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Una transizione serena
Se è vero – come è vero – che il futuro della mobilità sarà sempre più elettrico, è anche vero che le voci che si alzano “contro” una imposizione politica che avrebbe dovuto essere sugli obiettivi e non su come raggiungerli, sono sempre più forti. Lo stesso Carlo Tavares, CEO del Gruppo Stellantis, si è scagliato contro l’Unione Europea accusandola di essere succube del potere cinese che spinge per una strada che utilizza le tecnologie e le materie prime governate dalla potenza orientale. Secondo il manager portoghese l’UE avrebbe dovuto fissare i limiti delle emissioni e al limite l’arco temporale per raggiungerli, ma lasciare ai Costruttori la libertà di trovare le soluzioni tecnologiche più adeguate, ma tant’è. La strada è segnata. Ora il punto è come percorrerla, accelerandone i processi senza rischiare di affossare le economie e le risorse delle economie mondiali.
I PUNTI CRUCIALI
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Nel passaggio da un mondo endotermico ad uno alimentato a batterie sono molte le preoccupazioni e gli scetticismi sia dei futuri consumatori, sia di chi sta cercando di costruire un ecosistema a supporto delle nuove tecnologie. Prima fra tutti è quella che chiamiamo “ansia da prestazione”, ovvero la capacità di un veicolo di compiere appieno la sua missione o il suo percorso senza rischiare di rimanere senza propulsione. In questo caso, però, va detto che la ricerca corre molto veloce e, da un lato, le autonomie sono sempre più importanti e dall’altro si va a prendere consapevolezza che le percorrenze medie di molti utenti sono spesso ben al di sotto delle capacità delle batterie stesse. Sono però altri due i temi che più preoccupano gli utenti della strada, siano essi privati che business: le infrastrutture di ricarica e il fabbisogno energetico. Se guardiamo lo sviluppo delle cosiddette colonnine, secondo una analisi di Motus-E, dal giugno del ’21 al giugno di quest’anno c’è stata una crescita del 32% dove però il grosso, ovvero i due terzi di esse, hanno potenze che vanno da 7 a 43 kW. Solo l’1,6% supera i 150 kW cioè ciò che servirebbe per ricaricare i veicoli pesanti in un tempo adeguato. Anche la distribuzione territoriale, naturalmente, è abbastanza disomogenea con una concentrazione, come sempre, nelle regioni del centro-nord (Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto). Quindi ad oggi (o meglio al giugno 2022) possiamo contare su 30.704 punti di ricarica in 12.410 location.
E DOMANI?
Domani interviene la Commissione europea e il PNRR che stabiliscono dei target ben precisi, anche per quanto riguarda stazioni specificatamente dedicate ai veicoli pensati. Due gli step: il primo al 2025 con una distanza minima fra due stazioni di ricarica sulle strade primarie di 60 chilometri, potenza minima per quelle dedicate ai “commerciali” di 1400 kW con almeno due prese da 350 kW o più. Per il 2030, invece, si stabilisce la stessa distanza ma anche per le strade secondarie e la potenza minima delle stazioni “heavy-duty” sale a 3500 kW. Gli operatori del nostro settore dovranno però fare ingenti investimenti per implementare infrastrutture private all’interno die propri hub, in quanto il grosso delle ricariche avverrà in orario notturno, durante il rimessaggio dei mezzi. Per rendere però più ampia l’area di autonomia delle flotte commerciali, Motus-E chiede che venga previsto un fondo dedicato per le infrastrutture di ricarica per il trasporto merci elettrico sia nei centri logistici, sia nei rimessaggi dei mezzi, sia nei nodi di consegna in ambito urbano (zone commerciali, GDO, ecc.). Quindi, possiamo dire che la sfida sta in questo: costruire una infrastruttura ibrida tra pubblica e privata, la prima naturalmente realizzata dallo Stato (quale Ministero di competenza è ancora da capire), mentre la seconda dalle
Motus-E è fortemente impegnata nello studiare gli scenari possibili di una mobilità elettrica. Vediamo alcune analisi e considerazioni su un orizzonte temporale di 10 anni
di Luca Barassi
aziende, con la consulenza dei Costruttori e dei produttori di energia ma con il sostegno e l’incentivazione dello Stato che deve supportare in qualche modo gli alti costi di adeguamento.
