molti studiosi. Sull’origine di questo antichissimo strumento, del quale attualmente esistono solo due pezzi, sono state formulate varie ipotesi: alcuni studiosi sostengono la tesi che sia di origine bizantina, prova ne sia che il piatto riproduce simboli tipicamente bizantini, senza contare l’influenza che ha subito la Sardegna da Bizanzio in moltissime forme di arte e cultura, vedi molti santi da noi festeggiati quali San Costantino, San Nicola, ecc. Altri studiosi invece sono convinti che S’Affuente sia di origine spagnola, rifacendosi al suo nome tipicamente


consumati nelle varie famiglie. Per la festa dell’Assunta, invece, in sos muristenes si uccideva una vacca, la cui carne veniva distribuita fra quegli ottanesi che portavano in dono il pane della festa: sos caddittos. Per la ricorrenza di Tutti i morti, il 2 novembre, si preparano sos papassinos, chiari o di sappa, ed i bambini girano per le case del paese richiedendo su prugatoriu (dolcetti, melograno, frutta secca). In tempi meno recenti a giugno per la ricorrenza di San Giovanni, si festeggiava sa cumparia. Durante quei giorni si diventava “compari” con la celebrazione di riti particolari come s’abba muda (l’acqua muta). Per il rito si andava alla fontana in silenzio a prendere l’acqua da offrire alla persona scelta come compare ed in seguito si recitavano insieme a questa due cantilene: “Compare compare su pane a isposare, su pane e allegria compare semmusu de sa vida mia”. “Pippiu sanu andemmusu in pranu, in pranu montinu, a battire sa igu, sa igu nighedda, zia arronchedda, ziu arroncone, a battire melone, melone cottu, pane cottu, pane e seda, bazzi e battidene meda”.


Ottana fit Ottana Ottana fit Ottana antigamente como finas sa terra est cambiada. Una cittade famosa e potente miradebolla comente est torrada: bennida est mancu in fruttos e in zente ca sa perfetta lughe l’est mancada. Torrada est in figura ‘e non cumparrer chi a tottu cantos at dadu ite narrer. Posta in su primu gradu ‘e un’eroe cun diversos istrado, sos prus mannos, non fit distrutta comente ch’est oe in sos milledughentos bindigh’annos, ma da su chimbighentos vintinoe bennida in isventuras cun affannos, mancados sun sos mannos privilegios, sun distruttos cunventos e collegios. In su sartu s’agattan sos muntones de fabbricos antigos, muros ruttos; s’aeren freddadu sos mattones dian narrer commente sun distruttos, fin degheotto miza sas pessones obbligados a dare sos tributos, como distruttos cun furia tanta chi bi nd’at solu che millechimbanta. Distruttas cuddas salas etzellentes cun palatzos de tres, battos pianos, cun contes e marcheses, possidente, arcipretes, canolig,os probanos, distruttos mussennores, assistentes d’apostolica sede suffraganos; s’agattat unu bacculu a sinnale, de unu vescovile pastorale. E cando ana torrare sos zigantes in sa campannas cun sos monumentos? non si nd’at bidu pius simmizantes de istatura e ne de armamentos, omines riccos, meda benistantes, cumandaian fintzas rezgimentos; como sun in su fangu sepultados ca terra fin e terra sun torrados. Giuseppe Soru de Ottana






Sa Filonzana La Filonzana un tempo usciva solo il martedi, ultimo giorno del Carnevale, teneva in mano una rocca da cui pendevano dei fili di lana e portava sul viso una maschera simile a quella dei merdules. L’abbigliamento è quello di una vecchia vedova: gonna e scialle nero, un cuscino legato sulla schiena poi a creare una protuberanza a mo di gobba. Questo personaggio racchiude in se una ricca simbologia e sono numerose le credenze popolari riguardanti i tessitori e le filatrici. La Filonzana, infatti, cammina tra la folla ed alcune volte minaccia di tagliare il filo della vita in segno di malaugurio.



Quando hai iniziato a sfilare da Boe? Ho iniziato trent’anni fa, nel 1981, ma non subito con il gruppo dei Merdules. Ero iscritto al Cres, un’organizzazione della chiesa, a cui facevano capo le diverse associazioni, e qui ho iniziato con gruppo di ballo sardo. Ho partecipato solo due volte alle iniziative di questo gruppo e ho visto subito altri ragazzi e gli adulti che si mascheravano da Boes e Merdules. Incuriosito anche dal fatto che andavano negli altri paesi a sfilare, ho deciso di fare il salto, così mi sono iscritto al gruppo dei Merdules e da allora non sono mai mancato. Sono passati oramai 30 anni. E’ stata e continua ad essere per me una bella esperienza, anche per le opportunità che offre di viaggiare, divertirsi e di conoscere sempre persone nuove. Perchè la scelta di essere Boe? Ho iniziato che ero un piccolo Merdule, anche perché, ieri come oggi, per comprare l’attrezzatura erano necessari molti soldi. Così inizialmente ho acquistato solo le pelli e la maschera del Merdule. I primi anni avevo solo il ruolo di portare lo stendardo dell’Associazione, poi guardando gli altri che sfilavano, ho imparato i passi del Merdule e con questa maschera ho sfilato fino all’età di 12 anni. Anni dopo, in occasione della festa di S. Nicola, mio padre mi comprò le prime campane, spendendo ben 800 mila lire. Da lì in poi ho sfilato sempre come Boe e anche se quando sfilavo da Merdule mi divertivo tantissimo, devo dire che non è la stessa cosa. Il Merdule, essendo un pastore, può fare diverse cose, come stuzzicare le persone, parlare con queste o accarezzare il boe per ammansirlo, mentre il Boe nei suoi movimenti è condizionato dal peso dei campanacci, che richiedono una grande forza fisica. Fra le tante esibizioni, qual è quella che ricordi maggiormente per le emozioni che hai provato? In trent’anni sfilate ne ho fatte tantissime, soprattutto in Sardegna ma anche nel Continente, al Carnevale di Venezia, a quello della Germania, della Danimarca. Quella che sempre mi fa provare


G li A rtigiani

di

O ttana

Se oggi gli ottanesi possono mascherarsi è grazie a coloro che, dietro le quinte, creano con passione e fantasia le maschere (caratzas). Gli artigiani, che si dedicano alla produzione delle maschere del Boe e del Merdule sono tanti, oggi molti giovani, ma anche alcuni anziani continuano senza sosta a creare con grande abilità opere uniche, perché non vi è una maschera simile all’altra. Un tempo erano soprattutto uomini di una certà età che si dedicavano alla creazione delle maschere del carnevale, probabilmente pastori che nelle lunghe giornate da passare con il bestiame si dilettavano nell’intarsiare pezzi di legno con fattezze umane o di animali e che sarebbero poi servite per celebrare il carnevale ottanese. Sino ai primi anni ‘50 erano pochi e non si potevano certo definire artigiani. Successivamente alla guerra e alla ripresa economica, sempre più stranieri passando per Ottana mostravano interesse per le nostre tradizioni e sopratutto per il nostro misterioso carnevale. Tanti di essi acquistavano, con pochi soldi, queste maschere per ricordo. Ciò ha sicuramente determinato un interesse sempre maggiore degli ottanesi, a dedicarsi alla creazione di

Sopra: maschere di Boes: la prima in fase di rifinitura da parte dell’artigiano, le altre sono risalenti agli anni ‘60. A fianco: un pero selvatico il cui legno è sempre stato ritenuto fra i migliori per la costruzione delle maschere. Pag. a fianco: Franco Maritato, artigiano delle maschere al lavoro fuori dal suo laboratorio nel centro di Ottana.