GLI INCENTIVI PER IL TRASPORTO MERCI IN ITALIA
Il PNRR ha previsto 741,3 milioni di euro per installare 7.500 infrastrutture di ricarica superveloci in ambito extraurbano e 13.755 “veloci” in ambito urbano mentre per le infrastrutture private sono stati stanziati circa 90 milioni di euro nel 2020 ma ad oggi ancora non è possibile farne richiesta. Tra l’altro entrambi gli incentivi (pubblico e privato) permetterebbero di finanziare solo il 40% delle spese ammissibili. Quadro decisamente diverso da qui la cifra è di 100 milioni per veicoli elettrici ma anche ibridi, CNG o LNG e anche qui il valore unitario dell’incentivo è molto limitato (14.000 euro fino a 7 tons e 24.000 oltre). Anche qui il confronto con altri Paesi europei è sconfortante: in Francia i veicoli N2 ed N3 godono di un bonus da 50.000 euro per unità, destinato ai trasportatori che acquistano un veicolo a zero emissioni. A questi si sommano incentivi fiscali, oltre ad un superammortamento. Inoltre, per l’infrastruttura di ricarica aperta al pubblico c’è un incentivo fino a 18.000 euro (fino a 60% del costo di acquisto e istallazione). Simile la situazione in Austria, per esempio, dove oggi sono disponibili incentivi per l’acquisto di veicoli a zero emissioni
1) Motus-E, analisi di mercato Dic. 2020 2) Piano Energia e Clima (PNIEC) 3) Annuale stima basata su percorrenza media annua di un’auto di 14.100 km e 0,16 kWh come fabbisogno medio di elettricità per un EV per percorrere 1 km. 4) Terna, Annuario Statistico 2020 5) Monitor Deloitte – Eurelectric (2020) – Connecting the dots: Distribution grid investment to power the energy transition *Piano per la Transizione Ecologica (PTE)
Paesi come la Germania dove vengono coperti anche il 90 per cento dei costi. Stesso discorso vale per i veicoli con alimentazioni alternative. Solo 10 milioni stanziati a metà maggio per l’acquisto di mezzi N1 e N2 ad emissioni zero e con forti limitazioni come l’obbligo della rottamazione e l’esclusione del canale a noleggio oltre ad un tetto massimo per ogni veicolo dipendente dalla sua MTT. Se guardiamo oltre le 3,5 tons, fino a 22.000 € per i veicoli merci N2 e 55.000€ per i veicoli N3, oltre a incentivi per le infrastrutture di ricarica fino a 20.000€ per quelle in DC oltre i 100kW, in combinazione con l’incentivo per l’acquisto dei mezzi.
L’ENERGIA CHE NON C’È
La ricarica di un solo truck corrisponde al fabbisogno di circa 100 appartamenti. Stando così le cose ci dovremo aspettare, nel momento in cui le flotte saranno sbilanciate verso motorizzazioni elettriche, un blackout totale delle aree metropolitane. Anche perché oggi parliamo di poco più di 1600 veicoli commerciali a propulsione elettrica o ibrida, che rappresentano il 2% del mercato, ma i Costruttori si aspettano di arrivare dal 2030 in poi ad oltre il 60 per cento di vendite di veicoli elettrificati. Per fortuna, però, sempre stando agli studi di Motus-E, si stanno facendo “i conti senza l’oste”, ovvero senza considerare una forte evoluzione delle tecnologie di ricarica e di assorbimento dell’energia. Gli sviluppi tecnologici come lo Smart Charging, il Vehicle to Grid e soluzioni per l’accumulo, infatti, consentiranno di gestire agevolmente eventuali picchi di consumo in alcune ore della giornata, senza rischiare nessun tipo di blackout. Saranno quindi anche i veicoli stessi, connessi alla rete, che potranno fornire flessibilità al sistema elettrico, per circa 30-40 GWh di flessibilità al 2030 (vedi tabella nella pagina). Detto questo dobbiamo considerare anche che l’energia che dovrà ricaricare i nostri veicoli del futuro dovrà provenire da fonti rinnovabile, altrimenti l’impatto zero emission è effimero. Dunque, a nostro avviso, potrebbe essere questa la vera criticità del processo, soprattutto in Paesi come il nostro dove non sono stati ancora messi in atto reali progetti di produzione decarbonizzata dell’energia.#