IL CARNEVALE DI OTTANA Diverse sono le ipotesi riguardanti l’origine di questo carnevale. Appare da subito evidente, dalla rappresentazione, il richiamo al rapporto dialettico uomo-animale. Secondo alcuni studi sulle maschere barbaricine, quelle di Ottana, sarebbero da associare al culto de su bove, diffuso in Sardegna e nel Mediterraneo fin dalla preistoria.

Il Boe che doma il Merdule

Il Parroco del paese benedice il fuoco

Ragazzi in attesa della sfilata delle maschere

E’ tradizione dipingersi il viso di fuliggine.

La manifestazione rappresenterebbe il rito dell’aggiogamento del bue in cui l’animale libero entra in rapporto con l’uomo che fa di lui un animale domestico. La mascherata avrebbe avuto anche una funzione apotropaica (Alziator, 1953; Della Maria, 1959 , Massaioli 1974). Un’altra spiegazione potrebbe essere ricercata tenendo in considerazione gli aspetti del sistema economico e sociale della Barbagia e la forte cultura pastorale ad esso associata. Alziator ricorda il fatto storico che la Sardegna rientra in una vasta area culturale che era caratterizzata dal culto del bove; dalla Creta di Minosse alle tauromachie spagnole, alle pitture rupestri della Sierra Cantabrica, ai tori in bronzo dell’Armorica si apre una grande regione di cui la Sardegna è geograficamente al centro: per diffusione, quindi, il culto taurino-bovino potrebbe essersi esteso facilmente alla Sardegna, tanto più che non vi mancano le testimonianze dell’età nuragica e di quella punico-romana, con teste scolpite, protome, bronzetti nuragici, ornamenti di elmi. Dall’altra, esiste una spiegazione psicologica: il toro, con la sua forza e la sua mole, domate e trasformate nella operosa mansuetudine del bue, non può non avere fortemente colpito la fantasia dei protosardi, che ad essi si sentivano legati più che agli altri animali. Da qui la necessità, da parte della popolazione locale, di esercitare ironicamente, attraverso pantomima carnevalesca, il rischio che l’uomo lavorando giorno e notte con le bestie, potesse diventare simile ad esse, perdendo le sue sembianze umane (Marchi, 1962;







Carrasegare Ottanesu (Boes e Merdules) Suta de sa caratza iscurigosa Cun cara triste ‘e dolore pintada Chi a sa lugh ’e su bene cuada De sos “barones”, in pena affannosa Torrat, s’anima, murta ’e sa fadiga De saa zente in campos laorados In s’ammentu eternu suspirados C un su boidu in coro che-i s’ ispiga. S os boes ruen suta ‘ e su “ tirannu” C hi crudele cumandat a puntorzu Lassadechelis s’ossu, intro su corzu, ispurpadu in su seculare ingannu . T ristos merdules cun boes a fune Debada chircan paghe e si arrebentan In su miseru abittu e rappresentan S’iscena chi non riet prus nessune . In sa piazza ’e su mundu s’imbesse, sa niedda e romasa lilonzana , cun sos pilos biancos che - i sa lana chircat su filu ‘ e vida piliesse . S u dolore , a sa miseria juntu , s ’ incrarat in s ’ istampa ‘ e sa caratza cuende su pattire , iscrittu in fatza , chin su coro cun s ’ anima hat pertuntu .

In sos ballos , a sonu ‘e s’affuente , si dàn sa manu , in su tundu passazu , che pari - pari a si fagher corazu in s ’ ispera ‘ e su tempus beniente chi sa sorte , de seculos toccada e ch ’ hat sa terra ‘ e lagrimas cobertu , torret , in d - onzi unu a visu abertu che da su sole a risu illuminada .

C un binu e gatzas pro sos alimentos, pro carchi die , irmentighende penas , liberos , finalmente ! ‘ e sas cadenas faghen fin ’ a su nudda monumentos . S a zoventude, sana e virtuosa, sa fossa ‘ e sos tirannos , oe in die abbaidende atesu , rie - rie , la curruzzan cun carchi foza ‘ e rosa . J uanne Frazzu


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.